In 10 anni persi 2,3 milioni di km quadrati di foreste

http://www.lafucina.it/2013/11/15/in-10-anni-persi-23-milioni-di-km-quadrati-di-foreste/

Lo indica la prima mappa del cambiamento globale delle foreste, ottenuta con l’aiuto dei satelliti e pubblicata sulla rivista Science

In dieci anni si sono perduti 2,3 milioni di chilometri quadrati di foreste e le nuove foreste occupano 800.000 metri quadrati, con un bilancio negativo di 1,5 milioni di chilometri quadrati: lo indica la prima mappa del cambiamento globale delle foreste, ottenuta con l’aiuto dei satelliti e pubblicata sulla rivista Science.

La mappa ad alta risoluzione è il risultato della ricerca coordinata dall’università del Maryland e condotta in collaborazione con il Servizio geologico degli Stati Uniti (Usgs) e la società Google. Le osservazioni si basano sui dati forniti dal satellite della Nasa Landsat 7.
Per la creazione della bancadati, che sarà aggiornata annualmente, sono state utilizzate più di 650.000 immagini riprese dal satellite Landsat 7 tra il 1999 ed il 2012, che sono liberamente disponibili.

Dalla mappa emerge che fra il 2000 e il 2012 sono stati cancellati 2,3 milioni di chilometri quadrati di foreste e guadagnati circa 800.000 metri quadrati.
La ‘battaglia’ contro la deforestazione emerge, ad esempio, in Amazzonia. La mappa indica infatti che gli sforzi del Brasile per ridurre la deforestazione recentemente stanno riuscendo a rallentare la perdita annuale delle foreste in tutto il Paese, passata dia 40.000 chilometri quadrati del 2003-2004 ai circa 20.000 chilometri quadrati del periodo 2010-2011.

“Questa è la prima mappa dei cambiamenti globali delle foreste, coerente e pertinente anche a livello locale”, spiega Matthew Hansen, dell’Università del Maryland e principale autore dell’articolo. “Le perdite o gli utili della copertura forestale – prosegue – sono importanti per l’ecosistema”. I loro effetti, rileva l’esperto, hanno infatti conseguenze notevoli, dalla regolazione del clima alla biodiversità, dallo stoccaggio del carbonio alle risorse idriche. ”Finora però – conclude – non vi era stato alcun modo di ottenere dati accurati, basati su immagini satellitari e prontamente disponibili sia a livello locale che su scala globale”. Grazie alla mappa potrà migliorare ora la capacità di comprendere i cambiamenti delle foreste, sia quelli indotti dall’uomo che quelli naturali, e si potranno studiare con dati più precisi anche le implicazioni globali che queste mutazioni avranno sui sistemi sociali, ambientali ed economici.

Debito pubblico, chi lo crea stampando moneta e chi lo paga con le tasse

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/01/05/debito-pubblico-chi-lo-crea-stampando-moneta-e-chi-lo-paga-con-le-tasse/832248/

di  | 5 gennaio 2014

Nel 2014 diventerà operativo il fiscal compact, per chi voglia rinfrescarsi la memoria ecco la definizione che riporta Wikipedia:

“Il Patto di bilancio europeo o Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’unione economica e monetaria, conosciuto anche con l’anglicismo Fiscal compact(letteralmente riduzione fiscale), è un accordo approvato con un trattato internazionale il 2 marzo 2012 da 25 dei 27 stati membri dell’Unione europea, entrato in vigore il 1º gennaio 2013.”

L’accordo contiene le regole d’oro della gestione fiscale degli stati membri, tra queste c’è l’impegno del nostro paese a ridurre il rapporto tra debito pubblico e Pil al 60 per cento attraverso una maxi manovra finanziaria all’anno per i prossimi 20 anni, la prima avverrà quest’anno. Dato che al momento questo rapporto supera il 132 per cento (equivalente a 2080 miliardi di euro circa) bisogna ridurlo di almeno 900 miliardi di euro, il che equivale a circa 45 miliardi l’anno per due decadi. Per chi voglia cifre aggiornate al nano secondo sul debito pubblico qui trovate dove il conteggio avviene in tempo reale.

