Stragi nazifasciste, l'”Armadio della vergogna” adesso consultabile online

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La Camera pubblica i 695 fascicoli sugli eccidi commessi in Italia dai nazisti fra il ’43 e il ’45: da Marzabotto a Sant’Anna di Stazzema. Le battaglie di Franco Giustolisi sull’Espresso perché fossero condannati i colpevoli

DI PIER VITTORIO BUFFA

15 febbraio 2016

Stragi nazifasciste, l'Armadio della vergogna adesso consultabile online

L’ “Armadio della vergogna”, adesso, si potrà quasi toccare con mano. Dal proprio computer si potrà entrare nei singoli fascicoli, leggere documenti, chiederne copia. Vedere, personalmente, senza intermediari, quello che per decenni è rimasto chiuso in un archivio, sepolto, sottratto alla ricerca della verità.

Da domani, 16 febbraio, la Camera dei deputati mette online le tredicimila pagine dei documenti della Commissione parlamentare che aveva indagato sulle stragi nazifasciste e sull’occultamento dei fascicoli in quello che è stato poi chiamato l’ “Armadio della vergogna”. Fu Franco Giustolisi, che per primo, sull’Espresso, ne denunciò l’esistenza, a battezzare così un archivio ritrovato nel 1994 in uno scantinato della procura generale militare. Dentro vi erano 695 fascicoli che riguardavano gli eccidi commessi dai nazisti e dai fascisti durante gli anni della guerra in Italia, dal 1943 al 1945. Fascicoli con nomi e cognomi dei colpevoli, elenchi di vittime, testimonianze raccolte da carabinieri o da militari inglesi e americani, spesso anche a pochi giorni dai fatti. Fascicoli in cui è scritta la terribile storia della guerra condotta da nazisti e fascisti contro la popolazione italiana. La guerra contro i civili che causò almeno 15.000 morti.

Quei fascicoli, nel 1960, furono “provvisoriamente archiviati”, un provvedimento abnorme non previsto da alcuna norma, e che è consistito, semplicemente, nella loro “sepoltura nell’ “Armadio della vergogna”. La ragione fu politica. Processi che mettevano alla sbarra ex ufficiali dell’esercito tedesco con l’accusa di centinaia di omicidi non avrebbero giovato ai buoni rapporti tra Italia e Germania occidentale.

Nel 1994 i fascicoli riappaiono durante le indagini su Erich Priebke, poi condannato per l’eccidio delle Fosse Ardeatine. Il primo articolo che ne parla, firmato da Alessandro De Feo e Franco Giustolisi, esce sull’’Espresso nel 1996. Da Roma i fascicoli partono per le procure militari competenti. Vengono riprese, dopo cinquant’anni, le indagini, si celebrano processi dove sfilano a decine i testimoni diretti di quegli orrori, i sopravvissuti. Gli imputati sono ufficiali e sottufficiali delle forze armate tedesche. Molti vengono assolti, una cinquantina condannati all’ergastolo. Ci sono i responsabili delle stragi di Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, Fivizzano, Civitella in val di Chiana… Ma le sentenze non vengono mai eseguite, nessuno ne chiede mai davvero l’esecuzione.

La pressione dell’opinione pubblica aumenta, Giustolisi e l’Espresso sono in prima linea. Nel 2003 viene istituita una Commissione parlamentare di inchiesta. I documenti inviati dai tribunali vengono catalogati e studiati, le audizioni sono numerose ma alla fine le relazioni saranno due. Una di maggioranza che non attribuisce a una precisa volontà politica l’affossamento delle inchieste. Una di minoranza, firmata dal deputato dei Democratici di sinistra Carlo Carli, che dice esattamente l’opposto.

Adesso l’accesso diretto ai documenti della Commissione dovrebbe consentire una più ampia presa di coscienza sulla profonda ingiustizia perpetrata ai danni delle vittime di quelle stragi.  Dice la presidente della Camera Laura Boldrini: “Sono contenta che il percorso di trasparenza di Montecitorio si arricchisca di un nuovo e importante capitolo perché un Paese veramente democratico non può avere paura del proprio passato”. Restano, nella coscienza del nostro Paese e oltre al silenzio durato mezzo secolo, quelle condanne all’ergastolo dei criminali nazisti che nessuno ha mai cercato di eseguire. E il destino di altre decine di fascicoli che non sono mai stati oggetto di vere indagini e che sono simbolicamente tornati nell’ “Armadio della vergogna ”.

