L’ALTRO 2 GIUGNO: GARIBALDI NON DEVE MORIRE ——- NIENTE RADICI NIENTE PRIMAVERE

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MONDOCANE

LUNEDÌ 3 GIUGNO 2019

“Il metodo più efficace per distruggere un popolo è negare e cancellare la sua comprensione della propria storia”. (George Orwell)

https://www.youtube.com/watch?v=OSzw_O5v6Cc da ascoltare in sottofondo

L’altro giorno, in occasione della Festa della Repubblica, che qualcuno ha percepito come Festa delle Forze Armate, Olimpo della Repubblica, ci siamo occupati di quei tre generali, tutti ex-capi di Stato Maggiore, tutti dell’Aeronautica, che hanno rifiutato di presenziare alla parata militare in via dei Fori Imperiali. La motivazione? Una ministra della Difesa troppo pacifista (per costoro il pacifismo, seppure nella forma ridotta di un limite alla prevalenza delle ragioni  e spese di guerra, è diventata una colpa, un delitto), si sarebbe addirittura permessa di tagliare le pensioni d’oro (2% su 100mila euro e passa), come a tutti i “dorati” delle Istituzioni, di mettere il becco nella valutazione delle carriere con le loro porte girevoli tra FFAA e industrie, di far sfilare dei civili davanti ai baldi militi, di sostenere il sindacato dei soldati, di tergiversare sull’acquisto di quello che viene definito il peggiore prodotto del complesso militar-industriale Usa, l’F35 e tanti altri misfatti.

Noi avremmo voluto chiedere a questi signori cosa gli impedisce, a un quarto di secolo, di parlarci di chi ha voluto far ammazzare i miei colleghi al TG3, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin e, per depistare, ha fatto fare 17 anni di galera all’innocente somalo Hashi Omar Hassan (e, non fosse stato per “Chi l’ha visto”, sarebbe ancora dentro).

Noi vorremmo contrapporre a questi generali, sui quali il Fatto Quotidiano ha fatto una precisa prima pagina, un altro generale. Sempre in occasione del 2 giugno, ormai per fortuna superato, con tutti i suoi clangori marziali e le uscite inopportune e inconsapevoli di Roberto Fico. Meritevole di essere festeggiato più di qualsiasi altro pari grado della storia patria, che poi è andata vantando tipi come il Bava Beccaris, macellatore savoiardo di lavoratori, il fucilatore dei propri soldati e fallimentare stratega savoiardo Cadorna, lo stragista fascista Graziani, il fellone savoiardo Badoglio. Giuseppe Garibaldi, il 2 giugno 1882, muore a Caprera, dove s’era ritirato per disgusto dell’Italia dei Savoia, del Vaticano e di De Pretis. Non cosmopolita dell’indistinto, ma internazionalista delle nazioni, sull’altare dei nostri penati non deve morire mai.

So benissimo che ora meridionalisti e neoborbonici mi scaglieranno addosso le solite frecce acuminate con le quali trafiggono qualsiasi mio riferimento al Risorgimento. Ma continuo a considerare il Risorgimento di Garibaldi, Mazzini, Pisacane, Mameli, dei Bandiera e dei tanti altri, caduti tra Napoli, Roma, Venezia e le guerre d’indipendenza, il momento più alto, generoso, pulito, della nostra Storia nazionale. L’unico antimperialista, prima della stagione dei partigiani.. Con tutte le insufficienze, le cadute, gli errori, le atrocità che accompagnano i grandi rivolgimenti. Che non sono mai pranzi di gala. Abbiamo conquistato quella unità della nostra comunità storica, territoriale, linguistica, culturale, geografica, di intenti, che è un bene del quale oggi i predatori globalizzanti cercano a forza di guerre economiche e psicologiche di privarci.

Garibaldi di questo processo è stato il nobilissimo protagonista. L’eroe. Con tutti i suoi difetti e le sue azioni sbagliate e improvvide, come sono anche ricordate nel testo storico che ho ricevuto e qui pubblico. Ci sarà un motivo per cui le Brigate Garibaldi dalle liberazione della patria dal nazifascismo hanno messo il nome dell’eroe dei due mondi sui loro vessilli. O erano sovranisti, nazionalisti, populisti anch’essi?

Fanno di tutto, i globalisti del capitalismo planetario e autocratico, per recidere le nostre radici, garanzia di vita e di nuove primavere del tronco, per privarci dell’anima, del nome, dell’identità. Prendendosela col sangue, che è qualcosa di più dei globuli rossi o bianchi, e che ci accusano di interpretare come lo concepirono quelli della razza superiore (ce ne sono anche oggi, in forma di Stato, belli rispettati), fanno passare lo jus soli, una terra concepita come mensa dei nomadi poveri. Il famigerato manzoniano volgo disperso che nome non ha.E lo strumento immediato per ridurci così sarebbe quel mostruoso, malavitoso e abusivo leviatano che è la UE, azzeratrice per conto USA della conquista della libertà. Vedi Grecia. 

Ci  dicono, con intento  diffamatorio, “sovranisti “, affiancando ai patrioti veri, tromboni simulatori che sovranisti si proclamano mentre non sono che una manovra di dequalificazione del concetto di sovranità popolare e nazionale al servizio dello stesso capitalismo planetario autocratico. Come disvela ll criminale progetto di annullare secoli di lotta e sangue, frantumando il paese in frammenti dove il Nord ritorna a divorare il Sud, mentre si offre al servizio di chi è ancora più a Nord. Servi dei più potenti, che della propria sovranità fanno lo strumento militare, economico, istituzionale, mediatico, per negarla agli altri. Ai deboli. Dominanti e dominati. E di mezzo i raccattapalle. Popolo ed élite, dicotomia che è diventato politicamente scorretto riconoscere.

Negando la nostra storia, neghiamo chi siamo e facciamo da palo ai rapinatori. Non abbiamo i loro eserciti, le loro banche, la loro industria della manipolazione. L’unico modo per salvarci è una nostra superiore coscienza nazionale e volontà di autodeterminazione. Viva Garibaldi. Gramsci è d’accordo. E il sinistro rinnegato e il destro venduto, peste li colga.

Paola Claudio Munzi Tosi

2 giugno 2017 ·

Anniversario della Repubblica?
Mah! Sappiamo che fin dalla nascita questa “repubblica” è stata condizionata dall’imperialismo americano che ha provocato la caduta del governo Parri, l’unico governo che voleva un’Italia veramente democratica, popolare e sovrana, e perciò autenticamente repubblicana, pur avendo operato sotto la forma istituzionale monarchica.
Per questo, per la giornata di oggi proponiamo un’altra memoria:

MEMORIA 2 giugno

Il 2 giugno 1882 muore nella sua casa nell’isola di Caprera (Sassari) dopo una breve malattia GIUSEPPE GARIBALDI (74 anni) patriota Risorgimentale condottiero rivoluzionario uomo politico e Padre della Patria. Fu Padre e difensore della Repubblica Romana del 1849.
Noto anche con l’appellativo di “Eroe dei due mondi” per le sue imprese militari compiute sia in Europa sia in America Meridionale, è la figura più rilevante (insieme a Mazzini e a Cavour) del Risorgimento e protagonista controverso dell’unificazione italiana. Lo scrittore francese Victor Hugo ( 1802- 1882) che lo conobbe scrisse di lui:
“Garibaldi cos’è Garibaldi? E’ un uomo niente altro che un uomo. Ma un uomo in tutta l’accezione sublime del termine. Uomo della libertà uomo dell’umanità. ”Vir“ direbbe il suo compatriota Virgilio.”
La popolarità di Garibaldi, la sua capacità di sollevare le folle e le sue vittorie militari diedero un contributo determinante all’unificazione dello Stato italiano premiandolo con una popolarità enorme tra i contemporanei – solo a titolo di esempio si possono citare le trionfali elezioni (nel 1860, nel 1861 al Parlamento subalpino poi italiano e nel 1874 eletto deputato del Regno d’Italia) e il trionfo che gli venne tributato a Londra nel 1864. Numerose furono anche le sconfitte fra le quali particolarmente brucianti furono quelle di Roma (1849) dell’Aspromonte (1862) e di Mentana (1967): queste ultime due lo opposero a una parte rilevante dell’opinione pubblica italiana che in tutti gli altri episodi della sua vita lo aveva grandemente amato.
Nonostante la sua profonda stima nei confronti di Mazzini (Garibaldi aveva iniziato la sua avventura di patriota subito dopo aver aderito alla Giovine Italia nel 1833) ebbe forti dissidi con lui circa l’atteggiamento da tenere nei confronti di Casa Savoia: infatti Garibaldi accondiscese a divenire sostenitore della monarchia sabauda (pur essendo convinto repubblicano) finché questa dimostrasse di credere fermamente nella causa italiana e assumendo la guida dell’esercito piemontese contro l’Austria (1858-59).
Garibaldi, pur ritenendo lecita l’uccisione di nemici in battaglia e traditori in tempo di guerra, a partire dal 1861 si batté per l’abolizione della pena di morte proponendo varie volte una legge che la abolisse nel Codice penale vigente. Un altro grande impegno di Garibaldi fu quello per la pace tra i popoli: nonostante le numerose guerre egli riteneva lecito usare la forza militare solo per liberare le nazioni e difendersi dai nemici, manifestando altrimenti una forte convinzione pacifista e umanitaria. Per questo avversò sempre con forza le mire espansionistiche coloniali che da subito animarono il giovane Regno d’Italia affermando che se l’Italia avesse tolto la libertà e la sovranità ad un altro popolo egli avrebbe combattuto con quel popolo contro gli italiani.
Garibaldi criticò le misure prese contro il brigantaggio meridionale postunitario dal nuovo governo italiano, come l’uso della legge marziale e la feroce repressione; nonché la rigida estensione della leva militare obbligatoria piemontese al sud Italia che giudicava controproducente preferendo l’entusiasmo volontaristico che aveva animato i suoi eserciti. Nel 1868 scrisse all’attrice Adelaide Cairoli:
“Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Sono convinto di non aver fatto male nonostante ciò non rifarei oggi la via dell’Italia meridionale temendo di essere preso a sassate essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio.”
Garibaldi fu un grande amante della natura e degli animali: questo grande amore si palesò quando nel 1871 anno nel quale Giuseppe Garibaldi, su esplicito invito di una nobildonna inglese lady Anna Winter contessa di Southerland, incaricò il suo medico personale di costituire una Società per la Protezione degli Animali annoverando la signora Winter e Garibaldi come soci fondatori e presidenti onorari; oggi la società è nota come Ente Nazionale Protezione Animali (ENPA). Attualmente l’ENPA è il più antico e importante ente di protezione e salvaguardia animale in Italia. In seguito a queste riflessioni e azioni animaliste Garibaldi divenne quasi vegetariano in tarda età e rinunciò alla caccia (che era stata una sua grande passione fin da giovane) in nome del rispetto della vita degli animali.
Garibaldi fu notoriamente uomo di costumi semplici e quasi vicino alla povertà non avendo mai in alcun modo approfittato in senso personale di vittorie militari e politiche e della fama straordinaria di cui godeva. Cercò di guadagnare qualcosa per vivere scrivendo libri e con il lavoro agricolo nella sua Caprera e usò lo stipendio di parlamentare per aiutare le famiglie dei reduci dei “Mille” che non avevano ricevuto alcun riconoscimento economico dallo Stato. E soprattutto conservò un forte tratto di umiltà e di rifiuto di apparire come “prima donna“: il 26 gennaio 1875 Garibaldi all’ età di 67 anni è a Roma per prendere possesso del suo scranno in Parlamento come deputato del Regno d’ Italia. Il giorno stesso del suo arrivo giunge a Montecitorio accolto dai deputati della Sinistra con grandi applausi che s’interrompono solo quando il generale pronunzia il giuramento. Poi chiamato al balcone della casa dove abitava a Roma dagli applausi scroscianti della folla e infastidito dall’eccessivo entusiasmo pronunciò la famosa frase: «Italiani siate seri!».
Il 27 settembre 1880 Garibaldi si dimette dal Parlamento prevedendo la non attuazione dei suoi ideali politici e in segno di protesta si ritira definitivamente a Caprera. Nella lettera di dimissioni dichiara che non intende più far parte dei
«legislatori in un Paese dove la libertà è calpestata e la legge non serve nella sua applicazione che a garantire la libertà ai gesuiti e ai nemici dell’ unità d’ Italia… Tutt’altra Italia io sognavo nella mia vita non questa miserabile all’interno e umiliata all’estero ed in preda alla parte peggiore della nazione.”
Ebbe tre mogli ( tra le quali spicca la prima ANITA GARIBALDI (1821- 1849)) e sette figli.

FORZA E ONORE!

Gruppo Laico di Ricerca.
http://www.gruppolaico.it

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 20:27

C’È QUALCOSA DI NUOVO OGGI NELL’ARIA, ANZI DI SUDAMERICANO——- 2 GIUGNO: STELLETTE CONTRO LE STELLE

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MONDOCANE

SABATO 1 GIUGNO 2019

 

https://www.youtube.com/watch?v=JfjMrOEWQrk  da sentire come sottofondo

Succede che certe volte i governi, specie quando capita per sbaglio che siano, almeno parzialmente, espressione genuina del popolo, dirazzino e si dimentichino il motivo per il quale stanno lì. Che è, tra le altre cose e in prima linea, quella di sostenere, onorare, rafforzare e retribuire chi ha il gravoso compito di difendere i sacri confini della patria, che siano al Brennero, in Crimea, Etiopia, Somalia, Serbia, Libia, Iraq, o Afghanistan. E anche l’onere e l’onore di stare a fianco, costi quel che possono costare 90 F35, di coloro che stanno sopra di noi. Queste dimenticanze da parte di governanti che insistono a voler essere civili e non uniformati, il popolo le paga. Pensiamo al Cile, all’Argentina, a tutto il Sudamerica (escluso il Venezuela, dove un fenomeno del tutto anomalo e contrario ha infranto la regola).

Succede che tre dei più illustri nostri generali, pluridecorati per meriti acquisiti nelle campagne per la democrazia e i diritti umani, che hanno fatto il lustro del nostro paese e offerto alle giovani generazioni esempi di amor di patria e di vittoria, rispettivamente già capi di Stato Maggiore della Difesa e capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, alla parata militare del 2 giugno non ci sono voluti andare.

