COS’È IN GIOCO CON IL GIORNALISTA DI WIKILEAKS? TUTTO! —– ASSANGE DEVE MORIRE (E NOI CON LUI) —– INFORMAZIONE, O TI VENDI, O SEI FUORI

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MONDOCANE

VENERDÌ 21 FEBBRAIO 2020

 

Julian Assange, 49 anni, nel 2018 e nel 2020, torturato in carcere a Londra

DOMENICA A ROMA, PIAZZA DEL POPOLO, ORE 16. SABATO A MILANO, PIAZZA LIBERTY, ORE 17.

In treno blindato con capotreno il Direttore

Se pensate che il giornalismo italiano abbia toccato il fondo, avete modo di aggravarvi e constatare che, oltre il fondo, c’è un sottofondo, come nelle valigie o nelle macchine dei narcos, dove ormai sguazza l’intera compagnia che deve convogliarci sui carri bestiame verso dove ci vogliono rinchiudere Bilderberg e i suoi sguatteri. Di stazioni il treno ce ne ha fatto percorrere già parecchie. Saltiamo quella fatiscente di “Regeni”, dove pare che in sala d’aspetto giacciano ancora vecchi rotoli del Mar Morto che raccontano di un giovane italiano dai suoi eliminato in Egitto perchè da agenti egiziani scoperto al servizio della multinazionale di spionaggio Oxford Analytica, diretta dall’inventore degli Squadroni della Morte, John Negroponte e, quindi, fiduciario bruciato.

Ci hanno lasciato affacciare sulla fermata “Zaki”, dove ci distribuivano giornali dai titoli cubitali su Patrick Zaki, altro giovane, stavolta egiziano, in Egitto torturato, scudisciato con cavi elettrici, elettroshockato. Lo diceva l’associazione sorosiana di cui Zaki faceva parte e, dunque, lo dicevano tutti i giornali italiani, ma nessuno di quelli egiziani, o di altri paesi. Già perché lì, come ci ha spiegato il controllore “Amnesty”, c’è la dittatura, con 60mila prigionieri “politici” (nessuno dell’ISIS che imperversa da un capo all’altro) e ne spariscono 10 al giorno e li torturano tutti, mentre da noi no. Nessun cittadino viene mai fermato, tantomeno picchiato e torturato. Solo se osa usare la formula iettatrice No Tav, o No Bellanova, oppure, evidente teppista o sovversivo, insulta il pubblico ufficiale chiedendo perché lo stiano pestando. Ma guai se qualche paese osa interferire con le nostre forze dell’Ordine, o con la nostra magistratura. Un po’ di rispetto per un paese sovrano, che cazzo!

Alla fermata successiva, “Fatto e Gabanelli”, solo una gran pila di giornali spiegazzati e buttati. A malapena si riusciva a leggere di Patrick Zaki, ma neanche più una riga su torture, scudisciate con cavi ed elettroshock, “non ce n’erano i segni visibili”, né lui l’aveva mai detto. In compenso c’erano il capostazione Travaglio e la telegrafista Gabanelli che, a dispetto di continue assoluzioni dei capi ENI, Descalzi e Scaroni, vogliono cacciarli, e magari torturarli, perché a forza di estrarre petrolio per noi italiani dai megagiacimenti egiziani di Zhor, insultano i martiri Regeni e Zaki, e questo è niente, se si pensa che, d’accordo col dittatore Al Sisi, sottraggono il business ai nostri amici americani, britannici, olandesi, francesi di Exxon, BP, Shell, Total…

Ne abbiamo passate altre, di stazioni, col treno bestiame allestitoci dal giornalismo italiano. Interessanti le fermate “Sardine 1”, “Sardine 2” e “Sardine 3”, tutte vestite Benetton, insignite del Nobel per le Gaffe e galleggianti spensierate su barchette marca Soros, in un mare di petrolio. Nella prima folle festanti e branchi di pesce. Nella seconda, pesce congelato nei banchi del mercato Soros, avvolto amorosamente in giornali come “il manifesto” o “Repubblica”, o nell’immancabile appello di Fra Zanotelli. Nel terzo, a Napoli, dove sono meno boccaloni, banchi vuoti e pesci andati a male nei secchi.

Il Regno di Mordor, patria dei media

La stampa di Mordor

Tutto questo per celebrare l’impeccabile deontologia, il votarsi alla verità fino all’estremo sacrificio, sotto la guida assennata e moralmente impeccabile di editori purissimi, grandi capitani di un’economia tesa a soddisfare i tanti bisognosi a discapito dei pochi privilegiati, che ai loro giornali allegano in omaggio pezzetti del proprio sacro cordone ombelicale. Ù

Quel treno poi, dopo molte altre stazioni, a un certo punto filava dritto, non credevamo ai nostri occhi, verso alcuni corpi legati sui binari. Vicino, sempre più vicino. Orrore!  Uno sembrava Julian Assange! A questo punto abbiamo sfondato le porte da vagone a vagone e ci stavamo avventando sui macchinisti perché si fermassero prima della carneficina. Non se ne davano per inteso…

Assange e gli altri

Ma qui incomincia la storia di Julian Assange, e anche di Chelsea Manning e di Edward Snowden e di altri che gli anglofoni chiamano “whistleblower” (fischiatori) e noi “eroi dell’informazione”, “combattenti della verità”, “Illuminatori dell’oscuro Regno di Mordor”

Coloro che pazientemente seguono i miei scritti sanno già che Julian Assange, australiano, 49 anni, è rimasto per 7 anni, dal 1911, prima protetto dal presidente Correa, poi recluso dal presidente Moreno su ordine USA, in una stanza dell’ambasciata dell’Ecuador di Londra. Vi si era rifugiato perché inseguito da un’accusa di stupro mossagli in Svezia dalla polizia che aveva alterato la deposizione di una donna in cui questa negava di essere stata violentata, e per la quale nella capitale inglese era stato fermato e poi rilasciato sulla parola. Solo dopo nove anni la Procura svedese, per l’accusa ovviamente subornata dalla Cia, ha dovuto chiudere il caso. Per sette anni non ha visto che molto raramente un suo legale, qualche amico giornalista, un gatto. Niente luce del sole. I suoi visitatori venivano illegalmente spiati da un’agenzia spagnola che ne apriva telefoni e computer e ne rubava i dati.

Su richiesta degli Usa, che ne hanno preteso l’estradizione per 17 capi d’imputazione, eminentemente di rivelazioni di segreti di Stato, spionaggio e collusione col nemico, che prevedono 175 anni di galera, cioè la morte vivente, Scotland Yard il 19 aprile 2019 irrompe nell’ambasciata (Moreno aveva ricevuto in cambio 1,5 miliardi di aiuti statunitensi), ne estrae a forza Assange e lo sbatte per 50 settimane – poi rinnovate – in una prigione di massima sicurezza, in isolamento. Isolamento che schianta la salute fisica e mentale del detenuto, tanto da far dichiarare al Relatore Speciale dell’ONU sulla Tortura, Nils Melzer, che Assange rischia la morte da tortura fisica e psicologica. In una prima udienza, il giornalista australiano appare incapace di capire le procedure, fa fatica a ricordare il suo nome. Solo su richiesta firmata dai decine di altri detenuti, ad Assange viene sospeso l’isolamento. Le sue condizioni migliorano leggermente. Al padre che, indefesso, gira il mondo per sostenerne la causa, appare invecchiato di vent’anni.

Tortura

Lunedì 24 febbraio è prevista una nuova udienza sull’estradizione e a fine maggio altre. Nel mondo, non in Italia, i colleghi di Assange nei media, sostenuti da grandi mobilitazioni popolari intensificano la lotta contro l’immane sopruso inflitto al più coraggioso di tutti noi. I carcerieri del Regno Unito e degli Usa, nell’imbarazzo per quella che è smascherata come la più criminale violazione della libertà di stampa e d’espressione, in un mondo occidentale già strangolato da mille censure e bavagli, contano di far morire Julian in carcere. Alla fine, per dribblare l’ostacolo costituito da una deontologia del Quarto Potere che si vuole cane da guardia contro il Potere e che approva ogni verità sottratta ai frodatori, sono ricorsi al mezzuccio infinitamente tentato e infinitamente fallito: Assange, strumento dei russi, perché le sue pubblicazioni avrebbero danneggiato Hillary Clinton al tempo delle elezioni del 2016, rivelandone i finanziamenti ai terroristi islamici in Medioriente. Danneggiare una come l’assassina della Libia, non è difficile. Quanto ai russi, non ne sono stati troppo contenti quando, anche di Mosca, Assange ha pubblicato almeno 800 documenti riservati su sistemi di controllo.

Chi ci rappresenta

Voglio dare massima evidenza alla circostanza, altamente lusinghiera per un paese di  lavapiatti del principe, che vede una stampa italiana tacere, o al massimo borbottare, su questo epocale tentativo di colpire uno per educarne tutti gli altri alla definitiva sottomissione in cambio di guiderdoni. Nulla di sorprendente quando in piazza per Giulio Regeni, o per qualche altra mistificazione della malapolitica, si vedono prontissimi sempre la Federazione Nazionale della Stampa e l’Ordine dei Giornalisti, con i rispettivi capoccia. Per i perseguitati in un modo che neanche Torquemada, nessuno mai. Cosa c’entrano loro con sabotatori delle menzogne del Potere, o con un giornalista che sarà esempio di verità e coraggio da qui alla fine del mondo?

Chelsea

Julian, direttore della piattaforma Wikileaks, che da due decenni rivela al mondo, con milioni di dati, documenti diplomatici e militari, gli orrori perpetrati dagli USA e dalle potenze alleate in tutto il mondo attraverso guerre, massacri come quello dei marines che mitragliano a morte, divertendosi, undici civili innocenti a Baghdad, torture, colpi di Stato, rapimenti, assassini mirati. Gran parte di queste prove gli vengono fornite da un giovanissimo analista dell’Intelligence militare, Chelsea Manning, diventato donna dopo l’arresto e tuttora in carcere, dopo sette anni e mezzo per aver diffuso documenti classificati, di nuovo, dal 9 marzo 2019, per rifiutarsi di testimoniare contro Assange davanti all’obbrobrio giuridico di una giuria segreta che non lo libererà mai. Multata di 1000 dollari per ogni giorno di continuato rifiuto, Chelsea ha dichiarato: “Non cederò mai”. Anche lei è detenuta in condizione che sono state definite inumane dal Relatore Melzer. Del resto si tratta di quelli di Guantanamo e Abu Ghraib.

