NATO-SIRIA: BLUFF O SALTO NEL BUIO? REGENI-EGITTO: ALTRO CHE AL SISI, JOHN NEGROPONTE!

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MONDOCANE

MERCOLEDÌ 17 FEBBRAIO 2016

Scherzano, o preparano l’apocalisse?
In molti esprimono, sui recenti movimenti degli aggressori della Siria, un’opinione “moderata”, come dire, non allarmistica, tutto sommato ottimistica. Il pandemonio scatenato sui bombardamenti degli ospedali non sarebbe che la ripetizione di vecchie provocazioni false flag per mettere in difficoltà i russi. Gli Usa, visti come divergenti rispetto agli indemoniati cani da guerra turchi e sauditi, premono per tirare il fiato, la Merkel spara a salve con la sua richiesta di una no-fly zone attorno al confine, dato che gli europei non la seguono e il suo soffietto ai latrati di Erdogan sarebbe solo un trucco perché il nazisultano blocchi  a casa sua i rifugiati. Altri si sentono rassicurati dal fatto che “oggi il mondo sa che sul campo siriano ci sono anche i terroristi” (ci sono solo quelli!) e danno la colpa ai gruppi terroristi della mancata accettazione di cessate il fuoco che Putin e Obama avrebbero concordato.
Se fosse così, ci sarebbe in effetti da stare relativamente tranquilli. Ma a me non pare affatto così e non credo neanche che i “gruppi terroristi” abbiano quell’autonomia, quella libertà di autodeterminarsi, che gli permetterebbe di impedire le tregue. Pare invece che i gruppi terroristi, salvo forse qualche frangia irrilevante costituitasi su base locale o tribale, siano dall’inizio ad oggi e sempre agli  ordini diretti di chi li ha inventati, reclutati, foraggiati, armati e spediti sul campo. Cioè di Turchia, Arabia Saudita, Qatar e principotti petroliferi minori. E, arrivando al quartier generale e risalendo per li rami, di Nato, Usa, Israele, Cupola militar-finanziaria occidentale. La stessa roba tossica che sta dietroall’operazione Regeni. D’accordo che quelle di Monaco, Ginevra, Vienna, con le conseguenti manifestazioni di ragionevolezza dei vari attori, sono commedie. Ma sono commedie che distraggono dalla tragedia da mettere in scena.
L’incontro di Monaco, con il controcanto dei latrati di Turchia, Saudia e milizie surrogate, non è che un diversivo. Come lo sono le bombe sugli ospedali. Come lo erano gli attacchi dei terroristi con gas turchi, attribuiti ad Assad, a Est Goutha, che dovevano scatenare un’offensiva finale di tipo libico. Come lo è l’assordante can can – dignitoso in sé. ma degradato dall’uso strumentale – sulle unioni civili, di genere, con adozione di figliastri, a copertura del retroterra bancario delinquenziale dei vertici del nostro governo, del colpo di maglio “bail in” a quanto resta di capacità di sopravvivenza dei cittadini, della crisi 2.0 ora lanciata per finalizzare il sociocidio e per trasferire in cima alla piramide gli spiccioli che quella precedente ci aveva lasciato in saccoccia. Prima spennati, ora divorati.
Giulio Regeni lavorava per  il Charles Manson del Dipartimento di Stato
John Negroponte
Come lo è, in maniera sempre più lampante, l’affaire Regeni, del quale ora, con grave imbarazzo dei corifei dell’ “eroico militante democratico trucidato da Al Sisi”, spunta un’altra militanza. Davvero sconvolgente. Quella del lavoro a tempo pieno alla “Oxford  Analytica”. Cos’è? Andate a vedere in internet e troverete una di quelle sporche agenzie di intelligence private, dette di “consulenza”, che lavorano per governi e multinazionali e se ne assumono le porcate sotto la copertura di operazioni commerciali. “Oxford Analytica”, fondata da un assistente di Henry Kissinger, diretta dall’ex-capo dei servizi segreti di Londra, Colin McCole, ha per Amministratore Delegato, roba da far rizzare i capelli, John Negroponte, una belva subumana che ti fa venire in mente colui che nel Medioevo veniva rappresentato come Satana. Bella gente, i colleghi di Giulio.
Negroponte è probabilmente il serial killer grondante più sangue tra quanti l’apparato terroristico di Stato Usraeliano ha saputo mettere in campo contro milioni di civili inermi di cui alleggerire la Terra. Inventore e gestore di squadroni della morte in mezzo mondo, soprattutto in Centroamerica, padrino dei Contras e macellaio dell’Honduras, e poi in Iraq nell’occupazione del 2003, è un simbolo vivente della misura di ferocia e sadismo esercitata dagli Usa su popolazioni innocenti da rimuovere. Guido Rampoldi, Voice of America trasferitasi da La Reppublica a Il Fatto, esalta lo “straordinario ragazzo Regeni e la sua straordinaria lezione”. Non so se la la straordinaria lezione di Regeni sia quella di far carriera sotto belve subumane come l’israelita Negroponte. Sicuramente una lezione straordinaria è quella che riceviamo dallo stesso Negroponte se è vero, come è probabile, che il giovane adepto di questa banda di malaffare, forse inconsapevole, forse no,  può essere stato sacrificato ove si trattava di mettere in difficoltà un leader importuno, troppo autonomo, troppo ricco di gas, troppo amico di Putin e dei patrioti libici. Non ci mettono niente a buttare i loro per la causa. Pensate ai 3000 delle Torri Gemelle.
Ci conforti la certezza che anche questa notizia alla nitroglicerina lascerà indisturbati, nella morta ma turbinosa gora delle loro mistificazioni, i vari Acconcia (il manifesto), Coen e Rampoldi (Il Fatto), Molinari (La Stampa), Bonini (La Repubblica), il piccolo vendolino da sinagoga Oggionni (Huffington Post) e tutta la compagnia cantante della voce del padrone a stelle e strisce e croce di David (e svastika a Kiev).
A proposito di Leonardo Coen de Il Fatto, diventato su Regeni uno specialista di condizionali, che scoppiettano nei suoi pezzi come fuochi d’artifizio e tutti abbagliano – potrebbe, saprebbe, direbbe, avrebbe, andrebbe  – nell’ incidere sulle sacre tavole del Sinai, di cui è cromosomicamente assertore, la colpevolezza del Videla egiziano, ha coronato il suo trambusto polemico anti-Assad e anti-russo con questa perla di inversione giorno-notte: “La più inquietante di tutte le manovre russe è stata la Trident Juncture dell’ottobre 2015, in cui la Russia ha mobilitato 35mila uomini. La più grande mai effettuata dal crollo del muro di Berlino. Ecco, la Siria è anche questo”.  E non ha mancato usato il congiuntivo. Era, come sa perfino Acconcia, esercitazione Nato. Quando si dice Taffazzi. Ma Marco Travaglio, padre nobile di tutti i giornalisti, uno così se lo tiene perché sennò a Tel Aviv s’incazzano?
 Anche i migliori prendono – o fanno – cantonate
A questo proposito, duole vedere precipitare a testa in giù nella detta palude una persona che per ogni altro verso ha meritato negli anni la nostra stima e amicizia. Giorgio Cremaschi, nel formulare la piattaforma per una prossima manifestazione contro la guerra alla Libia e tutte le guerre in corso e in preparazione, ha voluto, con scarso senso del congruo, inserirsi nel coro dei bastonatori del “Videla egiziano”, con tutti i relativi elementi di raggiro dell’opinione pubblica, con sentenze pronunciate prima di aver accertato il minimo elemento probabante, sulla falsariga dell’isteria trotzkista e nella scia degli amici del giaguaro imperialista. Provocatori e spie che, fin da una primavera araba vera, ma poi corrotta dai mercenari della Fratellanza Musulmana e dai soliti manipolatori “colorati”, lavorano alla disintegrazione dell’ennesima realtà statuale non inserita nell’orbita del padrone. I benevoli parlano di persone che hanno perso ogni bussola politica. Fosse così, ci sarebbe da sperare in ravvedimenti sulla base di informazioni e della logica. Ma informazioni e logica sono là, grandi come la catena del Karakorum. E allora vuol dire che la bussola ce l’hanno. Solo che hanno scambiato i punti cardinali.
Fuochi d’artificio o redde rationem?
Ma torniamo a bomba. In ispecie alle bombe sugli ospedali di Aleppo e Azaz che, dimostrate non russe dai russi (la nave russa lanciamissili che, secondo i pappagallini mediatici, dal Mar Nero avrebbe lanciato i missili contro quelle cliniche, nel Mar Nero non c’è proprio), hanno un’origine più probabile nelle batterie di artiglieria turche che da 5 giorni martellano il nord-ovest della Siria a sostegno dei terroristi Al Nusra e affini, incalzati dalle offensive curda e siriana. Qualcuno argomenta che Erdogan e i suoi alleati sauditi, entrambi in ambasce di fronte allo sfaldarsi del moloch wahabita incaricato di far fuori Siria e Assad, siano sfuggiti al controllo dei maestri Nato e Usa. Che Obama, di fronte agli Stati Uniti tracimanti di poveri e sull’orlo della recessione, rilutta a chiudere con un costoso intervento a terra due mandati che, già così come sono, ne hanno fatto il presidente più sanguinario della storia americana.
Sarà anche così. Ma non è, in ultima analisi, Obama colui che decide. Decidono coloro che ce l’hanno messo. Come, a colpi di centinaia di milioni, mettono nella Casa Bianca, a capo della “più grande democrazia”, tutti i presidenti. E se qualcuno vuole fare il Robert Kennedy, muore. Ci sono, comunque, sviluppi in queste ore che rendono opinabile l’ipotesi degli Usa in attrito con i subordinati sul posto e che, anzi, paiono indicare il pieno impegno del moloch occidentale a guida Usa per un’escalation che a tutti i costi impedisca la vittoria russo-siriana andatasi profilando e, con essa, uno stravolgimento dell’assetto geopolitico esistente e, soprattutto, di quello programmato insieme a Israele da anni, se non decenni.
Un punto che resta aperto è quello dei curdi. Fanno pensare ad Arlecchino servitore di due padroni. Quali, unitisi nelle Forze Democratiche Siriane con certi rimasugli di quello che era il Free Syrian Army, si fanno appoggiare dai bombardieri Usa e gli cedono aeroporti all’interno della Siria nord-orientale da usare contro Assad. E quali sono sostenuti da Mosca e, occupando la striscia di confine fino all’enclave di Azaz, si adoperano per impedire che i turchi vi costituiscano l’ambita zona-cuscinetto e No-Fly Zone (ma anche qui pare che siano coadiuvati da Forze Speciali Usa). Entrambi danno il mal di pancia al folle di Ankara, ma intanto si appropriano di territori arabi e, oggettivamente, si inseriscono, come già in Iraq, nel progetto di smembramento del paese. Un storia maledettamente equivoca, su cui incombono anche figure abiette come Barzani, il boss iracheno, o ambigue come l’Ocalan dell’accomodamento con Erdogan.
 Curdi YPG e ratti siriani
 
