Le manovre delle banche centrali che contano più del G7

yellenIl mondo, inteso come sistema finanziario-industriale, ha bisogno di instabilità affinché le Banche centrali continuino a salvarlo, spiega MAURO BOTTARELLI
Janet Yellen (Lapresse)
 
Da ieri, la Nato fa ufficialmente parte della coalizione anti-Isis guidata dagli Stati Uniti. Lo ha annunciato il segretario generale dell’Alleanza atlantica, Jens Stoltenberg, prima dell’apertura del Vertice che vedeva presente, tra gli altri, Donald Trump. Nel più palese caso di excusatio non petita, accusatio manifesta, sempre Stoltenberg ha immediatamente sottolineato che la Nato non parteciperà ad azioni di combattimento, ma diverrà il centro di collegamento dove convoglieranno le informazioni di intelligence per la lotta contro Daesh. Prendiamone atto, l’attentato di Manchester ha davvero accelerato molti processi, fino alla scorsa settimana rallentanti, se non bloccati, da veti incrociati e pareri discordanti.
Oggi, poi, a Taormina prenderà il via il G7 con al centro della discussione, nemmeno a dirlo, la lotta al terrorismo globale. E chi mancherà al tavolo dei grandi? Il soggetto che maggiormente, tra le potenze mondiali, sta combattendo sul campo quel fenomeno eversivo e destabilizzante: la Russia. Capite da soli e senza bisogno di dotte analisi geopolitiche che quel vertice nasce già con lo stigma del fallimento, perché pensare di combattere il terrorismo senza coinvolgere Mosca è folle. A meno che, tramite strani giochi di prestigio politici e abile propaganda, non si voglia far finire nel calderone dei soggetti pericolosi proprio la scomoda Russia di Vladimir Putin. E, per proprietà transitiva neo-con, il suo alleato in Siria, cioè quell’Iran che Donald Trump ha attaccato senza soluzione di continuità nella sua due giorni tra Arabia Saudita e Israele.
Già, perché forse questo G7 ha una sua agenda precisa, ma non è quella ufficiale, bensì quella nata proprio tra Ryad e Tel Aviv e sviluppatasi tra l’orrore di Manchester. Metto in fila, senza un ordine particolare, i focolai di guerra o destabilizzazione in atto a tutt’oggi: Siria, Iraq, Libia, Yemen, Mali, Filippine, Corea del Nord, Venezuela, Afghanistan, Brasile e sicuramente ne sto scordando qualcuno. Sedici anni di “guerra preventiva” ed “esportazione della democrazia” hanno portato a questo: siamo più sicuri o insicuri? E poi, cosa unisce tutta questa messe di guerre sparse, la famosa Terza Guerra Mondiale a pezzi di cui parla Papa Francesco?
Il denaro, inteso come sistema finanziario che necessita di destabilizzazioni per stare in piedi attraverso mosse emergenziali. Come mai, di colpo, le Filippine finiscono al centro dell’attività del braccio locale di Daesh, guarda caso mentre il presidente, Rodrigo Duterte, stringe alleanze e partnership con Vladimir Putin? Perché il Brasile, di colpo, vede i manifestanti assaltare e incendiare i palazzi ministeriali, tanto da portare il presidente a firmare un atto che conferisce alle forze armate poteri di ordine pubblico? Anche in Gran Bretagna, per la prima volta dall’allarme del 2007 per un temuto attentato in Scozia, si vede l’esercito per le strade, 4800 uomini: un vulnus non da poco per la patria della common law. E la Corea del Nord, fino a quattro giorni ombelico del male? Sparita. Probabilmente la produzione in serie dell’ultimo missile sparato nel Mar del Giappone non spaventa più tanto. C’è Manchester che garantisce mano libera e fogli bianchi su cui scrivere le nuove regole.
C’è talmente tanta calma, garantita paradossalmente dal caos, che la Fed l’altra sera ha potuto permettersi di inserire toni da falco nelle minute (le quali vengono sempre riviste e ritoccate prima della pubblicazione, fidatevi) dell’ultimo Fomc, facendo trasparire la possibilità di un rialzo dei tassi imminente, quindi certificando – implicitamente – ai mercati e ai cittadini la buona salute dell’economia americana. I mercati? Nemmeno un plissé, anzi l’Asia ha festeggiato. Festeggiamenti giustificati? Fate voi, alla luce di questi grafici: il primo ci mostra come il cosiddetto “National team”, ovvero un consorzio di china stocksbanche e istituzioni finanziarie che agiscono su mandato del governo cinese, sia massicciamente intervenuto sul mercato per sostenere i corsi azionari, in perfetta contemporanea con il crollo dell’acciaio: il downgrade di Moody’s ha dato il colpo di grazia a una dinamica che sta già schiantando tutte le commodities da settimane. Ma Draghi dice, salvo poi rimangiarsi la parola, che la ripresa ormai è globale.
Il secondo, invece, ci mostra come questa dinamica, ovvero la finanziarizzazione della delinquenciesmaterie prime attraverso i futures, stia colpendo l’economia reale, nella fattispecie l’agricoltura Usa e i prestiti contratti da proprietari terrieri per portare avanti la loro attività. Dal quarto trimestre del 2014 al primo di quest’anno, il tasso di delinquencies su quei prestiti è salito del 225%, stando a dati ufficiali del Board of Governors della Fed.
Terra, cibo, economia vera: devastati da Wall Street e dai suoi giochini, ora con l’aggravante di qualche triliardo di contratti derivati che hanno come collaterale proprio futures legati alle commodities che pagano lo scotto al rallentamento della crescita cinese.
g3 central bankIl terzo, invece, ci mostra come dal dicembre 2016 questa logica di intervento delle Banche centrali per evitare l’armageddon si sia concentrata anche sul mercato obbligazionario sovrano, ovvero quello dei governi: questo, al netto di Bce e Bank of Japan che stanno comprando anche l’aria.
Vi serve altro per capire che il mondo, inteso come sistema finanziario-industriale, ha bisogno di instabilità affinché soggetti ormai onnipotenti come le Banche centrali continuino a salvarlo con soldi vostri? Stiamo tutti quanti camminando sul filo dell’equilibrista circense, ma la rete di salvataggio sotto di noi diventa ogni giorno più piccola e piena di buchi. La scorsa settimana vi ho ricordato come in un articolo dello scorso gennaio già avessi profilato l’ipotesi che l’elezione di Donald Trump fosse stata il perfetto capro espiatorio per giustificare un crash del mercato, evitando così che l’opinione pubblica additasse i veri responsabili di quello che era un epilogo già scritto, dopo anni di denaro a pioggia creato dal nulla e debito insostenibile. E dove siamo, oggi? Con i tassi che, formalmente, stanno salendo negli Usa, la meteoritica ascesa del mercato è andata in stallo.
 
Negli ultimi mesi, i corsi azionari hanno introitato un misero punto percentuale di rialzo o ribasso alla settimana. Poi, stranamente, la scorsa settimana è successo qualcosa: i mercati, senza apparente motivo sono crollati di quasi 400 punti in un solo giorno. Andate a riprendervi i titoli dei principali media, italiani ed esteri e troverete la narrativa ufficiale rispetto a quel tonfo: l’instabilità generata da Trump e dai suoi guai legati al Russiagate, con il rischio addirittura di un impeachment. Insomma, è colpa del presidente Usa. Sembra il signor Malaussene dei romanzi di Daniel Pennac, professione capro espiatorio: Banche centrali e grande finanza, sentitamente ringraziano.
E attenzione, perché se avete voglia di fare una rassegna stampa più accurata ed estesa nel tempo, questa narrativa i grandi media hanno cominciato a montarla ancora prima dell’elezione di Trump, quando si era in campagna elettorale: ma se tutti i sondaggi davano Hillary Clinton come vincitrice in carrozza, quale bisogno c’era di creare quella cortina di terrorismo finanziario? Basti vedere Bloomberg, agenzia il cui mantra fu quello di dipingere Donald Trump come un uomo fortunato, perché riceveva in eredità da Barack Obama un’economia florida e in ripresa. Balle, quale economia abbia lasciato l’ex inquilino di Pennsylvania Avenue è ormai sotto gli occhi di tutti: mercato in bolla assoluta, peggio del dot.com e livello di debito ormai insostenibile, sovrano e privato. Ovviamente, con la colpevole collaborazione fattiva di chi detiene la stampatrice, ovvero la Fed. Addirittura, il settimanale Fortune scrisse che l’iniziale rally di mercato che aveva salutato l’elezione di Donald Trump altro non era se non una creazione del palcoscenico per un sorprendente crash del mercato. Diciamo che o hanno poteri divinatori o forse c’era un’agenda condivisa da far accettare all’opinione pubblica.
Non vi pare che quanto accaduto da quando il presidente Usa ha messo piede a Ryad fino a oggi, risponda a una logica simile ma a livello geopolitico? Attenzione a cosa verra deciso al G7, per quanto realisticamente inutile – stante l’assenza della Russia -: ci dirà quale piega prenderanno gli eventi. Ovvero, quando – e non se – sarà guerra.
26 maggio 2017 Mauro Bottarelli

La Cina: “Non permetteremo di attaccare la Corea del Nord”

corea_nord_tra_russia_cina_usa_dettaglioLa Cina afferma che non permetterà agli Stati Uniti di attaccare la Corea del Nord e chiede una soluzione moderata e pacifica della crisi nordcoreana.
Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, lo ha detto Venerdì,  secondo l’elaborato riguardo alle linee rosse della penisola coreana, Pechino non permetterà a Washington di intraprendere una guerra contro la Corea del Nord.
Tali dichiarazioni forti di Wang,  ha fatto eco nei media cinesi e americani, si sono dette a margine della riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC) a cui ha partecipato il diplomatico.
 
