Un nuovo record per Obama: 115 miliardi di dollari di armi all’Arabia Saudita durante la sua presidenza

ma è il premio nobel per la pace, oltretutto un’ottima persona in quanto di colore….un pacifista migliore del maschilista uomo bianco…
 
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settembre 09  2016
 
Gli accordi tra gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita per la vendita di armi durante l’amministrazione del presidente Barack Obama hanno raggiunto un totale di 115 miliardi di dollari,  superando il record di tali accordi degli ultimi 71 anni, riporta Reuters, citando un rapporto del Centro per la Politica Internazionale.
 
Dall’insediamento di Obama nel gennaio 2009, Riyadh e Washington hanno firmato 42 contratti di fornitura di tutti i tipi di armi e attrezzature militari, comprese armi leggere, munizioni, carri armati, elicotteri, navi da guerra, missili terra-aria. Gli Stati Uniti forniscono anche assistenza tecnica e formazione ai soldati sauditi, riporta l’agenzia.
 
Secondo l’autore del rapporto, William Hartung, gran parte delle attrezzature militari non è ancora stato consegnato all’Arabia Saudita. Nel frattempo, lo scorso agosto l’amministrazione Obama ha approvato la vendita di armi valore di 1.150 milioni di $.
 
Questa quantità di accordi può permettere a Washington di influenzare l’Arabia Saudita per quanto riguarda le sue azioni nel conflitto in Yemen, dice Hartung. Il conflitto ha ucciso almeno 10.000 persone. Il mese scorso l’ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha detto che 3.799 civili sono morti nel conflitto, con gli attacchi aerei della coalizione a guida saudita responsabile di circa il 60 per cento dei decessi.
 
Il clamore suscitato dal crescente numero di vittime ha portato alcuni membri del Congresso a spingere per imporre restrizioni sui trasferimenti di armi, e in mezzo al crescente clamore, il Pentagono ha avvertito che il suo sostegno per l’Arabia Saudita nella sua campagna in Yemen non era “un assegno in bianco”.  Tuttavia, l’amministrazione Obama il mese scorso ha approvato la vendita di un pacchetto di armi per l’Arabia Saudita per 1,15 miliardi di dollari.
 
Il rapporto è stato preparato sui dati della Defense Security Cooperation Agency del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. La pubblicazione del documento completo è prevista per l’8 settembre.
 
Tratto da: www.cogitoergo.it

DALLO YEMEN UN GRIDO: “DOVE SIETE, MENTRE DISTRUGGONO IL NOSTRO PAESE?

per la società civile antirazzista anti discriminazione esistono vittime di serie a e b, come sempre. Gli yemeniti non sono vittime islamiche come le altre, nessun sit in, nessuna richiesta di cessare il massacro di civili, perché i soldi degli islamici SAUDITI valgono molto, pure il loro silenzio.
 
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febbraio 19 2016
 
Lo Yemen è un paese povero ed è per questo che i media italiani non se ne curano minimamente. L’Arabia Saudita ha scatenato una campagna di bombardamenti aerei a tappeto indiscriminati.
Sta aiutando ISIS ed al Qaeda a prendere lo Yemen a danno della tradizionale religione locale zaidita, i seguaci della più moderata fra le sette musulmane sciite, cioè di quella che prende il nome dal suo iniziatore Zaid ibn ‛Alī Zain al-‛Ābidīn  e che oggi sopravvive soltanto nello Yemen.
 
Quindi la Comunità Internazionale combatte ISIS (almeno a parole ) in Siria ma in Yemen lo appoggia.
 
Attaccata da ISIS fin nel suo interno, alle prese con il problema dei migranti risultato della sua politica estera spregiudicata, la Comunità Internazionale ha pensato bene di prendersi cura del problema aiutando lo stato islamico più estremista del mondo: l’Arabia Saudita.
 
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L’Italia dal canto suo, ha già espresso “piena comprensione” all’Arabia Saudita, lo ha fatto per bocca del ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. E da allora questa linea, è rimasta invariata.
 
