Francia. “Sanzionato” un colosso coinvolto nel Tav in Valsusa

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Condividiamo questo video (https://www.dailymotion.com/) di un’azione in solidarietà alla lotta No Tav presso la sede di Vinci Construction, azienda del gruppo francese Vinci, seconda società al mondo nel settore delle concessioni e delle costruzioni.

Oltre alla gestione di molte autostrade francesi, il colosso Vinci è coinvolto nella costruzione del Tav.

A gennaio, infatti, ha ottenuto insieme alla società Salini-Impregilo un contratto d’appalto dalla francese TELT (Tunnel Euralpin Lione-Torino, partecipata al 50% dallo Stato francese e al 50% da Ferrovie italiane) per la ripresa dei lavori nel tunnel geognostico della Maddalena.

Tuttavia, il 14 marzo 2018 Vinci è stata condannata ad una multa di 300.000 euro per il reato di turbativa d’asta e favoritismo, avendo ottenuto informazioni riservate su un bando prima che fosse pubblicato, influenzando così l’ottenimento dell’appalto. Inoltre, Vinci siede nel consiglio di amministrazione di una lobby di costruttori presieduta proprio dal presidente della TELT, Hubert du Mesnil. 

Gli affari clientelari che ormai mal si nascondono dietro la costruzione di una grande opera inutile come il Tav, dannoso per l’ambiente e per la popolazione della Val Susa, dimostrano come grandi imprese traggono enormi profitti dalla repressione del movimento No Tav.

Di questa è complice l’Unione Europea che difende gli interessi di industriali e costruttori continuando a finanziare questo progetto, insieme allo Stato italiano che utilizza i suoi apparati giudiziari per incarcerare la nostra Nicoletta Dosio e altr* attivist* No Tav per una manifestazione in Val di Susa che ha provocato un danno di 780 euro alla società concessionaria dell’autostrada A32. Un danno di 38 euro a testa per il numero di manifestanti condannati.

La solidarietà e la lotta No Tav sono più forti della vostra repressione e faranno tremare le vostre tasche!

Nicoletta libera tutti! Ora e sempre No Tav!

Coronavirus, Toni Capuozzo a Libero: “Il gesto sbagliato di Mattarella, hanno pensato solo al razzismo”

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24 Febbraio 2020

Coronavirus, Toni Capuozzo a Libero: "Il gesto sbagliato di Mattarella, Hanno pensato solo al razzismo"

Un suo post su Facebook, qualche giorno fa, ha avuto l’ effetto liberatorio che hanno le parole di buon senso pronunciate da qualcuno di autorevole in tempi di generale conformismo. In quelle poche righe Toni Capuozzo, giornalista di lungo corso, inviato di guerra, non è stato tenero verso una classe politica che, davanti alla ragionevole paura del contagio da coronavirus e alla richiesta di misure preventive drastiche come la quarantena per chi rientrava dalla Cina, ha pensato «che la correttezza politica (visita a scuole multietniche, ristoranti cinesi ecc.) fosse la cosa più importante, che il nemico fosse il razzismo». 

Quelli che mettevano in guardia dalla psicosi contro il nemico cinese erano in realtà affetti da psicosi antirazzista?
«È il dogma della correttezza politica, una cosa molto americana: molti dei film che hanno visto e dei libri che hanno letto quelli della mia generazione oggi non potrebbero essere più girati né scritti. Non rimpiango il tempo in cui si poteva fumare al cinema, ma ricordo bene che nella mia infanzia, quando i soprannomi erano brutali e se uno era zoppo o gobbo lo si chiamava zoppo o gobbo senza troppi complimenti, ci si alzava in piedi se in autobus entrava una persona anziana o una donna incinta. Eravamo brutali nel linguaggio, ma nella pratica non lo eravamo affatto. Adesso paradossalmente è vero il contrario: c’ è un’ estrema correttezza formale, e poi nei fatti la cafoneria abbonda».
C’ è un episodio che ha giudicato particolarmente fuori luogo? La visita del presidente Mattarella in una classe con bambini cinesi dopo che i governatori leghisti avevano proposto la quarantena per gli scolari di rientro dalla Cina?
«Proposta saggia, peraltro. E sì, il gesto del presidente della Repubblica ha legittimato tutti quanti ad abbassare la guardia, a non comportarsi con la dovuta cautela. Quella sua visita è stato un gesto simbolico e anche una guida per l’ azione, non avrebbe portato i fotografi con sé altrimenti. Così se un collega rientrato dalla Cina mi invita a una cena, io mi sento rassicurato dal comportamento del mio presidente e penso: se non si preoccupa lui, del fatto che qualcuno di quei bambini poteva essere appena tornato dal capodanno cinese, perché dovrei preoccuparmi io?».