Si riporta l’agenzia di stampa cinese  Xinhua , il capo della diplomazia del gigante asiatico ha invitato la comunità internazionale ad impegnarsi per la denuclearizzazione della penisola coreana e attuare pienamente le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite su Pyongyang.
 
Il ministro degli Esteri cinese ha detto a questo proposito che la denuclearizzazione è un presupposto fondamentale per la pace e la stabilità di lungo termine nella penisola e “quello che dobbiamo raggiungere per salvaguardare il regime internazionale di non proliferazione nucleare“.
 
Il ministro ha pure comunicato la preoccupazione del suo governo per quanto riguarda l’aumento delle tensioni nella penisola coreana, che causano le preoccupazioni internazionali e ha avvertito di un possibile confronto nella zona.
 
Se la questione della penisola, non viene posta sotto un controllo efficace porterà ad eventi imprevisti ed è probabile che la situazione di una svolta drastica possa andare di male in peggio e fuori controllo“, ha avvertito, ed evidenziato l’importanza della via del dialogo e la negoziazione.
L’uso della forza non risolverà le differenze ma può  portare a disastri più grandi“, ha detto Wang, aggiungendo  “ l’unico strada, sono il dialogo e la negoziazione  che rappresentano  l’opzione ragionevole per tutte le parti“.
Infine, Wang ha sottolineato il ruolo della Cina, nel voler portare a migliori prospettive e condizioni la situazione della Corea del Nord  ha inoltre espresso la volontà di Pechino di continuare a lavorare con tutte le parti per raggiungere una soluzione pacifica della crisi.
Wang ha osservato, dì essere andato negli Stati Uniti dopo che gli USA hanno iniziato Mercoledì la distribuzione in Corea del Sud del loro controverso  sistema terminale della zona di Difesa High Altitude (THAAD, per il suo acronimo in inglese), che, tra le altre cose, ha peggiorato e alzato la tensione nella penisola coreana.
Lunedì, il presidente cinese Xi Jinping ha chiamato il suo omologo statunitense, Donald Trump, inducendolo alla moderazione prima che le tensioni con Pyongyang, che registrino aumenti incontrollabili , visto che la Casa Bianca ha ordinato per inviare la portaerei nucleare USS Carl Vinson e la sua flotta di attacco, e il sottomarino nucleare USS Michigan, in acque coreane.
Nonostante le ripetute richieste, agli alleati ideologici – Pechino e Pyongyang non attraversano un buon periodo nelle loro relazioni. Recentemente, la Corea del Nord ha accusato la Cina di dare retta alle pressioni degli Stati Uniti , che potrebbero portare a “conseguenze catastrofiche“.
02/05/2017 HISPAN Tv Sa Defenza

L’attacco alla Siria deciso da Trump segna la fine del “conflitto per procura” e si avvia al confronto diretto USA-Russia

Attacco-con-missiliAttacco USA contro la Siria
 
L’attacco ordinato da Trump in Siria, il dopo sei anni di guerra, rappresenta una svolta nel conflitto siriano che va oltre le apparenti conseguenze ipotizzate da vari osservatori.
Il cambio di scenario della guerra in Siria non viene dato dalla nuova fandonia o “false flag” precostruita dell’attacco chimico di Jan Cheijun, un episodio molto inattendibile, messo in dubbio dagli stessi servizi di intelligence USA  ma piuttosto dal successivo bombardamento dell’aeroporto di Al-Shayarat da parte della Marina da Guerra degli Stati Uniti, che si è esposta sul fronte di guerra senza pià sotterfugi, il che significa che le forze USA non si fanno più scudo dei loro intermediari ribelli o jihadisti.  (Vedi: Former CIA Officer: “The Intelligence Confirms The Russian Account On Syria”)
Una volta che gli USA hanno messo in chiaro le loro intenzioni, scoprendo il loro doppio gioco, tutti gli osservatori passano il testimone alla Russia: ci si chiede come ha incassato questa mossa, cosa non ha fatto e come potrà reagire. Dopo l’azzardata mossa di Trump, con l’improvviso attacco contro la base in Siria, la palla si trova adesso nel campo russo e la prima domanda da porsi è : per quale motivo i collaudati sistemi di difesa antiaerea non hanno distrutto i missili statunitensi.
Il giornalista francese Thierry Meyssan riferisce i commenti dei diplomatici arabi -algerini in particolare- secondo i quali lo stato Maggiore dell’Esercito statunitense aveva avvisato i russi in anticipo dell’attacco. Da quello conclude che il bombardamento era “concordato”, cosa che è molto pesante da affermare, e che inoltre non impedisce di riconoscere che Trump ha fatto un salto qualitativo che non aveva osato fare Obama.
Il bombardamento, aggiunge Meyssan, è stato irrilevante perchè l’aeroporto era vuoto ed in rovina e per il fatto che Trump continua comunque a prendere l’iniziativa cercando di cambiare la politica USA verso il Medio Oriente, riconquistando posizioni e cercando di sottrarre l’area mediorientale all’influenza russa. Vedi: Voltairenet.org
Alcune fonti russe vanno nella medesima direzione nel minimizzare i danni causati dal bombardamento. La stampa russa ha trasmesso i seguenti messaggi:
– La Siria è stata preavvisata dell’attacco ed ha ritirato i suoi aerei, le perdite sono state infime, “ha distrutto soltanto 9 aerei siriani in riparazione.
I sistemi di difesa antiaerea proteggono soltanto l’Esercito e l’aviazione russa, non le forze siriane;
Qualsiasi risposta avebbe presupposto una guerra nucleare con gli Stati Uniti.
In modo significativo, i portavoce del Pentagono hanno risposto alla prima delle questioni, che è realmente irrilevante, si sono dedicati a inviare foto alla stampa per dimostrare al mondo che i loro missili Tomahawk sono molto più efficaci di quello che dicono i russi. Il Daily Mail ha presentato tali foto, che giocano il ruolo del trofeo di guerra.
 
Le foto pubblicate non sono concludenti circa le perdite causate, tra le altre cose perchè in queste si vedono i rifugi di calcestruzzo per proteggere gli aerei da questo tipo di attacchi aerei. In ogni caso  l’obiettivo dell’attacco non era quello di causare danni all’aviazione siriana; neppure alla Siria. Per trattare militarmente con la Siria il Pentagono utilizza i suoi mercenari jihadisti . Per trattare con la Russia c’è invece necessità di altro tipo di strumenti.
Come abbiamo già sostenuto, l’attacco all’aeroporto era diretto contro la Russia e trasmette un messaggio inequivocabile, che il Pentagono, inoltre non ha mai cercato di occultare. Tra le dichiarazioni ufficiali e quelle ufficiose, hanno manifestato che “senza l’appoggio esterno” la Siria non avrebbe potuto portare a termine l’attacco chimico di Jean Shejun. “Sospettiamo che i siriani abbiano ricevuto aiuto”, ha dichiarato un alto ufficiale.
Come si vede, a Washington non vanno per il sottile; non soltanto sostengono la “favola” dell’attacco chimico ma vogliono coinvolgere in questo i russi (“l’appoggio esterno”).
A prescindere dalle conseguenze interne che l’azione di Trump produce a Washington, con un indubbio rafforzamento della sua posizione di “comandante in capo”, si deduce che in Siria sono finiti i giochi con gli intermediari, con i delegati ed i facenti funzioni.
 
