MILITARIZZAZIONE FARMACEUTICA DELLA SOCIETA’

http://fulviogrimaldi.blogspot.it/2017/05/militarizzazione-farmaceutica-della.html

MONDOCANE

LUNEDÌ 22 MAGGIO 2017

LIBERO ARBITRIO, DIRITTO A OGNI NEGAZIONISMO, SOVRANITA’ POPOLARE E INDIVIDUALE

Siamo all’eugenetica da far invidia a Mengele, a Malthus e agli Usa dei grandi esperimenti eugenetici (tossicità sperimentate sulla folla, sui detenuti, su volontari inconsapevoli, su popolazioni colonizzate). Con la legge sul fine-vita hanno dovuto mollare il controllo sulla nostra morte, ora si sono presi il controllo sui corpi dei nostri figli. E QUI NON E’ IN DISCUSSIONE SE I VACCINI FACCIANO BENE O FACCIANO MALE. Probabilmente dipende.  

E’ in ballo un principio assoluto di civiltà e di integrità sanitaria: il principio di precauzione. Con diversità di valutazione anche in campo scientifico, ogni dogma è abuso. E’ in discussione la sovranità sul proprio corpo e gli ultimi a potersene appropriare sono i farmaceutici e i loro commessi viaggiatori ministeriali, con la storia criminale che hanno alle spalle.

Si ammanta di “scienza” una che ha la maturità classica, ma decide, senza discussione parlamentare e consultazione popolare, di omaggiare i farmaceutici passando da 4 a 12 vaccini obbligatori. In 15 paesi europei, quelli detti più progrediti, civili, democratici, non esiste obbligo di vaccinazione. E quelli che predicano l’accoglienza a milioni di immigrati, mai vaccinati, cosa fanno: un altro megaregalo a Big Pharma con la vaccinazione forzata di 5 milioni di immigrati?

Ogni libero arbitrio, ogni diritto di libera espressione, ogni scelta alternativa sono diventati delitti di negazionismo. Dove il pensiero diverso è negazionismo siamo all’ultra-nazismo, alla Chiesa di Torquemada e dei roghi. Museruola per tutto e per tutti. Firmate!

https://www.change.org/p/alla-corte-costituzionale-italiana-firma-contro-obbligatorieta-dei-vaccini-prevista-dal-disegno-di-legge-2679-del-pd

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 16:00

DUE NOTIZIE DA LEGGERE INSIEME. SU DROGHE E MIGRANTI.

con-gli-immigrati-si-fanno-soldi-672x350Una:Genova.- La  polizia di dogana sequestra 37 milioni di pastiglie di  droga, destinata all’ISIS in Libia”.
Seconda: “La Fondazione Soros promuove la legalizzazione delle droghe in tutto il mondo,   dice il capo dell’agenzia russa antidroga  FSKN” .
Viktor Ivanov   ha parlato al canale tv  Russia 24  della recente ripresa delle iniziative per la legalizzazione delle droghe “leggere” e “ricreative”  nell’intero mondo occidentale.
 
Forse ci si sarà accorti come, all’unisono molte voci si siano levate in Italia, tutte  all’improvviso. “Roberto Saviano: è ora di legalizzare la cannabis”.  “Raffaele Cantone: Spinello legale, sottrae mercato alla criminalità”. Cantone è il presidente dell’Autorità Anticorruzione, ente palesemente inutile (vista la corruzione dilagante) ma ascoltatissimo  quando parla di  marijuana. E’ ora, è ora! E’ “l’urgenza estiva della Sinistra”, ironizza il Giornale: lo spinello va legalizzato.  “Il  25 luglio approda in Aula a Montecitorio la proposta di legge”. Così,  senza por tempo in mezzo.
Come a segnale convenuto, tutti insieme, in coro e  pronti ad approvare.
Ovviamente  il propositante  è Della Vedova  –  instancabili  i radicali,   non hanno ancora finito con la legalizzazione dell’eutanasia che già cominciano questa bella battaglia civile –  ma si sa già che  la proposta avrà i voti del M5S  –  che vota sempre, immancabilmente  col PD, come un blocco unico  per ogni  ulteriore degrado  dell’umanità  –   e non c’è bisogno di dirlo SEL e Sciolta Civica.
 
Ecco perché   Ivanov, il capo dell’antidroga in Russia, ha dovuto spiegare che la Soros Foundation ha sponsorizzato “diversi rapporti, fra cui quello della London School of Economics”. Difficile dire quale, sono decenni che la London School of Economics (dove ha insegnato anche Prodi)  dimostra in rapporti che “la guerra alla droga”  con metodi di polizia è un fallimento, e meglio è legalizzarla. Penso Ivanov si riferisca a questo lavoro “scientifico” del 2014.
Esattamente come dicono i radicali, no al proibizionismo,  non a qualunque “intervento dello Stato”  – lasciamo fare al mercato. Il mercato libero è la risposta a qualunque problema. La mano invisibile cura tutti i mali.   Parte della polizia obietta: “Se si legalizza, i consumi aumenteranno…ed è una cosa negativa anche per l’educazione dei ragazzi. Non bisogna promuovere stili di vita decadenti». Il dottor Giampaolo Serpelloni, direttore del  Dipartimento   nazionale antidroga, spiega   che la droga “danneggia la  corteccia prefrontale destra – spiega Serpelloni – ovvero l’area legata al giudizio, quella che regola i comportamenti volontari. Questa è l’ultima zona del cervello a maturare”.  Ma che se  ne fanno del cervello, i giovani. In Italia è sempre servito poco, adesso poi l’essenziale  legalizzare la canapa. Lo chiede Saviano. Lo chiede Soros che è amico del premier Gentiloni.
Ivanov  ha spiegato che i referendum sulla legalizzazione  vari stati Usa   sono stati tenuti in lingua spagnola, forse perché l’intero piano era inizialmente concepito per l’America Latina. Una volta avviata in Usa, l’idea di  legalizzare la marijuana è stata diffusa nel centro e sud America  da ONG con sede in Usa, come la Soros Foundation e la  MacArthur Foundation  – entrambe dichiarate “non gradite” in Russia, per le loro attività sovversive.
Della Vedova invece   prevede «una bellissima battaglia parlamentare» e auspica che l’Italia segni «un primato: essere il primo grande parlamento tra le liberaldemocrazie che vota sulla legalizzazione della cannabis».   Finalmente all’avanguardia nel Progresso.
Il presidente Putin   – continua Ivanov –   ha escluso la possibilità di legalizzare le droghe leggere,  argomentando che il loro consumo spesso apre   alle droghe pesanti, “che causano dipendenza e rovinano vite”.
In Italia invece, già sei milioni di drogati abituali (4,5 di canapa, 1,1 di cocaina) versano ai trafficanti 23 miliardi l’anno – la droga è una della voci  più pesanti  delle nostre importazioni – e qui nessun  presidente si preoccupa che rovinino vite. Questo è un paese libero e illuminista, dove ciascuno è affidato alla sua personale forza di carattere e maturità. Un paese dove un decimo della popolazione  dilapida 23 miliardi per drogarsi,  e le “dipendenze” sono  vizio sociale inverosimilmente diffuso,  dove i vecchietti si fanno depredare dalle sloth machines  perché non sanno smettere, è un paese fatto di amebe caratteriali, di immaturi  incapaci di resistere a qualunque dipendenza,   di dire no a qualunque vizio, senza rispetto di  sè.
 
E’ una popolazione  che andrebbe rieducata, perché si consegna in mano a qualunque rete criminale.  Ma che dico?  Mi dissocio dalle mie opinioni.
 
Veniamo piuttosto alla prima notizia. La Finanza e gli addetti doganali hanno sequestrato nel porto di Genova tre container con 37 milioni di pasticche di tramadol, un  oppiaceo sintetico (in Italia venduto su  ricetta medica come potente antidolorifico). Non è  chiaro se il carico comprendesse anche il captagon,  la super-anfetamina di cui vengono imbottiti i guerriglieri dell’ISIS per aumentarne la resistenza  e la ferocia negli scontri, o sia un’invenzione mediatica per  drammatizzare i titoli: “Sequestrati 37 milioni di pastiglie di droga del combattente”, eccetera.
 
