Putin killer e ora corrotto: è iniziato l’attacco finale?

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Mettiamo in fila le ultime notizie su Putin.
La scorsa settimana è stato accusato dalla Gran Bretagna di essere il mandante dell’omicidio Litvinenko, senza alcuna prova e nell’ambito di un’inchiesta non giudiziaria ma politica.
Ora dagli Stati Uniti arriva un altro siluro ed è significativo che sia stato lanciato tramite un media britannico, la Bbc. Durante uno speciale televisivo il ministro del Tesoro Usa ha accusato il presidente russo di “essere corrotto” avvertendo che il suo governo lo sa da anni. E naturalmente la Bbc, citando un “insider russo”, ha aggiunto che Putin avrebbe ricevuto in dono da Abramovich uno yacht da 35 milioni di dollari.
Insomma nel giro di una settimana Putin è stato indicato come un assassino e come un ladro. Manca solo l’accusa di pedofilia… Segnali che vanno interpretati secondo i canoni delle moderne guerre asimmetriche e che non lascerebbero presagire nulla di buono: gli Stati Uniti sembrerebbero intenzionati ad accelerare la resa dei conti con il capo del Cremlino.
A meno che la vera partita sia stia giocando non a Mosca ma a Washington. Fuor di metafora: negli ultimi 15 anni la politica estera americana è stata dominata dai neocon, che perseguendo i loro folli piani sono riusciti a destabilizzare l’Afghanistan, l’Irak, la Tunisia, l’Egitto, la Libia, la Siria, a mettere in un angolo la Russia e a dichiarare una “guerra al terrorismo” ottusa e strumentale che non ha portato più pace ma ancor più terrorismo con le sembianze dell’Isis.
Da qualche tempo, però, l’ala moderata dell’establishment americano pare aver trovato la forza di ribellarsi, in un impeto sia diplomatico che militare, testimoniato dalla rivolta dei generali del Pentagono contro la politica Usa in Siria.
C’è una parte di America che vuole davvero chiudere i conti con l’Isis, è la stessa America che ha riallacciato i rapporti con l’Iran e ora parrebbe disposta ad avviare una nuova distensione con Putin. Nei giorni scorsi il segretario di Stato John Kerry, parlando a Davos, ha evocato la possibile revoca delle sanzioni, nei prossimi mesi, se il Cremlino rispetterà gli accordi di Minsk sulla pace in Ucraina. Dichiarazione che è prematuro considerare come una vera e propria apertura ma che potrebbe essere letta nell’ambito della lotta di poter in corso nella capitale Usa. I neocon lanciano perfidi siluri mentre l’establishment tende la mano.
Che succede a Washington? E che farà Obama, troverà davvero il coraggio di correggere, almeno in parte, gli errori fin qui commessi? Prepariamoci, saranno settimane decisive.
di Marcello Foa – 01/02/2016
Fonte: blog.ilgiornale

Perché Isis ha colpito la Damasco sciita

“Quello che è successo a Parigi da noi succede ogni giorno da cinque anni”. Fu il commento di Bashar Al Assad all’indomani degli attentati del 13 novembre. Domenica Daesh ha commesso un’altra strage, questa volta al sud di Damasco, vicino al mausoleo sacro di Sayyida Zeynab (figlia di Alì e Fatima, nonché nipote di Maometto e sorella di Hussein) dove tra l’altro è sepolto Alì Shariati, ideologo della rivoluzione iraniana e oppositore dello Scià di Persia (sulla sua figura ha scritto un saggio il giornalista Riccardo Cristiano). Il bilancio è stato di circa 71 morti e oltre 100 feriti.
 
Ora molti commentatori politici occidentali accusano il presidente siriano di strumentalizzare il massacro con lo slogan “tutti i ribelli sono uguali”, tuttavia il vero perdente dopo questo massacro è proprio lui. Damasco piange esattamente come piansero Parigi e Istanbul. Stessi mandanti, stesse vittime innocenti. E gli uomini del Califfato, telecomandati o meno dai petrodollari dell’Arabia Saudita, hanno di fatto ottenuto quello che volevano: terrorizzare la popolazione siriana di confessione sciita e rallentare i negoziati di pace in corso a Ginevra dove Bashar Al Assad, tutelato dalla diplomazia di Mosca e Teheran, è in netto vantaggio sui suoi avversari. Non solo il suo nome non viene menzionato nella risoluzione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione del Paese ma in più la delegazione governativa si è mostrata aperta al dialogo al contrario degli oppositori che in un primo tempo non si erano nemmeno presentati ai colloqui.
 
