PATRICK ZAKI: GIULIO REGENI 2.0, SOROS 100.0 —– SULL’EGITTO L’ODIO DEGLI ANTI-ODIO PATENTATI —– STAMPA ITALIANA D’ECCELLENZA. NON CI RESTANO CHE I SOCIAL

https://fulviogrimaldi.blogspot.com/2020/02/patrick-zaki-giulio-regeni-20-soros.html

MONDOCANE

LUNEDÌ 10 FEBBRAIO 2020

Ve lo raccomando, come difesa dall’eccesso di presa per i glutei da parte della stampa, baby

Un nuovo Regeni: è in gioco il petrolio e la Libia

Permettetimi di raccomandarvelo: è una difesa dall’eccesso di presa per i glutei

Regeni raddoppiato

Su Giulio Regeni, dopo aver proposto ai retti e onesti tutte le notizie che media e Roberto Fico occultano e che rovesciano nel suo contrario la narrazione ufficiale (come occorrerebbe fare ogni giorno), avevo scritto una lettera aperta al presidente della Camera, oggi governista ad oltranza per amore di PD. Ma l’increscioso autore del colpo di mano che ha imposto ai parlamentari di rompere ogni relazione con il parlamento egiziano, non se n’è dato per inteso. Dando così prova della sensibilità democratica che, lo comprendiamo, con compagni di merende come PD e Italia Vivacchiante, è incompatibile. Un nuovo Regeni, l’Egitto, i media, sono l’oggetto centrale dell’odio dei nostri specialisti anti-odio e, dunque, di questo articolo. Ma partiamo da lontano.

Siamo sopravvissuti agli tsunami dell’odio rovesciatici addosso, prima, dal Giorno della Memoria e, poi, da quello del Ricordo, entrambi illustratici, come suole, con la nota correttezza dagli storici e parastorici dei vincitori. Per non farci mancare niente, hanno affiancato queste intemperie a quell’altro uragano dell’odio che ci accompagna da tempo e che riguarda gli sciagurati che, fuori da ogni discussione, si meritano l’odio degli anti-odio al potere in Occidente: Russia, Cina (oggi capolista), Siria, Iraq, Iran (sul quale si va esercitando, con particolare perizia Bilderberg, il promotore di Draghi presidente: Stefano Feltri del “Fatto”). Quanto alla Cina, oggi sottoposta a un prodromo di guerra in chiave economico-mediatica-occidentocentrica su base batteriologica, ci possiamo vantare di essere, con l’eccellenza clerico-atlantista Conte Bis, più realisti del re. Primi e, dopo giorni, ancora unici in Europa, nonostante l’OMS l’abbia ritenuto inutile, abbiamo imposto il blocco per un’epidemia influenzale che, nella sua forma in Cina (1,7 miliardi), ha ucciso quasi 800 persone e, nello stesso periodo, in quella degli USA (320 milioni), 10.000.

Ritocca all’Egitto, capofila arabo

Ma da domenica, 9 febbraio, è tornato alla ribalta un altro oggetto di sacrosanto odio, all’ennesima potenza a partire dall’insurrezione popolare che, nel 2013, ha cacciato Mohamed Morsi, il Fratello Musulmano della Sharìa per tutti, degli scioperi operai per nessuno e delle fiamme alle chiese cristiano-copte. Il reprobo di turno da anatemizzare è l’Egitto di Al Fatah al Sisi. Una nazione tornata alla laicità, all’amicizia con Mosca, di nasseriana memoria, al sostegno a una Libia in corso di riunificazione e riscatto sotto il governo di Tobruq (l’ultimo regolarmente eletto e, perciò, non riconosciuto dalla “comunità internazionale”), per mano del generale anti-Isis, Khalifa Haftar.

L’Egitto, come tutti sappiamo è, insieme a Siria, Algeria, Sudan e Libano, uno degli Stati arabi ancora non comprati, o annientati, dai colonialisti di ritorno a guida USA. Algeria, Sudan e Libano sono stati capaci, a forza di elezioni stravinte, di neutralizzare l’ennesimo tentativo colonialista di regime change alla Otpor-Soros. “Rivoluzione” affidata a manovratori di gente scontenta, strumentalizzata e spesso pagata e, in Algeria, dopo gli islamisti degli anni ’90, ai soliti berberi, quinta colonna francese fin dai tempi della liberazione.

L’Egitto, tuttavia, ha un’altra caratura. Dai tempi del liberatore Nasser, lo Stato-pilastro del panarabismo laico, strategicamente e geopoliticamente centrale per dimensioni storiche, geografichje e demografiche e ora anche per risorse energetiche, è rimasto l’unico vincitore netto della prima “Primavera Araba”, il più importante tentativo di sovvertire uno Stato sovrano in termini non militari, ma sociali e terroristici. Fallito il primo, con la sconfitta dei Fratelli Musulmani (FM), partoriti negli anni venti dalla reazione colonialista al nascente panarabismo laico e socialista, si è passati al secondo. Di nuovo con i FM, ma stavolta eminentemente in chiave terroristica, con il braccio armato jihadista dell’ISIS, impegnato in una sanguinaria guerriglia in Sinai, con le spalle coperte da Israele e con attentati contro esponenti delle istituzioni, a partire dei vertici della magistratura, che richiamano le stragi di civili e turisti, compiuti dai FM in decenni passati.

Si tratta di Libia e di Zhor

Vi annoio con un brevissimo sunto. Contro questo Egitto si scatena la canea vandeana di chi si vede sfuggire un importante pezzo del centro strategico del mondo, il Mediterraneo tracimante di petrolio e crocevia tra Est e Ovest, Nord e Sud. A punirlo per la estromissione a furor di popolo (20 milioni in piazza contro Morsi vincitore con il 17% degli aventi diritto in elezioni boicottate da tutti) del despota integralista, emerge il solito strumento dei “diritti umani”, brandito dai peggiori violatori di tali diritti. Giulio Regeni, ricercatore preso l’Università Americana del Cairo, scompare il 25 gennaio 2016 e viene ritrovato in strada, torturato a morte, il 3 febbraio.

Come con Enrico Mattei

Elementi che qualsiasi inquirente e giornalista prenderebbe in massima considerazione, ma che da noi vengono pervicacemente ignorati. Il giorno del ritrovamento di Regeni è quello in cui una missione del nostro ministero dello Sviluppo, con decine di rappresentanti delle maggiori industrie italiane, si incontra con Al Sisi per siglare contratti per miliardi, compreso quello per lo sfruttamento da parte dell’ENI di Zhor, il più grande giacimento di idrocarburi del Mediterraneo. Gas che renderà l’Egitto indipendente ed esportatore sul piano energetico e a noi fornirà approvvigionamenti certi. Non ne sono per niente contente le grandi compagnie petrolifere anglo-franco-americane. Fregate come dall’ Enrico Mattei degli accordi con l’Iran di Mossadeq. Seguiranno esiti non dissimili. L’incontro al Cairo salta.

Uno dei più attrezzati servizi segreti del mondo avrebbe fatto ritrovare un corpo da esso orrendamente mutilato, al lato di una strada principale, l’avrebbe buttato tra i piedi del suo presidente nel giorno del contrattone con il paese di cui il soggetto era cittadino. Tanto per favorire gli accordi…. Un’intelligence di cretini, tafazzisti, o Fratelli musulmani ostili al loro capo. Sciocchezze da escludere a chiunque non abbia la sciocchezza o i motivi di accusare il governo egiziano.

Cosa cercava il ricercatore italiano?