La gigantesca partita di tramadol  è originata in India (dove evidentemente è stata sintetizzata); da lì trasportata a Sri Lanka, dove  è stata “mascherata” in confezioni di shampoo e pezze di stoffa sintetica;  mandata a Genova; e da lì, secondo i documenti di carico, i tre container dovevano raggiungere la destinazione finale, la Libia.  Secondo gli inquirenti,   la droga sarebbe spacciata dall’ISI per autofinanziarsi (al dettaglio,   le pastiglie renderebbero 70 milioni di euro)  nelle zone che esso controlla: Tobruk e Mossul.    Il fatto che la merce abbia fatto uno scalo a Genova fa sospettare che in Italia ci siano personaggi interessati a  questo traffico.
I russi sottolineano il fatto che (come ha rivelato l’agenzia di analisi marittime Winward)  nei soli mesi di gennaio e febbraio,  2850  navi da carico,  dopo essere entrate nel Mediterraneo, si sono oscurate, ossia si hanno spento i trasponder che  segnalano la loro posizione ai satelliti;  40 di queste navi hanno addirittura raggiunto l’Inghilterra ed erano salpate dalla Libia, dove (chissà per quali circostanze)  si è insediato l’ISIS;
altri 20 erano passati per le acque siriane e libanesi; tutte 60 avevano spento il  localizzatore per almeno un tratto della loro  rotta.
Quelle che lo fanno, si ritiene che debbano caricare o far giungere a destinazione armamenti, stupefacenti o carne umana,  o “risorse” da “accogliere”. Dopo    che il  famoso video di Luca Donadel ha rivelato anche ad alcuni politici e giornali che il  fenomeno dell’immigrazione di massa non è poi tanto sponrtaneo, ma è pianficato ed assistito con grandi costi – e  le navi di salvataggio delle ONG andavano fin sotto costa libica a “salvare” i profughi, anche alcune di queste navi  si “spengono”. E’ difficile, nel Mediterraneo, distinguere i delinquenti dai soccorritori, la Soros Foundation dai mercanti di carne umana, di droga o di armi.
Al  qual  proposito, è istruttivo   vedere che Bufale.net, il sito preferito dalla Boldrini,  è stato  immediatamente incaricato di vedere se  il video di Donadel poteva essere liquidato come una “fake news”  allarmista, da punire. Non c’è riuscito, ed  ecco  cosa scrive:Il video, sia pur corretto, meriterebbe maggiore approfondimento su alcuni punti. Riteniamo anche noi infatti che le distorsioni sul soccorso agli immigrati facciano male a tutti. Fanno male ai profughi stessi, vittime due volte, fanno male a chi si occupa seriamente di assistenza, che si vede associato a chi invece ne fa scandalo e mercimonio. Bisogna parlarne, e bene ha fatto il Donadel a parlarne. Ma ci sono cose che nessuno dovrebbe fare da soloGià.  Donadel, se voleva diffondere il suo video, doveva chiedere prima a Bufale.net. O alla Boldrini. O a Soros Foundation, che è lì per aiutare.
Di questi tempi è  difficile distinguere navi criminali dalle navi delle ONG. E ancor più difficile distinguere siti di “debunker” smascheratori di bufale, dalla psico-polizia  del Sistema. Come ha deciso Repubblica, il 2017 “Sarà l’anno dei 200 mila sbarchi”. Il 38,5 per cento i n più del 2016. Non ci si può fare nulla, è un fenomeno spontaneo. Umanitario.
Magari, uno statista avrebbe invece raggiunto  da tempo la conclusione che: 1) il fenomeno non è  spontaneo; 2) che è una tattica di guerra, della guerra detta “ibrida”, propria del nostro tempo, combattuta   da stati non con i loro eserciti, ma con terroristi che sono anche criminali comuni, spacciatori di droga confusi con agenzie “umanitarie”  che spengono i  trasponder,  con destabilizzazioni che formano ondate di profughi che è facile dirigere contro  questo o quel paese, agenzie non governative pagate dal Dipartimento di Stato per sovvertire  – tuttodescritto nel saggio di Kelly Greenhill “Armi di Migrazione di Massa – Deportazione, coercizione e politicas estera”.
 
3) che dunque agli atti di guerra si risponde con atti di guerra.   Ma chi volete che giunga a questa conclusione, in Italia?
 
 
L’articolo DUE NOTIZIE DA LEGGERE INSIEME. SU DROGHE E MIGRANTI. è tratto da Blondet & Friends, che mette a disposizione gratuitamente gli articoli di Maurizio Blondet assieme ai suoi consigli di lettura.

L’Italia “che sta per Gabriele”, Regeni e le due Vanesse. Un’Italia speciale.

del grande jihadisti“L’Italia si mobilita per Gabriele Del Grande”, titolava l’Ansa.  Per il “documentarista” fermato in Turchia  perché stava dove non doveva stare, il clamore ufficiale è di fatto immenso.  Quando a chiedere  la sua liberazione immediata si uniscono Bruno Vespa e Roberto Saviano, già capite che il personaggio è molto caro a quella “Italia”. Ma che dico? “Appelli in suo favore sono giunti dalla presidente della Camera, Laura Boldrini, e da quello dell’Europarlamento, Antonio Tajani.
 
Il M5s Europa, in un post sul blog di Beppe Grillo, chiede la convocazione  dell’ambasciatore turco a Roma.  L’hashtag è stato rilanciato anche dall’ex premier Matteo Renzi. Il ministro degli Esteri Angelino  Alfano ha chiamato il suo omologo turco, Mevlut Cavusoglu, per ribadire la “ferma richiesta del rilascio immediato” di Del Grande. Il senatore Luigi Manconi (addetto ai Diritti Umani, nonché compagno della Berlinguer): “E’ indispensabile una mobilitazione” e “una stretta alleanza con le istituzioni per restituire Gabriele alla  libertà”.
Ma perché, scusate, le “istituzioni”? Sono state le istituzioni a mandare questo documentarista di documentari che nessuno ha visto  al confine della Turchia della Siria? Se sì, si apre un discorso: perché? Su mandato di chi?
Ma per quanto ne sappiamo, c’è andato lui di testa sua, da “ribelle” e “alternativo”  in polemica con le istituzioni – come si descrive nei suoi pezzi.  E’ una decisione privata e la sua disavventura è la disavventura privata di un freelance che si è messo nei guai – che peraltro non rischia di essere ucciso, né è stato condannato. Come mai quest’ansia così corale, così bi-partisan e così “alta”  fra le oligarchie dominanti?
Ho la vaga sensazione, caro lettore, che se io – o lei – fossimo stati messi in detenzione alla frontiera della Siria,  nessun Saviano e nessun Vespa, nessun Manconi né uno straccio di Boldrini muoverebbe un dito per noi. Per  meritare  una tale mobilitazione e commozione ufficiale, ufficiosa e mediatica, bisogna essere speciali.
Speciali come, chiediamo: come Regeni  o come  le due Vanesse? Anche per le due Vanesse abbiamo visto la stessa mobilitazione. Eppure le due avevano a) fondato una “organizzazione non governativa” fatta da loro due più un amico; b) raccolto “aiuti” per la guerriglia anti-Assad, non si sa coi soldi di chi; c) andate in Siria  di capocchia loro, per confricarsi coi jihadisti; dopodiché, d) sono state  sequestrate dagli stessi amici jihadisti e e) liberate dopo il pagamento di un riscatto di ben 11 milioni elargiti dal ministro degli esteri, il conte Gentiloni Silverj.
Soldi di noi contribuenti. Una cifra enorme, pure.  A noi malfidenti, è rimasto il vago sospetto  che le due Vanesse fossero d’accordo coi loro sequestratori amici, e che tutto il salvataggio ufficiale con esborso di 11 milioni di noi contribuenti, fosse in realtà un finanziamento dello stato italiano alla guerriglia anti—Assad, secondo i desiderata della Cia e Dipartimento di Stato allora condotto da Hillary, di cui il conte Gentiloni Silverj è un noto ammiratore.
 
E Regeni? Per far contenta la mamma di Regeni, il governo ha fatto rompere le relazioni diplomatiche con l’Egitto; Repubblica  ha nominato “Donna dell’anno”  la suddetta mamma; tutti i comuni de’ sinistra hanno esposto sui loro balconi “Verità per Regeni”.  Una verità che   tutte le autorità e i grandi media  pretendono al presidente egiziano Al Sisi,  ma non dagli inglesi che il povero Regeni hanno mandato a morire. Sì, perché il giovine era  al Cairo  per completare un dottorato di ricerca, commissionatogli da una filiale dell’università di Cambridge. Lo scopo era  “svolgere ricerche sui sindacati indipendenti” anti Al-Sisi;   era stato fornito anche di almeno 10  mila sterline per pagare informatori,  cosa un po’ strana per una ricerca scientifica…
Anzi, l’università inglese si è rifiutata di  dire la verità su Regeni;  e   “L’Italia” – la loro Italia – ha continuato a pretenderla dall’Egitto, fino a rovinarci i rapporti , che erano ottimi grazie all’ENI. Anche qui, la commozione è stata tributata al più alto livello ufficiale:
 
“Non vogliamo e non possiamo dimenticare”, ha sancito il presidente della Repubblica, Mattarella.
Siamo sicuri, caro lettore, che se fosse successo a te e me, nemmeno lontanamente il Capo dello Stato  avrebbe pronunciato uno dei suoi discorsi stitici  ma altisonanti  e ben  vibrati. Bisogna essere “speciali” .
 
