AUROVILLE, LA CITTÀ CHE VIVE SENZA POLITICA, DENARO E RELIGIONE

https://ilsapereepotere2.blogspot.com/2017/10/auroville-la-citta-che-vive-senza.html?fbclid=IwAR0VjRUle_cGACkcVjtsPdO6eQ7mB0hOe5y7X9K7tRFM4xSHLmTRp5RL6fI

Auroville si può definire la città utopica. Può sembrare fantascienza ma in questo posto ubicato nel sud dell’India la gente vive senza proferire nessuna religione,

senza manifestare nessuna preferenza politica, ma soprattutto senza preoccuparsi di avere il conto in rosso, poiché ad Auroville il denaro non esiste. Una volta saputo questo, si pensa che tutto ciò sia successo in un tempo passato, niente di più sbagliato. Non c’è posto dove vivere meglio, non solo per i bei paesaggi che offre, ma anche per gli ideali di società che sono lontani anni luce dai nostri giorni. Questa città è veramente un paradiso dove vivere. L’anno di fondazione di Auroville risale al 1968, i suoi abitanti appartengono a 50 nazionalità diverse. E’ impossibile che fra loro esistano dei contrasti poiché non hanno sistema politico, né religione, ottengono i loro bisogni attraverso il sistema di scambio.

In questa città, situata a 150 Km da Chennai a Madras le abitazioni fanno parte di un’architettutra sperimentale, in continua evoluzione con l’uso delle energie rinnovabili e il riciclo e riutilizzo dei materiali. Mirra Alfansa conosciuta con il nome di “Madre” ha progettato e fondato questa meravigliosa città. Il suo progetto è partito dall’idea di creare un luogo sulla Terra dove nessuna nazione potesse rivendicarne la proprietà, dove la gente potesse vivere liberamente, un luogo dove regnasse la pace e l’armonia, dove tutto l’istinto di combattimento dell’essere umano venisse utilizzato per eliminare le cause dei suoi dispiaceri e malesseri, così da trionfare sulle sue disabilità. Dove i bisogni dello spirito e l’interesse del progresso prevalgano sui desideri di passioni e sulla ricerca del godimento personale.
Auroville è una città ecosostenibile costituita da 15 aziende agricole sviluppate su 160 ettari di terreno. Nei campi lavorano 50 abitanti e 300 persone che provengono dai luoghi vicini. Il villaggio produce grano, frutta, riso, verdure, latte e latticini sufficienti a soddisfare le necessità dei suoi abitanti. Non è l’unica città fondata sulle basi di questo sistema, ma Auroville ha ottenuto la protezione dell’ Unesco e i risultati saranno più evidenti quando con il passare degli anni la Terra comincerà a manifestare in modo palese le conseguenze del nostro maltrattamento. Sicuramente questa città è un esempio da seguire per un vivere sano sia mentale sia fisico. Chissà quanti sarebbero favorevoli con questo stile di società. Il fine di Auroville è quello di conseguire l’unità umana.
Tutto è cominciato il 28 febbraio 1968, quando 5.000 persone si sono radunate davanti all’albero di “banyan” là dove sarebbe dovuto sorgere il nuovo villaggio. All’inaugurazione hanno preso parte gli esponenti di maggiore rilievo di 124 nazioni inclusi tutti gli stati dell’India. Ognuno di loro ha portato con sè un pugno di terreno della propria patria che è stato miscelato e conservato in un’urna a forma di loto collocata nella parte centrale dell’Anfiteatro. Come è stato detto Auroville è una città in evoluzione. Il piano urbanistico della città è diviso in diverse aree: l’Area di Pace, si trova al centro della borgata, comprende il “Matrimandir” ossia una struttura architettonica a forma di gigantesca palla d’oro che emerge dalla terra, attorno ci sono i giardini. L’anfiteatro contiene l’urna dove è conservato il terreno di 121 nazioni e 23 stati indiani, l’atmosfera è resa tranquilla dalla presenza di un lago e dalle falde acquifere.
La Zona Industriale comprende piccole e grandi industrie dove è concentrata l’attività e l’amministrazione della città. Occupa 109 ettari di terra e si trova a nord dell’Area di Pace. La Zona Residenziale è la parte più ampia della borgata circondata da parchi. Si ha accesso attraverso una strada principale che di dirama attraverso altre cinque strade. Il 55% della superficie è costituita dal verde, la restante parte è occupata da costruzioni, creando così una densità urbana equilibrata con la natura. La Zona Internazionale ospita padiglioni raggruppati per continenti dove è possibile attingere nozioni culturali e nazionali di diversi paesi, che contribuiscono a creare una dimostrazione vivente di come sia possibile convivere anche se si è differenti. La Zona Culturale è situata a est della Zona di Pace. L’area di 93 ettari raccoglie un sito dove sorgono strutture dedicate alla cultura, allo sport e all’arte.
La Cintura Verde è la parte più interessante di Auroville. La città è circondata da una cintura verde di 1,25 Km di larghezza dove ci sono frutteti, vegetazione spontanea, foreste. Il suo scopo è di formare una barriera contro l’avanzamento urbanistico. Attualmente la superficie è di 405 ettari, ancora non è del tutto completa, si pone come obiettivo di trasformare il deserto in un vivace ecosistema. In futuro l’area subirà un ulteriore ampliamento di 800 ettari per il ripristino ambientale. Diventerà il polmone della borgata e completerà il processo di risanamento di Auroville. Il sistema di vita che è stato intrapreso nella città utopica è molto lontano da quello che oggi si vive nelle città, dove il cemento avanza e il verde arretra, mettendo a serio rischio l’ecosistema, le regole del vivere ecologico potrebbero non bastare.

Partiti in Germania i primi treni ad idrogeno al mondo, ecologici ed a zero emissioni

Pubblicato il: 19 Settembre 2018

treni idrogeno germania

La Germania da Lunedì può vantare un primato mondiale

infatti in bassa Sassonia, sono già attivi da 2 giorni e stanno già circolando i primi due treni ad idrogeno del mondo, destinati a cambiare radicalmente il trasporto su rotaia.

Manderanno in pensione le locomotive a diesel, infatti sono ecologici, non inquinanti dato che emettono vapore acqueo, silenziosi e hanno 1000 chilometri di autonomia.

i due treni, Coradia iLint hanno iniziato a viaggiare lunedì scorso percorrendo i 100 chilometri di ferrovie tra Cuxhaven, Bremerhaven e Buxtehude Bremervörde, in Bassa Sassonia, a ovest di Amburgo, e sono stati lanciati su rotaia dalla compagnia francese Alstom.

treni idrogeno germania

i due treni sono di colore blu e al momento sono in grado di raggiungere i 140 km/h, sono dotati di celle a combustibile che convertono l’idrogeno immagazzinato sul tetto e l’ossigeno ambientale in elettricità.

Le batterie agli ioni di litio verranno utilizzate anche per immagazzinare l’energia recuperata durante la frenata, che viene riutilizzata nelle fasi di accelerazione.

Hanno un’autonomia di 1000 chilometri prima di essere ricaricati, e la parte migliore è che utilizzando acqua ed energia elettrica sono totalmente a zero emissioni inquinanti.

i treni stanno viaggiando per conto dell’autorità locale dei trasporti (LNVG) e dell’operatore regionale EVB e possono viaggiare per l’intera giornata prima di essere ricaricati.

Già prevista per il 2021 la consegna di altri 14 treni e il posizionamento di una stazione di rifornimento fissa negli spazi di EVB, secondo un contratto firmato lo scorso anno per il valore di 81 milioni di euro, nel 2021 la rete Evb sarà dunque interamente composta da treni a idrogeno

La bella notizia è che la Germania anche se è la prima ad avere investito nella tecnologia Green, non è l’unica che lo sta facendo,

la Francia per esempio punta a far correre i primi treni ad idrogeno entro il 2022 e la società Alstom ha confermato di essere in trattativa per la produzione di treni ad idrogeno anche con Regno Unito, Paesi Bassi, Danimarca, Norvegia, Canada e Italia,

Nel nostro paese le prime regioni a manifestare il loro interesse sono state il Trentino e la Toscana che stanno valutando l’utilizzo di fondi europei per cofinanziare l’operazione.