La guerra combattuta per procura si avvia a diventare adesso uno scontro diretto tra USA e Russia.
“Come minimo i russi non sono stati capaci di controllare l’attività ” dei loro alleati siriani, dicono a Washington. “Non possiamo dire adesso quale ruolo abbiano potuto svolgere i russi” nel lancio dell’attacco chimico di Jan Sheijun.
 
“Tuttavia se esiste una prova qualsiasi o una accusa credibile, trarremo da questa le conseguenze al massimo delle nostre possibilità”, aggiungono le fonti statunitensi.
Al potere imperiale USA si possono rimproverare molte cose, eccetto la mancanza di determinazione. Il continuo riferimento alle “prove sicure” manifestato dal Segretario di Stato, Rex Tillerson, rappresenta la barzelletta propagandistica buona per l’apparato mediatico atlantista. Nel momento in cui gli USA hanno necessità di “incastrare” i russi, appariranno come per miracolo le prove che al momento sono inconsistenti.
I russi sono ben consapevoli della sfida che si prospetta e Putin è un uomo che ragiona a mente fredda e si riserva la sua prossima mossa. Con molta probabilità i missili Tomahawk non sono stati intercettati perchè c’era ancora un protocollo di intesa con il Comando USA. Questo spiega perchè le fonti russe hanno minimizzato le perdite.
La prima mossa successiva dei russi è stata quella di annullare il protocollo di intesa: d’ora in avanti gli aerei della coalizione che entreranno nello spazio aereo siriano lo faranno a loro rischio e pericolo. Sarà questa volta la Russia di Putin a decidere quando e dove fare la prossima mossa ma, nel frattempo, i possibili “incidenti” sul campo fra gli aerei USA e le forze russe-siriane sono dietro l’angolo. Uno qualsiasi di questi incidenti può determinare lo scontro e l’inevitabile conflitto tra le due superpotenze. Sarà questo che vogliono i circoli neocons di Washington e il Presidente Trump ne sarà consapevole?
di  Luciano Lago  Apr 09, 2017

Siria tra bombe e fake news

Senza lo straccio di una prova, senza nessuna verifica circa l’accertamento dei fatti e le responsabilità, senza nessuna certezza sul materiale chimico utilizzato e, con esso, sull’identità dell’eventuale possessore, gli Stati Uniti hanno sferrato un attacco a base di missili Tomahawk sulla base militare siriana di Al Shayrat. Il Presidente Trump ha così avuto il suo “battesimo del fuoco”, rito di passaggio di ogni presidente statunitense che segna il passaggio dalla sua elezione all’assunzione effettiva di ruolo.
Stavolta è toccato alla Siria, il cui governo sembra effettivamente poco entrarci con le armi chimiche che hanno avvelenato decine di vittime. Ma non c’è nessuna prova che accusi le forze armate siriane dell’accaduto, che riferiscono invece di aver centrato con i loro aerei un deposito di armi dei terroristi jahidisti, dove evidentemente erano stoccate anche quelle chimiche.
Che l’Isis e le fazioni terroristiche facenti riferimento ad Al-Nusra dispongano di armi chimiche non è un segreto: gliele hanno fornite i turchi un anno fa su indicazione statunitense.
Le hanno già usate in diverse occasioni, a Palmira come ad Aleppo, ma nel silenzio dei media occidentali che, del resto, tacciono anche sul flagello saudita su Sana’a e derubricano a incidente il massacro USA a Mosul. Come a dire che le vittime pesano a seconda di chi le fa.
Ma in guerra, come in politica, di fronte agli eventi domandarsi a chi giovano è esercizio ineliminabile se si vuole limitare i danni della propaganda. E anche in questo caso andrebbe fatto. E qui davvero non si comprende quale utilità avrebbe avuto Assad all’utilizzo di armi chimiche. In primo luogo la guerra in Siria è agli sgoccioli e l’alleanza tra Damasco e Mosca, con l’aiuto di Teheran e Hezbollah libanesi, ha praticamente vinto. Dunque perché provocare la comunità internazionale quando si sta già decidendo sede e composizione del tavolo della pace sulla Siria?
 
In secondo luogo: visto che la Siria ha dichiarato di aver inviato a suo tempo a Gioia Tauro tutte le armi chimiche siriane e che la Russia si è resa garante internazionalmente della moratoria sul loro uso, perché mai effettuare una sortita così goffa che distruggere la credibilità di Mosca e Damasco di fronte alla comunità internazionale? E tutto questo, ovvero un prezzo altissimo, sarebbe stato pagato per avere ragione di una casamatta dell’Isis in un paese senza particolare importanza, quando per la stessa presa di Aleppo, ben più importante strategicamente e politicamente, non è stato fatto?
Per sostenere la tesi dell’attacco aereo con armi chimiche su Khan Sheikhoun bisognerebbe ritenere che Assad sia stupido. Ma stupido non è. Lo fosse, non avrebbe resistito per anni e vinto una guerra con la quale tutto l’Occidente, in forma diretta e per procura con i terroristi islamici, ha tentato di spodestarlo. Damasco può semmai essere accusata di cinismo, di opportunismo, autoritarismo, ma certo non di stupidità.
La nuova crociata intrapresa si spiega con ragioni di politica interna statunitense, abilmente sollecitate. L’intenzione di Trump è di offrire spazio all’apparato militare statunitense per poter rafforzare una presidenza altrimenti già in crisi di credibilità, caratterizzata ogni giorno da licenziamenti, dimissioni e gaffes. L’apparato bellico statunitense, già in disaccordo con Obama sul mancato attacco in Siria, è il bastone indispensabile per Trump, l’unico in grado di bilanciare l’ostilità di CIA e FBI verso il tycoon, che deve quindi, in primo luogo, divincolarsi dalle accuse di collusione con Putin. In questa direzione va il licenziamento di Bannon, voluto dal falco McMaster: Trump cerca di acconsentire alle tesi guerrafondaie dei neocons, per cumulare forze utili a ridurre l’impatto dell’offensiva democratica, che punta a costruire le condizioni per arrivare in tempi rapidi all’impeachment.
Tutto ciò non esaurisce le motivazioni dietro all’ordine di attacco impartito ieri, vi sono anche ragioni di politica internazionale ancor più serie, non ultima quella di assegnare al presidente un profilo di uomo determinato, capace di sorvolare sulle ragioni della mediazione politica a favore del decisionismo. Le coincidenze non vanno mai sottovalutate. Trump attacca Damasco soprattutto per inviare un monito a Pechino.
Ospite del governo statunitense in Florida, il Presidente cinese è stato il vero destinatario del messaggio. Il riferimento è al nuovo equilibrio di forze che Trump chiede alla Cina. Un avvertimento forte circa la Corea del Nord, sul quale Washington la ritiene non sufficientemente attiva nel controllo e poco trasparente nelle sue intenzioni.
Quello che Trump vuole è un sostanziale reset del quadro delle relazioni con i cinesi, che comprenda la disputa sul Mar della Cina, il destino di Taiwan e, appunto, la soluzione della questione spinosa di Pyongyang. In cambio di questo offre l’apertura di relazioni commerciali prive delle logiche protezionistiche che si vorrebbero imporre al resto del mondo. L’Asia, i suoi immensi mercati, il suo ruolo geostrategico sono l’essenza della visione di politica estera della Casa Bianca e raggiungere un accordo con la Cina che veda gli Stati Uniti come dominus nell’area è il suo vero indirizzo strategico in politica estera.
Le reazioni russe all’attacco sono state dure, ma si sono fermate allo scontro politico e diplomatico, almeno per ora. Ha sospeso il memorandum con la coalizione a guida americana per la prevenzione degli incidenti e la garanzia della sicurezza dei voli ed ha annunciato che rafforzerà la difesa aerea siriana e chiesto una riunione urgente del Consiglio di sicurezza dell’Onu.
 
Nella valutazione di Mosca pesa la sostanza militare dell’operazione, davvero per ora assai limitata. Il bombardamento ha colpito una base militare già evacuata, nessun missile ha colpito Damasco né obiettivi politici. Si può quindi definire l’azione militare una iniziativa che, sebbene rischi di innescare conseguenze gravi – resta comunque un gesto a carattere sostanzialmente dimostrativo.
La valutazione di Putin è che l’offensiva politica e diplomatica occidentale contro Mosca tende a stroncare sul nascere il clima di dialogo tra Putin e Trump. In questo senso pur muovendo le pedine politico-diplomatiche si guarda bene dall’incrementare lo scontro, consapevole che l’obiettivo strategico è quello di riportare il dialogo con Washington ad un livello che consenta il definitivo sdoganamento di Mosca nel grande risiko internazionale.
Obiettivo però ostacolato in diversi modi e da diverse forze. Gli interessi in gioco sono enormi e vanno da quelli del Pentagono, che senza la “minaccia russa” vedrebbe una diminuzione effettiva del suo ruolo e, in conseguenza, del budget per la Difesa. Ci sono poi gli interessi europei, tedeschi in testa, che puntano al rafforzamento della tensione con Mosca utilizzando la Crimea, l’Ucraina e le accuse di ingerenze russe nelle elezioni europee.
Parigi è interessata ad uno scontro politico aperto con Putin nella speranza che nell’attuale campagna elettorale francese questo possa danneggiare Marine Le Pen, che di Putin è estimatrice, mentre alla Germania giova un clima di tensione crescente con la Russia. Nella strategia tedesca c’è l’intenzione di candidare Berlino a un ruolo di garante politico verso i paesi dell’ex Patto di Varsavia.
 