Una flotta Nato da guerra per salvare profughi?
L’alleanza Usa-Nato, pretendendo di dare una mano all’Europa nella questione profughi (dall’alleanza stessa innescata e pianificata per tagliare le gambe all’Europa), spedisce una flotta di guerra nel Mediterraneo orientale. Mobilitazione per la guerra, fatta passare per salvataggio di profughi su cannotti e punizione dei loro scafisti (introvabili perché al sicuro nell’ hinterland turco sotto protezione del sultano organizzatore dei flussi e ricattatore di Bruxelles). Se il regime change a Damasco, che tanti sforzi, tanti rastrellamenti di mercenari, tanti soldi e tante balle ha impegnato, va per le lunghe e minaccia di non avverarsi, Turchia e Nato sembrerebbero pronte a giocarsi il tutto per il tutto. Così Jens Stoltenberg, segretario-marionetta della Nato, annuncia al vertice di Bruxelles che lo Standing Maritime Group 2, appena reduce da esercitazioni con le forze armate turche, verrà impiegato nell’Egeo, “per monitorare e sorvegliare gli attraversamenti illegali”, ma anche “per pattugliare e raccogliere intelligence sul confine turco-siriano”. E’ la seconda che hai detto.
Non è una sparata per far sapere in giro che l’Occidente non se ne resta con le mani in mano, mentre turchi e sauditi, da soli, sono costretti a salvare quel che resta dell’armata jihadista. L’ordine della spedizione è venuto direttamente dal generale Philip Breedlove, comandante supremo della Nato, uno che da tempo minaccia di azzannare i polpacci dell’orso russo. E quella dell’Egeo non è una flotta per racattare naufraghi. Vi partecipano Germania, Canada, Grecia e Turchia e “quello che andiamo a fare è un lavoro militare”, ha precisato Breedlove. Infatti, qui non si tratta di battelli guardiacoste. Si tratta di pesanti navi da guerra, di classe superiore a incrociatori e corazzate, munite di armi anti-aeree, anti-navi, anti-sommergibili e anti-missili. Non per nulla il gruppo viene chiamato “Forza di reazione rapida”.
 
Anche Ash Carter, ringhioso ministro della Difesa Usa, era presente al vertice che ha deciso la nuova missione ”umanitaria”. Nelle parole della BBC: “Questa decisione segna il primo intervento dell’Alleanza nella crisi europea dei migranti”, incaricata di colpire le associazioni criminali che gestiscono il traffico di carne umana. Una flotta di poderose navi da guerra che andrebbe a scovare a terra gli imprenditori e manager del traffico, di cui anche i bambini, trasferiti sotto attento occhio turco dal confine siriano alle coste dei gommoni, prima di annegare, sapevano che chi organizzava tutto era un sultano intronato ad Ankara. Non arrivavano, forse, a capire che quello lì era poi solo l’esecutore di un’operazione destinata a sconvolgere l’Europa, indebolirla, tenerla al guinzaglio. Significativo poi che, in prima linea, ci sia una solitamente tiepida Germania, con Angela Merkel che giorni fa si è precipitata a raddrizzare la spina dorsale a Erdogan, potenziando l’ormai assordante propaganda Nato dei russi che massacrano i civili siriani.
Il pesce-pilota mediatico del partito della guerra, il New York Times, voce dell’integralismo bellicista israeliano, ha fatto una stupefacente ammissione:”I russi hanno tagliato molti dei sentieri che la Cia ha utilizzato nel suo sforzo di armare i gruppi ribelli”. Si sapeva, e ancor più si sapeva dei turchi, ma della Cia non era mai stato ammesso in termini così espliciti. E non è stato il ministro della Difesa dell’entità sionista, Aalon, a dichiarare che ad Assad e all’Iran preferisce nettamente l’Isis? Preferenza condivisa anche dall’omino coi baffi Bialetti, il premier turco Davutoglu. Perdendo la sua guerra coperta contro la Siria a causa dell’intervento dell’arcirivale, pur assediato in tutto l’est europeo, Washington, secondo il NYT, è costretto a prendere in considerazione il “Piano B”, cioè un “impegno militare molto più grande contro Assad”. Le frustrazioni di Arabia Saudita e Turchia, diventano quelle degli Usa e, quindi, della Nato. Può darsi che siamo a un’impennata propagandistica. Oppure al redde rationem.
Pubblicato da alle ore 18:54

L’impatto ambientale delle Olimpiadi di Torino 2006

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Di  giovedì 11 febbraio 2016

Costose, impattanti e inutilizzate, le opere realizzate sulle montagne olimpiche di Valsusa e Val Chisone sono un monito per i sostenitori di Roma 2024

 Le Olimpiadi Invernali di Torino 2006 erano state annunciate in pompa magna come una manna dal cielo per una città intenzionata a svincolarsi dal monopolio economico-occupazionale della Fiat. Una quindicina d’anni fa ricordo di avere intervistato uno degli organizzatori del Toroc (il comitato organizzatore dell’evento) e di essermi sentito rispondere che tutte le strutture ricettive pensate per ospitare gli atleti sarebbero state costruite ragionando sul loro utilizzo futuro e temporaneamente adattate all’evento olimpico.

Nessuna di queste promesse è stata mantenuta. Pensiamo, per esempio, agli edifici della zona dell’ex Moi che avrebbero dovuto avere destinazione residenziale, cosa che non è mai avvenuta. Successivamente quegli edifici sono stati occupati da alcuni rifugiati politici. Oppure pensiamo a tutte le strutture che avrebbero dovuto ospitare attività sportive e attività fieristiche. Belle favole raccontate alla cittadinanza.

Un’altra delle favole raccontate nell’avvicinamento all’appuntamento olimpico fu quella della ricaduta sull’occupazione: questa è stata la promessa maggiormente disattesa. O, meglio, la ricaduta occupazionale c’è stata solamente per i dirigenti dell’evento convertitisi in uomini e donne per tutte le stagioni, in una città politicamente monopolizzata dal blocco Pd.

Per il grande evento olimpico è stata creata una narrazione simile a quella che da tre decenni descrive la Tav Torino-Lione come opera “necessaria” e chi si oppone a essa come un “terrorista”.

A pagare i costi delle Olimpiadi sono stati i torinesi che devono fare i conti con le tasse locali (dall’Imu alla tassa rifiuti) più alte d’Italia. Il comune di Torino che si appresta a rinnovare la propria amministrazione ha imposto ai suoi cittadini tasse indirette che fanno accapponare la pelle. Un esempio? Basta compiere una comparazione fra le tariffe cimiteriali di Torino e quelle di Roma per rendersi conto che un loculo arriva a costare fino a 8mila euro nel capoluogo torinese, mentre nella Capitale si spendono al massimo 3.600 euro.

Dopo l’appuntamento olimpico la Sanità piemontese è entrata in un tunnel, con voragini nel bilancio e la chiusura di alcuni centri ospedalieri che rappresentavano punti di eccellenza a livello nazionale.

Già, ma adesso c’è la metropolitana, potrebbero obiettare i torinesi più ottimisti. Certo, una bella cosa la metro che decongestiona le strade di Torino, ma fatevi due risate con i suoi orari a macchia di leopardo, con le chiusure variabili a seconda dei giorni e l’ultima corsa del lunedì con partenza alle 21.10 che tanto ricorda icoprifuoco dell’epoca bellica.

Risultano incomprensibili gli entusiasmi con i quali viene lanciata la candidatura diRoma 2024. Una cosa è certa: i lavori di adeguamento a un eventuale appuntamento olimpico della Capitale non solo trasformeranno le vie di Roma in un girone infernale, ma faranno lievitare le tasse locali. Non è una profezia catastrofista, ma un dato di fatto. Vuoi le Olimpiadi? Bene, pagate(ve)le.

Uno degli aspetti meno indagati è quello dell’impatto ambientale dell’appuntamento olimpico sulle montagne delle Valli di Susa, Chisone e Pellice.

Il giornalista Andrea Rossi ha pubblicato su La Stampa un interessante reportage dalle sedi olimpiche montane.

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Cesana Torinese doveva diventare uno dei fulcri delle specialità invernali grazie alle piste della discesa e del bob e all’anello dello sci di fondo costruito per il Biathlonnella vicina Sansicario. La pista del Biathlon verrà presto smantellata e al suo posto sorgeranno alcuni campi da tennis, mentre la pista del bob è una lastra di cemento che nel corso dell’ultimo decennio ha subito numerosi saccheggi da parte dei ladri.

Roberto Serra, sindaco di Cesana Torinese dal 1999 al 2009, ricorda quando nell’Alta Valsusa arrivarono il ministro degli Esteri Franco Frattini, il sottosegretarioMario Pescante, il sindaco di Torino Sergio Chiamparino, il governatore regionaleEnzo Ghigo e perfino Alberto di Monaco per convincerlo a ospitare la pista da bob. Il fronte bipartisan piegò le resistenze locali. E la pista da bob si fece. Costo della struttura: 110 milioni di euro. Costi annuali di gestione: 2 milioni di euro. È stata usata venti volte, il che significa, conti alla mano, 6,5 milioni di euro a gara.

6,5 milioni di euro per una singola gara di bob. 

Ci sono poi i trampolini del salto di Pragelato, una striscia artificiale sul fianco di una montagna. Nel 1999 quando Torino e le sue valli ottennero le Olimpiadi si pensò a due trampolini provvisori da smontare dopo l’evento. Una soluzione ritenuta troppo pratica ed economica. E così si fecero i trampolini di salto. Costo dell’operazione: 35 milioni di euro. Altre favole: si faranno gare, campionati, diventerà il fulcro dell’attività nazionale. Neanche a livello nazionale si è riuscito a far diventare il trampolino di Pragelato un punto di riferimento. I saltatori continuano ad allenarsi a Predazzo ed è lì che si tengono normalmente i campionati italiani di specialità.

