Mutui e banche: la Boschi legittima l’esproprio

il governo delle banche non è certo un nemico, in piazza si va per ben altro che un conflitto di interessi “inesistente”. Tranquilli, Mattarella farà il solito passacarte come da tradizione presidenziale
 
il 27 febbraio 2016
 
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Roma, 27  feb – 
La Boschi perde il pelo ma non il vizio. Il ministro ha il debole per le banche. Purtroppo per lei anche stavolta è stata scoperta. Ieri, il giornalista Paolo Fior de Il Fatto Quotidiano l’ha sorpresa con le mani nella marmellata. Venerdì scorso, il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi ha trasmesso alla Camera dei deputati l’atto del governo n. 256 che recepisce la direttiva europea 2014/17 (volta ad aumentare le tutele per i consumatori nei contratti di credito). Detto così non si capisce nulla. Cerchiamo di vederci chiaro.
 
Il governo ha cancellato l’articolo 2744 del Codice Civile, che vieta il cosiddetto “patto commissorio” e cioè “il patto col quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore”.
 
In pratica, gli istituti di credito possono mettere in vendita le case del mutuatario che è in ritardo con i pagamenti.  Le accuse di Fior non sono campate in aria. Egli cita, infatti, il decreto in maniera dettagliata in particolare l’art. 120 quinquiesdecies che al comma 3: “Le parti del contratto possono convenire espressamente al momento della conclusione del contratto di credito o successivamente, che in caso di inadempimento del consumatore (il ritardo nel pagamento di sette rate anche non consecutive, così come definito dall’art. 40 del Testo unico della finanza) la restituzione o il trasferimento del bene immobile oggetto di garanzia reale o dei proventi della vendita del medesimo bene comporta l’estinzione del debito, fermo restando il diritto del consumatore all’eccedenza”.
 
Probabilmente, il Parlamento rimedierà alla svista della Boschi. Ma è meglio approfondire l’importanza dell’articolo 2744 del Codice Civile. Secondo i maggiori giuristi il patto commissorio è nullo in quanto è potenzialmente iniquo. Con l’applicazione del patto commissorio la cosa data in pegno o sottoposta ad ipoteca potrebbe avere un valore superiore all’ammontare del credito che garantisce. Vediamo perché. Se acquisto casa con un mutuo ipotecario di quindici anni, dopo aver pagato puntualmente per otto anni, potrei vedermi costretto a perdere il bene acquistato e nel contempo avrei inutilmente bruciato una somma ingente. Insomma, l’essere momentaneamente inadempiente mi costerebbe più del dovuto. Bastano solo sette rate non pagate anche se non consecutive per ritrovarsi la casa all’asta.
 
Per il nostro Codice Civile, infatti, il patto commissorio è una clausola vessatoria in un contratto ipotecario e per questo doveva essere considerato nullo. Il mutuatario e la banca non possono essere messe sullo stesso piano, soprattutto quando parliamo dell’acquisto di un immobile. In questo tipo di contratto, il creditore è un soggetto che merita una tutela specifica.
 
Attenzione, non si tratta di un vecchio retaggio del passato. Anche la Corte di Giustizia Europea si mostra sempre più attenta alle esigenze dei mutuatari. La sentenza del 18 febbraio 2016 parla chiaro: “Il giudice deve rilevare d’ufficio le clausole vessatorie ed è tenuto a bloccare l’esecuzione forzata e la vendita all’asta, in qualsiasi fase si trovi”. I Giudici Ue hanno stabilito che l’eventuale presenza di clausole abusive inserite dalla banca nel contratto di finanziamento (cosiddette clausole vessatorie) deve essere rilevata dal giudice d’ufficio, quindi anche in mancanza di apposita richiesta della parte mutuataria. Non solo, tale rilevazione può avvenire in qualsiasi fase del procedimento, dall’iniziale istanza di decreto ingiuntivo alla fase ultima, quella della vendita forzata con l’asta.
 
In buona sostanza, sono contrarie al diritto dell’Unione Europea eventuali regole interne agli Stati che pongano una preclusione oltre la quale il consumatore non può più eccepire la nullità del contratto. Il giudice naturale in ogni stato dell’Unione Europea può, anzi, deve annullare gli effetti dei mutui che contengono clausole vessatorie.
 
In questi casi il richiamo all’europeismo evidentemente non vale. In questi giorni, i temi forti che hanno impegnato il dibattito pubblico sono stati altri, tipo l’appoggio di Denis Verdini al governo Renzi. Forse la Boschi ne ha approfittato per fare questo regalino alle banche? Questo non è dato saperlo. Di certo, se il legislatore non interverrà, migliaia di famiglie vedrebbero venir meno un argine, seppur minimo, allo strapotere delle banche.
 
Però, le famiglie, d’ogni colore, possono consolarsi con il ddl Cirinnà.  Questa è stata una settimana family friendly. Grazie alla Cirinnà il diritto all’amore sarà tutelato dal Codice Civile. La svolta è stata epocale. Matteo Renzi ha detto: “Ha vinto l’amore”. Sì, l’amore per le banche.
 
Salvatore Recupero

Almese caccia Forza Nuova

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VALSUSA NOTIZIE

Voci indipendenti dalla Val Susa

 

Un tentativo di propaganda razzista innesca la mobilitazione dell’Anpi e degli antifascisti valsusini. Un corteo si avvicina minacciosamente e gli sgraditi ospiti impacchettano le loro cose e abbandonano. Buona partecipazione dei sindaci.

Inserito il 27 febbraio 2016

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di Fabrizio Salmoni

Giornata grigia e pioggia fastidiosa. L’allarme era montato da qualche giorno: i neonazi di Forza Nuova avevano annunciato una presenza di propaganda a Almese per protestare contro l’integrazione di una dozzina di profughi in attività di volontariato da parte del Comune. L’appello del loro coordinatore provinciale, il giavenese Roberto Usseglio Viretta, aveva indignato per i toni da odio razziale dei suoi messaggi e cosi si era fatta avanti l’Anpi di Bussoleno-Chianocco-Foresto chiamando alla mobilitazione. In un territorio che conserva ancora forte la tradizione di lotta partigiana e la memoria dei suoi tanti caduti, la presenza dell’estrema destra non poteva passare sotto silenzio.

Le pressioni sul sindaco Ombretta Bertolo, su prefetto e questore avevano ottenuto di confinare FN nello spiazzo desolato di fronte al cimitero lungo la circonvallazione ma le forze antifasciste hanno contestato l’apparente equidistanza dei rappresentanti istituzionali che sembravano voler equiparare le due parti in campo a dispetto dei dettami costituzionali. “Non accettiamo di essere considerati una parte che contende una piazza“, dichiarava l’Anpi. Da questa situazione che presentava zone d’ambiguità ha preso forza l’appello a manifestare e il conseguente (di ieri) sblocco della situazione: spazio marginale (e consono) a Forza Nuova e comunicato stampa della sindaca che invitava la cittadinanza a partecipare e “…a non accettare strumentalizzazioni da parte di chi si muove dietro i valori della discriminazione razziale e dell’intolleranza…”.

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A fronte di una trentina scarsa di neonazisti impossibilitati a muoversi che hanno esposto uno striscione sul lato della strada e di un ingente dispiegamento di polizia, le forze antifasciste (duecento persone circa) si sono mosse dalla piazza del Municipio per raggiungere la circonvallazione. Nel corteo, insieme alle bandiere dell’Anpi di Condove-Caprie e di Almese-Villardora, camminavano diversi sindaci di Valle, oltre alla Bertolo (che si affannava un po’ a contenere la spinta della piazza), abbiamo avvistato la Bellone di S. Didero, la Sarti di Condove, Chirio di Caprie, Plano di Susa in rappresentanza di tutti i sindaci dell’Unione di Valle e vari altri amministratori. Presente anche il senatore Cinque Stelle Marco Scibona.