Speciali come la povera Valeria Solesin. Ricordate? Rimasta uccisa  da strani terroristi islamici  con altri 130 spettatori al Bataclan, mentre assisteva a un concerto  pop.  Anche lì, ci era andata per scelta privata, da ragazza   che (ha detto il padre, subito elevato  “modello” dai media per il suo “dignitoso dolore”) “in  Francia ha iniziato a definire il suo progetto di vita spinta dalla curiosità del mondo  (nel) nel contesto in  cui viveva a Parigi, l’istituto di demografia, l’università, il bistrot dove amavano incontrarsi tanti ragazzi e ragazze come Valeria, gioiosi, operosamente rivolti verso un futuro che tutti come lei vogliono migliore”.
 
Uno Stato parallelo
 
Ma come mai allora per la povera Valeria  è stato celebrato un funerale di Stato? Bandiere a mezz’asta. Inno nazionale italiano e francese, presente  Mattarella, il capo dello Stato, e vari ministri. Funerale laicissimo ma con la benedizione dei “rappresentanti delle tre religioni monoteiste”, il presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna, che rivolgendosi ai genitori di Valeria li ha ringraziati  “per aver cresciuto una ragazza italiana che ha amato la vita” e “per aver aperto oggi, nel vostro dolore, le porte a tutte di questa cerimonia civile a tutti i cittadini che sono impegnati nel difendere e a trasmettere questi valori alle giovani generazioni”.
 
Ma  quali valori, scusate, sono qui onorati  così altamente? Andare  ai concerti pop? La cosa è stata strana, stranissima: come se la povera Valeria fosse caduta “in servizio”, mentre  svolgeva  una missione  pubblica,  o forse come se non dovesse trovarsi lì  in quelle ore,  la sua vita più preziosa di quella degli  altri ammazzati dovesse essere preservata, e avesse diritto  a un risarcimento  in esequie pubbliche?
 
E’ strano,ammettetelo. Quando  si vedono queste commozioni ufficiali e mobilitazioni di Manconi, Vespa e Saviano, di Mattarella e Gentiloni; quando l’ANSA dice “l’Italia si mobilita per Del Grande”,  scopriamo che esiste  una Italia  che di noi non si occupa, ma di quelli speciali sì.  Intuiamo l’esistenza di uno Stato parallelo  che decreta i suoi eroi che non sono i nostri, che celebra i figli loro speciali come eroi e martiri di non sappiamo quale religione, come caduti  nell’adempimento di non si capisce quale missione. E per loro questo Stato parallelo è disposto a pagare cifre sproporzionate.
 
Quindi,  anche in Gabriele Del Grande è istruttivo osservare alcuni dei caratteri che rendono “speciali”  i figli di questa Italia loro, oligarchica, parallela.
Vediamo: la sua  “compagna”, con cui ha due figli, si chiama Alexandra D’Onofrio, è mezzo greca e mezzo inglese e un po’ anche italiana, vive ad Atene, ma pubblica con una università britannica –quella di Manchester,  – lavori sui  migranti dal titolo: “REACHING FOR THE HORIZON: EXPLORING EXISTENTIAL POSSIBILITIES OF MIGRATION AND MOVEMENT THROUGH PARTICIPATORY ANIMATION”, opera capitale letta fino ad oggi da 43 persone.  Alexandra è impegnata in profondi studi di “Teatro Applicato e Antropologia Visuale” che sono certo arricchenti, ma non aiutano a mantenere i due figli avuto da  Del Grande.
Abbiamo letto che “Lucca si mobilita per la liberazione di Del Grande”. Ma anche che il Del Grande, laureatosi a Bologna «da tempo non vive più a Lucca e in Italia. Ha abitato a Milano, Londra ed ora ad Atene, città di cui è originaria la compagna Alexandra D’Onofrio da cui ha avuto due  figli». http://iltirreno.gelocal.it/lucca/cronaca/2017/04/12/news/gabriele-del-grande-a-casa-giovedi-1.15186449
Perché una città che non lo vede da anni si mobiliti, con cartelloni e striscioni prestampati, bisogna essere speciali. Non si disturbi la pubblica  commozione ed ansia per il destino di “Gabriele” in Turchia con la gretta domanda: come lavora, Gabriele, da cosa guadagna abbastanza per mantenere se non la compagna, i figli?
La sua attività, la descrive lui stesso nel suo blog, così: “ Sei anni di viaggi nel mondo globalizzato mi hanno convinto che […]   la migliore categorie su cui ragionare sia quella della gioventù. La gioventù che si ribella alla dittatura e alla frontiera. La gioventù che chiede di abitare la modernità a titolo pieno. Con la democrazia in casa propria e la possibilità di viaggiare liberamente all’estero per cercare un posto nel mondo dove definire se stessi”.
Bello, nobile: ma sei anni a gironzolare per il Mediterraneo, Siria Libia, zone di sovversione e di guerra civile, costa.  Ma rende? Un amico mi scrive: il nostro eroe “produce  reportage che nessuno vede e legge, ha due figli..: con che soldi vive e gira? I suoi genitori pare siano semplici gestori di un’osteria nel lucchese”.
Che domanda gretta: Del grande si mantiene col “crowdfunding”. Insomma ci sono tanti amici anonimi che gli danno i soldi per questo profondo lavoro di vivere “La gioventù che si ribella alla dittatura e alla frontiera, che chiede di abitare la modernità a titolo pieno, e di cercare un posto nel mondo dove definire se stessi”.
Un finanziamento di George Soros
Beh, poi c’è  stato un finanziamento della Open Society, ossia di George  Soros.   MA poco, e lo dice lui stesso nel blog: “Nel 2011 è stata la fondazione Open Society Institute a finanziare un progetto di 37.000 euro (lordi) con cui è stato possibile pagare: quattro collaboratori per tradurre il sito in inglese, arabo e francese; una borsa di studio per Gabriele Del Grande, comprensiva del rimborso dei tanti viaggi di ricerca effettuati nel 2011 tra Tunisia, Egitto, Libia, Francia e sud Italia; una regista, un fotografo e un montatore per una produzione low-budget dei tre corti sui centri di identificazione e espulsione. Dal 2012 il blog non riceve più nessun tipo di finanziamento”  .
Ma certo, Gabriele Del Grande vive in un mondo felice dove i soldi da guadagnare ogni mese, che tanto avvelenano il nostro mondo conformista, non sono un problema. Un mondo di gratuità, un mondo “speciale”.
Dai suoi reportages di frontiera, si capisce che quello è lo stesso mondo, suppergiù, delle due Vanesse.   Quello dei “ribelli” contro Assad, con cui Del Grande ha condiviso giornate indimenticabili a Zarzur,  in Siria.:
“ È quello che gli uomini di religione chiamano jihad. Ed è quello che sta spingendo centinaia di giovani da tutto il mondo a unirsi alla rivoluzione siriana. Ragazzi come Abu Zeid e Abu Moaz, che in Siria sono arrivati da molto lontano. Non tutti hanno una formazione islamista radicale. Tanti sono venuti semplicemente per seguire un grande ideale di solidarietà con la comunità musulmana sunnita siriana, a cui sentono di appartenere al di là delle frontiere. Né più né meno come i comunisti italiani che nel 1936 andarono in Spagna a combattere contro il fascismo”.
E continua: “…Abu Zeid   non è siriano, bensì tunisino. È venuto ad Aleppo un mese fa. I contatti giusti li ha avuti tramite un gruppo salafita di Sfax e il fucile belga di alta precisione con cui fa il cecchino nelle fila dell’Esercito libero, lo ha comprato di tasca propria”.
Vedete,   che mondo felice, quello dove la gioventù trova  come definire se stessa? Hai bisogno di un fucile da cecchino ad alta precisione, e  non solo lo trovi sul mercato, ma lo compri “di tasca tua”.   E’ normale, nel mondo “speciale”  dello Stato parallelo.   Un po’ di quattrini dalla Open Society, poi più nulla, e te la cavi lo stesso.
 
Racconta ancora, Gabriele, quel che ha visto: “Gronda sangue  il sacco sulle spalle del vecchio appena uscito dalla sede della brigata islamista. Dentro ci sono i vestiti degli shabbiha catturati nei giorni scorsi. Si tratta dei criminali assoldati dal regime per perseguitare gli oppositori. A tagliare loro la gola è stato l’afgano, con una specie di spada. I corpi li hanno sepolti nella piazzola sotto il cavalcavia, dove hanno già sotterrato un’altra ventina di sgherri del regime giustiziati alla stessa maniera”.
 