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Anche la pista di sci di fondo è una cattedrale nel deserto: ci vorrebbero 20 milioni di euro per cablarla, ma per che cosa?

L’impianto del Freestyle di Sauze d’Oulx ha ospitato la gara olimpica che è stata, allo stesso tempo, la prima e l’ultima. Costo: 9 milioni di euro.

Nel suo articolo su La Stampa, Rossi racconta che cosa è andato storto: dopo l’appuntamento del febbraio 2006, la Fondazione XX Marzo (Regione, Provincia, Comune di Torino e Coni) si è rivolta ai privati. Nel 2009 il 70% delle quote di Parcolimpico (società creata per il riutilizzo delle strutture olimpiche) viene messo al bando. Non c’è la fila: la prima gara va la deserta, nella seconda si corregge il tiro e si elimina l’obbligo di far funzionare la controversa pista del bob.

Entrano i privati. Live Nation ha attualmente il 90% delle quote di Parcolimpico ma gli investimenti li fa solamente su ciò che rende: soprattutto l’ex PalaIsozaki, oraPalaAlpitour, per i maxi-concerti. Gli impianti delle Valli Olimpiche, invece, sono improduttivi. I costi di manutenzione sono insostenibili anche per i comuni montani.

Valter Martin, sindaco di Sestriere e presidente della XX marzo sottolinea come l’evento abbia avuto una ricaduta positiva sul turismo della neve: “Nel 2004 solo il 40% degli sciatori della Vialattea era straniero; oggi siamo all’85%” dice a La Stampa.

È davvero una magra consolazione e le ferite – non solo metaforiche – sulle montagne della Valsusa e della Val Chisone restano.

Sicilia la terra trema e le parabole del Muos pure

La terra in Sicilia trema mentre specialisti si affannano a dimostrare che la zona non è sismica. Sugli interessi privati e politici agisce la natura.

di Daniela Giuffrida.

La terra trema in  e lo fa nei pressi di quella zona che tanti luminari della scienza e della tecnica, italiani e statunitensi, si affannano in questi giorni a dimostrare non sia sismica, inventandosi una “anti-sismicità” (dei luoghi e delle installazioni satellitari), inesistente, mai certificata e indimostrabile, oggi più che mai, alla luce degli eventi degli ultimi giorni.

Lo scorso 6 Febbraio, alle 8:45, un  di magnitudo 2.7 mette in agitazione la popolazione di Niscemi, l’epicentro si trova a 31 Km di profondità e proprio nel cuore di quella sughereta nella quale insiste la stazione satellitare americana NRTF-8 e le tre parabole del  che, se occorresse ricordarlo, sono sotto sequestro per ordine della Procura di Caltagirone e in attesa della sentenza del CGARS.

Il giorno dopo, alle 2.41 del mattino altra scossa, magnitudo 3.4 e l’epicentro si sposta nel cuore dell’altopiano di Ragusa; quindi segue una serie di sette scosse di assestamento; poi la terra smette di tremare, ma solo per poche ore: alle 16.35 di ieri ancora una scossa, ancora più ad est, ma di magnitudo 4.6; quindi altre due di assestamento.

A questo punto, crediamo sia il caso di portare a conoscenza di quanti ritengono che un certificato antisismico sia un documento che si possa “procurare” da un giorno all’altro, cosa succede nel bacino del nostro Mediterraneo.

Era luglio del 2012 quando un gruppo di ricercatori della sezione di Catania dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia-Osservatorio Etneo, con la collaborazione di affiliati del Dipartimento di Scienze della Terra dell’ Università di Napoli “Federico II,” del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali, sezione di Scienze della Terra dell’ Università di Catania e della Now at Leica Geosystems S.P.A. di Cornegliano Laudense (M. Palano; L. Ferranti; C. Monaco; M. Mattia; M. Aloisi; V. Bruno; F. Cannavò e G. Siligato) hanno descritto le caratteristiche della microplacca che si trova, come stretta in una morsa, fra la grande placca euroasiatica e quella africana.

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La microplacca definita “blocco siculo-ibleo”, sarebbe la responsabile dei grandi terremoti cui, di tanto in tanto, va soggetta la Sicilia ed è stata descritta, dal gruppo di studiosi sulle pagine di una prestigiosa rivista internazionale, già quattro anni fa.

Il geofisico Mimmo Palano – della sezione di Catania dell’INGV – è stato primo firmatario di quel lavoro; raggiunto telefonicamente, ci ha confermato quanto da noi reperito sul web e dei lunghi studi che hanno evidenziato i movimenti della micro-placca siculo-iblea. Per 18 anni, numerose stazioni GPS di alta precisione, installate sul  siciliano, su quello calabrese e sulle isole circostanti, hanno verificato e misurato i movimenti crostali e la velocità delle deformazioni delle diverse “fratture” che, dal Vulcano Etna e dalle Isole Eolie, attraversano la parte centro-settentrionale dell’isola e, da Messina, dirigono verso Letojanni (sulla costa ionica), quindi proseguono ancora in mare, raccordandosi ad un altro sistema di fratture sottomarine, noto come la “scarpata ibleo-maltese”, al centro del Canale di Sicilia.

Secondo gli esperti di vulcanologia, quindi, non è corretto affermare che la placca africana (che spinge verso nord est) interagisca con quella euroasiatica, insinuandosi sotto la stessa, in realtà ciò che sembrerebbe avvenire, nella zona di collisione, sarebbe la formazione di una serie di piccole unità, di piccole fratture, che si muovono con una dinamica sicuramente più articolata di quanto si possa pensare.

Il blocco siculo-ibleo ha la forma di un grande cuneo, con l’apice rivolto a ovest, ed i suoi movimenti variano spostandosi e incidono in maniera diversa, da una zona all’altra, dell’isola. Questi “movimenti” sono stati studiati attraverso le stazioni Gps. In tal modo gli studiosi hanno potuto osservare come la crosta terrestre, nella parte occidentale della Sicilia, si sposti verso nord-nord-ovest di circa mezzo centimetro l’anno e come tra Palermo e Cefalù lo spostamento sia verso nord di circa un centimetro l’anno. Ma mentre le distanze da Ustica, non subiscono variazioni (appena un mm l’anno). Ad est, nella zona Eolie-Peloritani-Messina, la crosta si muove verso nord-nord-est al ritmo di un centimetro l’anno, così come avviene tra l’Etna e i monti Iblei, e  Malta, in direzione nord-nord-ovest.

Mimmo Palano e i suoi colleghi ritengono che questa faglia non si limiti ad interagire fra il blocco siculo-ibleo e quello calabro-ionico, ma che a lei si debbano attribuire sia la nascita dei vulcani eoliani che i grandi terremoti storici della Sicilia orientale, come quelli della val di Noto del 1693 e di Messina del 1908. Tutto considerato, il blocco siculo-ibleo sembra essere vittima del processo di collisione tra la placca africana e quella euroasiatica e, muovendosi lateralmente verso nord ovest, in tutti e tre i versanti dell’isola si originano zone esposte al rischio sismico. “Ma – afferma il ricercatore – non c’è dubbio che i terremoti più forti avvengano lungo il settore orientale della Sicilia”.
Ricordiamo che nel 1169 e cinquecento anni dopo, nel 1693, due violentissimi terremoti devastarono l’intera Sicilia sud-orientale, radendo al suolo molti centri abitati e ingenti danni causarono anche nel palermitano e a sud, fino a Malta e in Tunisia. Non dimentichiamo nemmeno il violento terremoto (magnitudo 5.6) che la notte del 13 dicembre del 1990 (S. Lucia) si è abbatté sui paesi della Val di Noto, nel siracusano, provocando 17 morti e oltre 15 mila senza tetto.

Siamo certi che gli amministratori e gli “aventi causa” sulla questione MUOS sapranno valutare opportunamente anche questi dati, e gli ultimi studi prodotti dai ricercatori dell’ INGV, oltre a quelli già presentati dai CTP, delle parti in causa, nel processo di secondo grado, presso il CGA per la Regione Siciliana.

*fonti:

http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1029/2012JB009254/abstract

http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0040195114002662

TAV Torino-Lione: esposto di Pro Natura alla Corte dei Conti

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VALSUSA NOTIZIE

Voci indipendenti dalla Val Susa

Nuovo attacco “di carta” al progetto. Pro Natura Piemonte e M5S mettono sotto accusa i conti di Ltf/Telt mentre ancora si attende la decisione del Tar sull’irregolarità della nomina di Virano alla direzione.

Inserito il 17 febbraio 2016

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Mario Cavargna, presidente di Pro Natura Piemonte, e Marco Scibona, senatore del Movimento 5 Stelle, hanno presentato alla Corte dei Conti di Torino un esposto sui risultati economici di 9 anni di lavori 2007-2015 di LTF SA – Lyon Turin Ferroviaire – la società che ha avuto il mandato dei governi italiano e francese ad eseguire studi, progetti e prospezioni per il progetto del nuovo tunnel ferroviario ad Alta Velocità tra Italia e Francia.

I risultati nel periodo del programma cofinanziato dall’Unione Europea, tratti dai bilanci di LTF e dai dati forniti direttamente dalla Unione Europea agli esponenti, mostrano che LTF nei 7 anni 2007-2013 del cronoprogramma originario è riuscita ad eseguire ed a spendere solo il 16% di quanto fissato, cioè 338 milioni euro sui 2.091 milioni di euro preventivati.

Con la successiva proroga di due anni per il 2014 e 2015, che ha anche ridotto gli obiettivi ormai irraggiungibili, LTF non ha fatto di meglio: nel 2014, ultimo anno per cui si ha un bilancio, invece dei 313 milioni di euro preventivati nel programma ridotto, ne ha spesi solo 44,5 milioni.

Alla data del 31 dicembre 2015, secondo un dato provvisorio, ma stimabile con sufficiente precisione, nonostante la proroga, LTF ha speso solo un altro 7% del programma originario, per cui il contributo della Unione Europea di 671 milioni di euro è andato perso per 430 milioni, cioè per circa 2/3.

Gli esponenti chiedono che la Corte dei Conti, alla luce di queste pesantissime inefficienze, accerti l’affidabilità del progetto e del suo management LTF – TELT, prima che il governo, nel prossimo vertice di Venezia, con la firma del protocollo aggiuntivo al trattato del 29 gennaio 2001 si obblighi in una decisione di non ritorno per un impegno che, nelle sue varie voci, presuppone un fabbisogno di 30 miliardi di euro.