Rinunciare a vedere sfilare, al suono di esaltanti marce e fanfare, i corpi reduci da guerre di liberazione, come quelle sopra elencate, e candidati a chissà quali nuove imprese di diffusione della civiltà, magari in Iran, Russia, Cina, perdersi quei momenti di batticuore, tensione muscolare e spirituale, che valgono la sopportazione di un resto dell’anno alle prese con politici che remano contro, con opinioni pubbliche corrotte da turpi messaggi culturali, tipo il devirilizzante “love and peace”, deve essere stato causato da qualcosa di molto, molto grave.

Qualcosa di davvero scellerato, che si è abbattuto come un infausto ciclone sulla nobile selva dei nostri monumenti e lapidi, sparsi dal più grande al più piccolo borgo della nazione, in memoria dei generali che hanno saputo opporre all’invasore straniero i corpi di 600mila nostri eroici cittadini (in buona parte anche da essi fatti fucilare perché in errore di direzione d’assalto); di quegli altri che, sfoltendo le turbe di selvaggi con gli scintillanti strumenti della tecnologia e chimica italiana, hanno portato tra faccette nere e brune la prestanza del maschio italico e il suo retaggio di civiltà; di coloro, ancora, che alle popolazioni stremate dal bolscevismo, hanno offerto il conforto di chi per riscattarle ha lasciato tra le loro nevi la propria pelle e i propri scarponi di cartone. Si potrebbe proseguire su questa strada lastricata di eroismo degli umili, di sublime scienza strategica dei rispettivi comandanti, di sacrifici alla patria e all’umanità, offerti con spirito stoico e coscienza di missione civilizzatrice da operai, contadini, poeti e navigatori della patria italiana. Nel senso, largo e generoso, di patria prima germanica e poi atlantica.

Ma veniamo al fatto. Uno dei generali, Tricarico, ha dichiarato di non poter partecipare perché “sarebbe ipocrita applaudire i nostro soldati in compagnia di soggetti che stanno contribuendo a un progressivo e, per certi versi, irreversibile indebolimento delle Forze Armate”. E ha aggiunto: “Una componente della maggioranza gialloverde sta portando avanti un atteggiamento ostile nei confronti di una delle poche istituzioni che funzionano bene in Italia: le Forze Armate”. A qualcuno di noi, mosso daodio di classe, come denuncia il generale Arpino, un pensiero cattivo e fazioso è corso a Emanuele Scieri della Folgore, a Stefano Cucchi della stazione CC di Tor Sapienza, ma anche a qualche distesa di macerie scavalcate a Belgrado, Baghdad, Mogadiscio e Tripoli. Effetti collaterali dell’istituzione che funziona meglio in Italia.

A sua volta, un altro generale, Camporini, dichiara di non voler assistere alla parata perché “troppe sono le disattenzioni del governo nei confronti dei tempi della Difesa, spesso snaturata con un’ipocrita enfasi sul ‘Dual use’ … da dichiarazioni di vuoto pacifismo del presidente del Consiglio… e potrei continuare”. E chissà come avrebbe potuto continuare se quel pacifismo anziché “vuoto” fosse addirittura pieno, mentre comprendiamo il suo risentimento rispetto a militi che, anziché offrire il petto al fuoco nemico il fuoco al petto nemico, sono costretti ad umiliarsi a tirare fuori sepolti dal terremoto, a rimuovere rifiuti dalla Terra dei Fuochi,  o a fare i piantoni  a metro e treni.

Insomma, come conclude ancora, il generale, qui si “sta minando un’istituzione di cui il paese deve essere orgoglioso”!. E allora ci tocca andare a scovare e denunciare i fin qui impuniti, se non dall’indignazione delle megastellette, responsabili e fatti di tanta dolorosa defezione nel giorno della più alta celebrazione della Repubblica, quella al vibrante sounddi scarponi, trombe, cingoli e rombi tricolori in cielo. Paolo Riccò, altro generale di quelli dai tanti nastrini, a Viterbo lasciò la cerimonia del 25 aprile – già di per sè fastidiosa concorrente di quella del 2 giugno – perché qualche  diffamatore della nostra storia  imperiale andava cianciando di quelli che definiva “i crimini di guerra fascisti in Etiopia”. Grave offesa alla bandiera, per mere trecento tonnellate di iprite lanciate sui neri riottosi e qualche esecuzione di massa del maresciallo Graziani, dio l’abbia in gloria. La ministra della Difesa, la grillina Trenta, ha osato aprire un’istruttoria sul difensore della nostra missione civilizzatrice!

Ma l’improvvida femmina ha fatto di peggio. Il nervo scoperto e arroventato sta lì. E non mancano di cantargliela i nostri generali. Tergiversa da tempo sull’emanazione del decreto missioni militari, quelle che, contribuendo alla spesa militare di quasi 100 milioni al giorno, ci mantengono liberi e democratici  nei favori dei nostri papà Usa e mamma UE; non provvede all’ammodernamento dei mezzi e quel varo da lei fatto a Castellamare della più grossa nave militare italiana, il mezzo d’assolto anfibio “Trieste”, con tanto di F35 a bordo, non è che una goccia nel deserto se si vuole giocare nel Golfo Persico alla pari almeno con i lituani. Senza contare che quei F35 sono ancora bloccati da perplessità, solo per dare ascolto ad alleati tentenna che li hanno chiamato “bare volanti” e li hanno disdetti.

Quanta nostalgia dei tempi quando una ben diversamente simpatica Elisabetta Trenta fungeva da entusiasta consulente al nostro apparato militare ai tempi delle imprese di Nassiriya e di quelle dei nostri alleati su Falluja.

Il decadimento dello spirito di corpo di questa donna anomala (se si pensa a Pinotti, Mogherini, Albright, Rice) si è poi manifestato anche nell’assurda decisione di far sfilare davanti ai combattenti che, invece, sono quelli che rappresentano la virile baldanza della nazione, i mollaccioni della Riserva (quelli che risalgono all’infausto periodo della Leva, pre-professionismo), i veterani col pannolone, gli atleti olimpici e addirittura paraolimpici. Il tutto presentato in un manifesto ufficiale in cui – incredibile dictu! – non appaiono armi. “Vogliamo una cerimonia all’insegna dell’inclusione”, ha detto la ministra. Concetto stranissimo e straniante per qualsiasi sano spirito di corpo.

Insomma quel “vuoto pacifismo” da “peace and love” che tanto aveva in passato indebolito il nerbo della patria e che tanta fatica si è fatta, grazie ai governi di guerra, da Andreotti, attraverso D’Alema, Berlusconi, Monti, Letta, Ranzi, Gentiloni, fino ad oggi, a corroborare e lanciare verso nuove imprese, nuove glorie. Non ci fosse stato il nefasto influsso sulla già valente Trenta di quella “componente” del governo che l’amico Salvini non è riuscito a temperare.

Ma c’è un’accusa  più grave, mossa ancora dal generale Tricarico con le seguenti sofferte e dannanti parole: “Noi militari siamo stati trattati da malfattori”. Possibile che dai gialli del regime si sia arrivati a questo? Possibile, ahinoi. Nella loro fregola indistinta e acritica di sforbiciare a manca e a destra, soprattutto a destra giacchè a manca non ce n’è, hanno tagliato le pensioni d’oro perfino ai generali. Pensate, niente di meno che il 2% a tutte le pensioni da 100mila l’anno, tutte meritate sul campo e calcolate non sul contributivo, come per i civili, ma sul retributivo, come merita una categoria esposta a incalcolabili rischi. Ecco, è qui, soprattutto qui, che casca l’asino. Anzi, il generale. Con tutti i suoi nastrini. Non vogliamo solidarizzare con il boicottaggio di una parata militare civilizzata? E’ questione d’onore.

Ah, dimenticavo. Alla parata farà spiacevole difetto anche la melodia dei rauchi borborigmi di un’eccellenza nel campo delle criptostellette: il potenziale maresciallo d’Italia ed ex-ministro della Difesa La Russa. Le sue limpide corde vocali hanno  raschiato:”La ministra manca di rispetto ai militari”. Incredibile: offesa al ministro della difesa.

Resta una domanda: quale potrebbe essere la prossima mossa dei generali alla luce di quanto questi nostri Tupamaros stanno combinando?

N.B. La parata fu sospesa nel 1977, poi dal 1989 al 1994 e più nulla fino al 2000. Altri tempi, altre temperie. E i generali si limitarono a borbottare. Nel 2000 Ciampi la restaurò. E nessuno fiatò più.

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 19:38

GEOHISTOIRE : 29 MAI 1453. LA CHUTE DE CONSTANTINOPLE, LA SECONDE ROME

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Luc MICHEL pour EODE/

Quotidien géopolitique – Geopolitical Daily/

2018 05 30/

LM.GEOPOL - Géohistoire chute de constantrinople (2019 05 30) FR (3)

Hier 29 mai, on se souvenait de la prise de Constantinople, la seconde Rome, par les turcs ottomans. C’était en 1453. Peu d’esprits ont célébré cet événements géopolitique pourtant capital : l’émergence de l ‘Empire ottoman comme grande puissance en Méditerranée, en Mer noire, dans les Balkans et en Europe même. Il faut donc souligner la remarquable tribune de Theodoros Koutroubas (Professeur des sciences politiques à l’UCLouvain) dans ‘La Libre Belgique’ (Bruxelles)

DES CONSEQUENCES GEOPOLITIQUES IMMENSES

Si Constantinople, l’ancienne Byzance grecque – seconde capitale de l’Empire romain, seconde Rome, qui avait maintenu un millénaire (1123 ans) le destin historique et civilisateur romain – avait depuis longtemps perdu grandeur et puissance (une longue agonie due aux Croisades occidentales et à l’hostilité du Papisme catholique envers l’Orthodoxie), l’événement aura des conséquences géopolitiques :

* La présence de l’Empire ottoman, comme puissance géopolitique en Europe, en Méditerranée  et au Levant jusque 1917. Et la géopolitique ayant horreur du vide, Istanbul assumera en Orient le rôle géopolitique de Constantinople, succédant dans nombre de domaines au défunt Empire byzantin ;

* L’émergence de la Russie comme Empire, Moscou assumant la succession de Constantinople et de l’Orthodoxie (et ses aigles bizéphales) : c’est la naissance du mythe géoidéologique de la « Troisième Rome », qui est encore aujourd’hui au cœur du Néoeurasisme,

* Enfin une conséquence idéologique, l’opposition entre Europe catholique et Europe orthodoxe (Russie, mais aussi Roumanie, Moldavie, Serbie ou Bulgarie). Qui sera encore exploitée par les USA, après l’implosion de l’URSS, pour diviser les peuples de Yougoslavie pedant les « guerres de Yougoslavie ».

 « DE L’ENNEMI COMMUNISTE A L’ENNEMI ORTHODOXE » (BRZEZINSKI)

Le professeur Koutroubas rappelle cette opposition entre les deux Europe : « Aujourd’hui, la littérature sur l’état romain chrétien en Orient attribue ses critiques négatives à la “tendance limitative de certains de définir le concept de l’Europe pour se référer essentiellement à l’Europe occidentale, vue comme ‘chrétienne’ et parfois même comme explicitement ‘catholique’. Ainsi, “selon plusieurs auteurs, d’Arnold Toynbee à Samuel Huntington, ‘l’Orthodoxie’ ou la ‘civilisation orthodoxe’, ont acquis une identité propre (…) non européenne et par conséquent non éclairée (…) L’auteur du “Choc des Civilisations” ne voyait-il pas la culture des peuples orthodoxes, comme étant inclinée vers l’autocratie, la plaçant aux côtés du “monde islamique”, supposément enclin à un conflit avec l’Occident démocratique, ouvert d’esprit, catholique et protestant ». Nous faisons nous partie de ceux qui critiquent la Petite-Europe de Bruxelles comme « un club chrétien catholique » …

A Huntington, le professeur Koutroubas répond surtout qu’il n’est pas « possible de réduire une civilisation à sa seule composante religieuse, et encore moins la civilisation aujourd’hui appelée byzantine, qui constitue en fait le fruit d’un mariage heureux entre le polythéisme démocratique et philosophique grec, la culture du droit et de l’administration rationnelle romaine, le mysticisme et l’esprit de charité chrétien oriental et d’autres cultures des peuples avec lesquels l’Empire romain en orient a pendant longtemps coexisté ».

Quelle est le but de guerre des américains dans tout celà ? La liquidation de la Yougoslavie, c’est la continuation de la liquidation de l’Union Soviétique, obtenue par la victoire américaine à la fin de la guerre froide. Opération qui continue encore aujourd’hui, puisque le but c’est le démembrement de la Fédération de Russie. Et les américains sont directement derrière ces terroristes wahhabites, qui ensanglantent la Tchètchènie, le Daghestan et le Caucase russe. Et auxquels Poutine s’est opposé dès la fin des années ‘90. Dans les Balkans des Années 1991-2000, il s’agissait de liquider la Yougoslavie, de liquider un ensemble géopolitique qui était considéré par les américains comme Orthodoxe et lié à l’Orthodoxie russe.

Et on a vu d’ailleurs l’ennemi principal communiste devenir l’ennemi principal orthodoxe. C’était d’ailleurs l’avis de Zbignew Brzezinski, qui a dit au début des années 90 que « maintenant l’ennemi principal des USA,  c’était l’Orthodoxie » ! La liquidation de la Yougoslavie faisait partie de ce plan qui est la liquidation de la Russie en tant qu’Etat continental, opposé à la domination mondiale de la thalassocratie américaine.

# RETOUR SUR L’EVENEMENT :

« IL Y A 565 ANS DISPARAISSAIT DEFINITIVEMENT L’EMPIRE ROMAIN EN ORIENT » (UNE OPINION DE THEODOROS KOUTROUBAS POUR ‘LA LIBRE BELGIQUE’)

Extraits :

« L’actualité politique de ce mois de mai, laissera sans doute passer inaperçue l’anniversaire d’un événement déjà très peu commémoré en Occident : la fin de l’Empire romain en Orient. Cet empire que d’aucuns appellent de nos jours “byzantin” s’acheva il y a 565 ans jour pour jour, le 29 mai 1453, lorsque Constantinople tomba aux mains des Ottomans à l’issue d’un long siège. Présenté comme un état théocratique et gouverné par des tyrans, “l’Empire des Grecs”, n’a pas été regretté en Occident, jusqu’à ce que les historiens modernes révélèrent son apport décisif aux évolutions intellectuelles de la Renaissance (…) Ces stéréotypes ont la vie dure, et l’image de cet Etat, comme celle des pays considérés comme étant ses “héritiers spirituels” continuent d’en souffrir (…) Or, c’est à ceci que devrait servir les commémorations des évènements : remettre les pendules à l’heure de la réalité historique, ennemie naturelle de la propagande politique, et de ses pseudo-informations (infox ).