Stefani Schrank product manager di Alstom spiega:

il treno a idrogeno comporta un costo maggiore all’inizio rispetto a uno diesel ma dopo 10 anni l’investimento è già in pari e in attivo per i rimanenti 20 anni della vita del prodotto.

treni idrogeno germania

 

GOLUNOV, GIORNALISTA RUSSO, MARTIRE. ASSANGE, ASSA… CHI? ….. LORO DEVONO SAPERE TUTTO DI NOI, NOI NIENTE DI LORO —– LA “POLIZIA DEL PENSIERO” SETTANT’ANNI DOPO ORWELL

https://fulviogrimaldi.blogspot.com/2019/06/golunov-giornalista-russo-martire.html

MONDOCANE

VENERDÌ 14 GIUGNO 2019

 

“Per capire chi vi comanda basta scoprire chi non vi è permesso criticare”(Voltaire)

https://www.facebook.com/Comitato-per-la-Liberazione-di-Julian-Assange-Italia-2124476570984287/

https://www.youtube.com/watch?v=H90cjP4339o   Stefano Rosso “Libertà”

Primo link: Comitato per la Liberazione di Julian Assange Italia, con appello da firmare. Secondo link: una canzone  da sottofondo.

Una premessa non del tutto fuori tema

Si succedono i momenti di sconforto-sconcerto davanti a un “capo politico”, bravo ragazzo di provincia, sveglio, a suo modo geniale, onesto per carità, buona parlantina (anche  perché di fronte gli capitano nullità fuffarole), ma incolto sul piano generale e specifico e quindi portato a scopiazzare dal tema degli altri, magari da uno più ignorante di lui. Ieri, invece, addirittura nel boudoir di Lilli Bilderberg Gruber, ho  vissuto un’impennata di orgoglio e soddisfazione. C’era la solita combine dei tre pitbull, tra femmina e maschi,riuniti a sbranare qualunque ospite 5Stelle, o non conforme a coloro che in Bilderberg, in Quirinale e in Vaticano, fissano la dicotomia Bene-Male. Una trasmissione di gossipari, modello tabloid, con quesiti filosofici alla “chi butteresti dalla torre?” “Da uno a 10 quanto valuti Salvini?”.Stavolta, a dar man destra alla Gruber, che si raggrinza oltre la benevolenza delle luci spiananti quando ha di fronte un governativo del momento, c’era il debenedettiano Marco Da Milano, della coppia comica Zoro-Da Milano di “Propaganda Live”, che, collateralmente, dirige anche “L’Espresso”.

Morra, pane per i denti di Gruber

Di solito quella combinazione democratica del 3 a 1 risolve la partita per superiorità numerica. Ma stavolta ai nanetti da giardino si contrapponeva un gigante, Nicola Morra, 5Stelle delle origini, senatore, oggi un po’ in disparte come altri della nobile schiatta, ma inflessibile combattente a capo dell’Antimafia parlamentare. Morra insegna, sa di lettere, storia e filosofia e contro tale roccia di competenza, sicurezza, sorridente ed elegante imperturbabilità le punzecchiature velenose finivano come graffi sul marmo. Rivedetevelo quell’Otto e Mezzo, è ancora meglio del video dell’altra volta,in cui la Fraulein perdeva le staffe davanti a chi aveva menzionato Soros, grande timoniere e ufficiale pagatore delle Ong di mare e di terra. E non solo. A me, poi, suscitò particolare euforia la serena fermezza con cui questo giovane veterano dello scossone 5 Stelle rivendicava i valori delle origini del MoVimento, insieme alla sua decisione di non partecipare alla “scelta non felice” di convocare al Rousseau i sostenitori della continuità del Capo a dispetto della debacle subita..

Eroi dei tempi nostri e dei loro

Chiuso. L’argomento del giorno è un altro. Questa era solo una piccola chicca, la ciliegia sulla torta della stampa italiana, dei cui valori quella trasmissione è una delle tante fedeli epitomi. E che spiega quanto segue. E che porta il titolo di questo pezzo derivato, per la prima parte, dal più grosso schianto sulla privacy dell’umano dall’invenzione della Santa Confessione:la National Security Agency, e poi tutte le altre Intelligence e piattaforme pubbliche e private, che di noi innocenti spiano perfino i pensieri (ce n’eravamo già dimenticati, vero? Quella sulla memoria è un’altra vittoria loro). E, per la seconda, ci dice  che chi, infame complottista, rivela qualcosa degli operatori sott’acqua deve essere tolto di mezzo. Così siamo arrivati a Julian Assange, Chelsea Manning , Edward Snowden. E Ivan Golunov. Tre eroi del nostro tempo. Il quarto, eroe dei tempi loro, tempi da diritti umani in salsa Bush-Obama-Trump-Netaniahu , cari ai media, dal “manifesto” a “Repubblica”.

Cucchi, Golunov

Dunque, a Mosca la polizia carica in macchina un giovane  di quelli che i russofobi di sinistradestra chiamano “giornalisti investigativi indipendenti”, che sono tutti quelli che a Putin preferiscono Trump, Juncker e perfino Obama (ne vengono citati, tra testate e giornalisti, un bel mucchio, proprio là dove si lamenta che l’opposizione non avrebbe diritto di parola!). Dicono di avergli trovato droga addosso e in casa e, dice, lo crocchiano. Negli Usa ci sono strade lastricate da corpi di drogati, o presunti tali, fatti fuori sul sospetto, basta che siano neri. Aveva cominciato Obama trasformando i poliziotti in Marines e santificando gli assassinii extragiudiziali di chiunque gli facesse saltare la mosca al naso. Da noi succede un giorno sì e l’altro spesso pure, ma per arrivare alla verità dell’abuso, su Cucchi, Aldovrandi, Uva, Carlo Giuliani e tanti altri, o ci vogliono dieci anni, o non basta un secolo.

A Mosca, nel giro di ore, mentre le cellule dormienti di Soros  si risvegliavano in piazza e, appresso a loro, in Occidente tutta la compagnia cantante della voce del padrone, il procuratore di Mosca rimetteva le cose a posto, liberava Ivan Golunov, apparso assolutamente indenne a  dispetto della “brutale aggressione” (del resto roba come quella successa ai Gilet Gialli e che prevede il nostro Decreto Bis, in Russia non si è mai vista). E il governo apriva un’immediata inchiesta sull’unità che aveva operato l’arresto. Effetto della pressione sul Cremlino dell’indignazione democratica russa e occidentale? Del Fatto Quotidiano? Del manifesto? Del Corriere? De La 7? Di Sky? Forse.

Through a glass darkly (Attraverso un vetro scuro)

Il titolo del film di Bergman (in italiano erroneamente “Come in uno specchio”) si riferisce alla schizofrenia di una persona che, guardando dio, vede un mostruoso ragno. Fa pensare ai soggetti della nostra opinione pubblica e relativa stampa quando guardano – e disconoscono – la verità. Divinità che, nella dialettica molteplicità degli dei antichi, era accessibile all’uomo e che nel dio unico si è tramutata in mostro.

Il fatto è che nessuna pressione di questi impavidi e incorruttibili crociati della libertà di stampa, e tantomeno degli organi alla loro difesa predisposti, tipo FNSI, Ordine dei Giornalisti, Articolo 21, Arci, unione sacrée sindacato-confindustria, Reporters Sans Frontieres, o consorzi “indipendenti” altrettanto simpatici a Soros come “Investigate Europe”, sui tre whistleblowers che Washington vuole liquidare ha emesso un mero guaito. Manning, l’americana che ha fornito a Wikileaks gran parte delle notizie su crimini e intrighi della politica estera Usa, è chiusa in prigione a tempo indeterminato e sanzionata con migliaia di dollari per ogni giorno che resiste perché si rifiuta di testimoniare contro Assange. Snowden, che ci ha fatto conoscere l’intrusione dello spionaggio Usa, pubblico e privato, in ogni fibra della vita di tutti, grazie a Wikileaks è riuscito a rifugiarsi a Mosca. Assange, dopo 7 anni di asilo politico e poi di forzato isolamento, grazie alla tangente pagata dall’FMI al presidente fellone Moreno, nell’ambasciata ecuadoriana, è stato rapito da Scotland Yard e schiaffato in prigione per aver voluto evitare un’estradizione in Svezia per l’accusa di violenza sessuale mossagli da una collaboratrice della Cia e poi archiviata.