Edward

A partire da Edward Snowden, rivelatore dello spionaggio Cia e NSA su tutti i telefoni e computer del mondo e che, unico a scamparla, nel 2013 riesce a rifugiarsi a Mosca, , di questi eroi dell’informazione, del rispetto per un pubblico che ha diritto di sapere, soprattutto le malefatte dei suoi governanti, la Storia del mondo può incidere sulle sue tavole del giusto e del bene, i nomi nobilissimi, le imprese esemplari. Nomi ed imprese di un giornalismo che, in Occidente, per la maggior parte, ha tradito la sua missione. Il sacerdozio al servizio del vero e del reale trasformato in codardo oltraggio e servo encomio  a vantaggio delle più brutali, sanguinarie e bugiarde oligarchie dal tempo di Johannes Gutenberg, inventore della Stampa nel 1455.

Viviamo in un mondo oscuro come descritto in Mordor daTolkien, e prima da Huxley e  Orwell, dove la segretezza è diventata un cielo come quello finto di Truman Show e la trasparenza è stata sostituita dal muro di quel film. Dove gli autori di crimini, tipo quello dell’elicottero dei marines, o i torturatori di Guantanamo, vanno liberi e onorati e chi ne racconta i delitti va in galera, o finito prima. Al processo “internazionale”, ma delle sole quattro potenze vincitrici, in base a leggi retroattive, furono impiccati 14 tra gerarchi e generali, non tutti ugualmente colpevoli.  Nessuno ha mai processato mandanti ed esecutori di Hiroshima o Nagasaki. Non si perseguono più i crimini di guerra, le obbedienze agli ordini ingiusti. Nessuno stupratore yankee di donne irachene è mai stato incriminato.

Quello contro Julian Assange è chiaramente un processo contro quanto ci resta di giornalismo non venduto e comprato. E’ la minaccia di stare in guardia, giacchè ora può capitare anche a te, se non stai ai patti dell’informazione ai tempi neoliberisti dell’oligarchia globalizzatrice e del pensiero unico e politicamente corretto. Seguirà a questa morte del giornalismo, a questa capillare vittoria della censura, la tirannide. E questa non è mai responsabile di nulla: unaccountable, come si dice in inglese. Basta che contro i dissidenti, i complottisti, i residui investigativi, i diversamente politici, si pronunci la parola “ODIO”, ed è fatta. Del resto non sapremo mai più niente.

Ora ci ritroviamo in piazza per Assange, la grandissima Chelsea, altro che Antigone, Edward Snowden, l’integrità di tutti noi. Forse non tanti qui, ma tantissimi in un mondo meno addormentato. Si vedrà se siamo riusciti a fermare quel treno maledetto, con i giornalisti chiusi dietro le porte blindate e, sulla motrice, le bandiere a stelle varie.

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 19:15

MI FACCIO IL “GIORNO DELLA RIMEMBRANZA”—– IL GIORNO DELLA MEMORIA DEI VINCITORI, 365 GIORNI DELL’OBLIO DEI VINTI

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MONDOCANE

MERCOLEDÌ 19 FEBBRAIO 2020

 

Un “Giorno della Rimembranza” per i vinti?

Il 27 gennaio ultimo scorso, data dell’arrivo dell’Armata Rossa ai cancelli di Auschwitz, si è celebrato, come ogni anno, con grandissima partecipazione di congiunti, sopravvissuti, media e autorità, il “Giorno della Memoria”. Il 10 febbraio, poi, ci si è accapigliati sul “Giorno del Ricordo”, quello delle Foibe, nelle quali un sacco di strabici, dal Quirinale in giù, vogliono vedere sepolte solo vittime di Tito fiumane o triestine. Infine, Il 14 febbraio i fidanzati, gli sposi ancora in buona, gli amanti ancora entusiasti, si sono fatti gli auguri e i pensierini di San Valentino. Per il “Giorno della Rimembranza” che qui, seduta stante, proclamo e inauguro, siccome sono solo e resteremo pochini, voglio rifarmi a San Valentino, interpretata come giornata di chi si vuole bene.

A sfida delle zanne dei morsicatori del pensiero non unico, anzi, controverso, dichiaro che, insieme all’Italia, della quale mi auguro la difesa dell’identità millenaria e il ricupero della sovranità popolare e nazionale, voglio molto bene alla Germania, per la quale formulo gli stessi auguri. E’ in massima parte a questo paese, vindice, insieme ad altre nazioni, della grande civiltà europea (tagliando via guerre e colonialismi), terra di pensatori senza uguali, esploratori dell’animo umano, terra di grandi foreste integre e di grandi fiumi andati a fare le vene d’Europa, che dedico il “Giorno della Rimembranza”. Se non altro perché è il giorno dei vinti e, di conseguenza, non se lo fila nessuno. E’ a dispetto di questo cielo di soli artificiali, che vanno sostituendo quello naturale e la sua giusta luce, che certe storie, certi crimini, certe sofferenze, vanno ricuperate, riscritte, scolpite nella Storia accanto a quelle accettate e consacrate. Non sempre a ragione. Con almeno uguale dignità. E i negazionisti, quelli che negano il diritto a studiare, rivedere e riscrivere la Storia, peste li colga.

Dresda, 13-14 febbraio 1945: al fondo dell’inferno

Il mio “Giorno della Rimembranza”, coincide – guarda il caso! – con le 48 ore, dal 13 al 14 febbraio 1945, in cui migliaia di carnefici in volo, della RAF e dell’USAAF, spediti da Churchill, hanno cancellato dalla faccia della Terra Dresda, il più prezioso gioiello barocco d’Europa. E poi anche Lipsia e Berlino e Amburgo e Monaco…. Forse questo mio “Giorno della Rimembranza” è balenato anche a quelli che recentemente in Germania Est, belli o brutti che fossero, non hanno votato come si converrebbe. Come sarebbe andata bene alle signore e ai signori del vero e del giusto, dei sacrosanti giorni della memoria e del ricordo, dalla Merkel alla Von der Leyen, da Macron a Mattarella, da Stoltenberg (NATO) al “manifesto”. E, dunque, senza nemmeno andare a vedere cosa dicono e cosa vogliono, e perché siano tanti e crescano, e per quali regioni detestino il governo che li ha annessi e colonizzati, questi depravati sono stati sotterrati sotto una slavina di “fascisti”, “neonazisti”, “razzisti”.

Germania Est, AFD, perché?

Manifestazione Alternative fuer Deutschland

Io mi riservo di studiare chi e perché stia vincendo elezioni in Germania Est, mentre ho già un’ideuzza del perché vadano scemando i voti operai e proletari di SPD e CDU, forze di un capitalismo cannibale nei confronti dei propri fratelli, anche se meno esplosivo e incendiario degli arei alleati. Forze predatrici che di una DDR, in cui nessuno aveva troppo e nessuno troppo poco, hanno distrutto, rubato, devastato tutto e quel che restava l’hanno portato via. Proprio come certi compari dall’URSS-Russia al tempo di Eltsin.

Amore, in tedesco Liebe

Detto questo per placare eventuali indignazioni, spiego perché alla Germania, ai tedeschi voglio bene. Non è questione di sangue. Miei avi paterni della Savoia e materni di origine francese ugonotta, poi trapiantati sul Reno, non c’entrano niente. C’entra che io, al tempo di Dresda immolata, insieme a centinaia di città, paesi, borghi, in Germania, Francia, Italia, Paesi Bassi, con una potenza di fuoco e di esplosivo ad altissimo potenziale, mai visto in nessuna guerra, da quelle parti c’ero. Piccolino, ma c’ero, vedevo, capivo. Mio padre era sotto le armi e fatto prigioniero dai tedeschi dopo l’8 settembre. Il resto della famiglia, madre, sorella, io, era scampata nelle Alpi Bavaresi dai bombardamenti su Napoli. Anche per stare vicino a mio padre, detenuto a Wiesbaden. Ma gli italiani erano passati da mercenari di Hitler, a mercenari di Churchill e Roosevelt. Perdemmo lo stato di alleati e assumemmo quello di nemici. E fummo costretti al domicilio coatto, poi molto alleggerito. Mio padre fu rilasciato dopo nove mesi di agiata prigionia in un hotel di Wiesbaden e rimandato in Italia. Noi no.

Dresda come e più di Hiroshima

E’ il 75° anniversario dell’incenerimento di Dresda e di 250mila suoi abitanti. Adenauer, per non dispiacere ai vincitori ridusse quel numero a 35mila. Il FQ, oggi, addirittura a 10mila di meno. Per sicuro non s’è mai saputo. Ma la polizia dell’epoca e un documento dell’Amministrazione Comunale di qualche anno fa, calcolava le vittime tra i 250 e i 300mila. Ai 650milla “Dresdner” autoctoni s’erano aggiunti 1,5 milioni di profughi dall’Est. Presenze della Wehrmacht, o delle SS, zero. E gli stabilimenti industriali in periferia, indenni. Si trattava, a guerra quasi finita, come esattamente a Hiroshima e Nagasaki, di uccidere civili e distruggere storia e cultura. E, come con l’esibizione di orrenda potenza in Giappone, si trattava anche, in vista della Guerra Fredda, di intimidire i sovietici, largamente vincitori su gran parte della Germania, mentre gli alleati arrancavano ancora al di là del Reno. Lo stesso intento affidato oggi ai mercenari Isis a Palmira, Aleppo, Niniveh, Ur. Sradicare, obliterare nomi, identità, storia. Come con l’operazione migranti. Serve alla globalizzazione. Prima l’esplosivo ad alto potenziale, per distruggere i rifugi, da cui poi solo corpi carbonizzati. Poi, bombe incendiare a incenerire viventi e inscheletrire edifici. Di nuovo esplosivi e mitraglia sui soccorritori in arrivo.

