—Massimo Zucchetti, 28.1.2014
Potrà certamente riempire di amarezza, specialmente per un torinese “veij Piemònt” come il sottoscritto, venire a sapere che — come ampiamente previsto da tutti coloro che non avevano le fette di salame sviluppiste sugli occhi — la ex-FIAT in mano a Marchionne si trasferisce oltreoceano e abbandona l’Italia e Torino.
In fondo, nel bene e nel male, la FIAT ha segnato un’epoca della Storia d’Italia e di Torino. Io — che ho mezzo secolo di vita — la vera Torino della FIAT me la ricordo ancora. Ricordo i giorni da “bollino rosso” per le strade e sui treni, quando chiudeva e riapriva la FIAT. E le immancabili interviste ai cancelli, a fine agosto, primo turno ore sei.
Tutto questo è finito da anni. Ora uno degli ultimi atti. Il 29 gennaio Marchionne proporrà/imporrà al consiglio di amministrazione di FIAT il listing (la quotazione) della nuova società a New York, fissando però la residenza fiscale in Gran Bretagna.Così come nel 2012 FIAT Industrial si trasferì fiscalmente in Olanda per negare allo Stato Italiano le tasse: si chiamano pietosamente “benefici fiscali”.…
La piccola farsa di non voler abbandonare il paese che per decenni ha inondato la FIAT di aiuti di Stato, pagandola circa tre volte il suo valore in aiuti, continua sempre più stancamente: verrà lasciata a Milano la quotazione di una parte del gruppo (Fabbrica Italia, probabilmente); ovvero una frazione molto minoritaria del tutto
Gli uffici amministrativi abbandoneranno Torino, così come l’ultima parte della progettazione (il “core” del settore ha già preso la strada di Detroit).
La FIAT non esiste più: non è certamente quella del SUV Freemont, oppure di Ferrari e Maserati, straordinarie ma non decisive. Diceva Henry Ford: l’innovazione tecnologica non ha significato se non diviene disponibile per tutti. Ma questo linguaggio il signor Marchionne e i suoi dipendenti non lo capiscono più.
A proposito di dipendenza, a questo punto psicologica e che meriterebbe attenzione perché desta, sinceramente, pietà e preoccupazione: Piero Fassino, sindaco di Torino “sedotta e abbandonata”, dice: Non importa se il cuore di FIAT lascia l’Italia e Torino, quello che conta è la produzione. Come commentare? L’atteggiamento romantico ottocentesco (“mi ha lasciato, ma mi vuole ancora bene…”) è quasi commovente, così come l’attenzione ottocentesca alla produzione, residuo vetero-operaista che diverte: potremmo ribattergli che quel che conta sono l’innovazione, la ricerca, il pensiero, il know-how: dove vanno questi vanno le risorse, non dove va la produzione. Ma anche qui, mi parrebbe di parlare al deserto.
Non è difficle, visto questo andazzo, immaginare comunque il destino di Melfi, Cassino, Pomigliano.
I governanti italiani tacciono. La migrazione di un’azienda che — tra l’altro — ha modellato anche il sistema dei trasporti in Italia a suo piacimento non ha importanza alcuna, pare.
Appare anche inutile dire che — con quanto lo Stato, cioè noi, ha pagato alla FIAT in questi anni — l’Italia avrebbe ogni diritto a procedere alla nazionalizzazione anche domani mattina. E’ un parlare da comunisti d’altri tempi.
Ed allora dimostriamo un po’ di contentezza. Meno male che ve ne andate, signor Marchionne e “uomini FIAT”. Non se ne poteva più delle vostre facce, della vostra mentalità piccola, di come avete desertificato culturalmente una città per decenni. Non se ne poteva più di vedere le casse dello stato drenate dalle vostre casse integrazioni e dalle vostre perdite collettivizzate, mentre ovviamente avete privatizzato i guadagni in tempi di vacche grasse. E non se ne poteva più di vedere i posti, micro– e macro-, di potere a Torino occupati dai vostri amici.
L’Italia sta affondando e i topi abbandonano la nave. Personalmente, preferisco non avere certe cattive compagnie. Che se ne vadano: ma che non si parino più davanti: speroma ca sia la vira bon-a c’as gavo dale bale.
Marchionne, Napolitano, e John Elkann