I vari blocchi della polizia che tentava  di evitare il contatto sono riusciti solo parzialmente allo scopo: pressati contemporaneamente da sindaci e amministratori che cercavano continue mediazion e dai manifestanti che trovavano sempre nuove vie di infiltrazione verso la circonvallazione, le forze dell’ordine sono andate in confusione.  Piccoli presidi costringevano la polizia a chiudere le strade ma, come a Venaus nel 2005, il grosso dei manifestanti sciamava per i prati e si avvicinava sempre più pericolosamente allo spiazzo del cimitero. La polizia arretrava e doveva schierarsi su quattro fronti mentre la Digos persuadeva i neonazisti a fare i bagagli.

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Resta la perplessità sui comportamenti di un prefetto che impone equidistanza, spazio e agibilità a dei neonazisti ignorando i dettami costituzionali che imporrebbero invece illegalità e divieto di operare a quelle organizzazioni. Qualcuno vorrà fare un’interrogazione parlamentare?

(F.S. 27.2.2016)

Venaria. Il flop del Pd

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VALSUSA NOTIZIE

Voci indipendenti dalla Val Susa

Tentata assemblea pubblica Dem per mettere in difficoltà la nuova giunta 5S e descrivere i fasti delle compensazioni del Tav. E’ stata snobbata sia dal Commissario Foietta che dai cittadini.

Inserito il 26 febbraio 2016

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di  Fabrizio Salmoni

Le stanno tentando tutte per mettere in crisi la giovane giunta comunale Cinque Stelle. Ora sfoderano l’argomento mobilità/logistica, vecchia piaga di Venaria agitata dal Pd fin dal 2011 ma mai affrontata in decenni di governo della città, per sventolare infrastrutture complementari alla Torino-Lione spacciandole per compensazioni. Puntano all’inesperienza della maggior parte degli eletti, a creare dissidi interni, a mettere a nudo le debolezze della maggioranza per tentare il colpaccio della crisi ma da quando il neosindaco Roberto Falcone ha adempiuto alla promessa di far uscire Venaria dall’Osservatorio tecnico della Torino-Lione, si sono agitati ancora di più.

L’ultima trovata è stata un’assemblea pubblica per raccontare alla cittadinanza le meraviglie della Grande Opera e i grandi vantaggi delle compensazioni la cui perdita, secomdo il Pd, porterebbe danni e mancati introiti nelle casse comunali (ma soprattutto ai loro clientes…).

Hanno chiesto al Commissario Foietta di andare in loro aiuto, hanno convocato i loro esperti di partito, certo ingegner Villa e l’architetta Maria Sorbo, tecnica di fiducia del Pd (ha redatto i prg di Caselette – sindaco Pd – e della variante industriale di Collegno – provate a dire: sindaco Pd; rappresentante in Osservatorio di Collegno e Grugliasco – tutti in coro: sindaco Pd!);  e si preparavano a reiterare i loro mantra.

I tecnici dell’Unione dei sindaci della Val Susa sono stati tentati di andare e fare domande sui dati reali e metterli in difficoltà, ormai quasi un gioco da ragazzi vista la preparazione maturata in mesi di analisi dettagliata  poi, fiutando il flop non si sono disturbati per cosi poco. e i fatti hanno dato loro ragione.

Anche Foietta deve aver fiutato uguale e ha dato forfait all’ultimo con giustifica di impegni importanti a Roma (probabilmente il ritardo ministeriale nella definizione dei dettagli del protocollo da far approvare a Venezia l’8 marzo dal Bomba e dal Tartufòn) . Risultato scoraggiante: una quarantina di persone ( tra cui mezza dozzina di No Tav del comitato  locale in veste di osservatori ) presenti in sala a inizio serata.

Preso atto  della triste notizia dell’assenza del Capo, sono iniziati i “lavori ” con gli interventi dei due segretari della sezione PD, quello vecchio e quello nuovo, che  sono andati avanti per circa una mezzoretta  a fare delle valutazioni  sulle pecche del M5S e dell’amministrazione . La critica maggiore  era naturalmente quella di essere usciti dall’Osservatorio  sulla Torino – Lione  per una scelta “ideologica” e non negli interessi della città. Non una parola sui costi e sui pericoli di inquinamento ambientale per lo scavato, per le polveri, per lo smaltimento dei detriti.  Si è passati poi all’esposizione dell ingegner Villa il quale avvalendosi  delle slide, un must da quando le ha usate il suo Grande Capo, ha intrattenuto la platea fino oltre le 23  sull’importanza  del collegamento  To-Lione  ai fini  dell’innalzamento del Pil e dello sviluppo della logistica come alternativa  alle crisi di produzione industriale. Idee di alternative di sviluppo: Zero.

A questo punto vista l’ora  il 50% delle persone ha abbandonato la sala  e l’architetta Sorbo ha preso  la parola con un fil di voce per mancanza di microfono e tra gli sbadigli dei superstiti ha cercato di dimostrare l’importanza dell’Osservatorio sia per quanto fatto nel passato  che per quello che farà in futuro, naturalmente tralasciando previsioni sul futuro di un baraccone in cui mancano 23 sindaci della Valle. Secondo l’architetta del Pd, la realizzazione del tunnel di base  permetterebbe di avere un percorso  in piano  e il proseguire sull’attuale linea storica  non creerebbe problemi di sorta. La notizia è che si sta progettando l’interramento della linea da Savonera a 20/30 metri rispetto all’attuale piano della tangenziale, un’idea brillante per permettere agli abitanti  di Venaria  di non avere alcun problema di mobilità, grazie naturalmente ai suggerimenti dell’Osservatorio. E via di cemento e di consulenze dal Partito (capite come si spendono i soldi della Torino-Lione?). Non essere più presenti in quell’indispensabile consesso impedirebbe – secondo la Sorbo – che le compensazioni  da lei suggerite ovvero l’ interramento dell’attuale elettrodotto,la copertura della tangenziale ,il Movicentro e lo spostamento sulla Ciriè-Lanzo  della stazione Rigola e quant’altro, siano realizzate. Dopodichè, come se tutto  quello che aveva detto  non fosse stato  profferito,  ha ammesso che in ogni caso nei programmi di Foietta sarebbero state previste queste compensazioni come del resto accadrà anche a Susa con la “smart valley ” che consentirà il ricupero di una caserma  e la banda larga (che smart! Che lusso!).

A mezzanotte  tutto era finito e i pochi sonnolenti attivisti Pd rimasti fino in fondo hanno potutto andare a dormire in un vero letto.

Nel pomeriggio il sindaco Falcone aveva annunciato la sua partecipazione all’assemblea pubblica del 10 marzo ad Alpignano (Opificio Cruto, ore 21) organizzata dal Comitato Gronda No Tav sui rischi ambientali del cantiere di Chiomonte e sulla truffa delle compensazioni.

 (F.S. 25.2.2016)

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Roberto Falcone, sindaco 5S di Venaria

Srebrenica: esce fuori la verità, il massacro fu compiuto da tagliagole bosniaci musulmani

chissà su quanti altri massacri hanno mentito, e non sapremo mai la verità, come la strage di Katyn (i russi erano con i liberatori no?). Per annettere nazioni all’impero Usa non hanno certo risparmiato bugie che hanno condotto a massacri, questi crimini di guerra perché di questo si tratta, non saranno mai perseguiti. In fondo, loro liberano i popoli narra la leggenda. Chi pagherà per quelle stragi? Ah già, quelle dei liberatori non contano o non esistono, basta addebitarle ai cattivi di turno.
 