La dichiarazione del 1992 dell’Amministrazione di Dresda

“Tedeschi da arrostire”

E non solo Dresda, la Firenze del Centroeuropa. Una città martire che è diventata il simbolo delle oltre 100 grandi e medie città tedesche polverizzate tra il 1941 e il 1945, più qualche decina di italiane. Si calcolano quasi 1,6 milioni di morti civili. Non ne è mai stato fatto il conto. Gli anglo americani, che arrivavano con 500-1000 bombardieri per volta, non avrebbero gradito farsi rinfacciare un olocausto. Anche perché la loro vendetta per le V2 su Coventry e Londra del’44, che poi, per quanto deprecabili come tutti i bombardamenti, erano operazioni di una guerra in pieno corso e non di pura punizione a fine conflitto, sta a quanto fatto alla Germania in un rapporto di circa mille a uno. Un olocausto sul quale Hollywood, tra i suoi mille film con gli immancabili ufficiali tedeschi che non parlano mai, ma abbaiano, non ha mai girato un film. In Germania di vittime non ce n’era neanche una. Neanche quel milione di resistenti antinazisti impiccati, o fucilati dal Regime, i cattolici della Rosa Bianca, i comunisti, Von Stauffenberg, il maresciallo Rommel. Della Germania, diversamente dalla Luna, è visibile solo il lato oscuro. Che c’è, non fatemi dire assurdità, ma non è il tutto. E c’è anche dall’altra parte. Oggi come non mai. Senza fasci e svastiche.

Con 11 anni, a Dresda non c’ero. Ma ne ho assaporato la carne bruciata. Più o meno negli stessi giorni, sul paese dove eravamo stati confinati, calavano gli Spitfire a mitragliare la gente. Di soldati non ce n’erano più. Raccoglievamo nei campi le loro armi abbandonate. E neanche di uomini tra i 14 e i 65 anni. Tutti richiamati per l’estrema, assurda, difesa, Noi bambini delle Medie facevamo da Protezione Civile: a secchiate spegnavamo gli incendi e a braccia raccoglievamo feriti e morti. Così anche, nell’insediamento di baracche tirate su per i rifugiati dalle bombe su Duesseldorf e mitragliate pochi minuti prima, un mio compagno di classe di 11 anni. Col ventre squarciato e gli occhi spalancati sul cielo. Un altro mio compagno volò in cielo col ponte sul Meno fatto saltare da uno scellerato comandante tedesco in ritirata.

Dresda e le altre, come Aleppo, Niniveh, Palmira e le altre

Aleppo

Questo “Giorno della Rimembranza” per civili tedeschi senza lapidi e senza onoranze vale anche per tutte le altre città tedesche, perlopiù, come Dresda, completamente prive di significato e presenza militare. Non si trattava di distruggere una Wehrmacht ormai allo sbando. Io, in molte di quelle altre città sono capitato mentre venivano rase al suolo dagli esplosivi, o rese macabri scheletri dalle bombe incendiarie. Non avremmo mai più rivisto il gotico, il neoclassico, il Biedermeyer, il rococò, il liberty, di Francoforte, Magonza, Koblenza, Colonia, Monaco, Wuerzburg, quella con la reggia affrescata dal Tiepolo. La Germania raccontata da Goethe, E.T.A Hoffmann, Brentano, Heine…non l’avrebbe più vista nessuno. Vedevamo le bombe scendere a grappolo, a stormi, a migliaia. Mia madre evitava i rifugi: “Meglio morire all’aria aperta, piuttosto che lì sotto, come topi”. E dopo ogni bombardamento ci trascinava via, verso luoghi “più sicuri”, che poi non lo erano. Ricordo una strada in centro, pochi minuti dopo che la sirena aveva suonato il cessato allarme. Era attraversata da voragini e fiancheggiata da macerie, palazzi con finestre che parevano gli occhi vuoti delle maschere greche, ancora fiamme qua e là ad arrossare interni, cavalli con le pance squarciate al lato della strada, sempre con quegli occhi enormi, vivi, che non capiscono.

Non solo Beethoven…

Amo la Germania. E non solo per Beethoven, Schopenhauer, Hoelderlin, Duerer, Marx e Hegel. Non solo perché poi ho studiato Germanistica a Monaco e a Colonia con Thomas Mann. Nel borgo a cui eravamo stati assegnati come stranieri sotto sorveglianza, si faceva la fame, si portavano gli stessi vestiti per anni, si moriva di freddo per assenza di combustibile, mancavano latte, carne, spesso l’elettricità. Saltavano gli acquedotti. Il caporione nazi del paese non ci incolpava il “tradimento”. C’era poca NSDAP (il partito) e quel notabile che aveva sostituito il sindaco era visto come una specie di bonzo, mezzo da ridere, mezzo opportunista da omaggiare. Di nazionalsocialista c’era solo la “Hitlerjugend”, che giocava a calcio sul prato comunale, faceva gite nella foresta, dove passava il vallo di Adriano, organizzava formazione politica, assisteva gli anziani e, ogni tanto, marciava con tamburi e fanfare attraverso la città. Idilliaco? La Germania era anche questo.

Prendevo lezioni private di inglese da un giovane ebreo, si chiamava Ludwig Haas. Era sempre preoccupato, si muoveva con circospezione, ma nessuno nel paese gli ha mai torto un capello. Lo coprivano. Altrove era diverso, si sa. Avevamo la tessera annonaria, come tutti, ma quella per stranieri, più avara, da mera sopravvivenza. Mia madre ci portava in campagna a scambiare un suo vestito di seta con due panetti di burro e sei uova. Si friggeva con i resti del surrogato di caffè. Si mangiavano ortiche colte al lato della strada. Il calo delle difese immunitarie causava epidemie. Il tifo lo presi anch’io, come tanti, anche nei campi di concentramento. Mi salvai perché gli americani, a fine 1946, dopo averci trattenuti per oltre un anno, sempre in regime di fame, più qualche chewing gum (che io mi rifiutavo di accettare dai GIs), perché, stranamente, considerati non badogliani, ma mussoliniani, finalmente ci permisero di rimpatriare.

Tedeschi

Ma la gente del posto ci diede un’abitazione per pochissimi soldi. Un imprenditore del mobile ce la arredò gratis. I libri di scuola mi venivano regalati da compagni più avanti. Con qualcuno mi picchiai perché mi urlavano dietro “Badoglio!” Ma c’era tanta amicizia ed escursioni nei boschi e sul fiume. Le secche zitelle verduraie vicino a casa mia ci regalavano pomodori e cetrioli e mi insegnarono a coltivarli in un pezzetto del loro vivaio. La panettiera, grande, grossa, rubizza e tenera, ci dava sempre qualche panino in più, oltre la tessera annonaria. Così il salumiere dei Wuerstel. E il lattaio, un po’ matto, finchè ce n’era. Poi se lo portò via il “Volkssturm”, l’ultima chiamata alle armi, dei vecchi e dei ragazzini. Il mio “Giorno della Rimembranza” lo dedico anche a questi miei “concittadini”. Vittime, come tutti noi. E vinti. Ma di sicuro non peggiori dei vincitori.

(Dei casi curiosi, tipici delle guerre, che ci avevano costretti in Germania in quegli anni, con mio padre prigioniero dei tedeschi, parlo in “Un Sessantotto lungo una vita”, Editore Zambon)

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 17:56

CHI CI STA E CHI CI FA —- CINQUE STELLE? PIU’ DI PIAZZA CHE DI PALCO —– SARDINE? PIÙ DI PALCO CHE DI PIAZZA (CON UNA NOTA DI MARIO MONFORTE)

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MONDOCANE

LUNEDÌ 17 FEBBRAIO 2020

“Ottimismo della volontà”?

Non è che, dopo aver tempestato i 5Stelle (intendo i vertici) di critiche, rimbrotti e rimpianti, ora, per aver visto una grande e bella e viva e appassionata manifestazione a Roma, che dall’angusta piazza dei SS.Apostoli tracimava nel Corso e in Piazza Venezia (evidente sottovalutazione – o sotto-auspicio? – degli organizzatori), mi faccio trascinare dall’entusiasmo. E magari finisco col dire che l’Italia una terza via tra l’incudine dei pataccari reazionari, detti di sinistra, e il martello degli imbroglioni reazionari, definiti di destra, la torna a percorrere verso un orizzonte di giustizia, onestà, libertà, sovranità. Una terza via contro il monopolio dei finti duopoli, che sia percorribile da tutto il paese (escluso l’1% dei delinquenti, invisibili, che guidano quell’altra consorteria di ladroni, ciarlatani e mangiapane a tradimento, visibilissimi). Come “ottimismo della volontà” sarebbe sproporzionato.

C’è vita nei 5 Stelle?

Non basta una pur calorosissima piazza, nella quale correvano e si scontravano le solite correnti di ingenua, ma disperatamente coltivata (“sennò siamo fottuti”) fiducia e, all’opposto, di tormentato dubbio ed evidente volontà di rettificare una linea, per dichiarare, con il “Fatto Quotidiano”, “C’è vita nei 5Stelle”. Anzi, balzavano agli occhi le note lacerazioni, non tanto tra testa e testa, quanto tra corpo e testa. Queste tutte da imputare a quei vertici che ora raccoglievano applausi più di incitamento che di approvazione. Forzature, sia di un nefasto verticismo, sia dello stolto culto beppegrillesco del digitale a spese del reale, sia di una organizzazione tanto invocata quanto sempre sabotata con il modulo del capo unico che fa e disfa, sia di ridicole invenzioni come i facilitatori ( più delegati del sultano, che figure intermedie), o dei solitamente pochi che votano su questioni furbescamente formulate da Rousseau, mentre tanti altri si guardano bene dal farsi ingabbiare in qualcosa su cui non hanno il minimo controllo.