Il giovane Regeni aveva un passato da esplorare con cura. Mai fatto. La sua formazione inizia negli Stati Uniti sotto il patronaggio di ambienti dell’intelligence. Il suo lavoro prosegue nel Regno Unito al servizio di una centrale di spionaggio e commercio dati più illustre della notoria Cambridge Analytica (scandalo Facebook), la Oxford Analytica. Una potente e oscura multinazionale fondata e guidata da tre dei più illustri esponenti di un simpatico “milieu” alla marsigliese: Colin McColl, già capo dei servizi britannici, David Young, già assistente di Kissinger e John Negroponte, già ambasciatore Usa, ma soprattutto creatore degli squadroni della morte in Centroamerica e Honduras. Un aspetto trascurabile del curriculum del giovane, vero?
John Negroponte, Hillary Clinton

Al Cairo lo imbarazza un sindacalista dell’economia informale, agente della Sicurezza sotto copertura, Mohamed Abdallah, che Regeni riteneva utile a fornirgli contatti con elementi dell’opposizione. Invece l’agente lo controlla e alla fine lo inchioda con un video in cui, alla richiesta provocatoria di Abdallah di un aiuto per la madre ammalata di cancro, Regeni risponde con un diniego e poi con l’offerta di 10.000 dollari (di chi?), ma non per il caso umano, bensì per un “progetto”. Sovversivo? Il resto sono chiacchiere vane e fatti sepolti sotto il profluvio delle accuse senza base. Solo borbottio, dell’Egitto, dell’Università di Cambridge dalla quale Regeni dipendeva e anche degli inquirenti della Procura di Roma. Silenzio, ma tra enormi boatos propagandistici sull’Egitto dittatoriale, torturatore, decimatore del suo popolo. Silenzio sui danni che vanno facendo questi boatos all’Egitto turistico e geopolitico, sui favori che questi boatos vanno facendo ai concorrenti dell’Italia nei rapporti con l’Egitto. Modello Libia di Gheddafi e poi di Al Serraj. Siamo sempre stati bravi a offrire gratis vasellina a chi non ci vuole troppo bene.

Pensate, i rimbrotti riservati a Erdogan, padrino dei tagliagole in tutto il MO, sono carezze rispetto all’esecrazione di Al Sisi. Nonostante che, con disprezzo assoluto per tutti e per ogni legge, il sultano pirata s’è preso la fascia del petrolio che congiunge la Turchia alla Libia. E’ che lui, alla faccia della dabbenaggine dei russi, resta solidamente incastonato nel consorzio imperialista della Nato. E gli USA lo sanno e lasciano fare. E lo sappiamo anche noialtri, che ce lo lasciamo fare.

Ma silenzio soprattutto su due elementi che neanche il fratello scemo dell’ispettore Clouseau avrebbe ignorato. Botta all’Egitto: un cittadino del paese estero privilegiato, dai servizi egiziani rapito, ucciso e fatto ritrovare nel giorno degli accordi tra i due partner. Botta ai mandanti di un possibile provocatore smascherato e quindi bruciato e quindi da eliminare, possibilmente attribuendone la paternità al governo da provocare. Vi stupite che i rispettivi governi con le loro magistrature, presi in questo pasticcio che coinvolge alleati potentissimi, traccheggino da quattro anni e non sappiano come uscirne? Dando libero campo. con inchieste parlamentari, articoli alla stricnina, striscioni, ai Bonino, Manconi, Colombo, Fico, sindaci vari e media tutti, a una delle più feroci campagne d’odio contro un altro paese e di danno al proprio che si siano mai viste.

Lo spirito di Hillary nei media italiani

A sostegno di tutto questo c’è un terzo elemento rigorosamente occultato. Quando Amnesty (figuriamoci, sono quelli che mostrificano tutti coloro che gli Usa devono far fuori) e, al seguito, “il manifesto” e gli altri parlano di decine di migliaia catturati, spariti, uccisi, ci devono far pensare a gente come te e me e nostri parenti e amici. Mica a migliaia di jihadisti dell’ISIS messi in campo dai Fratelli Musulmani, loro storica espressione politica e ora lanciati contro l’Egitto in una vera e propria guerra pseudo-civile del terrorismo provatamente affiliato e devoto alle Potenze occidentali, che continua dalla caduta di Morsi e prosegue con l’eccidio di centinaia di civili e soldati egiziani, soprattutto nel Sinai. Terroristi in guerra contro lo Stato fatti passare per innocenti civili colpevoli di dissenso. C’è, in questo, una spudoratezza paragonabile alla sghignazzata di Hillary Clinton quando annuncia il linciaggio di Gheddafi.

Spuntano quelli di Soros

Ebbene ci risiamo. Alle celebrazioni per Regeni e agli anatemi contro il “dittatore”, ora si affianca, rilanciando quelli, una campagna altrettanto violenta per l’arresto di Patrick George Zaki, studente a Bologna, rientrato in Egitto, fermato all’aeroporto ed, entro la nottata, trasferito nella sua città natale Mansura dove gli è stato confermato un fermo di 15 giorni e dove ha potuto incontrare legali e famigliari. Vi risparmio i miei commenti. Parlano da soli i titoli che riproduco e che riproducono il solito unanimismo di regime tra giornaluccoli come i sovvenzionati “il manifesto” o il “Foglio”, in edicola in virtù di chi non li compra, alle grandi testate main stream, vanto dell’FNSI, come di Usa, UE e Nato.

Aggiungo solo, per deontologia, un dovere da rintracciare nei meandri di incunaboli antichi, che non c’è un filo di verità nelle accuse di torture, bastonate, frustate per ore con cavi elettrici, elettrochoc, riferite ai carcerieri egiziani. I legali di Zaki, studente di questioni di genere, hanno riferito: “Zaki era molto provato, abbiamo parlato del caso giudiziario e di ciò che è successo”. Punto. Che sia “provato” è comprensibile. Il resto è fuffa. Sembra quasi un comunicato ufficiale della Questura, spedito ai giornali. Ma l’hanno detto un amico, una sorella e Mohamed Lotfy, amico di Zaki e direttore di un’associazione dei diritti umani. Tutti senza aver avuto un minuto di contatto con la “vittima”.

Infine, non è forse del tutto sprecato che si sappia che, in una foto diffusa da La7, dietro al volto di Zaki appare, appeso alla parete un poster con il pugno reso indimenticabile da Otpor a Belgrado e, poi, in tutte le “rivoluzioni colorate”. Zaki è membro dell’EIPR. “Iniziativa Egiziana per i Diritti della Persona” che si occupa in prevalenza di questioni di genere e di impedimenti alle pratiche religiose per motivi di laicità dello Stato. Dalle sue pagine internet si evince una stretta relazione con “Freedom House”, uno dei Think Tank neocon impegnati, come la Cia e NED, nella sovversione in paesi disobbedienti. EIPR ne ha preso le difese quando è stata multata per aver violato il divieto di farsi finanziare da enti stranieri. Divieto che ha visto inquisite altre 13 organizzazioni per i diritti umani, in parte legate a Soros. Hassam Baghat, fondatore di EIPR, nel 2010 ha ricevuto il premio per “Attivismo Straordinario” da “Human Rights Watch”. I comunicati di EIPR sono riportati e diffusi dalla “Open Society Foundation” di George Soros.

https://www.atlanticphilanthropies.org/wp-content/uploads/2016/04/Resource_Doc_Human_Rights_and_International_Justice_Report.pdf

A questo link troverete il lungo elenco delle organizzazioni sorelle che nel mondo collaborano per i “diritti umani”. Accanto a Open Society di Soros, Amnesty International, Human Rights Watch, Riockefeller Foundation, Ford Foundation, Avaaz e altri esperti castigatori di nemici dell’Occidente, chi trovate? “Egyptian Initiative for Personal Rights” (EIPR) di Patrick George ZakySono sorprendenti le misure cautelari delle autorità egiziane? Sorprendono le accuse di nequizie subito sparate dai media? Ne va di Zhor, ne va della Libia, ne va di più migranti, né va di diritti umani come visti dal colonialismo. Tout se tien.