Naturalmente nel dibattito italiano non si parla del fiscal compact, ma di questo non dobbiamo sorprenderci, se ne parlerà a josa quando bisognerà tirar fuori i soldi per rispettarlo, tra qualche mese. In pratica il pagamento dei 45 miliardi avverrà o attraverso l’aumento delle tasse o attraverso la contrazione della spesa pubblica, che può comprende sia la riduzione dell’occupazione che dei salari pubblici, o in tutti e due i modi. Morale: saremo più poveri perché dobbiamo tirare la cinghia ulteriormente per ridurre il volume totale dei nostri debiti.

La prima domanda da porre ai lettori di questo giornale ed a tutti coloro che commentano quasi religiosamente i suoi articoli è la seguente: a chi dobbiamo restituire questi soldi? La risposta più semplice è la seguente: alla banche straniere che ce li hanno prestati. Ma dal 2011 in poi la percentuale delle banche straniere nostre creditrici è scesa ed oggi è inferiore al 40 per cento. Chi ha in portafoglio gran parte del nostro debito pubblico sono le banche italiane, tra le quale c’è anche il Monte dei Paschi, che deve allo Stato, e cioè a noi poveri debitori, 4 miliardi di euro.

Creditori e debitori sono le stesse persone, direte voi, perché fanno tutti parte dello Stato, della collettività. Ma questa spiegazione non è del tutto corretta perché né lo Stato dei contribuenti né le banche nazionali controllano la massa monetaria, detto in parole povere, non stampano moneta. Entrambi la ricevono dalla banca centrale attraverso il debito. Assurdo? Succede in quasi tutto il mondo a pare qualche eccezione, come la Svezia e la Cina dove la banca centrale è di proprietà dello Stato, quindi si potrebbe dire che la collettività si indebita con se stessa.

La Banca Centrale Europea è l’unico organismo che ha il diritto di stampare moneta, lo dovrebbe fare secondo parametri fissi ma data la crisi Draghi è riuscito ad aggirarli ed è lui alla fine che stabilisce quanta moneta cartacea si stampa. Da notare che nessuno di noi europei lo ha eletto. La Bce è una banca privata, di proprietà degli azionisti delle banche centrali dell’Eu, tutti enti ed organismi non statali, tra costoro ci sono anche alcune delle nostre banche.

Come funziona il meccanismo? La Bce crea dal nulla euro, nel gergo comune trasforma carta straccia in banconote, questi soldi vengono dati in prestito, oggi a tassi vicini allo zero, alle banche di Eurolandia. Con questi soldi le banche acquistano i buoni del Tesoro dello Stato con i quali i governi nostrani ripagano ogni anno solo gli interessi sul debito pubblico, di più infatti non si riesce a fare. Idealmente questi soldi dovrebbero alimentare l’economia e farla crescere: prestiti all’industria, per l’innovazione o per le opere pubbliche ecc. La crescita economica dovrebbe far aumentare il gettito fiscale con il quale ripagare il prestito. Ma non è così nel nostro caso, e questo lo sanno tutti ormai, l’austerità taglia le gambe alla crescita quindi il circolo virtuale appena descritto diventa un circolo vizioso di impoverimento.