Celle de la fin de l’état romain chrétien pourrait nous (re)apprendre que le monde orthodoxe constituait une des rarissimes parties de la terre de son temps, où le peuple jouait un rôle assez important sur les affaires publiques. Sans être une démocratie dans le sens actuel du terme, l’Empire fut en fait jusqu’à sa fin un Etat de droit, soutenu par une bureaucratie professionnelle salariée où les citoyens étaient considérés comme étant égaux aux yeux de la Loi et où les titres de noblesse héréditaire n’ont jamais existé. Loin d’être un roi absolu et doté des pouvoirs thaumaturgiques, comme par exemple les souverains de France et d’Angleterre de l’époque, le “fidèle en Christ Dieu Roi et Empereur des Romains” (et non de Rome) ne devait pas sa légitimé qu’au seul sacre par l’Eglise. Comme aux temps des premiers empereurs romains, l’occupant du trône, homme ou femme, devait toujours maintenir la loyauté de l’armée, la confiance du sénat et l’acclamation des redoutables “démos “, les organisations du peuple, dans le grand hippodrome de la capitale (…)

Le Sénat, quant-à-lui, qui depuis l’antiquité comptait parmi ses membres que des familles patriciennes, fut ouvert par Constantin IX (Monomachos 1042-1055) aux hommes venant des classes moins prospères. Même si le vrai pouvoir de ce corps constitué a graduellement décliné durant la vie de l’Empire, le rôle qu’il continuait à jouer en tant que haut dicastère, contribuait, avec celui de la bureaucratie, dont les membres étaient majoritairement recrutés sur la seule base de leurs connaissances littéraires, à rendre la nature du régime roméo-byzantin beaucoup plus moderne et rationnelle que celle de plusieurs Etats de ce Nord de l’Europe aux cultures supposément plus adaptables à la démocratie que la “civilisation orthodoxe”.

La chute de Constantinople aux armées ottomanes a sonné la fin définitive de Rome en Orient et comme c’est toujours le cas dans l’histoire des civilisations, des éléments de la culture, de la politique, de la vie « byzantine », ont influencé les Etats et les civilisations qu’ils l’ont suivi, tandis que sa mémoire est devenue l’objet légitime de recherches historiques. Or les fanatismes de tout bord se nourrissent toujours des infox , et c’est pour ceci qu’il est peut-être utile de ne pas laisser passer cette date sans s’en souvenir. »

(sur La Libre Belgique du 29 mai 2019)

(Sources : PCN-Info – La Libre Belgique – EODE Think Tank)

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE

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OBSERVATOIRE DES ELECTIONS/ COMMENT ANALYSER LES EUROPEENNES DE MAI 2019 ? (VI) : GRANDE-BRETAGNE : LA VICTOIRE DES EUROPHOBES ET L’EFFONDREMENT DES TORRIES ET DU LABOUR REND LE BREXIT INEVITABLE !

EODE/ 2019 05 30/

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Analyse express/

LM.GEOPOL - Libérer idlib III (2019 05 29) FR (3)

Le commentaire de Luc MICHEL :

Certains doutaient de la réalité du Brexit. L’évolution des négociations – sans merci – entre Londres et Bruxelles dément ces doutes. On en sait plus aussi sur ce « Brexit » qu est, comme nous l’analysions dès le début, une opération américaine visant à fracturer l’Union Européenne dans les guerres commerciale entre UE et USA et financière entre Dollar et Euro.

Depuis Trump est venu, porté au pouvoir par les mêmes réseaux qui ont favorisé le Brexit (Les milliardaires d’extrême-droite US Mercer et Cambridge Analytic, notamment) et depuis Londres, Trump était venu confirmer notre analyse : Londres doit choisir entre Washington et Bruxelles et le président US est l’ami des partisans du Brexit dur, de la rupture totale avec l’UE, les Boris Jonhson et autres Nigel Farrage (l’employé de Fox News, la TV des Neocons), qui fait applaudir Trump lors des meetings de son nouveau ‘Brexit Party’ …

Malgré leur intention de sortir de l’Union européenne, les Britanniques enverront donc 73 représentants au Parlement de Strasbourg (sur 751 eurodéputés au total). Une situation ubuesque ou surréaliste ! Siègeront-ils un jour ? C’est en tout cas le Brexit Party qui représentera le plus gros de la délégation. La liste de la formation de Nigel Farage est arrivée en tête des élections européennes loin devant le LibDem ! Le Parti conservateur s’effondre avec un résultat à un chiffre, 9,1% des suffrages. Arrivé en cinquième position, il paie l’échec de Theresa May, qui n’a pas achevé le Brexit trois ans après le référendum de 2016. Conservateurs et parti travailliste (à 14,1%) se retrouvent punis par les Britanniques pour leurs contorsions sur la question du Brexit et leur incapacité à résoudre le problème au parlement de Westminster.

LM

# PARTIE I- MALGRE LE BREXIT, LES EUROPÉENNES EN GRANDE-BRETAGNE ENTRE INCRÉDULITÉ ET HOSTILITÉ

(AVEC AFP)

Censés quitter l’Union européenne avant la fin de l’année, les Britanniques abordent le scrutin européen du 23 mai (on votait plus tôt en Grande-Bretagne) avec incrédulité, voire une certaine hostilité qui pousse les deux principaux partis du pays à la discrétion. L’élection s’est tenue près de trois ans après le référendum de 2016 lors duquel le Royaume-Uni avait voté à près de 52 % en faveur d’une sortie de l’UE. Mais faute d’avoir réussi à adopter un accord de divorce au Parlement britannique, le Brexit, initialement prévu le 29 mars, a été repoussé au 12 avril puis au 31 octobre, contraignant la Première ministre conservatrice Theresa May à organiser des européennes comme tous les autres pays membres.

Son parti et le Parti travailliste, principale formation d’opposition, rechignent à se lancer dans une campagne qui va une nouvelle fois étaler au grand jour leurs divisions en interne sur le Brexit. Qui plus est, briguer des voix risque d’être très mal perçu par la population. “Participer aux élections européennes est une très mauvaise idée”, a estimé Ashley Fox, chef des députés européens conservateurs britanniques. “Les gens vont se demander pourquoi ils devraient élire des représentants dans une organisation que nous avons décidé de quitter il y a trois ans”. Des militants ont rapporté faire face sur le terrain à de l’hostilité, sinon de la violence. Ben Bradley, député conservateur de Mansfield (nord de l’Angleterre), a affirmé que son comité de soutien local se refusait à financer la campagne européenne. “Nous n’allons pas dépenser de l’argent dans un scrutin auquel nous ne voulons pas participer, et sans certitude que nos députés siègent un jour”.

Theresa May espèreait encore pouvoir annuler ce scrutin si le Parlement adoptait, avant le 22 mai, le Traité de retrait qu’elle a conclu avec l’UE et qu’il a déjà rejeté trois fois. Pour tenter de parvenir à un consensus, la dirigeante avait lancé début avril des discussions avec les travaillistes. Ces derniers se sont contentés de publier en ligne la liste de leurs candidats aux européennes. Ils peinent à se mettre d’accord sur un programme: alors que la direction prône une formulation promettant de forger les liens les plus étroits possibles avec l’UE après le Brexit, les nombreux europhiles du parti exigent la mention d’un second référendum, selon les médias.

Cet imbroglio a favorisé les mouvements antisystème, faisant des européennes “une compétition particulièrement intéressante”, estime Patrick English, professeur à l’Université d’Exeter. “De nouveaux partis ont émergé, qui mordent sur les plates-bandes de la vieille garde, laquelle peine à conserver ses électeurs”.

* Change UK, parti anti-Brexit formé par d’anciens conservateurs et travaillistes, suscite en effet un certain engouement. Ce rendez-vous électoral est “une chance, pour nous citoyens européens, de dire que nous avons été blessés par les résultats du premier référendum”, a dit à l’AFP Isis Quaresma-Cabral, une militante europhile. “J’y vois une sorte de second référendum en douceur”, avance cette Française de 44 ans vivant depuis 19 ans au Royaume-Uni.

* Mais c’est surtout le Parti du Brexit, mené par l’europhobe (néoconservateur proche des neocons américains, il est salarié par ‘Fox News’ la TV favorite de Trump) Nigel Farage, qui bénéficie de la situation, parvenant à se hisser en tête des intentions de vote. Ce tribun avait déjà remporté les élections européennes à la tête d’un autre parti, l’Ukip, en 2014. Et cette victoire avait, entre autres, poussé l’ex-Premier ministre conservateur David Cameron à promettre un référendum sur l’appartenance du Royaume-Uni à l’UE.

* Si Nigel Farage souhaite ridiculiser les institutions européennes en installant au Parlement européen le plus de députés eurosceptiques possible, des électeurs eurosceptiques appellent au boycott des élections. “Ça ne sert à rien de voter”, selon Charlie Smith, ouvrier londonien de 35 ans. “Nous avons voté pour le Brexit et ils ne nous le donnent pas”, ajoute-t-il en faisant défiler sur son téléphone portable les résultats du référendum de 2016. “C’est pourquoi je ne voterai pour aucun d’entre eux”.

# PARTIE II- POURQUOI LA VICTOIRE DU PARTI DU BREXIT AU ROYAUME-UNI RENFORCE L’HYPOTHÈSE D’UN “NO DEAL” ?(AVEC AFP)

Le Parti du Brexit du populiste Nigel Farage, partisan d’une rupture nette avec l’UE, est arrivé nettement en tête des européennes au Royaume-Uni, accentuant la pression sur les Conservateurs au pouvoir, relegués à la cinquième place, et renforçant l’hypothèse d’une sortie sans accord. Les électeurs ont durement sanctionné le Parti conservateur de la Première ministre Theresa May, qui a déploré des résultats “très décevants”, les Tories ayant obtenu environ 9% des voix selon des résultats portant sur la quasi-totalité des votes.

“Cela montre l’importance de trouver un accord de Brexit”, a déclaré lundi Theresa May sur Twitter. “J’espère sincèrement que ces résultats seront au coeur des débats au Parlement”, a-t-elle poursuivi alors que son plan de sortie de l’UE conclu avec Bruxelles a été rejeté trois fois par les députés britanniques, la contraignant à repousser la date butoir du divorce, initialement prévu le 29 mars, au 31 octobre au plus tard. Ces échecs successifs l’ont aussi obligée à organiser le scrutin européen en catastrophe, avant d’annoncer vendredi sa démission le 7 juin prochain, près de trois ans après le référendum qui a décidé de la sortie du Royaume-Uni de l’UE.

UN BREXIT INÉLUCTABLE

Plusieurs des candidats à son poste ont vite réagi à cette défaite cuisante, estimant que le rebond du parti conservateur passerait par la mise en oeuvre du Brexit, avec ou sans accord. “Nous pouvons et devons mettre en oeuvre le Brexit”, a écrit lundi Boris Johnson dans le Daily Telegraph. “Une personne raisonnable ne peut uniquement chercher à obtenir une sortie sans accord, mais toute personne raisonnable doit garder cette éventualité sur la table” pour renégocier avec Bruxelles, a estimé celui qui est donné favori parmi les neuf prétendants à la succession de Theresa May. “Nous sommes confrontés à la perspective d’un extrémiste brexiter comme chef conservateur et à la menace d’une sortie sans accord”, a jugé lundi John Mcdonnell, ministre des Finances du cabinet fantôme de l’opposition travailliste. Alors que son parti est sorti meurtri du scrutin (14% des voix), payant son ambiguïté sur le Brexit, et notamment sur la question d’un second référendum, le député a annoncé lundi sur Twitter soutenir l’organisation d’une telle consultation.

Lot de consolation pour les europhiles, ces élections ont donné un nouveau souffle au parti libéral-démocrate, qui obtient près de 20% des voix et seize sièges (contre un seulement en 2014). Ces “très bon résultats” montrent “que nous sommes une majorité dans ce pays à vouloir rester et arrêter le Brexit”, a déclaré à l’AFP le chef de file Lib-Dem, Vince Cable. Regrettant toutefois que “le vote en faveur du maintien dans l’UE ait été dispersé” entre plusieurs formations europhiles, il s’est dit prêt à “travailler avec d’autres” : “ce n’est pas le moment pour les grands égos et le tribalisme”. Quant aux Verts, ils ont doublé leur score par rapport à 2014, à 12%, devançant les Conservateurs.

“CE N’EST QUE LE DÉBUT” (FARAGE)

“C’est un moment historique”, a réagi sur Twitter lundi Nigel Farage, dont le parti remporte 29 sièges au Parlement européen. “Et ce n’est que le début”, a-t-il prédit, soulignant que son parti pourrait tout aussi bien peser lors de futures législatives. “Si nous n’avons pas quitté l’UE le 31 octobre, le Parti du Brexit participera aux élections législatives et neutralisera encore tout le monde”, a-t-il affirmé à des journalistes. Il a aussi demandé dès dimanche soir à “faire partie de l’équipe de négociations (avec l’Union Européenne, ndlr) afin que ce pays soit prêt à partir quelles que soient les circonstances”.

Créé il y a à peine quatre mois en réaction aux atermoiements au Parlement sur la mise en oeuvre du Brexit, le Parti du même nom n’affichait pas d’autre programme dans ces élections européennes que la sortie de l’UE. Il a capitalisé sur la colère des électeurs face à l’interminable feuilleton du Brexit. Nigel Farage, 55 ans, ancien trader à la City, avait déjà en 2014 remporté les élections européennes, à l’époque à la tête du parti europhobe et anti-immigration Ukip. Il est pour un départ à tout prix de l’UE, même sans accord pour absorber le choc. “Pour honorer le vote démocratique du peuple et les promesses qui ont été faites, la seule chose que nous puissions faire est de sortir (de l’UE) avec les termes de l’OMC”, a-t-il déclaré pendant la campagne. C’est-à-dire en quittant l’union douanière et le marché unique pour des relations commerciales régies par l’Organisation mondiale du Commerce.

Ce scénario est la hantise des milieux d’affaires et les Européens n’y sont pas non plus favorables. Le Parlement britannique avait voté contre. Et l’actuel ministre conservateur des Finances Philip Hammond a averti dimanche qu’il serait prêt à voter contre son propre camp si une telle situation se présentait avec les Tories au pouvoir.