E’ il mondo speciale, insomma. Un  mondo coi suoi eroi, coi suoi prigionieri da liberare, e quelli invece da sgozzare con una specie di spada.
Mattarella si è  già stentoreamente  associato alla protesta contro la Turchia.

LUC MICHEL ANALYSE LA RUPTURE DU SECOND DIALOGUE NATIONAL DES EVEQUES EN RD CONGO …

PRINTEMPS 2017 : OU VA LE CONGO ? – PARTIE I
 
PANAFRICOM-TV/ GEOPOLITIQUE.
LUC MICHEL ANALYSE LA RUPTURE DU SECOND DIALOGUE NATIONAL DES EVEQUES EN RDC, ETAPE DE LA DESTABILISATION DU CONGO …
2017-04-02_212227
Luc MICHEL
dans ‘LIGNE ROUGE’
sur AFRIQUE MEDIA
Thème de l’émission de ce jour :
«Pourquoi les évêques se retirent du dialogue national en RDC ? ».
 
En direct de Bruxelles, le géopoliticien Luc MICHEL (et patron de EODE Think Tank), analyse la situation en RD Congo, après l’échec du second dialogue national, celui des évêques (le premier dialogue étant celui de décembre avec l’opposition patriotique) …
 
QUELLE EST LA SITUATION EN RD CONGO ?
POURQUOI L’ECHEC DU SECOND DIALOGUE DES EVEQUES ?
COMMENT LA DESTABILISATION DE KINSHASA N’A JAMAIS CESSE ?
QUELS SONT LES ENJEUX GEOPOLITIQUES AU CONGO ?
 
Le géopoliticien, qui est aussi un militant panafricaniste et dirige l’organisation transnationale PANAFRICOM, « néopanafricaniste », répond aux questions :
 
* Rupture des négociations entre l’opposition pro-occidentale des Katumbi et Tsisekedi et la majorité présidentielle de Kabila. « Echec annoncé » dites-vous depuis le début. Quelle est votre analyse ?
* Pourquoi dites-vous que « le climat des négociations était pourri dès le départ  et que les pressions occidentales n’ont fait que compliquer les choses » ?
* Et maintenant ? On a l’impression que les problèmes tombent sans fin sur la RDC ?
* Vous dites que le vrai problème du Congo est à la fois d’être un « scandale géologique » et « l’enjeu géopolitique majeur en Afrique ». Donnez nous l’analyse du géopoliticien ?
* Pour s’emparer de l’enjeu congolais, les USA, que vous identifiez comme l’organisateur majeur de la déstabilisation de la RDC, utilisent le scénarion des « révolutions de couleur ». Quel est ce concept opérationnel et comment est-il appliqué contre Kabila ?
* L’homme des américains, c’est Katumbi dites-vous. Celui qui lance précisément des appels à la rue en ce moment pour semer le chaos. Comment a-t-il été placé en position de force par les occidentaux ? Et quels sont ses réseaux ?
 
EXTRAIT DE ‘LIGNE ROUGE’
DU 31 MARS 2017
LA GRANDE EMISSION MATINALE
SUR AFRIQUE MEDIA
 
Images :
Filmé à Bruxelles par EODE-TV
Pour le Multiplex AFRIQUE MEDIA
avec Douala-Yaoundé-Ndjaména-Malabo
_______________
 
# PANAFRICOM/
PANAFRIcan action and support COMmittees :
Le Parti d’action du Néopanafricanisme !
 
* Suivre Panafricom-Tv/
* Découvrir notre WebTv/ 
* Voir notre Page Officielle Panafricom/ 
* Aborder notre Idéologie panafricaniste/ 
Panafricom II – Néopanafricanisme
* Panafricom sur Twitter/
@Panafricom 

Missione possibile “I settant’anni del Fmi”

debtocracy_def_0_0per i pennivendoli della stampa ovviamente FMI santo subito. Ma nessun “progressista” ha mai contestato gli ordini di questo organismo imperiale e coloniale. E’ da populisti, le banche van difese, sono per la democrazia… Per carità non contestiamolo che cominciano con le pagliacciate finto-vittimistiche Lettera esplosiva nella sede del Fondo monetario a Parigi. Un ferito


Missione possibile “I settant’anni del Fmi”
 
L’Ebook de La Stampa: scarica subito
Pubblicato il 01/03/2017
Ultima modifica il 01/03/2017 alle ore 12:14
 
Temuto ed invocato, affossato o riscoperto: i primi settant’anni di vita del Fondo monetario internazionale – che si festeggiano oggi, primo marzo 2017 – sono trascorsi saltando da una burrasca all’altra. La ricostruzione dell’Europa dopo la Seconda guerra mondiale, la guerra fredda, gli anni del boom, quelli dello choc petrolifero, la finanza rampante, il crollo delle Torri Gemelle, la crisi dei debiti sovrani e perfino lo scandalo a luci rosse che ha coinvolto uno dei direttori, il francese Dominique Strauss-Khan.
 

SCARICA L’EBOOK “MISSIONE POSSIBILE”

Nato per contenere gli squilibrii economici del mondo il Fondo era sempre sulla scena: qualche volta è riuscito nel suo intento, altre volte ha fallito. Il bilancio di questi settant’anni ci dice però anzitutto che il Fondo è ancora al suo posto e che nel corso dei suoi settant’anni ha saputo cambiare regole e obiettivi, peso dei protagonisti e strumenti per adeguarsi al mondo che gli è cambiato intorno. Il risultato è che non c’è un’altra organizzazione internazionale che abbia altrettanto potere di intervento negli affari degli Stati: il Fondo può guardare nei conti pubblici e può imporre correttivi (per quanto l’uso di questa prerogativa sia impopolare).
 
Altro dato su cui merita riflettere: nato con l’assenso di 44 Paesi, oggi il Fondo monetario ne raccoglie 189, e anche questo è in qualche modo un riconoscimento in positivo del ruolo che ha saputo svolgere. La Stampa ha ripercorso la storia di quanto il Fondo monetario internazionale ha fatto per il benessere economico globale e dei motivi per cui è contestato. Un viaggio nel passato, una fotografia del presente e una scommessa sul futuro. Il ritratto è quello di una missione difficile ma possibile, a patto di sapersi rinnovare con una formula adatta ai tempi che cambiano.
 
Missione possibile è il titolo dell’ebook che celebra i 70 anni del Fondo, nel quale sono raccolti contributi dei nostri giornalisti e di grandi protagonisti della vita economica del nostro tempo: Fabrizio Balassone e Marco Committeri, Paul Blustein, Carlo Cottarelli, Mario Deaglio, Francesco Guerrera, Andrea Montanino, Pier Carlo Padoan, Elena Panaritis e Fabrizio Saccomanni. L’ebook è acquistabile da questa mattina su Amazon e Book Republic, nei prossimi giorni sarà disponibile anche su iBooks e Kobo.

FAKE NEWS: SIAMO IN GUERRA, NEL SENSO PIENO DEL TERMINE

FAKE-NEWSLo scopo è violentare la volontà altrui perché si pieghi ai nostri voleri”
Questa è l’essenza della guerra.
Questa è la guerra come la spiega il Gen. Fabio Mini, ex comandante NATO, nel suo libro “La guerra spiegata a…”, e aggiunge che è solo in Occidente che questo scopo è stato associato necessariamente all’uso della forza, in Oriente tra il VI e V sec. a.C. il pensiero del più famoso degli scrittori sulla guerra, Sun Tzu, spiegava che l’essenza della guerra è invece l’inganno.
Il perché della guerra è dato per scontato:
“la sopravvivenza dello Stato, la scelta tra la vita e la morte, la salvezza o la perdizione”.
 