Facebook ti banna, Google ti censura, Twitter ti cancella, Instagram ti esclude. Tutto vero, tutto bruttissimo. Ma di fronte a questa stampa-tv, che il cielo ci preservi i social media!

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 19:33

Stragi nazifasciste, l'”Armadio della vergogna” adesso consultabile online

https://espresso.repubblica.it/attualita/2016/02/15/news/stragi-nazifasciste-l-armadio-della-vergogna-adesso-consultabile-online-1.250535?fbclid=IwAR3IwtkjZUvNmZfCpSDiWAyZSSuIIJEQC_Wk1C7yvqLrCgmgDmHETzigNmA

La Camera pubblica i 695 fascicoli sugli eccidi commessi in Italia dai nazisti fra il ’43 e il ’45: da Marzabotto a Sant’Anna di Stazzema. Le battaglie di Franco Giustolisi sull’Espresso perché fossero condannati i colpevoli

DI PIER VITTORIO BUFFA

15 febbraio 2016

Stragi nazifasciste, l'Armadio della vergogna adesso consultabile online

L’ “Armadio della vergogna”, adesso, si potrà quasi toccare con mano. Dal proprio computer si potrà entrare nei singoli fascicoli, leggere documenti, chiederne copia. Vedere, personalmente, senza intermediari, quello che per decenni è rimasto chiuso in un archivio, sepolto, sottratto alla ricerca della verità.

Da domani, 16 febbraio, la Camera dei deputati mette online le tredicimila pagine dei documenti della Commissione parlamentare che aveva indagato sulle stragi nazifasciste e sull’occultamento dei fascicoli in quello che è stato poi chiamato l’ “Armadio della vergogna”. Fu Franco Giustolisi, che per primo, sull’Espresso, ne denunciò l’esistenza, a battezzare così un archivio ritrovato nel 1994 in uno scantinato della procura generale militare. Dentro vi erano 695 fascicoli che riguardavano gli eccidi commessi dai nazisti e dai fascisti durante gli anni della guerra in Italia, dal 1943 al 1945. Fascicoli con nomi e cognomi dei colpevoli, elenchi di vittime, testimonianze raccolte da carabinieri o da militari inglesi e americani, spesso anche a pochi giorni dai fatti. Fascicoli in cui è scritta la terribile storia della guerra condotta da nazisti e fascisti contro la popolazione italiana. La guerra contro i civili che causò almeno 15.000 morti.

Quei fascicoli, nel 1960, furono “provvisoriamente archiviati”, un provvedimento abnorme non previsto da alcuna norma, e che è consistito, semplicemente, nella loro “sepoltura nell’ “Armadio della vergogna”. La ragione fu politica. Processi che mettevano alla sbarra ex ufficiali dell’esercito tedesco con l’accusa di centinaia di omicidi non avrebbero giovato ai buoni rapporti tra Italia e Germania occidentale.

Nel 1994 i fascicoli riappaiono durante le indagini su Erich Priebke, poi condannato per l’eccidio delle Fosse Ardeatine. Il primo articolo che ne parla, firmato da Alessandro De Feo e Franco Giustolisi, esce sull’’Espresso nel 1996. Da Roma i fascicoli partono per le procure militari competenti. Vengono riprese, dopo cinquant’anni, le indagini, si celebrano processi dove sfilano a decine i testimoni diretti di quegli orrori, i sopravvissuti. Gli imputati sono ufficiali e sottufficiali delle forze armate tedesche. Molti vengono assolti, una cinquantina condannati all’ergastolo. Ci sono i responsabili delle stragi di Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, Fivizzano, Civitella in val di Chiana… Ma le sentenze non vengono mai eseguite, nessuno ne chiede mai davvero l’esecuzione.

La pressione dell’opinione pubblica aumenta, Giustolisi e l’Espresso sono in prima linea. Nel 2003 viene istituita una Commissione parlamentare di inchiesta. I documenti inviati dai tribunali vengono catalogati e studiati, le audizioni sono numerose ma alla fine le relazioni saranno due. Una di maggioranza che non attribuisce a una precisa volontà politica l’affossamento delle inchieste. Una di minoranza, firmata dal deputato dei Democratici di sinistra Carlo Carli, che dice esattamente l’opposto.

Adesso l’accesso diretto ai documenti della Commissione dovrebbe consentire una più ampia presa di coscienza sulla profonda ingiustizia perpetrata ai danni delle vittime di quelle stragi.  Dice la presidente della Camera Laura Boldrini: “Sono contenta che il percorso di trasparenza di Montecitorio si arricchisca di un nuovo e importante capitolo perché un Paese veramente democratico non può avere paura del proprio passato”. Restano, nella coscienza del nostro Paese e oltre al silenzio durato mezzo secolo, quelle condanne all’ergastolo dei criminali nazisti che nessuno ha mai cercato di eseguire. E il destino di altre decine di fascicoli che non sono mai stati oggetto di vere indagini e che sono simbolicamente tornati nell’ “Armadio della vergogna ”.

TAV, POSTI DI BLOCCO A SALBERTRAND: PRIME ATTIVITÀ PER LA FABBRICA DELLO SMARINO

https://www.valsusaoggi.it/tav-in-valsusa-posti-di-blocco-a-salbertrand-prime-attivita-per-la-fabbrica-dello-smarino/

SALBERTRAND – Questa mattina, mercoledì 5 febbraio, Telt sta incontrando alcuni proprietari dei terreni che ospiteranno la fabbrica dello smarino a Salbertrand. Da oggi in poi, i tecnici di Telt effettueranno le prime analisi e campionamenti sui terreni. Le forze dell’ordine hanno allestito presidi e dei posti di blocco con agenti in tenuta antisommossa sul ponte che porta all’area interessata e fuori dalla stazione ferroviaria.

LA COMUNICAZIONE DI TELT

A fine luglio 2019, Telt aveva diffuso questo comunicato stampa, anticipando le varie attività avviate da oggi. Lo riportiamo integralmente.

“In vista dei lavori definitivi per il tunnel di base della Torino-Lione lato Italia, nel comune di Salbertrand è in programma il recupero di un’ampia area ex-industriale per la quale sono state avviate le attività di informazione ai proprietari dei terreni interessati. In base alla Variante di cantierizzazione approvata dal CIPE a Marzo 2018, la delibera fissa per i 14 ettari stretti tra il corso del fiume Dora e il tracciato dell’attuale linea ferrovia, un percorso volto alla messa in servizio dell’impianto industriale per la valorizzazione dei materiali di scavo estratti a La Maddalena di Chiomonte. La fabbrica, con uffici, aree di stoccaggio e depurazione delle acque, avrà lo scopo di produrre i conci di rivestimento del tunnel di base e impiegherà fino a 100 persone.

Per questa attività di recupero dell’area di Salbertrand, oggi in completo stato di abbandono, è stata data comunicazione ai proprietari delle aree interessate, secondo quanto stabilito dal Testo Unico Espropri (Decreto del Presidente della Repubblica 327/2001). La fase iniziale della procedura è volta non solo a informare i proprietari, ma anche ad attivare un’interlocuzione al fine di raggiungere una valutazione il più possibile esatta del valore dei terreni e dei fabbricati che insistono sull’area. 