Riproponiamo una interessante critica chierificatrice del tabloid canadeseSUN ‘ (è un articolo un pò vecchio ma ancora attuale), il quale si distacca dal coro di unanime consenso levatosi verso l’intervento saudita .
 
L’articolo, dal titolo “l’Arabia Saudita inganna l’Occidente, di nuovo”  critica come le nazioni più ricche del mondo arabo scatenino tutto il proprio potenziale bellico ”contro una delle popolazioni più povere della terra (gli yemeniti) senza neppure tentare un negoziato: man mano che le vittime civili aumentano, viene perpetuata una sorta di ‘propaganda Gobelliana’ che sembra rimandare alle  armi di distruzione di massa di Saddam Hussein.
 
Questa volta il pericolo è ” lo spauracchio dei tentacoli dell’Iran che soffocherebbe le rotte marittime di Bab-el-Mandeb che separano lo Yemen dalla costa africana”.
 
Ci si dimentica però che ”la stragrande maggioranza degli attacchi terroristici islamici contro l’Occidente, Medio Oriente e Asia meridionale sono stati condotti da jihadisti musulmani sunniti, l’Arabia Saudita ha in qualche modo ci ha convinto invece che sono sciiti e che quindi è l’Iran da biasimare”.
 
Il SUN  affronta uno dei punti cruciali comuni anche al conflitto siriano, accuratamente evitato da governi e media occidentali:
 
”Ora i sauditi hanno assunto il compito di ripristinare la democrazia in Yemen sostenendo che il presidente democraticamente eletto Abd Rabbo Mansur Hadi è stato estromesso a causa di una rivolta popolare da parte di del Partito Ansar, meglio conosciuto come gli Houthi”.
 
E’ paradossale perché ‘i sauditi che cercano di ripristinare la democrazia in Yemen non hanno mai affrontato i propri elettori’. Né loro né la coalizione di ricchi di petrolio sceiccati arabi del Golfo che si sono uniti a loro.
 
Si tratta  ”degli stessi paesi che sono stati la fonte di finanziamento delle peggiori organizzazioni terroristiche jihadisti di tutto il mondo, sono esse le nazioni che hanno finanziato decine di migliaia di madrasse islamiche che sfornano jihadisti disposti a morire per la vittoria dell’Islam …”.
 
Interessanti alcuni passaggi conclusivi. Il primo nega che gli Houthi yemeniti sono un prodotto di intervento iraniano in Yemen e, quindi, costituiscono una minaccia per gli interessi occidentali, così come la sicurezza di Israele: ”Niente potrebbe essere più lontano dalla verità”.
 
In definitiva, il pericolo è da un’altra parte. Però sembra ignorato: mentre gli USA si affannano a trovare un accordo per il nucleare con l’Iran sembrano non preoccuparsi dell’Arabia Saudita ”che come ha rivelato  il redattore della BBC, Mark Urban già nel novembre 2013,  aveva in corso progetti per ricevere armamenti nucleari dal Pakistan”.
 
E’ solo menzogna, nonostante: ”I sauditi hanno avuto molto successo a convincere l’Occidente che non sono loro che rappresentano una minaccia per le nostre libertà, ma l’Iran”.
Vi proponiamo una breve riassunto  tratto da Caffè Geopolitico ed un’intervista al direttore dell’unica TV rimasta in Yemen.
 
Vietato Parlare
 
Il direttore della Tv yemenita Al-Masirah racconta la grave situazione nel martoriato paese della penisola arabica, lo Yemen: la Porta del Mar Rosso che intrappola 25 milioni di abitanti nei giochi geopolitici sauditi. Un drammatico appello all’opinione pubblica mondiale e ai giornalisti occidentali: “dove siete, mentre distruggono il nostro paese? (Pandora Tv)
 
Nel video di Pandora la situazione attuale, di cui non si parla minimamente sui media occidentali:
 
Le ragioni del conflitto in Yemen
 
L’attuale conflitto civile (in Yemen), il quale vede contrapporsi gli Houthi (che nel 2004 avevano iniziato le proprie rivendicazioni contro il tentativo di affermare il culto salafita in luogo del tradizionale zaidita) e i lealisti al Presidente Hadi.
 