La Germania pensa in sostanza di poterne rappresentare uno scudo politico e militare, prefigurando una sorta di suo protettorato verso Est e, in questa veste, disporre di una interlocuzione esclusiva con Mosca, bypassando la stessa UE, che considera un problema e non una soluzione.
 
Vedremo quali saranno gli sviluppi nelle prossime ore. Nel frattempo si può solo registrare come l’attacco alla Siria non abbia nulla a che vedere con la sorte delle vittime, a maggior ragione in un paese dove la guerra scatenata dall’Occidente in cinque anni ha lasciato sul terreno 270.000 morti di cui 14.000 bambini e mezzo milione di profughi. E’ solo il teatro cinico ed ipocrita di una colossale fake news avente come oggetto il tentativo disperato d’invertire le sorti del campo di battaglia, nella speranza di fermare una storia già scritta, quella della sconfitta occidentale in Siria.
VENERDÌ 07 APRILE 2017 di Fabrizio Casari

Il presidente Trump, ormai ostaggio del circolo dei neocons di Washington, prepara le nuove guerre ed il nuovo caos in giro per il mondo.

US-Special-forces-in-SyriaUS. Special Forces in Siria
Le ultime dichiarazioni della ambasciatrice USA all’ONU, Nikki Haley, in cui la diplomatica ha sostenuto che “Trump vede la Russia come un problema” sono significative della conversione a 180 gradi che l’Amministrazione Trump ha fatto rispetto alle prime dichiarazioni distensive rispetto alla Russia fatte dal presidente, prima della sua nomina alla Casa Bianca. Sembrava in un primo momento che Trump e Putin avrebbero trovato una intesa sulle questioni più importanti, dall’Ucraina alla Siria, basandosi sulla volontà comune di dare la priorità alla lotta contro l’ISIS ma poi gli eventi hanno preso un’altro corso.
Il “Russia Gate”, montato ad arte dai circoli neocons e del Partito Democratico, ha avuto l’effetto di paralizzare l’azione di Trump in politica estera e bloccare qualsiasi ipotesi di riavvicinamento tra Washington e Mosca. Da ultimo si è complicata la questione siriana, nonostante le dichiarazioni fatte pochi giorni prima da Trump, di non considerare più l’allontanamento di Assad come una “priorità strategica”, Trump si è dovuto auto smentire poco dopo, dichiarando di “aver cambiato idea” su Assad.
Per una casualità (forse non tanto fortuita) è intervenuto l’attacco con armi chimiche di Khan Sheikun (Idlib) in Siria ed i suoi 74 morti accertati che hanno avuto l’effetto di ribaltare la situazione, facendo usare a Trump lo stesso linguaggio dell’odiato predecessore: “Assad ha superato “molte, moltissime, linee rosse”, ha detto ieri, interrogato sulla questione siriana. Questo mentre, al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, la Haley minacciava un intervento militare unilaterale USA in Siria contro le forze di Assad.
Non a caso gli analisti riscontrano una estrema volubilità nelle posizioni del presidente Trump, il quale non ha esperienza e competenze proprie in politica estera e per di più si trova circondato da consiglieri che hanno costruito sulla guerra le loro carriere (da Rex Tillerson a James Mattis, a Mike Pompeo).
Tutti personaggi al servizio del possente apparato militare/industriale che detta legge a Washington e che necessita di sempre nuove guerre ed interventi militari per auto alimentarsi.
La Haley ha riferito di aver mantenuto conversazioni con Trump in cui il presidente ha sostenuto di ” vedere la Russia come un problema, tutti vorrebbero ascoltare queste parole (di Trump) ma guardate le sue azioni, ha detto la Haley. La Russia conduce una politica ostile e si oppone al rafforzamento della NATO, ” mantiene una posizione intransigente sul problema della Crimea e con il suo intervento copre il regime di Assad”, ha riferito.
Le dichiarazioni della Haley danno l’impressione che lei stessa stesse cercando di ricomporre l’immagine di Trump, il quale era stato molto criticato per non avere un atteggiamento abbastanza duro con la Russia, in un momento in cui si sta indagando sulle possibili interferenze di Mosca nella campagna presidenziale.
 
Haley e Trump
Nella giornata di ieri è andato in scena lo scontro verbale al Palazzo di Vetro con Mosca che si è schierata nettamente a difesa di Assad, accusando i gruppi ribelli di produrre testate a base di armi chimiche e definendo “completamente falsi” i rapporti su cui Washington, Parigi e Londra hanno basato la bozza di risoluzione sulla strage di Khan Sheikun: al Consiglio di Sicurezza si richiedeva una risoluzione per l’apertura di un’inchiesta guidata dall’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche e, a Damasco, di collaborare fornendo informazioni sul giorno dell’attacco, sui voli degli aerei siriani e sulle loro posizioni, ecc. . La Russia si è opposta ed ha chiesto di attendere il risultato di una inchiesta sostenendo la falsità delle frettolose ricostruzioni fatte dagli USA, Francia e Gran Bretagna.
 
Tutto è stato rinviato a data da definire.
 
Secondo Washington la descrizione fatta dalla Russia è falsa: la ricostruzione del Ministero della Difesa, ha detto Haley, non sta in piedi. “Un affronto all’umanità”; ha aggiunto Trump parlando della necessità di un intervento unilaterale USA qualora l’ONU risulti paralizzato. Perché “se l’Onu non è in grado di reagire collettivamente – ha chiosato Haley – spetta ai singoli Stati farlo”.
 
Nel frattempo la guerra in Siria continua e potrebbe complicarsi ulteriormente nel caso di un maggiore intervento di USA e dei suoi alleati. Considerando tutti gli attori in campo, con le forze siriane, le forze russe e quelle iraniane ben piazzate sul territorio, allo stato dei fatti, sembra difficile prospettare una soluzione militare del problema siriano.
Fra i “cattivi consiglieri” di Trump ci sono certamente i personaggi manovrati dalla potente lobby filo Israele di Washington che da tempo non vedono l’ora di poter provocare un intervento militare statunitense in Siria per rovesciare il governo di Damasco ed attuare il vecchio progetto di balcanizzazione del paese arabo,
bloccato al momento dall’intervento russo. L’intervento miltare diretto degli USA avrebbe anche l’importante obiettivo di sgomberare il territorio siriano dalle forze dell’Iran e di Hezbollah, rendendo un grande servigio a Netanyahu. La gratitudine di Israele sarebbe assicurata per sempre all’Amministrazione di Donald Trump, e questo lo solleverebbe anche agli occhi dei neocons evitando le prossime “congiure di palazzo”.
Avanza il sospetto, che di giorno in giorno diviene una certezza, che  l’intera  questione dell’attacco chimico effettuato nella zona di Idlib sia tutta una messa in scena accuratamente predisposta dalle forze ribelli (terroristi jihadisti sostenuti dall’Occidente e dall’Arabia Saudita) per creare il pretesto di un intervento diretto USA sul campo.
Ci sono tutti gli elementi per ritenere altamente probabile la questione: dalla scenografia dei soccorsi “anomali”se si fosse trattato realmente di gas sarin, al momento preciso in cui questo si è verificato, mentre sul campo le forze siriane e russe sono vittoriose e quello di Idlib è di fatto l’ultimo baluardo dei terroristi nella regione.
Non si capisce quale avrebbe dovuto essere il vantaggio per il Governo di Assad di ricorrere ad un attacco chimico se non quello di darsi una enorme zappa sui piedi. In realtà si ritorna indietro alla situazione del 2013, quando Obama prospettava la famosa linea rossa per l’intervento USA poi fermato dall’accordo con la Russia per il trasferimento delle armi chimiche della Siria. Anche allora si ricorse ad un finto attacco con un eccidio di persone innocentiattuato dai terroristi, come poi venne dimostrato anche dal Massachusetts Institute of Technology, e persino dallo stesso segretario di Stato John Kerry, vedi: Possible Implications of Faulty US Technical Intelligence in the Damascus Nerve Agent Attack     Vedi anche: Huffingtonpost
Un eccidio fatto, allora come adesso, per colpire emozionalmente l’opinione pubblica, grazie all’apparato mediatico propagandistico di cui gli USA dispongono (dalla CNN alla Reuters, alla BBC, alla CBC, Sky News, NBC, ecc..), con menzogne costruite e diffuse in tutto il mondo, totalmente pilotate da Washington e da  Londra.
La questione più grave è quella che si dimostra come, in questo momento, il “military industrial complex” di Washington tiene in ostaggio il presidente Trump per imporre la sua agenda di guerra: possiamo quindi aspettarci una vasta scelta fra un intervento in Siria, anche a costo di un confronto con la Russia, un prossimo intervento in Ucraina per riconquistare la Crimea, un intervento aeronavale nel Mar Meridionale della Cina per fronteggiare l’espansione di Pekino, intervento in Venezuela per riportare all’ordine l’importante paese petrolifero, ed altri possibili interventi per saziare l’appetito delle grandi industrie belliche, di Wall Street e del predominio del dollaro nel mondo.
Cambiano gli “imperatori” ma la logica dell’Impero rimane la stessa. Apr 06, 2017
di  Luciano Lago