Un fabbisogno che, man mano che viene stanziato, viene sottratto dalle disponibilità dello Stato a danno di altre necessità anche se i lavori effettivi, sulla base degli andamenti riscontrati in questi 9 anni di lavori preliminari, dovessero durare oltre 60 anni.

COMUNICATO STAMPA PER ATTI VANDALICI INTIMIDATORI VERSO L’OPIFICIO MUSICALE

LA CULTURA CHE SPAVENTA GLI IGNORANTI
La sera di Domenica 14 Febbraio, alcuni musicisti dell’Opificio Musicale si trovavano a San Giorio di Susa, ospiti del comune per una serata appartenente alla rassegna “Chantar l’Uvern”.
Mentre all’interno del salone polivalente si svolgevano il concerto e le danze, uno o più ignoti delinquenti hanno vandalizzato il furgone dell’Opificio Musicale, ben riconoscibile, squarciando tutte e quattro le gomme con una lama larga almeno 4 centimetri. Come noi, le autorità e le forze dell’ordine interpellate sono tutte concordi nel pensare ad un atto mirato e vendicatorio verso l’Opificio Musicale, essendo il nostro furgone, ben parcheggiato davanti al polivalente fra un’altra trentina di macchine, l’unico vandalizzato.
Pur non potendo fare accuse di nessun tipo, i possibili mandanti o diretti autori di tale gesto, che sa di intimidazione di stampo mafioso, sono a nostro avviso ristretti entro due o tre ipotesi.
C’erano meno di cento avventori alla bella serata danzante, tutti abituè dei nostri concerti e più o meno ci conoscevamo tutti. Stiamo raccogliendo tutte le testimonianze dato che in un simile contesto qualche faccia mai vista può avere colpito qualcuno. Preghiamo tutti i presenti che non siamo riusciti ancora a contattare di farci avere qualunque informazione, anche piccola, a riguardo.
Il fatto è stato denunciato alle forze dell’ordine e si sta procedendo ad un’indagine sui fatti.
L’Opificio Musicale ogni anno si impegna con tutte le forze a migliorare la nostra comunità dando la possibilità a chiunque, privati cittadini e scuole pubbliche, di poter accedere all’istruzione musicale attraverso il generoso lavoro volontario di bravissimi professori di musica.
Fin dalle scuole d’infanzia insegnamo ai bimbi, oltre che il linguaggio musicale, le danze e i canti tradizionali nei vari patois.
Non lavoriamo negli appalti, non facciamo politica, nè commercio o industria: distribuiamo con dedizione e passione cultura e conoscenza.
E allora deve essere la cultura che infastidisce qualcuno, che promuove in qualche essere umano, nemmeno paragonabile alle povere bestie, così tanta paura e invidia, da arrivare ad un gesto tanto inutile quanto codardo ed ignobile.
Vorremo dunque lanciare un appello a tutta la comunità allargandola anche a persone e realtà lontane e sconosciute, ovunque riesca ad arrivare questo messaggio.
Scrivete sulla nostra pagina facebook (facebook/opificiomusicale) o alla nostra email (info@opificiomusicale.org) un messaggio di solidarietà, anche solo mettendo il “mi piace” sulla pagina se non volete scrivere.
In questo modo lanceremo un messaggio a chi crede di poter intimorire e isolare con gesti prepotenti e meschini: noi che crediamo nella conoscenza e nella solidarietà siamo una moltitudine e gli emarginati confinati nell’ignoranza siete voi.
Vorremmo vedere questo appello fare il giro della rete, virale ed incontrollabile, magari portando forza e beneficio a tutte le persone che hanno subito o subiscono gesti come questo.
 
Ci piacerebbe ricevere il conforto delle amministrazioni, associazioni, movimenti ed enti attraverso comunicati pubblici, non per sentirci forti, ma per sentire forte la comunità nella quale operiamo e attraverso questa forza far tremare e scoraggiare questi vandali malavitosi.
Diffondete senza risparmio e fateci sentire il vostro appoggio,ne abbiamo bisogno.
Organizzeremo qualche evento per cercare di ripagare il danno economico ringraziando chi ha prontamente avanzato proposte e disponibilità, ma ciò che più importa adesso è il bisogno di dimostrare a questi delinquentelli che non abbiamo abbassato la testa e non siamo soli.
Se ieri credevamo nella nostra missione di portare musica e cultura alla comunità, dopo questi fatti, ci crediamo ancora di più, perchè se ci sono tra noi ancora persone capaci di tali gesti il nostro lavoro e maggiormente necessario. 
violino

 

 


 
OPIFICIO MUSICALE – Borgata Meitre 2 – Tel. +39 328 7529190
10053 BUSSOLENO (TO) – WEB: www.opificiomusicale.org

Omicidio Giulio Regeni, una operazione clandestina

Il barbaro assassinio di Giulio Regeni, il dottorando all’università di Cambridge rapito e torturato al Cairo, tiene banco sui media ed è impiegato per dipingere a tinte fosche il governo dell’ex-feldmaresciallo Abd Al-Sisi, accusato di guidare un brutale apparato poliziesco. In realtà, il caso Regeni presenta tutte le caratteristiche della classica operazione clandestina: la tempistica del rapimento e del ritrovamento del cadavere, lo scempio del corpo secondo il copione di un brutale interrogatorio e la campagna mediatica di contorno, nazionale ed internazionale, rispecchiano un’attenta pianificazione, tesa a screditare il governo egiziano e minare la collaborazione tra Roma ed il Cairo, dal dossier libico a quello energetico. Più che alla travagliata politica interna egiziana, l’omicidio Regeni va infatti ricollegato allo sfruttamento dell’enorme giacimento gasifero scoperto dall’ENI: un successo italiano che molti, da Tel Aviv a Washington, passando per Londra, non digeriscono.
 
Egitto, ultimo baluardo contro la destabilizzazione del Medio Oriente
Non c’è pace per l’Egitto che, dall’attentato al consolato italiano lo scorso luglio al disastro aereo del volo Metrojet di fine ottobre, finisce sempre più spesso nei nostri radar: il fenomeno non stupisce perché, come abbiamo più volte affermato, il Cairo è (insieme ad Algeri) l’ultimo baluardo contro la destabilizzazione angloamericana ed israeliana della regione.
Se l’Egitto dovesse cadere, l’incendio doloso che sta divorando il Medio Oriente, si estenderebbe a tutto il Nord Africa, dove la Libia è già adibita come base per la propagazione del terrorismo: man mano che ci avvicina in Siria alla risolutiva battaglia di Aleppo, i miliziani dell’ISIS sono traghettati indisturbati verso i porti libici, così da proseguire la diffusione dell’instabilità nel Magreb. Davanti all’evidenza di questa spola tra Turchia e Libia (avvallata dalla NATO), anche la stampa più irregimentata non può tacere e su Il Sole 24 ore è apparso il 5 febbraio l’articolo “Il mistero dei cargo fantasma, porta d’ingresso dei terroristi nel Mediterraneo”1.
La destabilizzazione del Medio Oriente persegue tre obbiettivi principali:
  1. l’eliminazione di qualsiasi minaccia strategica (Iraq, Siria, Libano, Egitto, Libia) per Israele;
  1. l’attivazione di imponenti flussi migratori verso l’Europa continentale, con chiare finalità eversive;
  1. impedire che il vuoto di potere, lasciato da un impero angloamericano agli sgoccioli, sia colmato da Russia, Cina e (può sembrare insensato paragonarsi a due colossi, ma non lo è, considerando la posizione geografica strategica) Italia.
L’ultimo aspetto è quello che merita di essere più sviluppato, dato il peso che riveste nell’economia del discorso.
Con la prima (1991) e la seconda (2003) Guerra del Golfo, l’attivismo angloamericano tocca lo zenit: prima il Golfo Persico è disseminato di basi navali (Bahrein, Qatar, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, etc.) e poi si tenta il controllo terrestre con l’invasione dell’Iraq. L‘Egitto che, dopo la lunga parentesi filo-sovietica di Gamal Nasser (1918-1970), è traghettato in orbita americana dal suo successore Anwar al-Sadat (1918-1981), ricopre un ruolo strategico, in quanto attraverso il Canale di Suez è possibile spostare rapidamente la flotta dal Mediterraneo al Golfo Persico secondo le esigenze: supera il miliardo di dollari annuo il flusso di denaro da Washington verso il Cairo, così da comprarsi la benevolenza dell’esercito egiziano, colonna portante del Paese e proprietario di un’ampia fetta dell’industria nazionale.
Il 2011 rappresenta il giro di boa: alla strategia imperiale dei neo-conservatori (ormai insostenibile), subentra quella della destabilizzazione, condotta dal duo Barack Obama-Hillary Clinton.
In Egitto scatta l’ora della classica rivoluzione colorata, condotta con il decisivo apporto dei servizi occidentali e di ONG straniere come la serba Otpor!: si legga a questo proposito l’illuminante articolo del febbraio 2011, “From Resistance to Revolution and Back Again: What Egyptian Youth Can Learn From Otpor When Its Activists Leave Tahrir Square” 2, edito dall’influente pensatoio americano Carnegie Council, dove è illustrato il ruolo dei movimenti di protesta eterodiretti dagli angloamericani.
Il presidente Hosni Mubarak, per vent’anni fedele servitore della causa atlantica, è brutalmente rovesciato come un “sanguinario dittatore” qualunque: al suo posto, invece, gli angloamericani preparano l’avvento dei Fratelli Mussulmani che, nell’estate del 2012, conquistano la presidenza con Mohamed Morsi.
La Fratellanza Mussulmana, nata in Egitto negli anni ’20 sotto il protettorato britannico, è l’antesignano dell’ISIS: un movimento retrogrado ed oscurantista, ideato per catalizzare la protesta attorno agli ideali islamisti ed arginare il ben più pericoloso (nell’ottica delle potenze coloniali) nazionalismo panarabista. Negli anni ’20 gli inglesi usano la Fratellanza mussulmana per frenare l’avanzata degli indipendentisti del Wafd, che tentano invano di liberarsi dal giogo britannico con la rivoluzione del 1919. Nel 1954 è deposto con un colpo di stato il filo-inglese re Faruq ed è proclamata la repubblica, guidata dal generale Gamal Nasser: lo stesso anno la neonata ENI di Enrico Mattei entra in Egitto, scatenando l’ira di Londra. Immediatamente la Fratellanza Mussulmana è aizzata contro Nasser e, dopo un primo tentativo di assassinio del presidente egiziano, l’organizzazione è bandita: rimarrà tale fino al 2011, quando gli angloamericani decidono che è giunto il tempo per il loro vecchio arnese di prendere in mano il Paese.
L’Egitto sotto la guida di Mohamed Morsi e della Fratellanza va velocemente a rotoli: le violenze interreligiose esplodono (la comunità dei cristiani copti è sottoposta ad una vera persecuzione 3), aumentano gli episodi di attacchi terroristici, il turismo si liquefa, le riserve monetarie si assottigliano e la lira egiziana sprofonda. L’Egitto, che sotto la presidenza di Mubarak era un Paese a medio reddito ed in costante crescita, si avvicina al baratro: a porre fine all’esperienza dei Fratelli Mussulmani ci pensa l’esercito dalle cui fila esce, come nel 1954, il nuovo presidente Abd Al-Sisi. Nell’agosto del 2013 Mohamed Morsi è deposto e la reazione della Fratellanza duramente repressa: sarà già stata bandita quando il voto del 2014 elegge Al-Sisi nuovo capo di Stato.
 