Assange, Manning, Snowden

Per sette anni senza luce del sole, la tortura psicologica e fisica subita dai carcerieri, Assange ha dovuto essere trasferito nella clinica della prigione ed è stato giudicato incapace di sostenere un’ udienza in tribunale. Il delegato ONU per i diritti umani parla di assassinio strisciante. E’ ovvio che lo vogliono morto. La richiesta di estradizione inoltrata ieri dagli Usa è basata su 17 capi d’accusa, tutti inerenti allo spionaggio, all’alto tradimento e alla collusione col nemico, sulla base di un “Espionage Act” vecchio di 102 anni e mai utilizzato contro giornalisti. Washington pretende di esercitare la sua giurisdizione punitiva, oltreché su un giornalista che ha fatto il suo dovere di comunicare al pubblico delitti e complotti che lo riguardano, su un cittadino australiano che ha commesso i suoi “reati” fuori dagli Usa. Vecchia pratica, la conosciamo dai tempi del Cermis. Ma qui i buoni sbraitano contro il fascismo incombente di Casa Pound, o, peggio, di chi si oppone alla nuova tratta degli schiavi.

Lo vogliono morto

prima che la protesta degli onesti, dei colleghi non all’italiana, di nomi di prestigio e di tanti cittadini in tanti paesi possa arrivare a un’opinione pubblica più vasta, superando l’omertà dei pennivendoli nostrani, innescando una coscienza e una denuncia globale contro l’incredibile assalto a quanto rimane della libertà di stampa, espressione, comunicazione, rivelazione di nequizie,  quando compiute in alto, dai pochi e ai danni di tutti.

Certo, di Assange, come dei suoi compagni è lecito pensare tutto e il contrario di tutto. “Il manifesto” ne ha parlato con dileggio e scherno. Qualcuno ha pubblicato un trafiletto, visto che non se ne poteva fare a meno. FNSI e i suoi coscritti, non dicendo niente, si sono schierati con coloro che da certe note parti, strizzando l’occhio, giurano “nente vidi, nente sacciu e nenti vogghiu sapiri”.

Lo vogliono vivo

alcuni milioni di esseri umani cui ha potuto rendere, se non giustizia, verità. Chiediamo cosa pensano di Julian alle famiglie di quella quindicina di civili, tra cui due giornalisti Reuters, crivellati da un Apache Usa a Baghdad nel 2007, con l’equipaggio che sghignazza e urla “spara, spara, incendiali quei bastardi morti”. Chiediamolo anche a Sajad, 10 anni, e alla sorella Doaha, allora 5 anni, entrambi feriti, il cui papà venne seccato mentre cercava di assistere una delle vittime. Nessuno mai è stato arrestato per questi crimini. Assange che li ha fatti conoscere a chi ne aveva diritto, sì.

Chiediamo cosa pensano di Chelsea, Julian e Edward, i genitori del quindicenne strozzato con filo spinato e poi ucciso a colpi di mitra dai Marines nel 2006, a Ramadi. O i congiunti di Huda, 18 anni, e Raghad, 5, mitragliati a morte dai marines a Dyala nel 2006 Di quanti altri sapremmo la risposta a questa domanda?

Dovremmo chiedere cosa pensano di questi tre che, da soli, a mani nude, hanno sfidato il mostro, a popoli interi, dall’Iraq, all’Afghanistan, alla Libia, alla Siria,all’America Latina, sui quali si sono abbattute le nefandezze delle guerre, degli abusi, delle atrocità, dei crimini di guerra e contro l’umanità commessi da Clinton, Bush, Obama. Dovremmo chiederlo anche ai cittadini statunitensi che hanno votato nell’elezione presidenziale e,grazie a Wikileaks, hanno saputo con quali contributi e quali trucchi Hillary Clinton, cocca del “manifesto”, ha potuto soffiare a Sanders la candidatura. I milioni di dollari arrivatile da Arabia Saudita, Qatar, Goldman Sachs, le promesse fatte alle élites finanziarie di “liberi mercati tra libere frontiere”, i meriti acquisiti tra neocon e Pentagono per essere stata l’architetta della distruzione della Libia e della riduzione dell’Honduras a tirannia mafiofascista, da cui estrarre manovalanza migrante a basso costo. Eccetera eccetera eccetera. Nessuno ha mai fatto tanto e a tale prezzo per esporre gli abusi e i crimini del potere.

E’ arrivata la Polizia del Pensiero di Orwell

Silenziare loro, uccidere la loro voce significa silenziare tutti, uccidere ogni voce. Impedire di dire parole libere e, dunque necessariamente, salutarmente, critiche, significa proibire e punire il pensiero libero e dunque necessariamente critico. Già le nuove generazioni scrivono, grazie agli apostoli del Cristo digitale, come bambini di prima elementare. E come tali devono pensare, ma senza la fantasia incorrotta dei bambini cancellata dai videogiochi dello sterminio. Bambini invecchiati. Nani del pensiero. Nel deserto del Verbo.

Dicono gli scienziati che stiamo a 2 minuti dalla mezzanotte sull’orologio dell’olocausto nucleare. Non gli sarà più permesso di dircelo, perché siamo a 30 secondi dalla mezzanotte sull’orologio della libertà. E quando  ci sarà il Grande Botto, non dovremmo neanche preparare il panico, nessuno ce ne darà preavviso. Prima di accorgercene, saremo già morti. E dunque zitti.

A Julian, Chelsea, Edward, che hanno strappato le vesti gargianti al re putrescente, l’umanità deve dire grazie. A coloro, in Italia, la cui omertà li pugnala alle spalle non diciamo niente. Noi ci occupiamo di giornalisti.

http://adriacola.altervista.org/2397-2/  (La morte del giornalismo A. Colafrancesco)

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 20:34

Il nuovo braccio armato di Matteo in Europa

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2019/06/13/il-nuovo-braccio-armato-di-matteo-in-europa/5251981/

giovedì 13/06/2019
Identità e Democrazia – Creato il gruppo “sovranista” con 73 deputati (il 5° nell’Europarlamento). L’ex M5S Zanni alla guida
Il nuovo braccio armato di Matteo in Europa

Si chiamerà Identità e Democrazia, vi aderiranno 73 deputati e sarà guidato da Marco Zanni, eurodeputato della Lega appena rieletto a Strasburgo.

Il nuovo gruppo parlamentare – stimato come il quinto in termini di grandezza nel nuovo Parlamento dopo popolari, socialisti, liberali e verdi – sorge sulle ceneri di Enl, acronimo per Europa delle nazioni e delle libertà.

La presentazione ufficiale stamattina nella sede del Parlamento europeo a Bruxelles.

Non si tratta di un mero rebranding (anche l’Alde, i liberali, ha cambiato nome in un più aggiornato Renew Europe, per soddisfare i deputati macroniani, ndr) per il vecchio raggruppamento di euroscettici e sovranisti fondato dalla leader francese Marine Le Pen.

Quando vide la luce, nel 2015, Enl aveva nel Front National il suo centro, attorno a cui ruotavano alcuni alleati minori, incluso Salvini.

Quattro anni dopo, i rapporti di forza sono cambiati. La delegazione leghista è composta di 28 parlamentari: seconda in termini assoluti dopo la Cdu di Merkel e il Brexit Party di Farage (entrambi a 29), ma soprattutto forte di 6 seggi in più rispetto al partito di Le Pen.

Di Identità e democrazia faranno parte formazioni collocabili nell’ambito dell’estrema destra nazionalista: 11 europarlamentari della tedesca AfD, 3 dell’austriaco Fpo, ancora 3 del belga Vlams Belang e poi a seguire 2 cechi dell’Spd, 2 The Finns, 1 del Partito del popolo danese e infine un estone di Akre. 

Nove nazionalità per 73 aderenti, quando Enl ne contava 36.

Classe 1986, Zanni fu eletto all’Europarlamento 5 anni fa come M5S, approdando poi al Carroccio, lui euroscettico e critico verso la moneta unica, dopo il fallito tentativo di adesione dei pentastellati al gruppo Alde – sostenitore dell’euro e dell’Ue federale.

Sono proprio i suoi ex compagni di partito a essere in difficoltà oggi – e con l’elezione di Zanni ancor di più

Senza possibilità di formare un gruppo proprio e respinti sonoramente dai Verdi, i pentastellati restano alleati di Nigel Farage nel vecchio gruppo Efdd, che tuttavia al momento non ha i numeri per restare in piedi. 

Zanni si è mosso come plenipotenziario di Salvini e negoziatore di alleanze, annunciando pochi giorni dopo il voto del 26 maggio che il leader di Brexit Party si sarebbe unito alla nuova alleanza.

Farage ha smentito, ma potrebbe cambiare idea, per non ritrovarsi da solo. 

La deadline del 2 luglio – quando verrà convocato il nuovo Parlamento a Strasburgo e si dovranno presentare i gruppi politici per procedere all’assegnazione delle cariche – è sempre più vicina.