TAV, POSTI DI BLOCCO A SALBERTRAND: PRIME ATTIVITÀ PER LA FABBRICA DELLO SMARINO

https://www.valsusaoggi.it/tav-in-valsusa-posti-di-blocco-a-salbertrand-prime-attivita-per-la-fabbrica-dello-smarino/

SALBERTRAND – Questa mattina, mercoledì 5 febbraio, Telt sta incontrando alcuni proprietari dei terreni che ospiteranno la fabbrica dello smarino a Salbertrand. Da oggi in poi, i tecnici di Telt effettueranno le prime analisi e campionamenti sui terreni. Le forze dell’ordine hanno allestito presidi e dei posti di blocco con agenti in tenuta antisommossa sul ponte che porta all’area interessata e fuori dalla stazione ferroviaria.

LA COMUNICAZIONE DI TELT

A fine luglio 2019, Telt aveva diffuso questo comunicato stampa, anticipando le varie attività avviate da oggi. Lo riportiamo integralmente.

“In vista dei lavori definitivi per il tunnel di base della Torino-Lione lato Italia, nel comune di Salbertrand è in programma il recupero di un’ampia area ex-industriale per la quale sono state avviate le attività di informazione ai proprietari dei terreni interessati. In base alla Variante di cantierizzazione approvata dal CIPE a Marzo 2018, la delibera fissa per i 14 ettari stretti tra il corso del fiume Dora e il tracciato dell’attuale linea ferrovia, un percorso volto alla messa in servizio dell’impianto industriale per la valorizzazione dei materiali di scavo estratti a La Maddalena di Chiomonte. La fabbrica, con uffici, aree di stoccaggio e depurazione delle acque, avrà lo scopo di produrre i conci di rivestimento del tunnel di base e impiegherà fino a 100 persone.

Per questa attività di recupero dell’area di Salbertrand, oggi in completo stato di abbandono, è stata data comunicazione ai proprietari delle aree interessate, secondo quanto stabilito dal Testo Unico Espropri (Decreto del Presidente della Repubblica 327/2001). La fase iniziale della procedura è volta non solo a informare i proprietari, ma anche ad attivare un’interlocuzione al fine di raggiungere una valutazione il più possibile esatta del valore dei terreni e dei fabbricati che insistono sull’area. 

Come in altri casi legati alla Torino-Lione, questa occupazione delle aree ha una natura temporanea e al termine dei cantieri i terreni saranno restituiti riqualificati ai proprietari, i quali fin da ora possono prendere visione del progetto”.

No Tav, Torino-Lione è delitto climatico

https://www.ansa.it/piemonte/notizie/2019/12/07/no-tav-torino-lione-e-delitto-climatico_4d560e90-c8c7-43ef-9b92-44298b5cd044.html?fbclid=IwAR2tjnDYqsC1BwEvulm0y6tUgVMMWG1ufQAUKmBU_XHleJQABkS2jAsNQ8o

Domani (08-DIC) in Val Susa nuova marcia contro la nuova ferrovia

(ANSA) – TORINO, 7 DIC – La nuova ferrovia ad alta velocità Torino-Lione “è un delitto climatico”. E’ la definizione dell’infrastruttura data dal movimento No Tav, che domani darà vita in Valle di Susa (Torino) a una nuova marcia. “Qualsiasi strategia che si propone di ottenere una riduzione immediata dei consumi energetici – spiega il movimento No Tav – è da preferirsi rispetto alle Grandi Opere come la Torino-Lione che già durante la fase di cantiere emettono gigantesche quantità di CO2. Per il tunnel di base non è stato rilasciato dai proponenti alcun studio certificato di bilancio di carbonio che dimostri che l’opera possa ridurre effettivamente le emissioni climalteranti”.
    Secondo il movimento No Tav “la dimensione del cantiere (scavo totale di 42 milioni di m3), l’elevata potenza dei treni, nonché i consumi energetici per il raffreddamento e la ventilazione in fase di esercizio (circa 190 GWh/anno, pari alla domanda di circa 70.000 famiglie) vanificherebbero ogni eventuale futuro risparmio di emissioni serra”.

