L’annuncio del ministro degli Interni dopo gli arresti di ieri durante un’audizione al Senato
Il Viminale per i cantieri della Tav Torino-Lione “non esclude nel futuro possibili verifiche e misure antimafia così come fatto per l’Expo 2015 di Milano” e che hanno già portato a 39 misure interdittive disposte dal prefetto. Ad affermarlo è stato il ministro dell’Interno, Angelino Alfano nel corso di una audizione presso la commissione affari costituzionali del Senato.
La dichiarazione del ministro arriva dopo l’operazione di ieri che ha accertato come la ‘ndrangheta cercasse di mettere le mani sui lavori pubblici del Torinese, e soprattutto in Valle di Susa, dove la costruzione del Tav aveva stuzzicato l’appetito delle cosche. Da qui o tentativi di influenzare la vita politica locale. E un paio di amici nelle forze dell’ordine pronti a dare una mano in caso di necessità. L’inchiesta dei carabinieri dei Ros e dei magistrati della Dda del capoluogo piemontese, coordinati dal pm Sandro Ausiello, ha portato a venti arresti e al sequestro di beni per 15 milioni. Associazione di stampo mafioso, estorsione, usura e traffico illecito di rifiuti sono i reati contestati.
Pochi giorni fa, proprio a Torino, la Commissione parlamentare antimafia aveva lanciato l’allarme sulla penetrazione della criminalità organizzata nel tessuto sociale ed economico del Nord-Ovest. Ma l'”Operazione San Michele”, come è stata chiamata, per il ministro dell’interno Angelino Alfano “conferma che la pressione ininterrotta dello Stato contro la ‘ndrangheta sta producendo grandi risultati”. “L’esito delle indagini – osserva la presidente dell’Antimafia, Rosi Bindi – conferma l’aggressività della ‘ndrangheta e la sua sostanziale unitarieta’ anche in Piemonte. E’ la ‘ndrangheta il soggetto criminale piu’ insidioso”.
Questa volta ad essere colpita è la ‘ndrina di San Mauro Marchesato (Crotone) capeggiata da Angelo Greco e la sua articolazione torinese. Ma il personaggio chiave dell’intreccio, secondo i carabinieri, è un imprenditore originario di Catanzaro, Giovanni Toro, già finito in carcere nel 2013.
E’ lui, da “gestore di fatto” di due società di costruzioni stradali e da “locatario” di una cava a Sant’Ambrogio, in Valle di Susa, la testa di ponte verso il mondo degli appalti e della politica. “Ce la mangiamo noi questa torta dell’alta velocità”, sentono dire i carabinieri in una conversazione intercettata nel maggio del 2011. I boss, in Calabria, ne parlano almeno in altre due occasioni nel dicembre dello stesso anno, durante incontri che raccolgono esponenti del clan dei sanmauresi e quelli del locale di Cirò Marina. Il cantiere per il tunnel geognostico alla Maddalena Chiomonte, sgomberato il presidio dei No Tav, è partito da sei mesi, e la ‘ndrangheta non vede l’ora di infilarsi. Italcoge è un’impresa da tempo impegnata nei lavori (l’allora titolare, Ferdinando Lazzaro, è indagato a piede libero per smaltimento illecito di rifiuti) ma fallisce nell’agosto del 2011, e Toro, che sperava nel suo appoggio, si preoccupa: “Bisogna che Chiomonte la prendiamo noi”.
Il movimento No Tav, che da sempre tiene d’occhio il via vai delle ditte in Valle Susa, esulta con amara ironia. “Lo diciamo da anni e oggi lo diciamo ancora meglio: si tratta di “ndranghetav'”. E aggiunge che Toro, nel cantiere, aveva anche già eseguito “su richiesta delle forze dell’ordine” dei lavori di bitumatura delle strade interne.