Ecco la sicurezza bis: reprimere il dissenso e multare le navi Ong

mercoledì 12/06/2019

Le norme sui migranti spinte fino ai limiti delle convenzioni internazionali, quelle sui cortei più dure del codice Rocco

Ecco la sicurezza bis: reprimere il dissenso e multare le navi Ong

Il 34 e dispari per cento di Matteo Salvini ottiene il primo risultato: il decreto sicurezza bis, bloccato prima delle Europee, è stato approvato ieri in Consiglio dei ministri, il primo dopo il voto.

Il ministro dell’Interno, ovviamente, è superfelice presentando la sua nuova creatura in sala stampa e ne ha ben donde visto che questo decreto riesce ad unire alcune delle sue ossessioni politiche: lotta all’immigrazione fino al limite (o anche più in là) della violazione delle convenzioni internazionali; criminalizzazione del dissenso di piazza fino a raddoppiare le sanzioni del legislatore fascista; totale intangibilità di polizia, carabinieri, eccetera se impegnati in servizio di ordine pubblico.

Il decreto, che passa nella versione già predisposta prima delle Europee, va ora alla firma del capo dello Stato: Sergio Mattarella aveva espresso informalmente più di una perplessità tanto sulla questione migranti che sulle modifiche al codice penale; non si sa se il combinato disposto tra la parziale riscrittura e il balsamo del consenso politico spingeranno il Quirinale a dare il via libera nonostante tutto.

Sulla costituzionalità, ha detto il segretario della Lega in conferenza stampa, “siamo assolutamente tranquilli: il testo lo abbiamo visto e rivisto e in parte migliorato, siamo sicuri del fatto che sia rispettoso di qualunque norma vigente in Italia e all’estero”. Gli stessi giuristi del governo non condividono, per così dire, l’ottimismo del vicepremier, ma è difficile dire no al 34%.

Se si guarda la bozza entrata (e uscita senza correzioni) in Consiglio, però, i punti critici sono diversi. Intanto il Viminale sbarca in mare: all’articolo 1, infatti, Salvini si attribuisce – ancorché nell’ultima versione “di concerto” con Difesa e Infrastrutture – la possibilità di vietare a una nave “l’ingresso, il transito o la sosta in acque territoriali italiane”; se quella viola l’ordinanza arriva la multa (da 10mila a 50mila euro per comandante e, se possibile, armatore e proprietario); la seconda volta si passa al sequestro dell’imbarcazione.

Non si parla più, come nella prima versione, di “migranti” e “soccorso”, né si pretende la penalità (fino a 5.500 euro) per persona salvata in mare, ma la ratio della norma (rubricata sotto “contrasto all’immigrazione illegale”) è la stessa e ricade nelle critiche dei giuristi di Palazzo Chigi e del ministero della Giustizia: se il fine è evitare che una nave che abbia, come le impone il diritto internazionale, salvato vite al largo poi possa portarle nel porto sicuro più vicino (ancora obbligo derivato dal diritto internazionale) allora è incostituzionale.

Senza contare che i confini dei poteri dei vari ministeri coinvolti nel divieto di ingresso (Interno, Difesa e Infrastruttura) non paiono ben definiti. Tradotto: c’è il rischio di continui scontri tra i tre ministri e le rispettive burocrazie.

Quanto all’ordine pubblico, Salvini la mette così: “C’è un capitolo cui tengo particolarmente che inasprisce le sanzioni per chi agisce con caschi, bastoni o mazze contro le forze dell’ordine: non sono le normali manifestazioni pacifiche e non penso che la libertà di pensiero di qualunque italiano passi attraverso strumenti di questo tipo”.

Intanto non si capisce quale epidemia di scontri di piazza abbia portato alla “necessità e urgenza” propria di un decreto, ma al di là di questo Salvini ha comunque compiuto il miracolo di scrivere un testo più repressivo della legge Reale e persino del codice Rocco.

In quest’ultima versione, va detto, non è più punito chi si protegge con uno scudo dalle manganellate, però se ci si nasconde il viso dietro un casco o una sciarpa durante un corteo diventa un delitto per cui si rischiano fino a tre anni di galera: se invece uno si travisa col casco fuori da una manifestazione niente delitto, resta la contravvenzione.

Poi c’è il nuovo reato di “lancio di cose” durante una protesta – anche qui fino a quattro anni di galera per un reato che esiste solo se commesso in un corteo – e l’inasprimento irragionevole delle pene per violenza, minaccia e pure l’innocua resistenza a pubblico ufficiale, ma anche per chi ostacola o interrompe un pubblico servizio durante un corteo (una carica?) fino all’altro nuovo reato per chi “distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui”. Sapete da domani quanto vale incrinare una vetrina? Cinque anni.

Torino-Lione, la nostra resistenza difende il Pianeta – In Italia e in Francia “non ci sono governi amici” – La resistenza continua

Comunicato Stampa

PresidioEuropa No Tav

12 giugno 2019

www.presidioeuropa.net/blog/?p=20094

Torino-Lione

La nostra resistenza difende il Pianeta

In Italia e in Francia “non ci sono governi amici” – La resistenza continua

Il Coordinamento dei Comitati NOTAV, in risposta al tentativo di usare i risultati elettorali europei per affermare un indebolimento dell’opposizione alla Torino-Lione, ha ricordato che il movimento ha sempre dichiarato che “non esistono governi o partiti amici”.

L’impegno popolare per fermare il progetto e le pratiche di lotta e resistenza hanno da sempre costituito la forza principale del movimento no tav per fermare il progetto.

L’impegno nasce dalla consapevolezza di costruire una reazione, non sarà accettato un disastro ambientale e finanziario.

Il Coordinamento dei Comitati ha ribadito che il cambiamento climatico impone a tutti i decisori di prendere provvedimenti immediati per diminuire l’impatto del CO2 sul clima, occorre quindi arrestare il progetto Torino-Lione.

Gli illusori miglioramenti previsti fra 20/30 anni con la messa in esercizio di un inutile mega tunnel ferroviario sono stati demoliti dagli stessi proponenti della Torino-Lione che hanno ammesso gli errori di valutazione delle previsioni di traffico a sostegno della realizzazione del progetto.

Ricordiamo che il Regolamento europeo CEF in vigore (cfr. L’articolo 17, il diritto dell’Italia di abbandonare il progetto Torino-Lione) non obbliga gli Stati membri a portare avanti un progetto, ancorché in parte già finanziato dalla Ue come la Torino-Lione.

Ogni Governo ha l’obbligo di ascoltare le opposizioni popolari che propongono argomenti decisivi per la difesa del Pianeta e delle risorse economiche del nostro Paese e dell’Europa. Solo politiche responsabili democratiche e partecipative possono dare un futuro di benessere al Paese.

Hanno partecipato ai lavori del Coordinamento due membri dell’associazione francese Vivre et Agir en Maurienne André Duplan e Philippe Delhomme (vice-sindaco di Villarodin Bourget), che hanno illustrato la situazione dei lavori in Francia, geognostici di TELT finanziati dall’Italia al 50% e ferroviari di SNCF Rete. In Italia il cantiere della Maddalena è fermo, avendo già terminato lo scavo della galleria geognostica.

Essi hanno ricordato che i lavori della discenderia di soli 4 km situata sotto il Comune di Villarodin Bourget avevano provocato nel 2007 la perdita totale delle sorgenti di questo paese, causando gravi problemi all’agricoltura locale e alla vita dei residenti: la costruzione del tunnel di base arrecherà danni ancora più ingenti agli acquiferi.

Già sono state abbattute una ventina tra abitazioni e edifici industriali con la perdita di circa 50 posti di lavoro fissi contro gli attuali circa 400 addetti temporanei che lavorano nel tunnel, destinati a essere presto lasciati a casa.

Sono stati distrutti 4 ettari di foresta perché la zona sarà adibita a deposito di smarino, che già è stato stoccato in varie altre zone della valle, e sono previste altre opere che andranno a deturpare il paesaggio e importanti siti storici.

Il governo francese ha ammesso che la linea esistente da Digione a Modane è sufficiente e il trasporto merci verso l’Italia può essere incrementato a 15 milioni di tonnellate/anno (pari al traffico di 20 anni fa!) solo con ammodernamenti, mentre ha rinviato a dopo il 2038 ogni intervento sulla linea tra Lione, Chambéry e Modane. Parliamo allora di Torino-Digione e non più di Torino-Lione!