Non a caso sui muri del santuario di Zeynab ci sono ancora le foto di Khamenei e del leader di Hezbollah Hassan Nasrallah, i peggiori nemici di Riad. Il sito era già stato preso di mira in passato: nel febbraio del 2015 un attacco suicida a un posto di blocco vicino al mausoleo causò la morte di 4 persone e il ferimento di altre 13. Nello stesso mese venne attaccato anche un autobus di pellegrini libanesi diretto alla moschea, in un attentato rivendicato da Jabhat al Nusra, gruppo affiliato ad Al Qaeda, e costato la vita a 9 persone. Era quello il luogo che ha sempre fatto da collante tra l’Iran degli Ayatollah, il movimento armato libanese e la minoranza religiosa alawita (riconosciuta dagli sciiti negli anni Settanta) che attualmente governa la Siria e di cui fa parte Bashar Al Assad. Per questo motivo fin dall’inizio della guerra era stato posto in sicurezza dalle milizie di Hezbollah e dall’esercito siriano, che hanno creato posti di blocco intorno per proteggerlo ed evitare ai veicoli di avvicinarsi. Da qualche mese infatti gli autobus con i pellegrini che giungevano dai Paesi limitrofi non arrivavano più a destinazione.
 
Più che un luogo sacro, il mausoleo di Zeynab era ormai diventato il quartier generale della resistenza dove si prega e si combatte contro il terrorismo di Daesh. L’obiettivo degli attentatori era proprio quello di colpirlo per spezzare quell’alleanza strategica che lega Damasco a Teheran. Perché malgrado le discrepanze ideologiche, etniche e religiose che esistono tra i due Paesi il patto tra la Siria bathista e l’Iran post-rivoluzionario dura ormai da un quarto di secolo (all’inizio della guerra contro l’Iraq, Hafez Al Assad appoggiò Ruhollah Khomeyni) e mantiene viva la “mezzaluna sciita” in funzione anti-saudita.

Strage di Viareggio, sei anni dopo: la politica chi protegge?

questo articolo è del giugno 2015, visto che si vocifera di archiviazione, è utile un ripasso. Visti gli imputati, cioè i moralmente superiori perché gli altri sono bestie come ha detto Renzi ed a giudicare dalla totale ASSENZA di solidarietà alle vittime (forse si teme di essere accusati di fascismo se si mostrasse solidarietà e si lottasse contro i responsabili che sono tutti di una parte politica precisa?) la società civile APPROVA.
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Anche quest’anno il 29 giugno Viareggio ricorda le 32 vittime bruciate dal terribile incendio del 2009 scaturito dal Gpl fuoriuscito da una cisterna deragliata in stazione. Anche quest’anno i familiari delle vittime riunite nell’Associazione Il Mondo che vorrei e Assemblea 29 giugno saranno in prima fila per ricordare i propri familiari ma anche per chiedere giustizia. Una giustizia che quest’anno sembra allontanarsi dato il rischio che il reato di incendio colposo cada in prescrizione.
 
Marco Piagentini, rimasto gravemente ustionato quella tragica notte, chiede che venga fermato questo nefasto conto alla rovescia che non darebbe giustizia alla moglie Stefania di 40 anni e i due figli Luca di 4 anni e Lorenzo di 17 mesi. Se cade in prescrizione il reato di incendio colposo chi e cosa avrà ucciso la sua famiglia? Non è accettabile che in un Paese civile i grandi processi (si pensi al caso dell’Eternit) vadano in prescrizione. Non sarebbe auspicabile che nella fattispecie il governo usi la stessa solerzia manifestata per salvare le banche?
 