22 Gennaio 2016
Finalmente emerge la verità su Srebrenica: i civili non furono uccisi dai Serbi, ma dagli stessi musulmani bosniaci per ordine di Alija Izetbegovic, presidente dei musulmani bosniaci, d’accordo con Bill Clinton. Una operazione, come le bombe di mortaio sul mercato di Sarajevo, per incolpare i serbi e bombardarli. Un po’ come il gas nervino in Siria.
 
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(Nicola Bizzi) – Dopo la confessione shock del politico bosniaco Ibran Mustafić, veterano di guerra, chi restituirà la dignità a Slobodan Milošević, ucciso in carcere, aRadovan Karadžić e al Generale Ratko Mladić, ancora oggi detenuti all’Aja?
 
Lo storico russo Boris Yousef,  in un suo saggio del 1994, scrisse quella che ritengo una sacrosanta verità: «Le guerre sono un po’ come il raffreddore: devono fare il loro decorso naturale. Se un ammalato di raffreddore viene attorniato da più medici che gli propinano i farmaci più disparati, spesso contrastanti fra loro, la malattia, che si sarebbe naturalmente risolta nel giro di pochi giorni, rischia di protrarsi per settimane e di indebolire il paziente, di minarlo nel fisico, e di arrecare danni talvolta permanenti e imprevedibili».
 
Yousef scrisse questa osservazione nel Luglio del 1994, nel bel mezzo della guerra civile jugoslava, un anno prima della caduta della Repubblica Serba di Krajina e sedici mesi prima dei discussi accordi Dayton che scontentarono in Bosnia tutte le parti in campo, imponendo una situazione di stallo potenzialmente esplosiva. E ritengo che tale osservazione si adatti a pennello al conflitto jugoslavo. Un lungo e sanguinoso conflitto che, formalmente iniziato nel 1991, con la secessione dalla Federazione delle repubbliche di Slovenia e Croazia, era stato già da tempo preparato e pianificato da alcune potenze occidentali (con in testa l’Austria e la Germania), da diversi servizi segreti, sempre occidentali, da gruppi occulti di potere sovranazionali e transnazionali (Bilderberg, Trilaterale, Pinay, Ert Europe, etc.) e, per certi versi, anche dal Vaticano.
 
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La Jugoslavija, forte potenza economica e militare, da decenni alla guida del movimento dei Paesi non Allineati, dopo la morte del Maresciallo Tito, avvenuta nel 1980, era divenuta scomoda e ingombrante e, di conseguenza, l’obiettivo geo-strategico primario di una serie di avvoltoi che miravano a distruggerla, a smembrarla e a spartirsi le sue spoglie.
 
Si assistette così ad una progressiva destabilizzazione del Paese, avviata già nel biennio 1986-87, destabilizzazione alla quale si oppose con forza soltanto Slobodan Milošević, divenuto Presidente della Repubblica Socialista di Serbia, e che toccò il culmine con la creazione in Croazia, nel Maggio del 1989, dell’Unione Democratica Croata (Hrvatska Demokratska Zajednica o HDZ), partito anti-comunista di centro-destra che a tratti riprendeva le idee scioviniste degli Ustascia di Ante Pavelić, guidato dal controverso ex Generale di Tito Franjo Tuđman.
 
Sarebbe lungo in questa sede ripercorrere tutte le tappe che portarono al precipitare degli eventi, alla necessità degli interventi della Jugoslosvenska Narodna Armija dapprima in Slovenia e poi in Croazia, alla definitiva scissione dalla Federazione delle due repubbliche ribelli e all’allargamento del conflitto nella vicina Bosnia. Si tratta di eventi sui quali esiste moltissima documentazione, la maggior parte della quale risulta però essere fortemente viziata da interpretazioni personali e di parte degli storici o volutamente travisata da giornalisti asserviti alle lobby di potere mediatico-economico europee ed americane. Giornalisti che della Jugoslavija e della sua storia ritengo che non abbiano mai capito niente.
 
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Come ho scritto poc’anzi, ritengo che la saggia affermazione di Boris Yousef si adatti molto bene al conflitto civile jugoslavo. A prescindere dal fatto che esso è stato generato da palesi ingerenze esterne, ritengo che sarebbe potuto terminare ‘naturalmente’ manu militari nel giro di pochi mesi, senza le continue ingerenze, le pressioni e le intromissioni della sedicente ‘Comunità Internazionale’, delle Nazioni Unite e di molteplici altre organizzazioni che agivano dietro le quinte (Fondo Monetario Internazionale, OSCE, UNHCR, Unione Europea e criminalità organizzata italiana e sud-americana). Sono state proprio queste ingerenze (i vari farmaci dagli effetti contrastanti citati nella metafora di Yousef) a prolungare il conflitto per anni, con la continua richiesta, dall’alto, di tregue impossibili e non risolutive, e con la pretesa di ridisegnare la cartina geografica dell’area sulla base delle convenienze economiche e non della realtà etnica e sociale del territorio.
 
Ma si tratta di una storia in buona parte ancora non scritta, perché sono state troppe le complicità di molti leader europei, complicità che si vuole continuare a nascondere, ad occultare. Ed è per questo che gli storici continuano ad ignorare che la Croazia di Tuđman costruì il suo esercito grazie al traffico internazionale di droga (tutte quelle navi che dal Sud America gettavano l’ancora nel porto di Zara, secondo voi cosa contenevano?). È per questo che continuano a non domandarsi per quale motivo tutto il contenuto dei magazzini militari della defunta Repubblica Democratica Tedesca siano prontamente finiti nelle mani di Zagabria.
 
Si tratta di vicende che conosco molto bene, perché ho trascorso nei Balcani buona parte degli anni ’90, prevalentemente a Belgrado e a Skopje. Parlo bene tutte le lingue dell’area, compresi i relativi dialetti, e ho avuto a lungo contatti con l’amministrazione di Slobodan Milošević, che ho avuto l’onore di incontrare in più di un’occasione. Sono stato, fra l’altro, l’unico esponente politico italiano ad essere presente ai suoi funerali, in una fredda giornata di Marzo del 2006.
 
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Sono stato quindi un diretto testimone dei principali eventi che hanno segnato la storia del conflitto civile jugoslavo e degli sviluppi ad esso successivi. Ho visto con i miei occhi le decine di migliaia di profughi serbi costretti a lasciare Knin e le altre località della Srpska Republika Krajina, sotto la spinta dell’occupazione croata delle loro case, avvenuta con l’appoggio dell’esercito americano.
 
Ho seguito da vicino tutte le tappe dello scontro in Bosnia, i disordini nel Kosovo, la galoppante inflazione a nove cifre che cambiava nel giro di poche ore il potere d’acquisto di una banconota. Ho vissuto il dramma, nel 1999, dei criminali bombardamenti della NATO su Belgrado e su altre città della Serbia. Ed è per questo che non ho mai creduto – a ragione – alle tante bugie che riportavano la stampa europea e quella italiana in primis. Bugie e disinformazioni dettate da quell’operazione di marketing pubblicitario (non saprei come altro definirla) pianificata sui tavoli di Washington e diLangley che impose a tutta l’opinione pubblica la favoletta dei Serbi ‘cattivi’ aguzzini di poveri e innocenti Croati, Albanesi e musulmani bosniaci. Favoletta che ha però incredibilmente funzionato per lunghissimo tempo, portando all’inevitabile criminalizzazione e demonizzazione di una delle parti in conflitto e tacendo sui crimini e sulle nefandezze delle altre.
 