Sul Tav che c’è ma non esiste, il treno sfreccia in Val Susa

https://ilmanifesto.it/sul-tav-che-ce-ma-non-esiste-il-treno-sfreccia-in-val-susa/?fbclid=IwAR032ANQ9x3X71Is0E0wWElTTsVbDNhoH-WB8WGu064DDQaX_0Ds2oiVUbg

manifesto

Alta velocità. In pochi lo sanno ma è partito in via «sperimentale» sulla ferrovia ritenuta «obsoleta»

Il tav sfreccia sui vecchi binari in Val Susa

Il tav sfreccia sui vecchi binari in Val Susa 

L’appuntamento con la Storia cade in un fatidico sabato di febbraio a mezzogiorno: il primo viaggio con il Tav in val Susa, in partenza da Porta Susa, stazione torinese trasformata da casetta tardo ottocentesca a mega galattico edificio in vetro che accoglie il traffico dei treni ad alta velocità che attraversano Torino.

Il Tav, Treno Alta Velocità, c’è già. Non c’è da aspettare altre decadi per salirci, niente scontri e manifestazioni, basta madamin e adunate la domenica mattina a Torino per reclamare a gran voce il diritto al progresso: basta fare il biglietto e si parte.

QUESTA È LA STORIA DI UNA non storia, ovvero di un viaggio su un Frecciarossa 1000 – il più bello, il più avanzato, il più veloce – lungo una tratta dove non dovrebbe esistere. Un territorio che nella percezione collettiva, grazie a certosino e pluriennale lavoro di mistificazione, ha assunto le forme di una mescolanza tra la Siberia e il Far West: un luogo isolato e vissuto da bizzarre popolazioni devote a Ned Ludd, montanari che, come disse la madamin vestita d’arancio solo un anno fa, «Se ci credono veramente e amano la decrescita felice, qui intorno in Piemonte ci sono tante meravigliose valli, dove possono comprarsi una mucca e una pecora e decrescere felicemente, ma che lascino vivere noi». Magari la signora non lo sa ma anche lei da qualche settimana ha la possibilità di andare fino in cima alla val Susa con un Frecciarossa 1000. E nel 2020 tutti coloro che sentiranno l’urgenza di correre a prendere l’aperitivo a Parigi potranno farlo sempre in Alta Velocità Trenitalia: Milano-Parigi, passando da Torino.

MA TORNIAMO AL NOSTRO viaggio nella valle che si oppone al «progresso» e che così isola l’intera economia italiana. Ogni fine settimana si ha la possibilità di raggiungere la località turistica di Bardonecchia, dove la corsa termina prima del traforo del Frejus e quindi della Francia. Tunnel nella montagna storico, progettato e realizzato grazie a Cavour, diventato ingenerosamente simbolo dell’obsolescenza tecnologica del patrimonio ferroviario italiano.

SI PARTE ALLE DODICI E DIECI da Porta Susa, puntuali. Il treno è in arrivo da lontano, da Napoli: un vero servizio ad alta velocità che collega il sud con il nord. Si procede nel silenzio e ci si immette lungo la «linea storica», locuzione che nel tempo ha preso un significato unico: desueta, moribonda, scassata. «Io penso straparli chi racconta oggi che la linea storica tra Francia e Italia va bene. E come se dicesse che gli asini volano»: a dirlo fu il già commissario straordinario per la Torino-Lione Paolo Foietta, appena un anno fa. Lui intendeva il tunnel del Frejus per le merci, però anche quelle passano già. Scorrono i paesi del fondo valle al di là del finestrino. Collegno, Alpignano, Avigliana e così via, in un ambiente che mescola campi di grano, villette e capannoni industriali. Il viaggio in sé non ha nulla di emozionante, e non si ha nemmeno la percezione della velocità con cui si attraversano i boschi che si susseguono. È chiaramente un linea che si sviluppa in una montagna fortemente antropizzata, perché cammin facendo si possono vedere, parallele, la poco distante autostrada e la statale: si intravede perfino il cantiere di Chiomonte dove è stato scavato un tunnel geognostico, oggetto di scontri furibondi. Ma probabilmente non c’è chilometro di questo percorso che non sia associabile a un punto da cui scaturisce il ricordo di una contestazione, una marcia, una protesta.