Come in altri casi legati alla Torino-Lione, questa occupazione delle aree ha una natura temporanea e al termine dei cantieri i terreni saranno restituiti riqualificati ai proprietari, i quali fin da ora possono prendere visione del progetto”.

No Tav, Torino-Lione è delitto climatico

https://www.ansa.it/piemonte/notizie/2019/12/07/no-tav-torino-lione-e-delitto-climatico_4d560e90-c8c7-43ef-9b92-44298b5cd044.html?fbclid=IwAR2tjnDYqsC1BwEvulm0y6tUgVMMWG1ufQAUKmBU_XHleJQABkS2jAsNQ8o

Domani (08-DIC) in Val Susa nuova marcia contro la nuova ferrovia

(ANSA) – TORINO, 7 DIC – La nuova ferrovia ad alta velocità Torino-Lione “è un delitto climatico”. E’ la definizione dell’infrastruttura data dal movimento No Tav, che domani darà vita in Valle di Susa (Torino) a una nuova marcia. “Qualsiasi strategia che si propone di ottenere una riduzione immediata dei consumi energetici – spiega il movimento No Tav – è da preferirsi rispetto alle Grandi Opere come la Torino-Lione che già durante la fase di cantiere emettono gigantesche quantità di CO2. Per il tunnel di base non è stato rilasciato dai proponenti alcun studio certificato di bilancio di carbonio che dimostri che l’opera possa ridurre effettivamente le emissioni climalteranti”.
    Secondo il movimento No Tav “la dimensione del cantiere (scavo totale di 42 milioni di m3), l’elevata potenza dei treni, nonché i consumi energetici per il raffreddamento e la ventilazione in fase di esercizio (circa 190 GWh/anno, pari alla domanda di circa 70.000 famiglie) vanificherebbero ogni eventuale futuro risparmio di emissioni serra”.

Sul Tav che c’è ma non esiste, il treno sfreccia in Val Susa

https://ilmanifesto.it/sul-tav-che-ce-ma-non-esiste-il-treno-sfreccia-in-val-susa/?fbclid=IwAR032ANQ9x3X71Is0E0wWElTTsVbDNhoH-WB8WGu064DDQaX_0Ds2oiVUbg

manifesto

Alta velocità. In pochi lo sanno ma è partito in via «sperimentale» sulla ferrovia ritenuta «obsoleta»

Il tav sfreccia sui vecchi binari in Val Susa

Il tav sfreccia sui vecchi binari in Val Susa 

L’appuntamento con la Storia cade in un fatidico sabato di febbraio a mezzogiorno: il primo viaggio con il Tav in val Susa, in partenza da Porta Susa, stazione torinese trasformata da casetta tardo ottocentesca a mega galattico edificio in vetro che accoglie il traffico dei treni ad alta velocità che attraversano Torino.

Il Tav, Treno Alta Velocità, c’è già. Non c’è da aspettare altre decadi per salirci, niente scontri e manifestazioni, basta madamin e adunate la domenica mattina a Torino per reclamare a gran voce il diritto al progresso: basta fare il biglietto e si parte.

QUESTA È LA STORIA DI UNA non storia, ovvero di un viaggio su un Frecciarossa 1000 – il più bello, il più avanzato, il più veloce – lungo una tratta dove non dovrebbe esistere. Un territorio che nella percezione collettiva, grazie a certosino e pluriennale lavoro di mistificazione, ha assunto le forme di una mescolanza tra la Siberia e il Far West: un luogo isolato e vissuto da bizzarre popolazioni devote a Ned Ludd, montanari che, come disse la madamin vestita d’arancio solo un anno fa, «Se ci credono veramente e amano la decrescita felice, qui intorno in Piemonte ci sono tante meravigliose valli, dove possono comprarsi una mucca e una pecora e decrescere felicemente, ma che lascino vivere noi». Magari la signora non lo sa ma anche lei da qualche settimana ha la possibilità di andare fino in cima alla val Susa con un Frecciarossa 1000. E nel 2020 tutti coloro che sentiranno l’urgenza di correre a prendere l’aperitivo a Parigi potranno farlo sempre in Alta Velocità Trenitalia: Milano-Parigi, passando da Torino.

MA TORNIAMO AL NOSTRO viaggio nella valle che si oppone al «progresso» e che così isola l’intera economia italiana. Ogni fine settimana si ha la possibilità di raggiungere la località turistica di Bardonecchia, dove la corsa termina prima del traforo del Frejus e quindi della Francia. Tunnel nella montagna storico, progettato e realizzato grazie a Cavour, diventato ingenerosamente simbolo dell’obsolescenza tecnologica del patrimonio ferroviario italiano.

SI PARTE ALLE DODICI E DIECI da Porta Susa, puntuali. Il treno è in arrivo da lontano, da Napoli: un vero servizio ad alta velocità che collega il sud con il nord. Si procede nel silenzio e ci si immette lungo la «linea storica», locuzione che nel tempo ha preso un significato unico: desueta, moribonda, scassata. «Io penso straparli chi racconta oggi che la linea storica tra Francia e Italia va bene. E come se dicesse che gli asini volano»: a dirlo fu il già commissario straordinario per la Torino-Lione Paolo Foietta, appena un anno fa. Lui intendeva il tunnel del Frejus per le merci, però anche quelle passano già. Scorrono i paesi del fondo valle al di là del finestrino. Collegno, Alpignano, Avigliana e così via, in un ambiente che mescola campi di grano, villette e capannoni industriali. Il viaggio in sé non ha nulla di emozionante, e non si ha nemmeno la percezione della velocità con cui si attraversano i boschi che si susseguono. È chiaramente un linea che si sviluppa in una montagna fortemente antropizzata, perché cammin facendo si possono vedere, parallele, la poco distante autostrada e la statale: si intravede perfino il cantiere di Chiomonte dove è stato scavato un tunnel geognostico, oggetto di scontri furibondi. Ma probabilmente non c’è chilometro di questo percorso che non sia associabile a un punto da cui scaturisce il ricordo di una contestazione, una marcia, una protesta.

IL TRENO IN SÉ È CONFORTEVOLE e silenzioso, un lusso se rapportato ai treni che solitamente passano da queste parti. Non c’è la folla, ma non è nemmeno deserto, numerosi sono i turisti recuperati lungo lo stivale che vogliono raggiungere le piste da sci della Via Lattea. D’altronde, da quanto si capisce indagando sul Tav in Val Susa, si tratta di una linea «commerciale» ancora in fase di test: per capire l’effetto che fa e decidere se dargli un futuro internazionale, come pare sarà. Nonostante che il tunnel di base sia lontano dalla sua realizzazione. Scorrerebbe quest’ultimo quasi ottocento metri al di sotto di dove siamo noi, parallelo ma nel cuore della montagna per quasi sessanta chilometri. Ad una velocità maggiore di quanto andiamo en plein air indubbiamente, ma anch’essa lontana dalle potenzialità di un Frecciarossa 1000. Nessuna barricata interrompe la corsa, nessun autoctono si pone lungo la linea che si dipana prima in una larga pianura poi nelle gole da cui si possono godere mirabili panorami alpini e spettacolari fortezze.

SI DIRÀ: MA NON PROSEGUE verso la Francia a causa del tunnel antiquato, «una mulattiera di montagna» come disse qualche pasdaran del tunnel di base. Eppure, probabilmente già quest’anno, i tempi di percorrenza del Torino-Parigi e del Torino-Roma saranno concorrenziali. Senza dimenticare che Tgv francese corre da Milano a Parigi e ritorno da molti anni. Ovviamente il tunnel di base taglierebbe ulteriormente i tempi, ma qui torna in mente la famosa «valutazione costi benefici» redatta dal ministero dei Trasporti nel 2018, che certificava quanto il maxi investimento nella nuova linea sia sproporzionato.