Si ripropone uno scenario non dissimile da quello del 1954 con l’avvento di Nasser, cui, non a caso, si richiama espressamente Al-Sisi: da un lato Londra (con l’aggiunta ora di Washington) cerca di eliminarlo con il terrorismo islamico, dall’altro Mosca (con l’aggiunta ora di Pechino) cavalca la svolta politica. L’Italia che, proprio come nel 1954, ha tutto da guadagnare da un Egitto stabile ed indipendente (per questioni di economia e sicurezza), guarda con favore all’insediamento di un nuovo “nasseriano” alla guida del Paese: come ai tempi di Enrico Mattei, è sempre l’ENI la protagonista indiscussa della nostra politica estera.
Analizziamo più nel dettaglio la dinamica in atto.
La penisola del Sinai svolge il ruolo assolto in Siria dai confini con la Giordania e la Turchia: è la frontiera porosa da cui israeliani ed angloamericani introducono i miliziani dell’ISIS, che premono verso il canale di Suez ed il Mar Rosso. Si sono registrati già numerosi e sanguinosi scontri con l’esercito e ad essere presa di mira è in particolare la strategica industria del turismo, fonte di occupazione e valuta straniera: da ultimo, agli inizi di gennaio è stato sventato un attentato agli alberghi di Hurgada. Il turismo, che nel 2007 contribuiva quasi al 20% del PIL 4, è sceso così al 14% attuale, nonostante il suo rilancio fosse uno dei cavalli di battaglia di Al-Sisi: l’attentato al volo Metrojet, seguito dal precipitoso rientro dei turisti occidentali su voli militari, e lo stillicidio di attacchi alle località del Mar Rosso, sono funzionali alla destabilizzazione economica del Paese.
La Russia, al contrario, ha subito incrementato le sinergie con l’Egitto di Al-Sisi, firmando importanti accordi in campo economico e militare (tra cui l’ammodernamento delle difesa aerea 5),culminati con l’intesa per la costruzione di una centrale nucleare nei pressi di Alessandria 6: come rappresaglia contro l’attivismo mediorientale di Mosca e per infliggere un durissimo colpo all’industria vacanziera, a fine ottobre è orchestrato l’attentato al volo russo Metrojet 9268. Non è da meno la Cina che, durante la recente visita del presidente Xi Jinping al Cairo, ha espresso il suo apprezzamento per la “stabilità e lo sviluppo” garantiti da Al-Sisi, perfezionando prestiti ed investimenti miliardari 7.
Veniamo infine all’Italia che, storicamente in buoni rapporti con l’Egitto (la comunità italiana ad Alessandria ed al Cairo era sin dall’Ottocento una delle più numerose ed apprezzate), ha ulteriormente incrementato negli ultimi anni la collaborazione, per due motivi: geopolitici ed economici.
Geopolitici perché, dopo la destabilizzazione di Tunisia, Libia e Siria, è imperativo per l’Italia che l’Egitto non sia travolto dal terrorismo islamico o da qualche rivoluzione colorata ma, al contrario, collabori per la stabilizzazione della Libia. Economici perché l’Italia (primo partner commerciale dell’Egitto in Europa e terzo al mondo 8) è stata artefice, proprio come nel 1954, di un’ ulteriore penetrazione economica dopo l’avvento del nasseriano Abd Al-Sisi: ad Intesa San-Paolo, Pirelli, Danieli ed Italcementi, si sono affiancate centinaia di imprese di medie dimensioni, consentendo un balzo del 10% dell’interscambio tra il 2013 ed il 2014 9.
Già la scorsa estate collegammo l’esplosione dell’autobomba davanti al consolato italiano del Cairo, al dinamismo politico ed economico dell’Italia ma, ex-post, si può essere ancora più precisi, riconducendo quell’avvertimento mafioso alla specifica attività dell’ENI: la bomba esplode l’11 luglio ed il 30 agosto il gruppo di San Donato milanese annuncia ufficialmente 10 la scoperta dell’enorme giacimento “Zohr” che, con i suoi 850 miliardi di metri cubi di gas, è capace di soddisfare i fabbisogni dell’Egitto per due decenni. Negli ambienti dei servizi segreti e delle compagnie petrolifere, la notizia doveva già circolare ad inizio luglio e l’attentato dinamitardo va senza dubbio ricondotto a ciò.
Per l’Egitto il giacimento Zohr significa un risparmio miliardario sulla bolletta del gas, liberando così risorse per lo sviluppo, e un accresciuto ruolo geopolitico, grazie all’indipendenza energetica; per l’Italia significa mettere a segno il secondo grande successo in Africa (dopo i maxi giacimenti del Mozambico) ed un’accresciuta influenza in Paese cruciale per gli assetti del Mediterraneo, del mondo arabo e del Golfo Persico (attraverso Suez).
Italia ed Egitto marciano unite come ai tempi di Enrico Mattei e di Gamal Nasser: troppi ne sono infastiditi, a Tel Aviv come a Londra e Washington. Segue a ruota il brutale omicidio di Giulio Regeni, di cui vanno attentamente analizzate dinamica e tempistica.
Regeni una spia? Più che altro l’uomo giusto nel posto giusto
Il 3 febbraio, in una fase cruciale dei rapporti tra Italia ed Egitto, è trovato il corpo del 28enne friulano Giulio Regeni, scomparso al Cairo il 25 gennaio: il cadavere mostra segni di tortura, che i media collegano immediatamente agli interrogatori “energici” cui i servizi segreti egiziani e la polizia sottoporrebbero i dissidenti politici. Regeni, infatti, è in contatto con gli ambienti dell’opposizione ed emerge presto che il giovane ha pubblicato qualche articolo su Il Manifesto, con toni molto critici verso il governo: il regime egiziano, insinuano i giornali (vedremo quali), ha seviziato ed ucciso un giovane attivista italiano. Per la relazione Roma ed il Cairo è un colpo durissimo: i media parlano di “alta tensione”, “crisi” e “bivio nei rapporti”.
Il primo interrogativo da porsi è: chi era Giulio Regeni? Perché proprio lui è vittima di quest’omicidio, che ha tutte le sembianze della classica operazione clandestina di un servizio segreto?
Classe 1988, dottorando in economia all’università di Cambridge, un pluriennale studio della lingua araba alle spalle, Giulio Regeni era in Egitto dal settembre 2015, ospite dell’American University, per scrivere la propria tesi di dottorato sull’economia egiziana.
Il giovane friulano, “un marxista-gramsciano” interessato ai problemi del mondo operaio, non circoscrive la sua permanenza al Cairo alla semplice raccolta di informazioni per la tesi, ma entra in contatto con gli ambienti dell’opposizione ed, in particolare, i sindacati indipendenti: Regeni ha infatti un visione piuttosto politicizzata dell’Egitto di Al-Sisi, da lui definito “autoritario e repressivo”. Dalle frequentazioni con i movimenti di protesta, Regeni ricava spunti per la redazione di alcuni articoli che non invia in Inghilterra, bensì in Italia, dove sono pubblicati su Il Manifesto con un “nomme de plume”, così da proteggerne l’identità: è lo stesso giornalista de il Manifesto, Giuseppe Acconcia, a svelare la collaborazione di Regeni con la testata della “sinistra rivoluzionaria”, asserendo che il giovane friulano usava uno pseudonimo perché “aveva paura per la sua incolumità”11 (tesi poi smentita dai genitori del ragazzo).
Abbiamo più volte nominato il giornalista Giuseppe Acconcia nelle nostre analisi, notando la sua veemenza nell’attaccare e screditare l’ex-generale Al-Sisi in un momento in cui, al contrario, la collaborazione tra Roma ed il Cairo si faceva, oggettivamente, più pressante che mai.
Acconcia, guarda caso, ha anch’egli un passato all’American University del Cairo, come è stato pure collaboratore dell’Opendemocracy 12 finanziata dallo speculatore George Soros. Azzardiamo quindi la prima ipotesi: è attraverso l’American University che Regeni avvia la collaborazione con Il Manifesto, una testata da cui partono sovente attacchi a testa bassa contro “il regime autoritario” di Al-Sisi. Lo stesso giornale marxista su cui scrive Acconcia ha una storia piuttosto originale: nato nel 1969 da una scissione a sinistra del PCI, il gruppo di intellettuali che ruotano attorno a Il Manifesto è, insieme ad altre formazioni come Lotta Continua e Potere Operaio, uno degli strumenti che Londra e Washington utilizzano per lavorare ai fianchi il Partito Comunista Italiano13. Il Manifesto, negli anni ’70 e ’80, attacca infatti frontalmente Botteghe Oscure, collocandosi su pozioni antisovietiche ed anti-berlingueriane.
 