È stato ricordato che il Governo italiano ha permesso a TELT di dare inizio alla prima tappa del “lancio delle gare per la costruzione del tunnel di base”, ossia la selezione delle imprese.

Questa tappa si è già conclusa con la risposta di interesse di oltre cento imprese che ora attendono che TELT decida il 28 agosto 2019 quali imprese dispongono delle capacità tecniche e dell’esperienza richieste per scavare il tunnel di base.

Nell’attuale situazione di incertezza e ambiguità governativa contro la Torino-Lione, il processo dell’assegnazione dei lavori, strettamente nelle mani del promotore TELT, potrebbe proseguire in modo incontrollato e non più arrestabile, con probabili conseguenze economiche devastanti già in questa fase di preselezione delle imprese.

Ricordiamo che Marco Ponti ha più volte ricordato che l’ACB negativa della Torino-Lione tale rimane anche se la UE la finanziasse a fondo perso al 100%.

Sono al corrente i Governi che per dare inizio ai lavori del tunnel di base è necessario il rispetto  del prerequisito indicato all’art. 16 dell’Accordo di Roma del 2012, ossia la disponibilità di tutti i fondi italiani e francesi per costruire tutti i 57 km del tunnel?

La Commissione europea ha recentemente proposto di finanziare dal 2021 al 55% i lavori del tunnel, uno stimolo a realizzare il progetto viste la difficoltà della Francia che non ha stanziato alcun fondo e dell’Italia con il suo enorme debito su Pil. Ci auguriamo che il neoeletto Parlamento europeo possa bocciare questa decisione al momento di votare il Bilancio 2021-2027.

In conclusione si è deciso di tenere un collegamento più stretto per lo scambio di informazioni tra le due valli che si oppongono al progetto della Torino-Lione, mentre è prevista a breve un’azione comune di confronto e di lotta tra le popolazioni francesi e italiane contrarie alla Torino-Lione.

ALGERIA E SUDAN A COLORI? LE CANTONATE DEGLI UTILI IDIOTI, LE MANOVRE DEGLI AMICI DEL GIAGUARO

https://fulviogrimaldi.blogspot.com/2019/06/algeria-e-sudan-colori-le-cantonate.html

MONDOCANE

MARTEDÌ 11 GIUGNO 2019

 

Sinistre burlesque e media a disposizione

Con tutti i tumulti, le sollevazioni, i casini che succedono in giro per il mondo, dal Sudan all’Algeria, da Haiti al Kazakistan, da Hong Kong all’Albania e in decine di altri posti, diventa sempre più difficile non prendere cantonate nelle analisi e distinguere il piombo dall’oro. Qualche criterio è relativamente affidabile. Quando il cattolico unanimismo destre in ghingheri e pseudo-sinistre in putrefazione sostiene un movimento di contestazione al governo ci sono buone ragioni per ritenerlo “rivoluzione colorata” mirante alregime change in un paese che non si allinea a ordini e strategie imperiali e globali. Quando il paese in questione si colloca storicamente fuori dal contesto Nato, nelle sue espressioni euro-atlantica, latinoamericana, araba, africana, c’è di nuovo motivo per giungere alla medesima conclusione, viste le pratiche sovversive impiegate dal consorzio anglosassone nel corso dei secoli in casi di non ottemperanza ai suoi interessi e diktat. Infine, e stavolta probanti, sono le caratteristiche formali, iconografiche, sociali, sloganistiche, tecniche, organizzative, di protagonisti e di contenuti, di sostegno esterno, come pedissequamente si ripetono di movimento in movimento, a partire dagli esordi in Serbia con Otpor, la Ong di tutte le Ong.

I “pugni” di Otpor

Le mie rivoluzioni colorate

Personalmente mi pregio di aver avuto qualche esperienza diretta di classica “rivoluzione colorata” gestita da un mix di ingenui, disperati, rivoluzionari della pippa  e grandissimi figli di buona donna, formati, istruiti, equipaggiati e finanziati come si deve e elevati nell’olimpo dei contestatori democratici dalle presstitute dei media, con più accanimento addirittura da quelli della pseudo sinistra. Senza quelle ai colorati verrebbe a mancare la maschera d’ossigeno. Da Belgrado a Caracas, da Tripoli a Damasco ho visto attuare, in assoluta analogia, gli insegnamenti del padre di queste sollevazioni dette pacifiche, Gene Sharp, esordiente a Tien An Men, e del suo strumento prediletto: Otpor.

 Da Adriano Colafrancesco

Due giganti dell’Africa che non chinano il capo

I due paesi sui quali si sono avventate in queste settimane le turbe indigene, infiltrate e manipolate dagli amici del giaguaro della rivincita coloniale, sostenute con occhiuta passione dai jihadisti mediatici dei diritti umani e della democrazia, li ho frequentati con simpatia e reciproco affetto: Algeria e Sudan. Nel Sudan capitai molte volte in transito verso l’allora rivoluzionaria e oggi fedifraga Eritrea. Lo girai in lungo e in largo, ne conobbi due capi di Stato. Visitai il Sud, Darfur e Kordofan,  le regioni sulle quali, dopo essersi mangiati il Sud petrolifero e cattolico, gli stessi dirittoumanisti Usa, UK, Nato, Vaticano, Israele, di ogni rivoluzione colorata contro qualche “dittatore”, così qualificato a dispetto di elezioni regolari, concentravano i loro appetiti. Nel Darfur, regione desertificata dal cambiamento climatico nostro, agricoltori stanziali e allevatori nomadi di bestiame si disputavano le residue risorse idriche. Conflitto a bassa intensità che lo divenne di alta grazie alle ingerenze delle solite Ong umanitarie che all’estero proiettavano uno scontro tra poveri contadini e feroci milizie governative dette Janjaweed. Operazioni analoghe si prospettavano per Nubia e Kordofan, ma per ora solo la secessione del Sud, ovviamente ora annegato nel sangue dalle rivalità tribali e rispettivi sponsor petrolieri, gli è riuscita. Adesso tocca al Sudan. da spartirsi nella sua interezza.

Darfur

Dell’Algeria ricordo un meravigliosa festival della Gioventù e degli Studenti cui convennero migliaia di giovani da tutti i continenti, sempre all’insegna del non allineamento e dell’antimperialismo. In tutti i due casi, i popoli attraversati e conosciuti mi hanno lasciato un’impronta di civiltà, umanità, generosità, passione patriottica, maturità intellettuale, coscienza antimperialista. Se misurati con i parametri che vanno per la maggiore nell’Occidente delle glorie capitaliste ed esportatrici di civiltà col ferro, col fuoco e con il liberalismo multinazionale, i governi di questi due più grandi paesi del Continente non superano la soglia del 5 su 10 per le organizzazioni transnazionali e del 2 su 10 dei media d’avanguardia, destri, sinistri e trotzkisti criptodestri che siano. E sicuramente anche ognuno di noi, come del resto, la parte in buonafede dei protestatari, avrebbe qualcosa da ridire se ci riferiamo al mondo platonico delle idee e trascuriamo le deformazioni subite nei secoli del colonialismo e il retaggio tribale millenario. E visto anche che, come nell’Egitto di Mubaraq, qualche buona ragione serpeggiava tra i manifestanti, prima che si inserissero Soros, la NED, la Cia e compagnia complottante. Resta in ogni caso, dal punto di vista politico e geopolitico, una norma irrinunciabile: meglio un governo anticolonialista e antimperialista, buono o cattivo che sia, di un governo succube o fantoccio del colonialismo-imperialismo, comunque la peggiore delle fetenzie per la sua gente. “Il manifesto” inverte il principio e sappiamo cos’è.

Mali, Ciad, Niger, RCA e tutto il Sahel sono sotto la ferula degli scarponi, dei terroristi lì seminati, dei militari e delle imprese estrattive francesi. La Libia è stata  sistemata da tutti noi.  Solo l’Egitto, nell’area, è sfuggito fortunosamente al cappio dei Fratelli musulmani (ma non al loro terrorismo). Sudan e Algeria figurano ora sulla lista delle priorità africane. Hanno colpe gravissime: non si sono mai schierati con le guerre occidentali  di liberazione degli arabi , trattengono buoni rapporti con Cina e Russia e, in una forma o nell’altra, insistono a inalberare il vessillo dell’autodeterminazione.