DOPO LE GOLE DELLA PARTE centrale della valle, si giunge a Oulx, paese di mezza valle da cui partono i migranti che affrontano la Rotta Alpina: ma questa è un’altra storia. La stazione è raccolta, in pietra, sulla banchina si accalcano gli sciatori in attesa dei treni regionali che li riporteranno a Torino. La neve, poca e spazzata dal vento, copre a chiazze il vasto fondo valle dove spuntano le baite e i primi alberghi dalle insegne colorate. Un territorio che sta facendo i conti con il cambiamento climatico che mette a rischio le stazioni sciistiche al di sotto dei duemila metri. E poi via per gli ultimi chilometri percorsi lesti lesti ancora in un paesaggio boscoso, circondato da aguzze vette innevate che superano i tremila metri, direzione Bardonecchia, dove si giunge dopo un’ora e quindici minuti di viaggio in perfetto orario. Rispetto a un treno regionale vengono «guadagnati» una manciata di minuti. «Io non lo sapevo che la Tav arrivava in val Susa», provoco la mia vicina di sedile. Che conferma: «Manco io, pensavo fossero più isolati da queste parti». Ma pensa un po’.

VERDI EUROPEI: TAV È UN’OPERA NON PRIORITARIA NÉ PER ITALIA NÉ PER FRANCIA

http://verdi.it/verdi-europei-tav-e-unopera-non-prioritaria-ne-per-italia-ne-per-francia/?fbclid=IwAR0Q_tYCEKiPrVmnS-FH_xvUKZ2P5l1eeSJun4GsKPuoJCPqpGKSELkDs10

Il Governo italiano è ancora una volta diviso sull’interrompere o meno i lavori per la TAV. Attivisti e politici verdi italiani e francesi si sono da sempre schierati insieme contro questo progetto. Ecco una dichiarazione congiunta della co-presidente del Partito Verde Europeo Monica Frassoni e l’eurodeputata dei Verdi francesi e presidente della Commissione per i trasporti e il turismo Karima Delli
tav cantiere

Il Governo italiano è ancora una volta diviso sull’interrompere o meno i lavori per il tunnel della Valsusa. Attivisti e politici verdi italiani e francesi si sono da sempre schierati insieme contro questo progetto.

In una dichiarazione congiunta la co-presidente del Partito Verde Europeo Monica Frassoni e l’eurodeputata dei Verdi francesi e presidente della Commissione per i trasporti e il turismo Karima Delli hanno così commentato:

“Il governo italiano sta da mesi cercando l’accordo fra due forze politiche dai programmi completamente contraddittori. Sono ormai 8 mesi che stiamo aspettando che l’analisi costi e benefici venga a nutrire un dibattito che è oggi ideologico e spesso slegato dai dati di fatto concreti. Ribadiamo perciò la nostra convinzione che il tunnel della Valsusa non sia un’opera prioritaria né per l’Italia né per la Francia né per l’Europa.

Non si tratta, contrariamente alla convinzione di molti, di una nuova linea ferroviaria ad alta velocità.
Del progetto originario di una linea ad alta velocità lunga 270 km, quello che rimane oggi è solo il tunnel della Valsusa, lungo 57,5 km. Il progetto era stato proposto sulla base di stime di traffico in gran parte esagerate: tra il 1980 e il 2000, il traffico sulla linea attuale era di 7/10 milioni di tonnellate, mentre oggi si è ridotto a 3 milioni di tonnellate.

Anche il progetto si è negli anni prosciugato, riducendosi al tunnel, ossia la parte più mediatica ma anche meno necessaria.

Non c’è inoltre alcun pericolo di sanzioni da parte dell’Unione europea. L’UE aveva deciso di finanziare solo opere preliminari e studi per 813 milioni di euro, in relazione al bilancio pluriannuale 2014-2020, chiaramente insufficienti per coprire tutta l’opera. Non è stata ancora presa alcuna decisione in merito a quali opere andranno i fondi del bilancio 2021-2027. Ciò significa che non sono ancora stati stanziati nuovi fondi e che non ci sono sanzioni da pagare.

Quello che invece è possibile e doveroso fare è potenziare la linea ferroviaria già esistente (attraverso interventi mirati che migliorino capacità ed efficienza di carico), che ha un potenziale pari a 20/21 milioni di tonnellate l’anno. Non c’è alcuna giustificazione economica (né tantomeno ambientale) per la costruzione di un ulteriore valico, quando si può puntare sulla linea attuale.

Riaprire seriamente la discussione sulla necessità di quest’opera, non solo in Italia ma anche in Francia e in Europa sarebbe un segno tangibile del fatto che i governi prendono sul serio la lotta ai cambiamenti climatici, investendo invece in posti di lavoro verdi, energie e infrastrutture sostenibili e innovative.”

Perché la Mappa delle Tribù dei Nativi Americani non si trova sui libri di Storia?

https://www.vanillamagazine.it/perche-la-mappa-delle-tribu-dei-nativi-americani-non-si-trova-sui-libri-di-storia/?fbclid=IwAR0rJ6PAuZ8uOgZF0bO1DVf582vsMdN95tchWIp3kuzjZiG9AK43E1du4VA

La storia del continente americano è lunga e articolata, e conobbe un punto di svolta decisivo nel 1492, anno della sua scoperta (o ri-scoperta, dopo i primi contatti con i Vichinghi nel Canada) da parte di Cristoforo Colombo. Durante i secoli successivi, in particolar modo il XVII, il XVIII e il XIX, tutta una serie di popoli europei si contesero il dominio della zona conosciuta oggi come Stati Uniti d’America, sterminando quasi completamente le popolazioni indigene locali sopravvissute alle malattie che importarono gli Europei.

Anche la parte Sud del continente e l’attuale Messico non furono risparmiate, con i “conquistadores” che distrussero per sempre culture ed etnie di quei popoli antichissimi

L’opera di sterminio fu semplice soprattutto all’inizio del processo, quando furono sufficienti le malattie europee, sconosciute ai nativi, per decimare la popolazione e operare il genocidio mediante “armi biologiche”. Questo particolare è spesso sconosciuto a molti che discutono delle successive Guerre Indiane, ma la conquista degli europei fu possibile proprio grazie alla quasi immediata morte della stragrande maggioranza dei nativi americani, sia al nord sia al sud.

Si stima che tra l’80% ed il 95% della popolazione indigena delle Americhe perì in un periodo di tempo che va dal 1492 al 1550 per effetto delle malattie

Vaiolo, morbillo, influenza ma anche semplici raffreddori o varicella furono la causa della morte del 10% dell’allora popolazione mondiale, che allora era globalmente di circa 500 milioni di persone.

Fatta questa dovuta premessa, che è fondamentale per comprendere quanto fu successivamente semplice, da parte dei conquistatori europei, impossessarsi di un continente immenso ormai privo di abitanti, è bene specificare che, in seguito, i popoli restanti furono sostanzialmente sterminati per impossessarsi di risorse e terre.

La domanda del titolo, semplice e provocatoria, vuol far riflettere sulla comprensione storiografica di alcuni processi umani come le conquiste e lo sterminio. Su Vanilla Magazine abbiamo già parlato della “Leggenda Nera”, che fece apparire gli spagnoli assai più terribili di quanto non fossero, mentre non abbiamo ancora analizzato il processo di “dimenticanza” dello sterminio dei nativi americani.