Con Di Maio, ma contro le alleanze

Piazza SS Apostoli corre con alti edifici paralleli, è aperta da una parte e chiusa da un tappo dall’altra. Più che una piazza, è un vicolo cieco. Che sia stata qualche inconscia consapevolezza che l’ha fatta scegliere da coloro che la democrazia diretta dell’uno vale uno l’hanno fatta evolvere in quella direttissima dell’uno vale tutti? Per una manifestazione improvvisata, con preavviso di pochi giorni, affannosamente limitata al tema dei vitalizi, non organizzata da centro, ma dalle singole realtà locali, quei 10-15mila stipati nel budello di SS.Apostoli sono stati un successo inaspettato. Inaspettato e, forse, irritante per la massiccia presenza, accanto ai cartelli “contro i vitalizi”, “contro i privilegi”, “non ci arrendiamo”, almeno altrettanti “Insieme siamo una forza – No alle alleanze”. La camicia di forza dei vitalizi è saltata al primo slogan.

Una presa di posizione netta, clamorosa, robusta, contro quelle scelte che, come è evidente anche all’attivista più illuso e boccalone, hanno fatto scendere il MoVimento dall’onda in piena del 33% che tutto avrebbe dovuto travolgere, alla risacca da una cifra dell’oggi. Si applauda quanto si vuole, ma questo “successo” lo si deve a Luigi Di Maio e alla consorteria parlamentare passata, in parte almeno, dalla rivoluzione alla sistemazione (e sistematizzazione) in poltrone damascate, che si chiama “riformista” e pensa di tirarla più alle lunghe grazie al connubio con quello che, per il MoVimento, anzi, per tutto il popolo, è e rimane il nemico strategico. Per essere strategico gli bastano gli endorsement (per noi burini, “avallo”, “investitura”) di Von der Leyen, dei Trump e dei contro-Trump, di Stoltenberg e Merkel, di Macron e delle Sardine. Un nemico mortale, come e peggio della sua copia deforme con cui, sui fondamentali, se non sul posto a tavola, finge di fare a botte.

 Il Leviatano

Bilderberg: I 5Stelle boy scout di Conte

L’ho scritto in passato, contestando il giudizio senza attenuanti di amici che mi pareva buttassero il bambino insieme all’acqua sporca. “C’è vita nei Cinque Stelle” lo affermo anch’io, ma dando di gomito a quelli, ventenni, trentenni, quarantenni, tutti di dieci anni più vecchi, che appendevano a quel palco speranze di vita e di mondo migliore.  Lo dico e ce lo auguro, ma non con gli intenti del quotidiano atlantista che l’inciucio sotto il fiduciario Conte se lo augura perché si rinsaldi e ci trascini in un futuro come lo vogliono UE, Nato, banche, la “scienza”, Soros, Bergoglio, di cui il venerato Conte è promessa e garanzia. Il suo Leviatano non si differenzia da quello di Salvini e Renzi. Schifa costoro solo perchè li ritiene tentacoli minori dello stesso Leviatano, meno solidi e meno affidabili rispetto al progetto che il sodale alla direzione del giornale, Stefano Feltri, è andato a farsi illustrare dai suoi numi di Bilderberg, Da certi giornali “amici” è meglio guardarsi.

Onestà onestà!

Per me la vita c’è di sicuro nella base di questa espressione inedita del disgusto degli italiani per chi li ha illusi, turlupinati, fregati, praticamente da sempre, da Crispi a Giolitti, da Mussolini a Berlinguer. In poche occasioni ha parlato il popolo e non l’élite: la Repubblica Romana del ’48 e altre di quell’epoca di catarsi, la fiammata dei partigiani e quella del ’68. La nostra storia ci ha dato poco più. Ma gli iniziatori dei Cinque Stelle avevano colto un punto di rottura fondamentale, chiamiamolo l’architrave di un nuovo edificio possibile, l’onestà. Molti l’hanno irriso, banalizzato, strumentalmente voltato in giustizialismo. Ma era la chiave di volta per uscire da una storia plurisecolare di protervie e donabbondismi e intraprenderne una nuova. Onestà è il principio che contiene tutti gli altri necessari alla migliore convivenza civile: equità, legalità, libertà, sovranità, solidarietà. E’ il blocco di partenza che lancia la corsa alla rivoluzione. E l’humus dei campi e delle foreste. La parola che avrebbe dovuto incenerire i corruttori, corrotti, ladri, mistificatori, truffatori, prepotenti. Insomma, i dominanti.

Ho avuto l’impressione che il prolungato grido di migliaia di voci che riprendevano quella parola d’ordine che divide il mondo in due parti inconciliabili, “onestà, onestà”, fosse diretto anche contro chi, lassù, forse ciurla nel manico. E infatti s’è levato più alto e fiducioso quando, inaspettato ospite, è salito sul palco l’uomo della prescrizione, della “spazzacorrotti”. Che se ne avveda Luigi Di Maio, che, da qualche po’, viene accreditato come scettico nei confronti di questa alleanza contro natura col PD. Fosse vero e non solo mossa tattico-propagandistica. Che se ne avveda la combattente Taverna, che ultimamente dava segni di governismo. Che se ne avvedano gli inciucisti alla Fico o Patuelli, poiché quella parola cozza con il loro quieto vivere all’ombra del Leviatano e tanto più cozza con l’idea di fornirgli stampelle. E se ne avveda Giuseppe Conte, che va lasciato ai suoi maneggi e magheggi tra la mummia di Padre Pio, i francescani di Assisi, il segretario di Stato Parolin, il capo della CEI Bassetti. L’uomo a cui viene commissionato il nuovo partito cattolico di obbedienza clerico-atlantica. Cosa diavolo c’entra con i Cinque Stelle?

Dopo il sabato dei SS Apostoli con i 10mila Cinque Stelle, su un palco messo su con quattro assi e due tavole, nella stessa piazza la domenica con le Sardine. Un fiasco da 2000 presenti, ma con un palco stellare, da 2.800 euro. Loro dicono ricavati dal crowdfunding. Le Ong della tratta ci hanno abituato a questa burla. Ma George Soros ha dato l’endorsement anche alle Sardine. Che, ovviamente, noblesse oblige, ora soffiano con lui nelle vele dei trafficanti. Poi vestono Benetton e ne accarezzano le autostrade.

Su questa gramigna che, nella vista dell’establishment tutto sono meravigliosi roseti, lascio la parola a un amico. Monforte ricorda quella “stupidità” delle Sardine, che, a dispetto dei salamelecchi riservatigli dai media, ci è colata addosso da ogni dichiarazione, da ogni passarella tv. Ma ricordiamoci che per burattinai scaltri non c’è di meglio per istupidire la gente che burattini stupidi in battaglie stupide.Tuttavia si può anche esagerare: è mai possibile farsi istupidire da una faccia di sardina come quella qui sotto?

Intanto, con i Cinque Stelle come andrà a finire? Proseguirà questo masochista anelito alla rispettabilità “borghese”, al pensiero unico, alle storiche alleanze, all’Europa dell’antidemocrazia proterva e usuraia, alla “democrazia contro le dittature”, ai diritti umani intesi come “fardello dell’uomo bianco”? O questa umanità del territorio, del rifiuto radicale e delle mete nobili, questo popolo delle stelle un po’ invecchiato, ma, a dispetto dei suoi conducenti, anche maturato e consapevole di cosa è e cosa vuole, saprà rovesciare il tavolo? Il tavolo delle carte false, delle mediazioni al ribasso, dei banchetti con le posate d’argento e con i cani spelacchiati che razzolano sotto.

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MARIO MONFORTE

Ma il livello piú profondo di ignobile stupidità è raggiunto dalle «sardine». Si badi bene, è chiara l’azione di manovratori e manipolatori (del resto non nascosti: Prodi, Benetton, Monti, Fornero, Soros e lungo elenco di simile … “gente”), con il sostegno mediatico e piddino, però il riferimento va ai partecipanti: discorsi senza senso, dal capo-sardina a quelli che solo sono starnazzii, belati, muggiti e grugniti di intervistate e intervistati; slogan stomachevoli e untuosi come “con l’amore si costruisce, contro l’odio …” – ma amore di che? Ma odio di chi? Unica supposizione, è il loro inconscio: sanno di essere odiosi –; soli punti fermi, in “negativo”, «no» a Salvini-Lega (ma anche alla Meloni al centrodestra), accogliendo la fandonia dell’antifascismo in assenza di fascismo, in “positivo” l’abietta sottomissione all’Ue e l’apertura indiscriminata al flusso migratorio. Per il resto, «sí» al Pd (piú che al centrosinistra) e al governo Conte bis, tartagliando “ma fate le cose per bene”, e “vi stimoliamo a farlo …” – e questo ritornello….lo si è già sentito e gli esiti sono davanti agli occhi – di chi li voglia vedere. Ma tale livello di stupidità non era mai stato conseguito. E già dal nome, «sardine», che si vorrebbe umile e spiritoso, e però incisivo, e invece è semplicemente da scemi indecenti – per non dire dell’insulto permanente ai nostri partigiani, che hanno combattuto contro l’invasione nazista e il collaborazionismo fascista, oltre che per un mondo socialmente, culturalmente e politicamente oltrepassante, da parte di questi cialtroni che si dicono “partigiani del XXI secolo”: partigiani dei distruttori del nostro paese……
Si, le «sardine» sono il peggio del peggio. E però, «peggio ’un è mai morto» … Chissà che ci si deve ancora aspettare. A questo hanno portato il fallimento del governo «giallo-verde» e l’inqualificabile costruzione del governo Conte bis, basandosi biecamente su una «rappresentanza» parlamentare del tutto pregressa, e piena e assodata minoranza nel paese. Unico auspicio è uno “scatto di reni”: la ricostruzione di un movimento che ponga i “nodi” essenziali e su questi proceda, facendo anche risollevare il contesto generale dall’intollerabile stupidità in cui affonda e affoga – e viene affondato e affogato.