# PARTIE III- QUATRE MOIS APRÈS SA CRÉATION, LE BREXIT PARTY VEUT “CHANGER LA POLITIQUE POUR DE BON” AU ROYAUME-UNI

(AVEC FRANCEINFO)

Les Britanniques se sont donc rendus aux urnes ce jeudi pour élire leurs eurodéputés. Organisées à la dernière minute, ces élections qui, traditionnellement, mobilisent peu, marquent l’émergence cette année d’une toute nouvelle force : le Brexit Party.

* Qu’ils en veuillent ou non, les Britanniques ne viennent-ils pas de l’obtenir, ce fameux second référendum sur leur sortie de l’UE ?

Ironie du sort, il s’agit des élections européennes. Jeudi 23 mai, les électeurs d’outre-Manche doivent choisir leurs eurodéputés. Alors que le gouvernement de Theresa May a obtenu une rallonge jusqu’au 31 octobre pour convaincre son Parlement divisé de valider son accord de sortie négocié avec Bruxelles, les futurs ex-heureux élus ne devraient siéger qu’une poignée de semaines avant de quitter définitivement Strasbourg. Dans ce contexte un brin absurde (même selon les standards britanniques), le Brexit Party devrait faire une entrée fracassante sur l’échiquier politique. Donnée triomphante par tous les sondages, la nouvelle formation anti-Union européenne de Nigel Farage, qui a quitté le Ukip fin 2018, n’existe pourtant que depuis janvier.

* Comment expliquer cette ascension fulgurante ?

Franceinfo a cherché la réponse à Gloucester, une ville moyenne qui, non loin de la frontière galloise, a accueilli le dernier meeting de campagne du parti avant le D-Day.

UN POSITIONNEMENT POPULISTE ASSUMÉ

“Qu’est-ce que nous voulons ? Le Brexit ! Quand le voulons-nous ? Maintenant !” Face à quelque 300 personnes rassemblées dans le Gloucester Guildhall, Paul Soden s’improvise chauffeur de salle. La veille, ce restaurateur de la ville, qui se présente au micro en tant que “brexiter lambda”, a assisté à un meeting du Brexit Party à Londres. L’enthousiasme observé dans la capitale lui a fait monter “les larmes aux yeux”, confie-t-il sur scène. Alors, de retour chez lui, il propose à l’assemblée de se lâcher un peu et invite la foule à brandir pancartes et drapeaux. Dans les gradins de la salle de spectacle, l’assistance s’exécute à grand renfort de “woohoo !” “Nous voulons changer la politique pour de bon”, “nous ne sommes plus en démocratie”, “nous voulons une vraie liberté d’expression”, “une alternative”, etc. Au détour de généralités, les interventions des interlocuteurs qui se succèdent à la tribune donnent à comprendre le positionnement de ce parti populiste assumé : LES RÉFÉRENCES À DONALD TRUMP SONT APPLAUDIES, Theresa May, le chef du Parti travailliste Jeremy Corbyn ou encore le président de la Chambre des communes John Bercow sont mentionnés dans les huées. On rit du Guardian et de la BBC, on loue la liberté qu’apportent les réseaux sociaux et on s’agace face à des médias qui “nous traitent de racistes et d’imbéciles”.

Ici, tous ont rejoint le parti il y a quatre, cinq ou six semaines. Et déjà, ils ont de quoi se réjouir. Dans cette circonscription du sud-ouest de l’Angleterre, un récent sondage YouGov créditait le Brexit Party d’un score inespéré pour une formation naissante : 42% des intentions de vote, soit 3, voire 4, des 6 sièges attribués à la région. Et les sondages se sont confirmés ! Il y a trois ans, la ville de Gloucester avait voté à 58,5% pour le Brexit et c’est dans le vaste pub de Paul Soden, en plein cœur du centre-ville piétonnier, que les partisans du “Leave” avaient célébré leur victoire toute la nuit. “Cette ville n’est pas tout à fait comme les autres”, explique Richard Ford, une figure politique locale passée au Brexit Party. A quelques heures du meeting, il a donné rendez-vous à d’autres militants autour d’une table du pub. Le parti, trop jeune, n’a d’ailleurs pas de QG en régions. “Gloucester est l’une des villes qui a le plus voté pour le ‘Leave’ dans le Sud-Ouest. Mais c’est surtout une ville considérée comme un ‘swing seat'”, explique-t-il entre deux coups de fil et trois poignées de main. « L’électorat de la ville balance d’un parti à l’autre en fonction des élections, sa particularité étant qu’il vote traditionnellement comme le reste du pays » (Richard Ford, membre du Brexit Party à Gloucester).

Et sur le terrain, une tendance très claire s’est dessinée après le lancement, parNigelFarage, de la campagne duBrexitParty, le 12 avril. “Quand on s’installe avec des panneaux du Brexit Party dans la rue, les gens viennent spontanément nous dire qu’ils voteront pour nous”, explique Rob McCormick. Ce militant, ancien électeur du Parti travailliste passé par les eurosceptiques du Ukip avant de rejoindre le Brexit Party le mois dernier, n’aurait jamais pensé “qu’on militerait encore pour le Brexit en 2019”.

“LES PARTIS DE CLASSE, C’EST TERMINÉ” :

LES VIEUX PARTIS TORIES ET LABOUR LAMINES …

Pour autant, l’élan n’a pas faibli, au contraire. “L’atmosphère est la même qu’en 2016. Les gens sont même encore plus motivés, car ils sont en colère. Les ‘leavers’ n’ont pas disparu après le référendum. Les gens qui ont milité pour le Ukip ou pour Vote Leave n’ont pas changé d’avis, ils sont toujours là ! En ne réalisant pas le Brexit, le gouvernement et le Parlement les ont trahis.” Avec ces européennes, “le Brexit Party leur donne l’occasion d’envoyer un message fort à Westminster.”

Surtout, le Brexit Party se nourrit de la désintégration de ses rivaux.

“Rob a longtemps voté travailliste. Pour ma part, j’étais conservateur. Et nous voilà aujourd’hui, comme des frères dans le Brexit Party”, explique Richard Ford tout sourire. “Le temps où les ouvriers votaient pour le Labour et les cols blancs pour le Parti conservateur est révolu depuis longtemps, poursuit-il. Les partis de classe, c’est terminé. Ce qui vous définit aujourd’hui, c’est votre positionnement vis-à-vis du Brexit.” Or, ceux qu’il appelle “les dinosaures” – “Tories” et “Labour” – n’ont jamais tranché. Divisé, le Parti conservateur ne semble même plus vouloir lutter contre la perspective d’un échec cuisant, assuré d’être sanctionné pour sa mauvaise gestion du Brexit. Incapable de se positionner, le Labour ne convainc guère plus les “leavers” que les “remainers”, partisans du maintien dans l’UE. Les pro-Brexit des deux camps viennent ainsi grossir les rangs du Brexit Party, lequel exhibe dans son nom la simplicité radicale de son programme. Mais si le jeune parti a pu en quelques semaines se hisser là où il est aujourd’hui, c’est grâce aux forces vives d’un autre mouvement à la dérive : le Ukip. Rob McCormick, Paul Soden et Richard Ford sont tous passés par ses rangs. Tous viennent juste de le quitter.

SUR LES DECOMBRES DU PARTI UKIP TROP A DROITE

En février 2018, Gerard Batten a pris les commandes du parti fondé par Nigel Farage, avec une ambition : assumer un positionnement à l’extrême droite du spectre politique. Pour ce faire, il s’est entouré de figures ô combien controversées, telles que l’ancien leader du mouvement d’extrême droite English Defense League, Tommy Robinson, ou le youtuber alt-right Carl Benjamin, en troisième position sur la liste Ukip dans la circonscription du Sud-Ouest. Un candidat “misogyne, raciste et antisémite”, s’indigne Rob McCormick, qui a poussé dans les bras du Brexit Party l’essentiel de ses troupes. Mi-février, huit eurodéputés Ukip en exercice – avec 18 sièges, le parti eurosceptique était le premier parti britannique à Strasbourg après le scrutin de 2014 – ont fait défection, et tous les sondages indiquent que les électeurs feront de même. Enfin, la nomination choc de Gerard Batten a eu pour effet de normaliser le personnage de Nigel Farage. Pourtant régulièrement épinglé – voire aspergé de milkshake – pour ses sorties racistes, il apparaît désormais comme un homme capable de rassembler tous les “brexiters” sous cette nouvelle bannière.

Avec une ex-ministre conservatrice comme tête de liste, l’aile droite du Parti conservateur est séduite. Ann Widdecombe ne s’en cache pas : “Je n’aurais jamais rejoint le Ukip, balaye la tête de liste du parti dans le sud-ouest du pays. Mais quand Nigel Farage a lancé le Brexit Party, je me suis dit que c’était le moment ou jamais de prendre une décision.” Pour se lancer dans la course aux européennes, cette ancienne ministre conservatrice sous John Major (entre 1995 et 1997) a mis un terme à sa retraite. Quelques instants avant de monter sur la scène du Gloucester Guildhall, elle raconte : “J’étais en croisière en Norvège. J’ai demandé le numéro de Nigel Farage à quelqu’un que je connais et je l’ai appelé.” Sa réaction ? “Il était ravi”, lance simplement celle qui fut encartée chez les conservateurs pendant 55 ans. Et pour cause : la popularité d’Ann Widdecombe se mesure à l’applaudimètre lors de son entrée en fanfare sur la scène. A 71 ans, elle n’est pas qu’un visage connu de la droite conservatrice. Elle est à la fois expérimentée et médiatique, de cette façon qui n’appartient qu’aux politiciens britanniques. En 2010, elle s’est réinventée en star de la téléréalité, en apparaissant dans “Danse avec les stars” puis, quelques années plus tard, dans “Celebrity Big Brother”. “Si on fait un bon score demain, il y a fort à parier que nous attirerons encore bien d’autres visages connus”, présage-t-elle. Et plutôt chez les poids lourds de la politique que chez les vedettes du petit écran.

Du neuf avec du vieux ?

Derrière Ann Widdecombe et ses colistiers, des militants ont été installés sur la scène. Des places privilégiées attribuées à quelques jeunes gens, d’une vingtaine ou d’une trentaine d’années, pourtant rares dans les gradins. Cela n’empêche pas les différents interlocuteurs de faire valoir tour à tour les avantages de la diversité du Brexit Party. “Avec cette diversité, nous pouvons faire office d’exemple et montrer qu’il est possible d’avoir ces débats dont nous avons tant besoin. Nous pouvons aussi faire preuve de la créativité nécessaire à l’élaboration d’un nouveau chemin”, s’enthousiasme Nicola Darke, jeune femme qui clôture la liste du Brexit Party.

Alors que le parti n’a pas encore dessiné la ligne politique qu’il suivra une fois tournée la page des européennes, l’occasion de remporter une élection sans avoir à siéger fait de ce scrutin une aubaine pour la jeune formation, pour l’instant rassemblée derrière un mot d’ordre qu’elle ne peut guère contribuer à mettre en œuvre, faute de représentation au Parlement. Ainsi, ce scrutin n’est qu’un tremplin vers des “élections générales qui pourraient arriver plus vite que prévu”, note un militant qui mise sur la fin prochaine de l’ère Theresa May. Impossible pourtant de savoir de quoi l’avenir du Brexit Party sera fait, tant son destin est lié à la sortie (ou non) du Royaume-Uni de l’UE. A en croire les sondages, Ann Widdecombe est assurée d’un siège à Strasbourg. Mais un siège pour combien de temps et, surtout, pour quoi faire ? “Que je sois élue pour cinq jours ou pour cinq ans, je suis prête à me battre de la même façon”, lâche-t-elle à franceinfo. Et de répéter : “Demain, ce n’est pas la fin. Ce n’est que le début.”

# LIRE LES ANALYSES DE

LUC MICHEL’S GEOPOLITICAL DAILY/

* MESSAGE A MES LECTEURS (I) :

COMMENT ANALYSER LES ELECTIONS EUROPEENNES DE MAI 2019 ?

sur http://www.eode.org/luc-michels-geopolitical-daily-message-a-mes-lecteurs-i-comment-analyser-les-elections-europeennes-de-mai-2019/

* MESSAGE A MES LECTEURS (II) :

GEOPOLITIQUE – IDEOLOGIES – STRATEGIE POLITIQUE. MON REGARD SUR LES EUROPEENNES DE MAI 2019

sur https://www.facebook.com/Pcn.luc.Michel/posts/1578611598939919

* GEOPOLITIQUE DU BREXIT :

LE BREXIT OPERATION AMERICAINE. TRUMP DERRIERE LES RADICAUX DU ‘BREXIT DUR’ TORPILLE THERESA MAY …

sur http://www.lucmichel.net/2018/07/12/luc-michels-geopolitical-daily-geopolitique-du-brexit-le-brexit-operation-americaine-trump-derriere-les-radicaux-du-brexit-dur-torpille-theresa-may/

EODE / OBSERVATOIRE DES ELECTIONS/

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EODE ORGANISATION …

# EODE-TV :

* EODE-TV https://vimeo.com/eodetv

* EODE-TV sur YouTube :

https://www.youtube.com/user/EODEtv

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# ЕВРАЗИЙСКИЙ СОВЕТ ЗА ДЕМОКРАТИЮ И ВЫБОРЫ (ЕСДВ)/

EURASIAN OBSERVATORY FOR DEMOCRACY & ELECTIONS

(EODE) :

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# GROUPE OFFICIEL ‘EODE – AXE EURASIE AFRIQUE’

https://www.facebook.com/groups/EODE.Eurasie.Afrique/

ENTRE WASHINGTON ET MOSCOU, LA TURQUIE S’EST-ELLE PIEGEE ELLE-MEME A IDLIB EN SYRIE ? (LA BATAILLE POUR IDLIB ET HAMA III)

Luc MICHEL pour EODE/

Quotidien géopolitique – Geopolitical Daily/

2019 05 29/

LM.GEOPOL - Libérer idlib III (2019 05 29) FR (3)

La Turquie est empêtrée à Idlib. Elle tente d’enrayer l’opération de l’armée syrienne visant à nettoyer cette province du nord-ouest du pays. Et fait le grand écart géopolitique, avec une duplicité toute levantine, entre Washington et son appartenance essentielle à l’OTAN et les accords de Sotchi/processus d’Astana où Ankara a pris langue avec Moscou et Téhéran partenaires de Damas. Ajoutons que l’agenda d’Erdogan varie à Idlib (où s’exerce encore le processus d’Astana, avec ses « zones de désescalade », dans sa derière phase active) et sur l’Euphrate (où Ankara doit s’entendre avec Trump et Bolton) …

« POURQUOI LA TURQUIE AGIT PAR TERRORISTES INTERPOSES ? » (AL-AHED NEWS,BEYROUTH)

Le site d’information libanais ‘Al-Ahed News’ (ce 27 mai), résume les louvoiements d’Ankara en Syrie : « après l’implication russe dans la guerre en Syrie en septembre 2015, le dirigeant turc, Recep Tayyip Erdogan, s’est rendu compte que le terrain n’était pas favorable à la présence des troupes turques en Syrie surtout après qu’un SU-24 russe a été abattu en novembre 2015 par deux appareils turcs. Cela a également conduit à d’autres spéculations selon lesquelles le gouvernement de Bachar al-Assad resterait au pouvoir. La Turquie a annoncé qu’elle était disposée à nettoyer la frontière turco-syrienne de la présence des groupes terroristes et à ne plus soutenir les groupes terroristes ». C’est le Processus d’Astana et les Accords de Sotchi.