La storiografia mondiale, con una visione prettamente occidentale, ha evitato a lungo parole come “genocidio“, “sterminio” e simili, e ancor oggi, in particolar modo nelle scuole statunitensi, non si studiano le popolazioni native come parte fondante della storia del continente. Soltanto durante la metà del XX secolo si iniziarono a percepire le dimensioni di ciò che era accaduto, principalmente grazie a libri come “Seppellite il mio cuore a Wounded Knee o simili, capaci di sensibilizzare le persone riguardo una storia (per allora) quasi sconosciuta.

Lo sterminio delle popolazioni native fu sistematico, e sistematicamente fu perpetrato per accaparrarsi il maggior numero di risorse e ricchezze del continente. La considerazione da parte della storia, quella diffusa mediante i libri scolastici ma anche nella cultura popolare occidentale, non vede il Nord-America come una zona che fu invasa da popoli conquistatori, ma viene considerata come una “scoperta”, come se prima dell’uomo bianco il continente non esistesse, o non esistesse nulla che oggi valga la pena di essere ricordato. La ricerca storica può ridare un nome e un volto a quelle popolazioni che, per millenni, furono protagoniste della storia americana.

Il Nord America e le sue Tribù

Nel Nord America nel XIX secolo erano presenti circa 1.000 tribù, mentre oggi sono registrati 566 gruppi etnici distinti nell’ancora attivo Bureau of Indian Affairs. Gli altri sono definitivamente estinti, ma anche quelli rimasti (a parte qualcuno) non sono che sparuti gruppi di minuscole dimensioni. Durante le guerre di conquista, l’epoca del selvaggio West e gli anni seguenti, la popolazione totale dei nativi americani negli Stati Uniti raggiunse il suo minimo storico a 250.000 persone. Per comprendere l’entità demografica, basti pensare che la popolazione di una città come Verona era distribuita in tutti gli USA.

Oggi i nativi hanno riguadagnato terreno e sono circa 2,9 milioni, ma rappresentano soltanto che l’1,5% del totale della popolazione statunitense. Le tribù più popolose sono quelle dei Navajo, Cherokee, Choctaw, Sioux, Chippewa, Apache, Piedi Neri, Irochesi e il Pueblo.

Le regioni in cui viene tradizionalmente divisa l’America del Nord sono 8, affini per linguaggio e usanze:

  • Costa Nord-Ovest: fu una delle regioni più facili in cui vissero i nativi. Non dovevano coltivare perché le risorse naturali erano ben più che sufficienti a sfamare la popolazione, e rimangono famosi per le case in legno, i totem e e le lunghissime canoe.
  • Plateau: La zona fra le montagne Cascade e le Montagne Rocciose, in cui vivevano le popolazioni più provate dalla natura. Le loro case erano a volte interrate, e vivevano di caccia e coltivazioni.
  • California: le tribù californiane erano oltre 100, e sopravvivevano grazie all’abbondanza di risorse naturali.
  • Il Grande Bacino: la zona compresa fra gli attuali Nevada, Utah e Colorado, furono abitanti di una terra arida e difficile, poco interessante per i coloni che infatti vi giunsero tardissimo.
  • Sud Ovest: In questa zona si trovavano alcune delle tribù oggi più popolose come i Navajo, gli Apache e i Pueblo. Essi costruivano case in mattoni, cacciavano e coltivavano, rappresentando forse le popolazioni più evolute come tecniche di sopravvivenza organizzate.
  • La Grande Pianura: il popolo più famoso per la caccia al bisonte e per i loro Tepee, le tende che montavano seguendo le migrazioni delle grandi mandrie.
  • Nord Est: Nella zona attualmente occupata da città come New York, Boston, Filadelfia, Baltimora e Washington, si trovavano tribù che potevano essere sia nomadi sia stanziali, che trovavano provviste e risorse dai grandi fiumi e sulla costa.
  • Sud Est: Nella zona dove oggi si trova la città di Miami si trovava la tribù più popolosa, i Cherokee, che come le altre limitrofe era stanziale e si occupava principalmente di agricoltura.

Le loro lingue

Nonostante non sia rimasta una forma scritta delle lingue dei nativi, esse costituivano un numero enorme, quasi 1.000 diverse forme di comunicazione differenti. Di queste ne rimangono oggi 296, le altre 704 sono dimenticate, per sempre. Quelle rimanenti vengono classificate in 29 macrogruppi, con alcune che non appartengono a nessuna classificazione. Oggi sono pochissime le lingue che vengono parlate correntemente da uomini moderni, e la maggior parte di queste saranno dimenticate entro 100 anni.

Per comprendere la ricchezza delle diverse culture native, è possibile immaginare come, a soli 100 Km di distanza, due nativi non avrebbero potuto comunicare se non a gesti

Dei 1.000 tipi di linguaggi presenti, soltanto 8 sopravvivranno al passare del tempo, e sono il Navajo, Cree, Ojibwa, Cherokee, Dakota, Apache, Piedi Neri e Choctaw, perché parlate da un numero di persone (ancora) rilevante.

Le altre svaniranno, come è svanita buona parte della storia del Grande Popolo degli Uomini

L’auspicio è quello che la storiografia riesca a includere anche grandi parti di storia dei popoli nativi americani, rendendo giustizia postuma a popolazioni che avevano un livello di civiltà elevatissimo e diverso dai valori di conquista europei.

Occupazione temporanee, militarizzazione e greenwashing

https://www.notav.info/post/occupazione-temporanee-militarizzazione-e-greenwashing/

notav.info

12 Febbraio 2020 at 20:02

“Greenwashing è un neologismo indicante la strategia di comunicazione di certe imprese, organizzazioni o istituzioni politiche finalizzata a costruire un’immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale, allo scopo di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dagli effetti negativi per l’ambiente dovuti alle proprie attività o ai propri prodotti.” (Wikipedia)

Stamattina quello che avvenuto nei terreni di Giaglione è proprio questo, un’operazione di Greenwashing operata da Telt per “salvaguardare” l’habitat e il futuro della farfalla Zerynthia, specie protetta dal movimento notav.

Ora al peggio non c’è mai fine e ci chiediamo come si possa salvaguardare l’ambiente spianando i terreni, tagliando gli alberi, bucando la montagna e inquinando in ogni modo.

Il Tav non difenderà mai nè l’ambiente nè chi lo vive, anzi è un problema per entrambi!

Inoltre quest’occupazione temporanea, fatta con la consueta militarizzazione vergognosa, contava di comprare i proprietari dei terreni con ben 50 centesimi al metro quadro, e siamo sicuri che utilizzerà a suo piacimento questa procedura, per tentare di impossessarsi di qualche altra porzione di terreno in Val Clarea.

Non lasceremo mai che la nostra terra e tutti quella che la abitano, dalle persone agli insetti, possano subire l’ennesimo ecocidio, e come sempre, attueremo le migliori strategie per impedirglielo.

“TELT ambientalista
nella terra mia
estingue le farfalle
e porta polizia

Pubblichiamo qui di seguito la testimonianza di un abitante di Giaglione notav presente alle procedure:

Infamità
Non trovo parola più adatta e spregevole per descrivere ciò che ho visto stamattina nei terreni dei Mulini di Giaglione. Un’abuso di potere perpetrato da TELT, che si nasconde dietro funzionari e personale vestiti con abiti di gentilezza. Una signora anziana di ottanta e piú anni, accompagnata da decine di questurini in borghese e numerosi poliziotti con caschi per prendere visione dei suoi terreni pagati da TELT, quindi da noi tutti, cinquanta centesimi al metro quadro per un’occupazione temporanea ( si dice). “Signora, è contenta di questa passeggiata?” Risposta con voce leggera:” Ero più contenta quando coltivavo qui da giovane”. “Veniamo qui vicino col furgone, cosí non si affatica troppo, per riportarla indietro”.  Neanche quando si sequestrano le proprietà dei mafiosi si vedono tanta solerzia e quella cosa merdosa che chiamano professionalità. Non mi sento di giudicare questa proprietaria con una piccola pensione che ha concesso i suoi terreni. Potrei personalmente avere da ridire a chi l’ha spinta, ma casomai lo farò in altra sede, dopotutto noi, Nicoletta ed io continueremo ad avere il comodato d’uso di quei terreni che useremo finchè potremo per la nostra lotta.
Non ci dovremo però andare da soli, ci dovremo andare in tanti. Stamattina ho pensato anche quanto Nicoletta sarebbe stata capace di confortare con la sua umanità questa persona anziana in una giornata di sole ma veramente infame.