IL TRENO IN SÉ È CONFORTEVOLE e silenzioso, un lusso se rapportato ai treni che solitamente passano da queste parti. Non c’è la folla, ma non è nemmeno deserto, numerosi sono i turisti recuperati lungo lo stivale che vogliono raggiungere le piste da sci della Via Lattea. D’altronde, da quanto si capisce indagando sul Tav in Val Susa, si tratta di una linea «commerciale» ancora in fase di test: per capire l’effetto che fa e decidere se dargli un futuro internazionale, come pare sarà. Nonostante che il tunnel di base sia lontano dalla sua realizzazione. Scorrerebbe quest’ultimo quasi ottocento metri al di sotto di dove siamo noi, parallelo ma nel cuore della montagna per quasi sessanta chilometri. Ad una velocità maggiore di quanto andiamo en plein air indubbiamente, ma anch’essa lontana dalle potenzialità di un Frecciarossa 1000. Nessuna barricata interrompe la corsa, nessun autoctono si pone lungo la linea che si dipana prima in una larga pianura poi nelle gole da cui si possono godere mirabili panorami alpini e spettacolari fortezze.

SI DIRÀ: MA NON PROSEGUE verso la Francia a causa del tunnel antiquato, «una mulattiera di montagna» come disse qualche pasdaran del tunnel di base. Eppure, probabilmente già quest’anno, i tempi di percorrenza del Torino-Parigi e del Torino-Roma saranno concorrenziali. Senza dimenticare che Tgv francese corre da Milano a Parigi e ritorno da molti anni. Ovviamente il tunnel di base taglierebbe ulteriormente i tempi, ma qui torna in mente la famosa «valutazione costi benefici» redatta dal ministero dei Trasporti nel 2018, che certificava quanto il maxi investimento nella nuova linea sia sproporzionato.

DOPO LE GOLE DELLA PARTE centrale della valle, si giunge a Oulx, paese di mezza valle da cui partono i migranti che affrontano la Rotta Alpina: ma questa è un’altra storia. La stazione è raccolta, in pietra, sulla banchina si accalcano gli sciatori in attesa dei treni regionali che li riporteranno a Torino. La neve, poca e spazzata dal vento, copre a chiazze il vasto fondo valle dove spuntano le baite e i primi alberghi dalle insegne colorate. Un territorio che sta facendo i conti con il cambiamento climatico che mette a rischio le stazioni sciistiche al di sotto dei duemila metri. E poi via per gli ultimi chilometri percorsi lesti lesti ancora in un paesaggio boscoso, circondato da aguzze vette innevate che superano i tremila metri, direzione Bardonecchia, dove si giunge dopo un’ora e quindici minuti di viaggio in perfetto orario. Rispetto a un treno regionale vengono «guadagnati» una manciata di minuti. «Io non lo sapevo che la Tav arrivava in val Susa», provoco la mia vicina di sedile. Che conferma: «Manco io, pensavo fossero più isolati da queste parti». Ma pensa un po’.

VERDI EUROPEI: TAV È UN’OPERA NON PRIORITARIA NÉ PER ITALIA NÉ PER FRANCIA

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Il Governo italiano è ancora una volta diviso sull’interrompere o meno i lavori per la TAV. Attivisti e politici verdi italiani e francesi si sono da sempre schierati insieme contro questo progetto. Ecco una dichiarazione congiunta della co-presidente del Partito Verde Europeo Monica Frassoni e l’eurodeputata dei Verdi francesi e presidente della Commissione per i trasporti e il turismo Karima Delli
tav cantiere

Il Governo italiano è ancora una volta diviso sull’interrompere o meno i lavori per il tunnel della Valsusa. Attivisti e politici verdi italiani e francesi si sono da sempre schierati insieme contro questo progetto.

In una dichiarazione congiunta la co-presidente del Partito Verde Europeo Monica Frassoni e l’eurodeputata dei Verdi francesi e presidente della Commissione per i trasporti e il turismo Karima Delli hanno così commentato:

“Il governo italiano sta da mesi cercando l’accordo fra due forze politiche dai programmi completamente contraddittori. Sono ormai 8 mesi che stiamo aspettando che l’analisi costi e benefici venga a nutrire un dibattito che è oggi ideologico e spesso slegato dai dati di fatto concreti. Ribadiamo perciò la nostra convinzione che il tunnel della Valsusa non sia un’opera prioritaria né per l’Italia né per la Francia né per l’Europa.