La Turquie s’est finalement enlisée dans le bourbier militaire d’Idlib. « Une inclination implicite à éliminer les groupes terroristes qui pèse lourdement sur Erdogan craignant des progrès constants de l’armée syrienne, rend pâle la démonstration de force turque en Syrie. Tout le monde sait que le nord de la Syrie fait partie de l’un des fiefs où opèrent des terroristes d’origines différentes ».

Un analyste d’’Al-Ahed News’, Hissam Talib al-Khabir, a déclaré que « depuis le début des agissements de ces groupes à Idlib, une grande partie d’entre eux, affiliés au Front al-Nosra (Ndla : devenu Tahrir al-Cham, Al-Qaïda en Syrie), ont été contraints de faire machine arrière (…) la Turquie cherche à se retirer des accords de Sotchi et d’Astana et elle estime que ces groupes terroristes opérant au nord syrien constituent un mur d’acier contre l’avancée de l’armée syrienne ».

A IDLIB LE PROCESSUS D’ASTANA FINIT DANS UNE IMPASSE

Il y a un an, la Russie et l’Iran « ont poussé la Turquie à nettoyer le nord de la Syrie de la présence des groupes terroristes pour que le gouvernement syrien domine sur Damas ». Ce fut le nettoyage de la Goutta orientale, banlieue de Damas tenue par les djihadistes. Puis l’avancée sur Hama, libérée, et vers Idlib. « La Turquie a accepté leur demande concernant une cessation du soutien aux terroristes, la fermeture des frontières et la lutte contre les terroristes du Front al-Nosra. Mais en réalité, elle fait fi de la mise en application des accords qu’elle a signés ».

Selon ‘Al-Ahed News’, Erdogan reporte la guerre pour plusieurs raisons:

1- La pression américaine sur Ankara pour qu’elle ne s’aligne pas sur l’Iran et la Russie;

2- L’incapacité de la Turquie à accueillir des milliers de terroristes étrangers après le refus de leurs gouvernements de les rapatrier.

Ces affaires ont mis la Turquie dans une situation bien difficile:

elle ne peut ni s’engager envers la Russie, ni tenir ses promesses envers les États-Unis, ni soutenir les terroristes qui ont pénétré le territoire syrien.

LA PREMIERE PHASE DE LA BATAILLE D’IDLIB POUR DEGAGER HAMA

Ce sont les raisons pour lesquelles d’intenses combats secouent la banlieue nord de Hama, la porte d’entrée pour dominer entièrement le nord de la Syrie. Une grande bataille s’annonce contre la ville d’Idlib alors que la Turquie et les États-Unis arment massivement les terroristes d’al-Qaïda. « Les terroristes ont fait usage des armes les plus sophistiquées dans le Nord syrien par rapport aux précédents conflits. Ils sont munis de drones de combat équipés de bombes, d’un matériel de communication moderne et de missiles anti-chars », explique H. Al-Khabir.  « Toutes ces armes sont de fabrication américaine et leurs tactiques militaires sont plus compliquées par rapport aux précédents dispositifs militaires utilisés par les terroristes en Syrie ».

TURQUIE-QATAR VS SAOUDENS-EMIRATIS (EAU)

L’analyste libanais a également souligné que « la présence de terroristes aux frontières turques balisait le terrain à une alliance saoudo-émiratie ». Les ennemis aujourd’hui de la Turquie et du Qatar (allié dans le soutien aux Frères musulmans). Voir les crises en Libye (bataille actuelle pour Tripoli), au Soudan et en Mer rouge …

« L’hostilité turque à l’égard de l’Arabie saoudite favorisera le soutien de Riyad à Al-Qaïda, et de ce fait, les opérations terroristes anti-turques. L’Arabie saoudite cherche également à provoquer la Turquie en soutenant les Kurdes qui ont été déployés à l’est de l’Euphrate. La guerre dans le nord de la Syrie ne sera jamais facile, mais nul doute que la détermination et la persévérance de l’armée syrienne et de ses alliés viendront à bout du conflit ».

A QUI A PROFITE ASTANA ET SOTCHI ?

« En 2017, la Russie et la Syrie allaient en finir avec les terroristes à Idlib », analyse ‘Al-Ahed News’ . Un plan turco-américain les en a empêchés. Cette fois aussi les Américains tentent de refaire le coup. Mais le nouveau plan US réussira-t-il à stopper l’offensive fulgurant Syrie-Russie contre Idlib ? »

« En livrant des missiles Kornet et Tow aux terroristes opérant en Syrie, les États-Unis cherchent à mettre ce pays dans une guerre d’usure », a averti le website d’information syrien, ‘Qasioun’, qui ajoute que « Depuis deux semaines, les réseaux sociaux liés aux éléments terroristes, diffusent des photos montrant des véhicules blindés de l’armée syrienne visés par des missiles de fabrication russe Kornet et Tow. Parallèlement à l’acheminement des armes en direction des terroristes, Washington s’efforce de faire stopper les opérations de l’armée syrienne et de ses alliés qui vise à en finir avec les terroristes à Idlib. En effet, les Américains chercheraient à bloquer tout comme en 2017 une offensive d’envergure syro-russo-iranienne qui déboucherait sur la libération d’Idlib.

Surtout que la Turquie a fini par céder et ne semble plus s’opposer aux opérations de l’armée syrienne et de ses alliés ».

Le représentant des États-Unis au Conseil de sécurité Jonathan Cohen vient d’ailleurs de demander une trêve dans le nord de la Syrie, prétendant que « les opérations militaires à Idlib feraient rebondir le terrorisme », un prétexte qui ne vise qu’à contrer l’action militaire à Idlib. Face à l’offensive d’envergure des forces syriennes et leurs alliés,  Hama et Alep font la cible des attaques d’artillerie des terroristes. « Des maisons à as-Suqaylabiyah dans la banlieue de Hama ont été ainsi  attaquées, vendredi 17 mai ».

LA PATIENCE DE MOSCOU EST EPUISEE

L’armée syrienne gagne le terrain dans le nord du pays.

Sur fond de ces tentatives, les Américains ressortent des placards, le vieux scénario de l’attaque chimique. D’ailleurs, Moscou a mis en garde dans un communiqué contre des « nouvelles tentatives du Front al-Nosra d’utiliser des matières chimiques à Idlib ».  Selon le communiqué du ministère russe de la Défense, « al-Nosra entend monter un film dans lequel il mettra en scène une ou plusieurs attaques chimiques de l’aviation  russe contre des civils syriens ».

Mais l’armée syrienne et son allié russe vont-ils finir par stopper l’opération de la libération d’Idlib comme en 2017 ? Rien n’est moins sûr » …

Le représentant de la Russie au Conseil de sécurité de l’ONU Vasily Nebenzya, qui a critiqué « le parti pris américain en faveur des groupes terroristes », a rappelé aussi que « les civils à Hama et à Alep faisaient régulièrement l’objet d’attaques au missile des terroristes ». Pire, la Russie se sent cette fois directement visée par des attaques au drones qui se multiplient contre sa base aérienne à Hmeimim. « Les terroristes ont mené des attaques au drone et au missile contre la base aérienne de Hmeimim, ce qui nous a conduit à intensifier nos opérations contre eux. Nous ne menons aucune opération militaire contre des cibles civiles. Notre objectif est la lutte contre le terrorisme », a fait remarquer Vasily Nebenzya qui n’a pas oublié d’évoquer aussi la situation à Deir ez-Zor et dans le camp des réfugiés à al-Rukban.

« Des hommes armés empêchent les civils de fuir le camp de réfugiés d’al-Rukban pour se sauver des mains des terroristes. Cependant on n’entend rien sur la situation catastrophique des civils qui vivent dans ce camp », a-t-il déploré. Le représentant de la Russie au Conseil de sécurité a aussi évoqué des milliers de frappes aériennes de la coalition US contre Raqqa, des « frappes qui ont coûté la vie à des milliers de civils en détruisant aussi massivement les infrastructures de la ville ».

« A Idlib, ni la Russie ni l’armée syrienne ne lâcheront plus la prise car il s’agit cette fois d’en finir avec une abcès », note un analyste à Téhéran …

# L’ANALYSE DE REFERENCE SUR LA BATAILLE POUR LIBERER IDLIB SUR LUC MICHEL’S GEOPOLITICAL DAILY

* SYRIE : LES ARMEES SYRIENNE ET RUSSE FACE AUX FORCES TURQUES ET A LEURS ALLIES DJIHADISTES A IDLIB ET HAMA sur http://www.syria-committees.org/luc-michels-geopolitical-daily-syrie-les-armees-syrienne-et-russe-face-aux-forces-turques-et-a-leurs-allies-djihadistes-a-idlib-et-hama/

(Sources : Al-Ahed News (Beyrouth) – website Qasioun (Syrie) – Pars Today – Sana – EODE Think Tank)

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Viaggio nella Val di Susa che ha votato Lega, gli attivisti No Tav: “Salvini? I politici sono meteore. Noi qui da 30 anni”

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/05/29/viaggio-nella-val-di-susa-che-ha-votato-lega-gli-attivisti-no-tav-salvini-i-politici-sono-meteore-noi-qui-da-30-anni/5215952/

fq europee

29 Maggio 19 FQ: 

di Simone Bauducco

“Non ci fanno paura i proclami di Salvini sul Tav, sono delle meteore che vanno su e spariscono, mentre noi resistiamo da trent’anni”.

Fulvio è uno degli storici attivisti del movimento No Tav.

Dal presidio No Tav di Venaus, storica roccaforte della lotta contro il treno, commenta così l’avanzata della Lega in Val di Susa.

Alle europee, il partito di Salvini è diventato il più forte in quasi tutti i comuni della Valle. Solamente in sei paesi, i pentastellati hanno conservato il primato.

“Il crollo del M5S è legato alle aspettative nate dalle promesse che poi non sono state mantenute” racconta l’attivista No Tav Nicoletta Dosio.

Un ragionamento condiviso dall’ex sindaco di Venaus Nilo Durbiano, da sempre contro l’alta velocità: “Ha pesato l’astensionismo di molti elettori del M5S, ma anche la tendenza nazionale trainata dalla figura di Matteo Salvini”.

Ed è proprio il leader della Lega che la mattina successiva alle elezioni ha ribadito che “il mandato degli italiani è chiaro ed è quello di andare avanti e fare le grandi opere”.

Dalla Valsusa, però gli attivisti contrari al treno ad alta velocità rispondono che “questa tornata elettorale non era un referendum sul Tav”.

QUI VEUT EMPÊCHER L’ARMEE ARABE SYRIENNE DE LIBERER IDLIB ? (LA BATAILLE POUR IDLIB ET HAMA II)

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Luc MICHEL pour EODE/

Quotidien géopolitique – Geopolitical Daily/

2019 05 28/

LM.GEOPOL - Libérer idlib II (2019 05 28) FR (2)

L’Armée Arabe Syrienne est engagée dans une de ses dernière batailles pour la libération pleine et entière du territoire national syrien. Il s’agit de libérer Idlib des djihadistes du Tahrir al-Cham (ex Front al-Nosra, Al-Qaïda en Syrie) et de divers groupes terroristes parrainés par Ankara et de portéger Hama, déjà libérée, des tirs terroristes.

LM.GEOPOL - Libérer idlib II (2019 05 28) FR (4)

UN « BLOC COMPOSE DE DIX PARTIES » CONTRE DAMAS !

(AL-BINAA, BEYROUTH)

Le journal libanais ‘Al-Binaa’ vient d’énumérer les raisons de l’opposition d’un « bloc composé de dix parties » aux opérations de l’armée syrienne « visant à libérer le dernier fief des terroristes à Idlib, ainsi que leurs intérêts respectifs à prolonger la crise en Syrie » : « Les forces hostiles à la libération de la province d’Idlib suivent les manœuvres de l’armée syrienne dans tout le pays depuis huit ans et continuent de porter des accusations selon lesquelles elle massacre des civils. Mais le point qui mérite réflexion est qu’elles n’avaient jamais manifesté leur opposition avec une telle férocité ».

En 2017, la Russie et la Syrie allaient en finir avec les terroristes à Idlib. « Un plan turco-américain les en a empêchés. Cette fois aussi les Américains tentent de refaire le coup ». Mais le nouveau plan US réussira-t-il à stopper l’offensive fulgurant Syrie-Russie contre Idlib?

« Il semble que la bataille d’Idlib est particulière parmi les autres conflits en cours en Syrie et dans la région. Les dix parties se sont dites inquiètes dont les groupes terroristes qui se sont emparés d’Idlib et des périphéries de Hama et d’Alep », écrit Wafiq Ebrahim, spécialiste libanais des questions stratégiques.

QUI SONT CES FORCES ?

1- La Turquie est la première partie impliquée dans la province d’Idlib et dans le nord, ainsi que dans les banlieues d’Alep et de Hama.

Dans sa nouvelle prise de position, elle a directement envoyé du matériel militaire aux terroristes: des armes lourdes, des chars et des roquettes aux groupes terroristes, notamment à Tahrir al-Cham, Front al-Nosra, Al-Qaïda, Jaysh al-Izzah, Hurras ad-Din, le Parti du Turkestan et Kataëb al-Ikhwan al-muslimin.

2- Le deuxième opposant à la libération d’Idlib sont les États-Unis.