Si combatte quindi per difendersi da chi vuole privarci dello Stato inteso come garanzia della vita civile, origine di diritti e doveri, sistema di regole condivise ed ereditate dalla storia di un popolo sulle quali si basa la società, per difendere la propria vita non solo in senso fisico ma in quello più ampio di modo di vivere.
Ricapitolando, l’essenza della guerra è indurre alcuni (intere popolazioni) a fare quello che qualcun altro vuole, con la forza (idea occidentale) ma preferibilmente con l’inganno (idea di Sun Tzu). Il sistema di informazione costituito dalla grande stampa e dalle televisioni mainstream ha operato questo tipo di azione in modo sempre più marcato fino ad andare oltre il limite della credibilità, allo stesso tempo la novità costituita dal web ha creato i presupposti affinché una voce in senso contrario potesse nascere e crescere fino a diventare un pericoloso contraltare.
Questa mutazione è descritta in modo efficacissimo nell’intervento fatto da uno degli artefici della grande informazione indipendente di questi anni, Marcello Foa, al Convegno “Oltre l’Euro” – 31 Gen 2017, che qui di seguito possiamo ascoltare:
La sofisticata macchina da guerra che per decenni aveva avuto gioco facile nel piegare alla propria volontà l’opinione pubblica (termine che è solo un modo diverso per indicare intere nazioni) ha trovato nel 2016, per la prima volta, sulla sua strada un ostacolo serio. Cioè un nemico.
Ecco perché non ci si deve aspettare sconti.
La consapevolezza di questo sta emergendo chiaramente in chi si trova dalla ‘parte sbagliata’ del fronte, cioè quella definita delle ‘fake news’, la scorsa settimana ci sono stati tre lucidi interventi sulla questione, vediamo quali sono i punti chiave emersi.
Il primo è stato quello di Claudio Messora su Byoblu con la nota revoca della pubblicità garantita da Google AdSense. Togliere le entrate pubblicitarie in modo arbitrario è l’equivalente delle sanzioni economiche che hanno negli ultimi decenni costituito una forma di guerra molto efficace:
Da segnalare anche l’articolo di Alessandro Benigni su Ontologismi, anche lui colpito da ripetute censure su Facebook: “Come ti riducono ad essere uno schiavo? Raccontandoti che la libertà è gratis…” da cui riporto un passaggio. Dopo le sanzioni economiche c’è il blocco diretto, la rete è libera ma è come un’autostrada sulla quale si cammina solo se i padroni dei caselli ti fanno entrare. Nel caso di Benigni i caselli sono stati chiusi, sappiamo che potrebbero chiuderne sempre di più e senza alcuna giustificazione.
    I media sono nelle mani di qualcuno, questi qualcuno sono soggetti in carne ed ossa, mica “Community“: proprietari di aziende, quotate in Borsa. Girano vagoni di soldi: credete davvero che importi a qualcuno stabilire delle regole insieme a noi?
Se avete l’illusione di potervi esprimere liberamente, sappiatelo: questa illusione è funzionale ad un guadagno, ad un’operazione commerciale. Quindi politica, quindi di potere.
Potere che viene esercitato contro di noi.
È bene ricordarlo.
Le regole, prima di tutto non si trovano: e poi sono imposte. Quindi non sono della “Community“: questo è quello che vogliono farci credere. Sono imposte. Da chi, astutamente, resta dietro le quinte dell’intero processo di formazione del pensiero e del consenso. Perché a questo, serve Facebook.
 
E un’analisi molto chiara viene anche dal sito di Berlicche il quale in “Ciò che libertà non èha da parte sua evidenziato ancora una volta i punti centrali della questione, il fatto che le sanzioni economiche e il blocco temporaneo di qualche sito sono solo degli assaggi di quello che potrebbe succedere:
    Bene, abbiamo internet. Lo sapete qual è il guaio di internet? Che una fetta enorme di contenuti passa attraverso le mani di pochi. Pensateci un attimo: siete davvero convinti che chi ha il potere possa permettere che le chiavi dell’informazione siano fuori dal suo controllo? Se è solo una questione di soldi, che diamine, quelli per qualcuno non sono un problema. Per il resto, esistono i giudici.
I sistemi operativi, quelli che fanno funzionare il vostro computer, sono in mano ad un paio di persone. Cercate un sito, una notizia su internet? Anche qui è dominio di un paio di persone. Avete un account sui social? Chi credete che li possegga? Esatto, un paio di persone. In parecchi casi, le stesse persone.
Probabilmente, se non sei un addetto ai lavori, non ti rendi conto di quanto sia fragile la libertà della rete. Se questi potenti decidessero che quanto scrivi non deve più vedersi, allora ciao ninetta….
Perché ne parlo? Perché sta accadendo. Quel potere di cui dicevo si è accorto che le stava sparando troppo grosse, e molta gente non ci credeva più. Le persone avevano cominciato a rivolgersi ad altri canali, non controllati. Così sta correndo ai ripari. C’è una guerra civile in corso, e si combatte nell’informazione. O meglio nella disinformazione, che oggi ha raggiunto livelli parossistici proprio nei media ufficiali.
Un tempo c’erano i troll. Pensate fossero tutti solo dei cretini isolati con manie di protagonismo? Anime belle. Quello era il tempo della guerriglia, quando ancora questo campo di battaglia non era così importante. Ormai non bastano più. Adesso si usa l’artiglieria pesante.
Primo, convincere che in rete girano un sacco di balle. Secondo, che occorre fare qualcosa!
E quindi incaricare “qualcuno” di individuare ed eliminare chi propaga notizie false.
La guerra è quindi appena agli inizi e la sproporzione delle forze in campo è grande, ed ecco che stanno arrivando gli incaricati di individuare le fake news, come riporta il Corriere della Sera il Presidente della Camera (o Presidenta, o Presidentessa…? Boh…) Laura Boldrini ha selezionato quattro persone che potrebbero decidere del diritto all’esistenza o no di quello che diciamo: Paolo Attivissimo, Walter Quattrociocchi, David Puente e Michelangelo Coltelli. Nomi dei quali personalmente non mi fido, in particolare di tre su quattro, e posso anche spiegare perché, e non è escluso che lo faccia.
Ma non basta, il documento porterà le firme di supporto di nomi come Claudio Amendola, Gianni Morandi, Fiorello, Carlo Verdone [e anche Ferzan Ozpetek e Marc Augé, ndr NEXUS]… la cosa ha un senso, la loro verità è una fiction.
PS: l’articolo sul Corriere annunciava che il 7 febbraio la Presidente/a Boldrini avrebbe diffuso il documento in questione:
corriere boldrini fake
A mezzanotte il documento non è stato diffuso. Il Corriere ha divulgato una fake news, oppure lo ha fatto la Boldrini. Ecco subito un caso bollente su cui indagare per i segugi Paolo Attivissimo, Walter Quattrociocchi, David Puente e Michelangelo Coltelli.
posted by Redazione febbraio 11, 2017

Un treno per la notte, ecco i nuovi poveri: sul regionale dormitorio fra i pendolari della disperazione

si ringrazia di cuore i sedicenti difensori dei lavoratori, disoccupati, poveri e pensionati. Complimenti, un ottimo lavoro. Sempre in piazza per questi diritti. Ah giusto, è disdicevole, fa tanto populismo….Bell’esempio di civiltà.