Non si tratta, contrariamente alla convinzione di molti, di una nuova linea ferroviaria ad alta velocità.
Del progetto originario di una linea ad alta velocità lunga 270 km, quello che rimane oggi è solo il tunnel della Valsusa, lungo 57,5 km. Il progetto era stato proposto sulla base di stime di traffico in gran parte esagerate: tra il 1980 e il 2000, il traffico sulla linea attuale era di 7/10 milioni di tonnellate, mentre oggi si è ridotto a 3 milioni di tonnellate.

Anche il progetto si è negli anni prosciugato, riducendosi al tunnel, ossia la parte più mediatica ma anche meno necessaria.

Non c’è inoltre alcun pericolo di sanzioni da parte dell’Unione europea. L’UE aveva deciso di finanziare solo opere preliminari e studi per 813 milioni di euro, in relazione al bilancio pluriannuale 2014-2020, chiaramente insufficienti per coprire tutta l’opera. Non è stata ancora presa alcuna decisione in merito a quali opere andranno i fondi del bilancio 2021-2027. Ciò significa che non sono ancora stati stanziati nuovi fondi e che non ci sono sanzioni da pagare.

Quello che invece è possibile e doveroso fare è potenziare la linea ferroviaria già esistente (attraverso interventi mirati che migliorino capacità ed efficienza di carico), che ha un potenziale pari a 20/21 milioni di tonnellate l’anno. Non c’è alcuna giustificazione economica (né tantomeno ambientale) per la costruzione di un ulteriore valico, quando si può puntare sulla linea attuale.

Riaprire seriamente la discussione sulla necessità di quest’opera, non solo in Italia ma anche in Francia e in Europa sarebbe un segno tangibile del fatto che i governi prendono sul serio la lotta ai cambiamenti climatici, investendo invece in posti di lavoro verdi, energie e infrastrutture sostenibili e innovative.”

Perché la Mappa delle Tribù dei Nativi Americani non si trova sui libri di Storia?

https://www.vanillamagazine.it/perche-la-mappa-delle-tribu-dei-nativi-americani-non-si-trova-sui-libri-di-storia/?fbclid=IwAR0rJ6PAuZ8uOgZF0bO1DVf582vsMdN95tchWIp3kuzjZiG9AK43E1du4VA

La storia del continente americano è lunga e articolata, e conobbe un punto di svolta decisivo nel 1492, anno della sua scoperta (o ri-scoperta, dopo i primi contatti con i Vichinghi nel Canada) da parte di Cristoforo Colombo. Durante i secoli successivi, in particolar modo il XVII, il XVIII e il XIX, tutta una serie di popoli europei si contesero il dominio della zona conosciuta oggi come Stati Uniti d’America, sterminando quasi completamente le popolazioni indigene locali sopravvissute alle malattie che importarono gli Europei.

Anche la parte Sud del continente e l’attuale Messico non furono risparmiate, con i “conquistadores” che distrussero per sempre culture ed etnie di quei popoli antichissimi

L’opera di sterminio fu semplice soprattutto all’inizio del processo, quando furono sufficienti le malattie europee, sconosciute ai nativi, per decimare la popolazione e operare il genocidio mediante “armi biologiche”. Questo particolare è spesso sconosciuto a molti che discutono delle successive Guerre Indiane, ma la conquista degli europei fu possibile proprio grazie alla quasi immediata morte della stragrande maggioranza dei nativi americani, sia al nord sia al sud.

Si stima che tra l’80% ed il 95% della popolazione indigena delle Americhe perì in un periodo di tempo che va dal 1492 al 1550 per effetto delle malattie

Vaiolo, morbillo, influenza ma anche semplici raffreddori o varicella furono la causa della morte del 10% dell’allora popolazione mondiale, che allora era globalmente di circa 500 milioni di persone.

Fatta questa dovuta premessa, che è fondamentale per comprendere quanto fu successivamente semplice, da parte dei conquistatori europei, impossessarsi di un continente immenso ormai privo di abitanti, è bene specificare che, in seguito, i popoli restanti furono sostanzialmente sterminati per impossessarsi di risorse e terre.

La domanda del titolo, semplice e provocatoria, vuol far riflettere sulla comprensione storiografica di alcuni processi umani come le conquiste e lo sterminio. Su Vanilla Magazine abbiamo già parlato della “Leggenda Nera”, che fece apparire gli spagnoli assai più terribili di quanto non fossero, mentre non abbiamo ancora analizzato il processo di “dimenticanza” dello sterminio dei nativi americani.