Il punto cruciale su cui i lettori di questo giornale dovrebbero riflette è il seguente: perché la Bce e non lo Stato o l’Ue ha il diritto di produrre dal nulla il bene denaro? E perché i contribuenti in crisi di Eurolandia devono ripagare questo bene creato dal nulla, in un momento in cui per farlo si rischia di finire nella depressione economica, alla Bce – tutti i soldi alla fine lì infatti finiscono dato che la banca centrale, ed i sui azionisti privati, sono il solo creditore dell’intero sistema? Dato che dietro gli euro, come dietro qualsiasi moneta cartacea non c’è nulla, ma solo la fiducia di chi queste banconote le continua ad usare indebitandosi, cioè noi, e dato che il diritto a stampare moneta dal nulla alla Bce glielo abbiamo dato noi, cittadini di sistemi democratici, attraverso la delega ai nostri governanti, perché non azzerare questo debito e ripartire da zero? In passato ciò è avvenuto con le guerre, oggi si potrebbe farlo per evitarle.

PROPAGANDE DE L’OTAN/ MEDIAMENSONGES CONTRE LA COREE DU NORD : QUAND PROPAGANDE ET SCENARIOS D’HOLLYWOOD SE CONFONDENT

Luc MICHEL for PCN- INFO / 2014 01 04 / avec The Washington Post – PCN -SPO /

http://www.scoop.it/t/pcn-spo

https://www.facebook.com/PCN.NCP.press.office PIH - LM rpdc et mediamensonges (2014 01 04)  FR (1)

La Corée du Nord et son nouveau leader sont devenus la bête noire n°1 des Occidentaux et des médias de l’OTAN aux ordres.

La République populaire démocratique de Corée (RPDC) développe en effet une politique d’indépendance nationale, basée sur la dissuasion nucléaire, qui est un intolérable défi à l’impérialisme américain. Une politique basée sur une version nord-coréenne de la « dissuasion du faible au fort », théorisée par notre ami le Général Gallois pour la France du général de Gaulle (1) …

Donc la propagande des USA et de ses valets de l’OTAN se déchaine. Tout y passe, ad nauseam, sur des scénarios débiles made in Hollywood qui sortent du droit des castings pour les méchants des ‘James Bond’.

 ‘DIE ANOTHER DAY’ ET LE PCN …

On notera à ce sujet qu’un des films de la série 007, ‘Die another day’, ciblait directement la RPDC. Nous avions à l’époque lancé une campagne de boycott contre le film et le clip de la chantezuse Madona qui en était tiré.

Même TECHNIKART (n° 72, 2003 05 01), le top du magazine culturel français, en avait parlé (avec un humour qui nous avait amusé, nous aimons le second degré …), sous le titre « FAUT-IL BOYCOTTER LE CINÉMA US ? » (2) : « On citera le délicieux Luc Michel, président du Parti Communautaire National-Européen (brrr !) qui nous invite à nous mobiliser contre « le sida culturel de Hollywood » (sic) en boycottant « Madonna et James Bond ». Cet homme de goût n’a visiblement pas aimé le single de la blonde sexuelle pour Meurs un autre jour » …

PIH - LM rpdc et mediamensonges (2014 01 04)  FR (2)

 LE DERNIER MEDIAMENSONGE :

« KIM JONG-UN A-T-IL EXÉCUTÉ SON ONCLE À L’AIDE DE 120 CHIENS AFFAMÉS » ?

Le dernier médiamensonge sur et contre la RPDC est un cas d’école. Car la propagande hollywoodienne des médias de l’OTAN a perdu toute limite et toute raison : « Kim Jong-Un a exécuté son oncle à l’aide de 120 chiens affamés » (sic) !

L’histoire est aussitôt reprise en boucle sur toute la médiasphère atlantiste. La source : un journal de Hong Kong, présenté comme « proche du parti communiste chinois ». Le journal qui rapporte » l’information » précise que « les hommes ont été complètement dévorés ». « Aujourd’hui, plus d’informations sur son exécution sont parvenues » ajoute l’AFP : « Selon le journal Wen Wei Po, proche du parti communiste chinois, Jang Song Thaek aurait été déshabillé et jeté dans une cage, avec ses cinq plus proches collaborateurs. 120 chiens, qui avaient été affamés pendant trois jours, les ont alors rejoints… L’exécution a ainsi duré une heure, sous les yeux de Kim Jong-un et près de 300 spectateurs » (resic). On suppose que comme Blofeld, le méchant des premiers James Bond, Kim Jong-un caressait aussi son chat favori pendant l’exécution …

PIH - LM rpdc et mediamensonges (2014 01 04)  FR (3)

 Derrière le médiamensonge, la réalité plus banale d’une purge « contre la corruption » en RPDC.