La guerra, e a maggior ragione una guerra civile, non è ovviamente un pranzo di gala e non vi si distribuiscono caramelle e cotillon. In guerra si muore. In guerra si uccide o si viene uccisi. La guerra significa fame, sofferenza, freddo, fango, sudore, privazioni e sangue. Ed è fatta, necessariamente, anche di propaganda. Durante il lungo conflitto civile jugoslavo nessuno può negare che siano state commesse numerose atrocità, soprattutto dettate dal risveglio di un mai sopito odio etnico. Ma mai nessun conflitto, dal termine della Seconda Guerra Mondiale, ha visto un simile massiccio impiego di ‘false flag’, azioni pianificate ad arte, quasi sempre dall’intelligence, per scatenare le reazioni dell’avversario o per attribuirgli colpe non sue. Ho già spiegato il concetto di ‘false flag’ in numerosi miei articoli, denunciando l’escalation del loro impiego su tutti i più recenti teatri di guerra.
 
Fino ad oggi la più nota ‘false flag’ della guerra civile jugoslava era la tragica strage di civili al mercato di Sarajevo, quella che determinò l’intervento della NATO, che bombardò ripetutamente, per rappresaglia, le postazioni serbo-bosniache sulle colline della città. Venne poi appurato con assoluta certezza che fu lo stesso governo musulmano-bosniaco di Alija Izetbegović a uccidere decine di suoi cittadini in quel cannoneggiamento, per far ricadere poi la colpa sui Serbi.
 
E quella che io ho sempre ritenuto la più colossale ‘false flag’ del conflitto, ovvero il massacro di oltre mille civili musulmani avvenuto a Srebrenica, del quale fu incolpato l’esercito serbo-bosniaco comandato dalGenerale Ratko Mladić, che da allora venne accusato di ‘crimi di guerra’ e braccato dal Tribunale Penale Internazionale dell’Aja fino al suo arresto, avvenuto il 26 Maggio 2011, si sta finalmente rivelando in tutta la sua realtà. In tutta la sua realtà, appunto, di ‘false flag’.
 
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I giornali italiani, che all’epoca scrissero titoli a caratteri cubitali per dipingere come un ‘macellaio’ ilGenerale Mladić e come un folle criminale assetato di sangue il Presidente della Repubblica Serba di Bosnia Radovan Karadžić, anch’egli arrestato nel 2008 e sulla cui testa pendeva una taglia di 5 milioni di Dollari offerta dagli Stati Uniti per la sua cattura, hanno praticamente passato sotto silenzio una sconvolgente notizia. Una notizia a cui ha dato spazio nel nostro Paese soltanto il quotidiano Rinascita, diretto dall’amico Ugo Gaudenzi, e fa finalmente piena luce sui fatti di Srebrenica, stabilendo che la colpa non fu dei vituperati Serbi, ma dei musulmani bosniaci.
 
Ibran Mustafić, veterano di guerra e politico bosniaco-musulmano, probabilmente perché spinto dal rimorso o da una crisi di coscienza, ha rilasciato ai media una sconcertante confessione: almeno mille civili musulmano-bosniaci di Srebrenica vennero uccisi dai loro stessi connazionali, da quelle milizie che in teoria avrebbero dovuto assisterli e proteggerli, durante la fuga a Tuzla nel Luglio 1995, avvenuta in seguito all’occupazione serba della città. E apprendiamo che la loro sorte venne stabilita a tavolino dalle autorità musulmano-bosniache, che stesero delle vere e proprie liste di proscrizione di coloro a cui «doveva essere impedito, a qualsiasi costo, di raggiungere la libertà».
 
Come riporta Enrico Vigna su Rinascita, Ibran Mustafić ha pubblicato un libro, Caos pianificato, nel quale alcuni dei crimini commessi dai soldati dell’esercito musulmano della Bosnia-Erzegovina contro i Serbi sono per la prima volta ammessi e descritti, così come il continuo illegale rifornimento occidentale di armi ai separatisti musulmano-bosniaci, prima e durante la guerra, e – questo è molto significativo – anche durante il periodo in cui Srebrenica era una zona smilitarizzata sotto la protezione delle Nazioni Unite.
 
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Mustafić racconta inoltre, con dovizia di particolari, dei conflitti tra musulmani e della dissolutezza generale dell’amministrazione di Srebrenica, governata dalla mafia, sotto il comandante militare bosniaco Naser Orić. A causa delle torture di comuni cittadini nel 1994, quando Orić e le autorità locali vendevano gli aiuti umanitari a prezzi esorbitanti invece di distribuirli alla popolazione, molti bosniaci fuggirono volontariamente dalla città. «Coloro che hanno cercato la salvezza in Serbia, sono riusciti ad arrivare alla loro destinazione finale, ma coloro che sono fuggiti in direzione di Tuzla ( governata dall’esercito musulmano) sono stati perseguitati o uccisi», svela Mustafić. E, ben prima del massacro dei civili musulmani di Srebrenica nel Luglio 1995, erano stati perpetrati da tempo crimini indiscriminati contro la popolazione serba della zona. Crimini che Mustafić descrive molto bene nel suo libro, essendone venuto a conoscenza già nel 1992, quando era fuggito da Sarajevo a Tuzla.
 
«Lì – egli scrive – il mio parente Mirsad Mustafić mi mostrò un elenco di soldati serbi prigionieri, che furono uccisi in un luogo chiamato Zalazje. Tra gli altri c’erano i nomi del suo compagno di scuola Branko Simić e di suo fratello Pero, dell’ex giudice Slobodan Ilić, dell’autista di Zvornik Mijo Rakić, dell’infermiera Rada Milanović. Inoltre, nelle battaglie intorno ed a Srebrenica, durante la guerra, ci sono stati più di 3.200 Serbi di questo e dei comuni limitrofi uccisi».
 
Mustafić ci riferisce a riguardo una terribile confessione del famigerato Naser Orić, confessione che non mi sento qui di riportare per l’inaudita credezza con cui questo criminale di guerra descrive i barbari omicidi commessi con le sue mani su uomini e donne che hanno avuto la sventura di trovarsi alla sua mercé. Ma voglio citare il racconto di uno zio di Mustafić, anch’esso riportato nel libro: «Naser venne e mi disse di prepararmi subito e di andare con la Zastava vicino alla prigione di Srebrenica. Mi vestii e uscii subito. Quando arrivai alla prigione, loro presero tutti quelli catturati precedentemente a Zalazje e mi ordinarono di ritrasportarli lì. Quando siamo arrivati alla discarica, mi hanno ordinato di fermarmi e parcheggiare il camion. Mi allontanai a una certa distanza, ma quando ho visto la loro furia ed il massacro è iniziato, mi sono sentito male, ero pallido come un cencio. Quando Zulfo Tursunović ha dilaniato il petto dell’infermiera Rada Milanovic con un coltello, chiedendo falsamente dove fosse la radio, non ho avuto il coraggio di guardare. Ho camminato dalla discarica e sono arrivato a Srebrenica. Loro presero un camion, e io andai a casa a Potocari. L’intera pista era inondata di sangue».
 
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Da quanto ci racconta Mustafić, gli elenchi dei ‘bosniaci non affidabili’ erano ben noti già da allora alla leadership musulmana ed al Presidente Alija Izetbegović, e l’esistenza di questi elenchi è stata confermata da decine di persone. «Almeno dieci volte ho sentito l’ex capo della polizia Meholjić menzionare le liste. Tuttavia, non sarei sorpreso se decidesse di negarlo», dice Mustafić, che è anche un membro di lunga data del comitato organizzatore per gli eventi di Srebrenica. Secondo Mustafić, l’elenco venne redatto dalla mafia di Srebrenica, che comprendeva la leadership politica e militare della città sin dal 1993. I ‘padroni della vita e della morte nella zona’, come lui li definisce nel suo libro. E, senza esitazione, sostiene: «Se fossi io a dover giudicare Naser Orić, assassino conclamato di più di 3.000 Serbi nella zona di Srebrenica (clamorosamente assolto dal Tribunale Internazionale dell’Aja!) lo condannerei a venti anni per i crimini che ha commesso contro i Serbi; per i crimini commessi contro i suoi connazionali lo condannerei a minimo 200.000 anni di carcere. Lui è il maggiore responsabile per Srebrenica, la più grande macchia nella storia dell’umanità».
 