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 18:57

‘LES OTTOMANS SONT DE RETOUR’: LES AMBITIONS GEOPOLITIQUES DE LA TURQUIE D’ERDOGAN VUES D’ISRAEL

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Luc MICHEL pour EODE/

Quotidien géopolitique – Geopolitical Daily/

2020 01 28/

LM.GEOPOL - Ottomans de retour I (2020 01 28) FR (2)

“Se faire enseigner par l’ennemi est un devoir et un honneur”

– Général Haushofer (géopoliticien allemand,

le père du concept de « Bloc continental »).

Rien ne va plus entre Tel-Aviv et Erdogan. Voilà les israéliens qui découvrent les ambitions nostalgiques impériales d’Erdogan et de son parti AKP et qui découvrent les grands appétits géopolitiques d’Ankara …

J’avais dès 2015, dans mon émission LE GRAND JEU, averti du danger majeur :

* Voir sur EODE-TV & AFRIQUE MEDIA/

LE GRAND JEU (Saison I-1) :

LA ‘GRANDE-TURQUIE’ D’ERDOGAN

sur https://vimeo.com/109011138

# PARTIE I :

UN « NOUVEL ORDRE MONDIAL AU MOYEN-ORIENT » ?

« LES OTTOMANS SONT DE RETOUR »

(THE JERUSALEM POST)

Dans une grande analyse, perfois confuse, intitulée “The Ottomans are back – what does that mean for Israel?”, The Jerusalem Post semble découvrir les ambitions néo-ottomanes d’Edrdogan. Que dit le quotidien israélien ?

Extraits : « En Libye, une guerre civile oubliée faisait rage. Le gouvernement de Tripoli, souvent appelé le gouvernement de l’accord national, perdait du terrain au profit de l’armée nationale libyenne, dirigée par un homme du nom de Khalifa Haftar, dont les forces étaient basées dans l’est de la Libye. La Turquie soutient Tripoli ; L’Égypte soutient Haftar. Cela fait partie d’une lutte beaucoup plus large qui représente la tentative de la Turquie de raviver une influence sans précédent depuis la fin de la Première Guerre mondiale. Il y a un siècle, les puissances européennes pensaient que l’Empire ottoman pouvait être facilement découpé et ses territoires cédés. Aujourd’hui, la Turquie est de retour, se déplaçant dans des régions comme le nord de l’Irak, le nord de la Syrie, la Libye et même le golfe et la Somalie. »

La thèse israélienne est les vaincus orientaux de 1918 et du Traité de Sèvres, qui a dépecé l’Empire ottoman, l’Iran, mais aussi la Perse (devenue l’Iran), sont de retour comme grande puissances au Proche-Orient et en Méditerranée :

« Pourquoi la province de Hatay, autrefois appelée Alexandretta, en Turquie, alors qu’elle aurait pu être en Syrie? Pourquoi Mossoul est-il en Irak et non en Turquie, comme la Turquie l’a dit une fois? Pourquoi les Kurdes n’ont-ils pas d’État? Les tensions récentes au Moyen-Orient, les questions non résolues du Liban à l’Irak, la Libye, la Turquie et Gaza, en font partie (…) Ce qui s’est passé, c’est que les États de la périphérie historiquement puissants, la Turquie et l’Iran, se sont levés pour prendre de l’influence dans tout le Moyen-Orient. Ces États, comme l’Empire ottoman et l’Empire perse, ont été affaiblis en 1920 et les puissances européennes ont supplanté leur rôle historique. Mais maintenant, avec une Europe plus insulaire, ces pays montent à nouveau au créneau. L’expédition de la Turquie en Libye n’est qu’un des symboles de ce nouvel ordre mondial au Moyen-Orient. »

LE POINT CENTRAL DE L’EXPANSION TURQUE ACTUELLE EST LA LIBYE ET LA MÉDITERRANÉE :

« là où la Turquie étend désormais ses récentes ambitions – en Libye. La Libye a jadis été le théâtre d’une guerre silencieuse par procuration qui reflète les divisions dans le monde musulman entre les Frères musulmans, parmi lesquels le parti au pouvoir en Turquie est enraciné, et les pays qui s’opposent aux Frères. Le président turc, Recep Tayyip Erdogan, a des ambitions de plus en plus mondialisées. La Libye assiégée pourrait être une clé d’accès pour eux, ont pensé les dirigeants turcs autour d’Erdogan. La Turquie envoyait déjà des drones et des véhicules blindés à Tripoli. Mais ils n’ont pas endigué la marée montante. Haftar a promis, en novembre, de prendre Tripoli et de débarrasser le pays des «terroristes» et des «milices». La Turquie a répondu que le «seigneur de guerre» Haftar devrait être arrêté.

Mais la Turquie voulait obtenir quelque chose en échange de l’aide qu’elle fournirait pour l’arrêter. Elle veut acquérir des droits sur la Méditerranée entre la Turquie et la Libye. Si on trace une ligne entre la Libye et la Turquie, on tombe sur des îles grecques comme la Crète. Mais si on trace une ligne depuis l’est de la Libye, il y a un passage entre Chypre et les îles grecques, qui relie étroitement la Turquie à la Libye. C’est ici que la Turquie a fait un mouvement d’échecs audacieux. En échange de l’envoi de quelques centaines de combattants pour renforcer le gouvernement de Tripoli, la Turquie obtiendrait une zone économique exclusive qui sépare Chypre de la Grèce par la mer et donne à la Turquie le droit d’explorer le gaz naturel. Elle coule également les rêves de la Grèce et de Chypre d’inviter des entreprises comme ENI à explorer les ressources naturelles sous-marines » (A noter qu’en Libye Rome et l’ENI sont alliées aux turcs et aux milices islamistes de Tripoli).

ET VOILÀ LA « GUERRE DU GAZ » EN MEDITERRANEE …

* Ecoutez mon analyse pour ParsToday/Radio IRIB (Iran) :

LA GRANDE CRISE GEOPOLITIQUE DU MOMENT :

LA NOUVELLE GUERRE DU GAZ EN MEDITERRANEE

sur https://vimeo.com/385659900

Derrière les ambitions géopolitiques turques en Méditerranée, il y a étroitement mêlés des intérêts économiques : « La Turquie a engagé du muscle pour soutenir ce jeu. Ankara a envoyé sa marine pour effectuer des exercices autour de Chypre, hissant le drapeau et démontrant sa puissance. La Turquie a de nouveaux missiles basés en mer. Il achète de nouveaux navires de forage. Chypre pensait avoir pris une longueur d’avance, en signant des accords avec l’Égypte en 2003, le Liban en 2007 et Israël en 2010. Mais la Turquie a jeté le gant. Il faut comprendre l’histoire de la Turquie à l’égard des Grecs et des Chypriotes. La Turquie a envahi Chypre en 1974, en prétendant aider à protéger les membres de la minorité turque. La Turquie est restée depuis lors, reconnaissant le nord de Chypre comme un pays souverain. Personne d’autre ne le reconnaît, mais la Turquie affirme que Chypre du Nord a des droits étendus d’exploration de gaz autour de Chypre. La Turquie a envoyé des drones à Chypre pour montrer qu’elle surveillera les eaux auxquelles elle prétend. »

Et nous voilà à nouveau au cœur de la thèse, pertinente, du retour du grand vaincu du Traité de Sèvres dans les zones géopolitiques d’où il avait été chassé en 1918 : « Pour la Turquie, l’opération de Chypre était un moyen de montrer qu’elle ne se laisserait pas chassée de plusieurs îles de la Méditerranée – par exemple, les îles du Dodécanèse, près de Rhodes, ont été prises par l’Italie lors d’une guerre avec l’Empire ottoman en 1912. Rhodes était également détenue par l’Italie, puis par l’Allemagne pendant la Seconde Guerre mondiale, et a finalement rejoint la Grèce en 1947. La Turquie dit aujourd’hui que ces îles, même si elles font partie de la Grèce techniquement, ne peuvent pas être utilisées par la Grèce pour déterminer ses droits sur les eaux au large des îles. Au lieu de cela, ce serait le plateau continental qui s’étend de la Turquie, qui donnerait à Erdogan les droits nationaux sur la mer.

LA DÉCISION DE LA TURQUIE de raviver ses revendications sur la mer et d’envoyer des forces en Libye doit être considérée à la lumière d’un siècle de politique turque, depuis la chute de l’Empire ottoman. Les Ottomans ont perdu la Libye contre les Italiens en 1912. Maintenant, les Turcs sont de retour. »

# PARTIE I :

QUAND L’AKP VALIDE LES THESES ISRAELIENNES !

Célébrant l’accord Turquie-Libye, le rédacteur en chef de Yeni Şafak, l’organe historique de l’AKP, célèbre dans son éditorial (2 déc. 2019) le retour de l’empire ottoman à travers l’expansion territoriale: « Les Barbaresques sont de retour en Méditerranée après 473 ans – à partir de maintenant, nous sommes partout de l’Afrique du Nord à la Méditerranée orientale » !

Le quotidien turc, qui est un porte-parole de l’AKP au pouvoir en Turquie, est intitulé “Barbaros Hayreddin Pasha Returns After 473 Years … The Real Souverain of the Mediterranean Is Back, Turkey-Libya L’accord a changé la carte nautique, le plan de Sèvres [qui divisait l’Empire ottoman en 1920] a explosé sur leur visage … entre la Turquie et la Libye a non seulement ruiné tous les plans sur la Méditerranée, mais cela a également montré au monde que la Turquie a une carte de la Méditerranée ». Barbaros Hayreddin Pacha (1478-1546) était un pirate qui est devenu plus tard un commandant de la marine ottomane qui a assuré le contrôle ottoman de la mer Méditerranée de la bataille de Préveza en 1538 à la bataille de Lépante en 1571, gagnée par les flottes européennes.