Le président américain Donald Trump a appelé le 3 septembre 2018 la Syrie « à ne pas mener d’offensive imprudente contre la province d’Idlib ». Le 31 août, le secrétaire d’État américain Mike Pompeo a déclaré que son pays « considérerait une offensive des forces gouvernementales contre Idlib » comme une « escalade d’un conflit déjà dangereux ». Il a menacé que Washington « répondrait à toute attaque chimique qui serait lancée par Damas ». La diplomatie russe dit avoir des informations sur des « terroristes d’al-Nosra qui prévoient de lancer des attaques chimiques à Idlib en Syrie ».

3- En troisième position, il y a le Front al-Nosra.

Qui a prétendu que l’armée syrienne « avait lancé une attaque chimique contre un village situé dans le nord de Lattaquié » alors qu’aucune victime n’est à déplorer dans les rangs des terroristes.

4/5- Les Nations unies et la Ligue arabe sont les quatrième et cinquième parties instrumentalisées par les États-Unis.

Pourtant, ces deux instances ont mis en garde contre le massacre des civils et appelé à un cessez-le-feu.

6/7- En Europe, la Grande-Bretagne et la France occupent les sixième et septième positions. Elles présentent leurs positions à l’avance et les élaborent conformément aux intérêts de Washington.

8- L’Arabie saoudite qui réclame toujours la « protection de la vie des civils à Idlib » (sic), est « accusée elle-même d’assassiner, de décapiter et d’exécuter son propre peuple depuis sa fondation ».

9- Les Émirats arabes unis sont « les vassaux-clé des États-Unis dans l’Est arabe ». Ils « ne font rien sans la moindre coordination. Ils recourent à toute astuce pour plaire aux Américains en particulier en soutenant les groupes terroristes en Syrie, en Irak, en Libye, au Soudan et en Algérie ».

10- Les groupes terroristes djihadistes (Damas et Téhéran disent « tafkiristes ») « d’origine chinoise, russe, occidentale, arabe, européenne et syrienne opèrent dans de vastes zones situées dans les alentours de Hama, d’Alep et le nord de Lattaquié et d’Idlib ».

POURQUOI CETTE HOSTILITE FRONTALE A DAMAS ?

Le journal libanais ‘Al-Binaa’ assure que « ces informations proviennent des instances internationales de sécurité et d’information ». En somme, ces dix parties « soutiennent le terrorisme qui constitue le dernier maillon d’un front qui s’oppose aux opérations de l’armée syrienne dans le nord-ouest ».

Pour les Américains, « la libération d’Idlib ne fera que transférer le conflit de l’armée syrienne avec les États-Unis à l’est de l’Euphrate », dont la libération scellera la libération de la Syrie par Damas. Autrement dit, « l’armée américaine perdrait de son influence sur cette région de la Syrie et les Forces démocratiques syriennes (ndla : pro US) seraient démantelées. Par conséquent, ils ont mis le grappin sur Idlib, obstruent une sortie politique à la crise et cherchent son prolongement en enracinant le terrorisme à Idlib ». Pour les Turcs, « la libération d’Idlib mettra fin à leur présence dans le nord de la Syrie. Ankara s’inquiète aussi de l’infiltration des Kurdes sur son territoire via les frontières avec la Syrie voisine ».  « Divisés sur l’est de la Syrie, l’Irak, la Libye et le Yémen, Washington et Ankara sont tombés d’accord sur Idlib et forment un bloc face à la Russie, l’Iran et le Hezbollah qui ont établi des liens étroits avec le gouvernement de Damas », dit encore le journal libanais.

Je partage la conclusion de l’éditorialiste libanais Wafiq Ebrahim : « La bataille d’Idlib est une bataille décisive, car quiconque gagne sur le champ de bataille gagnera aussi sur le plan politique (…) Israël, à son tour, insiste sur la poursuite de la crise syrienne, car elle veut empêcher le rétablissement d’un État syrien capable d’empêcher la mise en œuvre du « Deal du siècle ». Quant à la Ligue arabe, aux Nations unies et à l’Europe, on peut dire qu’ils ne sont que les marionnettes des États-Unis qui les manigancent quand bon leur semble ».

# L’ANALYSE DE REFERENCE SUR LA BATAILLE POUR LIBERER IDLIB

SUR LUC MICHEL’S GEOPOLITICAL DAILY

* SYRIE : LES ARMEES SYRIENNE ET RUSSE FACE AUX FORCES TURQUES ET A LEURS ALLIES DJIHADISTES A IDLIB ET HAMA

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(Sources : Al-Binaa – Sana  – EODE Think Tank)

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A Telt le “lettere” di chi vuol fare il Tav: 3 mesi per dire sì

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2019/05/29/a-telt-le-lettere-di-chi-vuol-fare-il-tav-3-mesi-per-dire-si/5216321/

La procedura continua: la società italo-francese dovrà individuare chi ha i requisiti; il governo ora ha 90 giorni per decidere come proseguire
A Telt le “lettere” di chi vuol fare il Tav: 3 mesi  per dire sì

La data cruciale, 28 maggio, è caduta proprio ieri, due giorni dopo le elezioni. È il termine entro cui dovevano arrivare le “manifestazioni d’interesse” delle aziende che si candidano a realizzare il tunnel Tav tra l’Italia e la Francia. Lavori per 2,3 miliardi di euro, una bella fetta del costo totale della super-galleria, 9,63 miliardi. Arrivate per via telematica, le candidature ora sono chiuse nell’hard disk della Telt, la società pubblica metà italiana e metà francese incaricata della realizzazione della Torino-Lione.

Nei prossimi giorni una commissione dell’azienda stilerà l’elenco di chi ha chiesto di partecipare e poi Telt ha 90 giorni per le verifiche e la prima scrematura: dovrà ammettere chi ha i requisiti e scartare chi non li ha. Infine, ai primi di settembre, potrà partire la gara vera e propria, con i capitolati d’appalto e la presentazione delle offerte da parte delle aziende ammesse.

La procedura per scegliere i vincitori dei tre lotti durerà circa 12 mesi, dunque potrebbe concludersi attorno al settembre 2020.

Questa fase definitiva, però, non prenderà l’avvio prima del via libera che dovrà essere concesso dai governi italiano e francese: un passaggio chiesto dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte nella sua lettera inviata nel marzo scorso al presidente di Telt, Hubert du Mesnil, e al suo direttore generale, Mario Virano.

Il governo ha dunque tre mesi per decidere se andare avanti oppure no sul Tav.

I risultati delle elezioni, con il prevalere della Lega (favorevole alla Torino-Lione) sul Movimento 5 Stelle (unica forza politica che la considera una grande opera inutile), sembrano preparare un sì.

Lo ha subito annunciato l’appena eletto presidente delle Regione Piemonte Alberto Cirio: “Dobbiamo far ripartire la regione e farla correre veloce. Il Tav si farà, senza se e senza ma. L’opera era nel programma delle politiche di centrodestra dello scorso anno e ancora di più c’è nel mio programma per governare la Regione”.

Anche in Val di Susa, dove dovrebbe essere scavato il tunnel e dove è radicato da anni un forte movimento No Tav, i risultati elettorali della Lega sono stati migliori di quelli dei Cinquestelle.

“Ma queste elezioni non possono essere lette come un referendum sul Tav”, sostiene Francesca Frediani, NoTav della prima ora e prima degli eletti Cinquestelle in Regione, con un numero di preferenze superiore alla tornata precedente. Anche l’unica del M5S eletta in Piemonte per il Parlamento europeo, Tiziana Beghin, è una decisa NoTav.

Al movimento contro la Torino-Lione è andata male a Susa, dove un leader storico come Sandro Plano è stato battuto, come sindaco, dal pro Tav Piero Genovese.

È andata bene invece a Salbertrand, dove il sindaco Sì Tav Riccardo Joannas è stato sconfitto dal NoTav Roberto Pourpour.

Salbertrand sarà importante nei prossimi anni, perché lì è previsto il grande cantiere lungo un chilometro dove dovrebbero essere portati tutti i materiali di scavo del tunnel e dove dovrebbe sorgere la fabbrica dei conci, gli anelli di calcestruzzo per rivestire la galleria.

Per ora non è possibile sapere quali e quante sono le imprese che hanno presentato a Telt la loro “manifestazione d’interesse”.

Sono state però 106 le aziende che hanno partecipato, tra aprile e maggio, ai tre incontri a porte chiuse organizzati dalla società italo-francese a Roma, Parigi e Napoli.

Provenienti da 16 Paesi tra cui Italia, Francia, Spagna, Olanda, Gran Bretagna, Svizzera, Australia, Hong Kong, Giappone, Corea, Malesia.

Tra le italiane, hanno partecipato Pizzarotti, Cmc, De Eccher, Ghella

 

ESITO DELLA PANTOMIMA UE: CAUSE ED EFFETTI TUTTO UN PAESE NEL BUCO NERO INSIEME A CINQUE STELLE?

https://fulviogrimaldi.blogspot.com/2019/05/esito-della-pantomima-ue-cause-ed.html

MONDOCANE

MARTEDÌ 28 MAGGIO 2019

https://www.youtube.com/watch?v=H1rNagxuqF8   Interviste della Web-tv Byoblu (consigliata a tutti). Io ci sono dal minuto 35’20

Il gioco è, per i ragazzini come noi, il classico rimedio alla rabbia, al dolore, alla noia e alla tristezza. Purchè non sia un videogioco e lo si giochi in tanti. A rimediare allo scorno inflitto dai risultati a tutti coloro che non si sono fatti abbindolare dai monopolaristi dell’ordine imperiale esistente, né dai pigolii di una Sinistra che insiste a trasformare il voto in bolle di sapone, propongo il seguente giochino statistico: su cento, quali sono le cause in percentuali che assegniamo allo schianto dei 5 Stelle? Perché del resto non fa conto occuparci. In Europa è la conferma di una struttura che incarcera i popoli e non li fa parlare neanche dietro al vetro divisorio. Da noi è stato l’apice di una catastrofe meticolosamente preparata, da almeno trent’anni a questa parte. Ma anche da molto prima. Trasformeremo in calcolo le nostre valutazioni, a prescindere, ovviamente, dalle balle passate, presenti e future che, sul trapasso dei Cinque Stelle, verranno sparate dai vincitori, tutti delegati e commessi viaggiatori del Capitale Globalizzante, vuoi di marca George Soros (sinistre farlocche, avanzi di Storia e Verdi), vuoi tentacoli dello Stato Profondo militarfinanziario internazionale (tutti i partiti pro UE-Nato).

Ultradestra? Il bue, l’asino e le corna

”Il manifesto” nel giorno delle elezioni: con la Troika nel cuore

Sono quelli che, per esorcizzare il loro fare la spesa al servizio dell’élite, danno a tutti gli altri la qualifica di ultradestra, xenofobi, fascisti, pensando di salvare anima e voti mettendosi dal lato buono di una dicotomia che, dai tempi di Gaber, ha poco senso, ma molto nonsense. E’ la teppa benvestita, ben nutrita e mai sazia dei “da Macron a Tsipras”.

Qualcuno, come i Verdi, è stato rimesso in pista dai manovratori della nuova accumulazione capitalista green mimetizzati da bambina svedese. Dal sottoscala in cui erano stati ospitati, grazie alle loro ignavie e complicità di sistema (vedi i loro appoggi, o la loro indifferenza, al neoliberismo e a tutte le guerre: causa massima dello sturbo ambientale), per le quali erano più bravi socialdemocratici e conservatori, hanno ora spiccato il gran salto dal trampolino della paura collettiva per il degrado climatico. Vedrete come si agiteranno quando qualche popolo sotto sanzioni, per scaldarsi o cuocersi da mangiare, brucerà la sua foresta inquinando e contribuendo al disastro climatico.

Prima di giocare facciamo un punto: Salvini sta al 35%? Vuol dire che in Italia, al netto dei pochi che la fuffa la soffiano, c’è  un buon 30% che la fuffa se la beve. Perché se è vero che ci sono i sovranisti a cui l’UE sta sul pancreas – e si sa cosa fanno i tumori al pancreas – ci sono anche i sovranisti light, tutti chiacchiere e distintivo. Alla pari di quelli che considerano la categoria “sovranisti” evacuazione di topi di fogna. Tutti uniti in un unico squadrone cosmopolita  color arcobaleno. Quello di chi  marcia contro la sovranità politica per aprire la strada alla sovranità dei mercati.

Dalla padella alla brace

Altro punto. Tra i saggi e bene intenzionati a salvare capra e cavoli, più questi che quella, c’è un bel po’ di intellighenzia che si ritiene progressista perché auspica che, anziché a Salvini, i 5Stelle facciano da ruotino al PD. Immancabilmente “rigenerato”. Quello di Zingaretti, da De Luca e Pomicino a Calenda e Serracchiani, con al seguito una torma di insostituibili faccendieri che, inquisiti o condannati, dimostrano di saperci fare. E di conseguenza attribuiscono il merito della migliore stagione dei pentastellati al Di Maio ragionevole e pragmatico, un italiano vero, lontano  dai vaffa di Grillo, dalla passionalità di Dibba, dagli approfondimenti filosofici di Morra e dagli anatemi di Paola Taverna. In questo caso parla il loro irrazionale onirico cui ogni combinazione andrebbe bene, purchè  nel salotto con i divani Luigi XV non entrino bifolchi. Per cui non vogliono ammettere l’evidenza che, a dispetto del boom del momento, per retroterra catto-massonico-mafioso-atlantico e benevolenza della Cupola, la Lega di Salvini sta al PD di chiunque come la banda  dei Marsigliesi sta alla Quinta Armata.

Scrivono che in un partito normale, Di Maio si sarebbe dovuto dimettere la sera stessa del dimezzamento dei voti rispetto a 15 mesi fa. Lui e la sua squadra ne hanno fatto di cose buone, addirittura mai viste: intervento concreto in aiuto a poveri e senzalavoro, lotta concreta al malaffare, alla corruzione, al voto di scambio, prescrizione ristretta, stop al pensionamento a schiena rotta, stop alle trivelle, decreto dignità, il ministro Costa, l’incontro con i Gilet Gialli, vera avanguardia europea… Se gli metti accanto l’energumeno col mitra, lo sciropposo ma scaltro papà dei suoi figli cui dare il bacio della buonanotte, i catto-bigotti di Verona, il lingua in bocca con Casa Pound, la guerra atomica alla cannabis della salute, la difesa di malandrini dei suoi piani alti, l’assonanza dei suoi amministratori con quanto di “produttivo” è venuto su da Calabria e Sicilia, le ruspe sui Rom e sul suolo italiano, l’oculata coltivazione di una nuova tangentopoli dalle Alpi al Lilibeo… Di Maio ne esce come Pericle contro i Trenta Tiranni.