Non è più accettabile assistere alla totale assenza delle istituzioni. A partire dall’ex presidenza della Repubblica, che non ha mai accolto l’invito ad incontrare i familiari delle vittime e contestualmente ha insignito Mauro Moretti del titolo di cavaliere del lavoro. Quel Cavalier Moretti rinviato a giudizio dal Tribunale di Lucca per strage e poi promosso dall’attuale presidente del consiglio alla direzione generale del gruppo Finmeccanica.
 
L’ex presidente del Consiglio Enrico Letta (anch’egli non eletto dal popolo per ricoprire tale carica) invece decise di non far costituire lo Stato come parte civile al processo e avviare una transazione con le assicurazioni di Fs e Gatx (la società proprietaria del convoglio che deragliò) anteponendo l’aspetto economico rispetto alla ricerca della verità. L’incapacità di cogliere il dolore si registra anche a livello regionale dove Enrico Rossi, il governatore della Toscana ha fatto infuriare parenti e amici delle vittime perché nel maggio scorso non si è presentato al Tribunale di Lucca a testimoniare. Daniela Rombi, presidente dell’associazione ‘Il Mondo che vorrei’, che ha perso la figlia Emanuela dopo 42 giorni di agonia, ha dichiarato:Non un cittadino qualunque, ma il presidente della nostra Regione, dopo ben cinque chiamate a testimoniare, non ha avuto la faccia di presentarsi né il garbo di giustificare la sua assenza“.
 
In questa triste saga della malapolitica i familiari delle vittime auspicavano che il nuovo presidente della Repubblica desse un segnale d’inversione di tendenza e accogliesse il loro invito a riceverli al Quirinale, “la casa degli italiani” come definita dallo stesso Mattarella al suo insediamento. Ma quella porta resterà ancora chiusa per chi ha perso figli o genitori, il presidente tramite un portavoce ha fatto sapere che non vuole interferire con il processo in corso. Pertini avrebbe fatto lo stesso?
 
A Mattarella gli si chiedeva solo un incontro, del resto il 2 giugno proprio al Quirinale anche Moretti con consorte era stato invitato alla festa della Repubblica. Da Mattarella ci si aspettava un segnale che finalmente contraddicesse la mesta constatazione che in ogni tragedia italica le istituzioni sono dalla parte dei potentati economico-finanziari e non dei cittadini.
 
Ora una porta a cui vogliono bussare i familiari delle vittime è quella di Papa Francesco, forse di questi tempi l’unica davvero aperta ai cittadini e chiusa per i poteri forti come dimostra la sua ultima enciclica. Viareggio è un campione rappresentativo di come la politica della rappresentanza sia agonizzante. La mesta constatazione che la politica nostrana in tutte le sue declinazioni istituzionali è sempre più distante dai problemi reali dei cittadini.
 
Intanto stasera a partire alle 20.30 dal luogo della strage partirà il lungo e silenzioso corteo che attraverserà tutta la città; Matteo Renzi ha fatto sapere che non potrà partecipare.
 