A questo punto sorge spontanea la domanda: Giulio Regeni lavorava nel milieu delle rivoluzioni colorate, con cui israeliani ed angloamericani hanno rovesciato Mubarack nel 2011 e rovescerebbero volentieri anche il presidente Al-Sisi? Faceva parte Regeni di un servizio segreto inglese od americano?
La parola “spia” è più volte apparsa collegata al nome del giovane dottorando friulano in questi giorni, tanto che i servizi d’informazione italiani si sono visti costretti a negare pubblicamente qualsiasi collegamento con Regeni14 (non parlando ovviamente a titolo di altri servizi NATO). Il titolo più significativo a questo è probabilmente quello che compare su La Repubblica l’8 febbraio: “Giulio Regeni torturato perché pensavano che fosse una spia”15. Regeni forse non era un agente dei servizi angloamericani, ma sicuramente poteva apparire tale nella narrazione.
Ricapitoliamo: abbiamo un giovane italiano al Cairo, dove frequenta l’American University ed è in contatto con gli ambienti dell’opposizione politica di Al-Sisi. Giulio Regeni è in sostanza l’uomo perfetto per inscenare una retata della polizia contro gli oppositori, seguita da un brutale interrogatorio che i servizi del “regime autoritario” riservano alle “spie”, seguita infine dal ritrovamento del corpo martoriato, così da mettere in crisi i rapporti tra Italia ed Egitto in una fase cruciale.
Giulio Regeni non era forse una spia, ma sicuramente era l’uomo giusto, nel posto giusto: il suo passaporto, i contatti con l’opposizione, la conoscenza dell’arabo e alla frequentazione dell’American University, lo rendevano perfetto per simulare il brutale interrogatorio di una potenziale spia finito in tragedia, propedeutico alla crisi diplomatica tra Roma ed il Cairo.
 
Gli ingranaggi di una operazione clandestina
Per avvalorare la nostra tesi, che Regeni sia stato cioè rapito ed ucciso su mandato dei servizi angloamericani, la tempistica e la dinamica ricoprono un ruolo centrale.
Cominciamo con la data della sparizione, il 25 gennaio: non è un giorno qualsiasi in Egitto, perché coincide con il quinto anniversario della rivoluzione che nel 2011 spodesta Hosni Mubarak. Scegliendo di agire in quella specifica data, gli aguzzini di Regeni intendono dare da subito un connotato politico al rapimento ed alla successiva morte, utile ad inquadrare l’assassinio nella cornice del “repressione del regime”. I media complici, non a caso, riporteranno in un primo momento la notizia (poi rivelatasi falsa) che Regeni è scomparso dopo una retata della polizia contro i manifestanti del 25 gennaio: “Giulio Regeni arrestato con 40 oppositori e torturato per due giorni all’oscuro di Al Sisi” scrive l’Huffington Post a distanza di due giorni dal ritrovamento.
La verità è però un’altra: Regeni, la sera del 25 gennaio, quando esce di casa non è diretto a nessuna manifestazione, bensì ad una festa tra amici: il movente politico del rapimento, fondamentale nella narrazione, traballa. Si cerca quindi di correre ai ripari e nell’articolo “Giulio Regeni, la pista dei detective italiani: “Ucciso per le sue idee“”, che compare su La Repubblica il 6 febbraio, si legge16:
“Anche perché il 25 gennaio non è un giorno qualsiasi per il Cairo: è l’anniversario delle proteste di piazza Tahir ed è possibile, dicono fonti dell’intelligence italiana, che Giulio abbia incontrato alcuni ragazzi pronti a manifestare. E che qualcuno, magari pezzi deviati dalla polizia egiziana, abbia deciso di punirli prima che scendessero in piazza.”
Un giovane dottorando, che secondo i genitori non si sente minacciato, esce di casa per recarsi ad una festa la sera del 25 gennaio, forse incontra dei manifestanti e magari la polizia li arresta prima che scendano in piazza: è un’evidente forzatura. La nostra tesi è che gli aguzzini abbiano invitato Regeni ad una manifestazione, ma lui ha preferito la festa tra amici; a quel punto, comunque, si è deciso di agire la sera del 25 gennaio, anniversario della rivoluzione, secondo la tabella di marcia iniziale.
In ogni caso, ora, Giulio Regeni è in mano dei suoi rapitori: si aprono tre scenari.
Nel primo, Giulio Regeni non è una la vittima inconsapevole di un’operazione clandestina: la polizia od i servizi segreti lo arrestano perché in compagnia di dissidenti e manifestanti in odore di Ong straniere, lui ha interesse a dire che è italiano per non subire qualche interrogatorio “energico”, gli agenti controllano il passaporto e appurano che Regeni è cittadino di un Paese amico, il dottorando è etichettato come “persona non gradita” ed è costretto a lasciare l’Egitto entro 48 ore. Fine della storia. L’8 febbraio il ministro degli Interni egiziano ribadisce però, è bene ricordarlo, che Regeni non è mai stato imprigionato da nessuna autorità dello Stato17, mentre Regeni è ritrovato morto e con evidenti segni di tortura.
 
Secondo scenario, variante del primo: Regeni è prelevato da qualche apparato opaco dello Stato o corpo paramilitare, è pestato per estorcergli qualche informazione, il dottorando muore nell’interrogatorio. A questo punto i suoi aguzzini hanno tra le mani il corpo di un cittadino europeo che mostra evidenti segni di tortura (le unghie strappate a mani e piedi e le orecchie mozzate): per non generare un incidente diplomatico potenzialmente esplosivo, il corpo di Regeni è fatto sparire ed il friulano diventa un “cittadino scomparso”, rimanendo tale per sempre. Non solo il corpo di Regeni è invece ritrovato, ma l’autopsia dimostra che non è morto in maniera fortuita durante “l’interrogatorio” (arresto cardiaco o emorragie interne), bensì gli è stato deliberatamente spezzato il collo18.
 
Terzo scenario: Regeni è vittima di un’operazione clandestina, tesa a danneggiare i rapporti tra Italia ed Egitto. I suoi aguzzini (non necessariamente “servizi deviati”, ma anche semplice manovalanza locale o qualcuno della rete dei Fratelli Mussulmani), lo rapiscono il 25 gennaio, lo sottopongono a tortura, non per estorcergli informazioni ma per simulare un interrogatorio “da regime oppressivo”. Al termine lo uccidono spezzandogli il collo e, infine, fanno in modo che il corpo straziato del ricercatore, l’amico dei dissidenti scomparso l’anniversario della rivoluzione, sia ritrovato. Questo è quanto avviene e questa, quasi sicuramente, è la ricostruzione corretta: la tempistica del ritrovamento del corpo e gli avvenimenti successivi corroborano la tesi.
 
Il cadavere di Giulio Regeni è rinvenuto il 3 febbraio su un cavalcavia dell’autostrada tra il Cairo ed Alessandria e l’artefice della macabra scoperta è un tassista, fermatosi sul ciglio della strada per un guasto all’auto19: al momento non si è ancora stabilita la data del decesso, ma il fatto che il corpo non sia stato abbandonato in posto isolato, ma sui bordi della strada, significa che i suoi aguzzini volevano che il corpo fosse rinvenuto nella giornata del 3 febbraio. Perché?
Perché quel giorno è in programma un incontro ai massimi livelli tra il ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi, e le autorità egiziane, compreso il presidente Abd Al-Sisi. 
 
Così recita l’Agi20, poco prima che il corpo di Regeni sia ritrovato: “Guidi e’ giunta oggi in Egitto alla guida di una delegazione di 60 aziende e dei rappresentanti di Sace, Simest e Confindustria. Il programma della visita prevede incontri con il presidente della Repubblica Abdel Fatah al Sisi, con il primo ministro Sherif Ismail, tutti i ministri economici, l’Autorita’ del Canale di Suez e altri interlocutori”.
 
Appena si diffonde la notizia del ritrovamento del cadavere di Regeni, la Guidi, volente o nolente, rientra immediatamente a Roma e la delegazione è sospesa21.
 
Non solo, ma a leggere la Repubblica, il rinvenimento del corpo del giovane friulano cade anche in un momento decisivo per il perfezionamento dei contratti tra l’ENI e le autorità egiziane, concernenti lo sfruttamento dell’enorme giacimento Zohr. Così scrive Fabio Scuto, esperto di Medio Oriente che ha seguito per conto di La Repubblica tutte le vicende dell’Undici Settembre22:
“L’Italia attraverso l’ENI firmerà con l’Egitto la prossima settimana un accordo per lo sfruttamento di un giacimento di gas nel Mediterraneo. Un contratto che vale solo per i primi 3 anni 7 miliardi dollari. Congelarlo, fino ad una chiara identificazione e punizione degli assassini di Giulio, potrebbe essere una buona arma (diplomatica) di pressione.”
 
Hai capito, Scuto? Blocchiamo il contratto miliardario dell’ENI in Egitto, così puniamo quei cattivoni degli egiziani che rapiscono e torturano i giovani dissenti! 
L’omicidio di Regeni si tinge di blu petrolio…
L’imbarazzo per le autorità egiziane è palpabile e, non è chiaro se le notizie siano autentiche oppure (più probabile) ulteriori tentativi dei media di screditare il Cairo, inscenando un tentativo di depistaggio, si parla nelle prime ore di un incidente stradale e di un omicidio a sfondo sessuale.
A questo punto parte la grancassa delle tre principali testate dell’establishment euro-atlantico (La Repubblica, il Corriere della Sera, Il Sole 24 ore) per screditare l’Egitto di Al-Sisi, coll’obbiettivo di infliggere il massimo danno possibile alle relazioni italo-egiziane
 
Riportiamo sinteticamente qualche titolo: “Italiano ucciso in Egitto, dove il regime reprime gli oppositori”23; “Il vero volto dell’Egitto che nessuno vuole vedere”24; “Gli affari miliardari tra Egitto e Italia che fanno dimenticare i diritti umani”25; “Egitto, le testimonianze: “Torture nelle carceri di al-Sisi. Elettroshock e abusi sessuali”. Hrw: “Peggio di Mubarak””26; ““Giulio Regeni torturato perché pensavano che fosse una spia””27; “Giulio Regeni, la pista dei detective italiani: “Ucciso per le sue idee””28.
 