La storiografia mondiale, con una visione prettamente occidentale, ha evitato a lungo parole come “genocidio“, “sterminio” e simili, e ancor oggi, in particolar modo nelle scuole statunitensi, non si studiano le popolazioni native come parte fondante della storia del continente. Soltanto durante la metà del XX secolo si iniziarono a percepire le dimensioni di ciò che era accaduto, principalmente grazie a libri come “Seppellite il mio cuore a Wounded Knee o simili, capaci di sensibilizzare le persone riguardo una storia (per allora) quasi sconosciuta.

Lo sterminio delle popolazioni native fu sistematico, e sistematicamente fu perpetrato per accaparrarsi il maggior numero di risorse e ricchezze del continente. La considerazione da parte della storia, quella diffusa mediante i libri scolastici ma anche nella cultura popolare occidentale, non vede il Nord-America come una zona che fu invasa da popoli conquistatori, ma viene considerata come una “scoperta”, come se prima dell’uomo bianco il continente non esistesse, o non esistesse nulla che oggi valga la pena di essere ricordato. La ricerca storica può ridare un nome e un volto a quelle popolazioni che, per millenni, furono protagoniste della storia americana.

Il Nord America e le sue Tribù

Nel Nord America nel XIX secolo erano presenti circa 1.000 tribù, mentre oggi sono registrati 566 gruppi etnici distinti nell’ancora attivo Bureau of Indian Affairs. Gli altri sono definitivamente estinti, ma anche quelli rimasti (a parte qualcuno) non sono che sparuti gruppi di minuscole dimensioni. Durante le guerre di conquista, l’epoca del selvaggio West e gli anni seguenti, la popolazione totale dei nativi americani negli Stati Uniti raggiunse il suo minimo storico a 250.000 persone. Per comprendere l’entità demografica, basti pensare che la popolazione di una città come Verona era distribuita in tutti gli USA.

Oggi i nativi hanno riguadagnato terreno e sono circa 2,9 milioni, ma rappresentano soltanto che l’1,5% del totale della popolazione statunitense. Le tribù più popolose sono quelle dei Navajo, Cherokee, Choctaw, Sioux, Chippewa, Apache, Piedi Neri, Irochesi e il Pueblo.

Le regioni in cui viene tradizionalmente divisa l’America del Nord sono 8, affini per linguaggio e usanze:

  • Costa Nord-Ovest: fu una delle regioni più facili in cui vissero i nativi. Non dovevano coltivare perché le risorse naturali erano ben più che sufficienti a sfamare la popolazione, e rimangono famosi per le case in legno, i totem e e le lunghissime canoe.
  • Plateau: La zona fra le montagne Cascade e le Montagne Rocciose, in cui vivevano le popolazioni più provate dalla natura. Le loro case erano a volte interrate, e vivevano di caccia e coltivazioni.
  • California: le tribù californiane erano oltre 100, e sopravvivevano grazie all’abbondanza di risorse naturali.
  • Il Grande Bacino: la zona compresa fra gli attuali Nevada, Utah e Colorado, furono abitanti di una terra arida e difficile, poco interessante per i coloni che infatti vi giunsero tardissimo.
  • Sud Ovest: In questa zona si trovavano alcune delle tribù oggi più popolose come i Navajo, gli Apache e i Pueblo. Essi costruivano case in mattoni, cacciavano e coltivavano, rappresentando forse le popolazioni più evolute come tecniche di sopravvivenza organizzate.
  • La Grande Pianura: il popolo più famoso per la caccia al bisonte e per i loro Tepee, le tende che montavano seguendo le migrazioni delle grandi mandrie.
  • Nord Est: Nella zona attualmente occupata da città come New York, Boston, Filadelfia, Baltimora e Washington, si trovavano tribù che potevano essere sia nomadi sia stanziali, che trovavano provviste e risorse dai grandi fiumi e sulla costa.
  • Sud Est: Nella zona dove oggi si trova la città di Miami si trovava la tribù più popolosa, i Cherokee, che come le altre limitrofe era stanziale e si occupava principalmente di agricoltura.

Le loro lingue

Nonostante non sia rimasta una forma scritta delle lingue dei nativi, esse costituivano un numero enorme, quasi 1.000 diverse forme di comunicazione differenti. Di queste ne rimangono oggi 296, le altre 704 sono dimenticate, per sempre. Quelle rimanenti vengono classificate in 29 macrogruppi, con alcune che non appartengono a nessuna classificazione. Oggi sono pochissime le lingue che vengono parlate correntemente da uomini moderni, e la maggior parte di queste saranno dimenticate entro 100 anni.