Dopo mesi di proteste finalizzate alla cacciata del Governo, e il rifiuto della bozza di nuova Costituzione – che prevedeva tra l’altro la divisione federale del Paese in sei regioni distinte – lo scorso gennaio il Presidente ad interim Hadi e i membri del Governo si sono dimessi dopo essere stati assediati per giorni dagli Houthi, che hanno provveduto a sostituirli con un Governo temporaneo da essi guidato.
 
Posto agli arresti domiciliari, ma riuscito a fuggire, Hadi si è spostato nella città di Aden il 21 febbraio scorso, nel tentativo di ripristinare il proprio Governo, considerato come legittimo dalla comunità internazionale. Anche grazie al supporto delle armi iraniane (sebbene manchi la sicurezza del coinvolgimento diretto del Paese nell’attuale conflitto), gli Houthi hanno guadagnato sempre più terreno nella parte meridionale del Paese.
 
Preoccupati dalla loro avanzata – e anche dal potenziale ruolo che l’Iran avrebbe potuto giocare in essa –, alcuni Paesi hanno avviato, lo scorso 25 marzo, una campagna di bombardamenti nell’area di Aden. Il leader della coalizione internazionale anti-Houthi è l’Arabia Saudita, coadiuvata militarmente da Bahrein, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Kuwait, Sudan e Qatar. Supporto non militare proviene da Belgio, Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Turchia, e più recentemente dal Marocco.
 
(tratto da fonte: il caffè geopolitico)
 

Si conclude il G20 in Cina, l’ipocrita passerella dei Grandi

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Si è concluso il G20 in Cina: dietro le luci di una ribalta ipocrita i Grandi hanno intessuto i loro accordi. Xi Jinping, Putin ed Erdogan in primo piano.
Ad Hangzhou, in Cina, s’è concluso il G20, che mette insieme i 19 Paesi più grandi della terra più la Ue; un forum che racchiude l’85% della ricchezza e il 75% del commercio globale. È stata l’edizione opulenta con cui il padrone di casa, Xi Jinping, ha voluto celebrare la Cina come potenza globale, mettendo in ombra i tanti punti deboli di un sistema che, dopo successi travolgenti, deve cambiare radicalmente pena una devastante implosione.
 
Sul palcoscenico del G20 i Grandi hanno fatto passerella, distinguendosi per discorsi zeppi di belle parole e totalmente vuoti di contenuti; la stessa intesa fra Cina e Usa sulle emissioni (un problema serio questo) è stato solo un gesto d’immagine dei due Presidenti, i cui risultati, semmai ci saranno, emergeranno fra anni, quando saranno superati da una realtà sempre più drammatica.
 
Per il resto il nulla: parole sulla crisi economica che non passa, parole sui paradisi fiscali, parole sulla sovrapproduzione cinese dell’acciaio venduto sotto costo, parole contro i populismi che quegli stessi Stati hanno suscitato con le loro politiche cieche. Il G20 è stato poco più d’uno show diretto dal presidente Xi Jinping, che intende proporsi come leader di una “riglobalizzazione”, dopo i fallimenti e i disastri della prima che hanno bruciato ricchezze enormi insieme a milioni di posti di lavoro.
 
Ma dietro alle luci della ribalta insulsa, i leader hanno colto l’occasione di una fitta trama d’incontri per i loro interessi: a parte Xi Jinping, il padrone di casa, il più attivo (e ricercato) è stato Putin. Obama ha usato l’occasione del G20 per tentare in tutti i modi di strappargli concessioni sulla Siria ma, al termine d’un incontro definito “brusco e franco” (che in termini diplomatici equivale a una lite furiosa), non lo ha spostato d’un centimetro dalla difesa di Al-Assad, dalla posizione a fianco dell’Asse della Resistenza e dalla decisione di lottare contro il terrorismo, tutto, e senza ipocrisie.
 