E le iniziative di solidarietà alla comunità cinese?
«A Milano c’ è stata perfino una “notte delle bacchette” per testimoniare vicinanza ai ristoratori cinesi. In un Paese che se ne fotte dei piccoli locali che chiudono, se ne fotte di calzolai e artigiani che spariscono, per dimostrare di avere un cuore sensibile eri tenuto a mangiare nei ristoranti cinesi, che peraltro non mi sembrano un pezzo essenziale della nostra storia…

Anche questo, sotto la maschera dell’ antirazzismo, è stato un invito a tenere la guardia abbassata: un atto di grande leggerezza, e la colpa non è solo del governo ma anche di una certa cultura».
Ma questo scambiare la legittima paura con il razzismo non è controproducente? Se per ogni cosa mi sento dare del razzista alla fine, per reazione ed esasperazione, finirò per rivendicarla, quell’ etichetta.
«C’ è una cosa che ho imparato girando la ex Jugoslavia. Tutti i ponti erano chiamati “della fratellanza e dell’ unità”. Ecco, i “fratelli uniti” alla fine si sono accoltellati a vicenda e quei ponti sono stati abbattuti. Se il bene diventa una predica, una lezione calata dall’ alto, rischia di alimentare i sentimenti meno nobili, che diventano un brontolìo di pancia sordo, che non viene a galla e non può esprimersi, e poi scoppia all’ improvviso. La mia generazione è cresciuta alle elementari con la retorica dei Cesare Battisti, dei Fabio Filzi, del Piave che mormorava. E tutti quanti siamo poi cresciuti facendo la naja malvolentieri e considerando la patria una brutta cosa. Le prediche dall’ alto non migliorano le persone. Siamo al punto che devo per forza abbracciare un cinese per dimostrare che non sono razzista: un’ esibizione di bontà che rischia di rovesciarsi nel suo contrario».

Che poi questi atti di razzismo anticinese non sono stati poi così numerosi…
«Infatti. Io in questi giorni non sono andato a Chinatown né nei ristoranti cinesi. Ho pensato: perché devo andare a cercarmela? Ma questo non significa nutrire sentimenti negativi verso un popolo, avrei evitato allo stesso modo il ristorante di un americano appena rientrato da Pechino. È una semplice precauzione, non razzismo. Invece qui, per non sembrare razzisti, siamo arrivati all’ assurdo di aver messo in quarantena poche decine di italiani che rientravano dalla Cina mentre centinaia se non migliaia di cinesi di ritorno dal capodanno rientravano indisturbati».

di Alessandro Giorgiutti

Tav, Conte e Macron vogliono concludere l’opera: “Ma salga contributo Ue”

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Il contributo dell’Unione Europea al momento è confermato per coprire fino al 40% dei costi di costruzione della sezione transfrontaliera. Italia e Francia chiedono che salga al 55 per cento

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il presidente francese Emmanuel Macron a Napoli per il vertice intergovernativo Italia-Francia. 27 febbraio 2020. ANSA/UFFICIO STAMPA PALAZZO CHIGI/

“Italia e Francia sottolineano l’importanza dell’ultimazione della sezione transfrontaliera della linea Torino-Lione”. Lo si legge in un passaggio della dichiarazione congiunta del vertice italo-francese che si è tenuto a Napoli, dichiarazione che contiene tuttavia un passaggio importante, ovvero la richiesta che sia l’Europa a finanziare in modo determinante la costruzione del tunnel di base.

Il contributo dell’Unione Europea al momento è confermato per coprire fino al 40% dei costi di costruzione della sezione transfrontaliera della Linea ad Alta Velocità Torino Lione, ma Italia e Francia nella dichiarazione congiunta auspicano “un incremento fino al 55% nel nuovo Regolamento per il periodo di programmazione 2021-2027, sotto determinate condizioni e applicato a specifiche attività“.

“Sono lieto che abbiamo potuto rilanciare l’autostrada ferroviaria alpina, che permetterà di limitare le emissioni” ha detto il presidente francese Emmanuel Macron.

Tav, a che punto sono i lavori

La Torino-Lione si estende per il 70% in Francia e il 30% in Italia per un costo certificato di 8,6 miliardi di euro: di questi il 40% finanziato dall’Unione europea, il 35% dall’Italia, il 25% dalla Francia. La parte fondamentale è proprio la sezione transfrontaliera, che grazie alla realizzazione del tunnel di base del Moncenisio, trasformerà l’attuale linea di montagna in una linea di pianura.