Sudan,  peccato mortale: non aver condiviso l’assalto a Iraq, Libia, Siria

Le bandiere dei “ribelli”

Dopo una secolare, feroce e predatoria occupazione dei britanniciil Sudan guadagna l’indipendenza formale nel 1956. Seguono alcuni regimi militari proconsolari sotto egida di Londra e poi, nel vento dal panarabismo antimperialista e di tendenza socialista, il nasseriano generale Jafar Nimeiry prende il potere e lo tiene fino al 1986 quando, nel contesto di una forte crisi economica, arriva l’ennesimo protetto di Londra, l’islamista conservatore e filoccidentale Sadiq al Mahdi. Tutto bene per l’Occidente finchè, nel 1989, ancora con un sollevamento e successivo colpo di Stato, prende il potere un altro generale, stavolta islamista, Omar al Bashir, che riporta il paese sulla traiettoria anticolonialista e perciò viene bombardato e sanzionato da Obama. La vendetta si consuma nel 2011, quando una guerra civile dalle centinaia di migliaia di morti, corona le cospirazioni di missionari cattolici, Israele e Usa e porta alla secessione del Sud, nuovo Stato fantoccio dell’Occidente. Inevitabile l’esito di una guerra tribale per il controllo dei giacimenti che dura da allora e ha fatto del Sud Sudan uno Stato fallito, se non per il contrabbando degli idrocarburi. All’occidente va bene così.

Con particolare fervore si dedicano al movimento di protesta, spuntato in Sudan nell’aprile scorso, che, ottenuta la rimozione del vecchio al Bashir, ora contesta il processo di transizione voluto dai militari per mantenere in piedi le istituzioni e arrivare  in tempi ragionevoli a un governo di riconciliazione. Il movimento non ci sta e vuole imporre subito un governo di civili a prescindere da elezioni. Soffiano sul fuoco da noi due giornali che si definiscono altri, il “manifesto” e il “Fatto Quotidiano” , l’uno nel segno di una politica estera che resta ancorata a quella dell’adorata Hillary Clinton, l’altro intrecciato a ogni prevaricazione imperialista. Ovviamente, nel deprecare il “malgoverno” e la crisi economica del paese, nessuno accenna al sabotaggio delle solite, micidiali sanzioni occidentali. La chiave d’interpretazione è applicata al Venezuela.

Algeria, peccato mortale: la vittoria sul colonialismo

Padri della patria: Ben Bella e Boumedienne

Dell’Algeria sappiamo qualcosa di più. Più vicina geograficamente, ma anche socialmente (tanti immigrati) e politicamente, in virtù dell’esemplare, lunghissima lotta di popolo  per cacciare i dominatori francesi, dal 1954 al 1962, e liberarsi di uno dei più sanguinari dominii coloniali di tutti i tempi. Lotta che ha innescato molte altre rivoluzioni anticoloniali e che è stata degnamente celebrata dal film di Pontecorvo “La Battaglia di Algeri”. Governata dall’indipendenza del 1962 ad oggi dalla forza che ne aveva guidato la lotta, il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN), a partire dai due padri della patria, Ben Bella e Boumedienne, l’Algeria, incomparabilmente più libera ed emancipata di altri regimi del Sud del mondo, è rimasta fino ad oggi sotto un governo, sì, civile, ma fortemente condizionata dai militari. Come in altri paesi usciti dal sottosviluppo, i militari costituiscono l’unica forza unificante nazionale, in grado, a seconda dei casi, di opporsi o di sottomettersi al revanscismo dell’antica potenza coloniale. Nella fattispecie dell’Algeria, seppure con un sistema istituzionale che è andato sclerotizzandosi e corrompendosi, il governo è riuscito a sbaragliare due tentativi coloniali di regime change. Negli ’90 quello dei Fratelli Musulmani, eterna quinta colonna del neocolonialismo e, per tutto l’arco dell’indipendenza, la sovversione filofrancese della minoranza berbera. Cara al “manifesto” e agli altri “liberaldemocratici” quanto i curdi amerikkkani di Siria.

Africa del Nord: arrivano Gene Sharp e Otpor

In entrambi i paesi, entrambi con strati di società tra i più evoluti della regione, ma ora percorsi dai fermenti del processo di destabilizzazione teorizzato de Gene Sharp e messo in atto ovunque dagli specialisti serbi di Otpo, sono evidentissimi i segni rivelatori di una cospirazione colorata. Un’ organizzazione perfettamente pianificata, con tendopoli di tende nuovissime spuntate da chissà dove, rifornimenti di vettovaglie e mezzi di comunicazione, trasporti da tutto il paese, una sloganistica e iconografia (immancabile il pugno di Otpor nelle sue varie soluzioni grafiche) curiosamente uniforme e uguale di paese in paese, un’attivazione sincronizzata e massiccia dei social media, ridiffusi in tutto l’Occidente. Atteggiamenti vantati pacifici all’inizio, con un tasso crescente di provocazioni nei confronti delle forze dello Stato, polizia e militari, con tanto di cecchini che tirano sia sui manifestanti che sulle forze dell’ordine, per poter poi denunciare repressioni che, al di là della realtà, nei media diventano subito “il bagno di sangue del dittatore”. L’obiettivo è l’azzeramento totale delle basi istituzionali del paese, costituzione compresa, il collasso economico e il conseguente caos. Ovviamente imputato al “regime”. Plastica rappresentazione ne  è stata Maidan a Kiev.

 Pugni di Otpor a Khartum

Sia in Sudan che in Algeria i manifestanti utilizzano le stesse modalità di mobilitazione e comunicazione. In Sudan, tolto di scena dai militari Omar el Bashir, per trent’anni al potere, a dispetto dei bombardamenti di Obama e delle trame che hanno portato via al paese la parte afro-cattolica zeppa di petrolio e altre risorse, l’organismo dei manifestanti, “Forze per la libertà e il Cambiamento” (FCC), ha occupato per due mesi il piazzale antistante la sede dell’esercito, ora del Consiglio Militare di Transizione (MTC). Incoraggiato dall’espulsione del Sudan dall’Unione Africana, ente dopo la caduta di Gheddafi a disposizione di ogni diktat interventista occidentale, il FCC ha interrotto ogni dialogo finalizzato a concordare un periodo di transizione di alcuni mesi per arrivare a un potere diviso tra civili (tra i quali sono presenti i redivivi Fratelli Musulmani) e militari, esigendo un impossibile passaggio immediato a un governo interamente di civili. Un governo dettato dalla sedizione.

Nello stallo è intervenuta a fianco dei rivoltosi un’organizzazione armata clandestina, Il “Movimento di Liberazione del Popolo Sudanese-Nord” (SPLM-N), spezzone di quel SPLM comandato da un generale sudanese passato agli ordini della Cia, John Garang, che condusse la guerriglia culminata con la secessione del Sudan del Sud. Inevitabile, forse,  la risposta dell’MTC, con lo sgombero violento del piazzale, definito covo di criminali, spacciatori e prostitute (cosa accertata anche a Tien An Men). I media occidentali , che denunciano il triplo delle vittime rispetto al dato delle autorità, e il papa si aspettavano forse l’intervento dell’Esercito della Salvezza. Del resto, pur registrata la vittoria nel Sud, il Vaticano ha di che lamentarsi del Sudan. Fino alle nazionalizzazioni di Nimeiry, i missionari comboniani (quelli di Zanotelli) avevano controllo e gestione del sistema sanitario e dell’apparato scolastico del paese. Con Nimeiry si è passati ai laici e, con Bashir, agli islamici.

Dopo il Sud, altri cinque regioni da spartirsi tra i revenants

Quello a cui dovrebbe portare la rivolta sudanese è un vecchio progetto formulato dagli anglosassoni e da Israele fin dai giorni dell’indipendenza. Dopo la separazione del Sud, quelle del Darfur, del Kordofan, della Nubia e del Nilo Blu, la divisione del grande paese multietnico e multi confessionale in cinque frammenti. Irrinunciabili sono, per i globalisti del neocolonialismo, i tesori del Sudan che controlla il tratto più lungo del Nilo. In primis petrolio, acqua, agricoltura. O il paese si stabilizza nelle condizioni attuali, con dalla sua Russia, Cina e gli arabi anti-Fratelli Musulmani. O entrano in campo anche militarmente gli ispiratori della rivolta, Usa, Nato, Qatar e Turchia. Male che vada, il caos di lunga durata.