« L’ACCORD TURQUIE-LIBYE A CHANGÉ LA CARTE MÉDITERRANÉENNE »

(YENI ŞAFAK, ORGANE DE L’AKP)

« L’accord Turquie-Libye a changé la carte méditerranéenne: une leçon apprise de ces imposants accords de Sèvres (Ndla : accords de 1920 dans lequel les puissances européennes ont divisé l’empire ottoman). Concernant l’accord Turquie-Libye conclu le 27 novembre 2019, Karagül, rédacteur-en-chef de Yeni Şafak, écrit : « L’accord entre la Turquie et la Libye a non seulement ruiné tous les plans sur la Méditerranée, mais il a également montré au monde que la Turquie avait une carte de la Méditerranée. Nous allions montrer notre propre carte à ceux qui sont venus avec les leurs. S’ils avaient des plans, nous aussi, et nous répondrions de la même manière. Nous l’avons fait dans le nord de la Syrie. Nous allons continuer de le faire. Nous l’avons fait en Méditerranée. Il nous reste encore beaucoup à faire. Tout comme leurs projets de gaz naturel dans la Méditerranée orientale ont ruiné avec l’accord sur la Libye, le solde de l’administration grecque a également été ruiné. La Turquie et la Libye sont directement devenues des pays limitrophes. Nous construire un bouclier en plein milieu de la Méditerranée. L’une des plus grandes avancées géopolitiques de la Turquie depuis que Lausanne l’a dessinée (Ndla : La guerre d’indépendance turque s’est terminée avec le traité de Lausanne de 1923, qui a défini les frontières actuelles de la Turquie).

« LES SELDJOUKIDES SONT DE RETOUR; LES OTTOMANS SONT DE RETOUR … LES REVENDICATIONS DES SIÈCLES PASSÉS SONT DE RETOUR »

(YENI ŞAFAK, ORGANE DE L’AKP)

Se référant à la superficie de la Turquie, qui est maintenant “783 562 kilomètres carrés seulement”, Karagül l’appelle « un état d’esprit qui restreint notre perception de la Turquie et de sa carte, l’associant à la terre seule. Pourtant, lorsque nous incluons nos mers, nos eaux territoriales, notre plateau continental aussi, la superficie de la Turquie augmente à une échelle extraordinaire. Cela conduit à des changements radicaux quand nous regardons la carte … Ce pays massif s’agrandit à nos yeux … Si nous tenons compte de l’ethnie de la Turquie, nous voyons une spectaculaire expansion de l’Europe à l’Asie, du Moyen-Orient aux profondeurs de l’Afrique. » Karagül a en outre déclaré : « Nous redécouvrons la mémoire qui nous permet de voir la région, l’histoire politique, les codes politiques de notre nation, notre rôle de créateur d’histoire et de constructeur de la région, notre perception de la Turquie, notre perception des Ottomans et des Seldjoukides , et de voir tout cela dans une seule image … Cela signifie de grands changements non seulement pour la Turquie mais pour toute la région. Cela signifie des tremblements, des tremblements de terre sont en route. Cela signifie que tout l’ordre établi s’effondrera … Les Seldjoukides sont retour; les Ottomans sont de retour; les affrontements de la Première Guerre mondiale sont de retour; la défense de l’Anatolie est de retour; les revendications des siècles passés sont de retour; en bref, tout ce qui nous appartient est de retour. Nous avons vu qu’ils sont tous les nôtres, ils nous appartiennent. »

Mentionnant les «ennemis», Karagül dit qu ‘ « ils encerclaient la Turquie et faisaient des plans pour la coincer en Anatolie et la déchirer en morceaux. Ils divisaient la Méditerranée, éliminant complètement la Turquie de cette mer – qui était autrefois un lac turc – et nous empêchant de respirer (…) tous les pays qui se sont opposés aux Ottomans pendant la Première Guerre mondiale sont désormais sur le front anti-Turquie en Méditerranée” et que « ceux qui partageaient la Méditerranée entre eux divisaient la Libye en deux … et trouvaient des marionnettes pour dans chaque partie de la Méditerranée » …

(Sources : The Jerusalem Post – Yeni Şafak – EODE-TV – Afrique Media – EODE Think Tank)

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE

* Avec le Géopoliticien de l’Axe Eurasie-Afrique :

Géopolitique – Géoéconomie – Géoidéologie – Géohistoire –

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PICCOLI ODIATORI ITTICI SUICIDATI CON IL CONCORSO DI BENETTON E TOSCANI —– GRANDI ODIATORI “PROGRESSISTI” E I LORO ASSALTI AL VOTO IN IOWA, ALLA CINA, AI 5STELLE, ALLA LEGGE UGUALE PER TUTTI

https://fulviogrimaldi.blogspot.com/2020/02/piccoli-odiatori-ittici-suicidati-con.html

MONDOCANE

GIOVEDÌ 6 FEBBRAIO 2020

 

USA: onta del partito dell’odio, caro agli odiatori nostrani

Trump, il più odiato dagli odiatori seriali. Nelle primarie Democratiche dello Iowa ennesima vittoria di Trump, a dispetto dei tanti ricatti accettati e subiti, sul duo Deep State-Partito Democratico delle guerre al mondo, del Russiagate sgonfiato e dell’impeachment fallito. Ora il presidente, vincitore tra i repubblicani con oltre il 90%, appare lanciato, dai successi economici e dall’occupazione mai così alta, verso il secondo mandato. Una presidenza che si spera più aderente alle promesse di distensione e multilateralismo che avevano portato alla disfatta di Hillary, la gorgone venerata dal “manifesto”.

La campagna del 2016, fu condotta dalla cosca Obama-Clinton con una pletora di metodi sporchi contro il più o meno sinistro Bernie Sanders, prima ancora che contro il pronosticato sconfitto Trump (per il quale fu inventata la grottesca balla dell’intervento russo). Con il nuovo sabotaggio di Sanders da parte del solito Comitato Nazionale Democratico, per eliminare un concorrente sgradito al sistema plutocratico e guerrafondaio, i democratici sono ricorsi a trucchi scandalosi, screditandosi davanti ai loro elettori e facendo ridere il mondo intero. Un risultato che aveva subito visto vincere Sanders (poi confermato per numero di voti) è stato oscurato per giorni di traccheggiamenti e, poi, attraverso l’imbroglio di una app fornita da un miliardario sostenitore del Partito Democratico, Reid Hoffman, stravolto a favore dell’outsider di Sistema, Pete Buttigieg, per supposta prevalenza di delegati.

Il candidato “progressista” caro a Wall Street, alle piattaforme e al “manifesto”

Zuckerberg e Buttigieg

 Chi è Buttigieg? Ex-sindaco di una cittadina nell’Indiana, si definisce progressista ed è finanziato da molti bonzi di Wall Street, gay dichiarato e militante LGBTQ, sostenitore all’estero delle guerre USA, ma anche delle migrazioni di massa, e quindi di Soros, del neoliberismo e delle assicurazioni private per la sanità in casa. Soprattutto candidato preferito e amicissimo del re di Facebook che controlla tutti noi, Zuckerberg. Con tali requisiti dai nostri sinistri è preferito  all’”estremista radicale” Sanders, subito abbandonato. E, con Marina Catucci ancora provata dalla dolorosa dissolvenza della virago assassina della Libia, per cui tanto si era spesa, subito il “manifesto” gli ha dedicato un ritrattino corredato di alloro e profumato d’incenso.

Tale è lo stato della democrazia nella nazione, guida dell’Occidente. E tale è lo stato del “quotidiano comunista”. Se ne saranno accorti i quattro scornacchiati ancora impegnati a fornirgli foglie di fico?

Buoni e cattivi per la “nazione eccezionale”

Come tutti sanno, gli Stati Uniti sono la “nazione eccezionale”, cui è stato assegnato “il destino manifesto” di sostenere i buoni e abbattere i cattivi. I buoni trovandosi dunque quasi tutti negli stessi Stati Uniti, con particolare concentrazione tra i ricchi e i democratici e un anomalo residuo di cattivi raggruppatisi attorno a Donald Trump e tutti gli altri cattivi a rovinare il resto del mondo. Di buoni ne sono rispuntati alcuni in America Latina, ce ne sono sempre stati parecchi in Europa, pochini nella periferia dell’Asia, una ridotta di buoni rifugiatisi in qualche ONG. Scarseggiano, i buoni, in Africa, quando non s’imbarcano su carovane e gommoni, mentre non ce ne sono quasi in Medio Oriente, fatta eccezione per i curdi, meglio se femmine, e mezza dozzina di corone arabe lucidate a petrolio.

Chiodo scaccia chiodo, odio scaccia “odio” e bue odia asino

I maestri odiatori sono bravi quanto il bue che dà del cornuto all’asino. Invertono i fattori dell’equazione, denunciando come odiatori i da loro odiati perché divergenti dal pensiero unico – e fisso, come certe stelle – degli odiatori. Nella colonia imperial-atlantista dei media, dove al rintronamento degli allocchi convinti di essere “de sinistra” ci pensa il “manifesto”, ci si è fatti le ossa in dieci anni di odio per i 5Stelle. Specialmente per certe anacronistiche pretese, come far passare qualche soldo dall’alto, dove sta bene, al basso, dove è sprecato, o come sconvolgere l’assetto sociale all’insegna del populista “la legge è uguale per tutti”. Pessima legge antica che impedisce agli avvocati (e a certi giudici) di guadagnarsi la pagnotta aiutando persone di buona famiglia, con nel curriculum qualche marachella, a farla franca.

Ci si è data buona prova di sé nell’odio per chi non condivide la liberazione di disperati dai loro paesi d’origine, dalle loro comunità, terre, foreste e miniere, resa possibile su appuntamento (detto naufragio) con i trafficanti. Quelli che insistono per rimanere, siriani, libici, iracheni e molti altri, vanno odiati nel loro stesso interesse e, a questo scopo ci si può avvalere di odiatori di complemento come Al Qaida, Isis e curdi. Quanto agli arabi in generale, visto che tutti sono semiti e in prevalenza musulmani, ecco che in questo caso licenza piena è accordata all’antisemitismo e alla virtù laica dell’islamofobia.

Dall’odio, per Russi e Cinesi, nasce cosa. Magari nucleare.