Come spiega la società che sta realizzando la Tav, è stato scavato oltre il 18% dei 164 chilometri di gallerie previste, compresi i primi 9 chilometri del tunnel di base nel cantiere di Saint-Martin-La-Porte, dove passeranno i treni e dove procede lo scavo di circa 1.5 chilometri di galleria in tradizionale.

Se dal lato francese sono state realizzate le discenderie necessarie per avviare i cantieri nella montagna, in Italia sono stati completati i 7 chilometri della galleria geognostica di Chiomonte in Val Susa.

A dicembre 2019 è stato assegnato l’appalto per la realizzazione delle nicchie di interscambio dei mezzi in galleria di Chiomonte. Il contratto, del valore di 40 milioni di euro, prevede la realizzazione di 23 nicchie (profonde 3 mt e lunghe da 30 a 40 mt) nella galleria esistente per facilitare il transito dei veicoli di cantiere. Il cunicolo della Maddalena, nato con finalità geognostiche, sarà così trasformato in passaggio di servizio e ventilazione per il tunnel di base.

Intanto in Val di Susa mercoledì 12 febbraio 2020 erano iniziati le procedure propedeutiche all’esproprio dei terreni nell’area di espansione del cantiere tra Giaglione e Chiomonte. I tecnici di Telt, società che sta realizzando la nuova linea, ha convocato i proprietari come prevede la procedura. Se ne sono presentati soltanto alcuni. Una ventina ha già firmato l’accordo per l’esproprio.

Le procedure di esproprio previste in questa fase sono 41, per un totale di 1,8 ettari. Si tratta delle aree coinvolte nel progetto di compensazione boschiva per la tutela della farfalla zerynthia polyxena, specie protetta. Il Consorzio Forestale Alta Valle Susa (a cui vengono consegnati i terreni) realizzerà il progetto dell’Università di Torino di un corridoio ecologico studiato per salvaguardare il raro lepidottero. Il piano elaborato dai ricercatori prevede la creazione di diradazioni boschive per far spostare la farfalla in via di estinzione lontano dalle attività.

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Lötschberg: la circulation entravée à cause d’infiltrations

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17.02.2020, 19:12 
La compagnie du BLS est encore toujours à la recherche des causes géologiques du problème. Image d'archive

CHEMIN DE FER La circulation au Lötschberg reste entravée à cause d’infiltrations d’eau qui avaient interrompu le trafic le 6 février. Les causes géologiques du problème restent toujours inconnues.

Un des deux tubes du tunnel du Lötschberg va rester fermé pour une durée indéterminée après les infiltrations d’eau qui avaient interrompu le trafic le 6 février. Non seulement il y a beaucoup plus d’eau que d’habitude à pomper, mais la compagnie du BLS est encore toujours à la recherche des causes géologiques du problème.

Tunnel de base

La BLS a du reste indiqué lundi à Keystone-ATS que la compagnie allait informer les médias sur l’état des travaux et sur les conditions géologiques à l’origine de la situation. Lundi, celle-ci n’avait guère évolué s’agissant de la circulation des trains. 

Ainsi les trains InterCity Romanshorn-Brigue peuvent emprunter le tunnel de base, mais en partie à vitesse réduite, ce qui entraîne des retards de l’ordre de quelques minutes. Les InterCity entre Brigue et Bâle sont eux déviés par la ligne sommitale via Kandesteg, provoquant un retard atteignant la demi-heure. Mais uniquement dans ce sens. Le Bâle-Brigue peut lui circuler dans l’unique tube praticable du tunnel de base.

30 cm atteint

Par chance, les infiltrations d’eau boueuse qui ont atteint 30 cm le 6 février sont survenues sur un tronçon à deux voies, entre Ferden et St-German (VS). L’Office fédéral des transports suit l’affaire de près, en étroit contact avec la BLS.

Contacté, son porte-parole note que les infiltrations d’eau représentent un défi dans tous les tunnels. Trouver l’origine géologique de celles du Lötschberg peut prendre du temps, précise-t-il tout en comptant sur la BLS pour réduire autant que possible ces délais.

Si l’attente devait se prolonger, les capacités du trafic marchandises nord-sud pourraient s’en trouver affectées, malgré les possibilités de déviation sur la ligne sommitale ou celle du Gothard.

Lötschberg, peggio del temuto

https://www.rsi.ch/news/svizzera/L%C3%B6tschberg-peggio-del-temuto-12750651.html?fbclid=IwAR3L23ajI5B8bZL2nU6I8MxRbQ5NKk4Ye8Iq4-HZm6t7JC7uVY8d3nOTalY

Uno due binari della nuova galleria di base tra Berna e Vallese bloccato a tempo indeterminato a causa delle infiltrazioni di acqua e fango

La situazione provocata dalla infiltrazioni di acqua e fango nella nuova galleria di base del Lötschberg inaugurata nel 2007 è più grave di quanto si temesse e non si sa quando i treni potranno tornare a circolare regolarmente nel tunnel che il 6 febbraio era rimasto chiuso completamente al traffico per alcune ore dopo che la melma aveva raggiunto un’altezza di 30 centimetri.