Già, perché a dare un’impronta tutta “politica” al rapimento ed all’uccisione di Giulio Regeni, ci hanno pensato i suoi amici de Il Manifesto che, contro la volontà dei suoi genitori (tanto che per certo momento è ventilata un’azione legale29), diffondono (dietro pressione di chi?) l’ultimo articolo inviato dal giovane ricercatore alla redazione del giornale, spedito a metà gennaio, ma mai pubblicato sino ad allora: è il pezzo “In Egitto, la seconda vita dei sindacati indipendenti”30, utile a dimostrare che Regeni era politicamente attivo, un avversario del “regime” e quindi pericoloso per lo stesso.
Esattamente come l’attentato al volo Metrojet si prefiggeva il duplice obbiettivo di punire la Russia per la sua ingerenza nello scacchiere mediorientale ed infliggere un colpo letale alla strategica industria vacanziera egiziana, così anche l’omicidio Regeni da un lato tenta di frenare l’attivismo italiano, dall’altro è l’ennesimo attacco al già debilitato turismo sul Nilo: i media occidentali diffondono urbi et orbi l’appello dell’attivista Mona Seif a non visitare in Egitto, perché si muore ogni giorno, la polizia tortura la gente, quando questa non sparisce nel nulla. “Caso Regeni, l’attivista Mona Seif: “Stranieri, non venite in Egitto. Qui si muore ogni giorno””31 titola Repubblica il 5 febbraio: quanti posti di lavoro sono stati distrutti dalla diffusione internazionale di questo messaggio? In quanti centinaia di milioni è quantificabile il danno inflitto all’economia egiziana dalla 29enne Seif, già coinvolta nella rivoluzione colorata del 2011?
Quanto finora abbiamo detto è noto ai servizi segreti italiani ed egiziani, tanto che tra i fiumi d’inchiostro versati sull’omicidio Regeni, di tanto in tanto affiora qualche voce fuori dal coro, sommersa presto dalla martellante propaganda atlantica. È il caso dell’ambasciatore egiziano in Italia Amr Helmy, secondo cui:
“Regeni non è mai stato sotto la custodia della nostra polizia. E noi non siamo cosi ‘naif’ da uccidere un giovane italiano e gettare il suo corpo il giorno della visita del Ministro Guidi al Cairo (…) Dovete capire che lanciare delle accuse pesanti contro le forze di sicurezza egiziane senza alcuna prova può danneggiare i nostri rapporti. Spero che la verità venga fuori il prima possibile. Non abbiamo nulla da nascondere”.
Sia da parte italiana che da parte egiziana prevale la tendenza ad non esacerbare i toni, compromettendo la collaborazione su dossier strategici come quello libico ed energetico: i primi ad accorgersi che la vicenda è lasciata scivolare progressivamente nel dimenticatoio, vanificando gli obbiettivi per cui l’operazione clandestina è ideata, sono proprio gli angloamericani.
Parte quindi una seconda campagna diplomatica e mediatica, che trascende Roma ed il Cairo, e si colloca sull’asse Londra-Washington, sfruttando il fatto che Regeni studiava in atenei inglesi e statunitensi.
 
Dall’Inghilterra è lanciata la raccolta di firme tra figure del mondo accademico affinché, partendo dall’omicidio di Regeni, sia condotta un‘investigazione imparziale sui tutti i casi di “sparizione, tortura e morte in carcere consumatesi tra gennaio e febbraio”. Il documento che appare sul The Guardian sotto forma di lettera (“Egypt must look into all reports of torture, not just the death of Giulio Regeni”32) dipinge l’Egitto di Al-Sisi come una dittatura sudamericana degli anni più bui della Guerra Fredda, basandosi, ovviamente, sulle informazioni prodotte dalle solite ONG (Amnesty International, Human Rights Watch, Freedom House) che, etichettando gli Stati ostili come “regimi”, aprono la strada a bombardamenti/rivoluzioni.
Non sono da meno gli Stati Uniti, dove Barack Obama, le cui mani grondano sangue per aver gettato nel caos il Medio Oriente, sceglie di interessarsi del caso Giulio Regeni, per evitare chiaramente che italiani ed egiziani neutralizzino il tentativo di lacerare i rapporti: “Regeni, Obama a Mattarella: Usa pronti a collaborare per verità” pubblicano le agenzie33.
Si arriva così alla situazione per cui i probabili aguzzini di Regeni sono i più strenui sostenitori di un’approfondita indagine, da estendersi, coll’occasione, alle altre “brutalità del regime oppressore di Al-Sisi”. Come direbbero all’università di Cambridge: such a paradox, isn’t it?
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10.02.2016
NOTE
1http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2016-02-05/il-mistero-cargo-fantasma-porta-i-terroristi-mediterraneo–172835.shtml?uuid=
2http://www.carnegiecouncil.org/publications/articles_papers_reports/0087.html
4http://knoema.com/atlas/Egypt/topics/Tourism/Travel-and-Tourism-Total-Contribution-to-GDP/Total-Contribution-to-GDP-percent-share
5http://www.defensenews.com/story/defense/2015/11/24/egypt-russia-negotiating-missile-sale/76330914/
6http://www.reuters.com/article/us-nuclear-russia-egypt-idUSKCN0T81YY20151119
7http://www.reuters.com/article/us-egypt-china-idUSKCN0UZ05I
8http://www.infomercatiesteri.it/scambi_commerciali.php?id_paesi=101
9http://www.lastampa.it/2015/07/12/esteri/con-al-sisi-rapporti-pi-stretti-e-gli-scambi-italiaegitto-volano-fO4miVkMmO4XhTocIQOVkL/pagina.html
10http://www.eni.com/it_IT/media/comunicati-stampa/2015/08/Eni-scopre_offshore_egiziano_il_piu_grande_giacimento_gas_mai_rinvenuto_nel_Mediterraneo.shtml
11http://www.repubblica.it/esteri/2016/02/04/news/egitto_procura_giza_su_corpo_di_regeni_chiari_segni_di_torture_e_percosse-132694941/
12https://www.opendemocracy.net/author/giuseppe-acconcia
13Colonia Italia, Mario Cereghino e Giovanni Fasanella, Edizione Chiarelettere, 2015
14http://www.ilgiornale.it/news/mondo/i-servizi-segreti-smentiscono-regeni-non-era-agente-1220820.html
15http://www.repubblica.it/esteri/2016/02/08/news/giulio_regeni-132942342/
16http://www.repubblica.it/esteri/2016/02/06/news/giulio_regeni_la_pista_dei_detective_italiani_ucciso_per_le_sue_idee_-132818256/
17http://www.corriere.it/esteri/16_febbraio_08/regeni-l-egitto-polizia-non-coinvolta-non-mai-stato-arrestato-d3d4e7c4-ce86-11e5-8ee6-9deb6cd21d82.shtml
18http://www.corriere.it/cronache/16_febbraio_07/regeni-morto-la-torsione-collo-frattura-cervicale-midollo-leso-alfano-fatto-inumano-animalesco-30e2859c-cd8e-11e5-9bb8-c57cba20e8ac.shtml
19http://www.ilsecoloxix.it/p/mondo/2016/02/08/ASeQG8UB-arrestato_allusioni_respingiamo.shtml
20http://www.agi.it/economia/2016/02/03/news/egitto_al_sisi_incontra_guidi_italia_investa_da_noi_-484308/
21http://messaggeroveneto.gelocal.it/udine/cronaca/2016/02/03/news/la-farnesina-probabile-un-tragico-epilogo-per-giulio-regeni-1.12891240
22http://www.repubblica.it/esteri/2016/02/06/news/le_ultime_ore_di_giulio_regeni_preso_in_piazza_dalla_polizia_-132830252/
23http://www.corriere.it/esteri/16_febbraio_05/italiano-ucciso-egitto-dove-regime-reprime-oppositori-0120d37e-cb8e-11e5-9200-b61ee59246a7.shtml
24http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2016-02-07/il-vero-volto-dell-egitto-che-nessuno-vuole-vedere-160435.shtml?uuid=ACFjhYPC
25http://www.internazionale.it/notizie/2016/02/08/egitto-italia-affari-regeni
26http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/02/07/egitto-le-testimonianze-torture-nelle-carceri-di-al-sisi-elettroschock-e-abusi-sessuali-hrw-peggio-di-mubarak/2440453/
27http://www.repubblica.it/esteri/2016/02/08/news/giulio_regeni-132942342/
28http://www.repubblica.it/esteri/2016/02/06/news/giulio_regeni_la_pista_dei_detective_italiani_ucciso_per_le_sue_idee_-132818256/
29http://ilmanifesto.info/la-famiglia-regeni-con-il-manifesto-caso-chiuso-le-priorita-sono-altre/
30http://ilmanifesto.info/in-egitto-la-seconda-vita-dei-sindacati-indipendenti/
31http://www.repubblica.it/esteri/2016/02/05/news/caso_regeni_l_appello_degli_attivisti_non_venite_in_egitto_-132776297/
32http://www.theguardian.com/world/2016/feb/08/egypt-must-look-into-all-reports-of-torture-not-just-the-death-of-giulio-regeni
di Federico Dezzani – 14/02/2016
 
Fonte: Federico Dezzani

Anonymous attacca il gruppo Equitalia

oops. Anonymous si è accorto di Equitalia, ce ne son voluti di suicidi. Ma come? Equitalia da la caccia agli evasori, si sa che gli italiani sono ricchi, come ha ricordato Monti solo qualche giorno fa. Lotteremo fino alla fine di Equitalia, speriamo sia vero e non solo una sparata per fingere una tantum che i suicidi per povertà interessano anche a a quella parte politica che ha sempre ripudiato di parlare di questi omicidi di stato.
 
domenica 14 febbraio 2016
 
anonimus
Equitalia: NON sei equa….sei OUT !
 
“Salve Equitalia,
Noi siamo Anonymous.
 
In silenzio, per lunghi anni vi abbiamo osservato porre in essere le più spregevoli azioni nei confronti di onesti cittadini, onesti imprenditori, talmente oberati da questo sistema a cui voi fate capo, da non poter più sostenere la propria stessa esistenza.
I suicidi ormai non si contano più, e con esso i metodi utilizzati: dal gas al bruciarsi in auto o gettarsi da un palazzo per l’esasperazione, non fanno più notizia. Ciò nonostante, lo stillicidio della vostra azione, dietro la quale si cela lo stato italiano, continua a mietere vittime solo ed esclusivamente tra la povera gente, tra i nostri concittadini.
 
Come sempre, la tirannia del nostro governo si esprime attraverso manifestazioni di forza volte unicamente ad opprimere il già misero popolo italiano. Laddove invece la legge viene calpestata dalle grandi multinazionali mondiali, tra le quali è il caso di citare Amazon e Google stranamente lì l’azione diviene poco limpida ed offuscata e si perde per la via. Se la matematica non è ancora un opinione, basterebbe tassare equamente questi due colossi per far vivere un pò meglio tutti gli italiani.
 
Certo si comprende: è assai più agevole per voi procedere a pignoramenti del quinto dello stipendio di un povero operaio che deve mettere il piatto in tavola per i propri figli o al sequestro di capannoni e macchinari di un piccolo imprenditore che deve pagare gli operai tutti i mesi piuttosto che impelagarsi a districare il complicato marchingegno di scatole cinesi che compongono l’organigramma di questi colossi societari che è creato per il solo ed unico scopo di evadere le tasse in Italia.
 