Alla fine, il tema è stato rinviato a Lavrov e Kerry perché lo approfondiscano, ma dalle espressioni che avevano al termine dell’incontro è quanto meno improbabile si giunga ad un accordo. Putin sa bene d’aver collocato la Russia al centro dello scacchiere mediorientale, e non ha nessuna intenzione di prestarsi alle manovre di Washington senza garanzie o sostanziali contropartite.
 
Il peso riacquistato da Mosca è anche alla base dell’accordo energetico siglato con Riyadh a margine del G20 per stabilizzare i prezzi del greggio. Russia ed Arabia Saudita sono i due maggiori esportatori di petrolio, e un’intesa per frenare la caduta delle quotazioni del barile, se è la benvenuta al Cremlino, è manna per le disastrate finanze saudite. Riyadh, sempre più in difficoltà nei vari teatri regionali, ha il disperato bisogno di una sponda solida per uscire dall’angolo, e Mosca, alle proprie condizioni, può concederla.
 
Ma oltre a Putin, è Erdogan che s’è trovato al centro della scena del G20 per il suo rinnovato ruolo in Siria. Il personaggio è quello che è: uno spietato autocrate megalomane, ma il suo repentino cambio di fronte, con il riavvicinamento a Mosca e all’Asse della Resistenza, gli ha conferito un peso nelle crisi mediorientali, e non solo, che costringe Usa e Golfo a rincorrere un importante membro della Nato che, di conserva con gli antichi rivali, ha sparigliato i giochi apparecchiati da Washington per controllare l’area attraverso i curdi.
 
In mezzo a fiumi di parole insulse sono stati molti i leader che hanno colto l’occasione del G20 per fare gli interessi di Paesi e lobby; al di là della coreografia è questo ciò che conta: avere un’occasione per i propri affari.
di Salvo Ardizzone – 07/09/2016
Fonte: Il Faro sul Mondo

Il sindaco PD di Bari patrocina festa islamica Eid Al-Adha la festa del sacrificio

 
Maltempo: stadio di Bari inagibile, cambia sede la Festa del Sacrificio
 
La Comunita’ Islamica d’Italia ha deciso di cambiare sede alla Festa del Sacrificio
A cura di Filomena Fotia 11 settembre 2016 – 18:30
 
A causa del maltempo che sta interessando Bari, la Comunita’ Islamica d’Italia ha deciso di cambiare sede alla Festa del Sacrificio, prevista domani all’interno dello stadio della Vittoria, inagibile per la pioggia. L’evento si terrà invece al primo piano del padiglione 115 della Fiera del Levante di Bari.
 
Patrocinio comune Bari a festa Islam
L’evento il 12 settembre nello Stadio della Vittoria
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(ANSA) – BARI, 02 SET – Sarà celebrata per la prima volta all’interno dello Stadio della Vittoria di Bari la ‘Festa del Sacrificio’ (Eid Al-Adha) della Comunità Islamica pugliese.
    L’assessorato allo Sport del Comune di Bari ha deciso di dare il patrocinio all’evento e ha concesso alla comunità l’uso della struttura per quella che rappresenta la seconda festa più importante dell’anno per le comunità musulmane, corrispondente alla nostra Pasqua e che si svolgerà il 12 settembre prossimo.
    Fino allo scorso anno la festa era organizzata all’interno del Centro Islamico di Bari e raccoglieva oltre 2mila persone provenienti da tutta la regione. I fedeli si recheranno allo stadio in abiti bianchi per rievocare il pellegrinaggio dei musulmani alla Mecca. Al momento di preghiera seguirà la festa vera e propria con il tradizionale scambio di auguri e doni. I dettagli dell’evento saranno resi noti nei prossimi giorni.

COMMENT BRUXELLES LAISSE LES DIRIGEANTS DE L’AKP MARTELER LA PROPAGANDE DU REGIME ERDOGAN AUX TURCS DE BELGIQUE !