Un treno per la notte, ecco i nuovi poveri: sul regionale dormitorio fra i pendolari della povero vagone alessandriadisperazione
Ex ferrovieri, padri separati, immigrati e italiani che hanno perso il lavoro. Viaggio da Milano ad Alessandria sull’ultimo convoglio di Trenord: “Qui siamo al caldo e al sicuro”
La notte sul regionale alla stazione di Alessandria (fotoservizio di Federica Castellana per La Stampa
Salvatore, 36 anni, sporge le brioches e i sandwich ai compagni di vagone: «Ho preso quelli senza prosciutto così anche Aziz, che è musulmano, può mangiarli». Li ha recuperati in stazione, tra i rifiuti: sono gli scarti della carrozza ristorante di un treno con le poltrone in pelle e la rivista patinata di bordo. Non come questo regionale, che puzza di cene rigurgitate, toilette intasate e calze sporche: dall’1 di notte diventa un dormitorio, l’alternativa alla Caritas. È un Trenord: lascia Milano alle 23,25 e arriva ad Alessandria a mezzanotte e 55, cinque minuti prima che lo scalo ferroviario e gli uffici della Polfer chiudano. Resta sul binario 3, acceso e caldo perché è il primo a partire al mattino, alle 5,11. Il passaparola è stato più rapido del suo lento viaggiare.
UN POSTO CALDO
E così, se l’anno scorso non più di una decina di disperati lo usava alla notte per dormire, quest’anno il numero si attesta sulla cinquantina. Pochi i clochard e gli stranieri, tanti i nuovi poveri, disoccupati, ex ferrovieri (possono viaggiare gratis), padri divorziati schiacciati dalle spese della separazione, ragazzi che avrebbero bisogno di aiuto, gente che aveva conto in banca e casa fino a pochi mesi fa.
Per loro appisolarsi in carrozza deve sembrare un po’ come proseguire un viaggio, più accettabile dell’impatto con le brandine della Caritas: «Lì ci sono le bande, ci rubano i vestiti, scoppiano le liti, qui invece è tranquillo e più sicuro».
Non sempre: tre settimane fa i carabinieri hanno arrestato Iulian Frunza, un romeno di 35 anni, che alle 2,30 della notte aveva trascinato a bordo una ragazza di 19 anni per tentare di violentarla. Ma la norma, qui, è la drammaticità dei casi umani, più che la ferocia.
L’ULTIMO ARRIVATO
Giovanni Civi Lino è tra gli ultimi arrivati, ha 30 anni, sale ogni sera a Tortona, il cappuccio in testa, nel contenitore di stagnola il tiramisù che gli ha dato un’amica che lavora in un ristorante: «Ho lavorato per 10 anni alla Ruberto Scavi», ditta poi travolta da guai giudiziari. «Ho il patentino da escavatorista, so usare il muletto: ho solo bisogno che qualcuno mi assuma». Accetta di lasciarci il cognome perché spera che possa servirgli per essere contattato: «Ma non ho il cellulare, me l’hanno rubato». E’ sparito, in una notte di queste, anche l’I-phone di Mustapha El Hassani, 37 anni e 4 bimbi da mantenere in Marocco: «Guardi, le mostro la mia carta di identità, ci sono le prove che sono una persona per bene, aiutatemi: per 13 anni ho lavorato a Milano, facevo l’operaio». I documenti dicono che risulta ancora residente in una bella via del centro storico: «Guadagnavo 1200 euro al mese, e riuscivo a pagare l’affitto del mio alloggio, 500 euro, ma così non posso più».
Aziz Uly invece, 38 anni, avrebbe anche i parenti ad Alessandria, ma preferisce il treno: «Non voglio e non posso pesare su di loro: è un anno che dormo qui, per 14 anni ho fatto il metalmeccanico in una fonderia di Brescia che poi ha chiuso». Parla bene l’italiano. E quando al mattino ritorna a Milano «vado in biblioteca a spedire il curriculum via e-mail».
LA DIGNITÀ
Con lui spesso c’è Salvatore, quello che gli offre le brioches: «In genere di giorno andiamo al McDonald’s, pranziamo all’associazione Pane Quotidiano, poi ci ripariamo dal freddo al passante suburbano di Treviglio, o in biblioteca». Arriva da Siracusa, e per anni ha lavorato in una cementeria, ma un giorno non gli hanno rinnovato il contratto. È il più elegante dello scompartimento, maglioncino di marca e borsone scozzese con dentro il beauty: «Non so dove andare a dormire, ma sono pulito e ho dignità». Per questo l’esperienza dell’elemosina non ha funzionato: «Ho provato, ma ho resistito un mese: tiravo su 20 euro al giorno, ma dovevo fare il muso e gli occhi tristi, era umiliante», lo racconta con una solarità così spontanea che è facile credergli.
Nel vagone dopo c’è Mauro Moio, 55 anni, si toglie le scarpe, allunga le gambe, la giacca a vento rimane addosso, al posto del cuscino c’è l’appoggia-testa del regionale, la federa è la tendina blu del finestrino. «Sono qui da 2 mesi, da quando mi hanno detto di questo treno, è silenzioso, riesco a riposare e non ho paura». Ha sempre fatto il cameriere: «Per tutta la vita, a Como, e spero di poter tornare al lavoro a marzo, con i matrimoni. Spero cioè che questa sia una parentesi». Una fermata. Prima del fischio del capotreno, quando il sole comincia a (ri)sorgere e su quel convoglio, affianco ai pendolari della disperazione, salgono anche gli altri passeggeri.
miriam massone
alessandria
Pubblicato il 13/02/2017

Rapporto sui gommoni dei migranti libici: facciamo chiarezza

ma no quale mafia-capitalegommoni cinesi, un’invenzione degli xenofobi, ma quale business, solo amore fraterno. Le altre foto sono al link della fonte