Ma l’aspetto più inquietante ed eclatante delle rivelazioni di Mustafić  è l’ammissione che il genocidio di Srebrenica è stato concordato tra la comunità internazionale e Alija Izetbegović , e in particolare tra Izetbegović e il presidente USA Bill Clinton, per far ricadere la colpa sui Serbi, come Ibran Mustafić afferma con totale convinzione.
«Per i crimini commessi a Srebrenica, Izetbegović e Bill Clinton sono direttamente responsabili. E, per quanto mi riguarda, il loro accordo è stato il crimine più grande di tutti, la causa di quello che è successo nel Luglio 1995. Il momento in cui Bil Clinton entrò nel Memoriale di Srebrenica è stato il momento in cui il cattivo torna sulla scena del crimine», ha detto Mustafić. Lo stesso Bill Clinton, aggiungo io, che superò poi se stesso nel 1999, con la creazione ad arte delle false fosse comuni nel Kosovo (altro clamoroso esempio di ‘false flag’), nelle quali i miliziani albanesi dell’UCK gettavano i loro stessi caduti in combattimento e perfino le salme dei defunti appositamente riesumate dai cimiteri, per incolpare mediaticamente, di fronte a tutto il mondo, l’esercito di Belgrado e poter dare il via a due mesi di bombardamenti sulla Serbia.
 
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Come sottolinea sempre Mustafić, riguardo a Srebrenica ci sono inoltre state grandi mistificazioni sui nomi e sul numero reale delle vittime. Molte vittime delle milizie musulmane non sono state inserite in questo elenco, mentre vi sono stati inseriti ad arte cittadini di Srebrenica da tempo emigrati e morti all’estero. E un discorso simile riguarda le persone torturate o che si sono dichiarate tali. «Molti bosniaci musulmani – sostiene Mustafić – hanno deciso di dichiararsi vittime perché non avevano alcun mezzo di sostentamento ed erano senza lavoro, così hanno usato l’occasione. Un’altra cosa che non torna è che tra il 1993 e il 1995 Srebrenica era una zona smilitarizzata. Come mai improvvisamente abbiamo così tanti invalidi di guerra di Srebrenica?».
 
Egli ritiene che sarà molto difficile determinare il numero esatto di morti e dei dispersi di Srebrenica. «È molto difficile  – sostiene nel suo libro – perché i fatti di Srebrenica sono stati per troppo tempo oggetto di mistificazioni, e il burattinaio capo di esse è stato Amor Masović, che con la fortuna fatta sopra il palcoscenico di Srebrenica potrebbe vivere allegramente per i prossimi cinquecento anni! Tuttavia, ci sono stati alcuni membri dell’entourage di Izetbegović che, a partire dall’estate del 1992, hanno lavorato per realizzare il progetto di rendere i musulmani bosniaci le permanenti ed esclusive vittime della guerra».
 
Il massacro di Srebrenica servì come pretesto a Bill Clinton per scatenare, dal 30 Agosto al 20 Settembre del 1995, la famigerata Operazione Deliberate Force, una campagna di bombardamento intensivo, con l’uso di micidiali bombe all’uranio impoverito, con la quale le forze della NATO distrussero il comando dell’esercito serbo-bosniaco, devastandone irrimediabilmente i sistemi di controllo del territorio. Operazione che spinse le forze croate e musulmano-bosniache ad avanzare in buona parte delle aree controllate dai Serbi, offensiva che si arrestò soltanto alle porte della capitale serbo-bosnica Banja Lukae che costrinse i Serbi ad un cessate il fuoco e all’accettazione degli accordi di Dayton, che determinarono una spartizione della Bosnia fra le due parti (la croato-musulmana e la serba). Spartizione che penalizzò fortemente la Republika Srpska, che venne privata di buona parte dei territori faticosamente conquistati in tre anni di duri combattimenti.
 
Alija Izetbegović, fautore del distacco della Bosnia-Erzegovina dalla federazione jugoslava nel 1992, dopo un referendum fortemente contestato e boicottato dai cittadini di etnia serba (oltre il 30% della popolazione) è rimasto in carica come Presidente dell’autoproclamato nuovo Stato fino al 14 Marzo 1996, divenendo in seguito membro della Presidenza collegiale dello Stato federale imposto dagli accordi di Dayton fino al 5 Ottobre del 2000, quando venne sostituito da Sulejman Tihić. È morto nel suo letto a Sarajevo il 19 Ottobre 2003 e non ha mai pagato per i suoi crimini. Ha anzi ricevuto prestigiosi premi e riconoscimenti internazionali, fra cui le massime onorificenze della Croazia (nel 1995) e della Turchia (nel 1997). E ha saputo bene far dimenticare agli occhi della ‘comunità internazionale’ la sua natura di musulmano fanatico e fondamentalista ed i suoi numerosi arresti e le sue lunghe detenzioni, all’epoca di Tito, (in particolare dal 1946 al 1949 e dal 1983 al 1988) per attività sovversive e ostili allo Stato.
 
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Nella sua celebre Dichiarazione Islamica, pubblicata nel 1970, dichiarava: «non ci sarà mai pace né coesistenza tra la fede islamica e le istituzioni politiche e sociali non islamiche» e che «il movimentoislamico può e deve impadronirsi del potere politico perché è moralmente e numericamente così forte che può non solo distruggere il potere non islamico esistente, ma anche crearne uno nuovo islamico». E ha mantenuto fede a queste sue promesse, precipitando la tradizionalmente laica Bosnia-Erzegovina, luogo dove storicamente hanno sempre convissuto in pace diverse culture e diverse religioni, in una satrapia fondamentalista, con l’appoggio ed i finanziamenti dell’Arabia Saudita e di altri stati del Golfo e con l’importazione di migliaia di mujahiddin provenienti da varie zone del Medio Oriente, che seminarono in Bosnia il terrore e si resero responsabili di immani massacri.
 
Slobodan Milošević, accusato di ‘crimini contro l’umanità’ (accuse principalmente fondate su una sua presunta regia del massacro di Srebrenica), nonostante abbia sempre proclamato la sua innocenza, venne arrestato e condotto in carcere all’Aja. Essendo un valente avvocato, scelse di difendersi da solo di fronte alle accuse del Tribunale Penale Internazionale, ma morì in circostanze mai chiarite nella sua cella l’11 Marzo 2006. Sono insistenti le voci secondo cui sarebbe stato avvelenato perché ritenuto ormai prossimo a vincere il processo e a scagionarsi da ogni accusa, e perché molti leader europei temevano il terremoto che avrebbero scatenato le sue dichiarazioni.
 
Radovan Karadžić, l’ex Presidente della Repubblica Serba di Bosnia, e il Generale Ratko Mladić, comandante in capo dell’esercito bosniaco, sono stati anch’essi arrestati e si trovano in cella all’Aja. Sul loro capo pendono le stesse accuse di ‘crimini contro l’umanità’, fondate essenzialmente sul massacro di Srebrenica.
 
Adesso che su Srebrenica è finalmente venuta fuori la verità, dovrebbe essere facile per loro arrivare ad un’assoluzione, a meno che qualcuno non abbia deciso che debbano fare la fine di Milošević.
 
Ma chi restituirà a loro e al defunto Presidente Jugoslavo la dignità e l’onorabilità? Tutte le grandi potenze occidentali, dagli Stati Uniti all’Unione Europea, dovrebbero ammettere di aver sbagliato, ma dubito sinceramente che lo faranno.
 

Iran, gli ebrei al voto in Sinagoga: ‘Siamo iraniani’

e la leggenda che gli ebrei in Iran sono perseguitati e trattati male? Era una balla dei giornali pagati dagli Usa?
 