LM pour PCN-AMKP/ 2016 09 11/

TURCS BELGES

Les vieilles complaisances du régime belgicain pour les islamo-conservateurs de l’AKP d’Erdogan continue !

Les Turcs de Belgique (grandes communautés dans des communes belges comme Saint-Josse – Bruxelles -, Hasselt, Beringen, Charleroi …) sont étroitement contrôlés par un réseau d’association culturelles, sociales et politiques turques. Grâce à un accord politique avec les « Loups gris » (parti turc d’extrême-droite influent dans la diaspora). Et jusqu’il y a peu avec les Réseaux de la secte Gullen !

Les envoyés spéciaux d’Erdogan, comme ici le député et bras droit du « nouveau sultan » Metin Külünk, sont comme des poissons dans l’eau en Belgique et en Allemagne. Où ils sont étroitement alliés à la puissante démocratie-chrétienne belge, tous étant membre du PPE, le parti démocrate-chrétien pour toute l’UE (l’AKP étant membre observateur).

Après Hasselt, Metin Külünk endoctrine les turcs de Beringen (Flandre). L’enjeu est de purger la communauté turque de l’influence des écoles et associations sociales de la Secte Gullen, l’ex allié d’Erdogan devenu l’ennemi absolu. Seulement la liberté d’association n’est pas en Belgique une virtualité comme dans la nouvelle Turquie autoriaire « néo-ottomane » …

* Lire :

Turks parlementslid: ‘Sluit Gülen-scholen in België’

http://www.standaard.be/cnt/dmf20160909_02460551?_section=60742502&utm_source=standaard&utm_medium=newsletter&utm_campaign=ochtendupdate&M_BT=68521986835&adh_i=a9218d01890e6f1f9fe00d44ed5da55b&imai=

“Het Turkse parlementslid Metin Külünk heeft donderdagavond in Beringen de Belgische politici gewaarschuwd voor de Gülenisten en opgeroepen om de Gülenistische scholen te sluiten. De rechterhand van de Turkse president Recep Tayyip Erdogan kwam in Limburg, op uitnodiging van de Europese Unie van Turkse Democraten (UETD), de situatie van Turkije na de mislukte staatsgreep van 15 juli toelichten. Hij werd op uitbundig gejuich onthaald door de aanwezigen.”

LM

ATTENTION DANGER : VERS UN “PATRIOT ACT A LA BELGE” ?

 

LM pour LA REPUBLIQUE D’EUROPE/

2016 09 11/

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La NVA (parti nationaliste flamand de centre-droit, qui entend étouffer lentement le non-état belgicain), le premier parti de Belgique, qui soutient le gouvernement fédéral avec les libéraux (comme la corde soutient le pendu), entend proposer un “patriot act à la belge”.

Un projet liberticide qui n’est pas sans arrières pensées électoralistes : il s’agit de limiter la remontée dans les sondages du grand parti rival en Flandre, le VLAAMS BELANG (républicains nationalistes radicaux anti-belges, les ennemis du système belgicain côté flamand)

LM

“De partij N-VA heeft zaterdag een plan goedgekeurd over de noodtoestand. Volgens partijvoorzitter Bart De Wever is het plan “perfect redelijk”. Dat zei hij gisteravond in de studio van VTM NIEUWS.

Zaterdag werd het plan om een noodtoestand af te kondigen goedgekeurd op een speciale partijraad. Dat wil zeggen: als er een aanhoudende terreurdreiging is of in geval van aanslagen, moet de noodtoestand afgekondigd worden. Verdachten zouden dan bijvoorbeeld sneller en preventief kunnen opgepakt worden. De kern is eerst handelen, dan controleren.”

* Lire :

http://www.standaard.be/cnt/dmf20160910_02462798?_section=60742502&utm_source=standaard&utm_medium=newsletter&utm_campaign=ochtendupdate&M_BT=68521986835&adh_i=a9218d01890e6f1f9fe00d44ed5da55b

LE PROJET DE “PATRIOT ACT A LA BELGE” DE LA NVA : UN ETAT D’URGENCE LIBERTICIDE DANS LES TETES ET DANS LES RUES !