Seppure parecchio attenuata, la mobilitazione di massa algerina dura da marzo. Con esattamente le stesse caratteristiche di quella del Sudan e dei suoi precedenti. L’obiettivo iniziale, condivisibile da chiunque, di un alt al quinto mandato del presidente Bouteflika, sopravvissuto della generazione rivoluzionaria, ma ridotto all’incapacità fisica e politica da anni, è stato subito recepito dai capi delle Forze Armate. A Bouteflika è stato imposta la rinuncia e nei confronti dei manifestanti, guidati dai partiti e sindacati d’opposizione, con in prima fila le formazioni della Kabila (berberi), le istituzioni hanno mantenuto, a dispetto delle bufale dei media, un atteggiamento di eccezionale moderazione. Con in mano il potere effettivo, quello insostituibile dell’unico apparato in grado di sostenere l’unità del paese e opporsi a manovre esterne, il capo di Stato Maggiore Gaid Salah, e il presidente ad interim Bensalah, già presidente del Senato e quindi titolare legittimo della carica, hanno ripetutamente proposto ai manifestanti libere elezioni presidenziali. Prima per il 4 luglio e successivamente, vista l’inspiegabile rifiuto di coloro che rivendicano maggiore democrazia, in altra data. Ma chi guida la rivolta non ne vuole sapere. Tutto subito ai civili è nient’altro che l’opzione colpo di Stato.

Otpor in Algeria

Tra i manifestanti,  visibilmente omologhi alle altre rivoluzioni colorate, e le Ong dei “diritti umani”, spuntate come funghi e attivissime (tanto che si è proceduto all’arresto di alcune di dichiarata matrice estera), appare preferita l’opzione di un sempre più intenso scontro con le istituzioni e il dettato costituzionale, a elezioni del cui esito non hanno affatto certezza. E già questo, oltre ai sempre ricorrenti paraphernalia e gadgetistica di Otpor ci chiarisce le forze in campo.

Le conclusioni sono le stesse che valgono per il Sudan e, in questa fase, anche per Hong Kong e per il Kazakistan, dove un vecchio arnese della delinquenza finanziaria, bancarottiere inseguito da procure di vari paesi, il noto Ablyazov, marito della presunta martire di Alfano, Shalabayeva, prova a dirigere da Parigi una microcrivoluzione colorata dopo che il nuovo presidente aveva vinto le elezioni con oltre il 70%. Strati ansiosi di neoliberismo e di forte accentuazione delle disuguaglianze sociali a proprio favore, grazie al turbo capitalismo marca Usa e UE, sono mandate allo sbaraglio dal concorso di multinazionali bulimiche e livellatori della globalizzazione. Dato che il pretesto dei diritti umani non è credibile in chi né è il massimo violatore, ecco che i pretesti veri sono, oltre all’eterno dittatore, i buoni rapporti di questi paesi con Russia e Cina. La cui Via della Seta e Organizzazione di Cooperazione  di Shanghai hanno allargato il raggio d’azione e risultano assolutamente detestabili ai globalisti dell’unica potenza mondiale. Quella “eccezionale”.

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 19:59

La sinistra resta prigioniera della crescita

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2019/06/11/la-sinistra-resta-prigioniera-della-crescita/5246338/

Uno dei responsi delle ultime elezioni europee è stato il fallimento dell’ennesimo tentativo di ridare vita alla sinistra, inevitabile sanzione del rifiuto di prendere atto della sua sconfitta definitiva sotto le macerie del Muro di Berlino.

Un rifiuto che nasce dall’incomprensione della differenza tra la pulsione all’eguaglianza e alla collaborazione, insita nell’animo umano, e la concretizzazione storica che ne ha dato la sinistra.

È questa concretizzazione storica, durata appena due secoli, a essere stata sconfitta dalla destra, che a sua volta è stata la contemporanea concretizzazione storica della pulsione, anch’essa insita nell’animo umano, alla diseguaglianza e alla sopraffazione.

Le sinistre hanno condiviso con le destre la valutazione positiva della finalizzazione dell’economia alla crescita della produzione di merci, l’identificazione del benessere con la crescita dei consumi e della ricchezza col denaro.

Si sono scontrate con le destre sui criteri di distribuzione del profitto generato dalla crescita.

Le destre sostengono che devono essere stabiliti dal mercato, le sinistre dallo Stato con tassazione progressiva dei redditi e servizi sociali.

Da questa impostazione deriva che una più equa distribuzione della ricchezza monetaria a vantaggio delle classi sociali più povere accresce la quota dei profitti destinata ai consumi a scapito degli investimenti, mentre una più iniqua a favore delle classi sociali più ricche riduce la quota dei profitti destinata ai consumi e accresce quella destinata agli investimenti.

Poiché la crescita dipende dagli investimenti, le economie più eque fanno crescere di meno l’economia e le economie più inique la fanno crescere di più.

Se si ritiene, come hanno ritenuto le sinistre, che una maggiore equità si possa perseguire soltanto se cresce l’economia, le destre prevalgono.

Contrariamente a quanto hanno creduto le sinistre, la finalizzazione dell’economia alla crescita non crea le condizioni per una maggiore equità.

Tantomeno ora che la crescita della produzione e del consumo di merci ha superato i limiti della sostenibilità ambientale: le emissioni di CO2 eccedono le capacità di assorbimento della fotosintesi clorofilliana e aggravano l’effetto serra; negli oceani galleggiano ammassi di plastica grandi come gli Stati Uniti; la biodiversità si riduce a ritmi accelerati, la fertilità dei suoli agricoli si è dimezzata

Le conseguenze della crisi ecologica innescata dalla crescita economica vengono pagate in misura maggiore dai popoli poveri, accrescendo le diseguaglianze.

Una maggiore equità si può realizzare solo indirizzando la politica economica e industriale a ridurre la crisi ecologica mediante tecnologie che riducono il consumo di risorse, l’inquinamento e i rifiuti per unità di prodotto.

Invece di lavorare in questa direzione i sostenitori della sinistra e i sedicenti post-ideologici s’impegnano a competere con le destre nell’elaborazione di proposte per rilanciare la crescita.

Proposte a carico del debito pubblico: secondo le destre per rilanciare gli investimenti in opere di cui non ha importanza l’utilità; secondo le sinistre e i sedicenti post-ideologici per accrescere i consumi degli strati sociali più svantaggiati.

Il punto centrale delle proposte politiche di tutti i partiti sia la richiesta all’Unione europea di derogare dai limiti imposti all’indebitamento pubblico.

Non li sfiora l’idea che i debiti con cui, nonostante le smentite dei fatti, si presume si possa rilanciare la crescita, verranno pagati dai bambini che non li hanno contratti.

C’è maggiore ingiustizia di quella che colpisce coloro che non possono difendersi?

Invece di proporsi l’obiettivo velleitario di ricostituire la sinistra, non sarebbe meglio proporsi di rilanciare gli ideali dell’equità e della collaborazione liberandoli dai limiti con cui sono stati interpretati storicamente dalla sinistra in tutte le sue sfumature?

VU DES USA : RIEN ‘NE MODIFIERA FONDAMENTALEMENT L’ALLIANCE STRATEGIQUE ENTRE WASHINGTON ET ANKARA’(‘GEOPOLITICAL FUTURES) !

 

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Flash Info Géopolitique/ Geopolitical Flash News/

2019 06 10/ #027-2019
FLASH.GEOPOL - 026 - Vu des usa incirlik (2019 06 10) FR

Le site GEOPOLITICAL FUTURES du géopoliticien américain de premier plan Georges Friedman (ex patron du Think tank STRATFOR) publie ce 19 avril une infographie sur la base de l’US Army et de l’OTAN à Incirlik en Turquie …

LE COMMENTAIRE DE LUC MICHEL

Depuis que certains adeptes de la « géopolitique de l’émotion » se méprennent sur ce qu’ils appellent « un tournant géopolitique », je n’ai cessé de dénoncer la duplicité d’Erdogan dans sopn soi-disant « rapprochement avec la Russie ». L’actuelle bataille d’Idlib fait se terminer ce pseudo « rapprochement », officialisé par le Processus d’Astana et les Accords de Sotchi, dans un impasse politique et une confrontation militaire entre l’Armée turque alliée aux djihadistes ‘qaidistes’ (Front al-Nosra et cie) et les Armées russo-syriennes. Le projet géopolitique d’Erdogan, « Néoottoman », ne peut se réaliser que sous le parapluie géopolitique américain (« grand Moyen-Orient » ou « printemps arabe ») et en alliance avec l’OTAN, dont Ankara reste un des membres principaux (comme elle l’a rappelé au Sommet de Bruxelles en juillet 2018).