La fantomatica web tax è rimasta un’idea campata in aria. Il nostro primo ministro ha cose più importanti a cui pensare: accontentare i grandi elettori, i grandi gruppi industriali, quelli che lo sostengono al potere ed al contempo deve studiare la notte come poter meglio raggirare gli italiani ai quali nel frattempo per tenerli buoni gli dà 80 euro o 500 euro a seconda dell’età.
 
E ovviamente deve anche pensare a trovare i soldi per fare la famosa statua a Marchionne, se la merita tutta, mentre acquista un aereo privato con cui girare il mondo a spese del bilancio pubblico. Fondi che potrebberò essere impiegati in modo molto più produttivo: ad esempio per opere nei territori ad alto dissesto idro-geologico, e per ripristinare l’erogazione dell’acqua in zone del paese come la Sardegna dove l’acqua manca ai cittadini da giorni. Per non parlare poi di concrete e serie leggi a sostegno dell’occupazione.
 
Forte con i deboli e servo dei potenti, niente di nuovo sotto il sole. Sei un artista, Renzi.
Da circo sì, ma pur sempre artista: un pagliaccio.
 
Siamo stanchi di tutte queste disparità di trattamento, di questa legge che legge non è, che conosce solo due pesi e due misure. Questa legge che la benda l’ha persa da molto tempo e ci vede benissimo quando si tratta di perseguitare il popolo italiano.
 
Renzi: tu ed il tuo governo siete imbarazzanti al pari di tutti gli altri che vi hanno preceduto.
 
Lotteremo affinchè tutto questo abbia una fine: la fine di Equitalia.
 
Vi avevamo avvisato.
Questo è solo l’inizio.
Preparatevi.
 
We are Anonymous
We are legion
We do not forgive
We do not forget
Expect us
.
#gruppoequitalia.it DOWN !!
Oooops We did it again, ;)”
 

Le cose che non ci dicono: GRECIA – il Popolo è in rivolta. Anche polizia non obbedisce più agli ordini del governo… Ma queste cose noi Italiani non dobbiamo saperle.

tranquilli, l’euro non è a rischio, la moneta dei banchieri è più che protetta, si possono sterminare popoli interi in suo nome perché è giusto così. Tsipras ha fatto la sua scelta, ed a suon di repressione impone tale scelta nonostante avesse raccontato altro in campagna elettorale. Ma la sinistra può mentire e tradire regolarmente in nome dei poteri ai quali è asservita, non è uno scandalo.
Poi se l’ordine di picchiare la gente arriva dai moralmente superiori è giustizia. Se fosse stato uno del centro destra (mica estremisti) a dare ordine di picchiare la gente, beh basti pensare a Samaras…….. Ma è la democrazia bellezza, gioite meno male non ci sono più i colonnelli, per fortuna ci sono i banchieri dell’euro.
 
La Grecia è in rivolta. Anche polizia non obbedisce più agli ordini del governo…
Ma i media Italiani CENSURANO la notizia.
Perchè non dobbiamo sapere?
Qualche notizia filtra solo attraverso il Web, ma i Tg non dicono una parola. Eppure è una cosa gravissima. Una guerra civile nel cuore dell’Europa! L’Euro a rischio!
Informatevi!
 
…………………………
 
GRECIA – IL POPOLO E’ IN RIVOLTA,LA POLIZIA NON OBBEDIRA’ PIU’ AGLI ORDINI DEL GOVERNO…
 
La Grecia risulta paralizzata dalla proclamazione di uno sciopero generale contro le riforme imposte al Governo Tsipras dalla Commissione Europea e dalla Troika di Bruxelles.
 
Dopo il tradimento degli impegni presi da Tsipras, la Commissione Europea, il FMI ed i conglomerati finanziari sovranazionali, con la collaborazionbe della “Frau” Merkel, si accingono ad asfissiare la popolazione greca con un insieme di provvedimenti che prevedono: taglio delle pensioni , aumento dei contributi e delle imposte, privatizazzione dei servizi pubblici, aumenti delle tariffe, svendita del patrimonio dello Stato, incluse alcune delle migliori isole dell’Egeo che diventeranno proprietà privata di grandi società immobiliari tedesche.
 
Come risultato delle proteste, si sono fermati del tutto i trasporti urbani ed extra urbani, protesta dei dipendenti pubblici, in sciopero anche artigiani, commercianti, professionisti, medici, infermieri, farmacisti, notai ed avvocati. Una paralisi completa del paese e, nonostante gli appelli al dialogo lanciati dalle autorità del governo, nessuno si fida più delle promesse ed il governo Tsipiras appare del tutto screditato ed accusato di essersi “venduto” ai potentati finanziari.
 
Circola molta rabbia contro il governo della sinistra mondialista, considerata complice della Troika di Bruxelles, si nota un forte astio contro le autorità della Unione Europea che hanno decretato i provvedimenti punitivi emessi nei confronti del paese che avranno l’effetto di una ulteriore caduta del reddito che era già crollato in questi ultimi anni. La polizia teme per l’ordine pubblico e per la possibilità che agitatori si infiltrino all’interno delle proteste.
 
Per effetto delle agitazioni, è’ stato chiuso nuovamente oggi il valico di frontiera di Medzitilja, tra Macedonia e Grecia. Questo valico era stato chiuso, come già accaduto nei giorni scorsi, a causa delle proteste degli agricoltori greci che hanno provveduto a bloccare strade, autostrade, valichi e ponti.
 
Aria di rivolta anche tra le forze di polizia. Uno dei principali sindacati della polizia ellenica, la Poasy, con una lettera resa di pubblico dominio ha proclamato che “…..non obbedirà agli ordini del Governo ma, al contrario, che si riserva di far scattare subito il mandato d’arresto immediato per componenti della Commissione Europea e della BCE che si troveranno sul suolo greco per il reato di ricatto, istigazione multipla a reato contro lo statuto nazionale e, alla sua abrogazione legislativa, violazione ed offesa della sovranita’ popolare mirata al bene comune del popolo greco, ecc..ecc…” In pratica spira un vento di insurrezione anche tra le forze dell’ordine.
 
Intanto i sindacati degli agricoltori greci hanno deciso di estendere la loro protesta fino ad Atene, per manifestare contro i piani del governo in materia fiscale e pensionistica. Il piano degli agricoltori è quello di arrivare ad Atene il venerdì prossimo con i loro trattori e scaricare qualche quintale di letame davanti alla sede del Governo. Attive anche le delegazioni di categoria che al momento hanno creato circa 70 blocchi lungo le strade e autostrade greche ed hanno rifiutato l’invito al dialogo lanciato dal ministro dell’Agricoltura di Atene Vangelis Apostolou. Ieri e’ stato chiuso anche il valico di frontiera Ilinden-Exochi, tra Bulgaria e Grecia.
 
Frattanto nelle isole dell’Egeo si stanno verificando forti disordini e proteste mentre arrivano ondate di extracomunitari sospinti dalla Turchia che vuole fare pressioni per ottenere i miliardi di aiuti dalla UE (quelli che vengono invece negati alla Grecia). La situazione sta rapidamente collassando con i centri di raccolta al completo, le gente accampata all’aperto senza servizi e senza generi di sostentamento, i cittadini locali in gravi difficoltà che vengono rifiutati dagli stessi centri e dagli ospedali intasati per l’arrivo della massa dei profughi.
 
A tutto questo si aggiungono i piani della NATO per militarizzare le isole per causa dell’emergenza profughi e per le tensioni che si registrano ai confini della Turchia. La stessa Turchia che sospinge l’esodo dei profughi verso le isole della Grecia per fare pressioni sulla UE ed invia i suoi aerei militari nello spazio aereo della Grecia, suscitando le proteste delle autorità militari greche.
 
In definitiva la Grecia sta subendo pesantemente tutti i contraccolpi di una crisi economica e del fallimento delle politiche dell’ Unione Europea,con il Governo che non ha avuto il coraggio di fare le uniche scelte nette che avrebbero potuto portare il paese fuori dalle secche: uscire dal sistema euro che si è rivelato un cappio al collo del paese ellenico ed accettare le proposte di partnership economica da parte di Russia e Cina che si erano fatte avanti con proposte precise.
 
Tutte le voci popolari ad Atene dicono che Tsipras, sottoposto a forti pressioni, si è venduto agli americani, prima ancora che alla Troika di Bruxelles e Francoforte.
 
Per una volta si può citare a proposito il vecchio motto latino: “vox populi vox Dei”.
 
Fonti: TVXS.gr Tanea.gr
 
Tratto da Controinformazione

La Grecia accusa Erdogan: “Jet turchi nei nostri cieli”

se fossero stati russi o di qualsiasi paese non NATO sarebbe successo il finimondo. Se sei dalla parte giusta della storia, per riprendere le parole di Obama quando parlò di Russia, puoi permetterti di violare le regole che vengono imposte ai paesi “sbagliati”
Proprio mentre il premier greco incontra il leader curdo, fonti elleniche denunciano 20 violazioni dello spazio aereo della Grecia da parte di jet turchi sopra le isole dell’Egeo
Ivan Francese – Mar, 16/02/2016 – 09:55
 
Dopo quello con la Russia, per la Turchia rischia di aprirsi un nuovo scontro diplomatico.
 
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Stavolta con la Grecia.
 
Atene ha infatti denunciato nella giornata di ieri che almeno sei caccia turchi avrebbero violato lo spazio aereo greco. Secondo l’agenzia ellenica Ana solo ieri gli sconfinamenti sarebbero stati almeno 20, tutti sopra le isole greche dell’Egeo. Due degli aerei turchi erano armati.
 
Secondo le fonti greche, l’aviazione ellenica avrebbe subito fatto decollare due aeromobili per intercettare i caccia turchi, ma non sarebbe stato esploso alcun colpo. L’incidentericorda quello occorso il 24 novembre scorso, quando due caccia turchi abbatterono un jet russo che aveva sconfinato per 17 secondi nello spazio aereo anatolico, a pochissima distanza dal confine siriano.
 
L’incidente fra Grecia e Turchia è accaduto proprio nei giorni in cui il mare Egeo è teatro delle nuove operazioni, coordinate dalla Ue e dalla Nato, per tentare di arginare il flusso dimigranti che dalla Turchia si riversa in Grecia.
 
Curioso notare come proprio ieri il premier greco Alexis Tsipras avesse incontrato il leader d’opposizione turco Selahattin Demirtaş, presidente del Partito Democratico del Popolo – formazione filocurda e di sinistra.