Gas nervino, attentati e dissidenti: cosa li unisce?

white helmets fakeCosa unisce il gas nervino usato in un villaggio del Governatorato di Idlib in Siria, un attentato (e un altro fallito) alla metropolitana di Pietroburgo e una serie d’improvvise manifestazioni di dissidenti in Russia e Bielorussia? Francamente dietrologie e complottismi non ci appassionano, il più delle volte nascondono bufale colossali o depistaggi, ma nella sequenza che abbiamo elencato la logica c’è, eccome.
Gas nervino attentati e dissidenti cosa li unisce
Atto primo: il 26 marzo, in circa ottanta città della Russia si sono tenuti cortei e manifestazioni, tutti rigorosamente non autorizzati ma nella gran parte con la copertura dei media occidentali presenti al gran completo per dargli risonanza. A dirla tutta, fra i partecipanti, nella massima parte giovanissimi, diversi hanno dichiarato d’aver ricevuto un cospicuo “gettone di presenza”.
Ad ispirare gli eventi sarebbe stato Aleksej Navalny, un avvocato dissidente che sfrutta il web, nei fatti con un mediocre seguito popolare (i suoi ripetuti tentativi elettorali sono stati dei flop imbarazzanti) ed un curriculum politico singolare: ha spaziato dai nazionalisti fascisti ai tecnocrati filo occidentali dichiaratamente iperliberisti. Un soggetto fatto per stare sotto i riflettori, e ciò malgrado zeppo d’ombre: la sua Fondazione ha almeno 30 impiegati fissi e raccoglie notizie di prima mano (anche riservate) su tutto e tutti; pensare che si finanzi con le donazioni dei militanti è una panzana che solo chi è in malafede può sostenere di bersi.
Sia come sia, gli eventi e il fermo di Navalny (con tanto di post con selfie mentre attendeva di apparire dinanzi al giudice per manifestazione non autorizzata) che in Russia hanno riscosso un’attenzione assai limitata, sono stati su tutte le prime pagine dei media occidentali come notizia “clamorosa”. A completare la sceneggiatura, quasi in contemporanea, sono andate in scena proteste a Minsk e alcune altre città della Bielorussia, che avevano per obiettivo Lukasenko, eterno Presidente alleato di Putin.
Atto secondo: due giorni fa, in una carrozza della metropolitana di Pietroburgo, un attacco suicida compiuto da un kirghiso di 22 anni, cittadino russo, ha provocato sinora 14 morti e una sessantina di feriti, di cui una decina gravi. L’ordigno, da due a trecento grammi di esplosivo potenziato da biglie e frammenti di ferro, è stato fatto esplodere lo stesso giorno in cui Putin era nella città per incontrarsi con Lukasenko. Un secondo ordigno, più potente e piazzato nella stazione di Vosstanya, non sarebbe esploso.
 
L’Fsb (il Servizio russo) batte la pista del terrorismo internazionale anche per la provenienza del giovane, la Valle di Fergana, patria di un’infinità di foreign fighters. Nella sostanza, l’attacco può essere interpretato in molti modi: vendetta per l’impegno russo in Siria o ritorno del terrorismo caucasico, mai del tutto sopito e che sta dando segnali di vitalità, anche per il ritorno di centinaia di foreign fighters partiti per il Siraq; tuttavia, l’attentato in una città mai colpita dal terrorismo tocca un aspetto fondamentale del patto fra i Russi e il loro Presidente: la sicurezza ormai da anni garantita dopo la guerra feroce che ha distrutto le cellule cecene e daghestane.
Sia come sia, la narrazione fatta dai media occidentali dei due fatti, parla in maniera stucchevolmente unanime di un Putin in difficoltà dinanzi al ritorno dell’opposizione (che non c’è) e indebolito per l’attacco portato dal terrorismo alla sua città.
Atto terzo: appena dopo l’attentato terroristico, i media globali, con in testa al-Jazeera ed al-Arabiya a cui si sono accodate tutte le agenzie, hanno sparato la notizia di un raid aereo con gas nervino a Khan Sheikhoum, un piccolo villaggio siriano nel Governatorato di Idlib; a tutt’ora si parla di almeno 74 morti e molti altri feriti.
Testimoni del bombardamento al gas nervino sarebbero stati gli immancabili “white elmets”, i caschi bianchi sin qui distintisi per faziosità, essere al soldo di chi i terroristi li foraggia e raccontare balle spettacolari (vedi le fenomenali corbellerie dispensate al tempo della battaglia per Aleppo), e quel sedicente Osservatorio siriano per i diritti umani con sede a Londra, che non è altro che una cassa di risonanza di “ribelli” e qaedisti pilotata da Servizi occidentali.
 
Per il circo mediatico, il fatto che un attacco isolato contro un villaggetto non abbia alcuna valenza militare, che l’abitato fosse controllato da al-Nusra (che i gas nervini forniti da Turchi e occidentali li ha usati più volte sia pur nel più completo disinteresse della comunità internazionale), che nel villaggio fosse stato segnalato un deposito dei qaedisti, non ha alcuna importanza.
 
Si è giunti a risparare in prima pagina la strage causata da gas nervino nel sobborgo damasceno di Ghouta nel 2013, continuando in perfetta malafede ad attribuirla al Governo siriano quando è arcinoto da tempo, con tanto di prove e dichiarazioni, che fu opera dei “ribelli” con l’auto di Cia ed altri Servizi.
 
Sia come sia, in tutto il pianeta si urla contro Al-Assad, nel migliore dei casi definito un macellaio, e contro Putin che ne coprirebbe i crimini. E vedi caso, tutto ciò accade appena dopo che Washington e Bruxelles avevano lasciato cadere la vecchia pregiudiziale contro il Presidente siriano, facendo intravedere spiragli di normalizzazione dei rapporti, e appena prima la Conferenza per il sostegno al futuro della Siria, organizzata dalla Ue insieme all’Onu. E vedi caso ancora, mentre il Presidente russo, il principale alleato politico della Siria, viene descritto in difficoltà (che non esiste).
 
Se poi aggiungiamo l’ossessiva campagna investigativa e mediatica, che ha di fatto paralizzato il tentativo della goffa quanto sprovveduta Amministrazione Trump di operare un “reset” sui rapporti con la Russia, archiviando una contrapposizione alimentata ad arte, abbiamo il quadro completo; il quadro di un’offensiva condotta dai centri di potere che non si rassegnano alla sconfitta in Medio Oriente ed Europa.
 