Sono in 20mila, ‘stiamo bene qui e non ce ne andremo’
 
Elisa Pinna e Mojgan Ahmadvand
TEHERAN
26 febbraio 2016
 
Nella sala della preghiera della sinagoga di Yusifad a Teheran, davanti al grande candelabro azzurro a sette braccia dipinto sulla parete di fondo, è stato allestito un seggio elettorale. Gli scrutatori sono musulmani, ma i votanti sono solo ed esclusivamente ebrei. La comunità ebraica iraniana, la più numerosa di tutto il Medio Oriente (ovviamente dopo Israele) con circa 20mila persone, ha diritto ad un proprio rappresentante nel nuovo Parlamento iraniano, o Majlis, così come gli armeni, i cattolici siriaci e gli zoroastriani, tutte minoranze ‘protette’ dalla costituzione islamica. A Teheran oggi si è votato anche nelle chiese e nei templi del fuoco.
 
Nella Sinagoga, il dovere elettorale è preso molto sul serio. Dati i numeri relativamente piccoli, stupisce il continuo via–vai di votanti, molti uomini con la kippah, donne velate, famiglie con bambini. All’ora di pranzo qualcuno porta grandi ceste di frutta e le appoggia sugli stessi tavoli dove si compilano le schede, prima di metterle nell’urna e di sigillare il voto timbrando l’indice della mano destra nell’inchiostro. I candidati in corsa sono due, Homayoun Samiha e Siamak Morsedes. “Noi ci sentiamo iraniani a tutti gli effetti. Stiamo bene qui. Non abbiamo problemi”, spiega all’ANSA Elyas Abbian, proprietario di una gioielleria nel grande bazar di Teheran.
 
Abbian dice di ricevere continue pressioni da Israele, specie dai suoi parenti, perché anche lui compia la sua alya, ovvero il ritorno alla Terra Promessa. “L’emigrazione non è però un obbligo”, sottolinea. Anche se non esistono rapporti diplomatici tra Israele e l’Iran – e anzi i due Paesi vengono spesso considerati nemici giurati – gli ebrei iraniani possono recarsi in preghiera a Gerusalemme. Nella sinagoga di Teheran, molti ammettono di essere stati in Israele, ma di essere poi tornati.
 
Chi doveva partire, ormai è partito. Ai tempi dello Scià vivevano in Iran circa 100mila ebrei. Poi la Rivoluzione del 1979 creò una situazione di paura. L’ayatollah Khomeini inquadrò gli ebrei come minoranza protetta ma i più non si fidarono. Gli ebrei hanno vissuto in Iran da 2500 anni, da quando giunsero in Persia liberati da Ciro il Grande, dopo la schiavitù di Babilonia. La storia della minoranza ebraica in Persia e poi in Iran è stata caratterizzata da alti e bassi, periodi di convivenza pacifica si sono alternati a periodi di persecuzioni e conversioni forzate. Dopo le tensioni vissute durante la presidenza di Ahmadinejad e il suo furore anti-sionista, per gli ebrei iraniani è cominciata una fase più positiva con Rohani. “Il sabato è rispettato come nostro giorno di festa, nelle nostre scuole si studia in ebraico, i nostri ragazzi possono fare il servizio militare vicino alle loro comunità, i nostri riti sono tutelati”, afferma Abbian. “Anzi, il 99,9% dei miei amici sono musulmani e non vi sono problemi di religione. Io partecipo alle loro feste e loro vengono al Tempio”. Abbian si ferma a parlare all’ingresso della Sinagoga, dove l’atmosfera sembra rilassata, tranquilla. Solo un soldato è di guardia, così come negli altri seggi. Gli ebrei iraniani sperano che il nuovo corso avviato da Rohani possa portare anche ad un dialogo con Israele? “Noi speriamo ovviamente di sì, però prima deve essere risolta la questione palestinese. Solo a questa condizione, Israele e Iran potranno diventare buoni amici”, risponde senza esitazione il negoziante del bazar.
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Presidente del Sudan: dietro ISIS e Boko Haram ci sono CIA e MOSSAD – VIDEO

by admin · 18 febbraio 2015
 
Penso che dietro queste organizzazioni (ISIS e Boko Haram) ci sia la CIA e il MOSSAD“.
 
Questa è l’accusa gravissima che il Presidente del Sudan, Omar al-Bashir, ha rivolto ai servizi segreti americani e israeliani.
 
Così, dai microfoni di Euronews, il Presidente del Sudan ha avuto il coraggio di affermare ciò che molti sospettano già da tempo. La dichiarazione è stata ripresa già da The Indipendent e sta facendo molto scalpore.
 
Ascoltate bene dal minuto 0:55.
 
 
E TANTO PER RICORDARE
Rivelazione shock di un combattente italiano:”I soldati dell ISIS sono imbottiti di dollari USA.IL VIDEO
Posted on luglio 13, 2015
 
Combattente-italiano-parla-dell-ISIS
Un combattente italiano che combatte al fianco delle milizie curde fa delle rivelazioni shock alla trasmissione “Piazza Pulita” su la 7.”i soldati dell’ISIS sono imbottiti di dollari,armi tecnologiche,smartphone di ultima generazione, telecamere per riprendere i combattimenti“.
 
Chi fornisce loro tutto ciò?Come mai i curdi quando perquisiscono prigionieri li trovano imbottiti di dollari americani?
 
Il combattente inoltre sottolinea il nostro errore nel sottovalutarli:”Il loro progetto è a lungo termine e non a breve termine come si pensa in Italia“.Questi ed altri inquietanti dettagli nell’intervista nel video seguente da non perdere.(L’intervista sopra citata inizia dal minuto 7:00)
 
 
 

VESCOVO KOS: “GIORNALISTI PAGANO PROFUGHI PER RIPRENDERE FINTI ANNEGAMENTI”

muore suicida una vittima dei salvataggi delle banche se se ne parla è strumentalizzazione, in verità non si parla di alcun suicidio italiano, si sa, nel mondo politically correct ogni vita ha un peso diverso, ovviamente monetizzabile
 
 
I giornalisti stranieri pagano 20 euro ad ogni ‘profugo’ che si fa riprendere fingendo di annegare, la denuncia arriva dal Metropolita di Kos e Nisyros, Nathanael.
La testimonianza è stata fatta dal religioso durante un’intervista radiofonica sulla radio greca Alpha 98,9 questo mercoledì.
Monsignor Natanaele ha detto, testuali parole: “ho assistito con i miei occhi alla scena, giornalisti televisivi stranieri pagano persone ( rifugiati ) 20 euro per recitare la parte di vittime di annegamento.”
 
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Il vescovo ha detto che i mass media stanno cercando di presentare un quadro falso degli eventi, lontano dalla realtà. Ha detto che “è peccato sfruttare il dolore umano”.

L’ordine impartito alla Nato: “Scaricate i migranti in Italia”

eterni alleati della mafia, prima con Lucky Luciano oggi con mafia capitale
 
Sui Balcani sono bloccati 150mila disperati. Adesso cercheranno di imbarcarsi nell’Adriatico. Alla Nato è arrivato l’ordine di traghettarli tutti in Italia
Sergio Rame – Ven, 26/02/2016 – 13:33
 
La Nato si prepara a innondarci di immigrati, clandestini o profughi che siano. I 150mila disperati bloccati lungo la rotta balcanica verranno traghettati sulle coste italiane dalla missione Kfor guidata dal generale di divisione Guglielmo Luigi Miglietta.
 
navi nato
L’ordine è stato impartito tempo fa, ma solo ora viene alla luce. “I primi sbarchi potrebbero avvenire fra due o tre settimane – denuncia l’ex ministro della Difesa, Mario Mauro, a Libero – con il risvolto un po’ grottesco di una invasione aiutata anche dalle forze militari nato che certo pensano anche a salvare le vite di quei poveracci”.
 