L’Ordine degli odiatori, ben visto anche in Vaticano, da tempo si esercita alla grande sulla Russia. Vedrete cosa ci aspetta dalle prossime presidenziali USA, se non dovesse passare uno pronto a sparare l’atomica su Mosca. Dalle ceneri del Russiagate sorgerà l’Araba Fenice di Putin che, in prima persona, hackererà tutti gli smartphone dei Democratici facendosi passare per George Washington che dice agli elettori di votare Trump. Oggi, però, visto l’esito funebre del meschinello Russiagate, l’odio, cavalcato al volo un virus dal muso giallo, cattivissimo come dimostrano gli occhi a mandorla, si riversa sulla Cina.

Per la Cina, nazione che si avvia all’egemonia mondiale della comunicazione digitale e, con la Via della seta, alla connessione infrastrutturale con mezzo mondo, per grandi scambi tra nazioni sovrane, paura e odio sono al parossismo. E al nostro establishment democristo-massonico-sorosiano, di arlecchini servitori di tutti i padroni, va riconosciuto il primato dell’isteria allarmistica. Dichiarano di evitare il panico e lo seminano a piene mani per quella che è con ogni evidenza la guerra alla Cina, con i mezzi della diffamazione e del sabotaggio economico. I media sono arrivati perfino a negare alla Cina e attribuire ai ricercatori dello Spallanzani l’isolamento del Corona virus (mentre gli stessi scienziati di quell’istituto, seri, hanno riconosciuto la primigenitura cinese. E il Fatto Quotidiano, principe delle fake news atlanticiste, ha approfittato del virus per pubblicare un paginone di veleni del ragazzo Yoshua Wong, caposquadrista di Hong Kong e referente degli Elmetti Bianchi, specialisti di False Flag chimiche in Siria, inventati e pagati dal colonialismo anglosassone.

Un’epidemia influenzale che nella Cina dalla sanità gratuita, con1,4 miliardi di abitanti, sta arrivando a 500 vittime, negli Stati Uniti dalla sanità a pagamento, con 327,2 milioni, nello stesso periodo ne ha provocato10mila. In Cina si è reagito con efficienza incredibile, isolando in pochi giorni il virus e allestendo un sistema di isolamento e intervento sanitario (due ospedali da 1000 posti in dieci giorni) da far crepare di invidia e odio chi sull’ebola in Congo e Africa Occidentale e sul colera in Yemen, da anni ci fa affaroni minerari, petroliferi e agroindustriali al costo di far fuori intere popolazioni.

Odio per il primo della classe?

Russia, Cina e loro complici, statuali e non, sono, come confermano i militanti della nostra stampa embedded (messa a letto) nelle alcove dell’Occidente, tutti paesi e genti di cui gli USA dovrebbero sbarazzarsi, vuoi a forza di terroristi islamici, vuoi sommergendoli di odio globale, vuoi a colpi di nuove atomiche “tattiche”, all’uopo ammodernate e già piazzate tutt’intorno al continente. E pure tra i piedi nostri che, però, marciano in entusiasmante sincrono con l’orologio degli scienziati, sul quale ora mancano 100 secondi alla mezzanotte nucleare. Tuttavia, con Conte, PD, la CEI, le ONG, tutti gli altri, compresa la frazione M5S che ci ha ripensato, compresi i sopravvissuti dei deprecati campi, non ci diamo il minimo pensiero circa la nostra identità di bersaglio atomico e la conseguente eventualità di precedere l’apocalissi promessaci da Greta. Siamo sempre stati un paese felicemente spensierato.

Sardine, odio ch’a nullo odiato odiar perdona

 United Colors of Benetton

Si vanno intanto estinguendo, e non per ragioni climatiche, le Sardine, odiatori di ultima generazione, però con tanto bon ton. Del resto, freschi di giornata a novembre, cosa vi aspettate di trovare sul banco tre mesi dopo? Basta, per illustrarci l’ultima trovata del miliardario ebreo-ungherese andata in putredine, la Sardina bolognese parlante, dall’ippodentatura e dalla chioma arricciata a 2000 volt. Si erano specializzati in odio al profumo di gelsomino per tutto ciò che, più rozzamente, odiavano i giusti, i buoni e i beneducati. Santori, da odiatore dei regressivi contadini lucani e pescatori dell’Adriatico, in quanto sostenitore di quante trivelle possano bucare Basilicata e Adriatico, a odiatore di spericolati viaggiatori su ponti ASPI, nel selfie con chi da autostrade, viadotti e guardrail trae miliardi pubblici e morti private. A odiatore anche di indigeni renitenti al progresso, sempre nel selfie con chi nelle pampas argentine, sottratte ai Mapuche, alleva pecore e disleva popolazioni. Infine, a odiatore di passeggeri frettolosi, nel selfie con chi fa di aeroporti, stazioni e autogrill dei suk disfunzionali per fondisti affetti da shopping-dipendenza.

Chi di odio ferisce, di selfie perisce

Il bacio della morte a quest’ultimo tentacolino del noto finanz-filantropo ungherese glie l’hanno dato Luciano Benetton e il suo fotografo di corte Oliviero Toscani (“Ma a chi interessa che caschi un ponte, smettiamola!” Così Toscani nella trasmissione “Un giorno da pecora”, Radio1). Pensate come ci sono rimaste tutta la scemenzeria e tutta la sorosianeria italiote, tutti uniti nell’odio per chi si rifiuta di entrare nel gorgo del pensiero unico, da papà PD al pappagallino mediatico “il manifesto”, fino all’intellighenzia de sinistra alla Marco Revelli o Massimo Cacciari.

Petrosardina, pontiere e fotografo di corte

Legge uguale per tutti? Quando mai!

Esce da questa costellazione di smisurati buchi neri e di pochi corpi luminosi un ulteriore flusso d’odio, di tale impeto da provocare la rottura degli argini. E’ l’odio per un concetto che, dal Codice Napoleonico in qua, rompe le palle con quell’utopia farraginosa e prevaricatrice dell’ordine naturale delle cose che sarebbe “la legge è uguale per tutti”. Utopia recuperata dal 1848  che offese principi e papi e lanciata contro signorie e borghesie dai  meritevolissimi di odio Cinquestelle, protettori di barboni, lazzaroni e perdigiorno. Principio che i barbari del Nord hanno tutti, non solo sancito, ma osservato e praticato come fosse, questa sì, legge naturale. Da tempi immorabili hanno garantito l’assenza di una prescrizione tale da allungare i processi fino a quando, dotati di avvocati e mezzi, signorie e signori no ne uscissero intonsi e giustamente ricompensati. Tipo Andreotti, col suo despotismo di velluto, sostenuto da mafia e Chiesa, tipo strage di Viareggio, sterminio Eternit da amianto, Taranto avvelenata a morte, Berlusconi degno follower di Andreotti, in una dinastia che si dipana dalla nascita della Repubblica ad oggi.

C’è l’immenso grumo di odio per chi stravolgendo l’ordine delle cose, nega immunità e impunità a chi la merita per censo e se l’è guadagnata spendendo fior di quattrini a sostegno dell’irrinunciabile categoria degli avvocati delle cause vinte. Un grumo malavitoso, mafioso e “civile”, con la testa maleodorante del pesce infilataci a mo’ di vessillo, che, non si sa come, era sfuggito allo schermo di equità giuridica con il quale certa Europa copre i purulenti ristagni del suo malaffare, che scendendo per li rami, hanno infettato un po’ tutta la nazione.

Legulei, avvocaticchi, giudici tipo quello del paese di Acchiappacitrulli, che manda in galera Pinocchio in quanto osa denunciare il furto dei signori Gatto e Volpe, sinistri da bassifondi sorosiani, persino presunti custodi della Costituzione che, se ci fosse una Corte Costituzionale senza gli Amato, li manderebbe per stracci, garantisti nel nome di una civiltà giuridica come quella di colui che disse “la loi c’est moi”, tutto un universo mediatico con le tastiere lubrificate a odio per il volgo, si sono avventate sul primo ministro in assoluto che si sente ed è della Giustizia. Odio di avvocati terrorizzati, ancora più che dalla prescrizione bloccata, dalla riduzione dei tempi del processo penale, a cui Bonafede sta pure lavorando. Quanti studi chiuderanno scomparsa la greppia?

C’è una dimostrazione di odio di classe che, a sentirsi tale classe minacciata nel privilegio di poter tarare la bilancia del diritto a suo favore e in odio ai burini da basso, è quella che si va consumando nel parlamento della più alta percentuale di malavitosi, corrotti, corruttori, pregiudicati, processati, inquisiti, denunciati, mafiosi dell’intera Europa. Tutti, nelle varie forme partitiche e col supporto del sistema mediatico dell’odio sinistro e destro, all’assalto di Bonafede, come il prussiano Blücher con la sua cavalleria contro Napoleone (e fu Waterloo e la restaurazione).

Si sono fatti le beffe, gli odiatori, ma anche presunti sodali e simpatizzanti, della parola d’ordine “onestà”, centrale tra tutte le leggi mosaiche su cui si è fondato il MoVimento. Perno epocale di una scelta di civiltà. Inscindibile dalla parola libertà. Molte delle idee guida sono state dimenticate, lasciate nel fosso al lato della via, addirittura tradite. Ma quella è una delle rimaste, intatte e robuste. E’ intorno a questo fulcro che ci si gioca un futuro alla Benetton, o alla Davigo. Qualcuno parla di M5S “residuale”. Ce ne fossero. L’errore peggiore? Il via libera al traghettatore consacrato alla camicia nera Padre Pio. Traghettatore da un principio di civiltà e uguaglianza a uno prono a ogni rivalsa vandeana. Proprio come quei traghettatori che “salvano” deportati dalla patria, con gli strumenti del ricatto e dell’illusione, e consegnati alla schiavitù in terra aliena con lo strumento della carità.