L'infiltrazione si è verificata nel tratto vallesano dove il tunnel è già a due tubi
L’infiltrazione si è verificata nel tratto vallesano dove il tunnel è già a due tubi (Comité du Lötschberg)

L’aggiornamento della situazione è stato fornito dalla BLS, la società che gestisce i collegamenti ferroviari tra Vallese e Berna sia sulla vecchia linea sia su quella realizzata nell’ambito del progetto AlpTransit. I treni Intercity Romanshorn-Briga e Basilea-Briga circolano nel tunnel di base, ma a velocità ridotta e quindi con qualche ritardo sull’orario previsto. Gli Intercity Briga-Basilea sono invece deviati sulla vecchia linea con un allungamento dei tempi di viaggio di circa 30 minuti.

Non solo nella galleria lunga 34,6 chilometri tra Frutigen e Raron c’è molta più acqua del previsto da pompare, informa un comunicato, ma gli specialisti sono ancora alla ricerca delle cause geologiche che hanno determinato il problema verificatosi tra Ferden e St. German sul lato vallesano, nel tratto dove ci sono due binari.

Ora si teme che, se gli accertamenti dovessero richiedere ancora molto tempo, vi saranno difficoltà sul fronte della capacità di assicurare il trasporto delle merci sull’asse Nord-Sud, malgrado le alternative rappresentate dal vecchio tunnel Kandersteg-Goppenstein e dal San Gottardo.

Lötschberg, situazione critica

Lötschberg, situazione critica

TG 12:30 di martedì 18.02.2020

Storia dei NoTav del 1994: il sì della Giunta della Regione Piemontedi MARIO BONTOSI CAVARGNA

https://www.lagendanews.com/storia-del-movimento-notav-del-1994/?fbclid=IwAR2qAqbAkAY6isA7RZYXi6vJfPUXE8k9iXW9dpvi1GwhXopulTqfTI2-WBQ

L'Agenda News

Movimento NoTav

Movimento NoTav

VALSUSA – Storia del Movimento NoTav del 1994: il sì della Giunta della Regione Piemonte. L’anno si apre con un convegno organizzato dalla Coldiretti e da Habitat a Sant’Ambrogio. Il 28 gennaio, il documento dei “4 No” viene votato dal consiglio della Comunità Montana della Bassa Valle di Susa dai rappresentanti dei 25 comuni. A febbraio, le associazioni francesi e quelle italiane si incontrano nuovamente alla Torre di Chianocco e si scambiano informazioni sullo stato del progetto. Negli stessi giorni arriva la notizia che è stato ritirato il progetto di elettrodotto ad altissima tensione. Gli ambientalisti della Valsusa vanno ad impegnarsi in toto contro il progetto di Alta Velocità. Di fatto si avranno due comitati. Uno a Condove e uno a Bussoleno intorno a Rifondazione e Verdi.
Mercedes Bresso

Mercedes Bresso

VERDI, RIFONDAZIONE E LEGA CONTRO

A marzo, la giunta regionale si esprime con un sì di massima al progetto esprimendo però tante cautele e molte raccomandazioni per i singoli impatti ambientali. A Bussoleno per un convegno l’ingegner Pistone ed il professor Chiocchia del Politecnico di Torino. Sono presenti tutte le amministrazioni della Bassa Valle ed il presidente della Comunità Montana, tre consiglieri regionali per Verdi, Rifondazione e Lega. Il sindaco di Bussoleno, Benetto, che è anche la parlamentare locale e l’assessore regionale all’ambiente.

IL FREJUS FERMO IN  5 ANNI

Ad ottobre si tiene a Torino un convegno con la partecipazione di Necci che afferma “la capacità dell’attuale linea del Frejus di portare merci e persone sarà saturata tra 4 o 5 anni”. Ad Avigliana vengono il presidente della Regione Brizio, la vicepresidente Bresso. Travolto dai fischi, Brizio non riesce a difendersi. Il secondo incontro regionale a Susa si preannuncia più facile perché si sa che l’amministrazione comunale di questa città non vuole unirsi agli altri sindaci perché si attende che l’Alta Velocità faccia una fermata a Susa. Ma l’assemblea non va meglio: Brizio e la vicepresidente Bresso vengono subissati da fischi e dalle urla di protesta.