Centri di potere, che sulla contrapposizione con la Russia e il mantenimento degli antichi equilibri nel Levante basano enormi interessi. Del resto, sarebbe ingenuo che possano accettare un radicale ridimensionamento senza tentare il tutto per tutto fino alla fine, come del resto stanno facendo.
Tentativi d’indebolire Putin e i suoi alleati, come pure di confondere le carte sulla scena mediorientale sono in atto e ce ne saranno ancora, purtroppo, come la tragedia del gas nervino dimostra; resta il fatto che i processi avviati sono ormai troppo avanti perché qualcuno possa pensare di fermare la Storia.
Apr 06, 2017 Gas nervino ed attentati  di Salvo Ardizzone

“Raid USA coinciso con offensiva dell’ISIS contro esercito siriano”

nave usasotto Ministero Difesa russo: solo 23 missili su 59 hanno colpito la base militare siriana 
07.04.2017
I terroristi dello “Stato Islamico” hanno attaccato le posizioni dell’esercito siriano sulla strada Homs-Palmira contemporaneamente all’attacco missilistico contro la base aerea di Shayrat nella provincia orientale di Homs, ha riferito una fonte a RIA Novosti.
“E’ una coincidenza che i terroristi dell’ISIS hanno attaccato le posizioni delle forze governative siriane sulla strada Homs-Palmira in concomitanza con l’attacco americano contro la base di Shayrat?” — si chiede l’interlocutore dell’agenzia.
Secondo la fonte siriana, i terroristi hanno iniziato il loro assalto sulla strada Homs-Shayrat alle 2 di notte e occupato per più di un’ora la zona, fino a quando le truppe governative non hanno inviato rinforzi. Ora l’esercito è riuscito a respingere gli islamisti nel deserto.
Il governatore della provincia di Homs aveva riferito in precedenza a RIA Novosti che la base di Shayrat, situata ad est della provincia, è il punto d’appoggio più importante per le battaglie dell’esercito siriano contro i terroristi nella zona, anche in direzione di Palmira.
Questa notte gli Stati Uniti hanno bombardato la base militare siriana di Shayrat con 59 missili da crociera Tomahawk. Donald Trump ha motivato il bombardamento in risposta all’attacco con armi chimiche nella provincia di Idlib, di cui accusa le forze governative siriane.
 
Le vittime del raid americano, secondo i dati più recenti, sono 5, mentre i feriti sono 7.
Il Pentagono ha riferito di aver cercato di “ridurre al minimo il rischio per il personale della base”, compresi i militari russi che si trovano nella struttura siriana.
A Mosca considerano le azioni di Washington come un’aggressione contro uno Stato sovrano. Secondo il presidente Vladimir Putin, il raid è stato compiuto sotto falsi pretesti.
Ministero Difesa russo: solo 23 missili su 59 hanno colpito la base militare siriana
07.04.2017
Solo 23 missili da crociera delle navi americane hanno raggiunto la base siriana di Shayrat, la sorte degli altri 36 è sconosciuta, ha dichiarato durante una conferenza stampa il portavoce del ministero della Difesa russo, il generale Igor Konashenkov.
“Il 7 aprile dalle 3.42 alle 3.56 dell’orario di Mosca (in Italia dalle 2.42 alle 2.56) dal Mar Mediterraneo a largo di Creta 2 cacciatorpedinieri della Marina americana (“Ross” e “Porter”) hanno sparato 59 missili da crociera “Tomahawk” contro la base aerea siriana di Shayrat (provincia di Homs). Secondo mezzi russi di controllo oggettivo, hanno colpito la struttura militare siriana 23 missili. Non si sa dove siano caduti i restanti 36 missili”, — ha detto.
Konashenkov ha specificato che a seguito del raid è stato distrutto un deposito con mezzi tecnici, un centro d’addestramento, una mensa e 6 hangar per le riparazioni dei caccia MiG-23, così come una stazione radar.

Nuovo attacco aereo americano in Siria, su richiesta di al-Qaeda

usa al qaidaIn questo giorno esatto, cent’anni fa, gli Stati Uniti entrarono nella prima guerra mondiale. La notte scorsa hanno invece attaccato un aeroporto siriano in modo palesemente ostile ed intenzionale. L’attacco ha fatto sì che ora al-Qaeda possa “richiedere” agli americani attacchi aerei contro obiettivi siriani. L’evento probabilmente porterà ad una guerra molto più grande.
Il 4 aprile, aerei siriani hanno colpito una sede di al-Qaeda a Khan Sheikhoun, nel governatorato di Idlib, che è sotto il controllo del gruppo terroristico. Dopo l’attacco aereo, sono stati rilasciati alcuni agenti chimici. I sintomi mostrati nei video delle locali stazioni di soccorso indicano un agente nervino. Il rilascio ha probabilmente ucciso tra 50 e 90 persone. Non si sa come il rilascio sia avvenuto.
È improbabile che il responsabile sia il governo siriano:
    – Nel 2013 il governo siriano ha rinunciato a tutte le proprie armi chimiche, come verificato da ispettori ONU.
    – L’obiettivo è militarmente e strategicamente insignificante.
    – Non c’era pressione sull’esercito siriano.
    – L’atmosfera politica internazionale era da poco tornata a favore della Siria.
Anche se la Siria avesse messo da parte qualche arma di riserva, questo sarebbe un momento ed un obiettivo totalmente sbagliati per usarla. Negli ultimi sei anni di guerra, l’esercito siriano ha seguito un percorso politico e militare molto logico. Ha agito in modo coerente, non irrazionale. È molto poco probabile che ora faccia una mossa così assurda.
La sostanza chimica utilizzata, sia essa Sarin o Soman, non era in una forma pulita. Vari testimoni hanno parlato di un “odore di marcio” e di un colore verdastro. Mentre il colore potrebbe far pensare ad una miscela con cloro, l’odore intenso di cloro è facilmente identificabile, copre gli altri e sarebbe stato rilevato da testimoni. Sarin e Soman nella loro forma pura, invece, sono incolori, inodori ed insapori. Il governo siriano una volta produceva agenti nervini su larga scala. Quelli prodotti amatorialmente non sono puri ed hanno odore (vedasi l’incidente nella metropolitana di: Tokyo 1995): è improbabile che il governo usi un prodotto di bassa qualità.
L’agente nervino rilasciato a Khan Sheikhoun, dovesse essere confermato, proviene o da munizioni nascoste nel luogo attaccato o dai gruppi terroristici locali – al-Qaeda ed Ahrar al-Sham – che l’hanno versato dopo l’attacco per incolpare il governo siriano. Il basso numero delle vittime civili fa puntare alla seconda opzione.
Diversi rapporti degli anni scorsi confermano che Al-Qaeda in Siria ha le capacità di produrre ed usare Sarin, così come altri agenti chimici. Era sotto pressione, stava perdendo la guerra. Non è la prima  volta che usano il gas. È perciò molto probabile che abbia fatto questo attacco frontale per mettere pressione al governo siriano.
Il numero delle vittime è stato inferiore rispetto agli attacchi aerei americani in Siria ed  Iraq. Nonostante ciò, i media internazionali si sono scagliati contro Assad, pur privi di alcuna prova. Le uniche immagini vengono dai Caschi Bianchi, noti per essere collusi con al-Qaeda e ISIS (video).
Ieri sera Trump “ha risposto” ordinando il lancio di 59 missili da crociera sull’aeroporto militare siriano di Al Syairat. I missili sono stati lanciati dal mare in una raffica progettata per sopraffare le difese aeree. Sei soldati siriani sono stati uccisi, otto feriti e nove jet distrutti. Secondo fonti militari siriane e russe solo 23 missili cruise hanno colpito l’aereoporto. Una decina tra il personale militare è stata uccisa o ferita, l’aeroporto gravemente danneggiato. I governi siriano e russo erano stati precedentemente avvertiti degli attacchi ed avevano evacuato la maggior parte degli uomini e delle apparecchiature critiche (l’avvertimento era parte di un accordo?). L’attacco aereo ha coinciso con un attacco terrestre dell’ISIS sul lato est dell’aeroporto.
Il Pentagono sostiene, senza alcuna prova, che il Sarin era immagazzinato nell’aeroporto e che l’attacco chimico sia stato lanciato da lì. Entrambe le cose sembrano altamente improbabili. L’aeroporto era accessibile agli ispettori dell’ ONU. Non ha difese aeree buone come altri aeroporti siriani, per esempio quello nel governatorato di Laodicea. I suoi accessi a terra non sono totalmente inaccessibili. Un sistema di difesa aerea di medio raggio era stata recentemente usata vicino al Syairat, contro aerei israeliani che attaccavano le forze siriane impegnate contro l’ISIS a Palmira.
Al Syairat si trova nel governatorato di Homs, 150 km a sud di Khan Sheikhoun, che invece è nel governatorato di Idlib. È stato in gran parte usato contro lo stato islamico, che combatte le truppe del governo siriano ad Homs est.
Al-Qaeda e il suo braccio destro Ahra al-Sham hanno accolto con favore gli attacchi degli Stati Uniti. La dittatura teocratica dell’Arabia Saudita ha offerto il proprio pieno sostegno, così come i suoi creatori britannici.
L’attacco aereo americano è un messaggio ad al-Qaeda. Ogni qualvolta si trovi sotto pressione militare, può ora attuare o fingere un “attacco chimico” e gli Stati Uniti interverranno per distruggere il nemico, ossia il governo siriano. Atti come quelli della scorsa notte sono un diretto aiuto militare fatto da Washington su richiesta di al-Qaeda.
Uno schema simile era stato in passato usato sulle alture del Golan. Al-Qaeda, in lotta contro il governo siriano, lanciava un colpo di mortaio che sarebbe atterrato nel territorio israeliano. Israele avrebbe poi attaccato sedi strategiche siriane perché “il governo è responsabile di ciò che accade nella zona”. Al-Qaeda avrebbe poi sfruttato il vantaggio del campo di battaglia creato dall’attacco israeliano. Lo schema ed il “modo di pensare” dell’esercito israeliano sono stato dichiarati più volte nei media israeliani:
    – Un certo numero di proiettili di mortaio sono finiti in territorio israeliano a seguito dei combattimenti degli ultimi anni, sollevando timori tra i residenti vicino al confine.
   –  Le Forze di difesa israeliane spesso rispondono al fuoco colpendo postazioni dell’esercito siriano.
    – Israele ritiene Damasco responsabile di tutto il fuoco versato dalla Siria in Israele, indipendentemente dalla vera fonte del fuoco.
 