Facciamo chiarezza sui strani gommoni utilizzati dai migranti centroafricani (non certo libici) che partono dalle coste di Misurata per dirigersi verso L’italia, provvidenzialmente assistiti da organizzazioni ben finanziate e da marine militari assortite.
Chi parte
Parlo per la zona di Misurata, ovvero la costa est della Libia. In massima parte, per non dire tutti , si tratta di giovani esponenti della classe media centrafricana, schiacciati dalla mancanza di prospettive e dalla situazione geopolitica complicata. A parte alcune zone del Mali, della Nigeria e della Somalia, costoro sono sicuramente rifugiati economici, ovvero gente in cerca di welfare e NON di lavoro. Persone che spendono diverse migliaia di euro per arrivare sulle coste libiche e poi pagano il passaggio. Si calcola che ciascuno di loro spenda almeno l’equivalente di 5000 euro in totale per il viaggio (spesa minima). Bisogna ricordare che nessuno di costoro è neanche lontanamente arabo o siriano, checché ne dicano i giornaloni e le puttanazze che li scrivono.
I più intelligenti si chiederanno come mai costoro non si paghino il viaggio in aereo per arrivare comodi in italia, magari con qualche soldino risparmiato per ripartire da zero. Il problema è che le ambasciate italiane nei paesi centroafricani – e quelle occidentali in generale – controllano molto bene chi chiede un visto: se l’individuo in esame non dispone di molto denaro, di una famiglia e di una attività nel paese, difficilmente ne permetteranno la partenza. Il motivo per cui in molti scelgono di arrivare e rimanere in italia è chiaro, oltre a cominciare una nuova vita sono interessati a prestazioni come pensioni di anzianità, invalidità e sanità gratuita (autentici miraggi dalle zone da cui provengono). Infatti dopo poco tempo iniziano a richiedere i ricongiungimenti familiari: parenti ammalati e anziani bisognosi di cure speciali. Altrimenti non si spiega il perché la loro famiglia avrebbe dovuto prestargli i soldi per il viaggio, cinquemila euro sono tanti soldi dalle loro parti. E nessuno fa niente per niente, neanche i milionari che pagano per “salvare” i rifugiati, ma questo lo vedremo più avanti.
Da dove partono
Partono dalla zona di Misurata, da Bengasi o dalla Turchia, ma spesso questi viaggiatori sono diretti altrove, infatti sono coordinati da altre organizzazioni e balza all’occhio che non sono centrafricani diretti in Italia. Stavolta i “siriani” sono tali solo in parte, infatti questi rifugiati sono più pallidi perché provenienti da Bangladesh, Pakistan, Iraq e Afghanistan. NESSUNO di loro è un rifugiato di guerra – ad esclusione di alcune zone di questi paesi in cui si combatte –  e sono sempre viaggiatori paganti. Tutti! Praticamente nessuno di questi finisce in Italia – e se ci finisce per errore di sicuro non ci rimane – trattasi infatti di musulmani appartenenti alla classe media, gente che ha sempre lavorato, che vuole continuare a lavorare e che ha una solida rete di parenti e amici in Nord Europa che li attende. Quindi l’Italia non interessa (PS: si è sparsa la voce che in Italia non c’è più lavoro per nessuno e che è una nazione con gravi problemi).
Chi organizza
Ritorniamo a Misurata, zona della Libia ancora non completamente pacificata, presa tra apposite fazioni. Chi organizza il tutto non abita più lì, ma vive comodamente nella vicina Tunisia. Ricchi e potenti libici che quando hanno annusato l’odore della rivolta sono fuggiti nel vicino paese. Curiosamente in Tunisia le quotazioni delle ville di lusso sono cresciute a dismisura negli anni scorsi. Dato che la Libia è ancora una nazione sostanzialmente tribale, dove l’etnia e la famiglia hanno un valore significativo, a coordinare la Ditta “EMIGRAZIONE DEGLI ABBONDANTI DI PIGMENTO SPA” (la parola “negro”  e “negritudine” esiste nel vocabolario – Crusca docet – ma se la uso passo per razzista…) sono rimasti i parenti poveri del clan, quelli che prima svolgevano lavori come poliziotto o funzionario di basso rango.
I gommoni
Prendo spunto da un post pubblicato su Linkiesta, dove si lascia intendere che i gommoni utilizzati dai migranti sono fabbricati in Cina. Nuova serie di notizie lanciate inizialmente dalla puttanazze anglosassoni, che con l’insediamento di Trump allenteranno un attimo le redini alla Russia e punteranno le antenne sulla Cina “scopri e inventa nefandezza“: il Nuovo Supernemico Statunitense.
Ho contattato una delle aziende sospettate. Il referente mi assicura che l’interesse c’è, ma questi gommoni vanno forte in Turchia e MAI nessun libico dell’ovest ha mai neanche sognato di comprarne, se non piccole campionature. E ci credo, fare arrivare un gommone in Libia non deve essere affatto facile, a meno di non attraversare il deserto di nascosto…
Un occhio attento, poi potrebbe scoprire alcune piccole differenze, dalle foto di “rifugiati siriani” provenienti dai giornaloni.
Oserei dire che il tubolare è casualmente uno di quelli che avete visto nella foto prima, un 27 piedi (circa 9 metri) stretto un metro e 40 all’interno dei tubolari. Il motore è il solito 40 cavalli  fuoribordo, con un piccolo serbatoio di benzina, in grado di fare attraversare un piccolo tratto di mare, anche moderatamente agitato, di notte. Infatti notate che i tubolari sono provvidenzialmente grigio molto scuro (e non nero, che di notte si risalterebbe nell’oscurità!!!), i “siriani” sono evidentemente mediorientali molto ben coperti e indossano un giubbotto di salvataggio. Con tutta evidenza sono partiti dalla Turchia e diretti in Grecia. Le dimensioni relativamente contenute del battello pneumatico sono anche utili per poterlo gonfiare e trasportare di nascosto, anche se relativamente. Il gommone pesa circa 200 Kg e altri cinquanta minimo il motore. I migranti, tutti insieme possono facilmente trasportarlo e montarlo, magari possono anche comprarlo da un “ignaro” commerciante locale, insieme ai giubbotti di salvataggio che indossano. Che cosa c’entrano i cinesi? Un commerciante li ha chiesti e loro li hanno prodotti, cosa gliene frega?
Altro gommone, proveniente dalla Libia e pieno di persone di colore. Noterete le imponenti dimensioni del tubolare, e la strana forma della prua, studiata per non fare entrare acqua se si incoccia una onda neanche tanto grande. Noterete alcune differenze (oltre alla nazionalità dei migranti): il battello è evidentemente molto più grande, i tubolari sono enormemente dimensionati, il fondo è piatto, e ci sono tante ma tante persone in più a bordo. Il colore è chiaro, dato che in mare il colore scuro risalterebbe di più, e d’estate i tubolari scuri surriscaldati potrebbero gonfiarsi troppo ed esplodere, sotto il sole. Sussiste anche un limite dimensionale.
Per svariati motivi i cinesi usano tessuti economici ma professionali, di solito realizzati in colori scuri, ma che non permettono di ottenere tubolari di grosse dimensioni, per vincoli che sarebbe troppo lungo spiegare. Per realizzare un gommone “serio” ci si deve limitare come lunghezza fuori tutto e la larghezza alla poppa. Cosa che i cinesi fanno, dato che non sono capaci di realizzare le poppe composite studiate dagli italiani anni fa, per i battelli smontabili utilizzati dei contrabbandieri di sigarette. I tessuti chiari impiegati in questi strani gommoni grigio chiaro non sono materiali per gonfiabili, ma semplici tessuti per teloni da camion – molto meno costosi – perlomeno da alcuni campioni che il mio amico A. mi ha fatto osservare.
Fuoribordo
Altro giro di telefonate in Tunisia, alla ricerca di fuoribordo di occasione. Scopro, come l’altra volta, che i rivenditori non si stupiscono affatto di essere contattati da acquirenti stranieri che parlano un pessimo francese, e che i prezzi dei Tohatsu e di altri modelli fuoribordo sono ancora altissimi. Continuo nella ricerca e forse ho trovato la strada giusta: per un 25 cavalli decente si parte da 2000 euro e si arriva tranquillamente a 4000 euro. Infatti solo i motori fino a 45 cavalli circa possono essere guidati “a barra”, ovvero con quella manopola che fuoriesce dal motore stesso. I motori più potenti necessitano della “timoneria”, quel volante che vediamo nelle imbarcazioni.
Per fabbricare i mega-gommoni smontabili non ci sono problemi, fin dal 1970 valenti e talentuosi artigiani del sud Italia li producevano per i contrabbandieri. Larghi e lunghi oltre dieci metri, adatti per essere scaricati di notte in una spiaggia solitaria e per correre veloci verso la nave appoggio, per poi tornare carichi di tonnellate di sigarette.
Ovviamente diverse aziende italiane si sono trasferite in Tunisia da tempo per fabbricare gommoni. In loco esiste ormai la seconda generazione di artigiani tunisini, pronti a fabbricare battelli per i migranti. Arrivare a Misurata con un camion, scaricare gommoni e motori sulla costa è un attimo. Modelli appositamente realizzati per le esigenze locali: devono costare poco, portare un gran numero di persone e se affondano poco male… Sono negri, e per gli arabi quelli non sono neanche esseri umani…
Un punto importante
1)imbarcare un minimo di sessanta persone  2)su un gommone realizzato con tessuti non adatti  3)con un motore ridicolo  4)dirigerli verso l’Italia  5)con poco carburante a bordo…  Un vero affare!! Entro un giorno o al massimo due, sarebbero tutti affogati. Morti affogati a poche miglia dalla costa perché senza benzina. Eppure partono e arrivano in Italia lo stesso. E come fanno?
Il mistero del salvataggio
A parte alcune navi commerciali, che spesso cambiano rotta quando vedono lontano lontano il gommone stipato di persone, il salvataggio inizialmente veniva effettuato da navi militari. Purtroppo i capitani delle navi magari potevano “sbagliarsi” e salvare i migranti a cinquanta o sessanta miglia dalle coste libiche, in luoghi dove il tempo trascorso avrebbe provvidenzialmente risolto il problema.
Ci ha pensato “da solo” questo signore qui: Cristopher Catrambone. catramboneFinanziere maltese che ha investito otto milioni di soldi “suoi” per avviare una società di salvataggio, la “MOAS” (Migrant Offshore Aid Station). In pratica la ONG da lui creata si è occupata di armare la Phoenix, una nave di salvataggio che si occupa – in concerto con le navi da guerra addette al pattugliamento FRONTEX – di salvare i migranti … prelevandoli anche a pochi chilometri dalle coste libiche, ovvero all’interno delle acque territoriali di quel paese.
L’isola di Malta, come vedete , è in posizione strategica per accogliere facilmente migliaia di migranti, e le sue passeggiate sul mare sono zeppe di alberghi lussuosi dove poter ospitare profughi clandestini “eccessivamente pigmentati” in ciabatte e maglietta.
Cristopher Catrambone, osserviamolo da vicino. Il nostro benafattore nato in Luisiana, abitante a Malta, dirigente di società maltesi e con il core business a La Valletta, non si sogna neppure per errore di portare i migranti salvati nel porto più vicino, ovvero le coste tunisine o maltesi. Li porta tutti in Italia, ovviamente! Scortato dalle navi da guerra italiane mentre presta i primi soccorsi ai centroafricani salvati, una stranezza su cui pochi hanno indagato.
Ma guardiamo di cosa si occupa questo benefattore: le sue aziende (Tangiers Group e Tangiers Intenational) si occupano principalmente di “servizi medici ed assicurativi”.
La Tangiers International si occupa di fornire assistenza medica e supporto ai “contractors” occidentali, ovvero i mercenari impiegati nelle tante “piccole guerre” in corso. Se l’assicurato muore si occupano del trasporto della salma a casa e risarciscono le famiglie, se rimane ferito si occupano delle spese mediche. Inoltre si occupa di servizi assicurativi, gestendo le polizze dell’aeroporto maltese e di tante altre società statali.
Non solo , alcune sue aziende, vagolano nel torbido, occupandosi di servizi detti “piano B” e del servizio detto “battleface”, niente assicurazione, stavolta, ma specialisti armati che intervengono in caso di rapimento o se devono scortare al sicuro i clienti paganti.
Inoltre una sua azienda, la OBS si occupa anche di analisi, ovvero spionaggio e raccolta di informazioni per conto del governo USA dei privati abbonati al servizio.
Difficile credere che un assicuratore americano, arrivato a Malta “perché lì si parla inglese”, come lui stesso racconta, diventi ad un tratto Madre Teresa di Calcutta e spenda parte della sua fortuna per salvare dall’annegamento dei centroafricani che non ha neanche mai visto. Più facile ipotizzare che il governo di La Valletta gli abbia “consigliato” di utilizzare parte dei suoi introiti per armare una nave, riempirla di migranti ed assicurarsi che a Malta non ci arrivi MAI nessuno. Alla fine si risparmia, e il governo Maltese – tanto TETRAGONO all’arrivo dei migranti – può tirare un sospiro di sollievo. Infatti, a seguito della sua filantropia, Cristopher venne ringraziato con la concessione di tanti appalti pubblici maltesi. Ah, la generosità ripaga sempre!!! E il conto lo pagano quei boccaloni degli italiani.
Ma non è finita, ovvio, vedrete nella prossima parte
by NUKE http://liberticida.altervista.org/
Fonti:
http://www.linkiesta.it/it/article/2017/01/20/cerchi-un-gommone-per-il-traffico-di-migranti-i-cinesi-hanno-pronto-un/32945/
https://www.outsideonline.com/2012536/african-middle-eastern-refugee-sea-rescue-catrambone-phoenix
http://www.tangiersinternational.com/#
http://www.tangiersgroup.com/
di Nuke – 22/01/2017
Fonte: Rischio Calcolato

Gli USA sospendono i piani per impadronirsi di Raqqa, il presidente Trump vuole che la Russia sia unisca con le forze statunitensi