di Gianluca Ferrara | 29 giugno 2015

Parigi si prepara all’attacco in Libia. Ecco come

“Daesh è a 300 chilometri dall’Europa! Quando comincia il bel tempo nel Mediterraneo, si rischia che jihadisti si mescolino ai rifugiati”: se ad adottare titoli da “Libero” è il ministro francese della guerra Juan-Yves Le Drian, vuol dire che la Francia sta preparando un secondo interveto in Libia. Ufficialmente per combattere l’ISIS, il cui capo è un asset della Cia premiato da McCain. E anche con il vantaggio collaterale, per Hollande col pennacchio di Commandant Suprème, di liquidare come concorrente presidenziale, alle votazioni del 2017, Sarkozy.
I preparativi fervono. Ma dove sono le forze della leggendaria Armée? Una indicazione viene dal capo degli stati maggiori, Pierre De Villiers, che ha (giustamente ) cominciato a lamentare coi politici per avere più mezzi. E’ istruttivo imparare dove sono situati in questo momento i soldati francesi:
  • Una porzione dell’armata si trova in Mali, dal 2013,per sostenere l’armata dal Mali a contrastare i jihadisti.
  • 4000 soldati sono posizionati in Afghanistan.
  • 500 partecipano alla Forza d’Interposizione delle Nazioni Unite in Libano, in attuazione della risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza alla fine del confitto Israelo-Hezbollah del 2006.
  • 1700 soldati sono in Costa d’Avorio (Operation Licorne)
  • 765 sono tutt’ora sul terreno in Kossovo, sotto l’egida NATO, dove avranno messo radici.
  • Forze francesi operano al largo delle coste somale per contrastare la pirateria, stavolta sotto l’egida UE.
  • Un numero non precisato dei reparti d’Aviazione partecipa ai bombardamenti in Siria e Irak, anche lì per salvare (mi correggo: distruggere) Daesh, come ordinano gli americani e i sauditi.
  • La Charles De Gaulle, la unica e sola portaerei francese con la sua squadra d’appoggio, partita per bombardare dal largo della Siria il famigerato Daesh colpevole degli attentati di Parigi, è invece stata comandata nel Golfo Persico per sostituirvi una portaerei americana da mandare in riparazione.
  • Sul suolo nazionale ci sono 10 mila fanti, dispiegati da Hollande per la sorveglianza ai terroristi interni (Operation Sentinelle) dopo la strage a Charlie Hebdo del gennaio 2015 e rinforzata dopo gli attentati di novembre a Parigi.
I dati sono istruttivi perché sicuramente anche le truppe italiane (e spagnole, inglesi, un po’ meno le germaniche) sono altrettanto sparse qua e là dove comanda Zio Sam – della NATO o di “alleanze dei volonterosi” : in Kossovo e in Libano, in Afghanistan e in Irak, a  far da rincalzi alle sue guerre globali (contro il Terrore) e ormai quindicennali, nella speranza di aver una fettina del business e dei contratti che un giorno – siamone sicuri – ci verrà graziosamente concessa. Per adesso paghiamo, e dipendiamo dall’aviazione del Grande Fratello per rifornire, avvicendare – ed eventualmente esfiltrare in caso di guai – i nostri “ragazzi” dall’Afghanistan e dall’Irak, perché noi non abbiamo nulla dei mezzi di proiezione che servono per simili lontananze.
Naturalmente una simile dispersione è semplicemente dissennata dal punto di vista strategico e militare. Specie in vista delle continue provocazioni che i comandi della NATO intensificano contro la Russia,   facendone il nemico ai nostri confini, e di cui si accusa la “aggressione neo-imperiale” contro l’Ucraina e “la postura aggressiva” contro tutti noi; mentre gli imponiamo sanzioni e il governo Usa lo dichiara ufficialmente “corrotto”, gli inglesi “pedofilo” (sezione 5.67 del Rapporto di Sir Robert Owen sull’assassinio di Litvinenko) e un ex dirigente della Cia di nome Meyer ne ha proposto l’assassinio, secondo i costumi americani.
Dopotutto, la Russia ha un esercito potente e capace di interventi fulminei e a sorpresa, come ha dimostrato recentemente in Siria: se dunque l’Occidente credesse che è il pericolo estremo e l’aggressivo guerrafondaio che la NATO proclama essere, al punto da voler rafforzare il suo arsenale nucleare, forse lascerebbe sguarnita l’Europa spargendo le sue truppe d’elite in giro per i continenti? Anche in questo le informazioni sullo spargimento delle truppe francesi è molto istruttivo. La NATO non ha alcuna paura della Russia – fidano nella mente fredda e realismo putiniano, che consente loro di esimersene – e la sua è solo propaganda.
Ma torniamo alla Francia, à nos moutons, come dicono loro. Il sullodato ministro Le Drian ha annunciato che nel corso del 2016 ritirerà le truppe della “Operation Sangaris”, ossia della spedizione neo coloniale che ha in corso “per stabilizzare il Centrafrica”.
Sono meno di duemila soldati,un paio di elicotteri, qualche corazzato. Adesso saranno riutilizzati per vincere i Libia. Basteranno?
Comunque servono, perché nella vicina Algeria, il dittatore Bouteflika, a capo della paleo-oligarchia comunista, ha quasi 80 anni e viene fatto volare in segreto in Germania a farsi curare – dopo una visita alla clinica cardiologica D’Alembert di Grenoble il 15 novembre scorso. E’ noto l’ interesse di Usa, Parigi e (ovviamente) Daesh per far fiorire una primavera islamica in questo nostro fedele fornitore di gas, fedeltà che   data dai tempi di Enrico Mattei.
 