L’amministrazione statunitense ha ora stabilito un meccanismo simile, su scala più ampia, di sostegno militare per al-Qaeda ed ISIS in Siria.
Le elezioni americane sono state infondatamente accusate di “interferenze russe”. Gli attacchi aerei contro la Siria potrebbero essere il riscatto chiesto per liberarsi da queste accuse. Gli avversari di Trump ora ne tessono le lodi. La denuncia di eventuali sue connessioni con Putin potrebbero ora decadere.
Ieri i principali leader democratici del Congresso hanno supportato gli attacchi alla Siria. Ciononostante, probabilmente attaccheranno il presidente per essi. Questi attacchi sono un grosso azzardo: come disse Trump quando Obama ordinò attacchi, questi sono una mossa disperata. La maggior parte del Dipartimento di Stato e del Consiglio per la Sicurezza Nazionale non sono stati consultati al riguardo. Le possibilità che questi saranno politicamente e strategicamente controproducenti sono elevate.
Trump è il terzo presidente in fila che in campagna elettorale promette meno guerre e poi, dopo le elezioni, ne fa di più. Il velo “democratico” dell’oligarchia americana si strappa così ulteriormente.
Una possibile cooperazione Stati Uniti-Russia in Siria ora non avverrà. Gli aerei U.S.A. nei cieli siriani saranno d’ora in poi sotto costante pericolo. Ci sarà anche un po’ di vendetta contro gli americani per gli attacchi di ieri sera. Probabilmente non in Siria, ma in Iraq, in Afghanistan o in mare. Un “messaggio” sarà inviato: la reazione degli Stati Uniti a quel “messaggio” potrebbe portare ad una guerra molto più grande.
Fonte: www.moonofalabama.org – 7.04.2017
Link: http://www.moonofalabama.org/2017/04/syria-us-creates-new-air-support-request-scheme-for-al-qaeda.html
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di HMG

Prime reazioni di “esultanza” per l’attacco USA nelle file dagli jihadisti in Siria

Milicianos-de-Al-Nusra-esultanoApr 07, 2017
Milicianos di Al Nusra esultano per l’attacco USA
Il Fonte Al Nusra , Jabhat Fatah Al-Sham e le altre organizzazioni jihadiste, appoggiate dagli USA e Arabia Saudita che operano in Siria,  si congratulano con Washington per l’attacco realizzato contro le forze dell’Esercito siriano e si augurano che il comando USA operi con altri attacchi successivi contro le basi e le posizioni dell’esercito siriano. Questo attacco indebolisce le forze dell’Esercito Siriano e consentirà ai gruppi Jihadisti di avanzare e recuperare le posizioni perse sul terreno di battaglia, in vista dell’obiettivo di rovesciare il Governo di Assad, impadronirsi del potere ed issare la bandiera nera dello Stato Islamico sui palazzi di Damasco.
Congratulazioni a Trump anche da parte di Israele per bocca di Netanyahu il quale, secondo molti osservatori, è il “suggeritore” dell’attacco e la mente strategica che orienta le decisioni dell’Amministrazione Trump. Esultano anche i monarchi dell’Arabia Saudita per l’avvenuto attacco e si augurano che presto gli USA intervengano massicciamente in appoggio dei gruppi mercenari jihadisti reclutati, finanziati ed armati da Rijad (e dagli USA) per rovescare il Governo di Damasco e riuscire ad imporre un regime salafita conforme alla sharia islamica in tutta la Siria. I monarchi sauditi, il Qatar e gli Emirati Arabi vedono avvicinarsi la prospettiva di un califfato islamico a Damasco.
Anche nelle capitali europee si approva l’operato di Trump, i governi filo USA ed atlantisti stanno preparando i comunicati di solidarietà ed appoggio in ossequio alla linea sempre ossequiosa e servile degli interessi americani. Questo nonostante la nuova ondata di profughi che , dalla Siria, dall’Iraq e dallo Yemen, tutte zone devastate dalle guerre americane, si abbatteranno sull’Europa.
Nel frattempo sono in corso febbrili consultazioni tra Mosca Teheran e Damasco per concordare una reazione comune all’aggressione USA.
Il Presidente lady Putin ha energicaente condannato l’azione USA come un atto di aggressione unilaterale effettuato sulla base di un falso pretesto ed ha richiesto la convocazione urgente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
Tuttavia nella situazione attuale le parole non bastano più. Risulta evidente che gli USA ed i loro alleati utilizzano non le parole ma il linguaggio delle armi.
 
Si aspettano le decisioni della Russia che si gioca in Siria la propria credibilità.
Fonti: Hispan Tv – Al Manar – Traduzione e commento: L.Lago

“La cospirazione contro il Presidente Trump”

rogersIeri, ascoltando la trasmissione della testimonianza del direttore dell’F.B.I. Comey e del Direttore della N.S.A. l’Ammiraglio Michael Rogers davanti alla Commissione Servizi Segreti della House of Representatives (un ossimoro), abbiamo appurato che i Democratici Comey, e Rogers intendono entrare in conflitto con la Russia.

I Repubblicani, per la maggior parte, erano interessati a sapere l’origine delle fughe di notizie riservate da quelle riunioni a cui erano presenti soltanto i direttori di C.I.A., F.B.I. e N.S.A.  Ovviamente, non hanno avuto risposta, il che indica quanto siano impotenti le commissioni di controllo del Congresso. Comey ha detto più volte che non poteva dire nulla alla Commissione, poiché sarebbe stato come ammettere che ci sono state realmente delle fughe di notizie. Ma, parlando in generale e di nessuna notizia trapelata in particolare, ha detto che la maggior parte di queste fughe di notizie di solito avvengono perché “qualcuno ha sentito qualcosa” e lo comunica ai mezzi di stampa, cosa che spiega anche l’imprecisione delle notizie rivelate. In altre parole..”non date la colpa a noi”.

I Democratici si sono accaniti a demonizzare Russia, Putin e tutti gli altri, i particolare i Repubblicani di Trump, che parlano ai Russi anche se in forma privata, come ha fatto il Generale Flynn, quando si è raccomandato all’ Ambasciatore Russo perché la Russia non rispondesse a tono dopo l’espulsione dei diplomatici Russi attuata dall’ex Presidente Obama a Natale scorso.

Sempre i Democratici hanno conferito a Putin un nuovo titolo demoniaco. Dopo il “nuovo Hitler”, il “criminale” e il “capo mafioso”, oggi Putin è anche “la tarantola al centro della ragnatela d’intelligence”.

La posizione dei Democratici è che Flynn, scoraggiando una risposta ostile da parte della Russia, abbia interferito con la politica del regime di Obama incentrata sul deterioramento dei rapporti USA-Russia. Alcuni Democratici hanno visto questa interferenza come un tradimento. Altri come la prova che Flynn e Trump siano marionette comandate da Putin. Altri hanno visto cose ancor peggiori.

I Democratici sono anche molto preoccupati dei lobbisti, in particolare quelli Repubblicani, che lavorano per gli interessi Russi, tra cui Tillerson, il Segretario di Stato; del fatto che tutti i paesi si avvalgono dei lobbisti, che non sempre sono registrati come agenti stranieri, come i gruppi di pressione filo-israeliani; o del fatto che le notizie non siano riportate sempre correttamente – il neocon Richard Perle, che rappresentava la Turchia a Washington.

http://www.slate.com/articles/news_and_politics/press_box/2003/04/richard_perle_libel_watch_week_4.html

I Democratici ce l’hanno con il Gen. Flynn anche per aver detto di non aver ricevuto denaro dai Russi. Flynn ha ricevuto un pagamento per la partecipazione alle celebrazioni del 10 ° anniversario della RT a Mosca. La RT, una nuova organizzazione, è il Governo Russo? Il suo bilancio è sostenuto dal Governo Russo, ma nello stesso modo in cui il Governo USA sostiene i bilanci di National Public RadioRadio Free Europe / Radio Liberty e Voice of America. Questo non significa che tutti quelli che rilasciano un’intervista a NPR, Radio Liberty e Voice of America siano degli agenti americani in tasca al Presidente americano. Il fatto di partecipare ad una celebrazione pubblica di una di queste organizzazioni non ti fa un “agente americano”. E magari anche inserito in un elenco preciso di queste persone.