 

LM pour LA REPUBLIQUE D’EUROPE/

2016 09 10/

de waever art 2

Le projet de la NVA, qui est avant tout un projet personnel de son président De Waever, l’homme fort de la politique belgo-flamande, menace gravement les libertés publiques en Belgique !

C’est un « patriot act à la Belge » qui vise à imposer un état d’urgence dans les têtes et les rues. Comme le dit De Waever, la sacralisation du « niveau 5 » d’alerte déjà existant de façon limitée …

LM

* Lire :

“Het ballonnetje over de invoering van een noodtoestand, dat N-VA in augustus opliet, heeft een concrete vorm in de veiligheidsnota ‘Niveau V’ gekregen. De partij wil onder meer gerechtelijke controle ‘opschuiven’, tot na huiszoekingen en preventieve arrestaties”.

http://www.standaard.be/cnt/dmf20160910_02462560?_section=60742502&utm_source=standaard&utm_medium=newsletter&utm_campaign=middagmail&M_BT=68521986835&adh_i=a9218d01890e6f1f9fe00d44ed5da55b

In Italia una persona su tredici vive in povertà assoluta

non è la crisi ad aver innescato l’esclusione sociale E’ LA LEGGE E CHI LA EMANA. I governi dei saggi professori, diktat UE E dell’FMI, regno dei kompagni del PD e soci questi sono i risultati. MA LA SOCIETA’ CIVILE CHE LAVORA PER IL PD NEGA CHE ESISTANO.
 
Jacopo Ottaviani, giornalista
 
In Italia nel 2015 circa una persona su tredici vive in povertà assoluta. È quanto emerge dall’ultimo rapporto Istat che descrive quantitativamente il fenomeno della povertà e mostra cosa è cambiato nell’ultimo anno. Le cose sono leggermente peggiorate: se nel 2014 viveva in povertà assoluta il 6,8 per cento dei residenti in Italia, nel 2015 il dato è salito al 7,6 per cento della popolazione.
 
In tutto ci sono 1 milione e 582mila nuclei familiari che vivono in povertà assoluta (il 6,1 per cento delle famiglie rispetto al 5,7 del 2014). Se invece si contano le persone si arriva a 4 milioni e 598mila poveri: il numero più alto mai registrato dal 2005 a oggi. Per farsi un’idea, ci sono tanti poveri quanti i cittadini di tutto il Veneto.
 
Secondo la definizione dell’Istat rientrano nella categoria della povertà assoluta le famiglie – o le persone – che non possono permettersi un paniere di fabbisogni essenziali, come un’alimentazione adeguata, un’abitazione riscaldata e il minimo necessario per vestirsi, comunicare, informarsi, muoversi sul territorio, istruirsi e mantenersi in buona salute.
 
Stando ai dati, alcuni segmenti della società sono stati coinvolti più di altri nell’aumento della povertà assoluta. Tra questi spiccano gli stranieri residenti in Italia. Già un anno fa il 23,4 per cento delle famiglie di soli stranieri viveva in povertà, ma oggi il dato è salito al 28,3 per cento (in sostanza, circa due famiglie di stranieri su sette vivono in povertà).
 
Un altro segnale di peggioramento si è registrato nelle grandi città, dove nel 2015 la povertà colpisce il 7,2 per cento delle famiglie (rispetto al 5,3 del 2014). Inoltre i dati sono divisi per età: il 10,2 per cento dei giovani tra i 18 e i 34 anni è povero (l’anno precedente era l’8 per cento). La quota scende progressivamente nelle fasce di età più alte, arrivando al 4 per cento di poveri tra gli ultrasessantacinquenni, che sono l’unica fascia d’età che mostra un calo percentuale di poveri (nel 2014 erano il 4,7 per cento).
 