Mais aussi contre le lobby pro-chinois en RPDC, devenu trop envahissant. On sait que Jang Song Thaek, oncle du dirigeant nord-coréen Kim Jong-un, a été condamné à mort et exécuté en décembre pour haute trahison. L’agence de presse officielle de la RPDC, KCN, affirme « qu’il cherchait à “renverser l’état par des méthodes méprisables pour s’emparer du pouvoir ». Il était également accusé de « consommation de drogues et d’avoir dépensé l’argent du parti dans des casinos ».

PIH - LM rpdc et mediamensonges (2014 01 04)  FR (4)

 LE ‘WASHINGTON POST’ REVELE LE MEDIA-MONTAGE :

“NO, KIM JONG UN PROBABLY DIDN’T FEED HIS UNCLE TO 120 HUNGRY DOGS”

Quelques heures plus tard, le Washington Post titrait « No, Kim Jong Un probably didn’t feed his uncle to 120 hungry dogs » et dénonçait le média-montage, affirmant qu’il « n’en était rien ». Il semble qu’il y a encore aux USA, mais singulièrement pas dans l’UE natoisée, des journalistes qui ne confondent pas journalisme et prostitution médiatique …

Max Fisher, le journaliste du Washington Post, affirme que ce n’est « probablement pas vrai ». Pour Max Fisher, la source chinoise -Wen Wei Po- ne « cite pas l’origine de son information ». De plus, le média de Hong Kong, loin d’être proche du PCC, « a la réputation d’être sensationnaliste » et de « propager des histoires qui ne sont pas toujours vraies ». De plus, aucun autre média chinois n’a relevé l’information précise encore Fisher. Pareil pour les médias de la Corée du Sud. L’argumentaire du journaliste ne s’arrête pas là, comme on peut le lire sur le site du Washington Post (**). Notamment sur la presse de Hong-Kong qui rappelle étroitement la presse de Caniveau britannique stytle Murdoch.

Et malgré tout çà, le nez dans la merde comme un chien malpropre, les médias de l’OTAN continuent à diffuser « l’info », en la sachant bidonnée, mais y ont ajouté des guillemets et du conditionnel. Quand au démenti, vous l’attendrez longtemps !

Source douteuse, aucune vérification des faits, fausses infos : toute la crapulerie qui envahit comme une insoutenable puanteur les médias de l’OTAN s’étale ici au grand jour. Et on y trouve bien plus de 120 chiens enragés …

Luc MICHEL

http://www.lucmichel.net/2014/01/04/1888/

(1) Lire : LM, l’esprit du Gaullisme revit en Corée du Nord, PCN-INFO, 2006 10 23,

sur http://www.pcn-ncp.com/PIH/pih-061023.htm

(2) Un article révélateur de notre écho et de notre influence, malgré la consigne du silence total sur nos Réseaux :

Faut-il boycotter le cinéma US ?, TECHNIKART, n° 72, 2003 05 01,

Sur http://www.technikart.com/archives/4975-faut-il-boycotter-le-cinema-us

(3) Max FISHER, No, Kim Jong Un probably didn’t feed his uncle to 120 hungry dogs, THE WASHINGTON POST, 2014 01 03,

sur http://www.washingtonpost.com/blogs/worldviews/wp/2014/01/03/no-kim-jong-un-probably-didnt-feed-his-uncle-to-120-hungry-dogs/

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La Lettonia entra nell’euro contro la volontà dei propri cittadini

ma come? La ue non tiene conto dei propri cittadini? Ma se è il progetto più umanitario e solidale che esista, un vero esempio di democrazia………
 