Situazione da sorvegliare. O Roma sarà “sorpresa”, come accadde con Gheddafi?
di Maurizio Blondet – 01/02/2016

Maria Elena Boschi: oggettivamente incompatibile

per i conflitti di interessi di Berlusconi non si contavano le manifestazioni della società civile, quella seria quella unica titolata ad esercitare il diritto di parola e di manifestare, quella che fa capo al Pd come IL SILENZIO su ogni  losca vicenda che coinvolge il loro partito
 
di Marco Della Luna – 01/02/2016
 
Uno dei truffati di Banca Etruria sotto la vicepresidenza di Luigi Boschi, esclamava: “No, la bella ministra Boschi può restare al suo posto, perché non è colpevole delle colpe di quel d……. di suo padre; però deve lavorare sedendo su una poltrona rivestita con la sua pelle, per ricordarsi di non seguire il suo esempio!”
A questo truffato io replico, con tutto il rispetto per la sua tragedia umana, che si inganna completamente, e che le cose stanno al rovescio di come egli le ha messe. Stanno cioè così:
Maria Elena ama suo padre Luigi, anche con quello che egli ha fatto a tanta povera gente.
Luigi Boschi, qualora abbia fatto quello che dicesi abbia fatto, lo ha fatto, come i suoi colleghi, per lucro, per guadagnare, per portare a casa dei soldi.
Maria Elena è naturale che, come figlia ed erede legittima di Luigi, riceva una parte di questi guadagni, e quindi abbia un oggettivo interesse a proteggerli, a legittimarli, a consolidarli.
E qui sta l’incompatibilità, il conflitto di interesse, insomma una oggettiva ragione per cui Maria Elena deve lasciare il posto da ministro (e chiunque le voti la fiducia va considerato politicamente corresponsabile): il suo personale interesse e vantaggio patrimoniale come figlia-erede rispetto ai lucri paterni.
Inoltre, l’incompatibilità di Maria Elena sta anche nel fatto che ella deve la sua carriera politica alla posizione e ai successi di suo padre, come osserva un lettore. Ma anche la carriera di Matteo Renzi si deve ai collegamenti del medesimo coll’ambiente bancario e finanziario da cui certe prassi e certe problematiche scaturiscono. Anzi, tutto il PSD-DS-PD deve il suo potere all’alleanza con questi interessi (pensiamo al MPS e al pd Mussari). Quindi dall’incompatibilità particolare di Maria Elena Boschi si arriva all’incompatibilità generale degli uomini del PD con le funzioni di interesse pubblico, perché il PD è partito fiduciario di questa classe bancaria, che ha interessi e prassi in conflitto con quelli della popolazione generali.
Non dimentichiamo che Maria Elena ha dato il suo nome a una riforma costituzionale che fu concepita quando i noti abusi bancari erano già in corso e che, se sarà realizzata, farà sì che il governo possa impedire che vengano portati a conoscenza dell’opinione pubblica, e davanti ai giudici, gli scandali bancari, politici e burocratici, perché essa, in combinazione con la riforma elettorale detta Italicum, concentrerà i poteri dello Stato, anche quelli di controllo (CSM, nomina del Capo dello Stato) nelle mani del premier (che è già dominus del partito di maggioranza, oltretutto), facendone il signore delle istituzioni. Gli scandali Mafia Capitale e quello di Banca Etruria, in quanto così delicati per gli interessi della casta, rischiavano di essere tenuti nascosti, se la Riforma Boschi fosse già stata operativa. Questa riforma è un misfatto immensamente più grave, sul piano giuridico e sociale, di tutto ciò che si imputa al padre della bella ministra.
 