Per comprendere la ricchezza delle diverse culture native, è possibile immaginare come, a soli 100 Km di distanza, due nativi non avrebbero potuto comunicare se non a gesti

Dei 1.000 tipi di linguaggi presenti, soltanto 8 sopravvivranno al passare del tempo, e sono il Navajo, Cree, Ojibwa, Cherokee, Dakota, Apache, Piedi Neri e Choctaw, perché parlate da un numero di persone (ancora) rilevante.

Le altre svaniranno, come è svanita buona parte della storia del Grande Popolo degli Uomini

L’auspicio è quello che la storiografia riesca a includere anche grandi parti di storia dei popoli nativi americani, rendendo giustizia postuma a popolazioni che avevano un livello di civiltà elevatissimo e diverso dai valori di conquista europei.

Occupazione temporanee, militarizzazione e greenwashing

https://www.notav.info/post/occupazione-temporanee-militarizzazione-e-greenwashing/

notav.info

12 Febbraio 2020 at 20:02

“Greenwashing è un neologismo indicante la strategia di comunicazione di certe imprese, organizzazioni o istituzioni politiche finalizzata a costruire un’immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale, allo scopo di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dagli effetti negativi per l’ambiente dovuti alle proprie attività o ai propri prodotti.” (Wikipedia)

Stamattina quello che avvenuto nei terreni di Giaglione è proprio questo, un’operazione di Greenwashing operata da Telt per “salvaguardare” l’habitat e il futuro della farfalla Zerynthia, specie protetta dal movimento notav.

Ora al peggio non c’è mai fine e ci chiediamo come si possa salvaguardare l’ambiente spianando i terreni, tagliando gli alberi, bucando la montagna e inquinando in ogni modo.

Il Tav non difenderà mai nè l’ambiente nè chi lo vive, anzi è un problema per entrambi!

Inoltre quest’occupazione temporanea, fatta con la consueta militarizzazione vergognosa, contava di comprare i proprietari dei terreni con ben 50 centesimi al metro quadro, e siamo sicuri che utilizzerà a suo piacimento questa procedura, per tentare di impossessarsi di qualche altra porzione di terreno in Val Clarea.

Non lasceremo mai che la nostra terra e tutti quella che la abitano, dalle persone agli insetti, possano subire l’ennesimo ecocidio, e come sempre, attueremo le migliori strategie per impedirglielo.

“TELT ambientalista
nella terra mia
estingue le farfalle
e porta polizia

Pubblichiamo qui di seguito la testimonianza di un abitante di Giaglione notav presente alle procedure:

Infamità
Non trovo parola più adatta e spregevole per descrivere ciò che ho visto stamattina nei terreni dei Mulini di Giaglione. Un’abuso di potere perpetrato da TELT, che si nasconde dietro funzionari e personale vestiti con abiti di gentilezza. Una signora anziana di ottanta e piú anni, accompagnata da decine di questurini in borghese e numerosi poliziotti con caschi per prendere visione dei suoi terreni pagati da TELT, quindi da noi tutti, cinquanta centesimi al metro quadro per un’occupazione temporanea ( si dice). “Signora, è contenta di questa passeggiata?” Risposta con voce leggera:” Ero più contenta quando coltivavo qui da giovane”. “Veniamo qui vicino col furgone, cosí non si affatica troppo, per riportarla indietro”.  Neanche quando si sequestrano le proprietà dei mafiosi si vedono tanta solerzia e quella cosa merdosa che chiamano professionalità. Non mi sento di giudicare questa proprietaria con una piccola pensione che ha concesso i suoi terreni. Potrei personalmente avere da ridire a chi l’ha spinta, ma casomai lo farò in altra sede, dopotutto noi, Nicoletta ed io continueremo ad avere il comodato d’uso di quei terreni che useremo finchè potremo per la nostra lotta.
Non ci dovremo però andare da soli, ci dovremo andare in tanti. Stamattina ho pensato anche quanto Nicoletta sarebbe stata capace di confortare con la sua umanità questa persona anziana in una giornata di sole ma veramente infame.

Per maggiori info leggi Il cerone di unito, le pagliacciate di TELT e l’habitat della farfalla notav