Il presunto allievo modello dell’austerità – la Lettonia – entra nella moneta unica, nonostante il parere contrario dei suoi cittadini. Come scrive A.E. Pritchard sul Telegraph, il suo discutibile successo è un caso particolare, non applicabile ad altri paesi. Inoltre, il modello di sviluppo che il paese sta seguendo ricorda quello appena andato a rotoli a Cipro.
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A capodanno, 5 anni dopo che la sua economia si è disintegrata, il piccolo stato baltico entra nell’eurozona contro la volontà dei propri cittadini, diventando il 18mo e più povero membro dell’unione monetaria.
 
Il paese ha subìto con stoicismo una depressione in stile anni trenta e una drastica terapia d’urto imposta dalla UE, rispettando rigorosamente i termini di un bail-out a cura UE-FMI. Attraverso le esportazioni, la Lettonia ha riequilibrato i propri conti e ha sfidato i critici difendendo il suo aggancio all’euro contro tutto e tutti, ma l’impresa ha avuto un costo sociale elevato. L’adesione all’euro è stata salutata con tristezza dalla maggior parte dei 2 milioni di lettoni, logorati dai licenziamenti e dal taglio del 28% degli stipendi di insegnanti, infermieri e poliziotti. Un esodo di massa di giovani è servito come valvola di sfogo, lasciando in eredità una società più anziana. La popolazione della Lettonia si è ridotta del 7% rispetto al 2007. Un sondaggio SKDS di novembre ha riscontrato che solo il 20% è favorevole alla rinuncia alla valuta nazionale, il Lats, il simbolo della breve sovranità negli anni tra le due guerre tra gli intervalli dell’occupazione zarista e leninista. Il Lats venne ripristinato nel 1992, con grande emozione, dopo che la Lettonia si liberò dal controllo sovietico.
Pochi sembrano conquistati dal volto familiare di Milda – la ‘fanciulla lettone’ con la treccia – sulle nuove monete in euro. Circa il  58% è contrario all’adesione alla nuova moneta, eppure il governo ha scelto di andare avanti nonostante tutto, senza un referendum.
I Lettoni stanno acconsentendo quietamente, se non altro perché l’euro aiuta a contrastare la minaccia strategica della Russia di Vladimir Putin da est. “L’ombra lunga della Russia è il fattore più importante nella politica lettone,” ha detto il Professor Ivars Ījabs dell’Università di Riga.
 
I leader della Lettonia hanno cercato di incastrare il paese il più profondamente possibile nel sistema economico e di sicurezza occidentale, in modo da scoraggiare l’intromissione di Mosca. Il Ministro delle finanze Andris Vilks dice che l’euro è una polizza assicurativa. “Guardate ciò che sta accadendo in Ucraina. La Russia non ha intenzione di cambiare. Conosciamo il nostro vicino”, ha dichiarato al Financial Times.
Le traversie vissute dalla Lettonia tra boom, crolli e riprese, hanno aperto un dibattito acceso fra gli economisti di tutto il mondo, riguardo i pro e i contro della rigida austerità e del regime di cambio fisso, una disputa che difficilmente sarà risolta dall’ingresso nell’euro.
 
Olivier Blanchard, economista capo del FMI, ha avvertito che la storia della Lettonia deve essere trattata con “grande attenzione”, perché il paese fa storia a sé e non può rappresentare un modello utile per gli altri. Ma questo non ha impedito alle due parti di stare ognuna ferma nelle sue posizioni.
 
I funzionari europei indicano la Lettonia come l’alunno modello delle politiche di “tough love” (le politiche neoliberiste definite dagli anglosassoni dell'”amore estremo”, ndt), l’angelo vendicatore della strategia dell’UEM della “svalutazione interna”, la prova che il “fare i compiti a casa” dia risultati migliori rispetto a una rapida svalutazione.
 