Con la chiusura delle frontiere d’ingresso all’area Schengen, le rotte degli immigrati stanno a poco a poco cambiando. Tra il Kossovo e l’Albania ci sono almeno 150mila immigrati bloccati che vogliono raggiungere i Paesi dell’Unione europea. “Sono chiuse le frontiere del Nord di Croazia, Ungheria e Austria – spiega Mauro a Libero – la rotta dei profughi si è bloccata in Serbia e Macedonia puntando ora sull’Albania dove non ci saranno barchette per trasportarli sulle coste italiane in Adriatico, ma vere e proprie navi in grado di portare migliaia di persone”. Al generale Miglietta sarabbe, infatti, arrivato l’ordine di procedere all’aiuto umanitario accompagnando gli immigrati in Italia e assistendoli anche con la fornitura di mezzi di trasporto militari. Peccato che, come aveva chiarito lo stesso Miglietta davanti alla commissione Difesa del Senato il 27 gennaio scorso, tra i disperati che premono sui confini europei ci sono anche tagliagole dello Stato islamico di origine kossovara. “Le autorità di Pristina – aveva spiegato Miglietta – sostengono che dal Kossovo sarebbero partiti 350 militanti verso il Califfato dell’Isis, ma secondo le intelligence occidentali quel numero sarebbe di gran lunga superiore, e circa la metà di loro sarebbe rientrata proprio seguendo i migranti e confondendosi in quelle folle”.
 
“L’attività di proselitismo vera e propria verrebbe condotta in Kossovo da imam non autoctoni e da organizzazioni non governative fra le oltre 8mila registrate nel paese, dal profilo nebuloso e dalle ampie disponibilità finanziarie – aveva continua Miglietta – il loro modus operandi è non solo quello di costruire moschee (ne sarebbero state costruite più di 100 in dieci anni) – aveva, poi, spiegato – ma soprattutto quello di provvedere al sostentamento dei nuclei familiari più indigenti, chiedendo in contropartita la frequentazione delle moschee fondamentaliste e l’adozione di atteggiamenti radicali nei costumi e nella educazione dei minori”. Adesso questa gente saraà traghettata dalla Nato in Italia, con il benestare di Matteo Renzi e Angelino Alfano. Che si apprestano ad accoglierli a braccia aperte.

Picchiano titolare centro profughi: “Dacci i soldi o facciamo un casino”

han fatto bene, con i milioni di euro che piovono a ste COSCHE MAFIOSE DELLE COOP.
Forse da non cittadini italiani il reddito di non cittadinanza riescono ad ottenerlo.
 
Due nigeriani si erano allontanati dal centro di accoglienza Gianal a settembre, ieri sono tornati e volevano essere reintegrati. La legge non lo consente, quindi hanno minacciato il gestore della struttura
 
Serena Pizzi – Ven, 26/02/2016 – 18:57
 
Due nigeriani si sono allontatati a settembre dal centro di accoglienza di Feroleto Antico (Catanzaro), ieri sono tornati: “Vogliamo i soldi se no facciamo casino”.
 
nigeriani
Feroelto Antico è un piccolo comune di due mila abitanti, ma nonostante le modeste dimensioni ospita nel centro di accoglienza “Gianal” 100 immigrati. Il gestore è Salvatore Lucchini, propietario dell’azienda Gianal. A settembre due nigeriani hanno abbandonato volontariamente il centro. Per la legge italiana, se trascorrono più mesi lontano dalla struttura, non possono più rientrarci. Questa è la regola, ma ai due immigrati poco importava e ieri sono ritornati nella struttura.
 
I due profughi hanno subito cercato il gestore e gli hanno imposto di riaccettarli nel centro. Salvatore, però, gli ha spiegato che non poteva perché sono rimasti troppo tempo fuori dal Gianal. I nigeriani, sentendo il rifiuto giustificato del titolare, si sono infuriati e hanno aggredito violentemente l’uomo. Dopo vari spintoni hanno proposto un patteggiamento: “Dacci 800 euro a testa e noi ce ne andremo. Se no, continueremo a fare casino” . Salvatore, temendo che scoppiasse una protesta generale nel centro, ha chiamato i carabinieri di Lamezia Terme. I due sentendo pronunciare il nome degli agenti sono scappati.
 
I militari in pochi minuti sono arrivati al Gianal e si sono messo sulle tracce dei due. Infatti, dopo poco, sono riusciti a prenderli e ad arrestarli. “Non sappiamo di preciso quanto resteranno in carcere, ma quel che è certo è che quando usciranno verranno rimpatriati nel loro Paese. A loro carico c’è un espulsione immediata dall’Italia” – ha spiegato il carabiniere. Gli agenti di Lamezia Terme hanno segnalato i due nigeriani alla Prefettura, sarà poi la polizia di Stato a doversi accertare che i due non facciano i furbi per rimanere nel nostro Paese.

Il crack del nucleare francese: conti catastrofici per Areva ed Edf

http://www.greenreport.it/news/energia/il-crack-del-nucleare-francese-conti-catastrofici-per-areva-ed-edf/#prettyPhoto

I contribuenti dovranno pagare il fallimento dell’industria nucleare francese

La voragine degli EPR, i reattori che doveva comprare l’Italia prima del referendum

[26 febbraio 2016]

crack del nucleare Francese

Il 25 febbraio Il Consiglio di amministrazione del gigante nucleare Francese Areva si è riunito per esaminare i conti dell’bilancio chiuso il 31 dicembre 2015 e ha comunicato che «Areva a appena trovato un accordo con 6 banche di prestito su un prestito ponte di 1,1 miliardi di euro, destinato ad assicurare la liquidità dell’impresa per l’anno fiscale 2016, il Consiglio ha deciso di differire di 24 ore la chiusura dei conti per permettere  la finalizzazione della documentazione tecnica afferente a questi finanziamenti. Di conseguenza, la pubblicazione dei risultati è stata rinviata di 24 ore».  Ma, come dicono quelli di Réseau Sortir du Nucléaire, il fatto che non sia ancora riuscita a chiudere i suoi conti  è «segno delle difficoltà inestricabili che attraversa l’impresa. Una cosa è sicura: il “fiore all’occhiello” dell’industria francese dovrebbe conoscere nuove perdite quest’anno. E’ inaccettabile che il salvataggio di questa filiera senza futuro incomba ai cittadini».

Le Mode rivela che «Secondo diverse fonti, lo Stato – che detiene l’86,5 % d’Areva – ha preteso all’ultimo minuto che questa somma non sia più rimborsata nel gennaio 2017, come previsto, ma piuttosto a giugno. Cioè dopo l’elezione presidenziale». La cosa non è piaciuta per niente ai banchieri e alla fine, dopo una notte di trattative serrate, condotte dall’Agence des participations de l’Etat (APE). Société générale, Crédit agricole, BNP Paribas, Natixis, il governo ha rinunciato a questo rinvio e Crédit mutuel e HSBC hanno accettato di accordare il finanziamento. Ma i preoccupatissimi amministratori di Areva hanno preferito assicurarsi che la  documentation technique  fosse davvero firmata, prima di validare i conti.

Il prestito di emergenza è indispensabile per permettere ad Areva di superare il 2016, anno durante il quale dovrà rimborsare circa un miliardo di obbligazioni, che arriveranno a scadenza a settembre.  Le Monde spiega che «La vendita dell’attività reattori del gruppo (Areva NP) a EDF per 2,5 miliardi di euro e l’aumento di capitale di 5 miliardi di euro promesso dallo Stato non interverranno prima di questa scadenza. Senza questo finanziamento di emergenza, Areva rischiava quindi l’insolvenza entro la fine del 2016 e i revisori dei conti non avrebbero potuto assicurare   la continuità operativa” dell’impresa, un concetto essenziale per poter chiudere il bilancio di esercizio».