Per maggiori info leggi Il cerone di unito, le pagliacciate di TELT e l’habitat della farfalla notav

Coronavirus: denunciò di essere stata messa a tacere, scompare medico di Wuhan

https://www.iene.mediaset.it/2020/news/scompare-medico-wuhan_743526.shtml

News | 31 marzo 2020

Ai Fen, capo della terapia d’urgenza dell’ospedale di Wuhan, ha detto di aver scoperto il 31 dicembre in un paziente un virus simile alla Sars e di essere stata subito messa a tacere. Dopo un’intervista a un magazine locale, cancellata subito dal web, la donna sarebbe scomparsa. Mentre a Wuhan è polemica anche sul numero reale dei morti: 42mila invece dei duemila dichiarati?

Aveva raccontato che le autorità sanitarie cinesi le avevano impedito di mettere in guardia il mondo su una nuova epidemia simile alla Sars: ora la dottoressa sarebbe scomparsa.

La notizia è stata data da 60Minutes Australia, popolarissima trasmissione di giornalismo investigativo: “Solo due settimane fa la responsabile della terapia d’urgenza dell’ospedale centrale di Wuhan Ai Fen è apparsa in pubblico, dicendo che le autorità avevano impedito a lei e ai suoi colleghi di mettere in guardia il mondo. Ora è scomparsa, non si sa dove sia”.

La dottoressa Ai Fen aveva raccontato in un’intervista a un magazine locale un episodio accaduto il 31 dicembre scorso. Dopo aver notato la presenza in alcuni pazienti di sintomi parainfluenzali resistenti ai trattamenti sanitari noti, ottiene i risultati di un’analisi di laboratorio che indicano il termine “Sars coronavirus”. Il medico avvisa subito alcuni colleghi dell’ospedale di Wuhan e la notizia si diffonde tra gli operatori sanitari.

E arriva, dice Ai Fen, anche al comitato disciplinare del suo ospedale, che le intima di non diffondere “voci”, per “non danneggiare la sicurezza“. Anche allo staff del suo reparto viene intimato di non diffondere messaggi o immagini sull’accaduto. “Se avessi immaginato quello che sarebbe successo”, prosegue Ai Fen nell’intervista, “non mi sarei curata del rimprovero. Ne avrei parlato a chiunque e dovunque avessi potuto”. 

L’allarme delle autorità sanitarie cinesi al mondo arriverà molto dopo, il 21 gennaio scorso, dopo aver confermato il salto di specie del virus dagli animali selvatici all’uomo. Nel frattempo a Wuhan muore anche il giovanissimo medico Li Wenliang, di 34 anni, il primo a segnalare l’arrivo di un nuovo misterioso virus. Anche lui, come Ai Fen, era stato screditato e minacciato dalle autorità. Poi in seguito è stato “riabilitato”.

Subito dopo l’intervista di Ai Fen, l’articolo viene cancellato dal web e ora, secondo 60minutes Australia, sarebbe scomparsa. Intanto a Wuhan è mistero sul numero reale delle vittime da COVID-19, dopo che un giornale locale ha avanzato l’ipotesi che in realtà i decessi non siano i circa duemila come comunicato dalle autorità, ma almeno 42mila.

IL MINCHIATA-VIRUS ARMA DI DISTRAZIONE DI MASSA—– CIA DECAPITATA IN AFGHANISTAN —– MICIDIALE COLPO ALL’INTELLIGENCE USA DI CUI NESSUNO PARLA

https://fulviogrimaldi.blogspot.com/2020/02/il-minchiata-virus-arma-di-distrazione.html

MONDOCANE

SABATO 1 FEBBRAIO 2020

 

https://youtu.be/SwI9FWqWQ3c  Byoblu, trasmissione sulla caduta (abbattimento?) in Afghanistan dell’aereo con il capo CIA del Comando Medioriente.

Grazie alla preziosa web-tv Byoblu e a una discussione a cui ho potuto partecipare, ecco un altro link, dopo quello  in cui si parlava del dopo-Soleimani e dell’aereo ucraino abbattuto su Tehran (nell’ultimo post), su una gigantesca fake news andata a male. E stavolta si tratta del tentativo affannoso di far sparire dal confronto USANATO-resto del mondo una botta micidiale inferta al massimo strumento della strategia imperialista, la CIA. Vi hanno nascosto l’abbattimento di un aereo-spia che, per conto della Cia e del Dipartimento di Stato, eseguiva nell’area Iraq-Iran-Afghanistan e regioni collegate le stragi e gli assassinii mirati commissionati da Washington, o, più precisamente, dallo Stato Profondo, o Governo Parallelo neocon, dominato dalla stessa CIA.

Il minchiata virus come arma di distrazione di massa

La smisurata e scomposta campagna allarmistica sul Coronavirus in Cina, su cui si sono scatenati i delegati globalisti alla sinofobia, finalmente in auge dopo gli anni gloriosi degli addetti alla russofobia, serve, oltreché ad altri obiettivi, a diabolizzare la Cina, nemico numero uno, o due, a seconda delle fazioni. Ma, nella contingenza, è utilizzata per occultare in prima linea lo smacco senza precedenti subito dalla CIA in Afghanistan e, in seconda, a distogliere l’attenzione dalla disgregazione del gioiello antisovranista, totalitario e vampiresco delle oligarchie antidemocratiche Usa ed europee, felicemente iniziata con la dipartita dall’UE del Regno Unito. Noi complottisti con la fissa del dietro le quinte, ne conosciamo anche altri, di motivetti e motivoni per l’isteria. Tipo la vendita agli sciocchini di milioni di mascherine che non servono a una mazza. O, nel secondo caso, aggiungere “emergenza” legislativa a “emergenza” (terroristica, climatica, fascista, ora da minchiata virus), per arrivare, per tante buone ragioni, a quella emergenza generale e perpetua che ci fa ritrovare nell’agognato Stato di Polizia.

Qualcuno, Tg o giornale o radio ha anche solo accennato alla notiziola che, in Afghanistan, è stato polverizzato il Comando Cia per il Medioriente?

Prima di passare al tema centrale della tavola rotonda dell’emittente di Claudio Messora, due parole sull’operazione Big Pharma-Cina, attivata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che, a dispetto del suo dante-ragione yankee, non ha proprio potuto esimersi dal riconoscere l’efficienza del sistema sanitario cinese. Acclarato che il Minchiata Virus non è che l’ormai quasi annuale mutazione del solito, eterno, virus influenzale, che nel mondo falcidia ben oltre le vittime e i contagiati attribuiti a quello cinese dall’isteria strumentale dei nostri media e politici, miliziani di complemento della globalizzazione, ci si impone quel minimo di complottismo che fa uscire dai gangheri i propagandisti delle cospirazioni del Potere (ascoltate Fausto Biloslavo nel programma citato).