Il PIL è cresciuto del 5,5% nel 2011 e del 5,6% nel 2012 e dovrebbe crescere del 4% quest’anno. I livelli di produttività sono aumentati. Il tasso di disoccupazione è sceso da un picco di 20,5% all’11,9%. Olli Rehn, Commissario dell’economia UE, dice che la Lettonia è un modello per gli stati in crisi dell’eurozona: “Decisioni difficili hanno permesso alla Lettonia di riemergere dalla crisi economicamente molto più forte di prima“.
 
I critici sono esasperati da tali rivendicazioni, e rispondono che è stato l’aggancio all’euro che ha prodotto il precedente disastro della Lettonia, poiché aveva portato a tassi di interesse che erano troppo bassi per un’economia post-Sovietica in via di sviluppo. Tale politica aveva provocato una bolla del credito enorme.
Il paese poi ha sbandato violentemente in direzione opposta, con una contrazione del PIL del 25% in 2 anni, e una caduta  della domanda interna del 42%. I leader della Lettonia allora si sono aggrappati ad un tasso di cambio sopravvalutato, contro il parere del FMI – in gran parte per motivi politici, ma anche per proteggere i proprietari di abitazioni della classe media che avevano contratto mutui in euro e in franchi svizzeri.
 
Perfino ora, il PIL reale rimane dell’8% inferiore al picco precedente. Il tasso di disoccupazione è stato calmierato dall’emigrazione. Il Professor Mihails Hazans dell’Università della Lettonia ha detto che la maggior parte di coloro che lasciano il paese sono sotto i 35 anni, e spesso sono i  più istruiti. Solo il 20% di costoro progetta di  ritornare entro cinque anni. La società lettone è stata massacrata.
 
L’adulazione della Lettonia ci dice di più su ciò che l’élite politica europea vuole credere, di quanto non dica sulla realtà dell’esperienza lettone” ha detto il Nobel per l’economia Paul Krugman, il più acceso tra i critici. “Quale lezione può dare la Lettonia agli altri paesi, e all’euro in generale? La risposta, in breve, è nessuna.
 
La questione chiave non è se la Lettonia stia nuovamente crescendo, ma se essa sia vicina al suo potenziale di economia ruggente post-marxista che ora ha accesso completo ai mercati dell’Unione europea, e che dovrebbe godere di tassi di crescita in stile asiatico. Nel complesso, la Polonia ha fatto molto meglio nell’ultimo decennio, utilizzando la sua moneta per controllare il boom e poi per attutire lo shock dopo la stretta del credito estero del 2008.
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Il FMI ha detto che la ripresa della Lettonia è stata un successo, ma ha anche messo in dubbio che tale successo possa essere replicato. Il paese ha un’economia aperta con le esportazioni pari al 60% del PIL, livelli doppi rispetto all’Europa meridionale. Essa occupa il 24° posto nell’indice di facilità di fare impresa della Banca mondiale, vicino alla Germania e sopra ad Austria, Olanda e Francia.
 
La Lettonia ha un debito pubblico vicino al 40% del PIL, ben al di sotto dei livelli di Grecia, Cipro, Irlanda, Portogallo, Italia o Spagna. Questo riduce il rischio di una spirale debitoria causata dalle politiche deflazionistiche, il cosiddetto ‘effetto denominatore’.
Il sistema bancario lettone è nelle mani delle banche svedesi e di altre banche del nord, che controllano il 60% del mercato, riducendo la necessità per lo stato di puntellare il sistema finanziario – come successo in Irlanda o Spagna.
 
L’ironia della questione è che la Lettonia sta reinventando il proprio modello di business, diventando un paradiso fiscale e un centro bancario offshore per fondi russi, adescando i depositi in uscita dall’inguaiata Cipro. Sta diventando la nuova Cipro, dice Marco Giuli del Collegio d’Europa. Ma questo è un dramma per un altro giorno, e per un altro giro di giostra.