Ora stiamo a vedere se il governo di cui Maria Elena fa parte farà o non farà partire azioni giudiziarie di risarcimento dei danni contro i dirigenti-truffatori delle banche che ha appena salvate, e contro i colpevoli degli omessi controlli e interventi.

“I padroni non li vogliamo!”, Fassino contestato a S.Ambrogio

Comune della Bassa Valle, S.Ambrogio accoglie il Sindaco Metropolitano Piero Fassino, carrierista della politica locale e nazionale ed esponente del partito nazionale PD. I cittadini chiedono conto anche del passato.

FOTO DIEGO FULCHERI

di Valsusa Report

“Una riunione di lavoro” dice il sindaco di S.Ambrogio  che ha il turno di rappresentare come portavoce la Zona Omogenea 6. La Città Metropolitana di Torino da poco nata ha diviso il territorio in 11 zone, 4 sono della cintura e le altre dei territori montani “la commissione che si è occupata della zonizzazione ha lavorato riconoscendo e tenendo ben presenti l’identità storica, territoriale, sociale ed economica delle singole realtà” si legge sul sito della metropolitana divisione. La zona 6, Valli di Susa e Sangone comprende 43 Comuni con 114165 abitanti, portavoce il sindaco di S.Ambrogio e vice il sindaco di Coazze, oggi Mario Ronco.

FOTO DIEGO FULCHERI

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Non si sono capiti con i sindaci del territorio valsusino, l’altro ieri 2 febbraio, via carta stampata e web gli scambi di opinioni sulla dichiarata contestazione che sarebbe avvenuta proprio con la calata del sindaco metropolitano. “Siamo in democrazia e ognuno può fare quel che vuole. Quella di domani sera è una riunione di lavoro” spiegava ai giornali Fracchia e dal sito del movimento No Tav veniva ribadito il concetto dello spreco delle risorse pubbliche. Di li la contestazione al simbolo del partito che per decenni sta governando la Valle di Susa. “Un partito che nella sua versione attuale ha cambiato casacca e nome ma mai i personaggi politici che lo animano – spiegano i manifestanti, giunti anche da Torino – e che hanno lasciato sul territorio enormi cattedrali nel deserto”.

FOTO DIEGO FULCHERI

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Il riferimento più grande va alle Olimpiadi (QUI i conti di spesa) di dieci anni fa dove da un proclamato guadagno turistico dell’epoca si è arrivati oggi alla desolazione delle strutture alcune già in fase di demolizione, e non solo, ne parlammo QUA dove la presenza di un centro urbano sin dal III sec. d.C. venne alla luce e subito ricoperto asfaltandolo. Probabilmente col denaro pubblico oggi si avrebbe un centro archeologico con una rilevanza museale e possibile introito dalla gestione delle visite alla struttura. “Una forma di sfruttamento del territorio a cui come cittadini non vogliamo più assistere” riferisce Francesco Richetto, in minoranza nel comune di Bussoleno. Infatti proprio di questo hanno parlato nella riunione tenuta nella sala grande del comune. Previsti un’ottantina di amministratori, ma meno di un terzo ha presenziato. Leggeranno le note dei funzionari presenti alla riunione.

FOTO DIEGO FULCHERI

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“La Città Metropolitana, è in fase di predisposizione del bilancio, parleremo di viabilità, edilizia scolastica e welfare” ricorda il sindaco, Dario Fracchia, la conferma quando arriva , l’ingente cordone di forze in divisa stenta a tenere le oltre 150 persone assiepate nella piccola piazza del comune. Una contestazione con fischi e trombe, qualche spintone della polizia alla comparsa dello striscione che si riferisce al Tav, uno striscione con un treno disegnato che entrando in galleria sui vagoni trova le scritte PD-MAFIA-BANCHE. Il gesto stizzito di saluto del sindaco metropolitano all’uscita mette fine alla contestazione durata alcune ore con l’organizzazione di cibo caldo e bevande per i manifestanti. “Ho la sensazione che il padrone sia venuto a tirare il collare a strozzo” ci riferisce un manifestante raggiunto al telefono.