Quello che i Democratici hanno tentato di fare ieri è stato criminalizzare tutti coloro che lavorano per il miglioramento delle relazioni tra Stati Uniti e Russia. Quelli che costruiscono la pace tra le potenze nucleari, per i Democratici sono ‘agenti’ inseriti in una lista. I Democratici hanno insistito nel dire che la Russia è un nostro nemico, e i Democratici non hanno avuto difficoltà a convincere Comey e Rogers – nominati da Obama – ad essere d’accordo.

Comey e Rogers hanno affermato che la Russia è la principale minaccia per gli Stati Uniti, che sta lavorando contro i nostri interessi e che si propone di farci del male. Farci del male significa opporsi all’egemonia e all’unilateralismo Statunitense. In altre parole, se il governo Russo agisce negli interessi della Russia sta danneggiando gli Stati Uniti. Dalle testimonianze è emerso chiaramente che qualsiasi tipo di opposizione a qualsiasi cosa che ha a che fare con Washington è contro gli interessi americani.

Sia Comey che Rogers hanno dichiarato, falsamente, che la Russia ha invaso l’Ucraina e sequestrato la Crimea con la forza. Se Comey e Rogers sono così poco informati e credono davvero questo, allora non sono adatti per il loro incarico. La Crimea è stata parte della Russia per 300 anni. La sua popolazione è quasi interamente russa. Quando l’Unione Sovietica è crollata e Washington l’ha ridotta in pezzi, l’Ucraina è diventata indipendente per la prima volta nella storia. La Crimea, che Krusciov trasferì nel 1954 dalla Repubblica Socialista Sovietica Russa alla Repubblica socialista sovietica Ucraina, fu trasferita a condizione che la Russia avesse un contratto di leasing a lungo termine sulla base navale in Crimea.

Quando il colpo di stato pilotato da Washington ha rovesciato il governo Ucraino Democraticamente eletto in Ucraina, le popolazioni russe in Crimea e nelle nuove repubbliche di Luhansk e Donetsk, sono state attaccate e minacciate dagli elementi neo-nazisti dell’Ucraina orientale, quelli che combatterono per Hitler contro l’Unione Sovietica. Le popolazioni di queste aree hanno votato in modo massiccio a favore della loro riunificazione con la Russia, dove erano le loro origini. Le operazioni di voto sono state eque e pubbliche. Essendo la Crimea la base della Marina Russa sul Mar Nero, era già occupata da forze Russe. Per Comey e Rogers definire questa presenza “invasione” indica ignoranza e mancanza di integrità.

Infatti, la mancanza di integrità di F.B.I., N.S.A., C.I.A. e del regime di Obama è testimoniata dalla prolungata campagna di menzogne, distorsioni, e “fughe di notizie” mirate, ovvero storie-notizie imposte dai servizi segreti alle press-titute mediatiche sull’interferenza Russa nelle elezioni presidenziali.

L’unico interesse è quello di proteggere i poteri e il corposo budget delle spese militari e di sicurezza. Poteri e budget che Trump ha minacciato, quando ha dichiarato che la sua politica sarà incentrata sulla normalizzazione dei rapporti con la Russia. Se le relazioni si normalizzeranno la “minaccia Russa” così abilmente orchestrata non ci sarà più. I servizi d’intelligence non possono tollerare che questo accada. Preferiscono l’Armageddon nucleare ai tagli di bilancio.

Probabilmente, i Democratici non sono abbastanza intelligenti per capire che stanno soffiando sul fuoco di una guerra tra potenze nucleari. Sono alla disperata ricerca di qualcuno a cui scaricare la colpa di aver perso alle elezioni; inoltre, aggrappandosi all’idea di una cospirazione tra Trump e Putin, sperano di rimuovere Trump dall’incarico presidenziale. Anche se Pence, che è un russofobo, risulta accettabile per il complesso militari/sicurezza, i Democratici sperano di liberarsi anche di lui, poiché la sua elezione è stata il prodotto di questa presunta cospirazione. E sperano quindi di riprendersi la Casa Bianca.

Gli americani devono capire che la competizione politica tra Democratici e Repubblicani oggi riguarda soltanto chi riesce a raccogliere più denaro e diventare i ‘press-tituti’ dell’Uno PerCento. Tradizionalmente, il partito che raccoglie più denaro va alla Casa Bianca, ed è qui che entrambi i partiti vogliono arrivare.

Michael Morell, sostenitore di Hillary Clinton e ultimo direttore operativo della C.I.A. dell’amministrazione Obama, destinato a coprire tale carica fin da quando la Clinton era ministro degli esteri, ha detto, “Riguardo alla questione della cospirazione di Trump con i Russi, c’e’ tanto fumo ma niente fuoco, neanche un fuocherello, neanche una scintilla. Ma ci sono tante persone in cerca di questi”.

Morell crede che siano stati i Russi ad hackerare le mail della Clinton, ma senza alcun coinvolgimento di Trump, anche se le prove indicano che la fuga di notizie sia partita dal Comitato Nazionale del Partito Democratico, da parte dei sostenitori delusi di Bernie Sanders. Il Direttore della National Intelligence eletto da Obama, James Clapper, ha detto a Meet the Press del 5 marzo scorso di non aver trovato alcuna prova di una cospirazione Putin-Trump quando ha lasciato l’incarico il 20 gennaio scorso.

Ascoltando ieri Comey e Rogers, se quei due non stanno complottando contro il presidente Trump, cos’altro stanno facendo? I sostenitori di Trump si domandano perché Trump non si libera di questi due uomini che attentano pericolosamente al ristabilimento delle tensioni tra Washington e Mosca. Ma i Democratici, Comey, Rogers, la C.I.A. e le ‘press-titute’ mediatiche, ma possibile che siano così stupidi da non capire cosa significa quando il Presidente della Russia dice: “Gli americani hanno distrutto la nostra fiducia in loro”?

Trump non si libera di Comey e Rogers, perché non può farlo. Se li licenzia, i Democratici e le ‘press-titute’ additeranno il licenziamento come prova che Trump è un agente Russo che tenta di coprire il suo tradimento, levando di mezzo chi indaga su di esso.

Trump sta ricorrendo a Twitter per rispondere all’assalto dei media orchestrato contro di lui e per incoraggiare quelli che lo hanno eletto, la classe operaria quindi, ad organizzarsi. Tuttavia, non può neanche contare sul Partito Repubblicano: la gran parte dei Repubblicani dipendono dai contributi al comparto militare/sicurezza. Inoltre, i Repubblicani sanno bene che tutte le agenzie d’intelligence hanno gli armadi pieni di scheletri. Per loro, schierarsi dalla parte di Trump significherebbe esporsi.

E’ innegabile che la C.I.A. controlla i mezzi di comunicazione, sia in Europa sia negli Stati Uniti. Il libro di Udo Ulfkotte “Gekauftge Journalisten” pubblicato in Germania nel 2014, ha rivelato l’influenza della C.I.A. sui giornalisti europei. In Maggio prossimo uscirà un’edizione inglese del libro: “Giornalisti in affitto: come la C.I.A. si compra le notizie“. Nel frattempo, il libro di Joel Whitney “Finks: come la C.I.A. ha ingannato milioni di scrittori del mondo”, basta e avanza per potersi rendere conto che i giornalisti più rispettati d’America hanno mandato giù la pillola “C.I.A.” pensando di difendere la libertà, agendo invece da propagandisti. http://www.truthdig.com/avbooth/item/joel_whitney_C.I.A._propaganda_cold_war_scheer_intelligence_20170317

Le persone in Occidente hanno bisogno di capire che se le notizie che ricevono poggiano sugli interessi del comparto militare-sicurezza degli Stati Uniti, è la C.I.A. che scrive le notizie. La C.I.A. fa i suoi interessi, non quelli dei cittadini americani o della pace.
 20.03.2017 Paul Craig Roberts Link: http://www.paulcraigroberts.org/2017/03/20/conspiracy-president-trump/
Traduzione per www.comedonchisciottte,org a cura di SKONCERTATA63