La pubblicazione dell’Istat include un’ulteriore definizione di povertà, chiamata povertà relativa. A differenza della povertà assoluta, quella relativa misura la povertà di una famiglia in rapporto al livello economico medio di vita del paese. L’istituto di statistica nazionale inserisce in questa categoria le famiglie con due persone che spendono meno di 1.051 euro al mese (mentre per le famiglie con più di due componenti la soglia viene ricalcolata con una scala di equivalenza).
 
La povertà relativa è rimasta stabile per le famiglie, ma è leggermente aumentata se si calcola sulle persone (salendo in un anno dal 12,9 al 13,7 per cento della popolazione). Come nel caso della povertà assoluta, anche quella relativa risulta più presente nel Mezzogiorno e tra le famiglie più numerose.
 
La distribuzione della povertà in Italia riflette il tradizionale divario tra nord e sud. Calabria, Sicilia, Basilicata e Molise hanno, in proporzione, più del doppio dei poveri rispetto alla media nazionale, che è pari al 10,4 per cento, e più di quattro volte di alcune regioni del centro-nord. In altre parole in certe regioni del Mezzogiorno una persona su quattro è povera. In Toscana, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto risulta esserlo una su venti.
 
Non sono queste le uniche definizioni di povertà. Per esempio l’Eurostat, l’istituto di statistica europeo che mette a confronto i dati dei paesi europei, utilizza un’altra definizione di povertà materiale. Ma la sostanza non cambia, soprattutto se ci si concentra sulle cause e le possibili soluzioni per contrastare la povertà.
 
La povertà prolifera per cause multiple e strettamente correlate. Secondo Caterina Cortese, responsabile delle politiche sociali della Federazione italiana degli organismi per le persone senza dimora, organizzazione attiva nel contrasto della povertà estrema, la crisi del 2008 ha innescato meccanismi di esclusione sociale che si manifestano ancora oggi. “Stiamo scontando le conseguenze della crisi economico-finanziaria, delle politiche di austerità, della scarsa propensione del nostro paese a considerare il sociale come una spesa necessaria sulla quale investire”, spiega Cortese.
 
Secondo Cortese non servono misure una tantum, ma un approccio strategico. Per contrastare la povertà è necessario creare posti di lavoro dignitosi che non siano tirocini o voucher. Servono politiche per la casa e di sostegno al caro-affitti. Occorre agire sulla dispersione scolastica e considerare l’istituzione di un reddito di inclusione sociale. “In altre parole bisogna agire sui meccanisimi che rendono povere o quasi povere le persone”, spiega Cortese, “possiamo parlare di povertà in relativa, assoluta, estrema, a rischio, deprivazione materiale o altro ancora, ma quel che davvero serve è guardare la povertà nel suo complesso e incidere sulle radici di ciò che la genera”.

Dopo Agnese Renzi ecco la moglie di De Magistris: insegnerà a Napoli

giovedì, 8, settembre, 2016
 
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Dopo il caso di Agnese Renzi ecco quello di Maria Teresa Dolce alias la moglie del sindaco di Napoli, Luigi de Magistris. Secondo quanto riporta il sito Dagospia, Dolce insegnerà diritto nell’Istituto “Casanova”, a Napoli per il triennio 2016/2018. La consorte del sindaco di Napoli non è nata insegnante, ma è stata per anni avvocato civilista a Catanzaro poi dal 2003 al 2011 è stata responsabile amministrativo di una scuola materna paritaria a Catanzaro, mentre nell’anno scolastico 2015-2016 è stata “tutor” presso il liceo “Galilei” di Napoli.
 
De Magistris si era schierato contro la “Buona scuola” renziana
 
Ma la nomina della signora De Magistris potrebbe diventare un caso politico. Nel mirino c’è sempre la riforma della scuola voluta dal premier Renzi. I casi degli spostamenti dei docenti scuola pubblica dal Sud al Nord del Paese hanno alimentato le polemiche. Sempre Dagospia mette in evidenza come proprio De Magistris si sia sottratto a tali polemiche nonostante “Sul sito della sua associazione ‘deMa’ c’è ancora un link che parla dell’ inganno della Buona scuola”.
 
redazione Tiscali