FOTO DIEGO FULCHERI

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V.R. 4.2.16

FREDIANI (M5S): “SANT’AMBROGIO MILITARIZZATA PER FASSINO, SPERO CHE IL PROSSIMO SINDACO METROPOLITANO NON ABBIA BISOGNO DI UNA SCORTA DEL GENERE”

http://www.m5sp.it/comunicatistampa/2016/02/frediani-m5s-santambrogio-militarizzata-per-fassino-spero-che-il-prossimo-sindaco-metropolitano-non-abbia-bisogno-di-una-scorta-del-genere/

Il sindaco Fracchia aveva previsto la presenza di una pattuglia di Carabinieri, ma la realtà è stata ben diversa. Ieri davanti al municipio di Sant’Ambrogio erano schierate numerose camionette della Polizia, dei Carabinieri e pure la Digos. Insomma, mancavano solo i Granatieri di Sardegna! Il tutto per “tutelare” Piero Fassino da un pacifico presidio di No TAV.

Ho partecipato alla manifestazione per ricordare al sindaco metropolitano che le priorità di questa valle sono altre da quelle immaginate da lui e dai suoi colleghi di partito. Questa Valle vuole bloccare subito la grande opera inutile, non accetta alcuna compensazione e non è più disposta a tollerare la militarizzazione del territorio come avvenuto ieri sera.

Auspico che il prossimo sindaco della Città metropolitana non abbia bisogno di una “scorta” del genere pagata con i soldi dei cittadini.

Francesca Frediani, Consigliere regionale M5S Piemonte

Contestato Fassino a Sant’Ambrogio (FOTO)

post — 4 febbraio 2016 at 14:25

diego4Ieri sera circa un centinaio di No Tav ha contestato la presenza del sindaco della città metropolitana Piero Fassino che ha voluto organizzare un incontro con i sindaci per parlare di bilanci e soldi pubblici.

L’incontro si è ovviamente svolto a porte chiuse, con centinaia di poliziotti e carabinieri in assetto antisommossa a circondare l’ingresso del municipio. Fassino è arrivato su di una macchina a gran velocità e con la stessa tecnica si è allontanato.

Abbiamo avuto modo di intrevederlo per pochi secondi, ma siamo sicuri siano bastati a fargli percepire l’ostilità che merita.

La serata, nonostante la presenza massiccia di forze dell’ordine, si è svolta tutto sommato tranquillamente, qualche spintone dato con gli scudi dalle FF.OO e qualche minaccia accompagnata da una ridicola ostentazione di forza non sono serviti ad intimidire i No Tav, che hanno presidiato fino a fine incontro.

Ovviamente, nè Fassino nè il suo codazzo di interlocutori ha risposto alla domanda più importante che già avevamo pubblicato qualche giorno fa: “Se parliamo di bilanci  e di denaro pubblico facciamo sentire la nostra voce, di fronte all’inutile spesa del progetto Torino Lione che risposta danno dal PD ai tagli alla sanità, alle piccole opere utili, alla scula, all’assistenza verso le fasce deboli?”.

Su questo, silenzio.

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IL SENATORE ESPOSITO È STATO CONDANNATO PERCHÉ “LE CRITICHE SI DEVONO BASARE SU FATTI VERI”

http://www.lastampa.it/2016/02/03/cronaca/il-senatore-esposito-stato-condannato-perch-le-critiche-si-devono-basare-su-fatti-veri-GaFFdjtxVFjTo9nv03YUqL/pagina.html

Il giudice spiega le ragioni della multa da 600 euro inflitta al parlamentare del Pd per diffamazione nei confronti di 4 attivisti No Tav

Il senatore Stefano Esposito durante una visita al cantiere Tav di Chiomonte, in Valsusa

03/02/2016
 
torino
«La critica, anche politica, deve pur sempre fondarsi sull’attribuzione di fatti realmente accaduti, non essendo lecito criticare qualcuno attribuendogli una condotta che in verità non ha tenuto». È sulla base di questo principio che il giudice Paola Rigonat, del tribunale di Torino, lo scorso 26 novembre ha condannato il senatore Stefano Esposito (Pd) con l’accusa di avere diffamato quattro esponenti No Tav. Lo si legge nelle motivazioni della sentenza. 
 