Fuori dal palazzo, a parte lo strepitio tossico degli odiatori di carta e schermo, c’è silenzio. La gente guarda ammutolita. Quando non si sente paralizzata dal Coronavirus. E’ paura, rassegnazione, è sospensione davanti alla porta della tua squadra minacciata dal goal? A sostegno dei Cinquestelle e di questa lotta, come occorse al tempo del TAV, altro nodo cruciale troppo leggermente lasciato sciogliere, occorrerebbe una Valsusa di dimensioni nazionali, una mobilitazione di piazza in piazza, tribunale in tribunale, scuola in scuola, rete in rete, a difesa di Bonafede e dei suoi. Per non lasciarli soli, anche rispetto a chi finge di stare di qua, mentre sta già di là. Come si sono fatti lasciare soli al tempo del TAV. Altro che legulei e chi si spippazza trovando mille peli in ogni uovo e scambiando per nemico del popolo il M5S anziché tutti gli altri. O quelli che, più bravi dei Nobel che hanno scisso l’atomo, scindono in mille frammenti di buono, o meno buono, o difettoso, quanto i pentastellati hanno fatto o vogliono fare, a dispetto delle cadute e inversioni di marcia: reddito di cittadinanza, decreto dignità, quota 100, revoca autostrade, stop trivelle, spazzacorrotti, taglio pensioni d’oro, taglio vitalizi…..

Ora gli odiatori di queste cose le vogliono cancellare tutte. Chi invochiamo? I grilli parlanti, le Sardine, Bersani, papa Francesco, o la civilissima UE, territorio di eunuchi, briganti e lobby dell’odio?

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 18:18

Comunicato Stampa 5 febbraio 2020 – CONTE: il 2020, anno decisivo nella battaglia sul clima ||| La Torino-Lione è climaticida

Comunicato Stampa

PresidioEuropa

Movimento No TAV

5 febbraio 2020

www.presidioeuropa.net/blog/?p=21182

CONTE: il 2020, anno decisivo nella battaglia sul clima

Largo spazio alla partecipazione dei giovani e della società civile

La Torino-Lione è climaticida

Ieri a Londra, nel corso dell’incontro con Boris Johnson per la presentazione della Conferenza sul clima COP26 che il Regno Unito organizza in partnership con l’Italia nel mese di novembre a Glasgow, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha affermato che “il 2020 deve essere l’anno decisivo nella battaglia sul clima“.

Conte ha annunciato  durante il punto stampa (al minuto 0’34”) che nel quadro di questa battaglia “daremo molto spazio alle istanze dei giovani e alla società civile negli eventi che organizzeremo a Milano dal 28 settembre al 2 ottobre 2020 in vista della COP26”.

È noto che queste istanze portate avanti dal basso guardano alla conversione economica come mezzo per giungere alla circolarità nei processi produttivi, stabilizzando i flussi di merci e di persone.

Appare quindi evidente che le politiche dei trasporti non possono essere trattate indipendentemente dalle strategie economiche.

In questo senso il Movimento No TAV, che da trent’anni si oppone all’insensato progetto Torino-Lione, rivendica il suo ruolo di protagonista nella battaglia civile a difesa dell’ambiente, per il buon uso delle risorse pubbliche e contro i cambiamenti climatici.

Se il Presidente Conte vuole vincere quest’anno la battaglia sul clima, per coerenza non può che riconoscere che la Torino-Lione è climaticida e dovrà quindi fermare il progetto.

Le cittadine e i cittadini dalla Valle Susa fino alla Sicilia gli riconosceranno in quel momento il ruolo di avvocato difensore del popolo italiano che rivendica.

COMMENT ON A DESTABILISE LA CENTRAFRIQUE (II). LE TEMPS DES COMPLOTS CONTRE TOUADERA

 

La déstabilisation de la Centrafrique expliquée par la Géopolitique, la Science du XXIe Siècle…

Partie II sur https://vimeo.com/388303901

vignette geopol rca II

# CENTRAFRICA-NEWS-TV/

GEOPOLITIQUE/ LUC MICHEL:

COMMENT ON A DESTABILISE LA CENTRAFRIQUE (II).

LE TEMPS DES COMPLOTS CONTRE LE PRESIDENT TOUADERA

(ZOOM AFRIQUE DU 30 JANVIER SUR PRESS TV, IRAN)

* Press TV :       

Samedi, des violences ont éclaté dans la ville de Bria, dans l’est de la Centrafrique, entre les membres d’un groupe de l’ex-Seleka. Des violences définies par RFI comme étant à caractère ethnique.

Luc Michel, géopoliticien nous a expliqué dans un premier temps ce qui était en train de se passer en RCA lors de l’émission d’hier. Écoutons maintenant la deuxième partie de son analyse.

* Voir aussi LUC MICHEL :

GRAND REPORTER EN CENTRAFRIQUE

Sur https://vimeo.com/379417212

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COMMENT L’AXE USA-FRANCE MANIPULE LA DESTABILISATION DU SAHEL ? (ZOOM AFRIQUE DU 29 JANVIER SUR PRESS TV)

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COMMENT L’AXE USA-FRANCE MANIPULE LA DESTABILISATION DU SAHEL ? (ZOOM AFRIQUE DU 29 JANVIER SUR PRESS TV, IRAN)

Sur https://vimeo.com/388263178

VIGNETTE SAHEL

Sahel : nouveau scénario France-USA …

Alors que depuis quelque temps des infos apparaissent sur les médias occidentaux faisant état du « retrait » des forces américaines de l’Afrique et notamment du Sahel, le « monsieur Afrique » des États-Unis s’apprête à conclure une grande tournée en Afrique.

Tibor Nagy a entamé il y a deux semaines une série de voyages entre la Centrafrique, l’Éthiopie, le Kenya, la Somalie, le Soudan du Sud et le Soudan. Ce sixième passage du secrétaire d’État adjoint sur le continent doit se terminer le mercredi 29 janvier. « La France craint un retrait militaire des États-Unis dans le Sahel. La ministre française de la Défense, Florence Parly, est d’ailleurs à Washington pour dissuader les Américains de suspendre leur aide. Tibor Nagy, lui, a préféré rappeler que c’était aux pays de la région de prendre leurs responsabilités : “Les problèmes du Sahel ne seront pas réglés par la France ou les États-Unis. Ce sont aux pays du Sahel de le faire. Pour faire reculer les terroristes, vous avez besoin de bonne gouvernance, d’un retour de l’État dans l’espace abandonné par les terroristes, en apportant la sécurité, des services de santé, l’éducation. Vous pourrez avoir autant de partenaires internationaux que vous voulez, au final tout dépend de la volonté des pays concernés”, lit-on sur maliactu.

MAIS QUI CROIT À CE JEU DU CHAT ET DE LA SOURIS ?

Tibor Nagy met en garde les dirigeants africains, dans quel but ? on comprend mieux les intentions américano-françaises quand on lit l’article suivant :

“Réunis dimanche dernier à Ouagadougou au Burkina Faso, les chefs d’état-major des armées du G5 Sahel ont procédé à la révision de leurs documents-cadres. À l’issue de la rencontre, les responsables se sont entendus sur l’élargissement des marges de manœuvre des différentes armées de l’organisation. Les nouvelles mesures permettront désormais aux forces de défense des pays du G5 Sahel de poursuivre les combattants terroristes dans les pays voisins, sur 100 km au-delà de leur frontière. Jusque-là, les accords-cadres de la Force G5 Sahel ne permettaient aux pays d’intervenir que sur une bande de 50 km de part et d’autre des frontières communes.

Pour les responsables, cette nouvelle mesure permettra une meilleure flexibilité dans la mise en œuvre des opérations de la Force conjointe G5 Sahel.” Les USA menacent, la France agit. C’est ainsi que se résume cette nouvelle politique colonialiste en Afrique. En menaçant les dirigeants africains, Les USA cherchent à intimider ces derniers, afin de les pousser à s’engager dans une coopération encore plus étroite avec le G5 Sahel. On le sait depuis très longtemps : à l’ombre, les USA tirent les ficelles des politiques expansionnistes de la France au Sahel. Les deux états agissent main dans la main, mais jouent un scénario que les Africains connaissent par cœur. Le peuple africaine st loin d’être dupe et ne tombera guère dans cette nouvelle pièce, signée France-USA.

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COMMENT ON A DESTABILISE LA CENTRAFRIQUE (I). LE CHOC DES CIVILISATIONS IMPORTE EN RCA

 

a déstabilisation de la Centrafrique expliquée par la Géopolitique, la Science du XXIe Siècle…

Partie I sur https://vimeo.com/388247072

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GEOPOLITIQUE/ LUC MICHEL:

COMMENT ON A DESTABILISE LA CENTRAFRIQUE (I).

LA THEORIE OCCIDENTALE DU CHOC DES CIVILISATIONS IMPORTEE EN RCA

(ZOOM AFRIQUE DU 29 JANVIER SUR PRESS TV, IRAN)

* Press TV :       

RCA : que se passe-t-il à Bria ?

Samedi, des violences ont éclaté dans la ville de Bria, dans l’est de la Centrafrique, entre les membres d’un groupe de l’ex-Seleka. Des violences définies par RFI à caractère ethnique. Luc Michel, géopoliticien revient sur ce sujet.

* Voir aussi LUC MICHEL :

GRAND REPORTER EN CENTRAFRIQUE

Sur https://vimeo.com/379417212

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12/02, Chiomonte. Altra pagliacciata di Telt, noi ci saremo!

notav.info
agendapost — 10 Febbraio 2020 at 11:47

Anche a Giaglione sono in atto le procedure di espropri temporanei gestite da Telt.

In questo caso si tratta dei terreni interessati alla salvaguardia della farfalla zerynthia, operazione che vorrebbe rappresentare TELT come difensore dell’ambiente! Per maggiori info leggi Il cerone di unito, le pagliacciate di TELT e l’habitat della farfalla notav

Mercoledí 12 mattino alle 7,30 ci troveremo ai cancelli di Chiomonte dove TELT ha dato appuntamento alle 8,30 ai proprietari dei terreni di Giaglione per prendere visione.

Una presenza nostra per dire che ci siamo e ci saremo come è successo a Salbertrand mercoledí scorso!