Alpetunnel

Alpetunnel

CREATA ALPETUNNEL

A fine novembre, le Ferrovie italiane e francesi creano Alpetunnel. La società che dovrà eseguire gli studi e definire entro il 1996 la fattibilità e le modalità di finanziamento e di gestione del tunnel sotto il Moncenisio. Di lì a poco, al vertice europeo di Essen, il Cristophersen Group presenta i 14 progetti infrastrutturali su cui la Comunità Europea deve esprimersi. I lavori dovranno iniziare prima della fine del 1996 e che la Banca Europea degli Investimenti cercherà i finanziamenti sul mercato. Si svolge ad Aix en Provence l’annuale vertice italo francese. I ministri dei Trasporti di Berlusconi e di Mitterand fanno il possibile e firmano l’intesa che stanzia 240 miliardi per gli studi di fattibilità. Quello italiano, Fiori, rassicura i valsusini che la nuova linea sarà realizzata con il consenso delle autorità locali.

IL LIBRO

Il testo è preso dal libro di Mario Cavargna Bontosi che ha gentilmente concesso la pubblicazione: NoTAV. Cronaca di una battaglia ambientale lunga oltre 25 anni. Vol. 1: 1990-2008. Edizioni Intra Moenia.

Libro NoTav

Libro NoTav

Perché l’Italia non si è mai liberata davvero del fascismo

http://contropiano.org/interventi/2019/04/27/perche-litalia-non-si-e-mai-liberata-davvero-del-fascismo-0114877?fbclid=IwAR2D4BqIWiod0vj6uokb11dazWyAQ0YmshQhzz_WzaaIOEJD02E6ebitdSI

Podhum è una piccola località croata, 8 km a nord di Fiume. Intorno alle 7 del mattino del 12 luglio 1942 truppe regolari dell’esercito italiano entrarono nel villaggio, accompagnate dai Carabinieri e dalla milizia fascista. Avevano l’ordine di giustiziare tutti gli uomini tra i 16 e i 60 anni, e lo eseguirono con fucilazioni di gruppo.

Neanche cinque ore dopo gli italiani avevano bruciato quasi tutte le 320 case del villaggio, mentre il resto della popolazione, oltre 800 persone tra donne, vecchi e bambini, venne spedita nei campi di concentramento in Italia. Oggi a Podhum c’è un monumento che ricorda quell’eccidio, riporta 91 nomi di vittime.

L’eccidio di Podhum è uno degli episodi più tragici accaduti in Jugoslavia in quegli anni, e va inserito all’interno di un disegno generale, un’operazione preparata con cura dagli italiani, il cui scopo era lo sterminio delle popolazioni slave dei territori annessi della Slovenia e della Croazia. Gli ordini erano chiari.

Mario Roatta era il comandante della II Armata operante in quei territori, il suo soprannome era la “bestia nera”. Il primo marzo 1942 aveva diramato la Circolare (aggiornata e stampata il primo dicembre, in un opuscolo di circa 200 pagine distribuito a tutti gli ufficiali dell’esercito). Si trattava di un documento programmatico con il quale si dava il via alla cosiddetta Operazione Primavera.

Cardine di quella circolare era il principio di spopolamento attraverso la deportazione e il massacro. Bisognava attuare una pulizia etnica, bisognava colonizzare, e farlo usando i mezzi più brutali. In quella circolare venivano definiti da Roatta i dieci punti che i quadri dell’Armata dovevano tenere “costantemente presente”, due dei quali esemplari per comprendere la totale infondatezza del mito degli ”italiani brava gente”.

Un mito che lo stesso Roatta cercava di allontanare il più possibile: al primo punto della Circolare, infatti, si esigeva il “ripudio delle qualità negative compendiate nella frase “bono taliano”. Gli italiani non potevano e non dovevano essere buoni. Per questo, come si specificava al punto 6, “il trattamento da fare ai partigiani” non doveva essere sintetizzato “dalla formula ‘dente per dente’ ma bensì da quella ‘testa per dente’!”

So che a casa vostra siete dei buoni padri di famiglia, ma qui voi non sarete mai abbastanza ladri, assassini e stupratori”. Così scriveva nel 1943 Benito Mussolini ai soldati della Seconda Armata in Dalmazia. Per volere del duce – quello che, grazie al meccanismo di cancellazione della memoria, secondo troppi “a parte la guerra, ha fatto cose buone” – e guidate da generali come Roatta, Graziani, Badoglio, le nostre truppe hanno ucciso centinaia di migliaia di civili, usato gas tossici, deportato donne e bambini nei campi di concentramento, bombardato la Croce Rossa. Tutto per distruggere culture che ritenevamo inferiori, noi che eravamo “i discendenti dell’Impero romano”.