E allora perchè? Quelle che seguono sono le mie priorità. Voi rimaneggiatele, sottraete, aggiungete, come vi sconfinfera.

Cause della debacle e percentuali

Emigrare necesse est. Per Multinazionali e taxi del mare

Migranti 20% – Aver ceduto il sacrosanto discorso dei taxi del mare alla sceneggiata dei  “terroristi islamici” e dei “porti chiusi” di Salvini e aver abbandonato la denuncia dell’Operazione Migranti come tecnica colonialista per svuotare il Sud a vantaggio dei predatori del Nord, al discorso strumentale salviniano del razzismo e della xenofobia.

Ilva, Tap, Terzo Valico, autonomie regionali: 20% – Messi assieme all’insopportabile e ingiustificato  traccheggiare sul TAV, all’occhiolino alla Pedemontana e  ad altre devastazioni e rapine asfalto-cementizio-palazzinare, per le quali la Lega ha preso il testimone da PD e FI. Offuscata, se non spenta, una delle 5 stelle. La subalternità passiva alla frantumazione di un paese che ci ha messo secoli, opere e sangue per ritrovarsi e unirsi, con la secessione dei ricchi e servi delle potenze centrali, chiamata “autonomie differenziate”(Di Maio: “Sono d’accordo sulle autonomie di Lombardia e Veneto, dobbiamo studiarle”). Si tratta del bacio della morte alla liberazione degli italiani. Dopo quello degli imperatori, dei papi, di Mussolini, del Patto Atlantico con la criminalità organizzata e della UE.

Usa, Nato, UE, missioni militari, sanzioni alla Russia, politica estera in genere: 15% – Tutta la storia del Movimento, dagli inizi, rappresentava la ripresa di una strada che ai tempi di Moro era un viottolo e poi ha sbattuto contro stelle e strisce, stelle a sei punte e triangoli. Esame della possibilità dell’uscita dalla Nato, rifiuto della grottesca russofobia di un regime di aggressori e violatori dei diritti umani di mezza popolazione terrestre, atteggiamento perlomeno laico su Libia e Siria (poi rovinato da cerchiobottismi vari e da Conte sul Venezuela), critica radicale della gabbia UE e prospettiva di uscita dall’euro. Luci stellari nella notte del “volgo disperso che nome non ha e con un popolo e l’altro che sul collo gli sta”.Luci spente.

Zero organizzazione, zero cultura collettiva, zero teoria della società e dello Stato: 30% – Con la fissa casaleggiana della rete, del tessuto connettivo digitale e basta, con il totem impenetrabile di Rousseau, si è azzerato il corpo vivo del movimento e dei suoi componenti. Si sono defisicizzati i rapporti umani tra attivisti, rappresentanti, elettori, gente. Si è arrivati addirittura a liquidare quel minimo di struttura di base che erano i meet-up (anglicismo burino). Un partito in cui chi lo vive non vive gli altri, non ha sedi per stare assieme agli altri, non sa valutare gli altri e non si sa far valutare, non scherza, mangia, beve, pensa, dibatte, organizza con gli altri, non fa assemblee, non produce comitati a nessun livello,  non elabora cultura, e quindi non si dota di teoria, di visione del mondo, di strategia e tattica. Fa solo un favore ai sociocidi di Silicon Valley. E al capo che soffre il contradditorio.

La campagna dei media coalizzati nella diffamazione e nelle fake news sui 5 Stelle: 10% (ma anche molto di più se si potesse andare oltre 100) – Ci vorrebbe Diogene con la sua laterna a trovare un solo organo di informazione di diffusione nazionale che non abbia partecipato alla canea di vituperi, falsità, distorsioni contro questa presenza che, per quanto inficiata da quanto detto sopra, rappresenta tuttavia un’intollerabile minaccia potenziale all’ordine stabilito tra dominati e dominanti. Un’opposizione alla strategia della crescente diseguaglianza sociale, fino alla riduzione a zero del potere decisionale delle masse, al seppellimento di ogni identità collettiva, statale, nazionale, storicamente determinata, nella tomba della globalizzazione gestita al di fuori e contro i principi della libera e decisiva volontà popolare. A quando un mezzo di diffusione di massa? Un foglietto stampato, un microfono radiofonico, una telecamera, un dazebao, qualche bacheca?

Colui cui una macchietta campano-salernitana dava del “personaggetto” e che si è ritrovato in forza di non si sa quale processo decisionale “capo politico”, vicepremier e ministro di ben tre dicasteri – segno di sindrome di onnipotenza o di carenza di figure potabili ? –  5% (a essere buoni) –  Un Di Maio a cui tutti abbiamo riconosciuto qualità politica e abilità dialettica (grazie, anche, a oppositori di scarsa valenza) quando era uno tra i primi intra pares, al suo posto nel concerto con altri di maggiore estensione culturale e ricchezza emotiva: un buon flautista tra violini, bassi, trombe e organi. Da solo si è trovato con il suo flauto a  doversi confrontare con i frastuoni amplificati di una batteria da sette piatti e nove tamburi. L’insistere su un abbigliamento che non indossano più neanche bancari e agenti immobiliari ha fatto sorridere i marpioni che sanno adeguarsi in fretta a magliette, jeans e colletti aperti, ha fatto guardare i giovani da un’altra parte e ha fatto peggio di chi si travisa da poliziotto, pompiere, o pastore sardo. Poi, non capendo che se uno vuol stare dentro alla sedicente civiltà dell’immagine, deve muoversi con la velocità e l’eleganza di Fregoli, ha commesso due peccati mortali: ha baciato la teca di San Gennaro e si è sbaciucchiato con la fidanzata davanti agli obiettivi del peggio giornalino scandal-gossiparo su piazza. Gente che aveva il buon gusto di stare con i 5 Stelle, non la ritrovi a forza di rincorrere Barbara D’Urso o Alfonso Signorini.

E ora che succede?

Con il fiato sul collo, fetido come non mai, delle lobby benevolenti, sponsorizzanti e paganti, ma anche per autonoma congenita incultura e istinto predatorio, la Lega ha già proclamato da tutte le sue bocche di fuoco che IL TAV – E MOLTO ALTRO –  SI FARA’ ! Il che significa contratto di governo coriandolizzato e sputo in faccia alla Valle a tutte le valli, ai monti, ai piani, alle acque, al loro vissuto, ai loro viventi. Che fa il M5S che all’osservanza del contratto, a questo punto è diventato il gancio di un macellaio, ha appeso la vita del governo? Ottempererà all’escatologia del “SI”, da fine del mondo, o terrà duro sui “NO”, che fin qui hanno saputo lasciare un po’ di vita e bellezza alla nostra casa?

Resta lì, appeso, sotto la guida di uno che è diventato l’icona della sconfitta, per demerito suo e per merito unicamente del fuoco nemico dei falsari mediatici? Vandea impegnata dai suoi padroni a spazzare via qualsiasi elemento osi alterare l’ordine disciplinato del loro giardino potato e liftato all’italiana, fosse anche solo un busto con la cravatta.

Ragazzi siamo messi male. Hanno vinto dappertutto i malfattori. Sottobraccio agli abusatori d’ufficio in servizio permanente effettivo. Il vuoto a rendere consegnato dai risultati elettorali ha mostrato in che considerazione gli italiani tenessero i naufraghi del barcone “La Sinistra”. E per quanto essi hanno fatto per le Ong, nessuna di queste è corsa in loro soccorso. Verranno, le Ong, quando quell’1,7% potrà essere traghettato, come un qualsiasi rifugiato, dal barchino al porto tornato sicuro grazie al comandante Zingaretti.

Se i 5 Stelle restano con quello che ormai è diventato un Gozilla al quadrato, vengono asfaltati. Li masticherà vivi e li sputerà morti. Se escono non governeranno più per quattro lustri e il monopolarismo PD-Lega-FI, da larghe intese o finta opposizione, sfascerà quel che resta dell’Italia, con gli sfasciati che avranno perso ogni speranza e fiducia in un’alternanza vera. TINA, come non mai. Ma se continui a nasconderti dietro l’argine che  dici di essere contro le oscenità del partner, ricordati degli argini di New Orleans ai tempi di Katrina: saltarono, furono fatti saltare, la città finì sott’acqua e non fu mai più quella. Qui ci travolgeranno onde anomali come Tav, Flat Tax, sblocca ruspe, l’Italia frantumata in contee, trivelle in terra e mare, mazzate e carcere per chi si esprime male, ma rosari per tutti gli altri. Vuoi vedere che i vescovi si accomoderanno?

 In un solo sviluppo c’è  da sperare: che il troppo stroppi e che dal seme piantato da Grillo  crescano stavolta non alberi, ma boschi di alberi in fervido dialogo tra loro. Come suole tra alberi vivi. T.I.N.A., non c’è alternativa, vale, però in un altro senso rispetto alla Thatcher: o opposizione o morte.

Del resto, una cosa so, da lunga e intensa esperienza personale sul campo della mia professione e attività politica. Che nel corpo dei militanti, attivisti, sostenitori, simpatizzanti e votanti 5 Stelle c’è molto del meglio dell’umanità italiana. In termini di pulizia morale, onestà, buonafede, serietà e altruismo, visione del mondo. A volte addirittura con un livello culturale, una perspicacia politica, una preparazione teorica, in parte condivisa dal corpo parlamentare (quello sopravvissuto a certe selezioni a capocchia), che non hanno confronti da nessun’altra parte. Chi fino ad ora aveva trasformato il principio di uno vale uno in uno vale tutti, saprà recepire a valorizzare questa ricchezza? Si ricordi che se 1,5 milioni di voti 5 Stelle sono transitati alla Lega, fraintendendo la guerra ai migranti per guerra alle migrazioni e prendendo per buono i ringhi contro l’UE, 5 milioni si sono astenuti perché non s’è fatto ciò che si doveva e poteva fare. Si ricordi anche che può succedere che ci si consideri un uomo solo al comando, come Coppi in maglia rosa, e si finisca coll’essere un uomo solo in coda, come Malabrocca in maglia nera. Il quale Malabrocca, poi, dal Giro s’è ritirato.

Aggiungo. Una sinistra o, comunque la vogliate chiamare, una forza che sta con i bassotti contro gli altotti e che perciò avesse a cuore davvero la sorte dei dominati e sfruttati avrebbe sostenuto i 5 Stelle nelle molte cose buone e inedite, contro le depravazioni salviniane. Ma talmente odiavano i 5 Stelle, ladri dei loro ideali, da addirittura godere dei codardi oltraggi che ricevevano da Salvini. Da sempre preferiscono correre da soli per giocare a chi ce l’ha più lungo. Cioè più corto, come osserva Andrea Scanzi sul FQ.

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 20:19

“Quel fiume di voti passato dai Cinquestelle alla Lega – “Nella Val di Susa spaccata dal supertreno “Anche qui c’è gente stanca di dire solo no” – “Conte puntella il governo e apre al Sì per la Tav I dubbi su Salvini:“Vuole la mia poltrona”

https://www.lastampa.it/2019/05/28/cronaca/quel-fiume-di-voti-passato-dai-cinquestelle-alla-lega-ODQlqZ2fyvZI31VvtOXDnM/premium.html

28 maggio 19 Stampa 

“Quel fiume di voti passato dai Cinquestelle alla Lega

Andrea Rossi

Racconta come in tre anni sia cambiato tutto: il Movimento 5 Stelle alla conquista delle periferie – in particolare a Nord – è un ricordo. I quartieri che avevano decretato la vittoria di Chiara Appendino l’hanno abbandonata in massa. Torino ora non ha più un cuore rosso accerchiato dal giallo. Come mostra l’elaborazione realizzata da Quorum-YouTrend, il rosso si è allargato ma intorno c’è un blu che si è fatto prepotentemente largo proprio là dove dominava il giallo. 
Le elezioni hanno segnato il passaggio dei quartieri popolari alla Lega: 37% nella Circoscrizione 6; 35 nella 5. Ora la battaglia per Torino è tra centrodestra e centrosinistra e non è mai stata così vera dal 2001. Pd e alleati crescono: tornano sopra il 40%, allargano il proprio bacino, crescono a Mirafiori Nord e in alcuni quartieri della Circoscrizione 3 e della 7. In centro, la dove i Cinque Stelle precipitano sotto il 7%, il Pd sale al 40%, sfonda il 45 tra via Mazzini e piazza Vittorio, e ci arriva vicino lungo l’asse di corso Francia e a San Salvario. Le sofferenze invece si annidano sempre a Nord: minimo storico a Villaretto (14%), male anche a Vallette (21) e Falchera (20). 
Falchera e Villaretto sono il simbolo di questo voto: minimo storico del Pd, Movimento 5 Stelle che perde oltre un elettore su due (dal 34 al 19%), ed epicentro del boom della Lega, che a Villaretto supera il 46% e in alcune zone di Barriera (Monterosa e Montebianco) il 40. 

Il perché di questo ribaltone lo spiega, ad esempio, Mario Lopez, residente di Falchera. «I Cinque Stelle hanno detto troppi no». Ex dipendente in un’azienda che produce penne, disoccupato a 51 anni, sarebbe un elettore tipo del Movimento: «Ma io non voglio il reddito di cittadinanza: vorrei lavorare». 
Tre anni di illusioni hanno creato un rigetto che si manifesta anche in esempi virtuosi, come quello che racconta don Adelino Montanelli, parroco della Falchera. «Un po’ per mancanza di risposte, un po’ perché tanti hanno capito che lamentarsi è sterile, vedo nascere gruppi che si danno piccoli obiettivi e partecipano alla vivibilità del quartiere». 