Il presidente Trump ha disfatto il piano della precedente amministrazione (Obama) per conquistare la città di Al-Raqqa, il bastione dell’ISIS in Siria. Il piano si basava su una strategia che poggiava sulle forze curde a cui si dovevano fornire armi e mezzi moderni ed aiutarle  a prendere la città.
Siria spazzano via rattiPochi giorni fa gli USA hanno fornito veicoli blindati ad un gruppo di ribelli arabi siriani (Forze democraiche FAD) formato da miliziani locali, rifiutando l’aiuto alla componente curda, SDF, per non pregiudicare i rapporti con Ankara.
Secondo il Washington Post, i funzionari militari USA sono rimasti costernati nel verificare che il piano non aveva alcuna disposizione chiara per coordinare le operazioni e non prevedeva alcun coordinamento con la Russia e con la Turchia, ultimamente infuriata per l’aiuto fornito ai curdi da Washington. Inoltre mancava nel piano una alternativa in caso di sconfitta dei curdi e non si specificava il numero degli effettivi necessari per l’operazione.
L’operazione era stata lanciata nel Novembre del 2016 e contava sull’appoggio ai curdi dell’SDF. Attualmente Trump sembra che voglia contare su una cooperazione con la Russia e che si aspetti un coordinamento anche con la Turchia, assegnandosi un ruolo di intermediario fra la Turchia ed i curdi.
In realtà il comando USA si è accorto delle difficoltà in quanto occorre avere una forza terrestre ed i curdi non dispongono di effettivi sufficienti. La Russia ha cooperato con la Turchia nell’operazione congiunta per conquistare al-Bab. Gli USA hanno lanciato la proposta delle zone di sicurezza in Siria, appoggiata anche dalla Turchia ma la Russia e la Siria si oppongono.
Michael Flynn, il nuovo assistente alla sicurezza di Trump, aveva criticato aspramente la strategia di Obama come inconsistente ed ha sostenuto la necessità che gli USA e la Russia cooperino in Siria, visto che, come dichiarato in una intervista, i russi sono già lì sul posto e, “che ci piaccia o no, bisogna cooperare in forma costruttiva”.
Il Presidente Trump pensa che un cambio di regime in Siria causerebbe una situazione ancora più instabile e che sia necessario sostenere Assad e predisporre una azione congiunta prioritariamente per sconfiggere l’ISIS.
Il presidente Trump aveva incaricato il 28 di Gennaio i comandanti militari di preparargli un piano entro 30 giorni, per sconfiggere l’ISIS, specificando il cambiamento della strategia, le alleanze militari, i soci della coalizione,. ecc. Il piano era stato affidato al Segretario della Difesa James Mattis ed a tutto lo staff del Pentagono.
L’ordine è stato impartito da Trump poco prima di avere un colloquio telefonico con Putin e sembra che in questo colloquio ci sia stata una intesa di massima nel collaborare fra USA e Russia e che un buon inizio potrebbe essere quello della conquista di Raqqa mediante una azione congiunta. Le zone di influenza e gli obblighi reciproci potrebbero essere definiti in seguito.
Le parti potrebebro avanzare nel contesto degli accordi di Astana, approvati dall’ONU, e le conversazioni potrebbero estendersi prossimamente a Ginevra per trovare una soluzione alla crisi siriana ed a altri capitoli di contenzioso.
Di fatto l’operazione per liberare Raqqa non è possibile realizzarla senza un coordinamento fra la Russia, gli USA e la Turchia, che sono i protagonisti fondamentali nel conflitto e si dovrà realizzare con il consenso del governo di Damasco, ove sarà la Russia a mediare fra le parti.
Non è facile prevedere cosa accadrà una volta portata a termine l’operazione. Chi sarà l’autorità che prenderà in mano la situazione visto che le parti in conflitto hanno visioni diverse ed opposte sul futuro del paese. Ci dovrà essere una presenza internazionale ed un accordo su quello che si dovrà fare in seguito.
Questo potrenbbe essere l’inizio di un processo più amplio con opportunità di una soluzione diplomatica. Inoltre potrebbe stabilire un inizio di cooperazione fra Russia e Stati Uniti sia sulla Siria che su altri paesi dove vi è una presenza dell’ISIS.
Feb 05, 2017 – – di  Peter Korzun
Traduzione: Juan Manuel De Silva

Trump e Starbucks tra il bene e il male

slaverySe prendiamo un minimo di distanza critica da quanto sta avvenendo negli Usa e osserviamo il braccio di ferro tra Donald Trump e i suoi avversari, dobbiamo riconoscere che gli schieramenti sono delineati a perfezione e disposti secondo una logica assoluta.
Prima, però, sgombriamo il campo da un equivoco. L’opinione pubblica americana non è quella marea di buoni sentimenti e di braccia aperte ai migranti che i giornali che non amano Trump (cioè, quasi tutti) si impegnano a raccontarci. In un sondaggio del Pew Research Center svolto nell’ottobre 2016, in piena campagna per le presidenziali, il 54% degli elettori registrati (quelli davvero intenzionati a votare, i più impegnati) disse di non sentire alcun dovere morale nei confronti dei profughi siriani, mentre solo il 41% affermò il contrario.
E la stessa percentuale di elettori disse che gli Usa dovevano badare ai propri problemi e lasciare che gli altri Paesi risolvessero i loro da soli, contro un 42% che pensava il contrario. Quindi è assai probabile che, a proposito delle decisioni di Donald Trump, stiamo assistendo al solito fenomeno dei diversi rumori: l’albero che cade produce più fragore della foresta che cresce.
Questo serve anche a spiegare perché vi sia una precisa geometria nel contrasto tra il Presidente e vasti strati della società Usa, contrasto che mette in scena culture ma anche interessi ben contrapposti. Guardiamo le aziende più celebri tra quelle che, in un modo o nell’altro, hanno preso posizione contro The Donald, ovvero Starbucks, Airbnb, Google, Nike.
Emblematiche le parole di Mark Parker, amministratore delegato di Nike: «Crediamo in un mondo dove tutti possono celebrare il potere della diversità». Bello, ma falso. Se così fosse, perché queste aziende vogliono vendere a tutti, in ogni parte del mondo, lo stesso prodotto? Le stesse scarpe, gli stessi caffè, in India come in Sudafrica, a Milano come a Timbuktu? Queste aziende rappresentano storie di successo della globalizzazione che, come il termine stesso indica, vuole appiattire le differenze, non esaltarle.
Vuole creare un unico consumatore globale, che ha gli stessi gusti e le stesse esigenze in qualunque Paese si trovi. Uniformità, altro che diversità.
Tutto questo lo diciamo con spirito laico, senza alcun intento demonizzatore. E intimi alla globalizzazione sono aziende come Google e Airbnb, che vendono un bene materiale e immateriale allo stesso tempo, uguale per tutti. Che sarebbe di queste grandi imprese se la Rete non fosse globale, se spostarsi per il globo non fosse facile, se la Rete non permettesse di comunicare con chi vogliamo quando vogliamo?
È, appunto, la globalizzazione nelle sue espressioni più dinamiche, innovative e creative. Un fenomeno che critichiamo e apprezziamo nello stesso tempo. Ma Trump e i suoi 59,8 milioni di elettori non è a questo mondo che guardano. Davvero nessuno ha notato che i primi manager e imprenditori da lui ricevuti alla Casa Bianca sono stati quelli di un’industria tradizionale come quella dell’automobile?
Trump ha in testa l’operaio, l’agricoltore, il piccolo imprenditore, il bottegaio, l’industriale che produce beni solidi, categorie per cui la globalizzazione è un problema più che un’opportunità. Gente che vede nello straniero in arrivo un fastidio da gestire più che un fratello da abbracciare. I Millennials, la «generazione Erasmus», per dirla con categorie nostre, che sono il riferimento di Nike e Starbucks, per Trump sono solo i figli dei suoi elettori. E basta dare un’occhiata ai flussi elettorali per rendersene conto: l’elettore-tipo di Trump è un maschio bianco che ha più di 40 anni, un reddito medio e vive in centri medi o piccoli, quando non addirittura rurali. Ed è stato impoverito dallo sprofondo della finanza globalizzata per il quale nessuno ha poi davvero pagato.
In tutto questo, molti vedono la lotta tra nuovo e vecchio, bene e male, futuro e passato, progresso e conservazione. È una lettura possibile, forse anche giustificata ma semplicistica. Starbucks dice di voler assumere iracheni che abbiano collaborato con le forze armate americane, ma non spiega dov’era quando nel 2004 i profughi iracheni, travolti dall’invasione Usa, erano agli ultimi posti nella graduatoria dei rifugiati accolti dagli Usa. Né Trump chiarisce quanto petrolio si debba estrarre in un Paese che è già il primo produttore del mondo, né quante automobili possano ancora circolare. Quando si scontrano gli interessi, anche il bene e il male diventano più difficili da riconoscere.
di Fulvio Scaglione – 31/01/2017
Fonte: Fulvio Scaglione