Se non bastasse, dopo aver commesso tali atrocità abbiamo fatto di tutto per cancellarle dalla memoria collettiva. Tutta la storia della giovane Repubblica italiana si fonda sull’inganno che ci ha permesso di considerarci vittime della guerra, anche quando eravamo carnefici. I crimini perpetrati durante e dopo la Seconda Guerra mondiale sono stati coperti, così come i responsabili.

Erano più di mille i presunti criminali di guerra, accusati dai Paesi dell’Africa e dei Balcani, ma nessuno di questi ha mai affrontato la giustizia, per due motivi: da una parte la volontà di creare un mito nazionale, quello degli “italiani brava gente”, che da decenni ormai ci permette di confrontarci moralmente – e autoproclamarci vincitori – con il “rigore” tedesco o lo snobismo inglese e francese. Perché alla fine “l’italiano ti aiuta sempre”. Dall’altra quella di scagionarci e assolverci per sempre, cancellando le atrocità compiute mentre si “onorava la patria”, passando alla storia come vittime della guerra e non carnefici. E in questo siamo stati aiutati dagli Alleati, in particolare da Stati Uniti e Gran Bretagna.

In seguito all’armistizio di Cassibile, con il quale il Regno d’Italia cessava le ostilità verso gli Alleati, dal 18 ottobre all’11 novembre 1943 si tenne la terza conferenza di Mosca: in quell’occasione i rappresentanti degli Alleati – il britannico Anthony Eden, lo statunitense Cordell Hull e il sovietico Vyacheslav Molotov – stipularono la Dichiarazione di Mosca. Gli Alleati dichiaravano di voler agire affinché “I capi fascisti e generali dell’esercito, noti o sospettati di essere criminali di guerra” venissero “arrestati e consegnati alla giustizia.”

Il 20 ottobre venne costituita presso le Nazioni unite la United Nations Crimes Commission, con la partecipazione di 17 Paesi alleati (Francia, Grecia, Norvegia, Paesi Bassi, Australia, Canada, Stati Uniti, Regno Unito, Polonia, Jugoslavia, Cecoslovacchia, Belgio, Cina, India, Nuova Zelanda, Lussemburgo): il suo compito sarebbe stato quello di creare una lista dei criminali di guerra per facilitare l’azione dei governi in tutto il mondo.

Nei suoi Crowcass (Central register of war criminals and security sospects) entrarono così un migliaio di presunti criminali di guerra italiani, richiesti da Jugoslavia, Grecia, Francia, Inghilterra – l’Etiopia aveva tentato di partecipare ai lavori della Commissione per denunciare i numerosi delitti perpetrati sul suo territorio dalle forze di occupazione fasciste, ma non era stata ammessa in quanto la War Crime Commission si occupava solamente dei crimini commessi durante la seconda guerra mondiale.

Eppure, proprio quel generale Badoglio che il 13 ottobre aveva dichiarato guerra alla Germania ottenendo dagli alleati lo stato di “co-belligeranza”, aveva, per esempio, pianificato e messo in atto vari bombardamenti con gas tossici durante le guerre di annessione del ‘35 in Etiopia. Lo stesso Badoglio che poi fu a capo del governo che firmò l’armistizio del ’43; lo stesso in onore del quale Grazzano Monferrato, paese natale del generale, cambiò il nome in Grazzano Badoglio.

Una discussione fra gli Alleati sulla figura di Badoglio si aprì, ma il caso venne abbandonato grazie anche alla pressione del Foreign Office inglese: in un telegramma cifrato spedito all’ambasciatore inglese a Roma nel settembre 1945, si legge: “Dovrebbe cercare di portare all’attenzione dell’onorevole Parri [allora Presidente del Consiglio dei ministri] in maniera confidenziale e ufficiosa, il prezioso contributo che Badoglio ha fornito alla causa alleata, esprimere la speranza che questo contributo venga sottoposto alla attenzione della corte prima dell’udienza”.

È comprovato che gli anglo-americani fossero a conoscenza dei crimini italiani e della loro crudeltà, ma negli anni che seguirono l’armistizio li coprirono, ritenendo utili e affidabili per la lotta anticomunista molti dei nomi compresi in quelle liste. Paese nemico arresosi senza condizioni, l’Italia dopo l’8 settembre 1943 stava subendo l’occupazione tedesca, con numerose vittime fra la popolazione civile; per contro, negli anni di guerra combattuta a fianco della Germania le truppe italiane si erano macchiate di gravi crimini e molti loro ufficiali erano richiesti da Paesi che appartenevano alle Nazioni Unite. E così, pressati dalla necessità di decidere, si decise di prender tempo.