I FATTI  
Esposito, in un articolo sul suo blog, l’8 dicembre 2011, aveva indicato in alcuni attivisti (e di esponenti del centro sociale Askatasuna) «gli autoproclamati leader di questo movimento che hanno pianificato e diretto le azioni violente» della stessa giornata contro il cantiere di Chiomonte. Le quattro parti civili, però, non furono denunciate dalle forze dell’ordine per quell’episodio: la testimonianza di un funzionario della Digos, secondo cui almeno due delle persone citate da Esposito nell’articolo (una delle quali fu poi effettivamente indagata) avevano avuto «mansioni di coordinamento dei manifestanti», è stata giudicata «molto imprecisa». In ogni caso – afferma il giudice – «se le parti civili avessero avuto un ruolo organizzativo e di direzione degli scontri sarebbero stati senza dubbio deferiti all’autorità giudiziaria». La conclusione è che «il diritto di critica può essere invocato solo se fondato su fatti storicamente veri». 
 
LA DIFESA  
Il senatore – che al processo ha rinunciato all’immunità parlamentare – ha spiegato di essersi basato sulle informazioni che gli venivano fornite per telefono «in tempo reale» da persone di cui non ha voluto fare il nome. 
Esposito è stato condannato a 600 di multa. Inoltre dovrà risarcire due delle parti civili con cinquemila euro ciascuna; ad altre due dovrà versare la stessa somma ma a titolo di provvisionale. 

SYRIE/ QUAND LES MEDIAS DE L’OTAN VEULENT SAUVER LES DJIHADISTES !

# SYRIA COMMITTEES/

HONTEUX MEDIAS DE L’OTAN.

VOILA LEUR SALE PROPAGANDE AMERICAINE POUR SAUVER LES DJIHADISTES EN SYRIE !

 SYRIA - LM honteux medias (2016 02 03) FR

Luc MICHEL pour SYRIA COMMITTEES/

2016 02 04/

https://www.facebook.com/syria.committees

https://www.facebook.com/suriye.komitesi

http://www.syria-committees.org/

USA – OTAN – UE, avec la complicité des presstitutes des médias atlantistes :

Ils prétendent tous lutter contre al-Qaida depuis le ’11 septembre’ (mais l’ont organisée en Afghanistan entre 1979 et 1991, puis en Bosnie en 1994-96) …

Ils prétendent combattre Daech en Syrie ou en Libye (mais ont amené là bas les djihadistes entre 2011 et 2014) …

Ils ont plongé la Syrie et l’Irak dans deux guerres civiles sanglantes, sans oublier le Yemen, en s’attaquant à des états laïques et multiculturels, mais parlent de « paix » …

Leur guerre au terrorisme est un grand théâtre !

Damas et Moscou eux combattent réellement le terrorisme djihadiste pour le détruire.

Le président Assad se bât pour la stabilité de deux continents.

Si l’Etat syrien s’effondrait, un ‘hub’ terroriste apparaîtrait sur au moins deux états, rayonnant en Eurasie en Chine et dans le Caucase et en Afrique des rivages de Libye au Golfe de Guinée et à la Mer rouge …

Et voilà que USA et presstitutes reprochent aux russes de faire leur devoir de grande puissance : ramener la paix et la stabilité, détruire le cancer djihadiste.

C’est vrai que le Bloc américano-atlantiste et ses alliés fondamentalistes wahhabite du Golfe (la matrice de tous les djihadistes précisément) panique. Epaulé par l’Armée russe, l’Armée arabe syrienne va de victoire en victoire, dégageant totalement Damas et piégeant de grandes forces djihadistes alliées à l’OTAN, celles du Jabaat al-Nosra (al-Qaida en Syrie !) à Alep.

Vous avez compris le jeu pervers, ce « scénario du diable » reposant sur la « géostratégie du chaos » ?

Un homme aussi l’a compris. Il a dit STOP au jeu pervers. Il s’appelle Vladimir Poutine …

LM/ SYRIA COMMITTES/ COMITES SYRIE/

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Soutien aux Présidents Assad et Poutine,

aux Armées syrienne et russe,

à l’Axe de la Résistance Syrie-Iran-Hezbollah.

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