E arriviamo a due ipotesi, che possono anche essere complementari per quanto di matrice opposta. La più verosimile: la psicosi che induce un terrore tale nelle popolazioni da far sbattere allo Spallanzani e poi in quarantena chiunque starnuti, o abbia un colpo di tosse, serve a garantire i soliti miliardi ai produttori del vaccino che presto o tardi spunterà. La più azzardata: il governo cinese, pur consapevole della portata più o meno normale dell’epidemia influenzale, ha allestito quell’ambaradan gigantesco di interventi e blindature di popolo in un terzo della Cina, per sperimentare come difendere il paese in caso di un, attacco batteriologico che certi psicopatici alla Stranamore rendono del tutto verosimile.

Decapitata la CIA in Medioriente?

Lunedì 27 gennaio si sfracella a terra un aereo dell’Usa Airforce (USAF) nella provincia orientale di Ghazni, in Afghanistan. Gli Usa dicono che è caduto, i Taliban, che controllano l’area, fonti governative a Kabul, agenzie afghane, l’Intelligence russa, l’organizzazione dei reduci americani Veterans Today, due diffusissimi quotidiani britannici (Il Daily Mail, legato ai Servizi e il Daily Mirror, laburista), affermano che è stato abbattuto e che a bordo si trovava la créme de la créme del massimo servizio segreto Usa. Una decina di dirigenti CIA, insieme a colleghi della NSA (National Security Agency), con il capo CIA per le missioni speciali (leggi assassinii mirati) in Medioriente, Michael D’Andrea. Uno davvero grosso, uno specialista di ecatombi imperiali, un Darth Vader in carne e ossa, detto “The Dark Prince” (Il Principe Nero), per la sua valenza terroristica, e anche “Ayatollah Mike”, per essersi convertito all’Islam onde sposare una musulmana. L’estremo imbarazzo del Ministro della Difesa statunitense, Mark Esper, che su questo popo’ di calcio nei denti si limita a borbottare: “Sono al corrente della situazione, ma non ho altro da riferire al momento”, e il successivo silenzio di tutti, compresi i nostri media embedded, parrebbero avallare la versione dell’abbattimento.

Da parte di chi? Dei Taliban a cui potrebbe essere rimasto un missile Stinger, di quelli lasciati lì dai sovietici in partenza e che possono raggiungere anche le notevoli altezze del “Bombardier E-11A”?  Dei Guardiani della Rivoluzione Iraniana, dotati di missili Manpada di ben altra portata, lanciati o da una pattuglia penetrata nell’area, o da casa, visto che il confine iraniano si trova a superabilissimi 600 km da Ghazni, che così avrebbero completato la propria ritorsione per l’assassinio del loro capo Soleimani? E’ un’ipotesi accreditata dall’agenzia russa Avia.pro, mentre i Pasdaran tacciono. Forse non ce lo dirà la cronaca, visto con quale solerzia si è gettata sull’evento. Forse ce lo confermerà la mancata riapparizione di D’Andrea. Forse lo sapremo dalla Storia.

Precipitato, o abbattuto il vertice CIA in Medioriente?

Bombardier E-11A, aereo spia

E’ che il fatto è drammatico, umiliante, catastrofico per chi l’ha subito. L’aereo, di media grandezza e dunque capace di portare decine di persone, era un Bombardier E-11A, sviluppato dopo che una strage di ben 19 marines in un agguato dei Taliban, nel 2014, aveva illustrato le carenze di comunicazione tra reparti. Del “Bombardier E-11A, costosissimo, ne furono fabbricati solo quattro esemplari, tutti con gli stessi compiti. Come gli altri, quello schiantatosi era stracolmo di apparecchiature elettroniche sofisticatissime, utili non solo a comunicare con le unità a terra, ma anche a operazioni di spionaggio e interferenza elettronica a vasto raggio. Bruciature e altri danni visibili sulla carcassa indicherebbero l’abbattimento con un missile. Sui resti è intervenuto un reparto americano, ne ha portato via due corpi e ne ha distrutto quanto rimaneva dopo che i Taliban avevano recuperato sei corpi e parte degli apparati.

 Michael D’Andrea, comandante CIA Medioriente

Complottisti per evitare di essere minchiati

Dal silenzio delle autorità di Washington e Langley e da quello, davvero significativo, dei nostri media, come nelle volenterose minimizzazioni di alcuni interlocutori di Byoblu, il cui argomento principale era la stantia accusa di “complottismo” a chi non si rassegna a quel silenzio e osa avventurarsi verso altre fonti, emerge la credibilità di queste ultime. Tanto più che, a sei giorni dall’evento, non è arrivata alcuna smentita ufficiale a quanto affermato dai Taliban e, tanto meno, è apparso in vita Michael D’Andrea, a smentire i famigerati complottisti. D’Andrea era il massimo responsabile della Central Intelligence Agency per le operazioni in Medio Oriente. E’ definito “Capo delle operazioni contro nemici in Iraq, Iran e Afghanistan”. Di solito l’aereo, piattaforma spia più avanzata degli Usa, ospitava, con D’Andrea, tutto il Comando Mobile della Cia. Le attrezzature e i documenti sarebbero ora, secondo le agenzie russe, in mano ai Taliban. E questo, insieme alla scomparsa di D’Andrea, sarebbe davvero un colpo strategico funesto per le attività militari statunitensi  non solo in quello scacchiere.

D’Andrea e bersagli veri e finti: Bin Laden, Al Baghdadi, Soleimani….

Il “Principe Nero” aveva quella licenza di uccidere di cui il presidente Obama, caro ai nostri sedicenti sinistri, aveva dotato se stesso, nominandosi al tempo stesso accusatore, difensore, giudice e boia, quando inaugurò la lunga serie di assassinii di “sospetti” selezionati su suggerimento dei servizi e sanciti da sua scelta e firma. A D’Andrea vengono attribuiti la finta esecuzione di Osama bin Laden ad Abbottabad nel 2011. Ma il capo di Al Qaida viveva attaccato a una macchina ed era morto a Islamabad di diabete, degenerato in nefrite, prima del Natale 2002. Lo confermano gli annunci mortuali apparsi sulla stampa pakistana e convalidati da comunicati del governo e da una ricerca del Premio Pulitzer Seymour Hersh. Anche l’operazione che avrebbe portato all’uccisione del capo dell’Isis, Al Baghdadi, in Idlib, Siria, sarebbe una tacca sul suo fucile.

Peccato che dei corpi – quindi dell’evidenza – sia di bin Laden, che di Al Baghdadi, non sia rimasto nulla, per essere stati entrambi sottratti agli autoptici e alle nostre certezze mediante dispersione in mare. Del resto, l’inseguimento di un Al Baghdadi strepitante di paura, con le sue donne, per una galleria sotterranea, da parte dei soliti Navy Seals, arrivati a Idlib in elicottero, dopo aver bombardato a tappeto la zona, tanto da non lasciare in vita neanche i topi di quella galleria, è stato visto in diretta tv dal solo Donald Trump. Mentre nessun radar di tutte le forze interessate all’evento aveva registrato, per le ore e gli spazi indicati, un oggetto volante più grande di un passero. Ogni tanto il giustiziere di siriani, iracheni, iraniani, afghani, era indotto a millantare.

Soleimani, comandante delle Guardie della Rivoluzione, Al Muhandis, comandante delle Forze di Mobilitazione Popolare

Di sicuro, invece, gli spetta la riconoscenza di Washington, dei suoi alleati, dei suoi mercenari, da Al Qaida all’Isis e ai curdi, per il missile americno che ha incenerito i due vincitori del terrorismo islamico, l’iraniano Qassem Soleimani e l’iracheno Abu Mahdi al Muhandis.

Tutto il resto e molto di più, grazie a coloro che si dicono miei colleghi, al link sopra indicato.

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 20:41