Le 19 avril dernier, ‘Geopolitical Futures’, le site de Georges Friedman, ex Boss du Think Tank ‘Starfor’ et figure de proue de la Géopolitique américaine, partage mon point de vue. Et le démontre avec une vision américaine du Dossier turco-américain et de ses fâcheries actuelles : « Aucune de ces questions ne modifiera fondamentalement l’alliance stratégique entre Washington et Ankara » …

QUE DIT ‘GEOPOLITICAL FUTURES’ ?

« AU-DELA D’INCIRLIK » (BEYOND INCIRLIK, 19 AVRIL 2019)

‘Geopolitical Futures’ dresse un tableau des relations turco-américaines, qui se sont compliquées sous Trump. Au cœur de celle-ci, instrument de pression et de chantage pour les deux parties, mais surtout pour Erdogan, la plus grande base de l’OTAN en Méditerranée : Incirlik, « essentielle pour les opérations américaines au Moyen-Orient » ! « La base aérienne turque est devenue un sujet de discorde dans les négociations entre Washington et Ankara », affirme encore le site de Georges Friedman :

« Les relations américano-turques sont tendues. La Turquie est frustrée par le soutien des États-Unis aux groupes kurdes en Syrie. Le président turc Recep Tayyip Erdogan est toujours furieux que Fethullah Gulen, le clerc qui, selon Erdogan, ait orchestré la tentative de coup d’État de 2016, reste ancré dans les Poconos. Les deux pays sont actuellement dans l’impasse sur l’acquisition par la Turquie des systèmes de défense antimissile russes S-400. Aucune de ces questions ne modifiera fondamentalement l’alliance stratégique entre Washington et Ankara, mais il pourrait y avoir des conséquences à court terme si les deux ne peuvent pas faire de compromis là où cela compte le plus. »

Le site de Friedman évoque alors la base d’Incirlk :

« La Turquie dispose d’un atout majeur sur les États-Unis: la base aérienne d’Incirlik. Les États-Unis y ont une présence militaire permanente depuis 1954 (ils possèdent encore jusqu’à 50 bombes à gravité B61, une arme nucléaire tactique, à Incirlik). La base a été essentielle pour les opérations américaines au Moyen-Orient, même si elle a toujours été un sujet de discorde. Lorsque la Turquie a envahi Chypre en 1974, les États-Unis ont imposé un embargo sur les armes, et Ankara a répliqué en bloquant l’accès américain à Incirlik pendant cinq ans (bien que les forces de l’OTAN aient pu continuer à utiliser la base). Au fil des ans, la Turquie a tenté de limiter l’activité des États-Unis à la base de différentes manières. Plus récemment, en 2003, la Turquie a empêché les États-Unis d’utiliser Incirlik pour soutenir son invasion de l’Irak. Au cours des négociations entre Washington et Ankara sur les achats d’armes à la Turquie, Incirlik a été évoquée par les deux parties. La Turquie a menacé de restreindre davantage l’accès des forces américaines. des fins tout aussi bien. (Il est également intéressant de noter que les États-Unis négocient actuellement pour étendre leur présence militaire en Grèce, l’un des adversaires de la Turquie.) Sur la carte ci-dessous, nous examinons ces alternatives. »

# LES ANALYSES DE REFERENCE SUR

LUC MICHEL’S GEOPOLITICAL DAILY

* LE SOI-DISANT ‘RAPPROCHEMENT RUSSO-TURC’(II) :

COMMENT LES PROJETS GEOPOLITIQUES NEOEURASISTE RUSSE ET TURC (INTEGRATION DANS L’UE OU PANTOURANISME) SONT ANTAGONISTES !?

sur http://www.lucmichel.net/2017/11/08/luc-michels-geopolitical-daily-le-soi-disant-rapprochement-russo-turcii-comment-les-projets-geopolitiques-neoeurasiste-russe-et-turc-integration-dans-lue-ou/

* QUI REFUSE LA PAIX EN SYRIE ? (I) :

ERDOGAN ENTRE CONSTANCE IDEOLOGIQUE NEO-OTTOMANE ET OPPORTUNISME GEOPOLITIQUE

sur http://www.lucmichel.net/2017/12/27/luc-michels-geopolitical-daily-qui-refuse-la-paix-en-syrie-i-erdogan-entre-constance-ideologique-neo-ottomane-et-opportunisme-geopolitique/

* Voir aussi Luc MICHEL, EODE THINK TANK/ GEOPOLITIQUE/

QUEL SOI-DISANT ‘RAPPROCHEMENT TURCO-RUSSE’ ? ERDOGAN REUSSIT SON COUP DE POKER OPPORTUNISTE !

sur http://www.lucmichel.net/2016/08/24/eode-think-tank-geopolitique-quel-soi-disant-rapprochement-turco-russe-erdogan-reussit-son-coup-de-poker-opportuniste/

(Infographie : ‘Geopolitical Futures’)

(Traduction de l’anglais vers le français : LM)

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE

(Infos géopolitiques en bref /

Complément aux analyses quotidiennes de Luc Michel)

* Avec le Géopoliticien de l’Axe Eurasie-Afrique :

Géopolitique – Géoéconomie – Géoidéologie – Géohistoire –

Géopolitismes – Néoeurasisme – Néopanafricanisme

(Vu de Moscou et Malabo) :

PAGE SPECIALE Luc MICHEL’s Geopolitical Daily

https://www.facebook.com/LucMICHELgeopoliticalDaily/

________________

* Luc MICHEL (Люк МИШЕЛЬ) :

WEBSITE http://www.lucmichel.net/

PAGE OFFICIELLE III – GEOPOLITIQUE

https://www.facebook.com/Pcn.luc.Michel.3.Geopolitique/

TWITTER https://twitter.com/LucMichelPCN

* EODE :

EODE-TV https://vimeo.com/eodetv

WEBSITE http://www.eode.org/

MALI. PEULS VS DOGONS: UNE CENTAINE DE MORTS DANS UN NOUVEAU CARNAGE !

REVUE DE PRESSE AFRICAINE …

2019 06 10

PANAFNEWS-RP 031b

Après n’être pas parvenue à imposer son plan de découpage du grand Mali, avec à la clé la séparation de l’Azawad au nord, Paris travaille depuis quelque temps à la problématique intercommunautaire. Luc Michel, géopoliticien, revient sur ce sujet et révèle les dessous du massacre des Peuls au Mali.

* Peuls contre Dogons :

Voir l’analyse du géopoliticien Luc MICHEL

Pour le ZOOM AFRIQUE de PRESS TV (Iran)

sur https://www.presstv.com/DetailFr/2019/04/05/592621/Mali-la-stratgie-rampante-de-Barkhane

Video aussi sur https://www.youtube.com/watch?v=UKdjuAl4pMQ

# MALI:

UNE CENTAINE DE MORTS DANS UN NOUVEAU “CARNAGE”,

LE GOUVERNEMENT APPELÉ À AGIR

AFP

PANAFNEWS-RP 031c

Une centaine de morts, des maisons incendiées, des animaux abattus: une attaque a ravagé un village dogon du centre du Mali, ensanglanté par un cycle d’atrocités entre communautés de plus en plus antagonistes, pour lequel l’ONU a appelé lundi à un “sursaut national”.

Cette attaque, dans la nuit de dimanche à lundi, contre un village de la zone de Bandiagara, à l’est de Mopti, fait suite au massacre le 23 mars de quelque 160 Peuls attribuée à des chasseurs dogons dans cette région, proche de la frontière avec le Burkina Faso, devenue la plus violente du pays.

Depuis l’apparition en 2015 dans le centre du groupe jihadiste du prédicateur Amadou Koufa, recrutant prioritairement parmi les Peuls, traditionnellement éleveurs, les affrontements se multiplient entre cette communauté et les ethnies bambara et dogon, pratiquant essentiellement l’agriculture, qui ont créé leurs “groupes d’autodéfense”.

“Des hommes armés, soupçonnés d’être des terroristes, ont lancé un assaut meurtrier contre le paisible village de Sobame Da”, également connu sous le nom de Sobane-Kou, a indiqué le gouvernement.

Le bilan provisoire “fait état de 95 morts et de 19 portés disparus, plusieurs animaux abattus et des maisons incendiées”, précise le gouvernement, dénonçant un “carnage”.

“C’est un village dogon qui a été quasiment rasé”, a confié une source de sécurité malienne sur place. Un élu local a évoqué des “corps calcinés”.

* Info intéressante non commentée. MAIS A lire avec esprit critique (média occidental) …

https://www.lepoint.fr/monde/mali-une-centaine-de-morts-dans-un-nouveau-carnage-le-gouvernement-appele-a-agir-10-06-2019-2318047_24.php

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