Viste le continue proteste per la mancata estradizione dei criminali di guerra italiani degli ex Paesi occupati, in particolare quelle della Jugoslavia, nel febbraio del 1946 il ministro della Guerra Manlio Brosio propose al presidente del Consiglio De Gasperi di istituire una “Commissione d’inchiesta” che indagasse sui “presunti” criminali di guerra italiani, col fine di “poter giudicare, con i propri normali organi giudiziari e secondo le proprie leggi, quelli che risultassero fondatamente accusati da altri Stati”, onde “eliminare la possibilità di arresti e di consegne di italiani agli Stati richiedenti, senza il concorso dello Stato Nazionale”. D’altronde, come si dice, i panni sporchi si lavano in casa.

È chiaro che Alleati e governo italiano volessero attuare una resistenza passiva alle richiesta dei Paesi esteri. Per questo, nel febbraio del 1948, con la Jugoslavia che continuava a chiedere l’estradizione dei crimini di guerra italiani, l’allora segretario generale del ministero degli Esteri Vittorio Zoppi propose alla Presidenza del Consiglio di “guadagnare tempo evitando di rispondere alle richieste jugoslave, mantenendo un atteggiamento temporeggiante”. La risposta a nome del Presidenza arrivò il 16 febbraio, firmata dal sottosegretario Giulio Andreotti: “Concordiamo con le vostre conclusioni”.

Anche la Commissione italiana non prese neanche in considerazione le azioni svolte dai militari italiani in Libia, Eritrea, Etiopia e Somalia, dove anche contro i civili vennero usate bombe a gas, torture ed esecuzioni sommarie, o la deportazione in campi di concentramento.

Sono parecchi gli italiani che si sono resi tragicamente celebri nei Paesi del Nord Africa, come il generale Rodolfo Graziani, soprannominato il “macellaio di Libia”: era uno che attaccava vecchi e malati disarmati e che poi si faceva fotografare con in mano le teste dei “nemici”. Non fu mai processato per questi crimini, perché nessun processo nei confronti delle centinaia e centinaia di criminali di guerra fascisti è stato mai celebrato.

Come sottolineato da Filippo Focardi e Lutz Klinkhammer in un saggio del 2001 su Contemporanea, “nessuno dei criminali di guerra italiani fu mai giudicato. Nei confronti di alcuni fu spiccato un mandato di cattura da parte della magistratura italiana, ma venne dato a tutti il tempo di mettersi al riparo.”

Questa vicenda è solo parte dell’insabbiamento dei crimini nazifascisti, che vede un ulteriore, assurdo quanto oscuro, capitolo in quello che è stato rinominato da Franco Giustolisi “l’armadio della vergogna”. Nel 1994 venne ritrovato in via degli Acquasparta a Roma, dentro palazzo Cesi-Gaddi, sede della Procura generale militare, un vecchio armadio. Aveva le ante rivolte verso il muro. Così, per quasi 50 anni erano stati tenuti al segreto 695 fascicoli d’inchiesta e un Registro con 2274 notizie di reato, relative a crimini di guerra commessi sul territorio italiano durante l’occupazione nazifascista.

Quell’armadio era la manifestazione in legno, carta e inchiostro dell’occultamento degli orrori perpetrati dai nazifascisti, in Italia e fuori. E oggi più che mai dovrebbe far riflettere la motivazione che si addusse: quella di Stato. Stava infatti iniziando la Guerra fredda, vi era la necessità di evitare problemi alla Germania federale, che in quel periodo stava ricostituendo il proprio esercito e si sarebbe dovuta inserire in maniera forte nell’Alleanza Atlantica, e il governo italiano, così come gli alleati, aveva bisogno di ripulire il più possibile il passato fascista italiano, per utilizzare il Paese nella lotta al blocco sovietico.

Per questo hanno operato insieme per evitare sia di consegnare, ma anche di giudicare, i presunti colpevoli delle stragi.

L’Italia ha così consapevolmente rinunciato al diritto di richiedere la consegna e di perseguire i militari tedeschi accusati di strage in Italia: come sottolineato anche dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti, “il governo italiano si trovava nell’imbarazzante situazione da un lato di negare l’estradizione di presunti criminali italiani, richiesta da altri Paesi, e dall’altro di procedere alla richiesta, proveniente dalla magistratura militare italiana, per l’estradizione di militari e criminali di guerra tedeschi”. Così si decise di non fare né l’una né l’altra cosa.