È una reazione sana, a metà tra il fai da te e la partecipazione attiva. Ma è isolata. Per lo più prevale un forte disincanto, basta ascoltare Franco Lombardo, 65 anni, residente nelle case Atc di via Vittime di Bologna: «I grillini si sono dimostrati incapaci di risolvere i problemi: propositi impossibili, vedi il reddito che ha incluso pochissime persone e lasciato fuori tanti bisognosi, e nessuna lotta al degrado. Viviamo quartieri in cui non ci sentiamo al sicuro».
È in questo clima che mescola impoverimento e bisogno di protezione che la Lega ha dilagato. «La percezione di insicurezza nelle zone più in difficoltà è altissima», ammette Carlotta Salerno, presidente della Circoscrizione 6 in quota Moderati (centrosinistra). «Le persone vedono incuria, delinquenza, scippi e chiedono un intervento. La prima promessa è arrivata dall’amministrazione grillina ed è stata delusa. Ora le stesse persone hanno riposto la fiducia in un’altra promessa di intervento forte». In questa partita il centrosinistra sembra assente: «I problemi complessi richiedono risposte complesse. È più facile fare proclami, ma poi si vede come va a finire. Detto questo, noi dobbiamo trovare un modo efficace di raccontare questa complessità».
Ha ragione: l’analisi di You/Trend mostra come solo il 41% degli elettori grillini abbia confermato la propria scelta; il 23% si è buttato sulla Lega, il 31 si è astenuto. Così nella mappa elettorale la Lega ha preso il posto dei grillini. Ne ha risucchiato forze e debolezze: lo strapotere nelle periferie e il flop in centro e a San Salvario.
Come nel 2016; è solo cambiato lo sfidante del centrosinistra.

28 maggio 19 Stampa :

“Nella Val di Susa spaccata dal supertreno “Anche qui c’è gente stanca di dire solo no”

Lodovico Poletto

Le bandiere No Tav non le ha ammainate nessuno, nonostante i numeri non siano certo dalla parte di chi non vuole il supertreno. E il signor Nilo Durbiano, che da ieri, e dopo quindici anni, non è più sindaco di Venaus, dice: «Credetemi: il no non è affatto finito. La Lega avrà anche vinto in giro per l’Italia, ma al governo ci sono ancora i Cinquestelle». Che quell’opera, in Val di Susa, non la vogliono fare. Ora, Durbiano non è stato battuto alle urne, non s’è più ricandidato perché non poteva. E prima di andarsene s’è anche scelto un successore che non avrà il suo carisma tra queste montagne, ma è di comprovata fede No Tav. E forse anche grillino. Il suo nome è Avernino Di Croce, ed è un tranquillo insegnante di matematica che viene dalla pianura. 
Ecco, Venaus è forse ancora il cuore della valle che resiste al progetto del collegamento tra Torino e Lione. In un Piemonte in cui, alle europee, il colore verde ha fatto il pieno, le uniche macchie di colore giallo 5 Stelle sono qui. Sei paesi: Vaie, Chianocco, Bussoleno Monpantero, Exilles e Venaus, appunto. «Vedrete, non è finito nulla», dice Durbiano. 
A venti chilometri di distanza, a Sant’Antonino di Susa, Antonio Ferrentino, ex consigliere regionale Pd, davanti a un caffè spiega invece che quel mondo è arrivato a fine corsa. E che i grillini – che qui avevano una delle tante roccheforti – sono stati spazzati vai dal vento leghista, più forte e impetuoso di quello che soffia sempre tra queste montagne. «C’è un mondo che non si identifica più con il no. I tempi sono cambiati e la gente ha opinioni differenti» dice. I suoi sono più o meno gli stessi pensieri che ha chi – a mezzogiorno – se ne sta fermo sulla piazza di Chiomonte sotto una pioggia leggera, a discutere di chi sarà il prossimo sindaco. Il vecchio – si fa per dire- Silvano Ollivier non s’è neanche ricandidato. Troppi guai in passato. Minacce, perchè era favorevole alla Tav, proiettili mandati a casa, schiaffi presi in faccia. Fare il sindaco in questo paese è stata dura. Perchè Chiomonte è il borgo che ha ceduto una parte di suoi terreni all’impresa che ha scavato il tunnel geognostico. È il cuore dei lavori – ora sospesi – per la Torino-Lione. E la gente di qui – una parte a dire il vero -non l’ha presa bene. E Ollivier – convinto sostenitore dell’opera – s’è preso un sacco di maldipancia in questi anni. Ma ieri è tonato a fare ciò che gli piace: fabbricare oggetti in legno. «Sono fuori perché non mi sono rincandidato. Ma il vento a favore della Tav è arrivato e si farà sentire molto forte». Niente bandiere No Tav sui pali della luce, niente insegne bianche e rosse sul municipio. Il successore di Ollivier, Roberto Garbati ex ad di Iren, la pensa come lui. Anche se ci sono state frizioni tra i due in passato. La Tav si deve fare. 
Però non è tutto così scontato. E le sorprese sono sempre lì dietro l’angolo. Per dire: a Susa, dove il movimento No Tav pensava di avere una roccaforte, il sindaco Sandro Plano, anti supertreno della prima ora, e ricandidato è stato battuto da un uomo del Pd, Pier Giuseppe Genovese. E dicono sia pro Torino-Lione. E la regola che il sindaco che si ricandida vince indipendentemente dai partiti qui è andata a farsi benedire.

«Ma di sindaci No Tav ce ne sono tanti, nonostante i dati delle Europee», dice alle 10 di sera Nilo Durbiano. Al momento ne abbiamo già 12, ma vedrete che saranno molti di più». Conti alla mano potrebbero essere una ventina. E sarebbe comunque un bel fronte di «anti», sebbene non completamente sdraiato sul mondo Cinquestelle. Per dire: da queste parti capita che il Pd – favorevole al tunnel di 60 chilometri – abbia sindaci che sono contrari. Uno per tutti, quello di Condove, Jacopo Suppo. O ancora quello di Bruzolo, Mario Richiero. 
Ecco questa è la valle. Che aveva sperato nei grillini un paio di anni fa, e poi con loro ha polemizzato perchè s’è sentita lasciata da sola, La valle che alle Europee s’è colorata – come tutta la provincia e il Piemonte – di verde Carroccio. Per cambiare ancora una volta casacca – ma non ovunque – nell’urna dei rinnovi dei Consigli comunali. 
E il movimento No Tav che dice? Per ora tace. Arrivano echi soltanto in serata: «Non siamo affatto finiti». Lo diceva già Durbiano alle 10 del mattino. Annunciando di essere pronto a lanciare un movimento politico nazionale.

28 maggio 19 Stampa :

“Conte puntella il governo e apre al Sì per la Tav

I dubbi su Salvini:“Vuole la mia poltrona

I. Lomb. 

Si tiene ancora lontano dai riflettori Giuseppe Conte. Nessun commento pubblico, perché a caldo devono essere i partiti a dividersi il palcoscenico, chi a gustarsi la vittoria, chi a cercare una medicina che allevi dallo sconforto.

E però il premier qualcosa ha fatto trapelare. «Avrete passato una nottataccia…» ha detto rivolgendo un sorriso di tenerezza ai parlamentari 5 Stelle della commissione Antimafia accolti a Palazzo Chigi. Il tonfo è stato forte e nel baratro dell’incertezza rischia di trascinare anche lui, «l’avvocato del popolo» scelto da Luigi Di Maio per lavorare nella penombra a cui è relegato un capo di governo senza armi politiche da esibire. Gliel’hanno detto così tante volte, che non fa fatica lui stesso ad ammettere, in questi momenti di turbolenza, la percezione evidente che Matteo Salvini «vuole il mio posto». L’ha ripetuto ai suoi collaboratori in questi mesi di tensioni, lo ha ribadito nelle ultime ore, sebbene sia stato più silente del solito. Ma presto o tardi – ne è convinto Conte – il leader della Lega rivendicherà la poltrona più prestigiosa. 
È consapevole che già le prossime ore offriranno i primi grandi ostacoli alla tenuta del governo. Il caso del sottosegretario Edoardo Rixi, che attende una sentenza di primo grado per fine mese e che Salvini è intenzionato a difendere fino in fondo. Poi: la sfida ai parametri europei. La lettera dell’Ue che chiede chiarimenti sul debito e minaccia l’infrazione investe di una nuova responsabilità Conte.

Ieri ha sentito la cancelliera Angela Merkel. Una telefonata per aggiornarsi in vista del vertice informale di oggi a Bruxelles tra capi di stato e di governo. Hanno commentato l’esito delle elezioni, e la leader tedesca ha chiesto a Conte di Salvini e di cosa succederà con un ribaltone dei rapporti di forza nel governo. Certo, il premier leggerebbe come una «sfiducia di fatto» se il vicepremier della Lega dovesse caricare l’artiglieria contro Bruxelles chiedendo al governo italiano una prova di coraggio sullo sforamento del deficit. Per il premier, la sua squadra e il M5S sarebbe la prova delle mire del leghista su Palazzo Chigi. E ancora: Conte attende di capire quali margini di manovra avrà sulle nomina del commissario europeo in quota Italia, visto che la Lega rivendica per sé la scelta. 
Nel frattempo il premier-mediatore sarà chiamato a confermare questo ruolo per puntellare il governo, per quanto gli sarà possibile. Con una maggiore gradazione di leadership che sembra consegnargli il fallimento di Di Maio. Mentre l’anima più movimentista ritroverà in Alessandro Di Battista il suo alfiere, il M5S intravede in Conte la possibilità di una resistenza istituzionale a Salvini. Ma anche, notano i più maliziosi, il paravento delle imminenti grane che i grillini saranno costretti a subire. A partire dalla Tav e poi sulle autonomie.

È difficile, per chi mastica i linguaggi della politica, non notare che alla due risposte di Di Maio in conferenza stampa sull’Alta velocità Torino-Lione mancavano due semplici letterine: «N-o». La Tav si farà?, chiedono. Risposta: «Il dossier è nelle mani del premier Conte da un mese».

Il che vuol dire aver scaricato sul presidente del Consiglio l’ultima decisione.

Che, salvo sorprese, dovrebbe essere la stessa del gasdotto Tap, quando Conte, per sgravare Di Maio da accuse e recriminazioni, assunse su di sé la responsabilità di dare il via libera all’opera che i 5 Stelle avevano promesso di smantellare.

A marzo si inventò un arzigogolo semantico che di fatto rinviò di qualche mese il problema dell’avvio dei bandi per i cantieri. La discussione con i francesi, partner a metà dell’opera ferroviaria, servirà a prendere tempo e a preparare il terreno più fertile per dare l’ok alla Tav. Ridiscuterla integralmente, rivedere le quote di finanziamenti tra Parigi e Roma sarà la premessa per poter imbastire la più convincente giustificazione che i grillini dovranno consegnare agli attivisti. 
Anche su questo la Lega testerà le sue capacità di essere ancora garante imparziale, dopo le accuse ruvide del sottosegretario Giancarlo Giorgetti alla vigilia del voto.

È convinzione di tutti i ministri e i sottosegretari leghisti che più volte il premier abbia giocato di sponda con i 5 Stelle, rallentando i testi, rinviando le discussioni, pur di favorire le ragioni del Movimento.

Altro banco di prova, in questo senso, saranno le autonomie regionali. Salvini è stato chiaro. Di Maio altrettanto: «Se si deve fare, non deve creare Regioni di serie C. Molto dipenderà da come si scriverà. E come si scriverà dipende dall’intesa tra me, Conte e Salvini».

28 maggio 19 Repubblica :

“Piemonte più debole a Bruxelles Eletti solo tre europarlamentari

di Sarah Martinenghi 

Una vittoria schiacciante quella della Lega in Piemonte, una disfatta altrettanto evidente quella del Movimento 5 stelle.

In mezzo sta il Pd, che si consola come primo partito quantomeno a Torino. Ma è un Piemonte meno rappresentato in Europa quello che emerge dalla tornata elettorale: sono dimezzati infatti gli eletti della nostra regione, rispetto ai sei precedenti, con i lombardi che hanno monopolizzato la competizione.

Solo tre ce l’hanno fatta: l’ex presidente della provincia di Cuneo Gianna Gancia con 18mila 900 preferenze, Alessandro Panza, con 18 mila183, entrambi della Lega, e Tiziana Beghin, già europarlamentare, riconfermata tra i 5stelle con 15 mila voti.

Non ce la fa invece Mercedes Bresso: l’ex presidente del Piemonte con 44 mila voti è arrivata al sesto posto.

I numeri raccontano la nuova geografia politica piemontese: il partito di Salvini sbaraglia con il 37,14 per cento delle preferenze, il partito democratico, con il 23,94 per cento, media e spezza l’asse giallo-verde, dato che i pentastellati si fermano al 13,26 per cento.

Forza Italia è al 9,08 mentre Fratelli d’Italia al 5, 98. Ma a Torino il quadro cambia: nella città guidata da Chiara Appendino, il Pd conquista il 33,5 per cento, la Lega rimane sotto, con il 26,9 per cento. Mentre i 5stelle accantonano solo 13, 3 del voti. « Il risultato del Pd alle europee è incoraggiante ma non sufficiente – è il commento di Sergio Chiamparino – quindi bisognerà da lì andare avanti e aggregare altre forze. I passi fatti sono quelli giusti ».

Nelle periferie torinesi, in particolare quelle a nord, c’è un travaso di voti e dal giallo passano al verde: a Barriera di Milano, Regio Parco, Barca e Falchera, la Lega sfonda quota 37 per cento (il Pd è al 25,32 e i 5stelle al 16). In centro la débacle dei grillini è più eclatante: si fermano al 6,7 superati da + Europa ( 7,9), mentre il Pd resta saldo e addirittura doppia la Lega, con il 40,92 rispetto al 18,68. Allargando lo sguardo al torinese, la situazione vira di nuovo al verde con il 31,5, mentre il Pd si ferma al 27,4 e i 5 stelle al 15,5. Ma il Pd si aggiudica Pinerolo con il 28,8 per cento, la Val Pellice, superando il 40 per cento, e si conferma a Ivrea con il 36, mentre la Lega e il Movimento 5 stelle rimangono al 27,9 e all’ 11,6 per cento.

Verde è senza dubbio il colore del Piemonte2, ovvero delle province: a Vercelli la Lega arriva al 44,37 ( 19,08 Pd, e 10,63 i 5stelle); a Cuneo vince con il 44 per cento ( Pd al 20,9 e Forza Italia supera con il 9,8 per cento i % stelle fermi al 9,5); a Biella il partito di Salvini si aggiudica il 41,9 per cento dei consensi ( Pd 19,3 e M5stelle 11,2), mentre a Novara la Lega vince con il 40,8, il Pd tiene al 21,5 e i 5stelle arretrano all’11,3. Nel Vco ancora molto forte la Lega che vola sopra il 44 per cento, il Pd 21,4 e 10,3 per 5 stelle. Riconfermata Tiziana Beghin (M5s)