E’ una situazione nota da mesi, ma l’intervento della politica ha contribuito a rendere ancora più opaco il fallimento del nucleare francese e il governo francese ha comunicato in ritardo alla Commissione europea il suo piano di salvataggio di Areva, che potrebbe soccombere sotto i colpi delle procedure per gli aiuti di Stato.
ieri la quotazione del titolo Areva è stato sospeso alla Borsa di Parigi e gli interrogativi sul fatto che Areva sia in grado di riprendersi si moltiplicano.  Dopo aver ceduto la sua attività di costruzione dei reattori a EDF, Areva ormai si occupa quasi solo del ciclo del combustibile: estrazione e arricchimento dell’uranio, trattamento delle scorie radioattive, smantellamento delle centrali. Ma con questa cessione in corso Areva vedrà ridursi il suo valore: i suoi dipendenti in tutto il mondo passeranno da 42. 000 a 20. 000 e il suo giro di affari si ridurrà da 8,3 a 5 miliardi di euro. Ma il suo debito già oggi supera i 6 miliardi di euro, dopo  8 miliardi di perdite accumulate in 5 anni e ce, probabilmente sono aumentate nel 2015. I finanziamenti necessari a tappare questa voragine  sono stati stimati in 7 milliardi di euro per i prossimi 3 anni e dovrebbero essere rivisti al rialzo, soprattutto per tener conto del disastro economico e tecnico dell’infinito cantiere del reattore EPR finlandese di d’Olkiluoto (OL3), in Finlandia, non ancora concluso dopo 10 anni e per il quale i finlandesi della TVO chiedono 2,6 miliardi di euro ai francesi, mentre Areva pretende 3,4 miliardi di euro dalla TVO. Dalla conclusione di questa disputa dipende gran parte della ristrutturazione della terremotata filiera del nucleare francese.

Gli EPR sono i reattori che Berlusconi doveva comprare da Sarkozy per costruire le 7 nuove centrali nucleari italiane che avrebbero dovuto avviare il rinascimento nucleare italiano, per fortna ci ha pensato il referendum a risparmiarci questa avventura verso la bancarotta. Forse gli italiani e la politica dovrebbero ringraziare le associazioni che ci hanno evitato questo disastro alla francese.

Infatti, l’altro gigante del nucleare transalpino, EDF, non è messo molto meglio di Areva. A gennaio EDF è stata scossa da diversi scioperi perché, a causa delle sue difficoltà finanziarie, ha annunciato la chiusura anticipata di diverse centrali a olio combustibile e a carbone. Thierry Gadault, caporedattore di Hexagones.fr e autore del libro “EDF, la bombe à retardement” ha ricordato che lo stesso amministratore delegato di EDF, Jean-Bernard Lévy, ha ammesso che la situazione di EDF è critica: se le entrate sono cresciute del 2,2%, nel 2014  i guadagni sono passati da 3,7 miliardi a 1,2 miliardi. «Per comprendere perché oggi la situazione è così complicata – dice Gadault-  bisogna risalire agli anni 2000 quando EDF ha acquistato delle imprese dappertutto nel mondo, hanno perso un ammontare mostruoso, si sono sovra-indebitati e oggi EDF non ha più soldi».

Ma, come per Areva, lo Stato francese è il principale azionista di EDF e per tirarla fuori dai guai dovrebbe sganciare  circa 5 miliardi di euro e rinunciare ai dividendi che gli spettano. Cosa molto difficile, vista la crisi economica. Quindi EDF non può più investire, ma secondo Gadault  «dovrebbe spendere 51 miliardi di euro per modernizzare ed aumentare la durata di vita delle sue centrali nucleari in Francia». E’ questa quella Gadault chiama “bomba a scoppio ritardato”: «Prolungando la durata di vita delle centrali, si prende il rischio di un incidente molto grave. Le centrali sono state costruite per durare 40 anni ed EDF vuole spingerle fino a 60 anni. Sappiamo che almeno una quindicina di reattori nucleari sui 58 in Francia sono in uno stato molto cattivo: crepe, contenimenti che non sono più sigillati… Un certo numero di casi sono estremamente inquietanti».

Anche secondo  Réseau Sortir du Nucléaire «Areva paga oggi la follia dell’EPR d’Olkiluoto e dei suoi investimenti disastrosi in Uramin. Lo Stato, azionista maggioritario di Areva, ha una importante responsabilità in questa situazione, per aver lasciato Areva commettere degli errori strategici monumentali e, ancora di più, per aver chiuso gli occhi sullo scandalo  Uramin, i sospetti di corruzione dei dirigenti e i possibili crimini di insider trading. Dato che Areva non conta di limitare le sue attività e prevede un piano sociale che colpirebbe  6.000 posti di lavoro, il Piano economico previsto avrà inevitabilmente delle ripercussioni sulla sicurezza, con un ricorso accresciuto al sub-appalto per diminuire i costi, una manutenzione limitata ed una pressione supplementare sui lavoratori.Gli anti-nucleari fanno notare che «Mentre è prevista una ricapitalizzazione di 5 miliardi di euro, alle fine saranno i contribuenti  – ai quali il nucleare è imposto –  che sopporteranno il peso del “salvataggio” di Areva. In periodo di austerità economica, mentre numerosi bilanci subiscono dei tagli drastici, è immorale che il denaro pubblico  continui a scorrere a fiotti per  salvare un’impresa sospettata di malversazioni. Pesantemente indebitata, Areva non potrà inoltre far fronte ai suoi incarichi per lo smantellamento e la gestione delle scorie. In virtù di una recente ordinanza, che prevede la solidarietà degli azionisti maggioritari in caso di défaillance dell’operatore, lo Stato, e quindi i contribuenti, dovranno di nuovo mettersi le man in tasca».Sortir du Nucléaire chiede che non ci sia accanimento terapeutico per una filiera in fallimento: «Fuga degli investitori, esplosione della fattura dell’EPR, provvigioni insufficienti per lo smantellamento e la gestione delle scorie radioattive, frodi e malversazioni in ogni genere di affari, lavori titanici, il “Grand carénage” (un vasto programma di lavori destinato a prolungare d la durata del funzionamento delle centrali nucleari al di là dei 40 anni). Le multinazionali EDF e  AREVA sono vicine ad essere messe al rogo per la loro fuga in avanti verso il tutto-nucleare. Un vero e proprio salasso finanziario si apre di nuovo per la filiera nucleare francese che dovrebbe logicamente, ancora una vola, essere colmato dai contribuenti, con la complicità dello Stato».

I no-nuke non hanno dubbi: «E’ la filiera nucleare francese nel suo insieme  che è in fallimento. Mentre  EDF, già appesantita dai costi futuri del “Grand carénage” è già indebitata a un livello di 37,5 miliardi di euro, esigere che acquisti una parte delle attività di Areva non ha alcun senso. Le ristrutturazioni previste e le ricapitalizzazioni annunciate sono solo delle manovre vane per lasciar pensare che un salvataggio della filiera sia possibile. Il nucleare è un pozzo senza fondo! Lo stato deve smetterla di inghiottire miliardi in questo  impossibile salvataggio di un’industria pericolosa, inquinante e superata, Per impedire la catastrofe industriale, la sola soluzione è quella di smettere di spendere impegnandosi subito per un’uscita dal nucleare e una riconversione verso un’autentica transizione energetica. In particolare, è più che mai il momento di mettere fine al ritrattamento delle scorie a La Hague ed alla produzione di combustibile MOX, operazioni care, inquinanti e inutili,  dato che gli impianti si degradano più rapidamente del previsto»