A prevalere fu quindi una particolare convergenza di intenti tra l’Italia e gli Alleati. Da una parte, infatti, questi comprendevano l’importanza della pedina italiana nella spartizione in blocchi del mondo. Da parte nostra invece c’era la necessità di difendere i presunti criminali di guerra italiani richiesti da altri Stati. Secondo la relazione della Commissione, la difesa a oltranza dei presunti criminali italiani attuata dal nostro Paese fino al 1948 “è responsabilità dei governi dell’epoca, che condivisero la difesa ad oltranza dei presunti criminali italiani, e sacrificarono sull’altare dell’onore dell’esercito italiano la punizione dei gravi crimini commessi dai nazifascisti in Italia.” Dal ’48 in poi a questo si aggiunse una necessità di carattere internazionale, “non mettere in imbarazzo la Repubblica Federale tedesca, tassello essenziale del blocco occidentale. Con la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta, così, anche per l’Italia la stagione dei processi per crimini di guerra poteva dirsi conclusa.”

Ecco su cosa si fonda il mito dell’Italiano brava gente, quello del simpatico colonizzatore, del docile conquistatore. Un mito che ha la necessità però di essere costantemente alimentato. E così negli anni il nostro Paese ha continuato a rifiutarsi di analizzare con serietà, con il dovuto distacco, gli orrori commessi in nome e per la gloria della Patria.

Uno degli esempi più grotteschi, quasi ridicoli, è datato 1991. Quell’anno nelle sale italiane veniva presentato Mediterraneo, di Gabriele Salvatores. Il film è uno spaccato di un’ipotetica occupazione italiana su un’isola greca: il contingente italiano, goffo e impreparato, familiarizza con gli abitanti dell’isola, fino ad affezionarcisi e decidendo, in alcuni casi, di abbandonare l’Italia stessa. Mediterraneo vincerà anche il premio Oscar, consacrando in patria e all’estero il mito del buon italiano. Quello che va a prostitute ma poi se ne innamora e torna le rende “donne per bene”. Quello che sì, magari è un po’ nazionalista, ma alla fine, se gli dai da fumare un po’ d’hashish diventa un compagnone, e poi si fa pure fregare i vestiti dai turchi. Quello che “una fazza una razza”, insomma.

Proprio nel 1991 la Rai decise di acquistare dalla Bbc un documentario. Lo comprò, ma non per mandarlo in onda, anzi per il motivo opposto. Una decisione incomprensibile, almeno fino a quando non si legge il titolo di quel documentario: Fascist Legacy.

Era andato in onda due anni prima in Inghilterra, e raccontava degli ottocento criminali di guerra italiani responsabili della morte di circa un milione di civili e di come fossero sfuggiti a qualsiasi processo perché inglesi e americani avevano bisogno di loro per mantenere i comunisti fuori dal governo. Raccontava gli orrori dell’occupazione italiana in Jugoslavia, Albania, Grecia, della Libia, Etiopia. Narrava in che modo questi erano venuti finalmente a galla grazie a un’indagine compiuta negli archivi diplomatici americani e inglesi e in quelli della Commissione delle Nazioni unite per i crimini di guerra.

Già nell’89 il documentario aveva suscitato accese polemiche: l’allora ambasciatore italiano a Londra Boris Biancheri inviò addirittura una lettera di protesta al presidente della Bbc Marmaduke Hussey, accusando il programma di prendere di mira l’Italia su un tema che ha in realtà dimensioni ben più ampie; quando poi il consulente storico del programma, Michael Palumbo, chiese di discutere la sua trasmissione con l’ambasciatore italiano, questo si rifiutò sostenendo che i giudizi globali devono essere lasciati agli storici. Per questo era meglio che nessuno in Italia vedesse quel documentario. Solo nel 2004 La7 ne trasmise degli stralci durante il programma Altra Storia.

Come per le discariche sommerse di cui è pieno il nostro territorio, anche la storia dell’occultamento dei crimini nazifascisti ogni tanto torna a galla, attraverso episodi che sembrano marginali. Come quando, ancora nel 2001, l’Etiopia accusava l’Italia di non rispettare gli accordi internazionali rifiutandosi di comunicare la posizione dei suoi depositi segreti di armi chimiche risalenti al periodo dell’occupazione. Qualche settimana prima durante alcuni lavori in una scuola nella regione settentrionale del Tigray, i muratori avevano trovato un deposito nascosto con munizioni e granate. Avevano dovuto sospendere i lavori per paura che si trattasse delle armi con gas tossico.

È anche grazie a questa enorme operazione di insabbiamento che oggi un ministro può permettersi di dire che a lui “interessa poco il derby fascisti-comunisti”. Per questo può permettersi di non celebrare la Liberazione dell’Italia. Perché del fascismo in realtà l’Italia non si è mai liberata.

* Per ulteriori approfondimenti, Contropiano consiglia la lettura di Criminali di guerra italiani,  di Davide Conti e Il caso Roatta, di Laura Bordoni, entrambi editi da Odradek.