ELECTIONS RUSSES 2016 : RUSSIE UNIE REMPORTE UNE ECRASANTE MAJORITE A LA DOUMA …

LM pour EODE/ 2016 09 19/

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Le parti pro-Kremlin remporte une écrasante majorité à la Douma !

Le parti du président Vladimir Poutine, Russie Unie, a remporté une écrasante majorité à la Douma aux législatives dimanche, décrochant la majorité absolue et un nombre de sièges record depuis sa création en 2001.

Ombre au tableau toutefois pour le Kremlin: la faible participation, signe qu’une partie des Russes ont boudé le scrutin ou qu’ils le considéraient joué d’avance. Selon la Commission électorale, seulement 47,7% des électeurs ont voté, contre 60% lors des précédentes législatives de 2011. “Il est évident que l’immense majorité de ceux qui sont allés voter ont donné leur voix pour soutenir le président”, a déclaré lundi le porte-parole du Kremlin, Dmitri Peskov, rappelant que “la plus grande partie des pays européens ont une participation bien plus faible”. “Le principal, c’est le résultat et il ne peut y avoir de résultat plus éloquent dans l’ensemble”, a-t-il ajouté.

“On peut dire avec certitude que le parti a obtenu un très bon résultat” malgré une participation “pas la plus élevée mais quand même importante”, s’est réjoui M. Poutine au siège de Russie Unie qu’il avait contribué à créer en 2001, en saluant la “maturité politique grandissante” des électeurs. Pour lui, ces élections étaient d’autant plus importantes qu’elles sont la dernière consultation nationale avant la présidentielle de 2018 où personne en Russie n’imagine qu’il ne se présentera pas pour un 4e mandat.

LE TRIOMPHE DES PARTIS PATRIOTIQUES

Le parti Russie Unie a obtenu la majorité absolue avec environ 54,1% des voix, après le décompte lundi de près de 98% des bulletins de vote, selon la Commission électorale centrale.

Mais le mode de scrutin – pour moitié à la proportionnelle et pour moitié majoritaire – a accentué la mainmise des candidats de la formation pro-Kremlin. Résultat: Russie Unie semble pouvoir obtenir au moins 343 des 450 sièges à la Douma, la chambre basse du Parlement, contre 238 précédemment. Avec plus de deux tiers des députés, le Kremlin aurait un contrôle sans précédent de la Douma et pourrait faire adopter encore plus facilement des révisions constitutionnelles.

Le parti libéral démocrate (LDPR, nationaliste radical) et le Parti communiste (KPRF, national-communiste) sont au coude-à-coude avec respectivement 13,2% et 13,4%. Le parti pro-Kremlin RUSSIE JUSTE (nationalistes modérés) recueille 6,2% et siégera également à la Douma.

LES LIBERAUX DEFINITIVEMENT ELIMINES DE LA DOUMA

Comme en 2011, les partis libéraux pro-occidentaux ont laminés. Curieux « libéraux » qui vont en réalité des marges du Trotskisme aux groupuscules ultraxénophobes et sont appelés « la 5e colonne » par leurs adversaires … Les opposants libéraux de Parnas et de Iabloko, soutenus par l’oligarque Mikhail Khodorkovsky (qui labellisait 230 candidats « Open Russia » dans tout le spectre libéral, le même concept que Sorös et les mêmes réseaux américains aux commandes), ne réunissent qu’un score très symbolique, après une campagne où ils ont pourtant eu accès aux télévisions d’Etat, et ont été à nouveau boudés par les électeurs.

L’opposition anti-Poutine n’aura aucun député dans la nouvelle Douma, les résultats ne devant plus évoluer de manière significative, selon la Commission électorale.

DES ELECTIONS LEGITIMES

Dans les deux principales villes du pays, Moscou et Saint-Pétersbourg, la participation a été inférieure à la tendance nationale et aux précédentes législatives, après une campagne morne dans un pays sous sanctions occidentales depuis un an et demi.

Sans doute instruits par l’expérience des législatives de 2011, où l’opposition avait dénoncé de soi-disant « fraudes massives » suivies de manifestations, le Kremlin s’est efforcé cette fois de donner une image encore plus transparente du processus électoral. Le président russe a ainsi placé à la tête de la commission électorale centrale l’ex-déléguée aux droits de l’Homme auprès du Kremlin, Ella Pamfilova. Les travaux de la commission ont été diffusés en direct sur la chaîne publique d’information en continu. Mme Pamfilova a déclaré : “Nous avons la certitude absolue que les élections se sont déroulées de manière tout à fait légitime”, , louant leur “transparence”.

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Usa, ci trattano da servi perchè servi siamo

Avevo appena finito di scrivere un articolo contro le indebite ingerenze del papato negli affari interni dello Stato italiano, che ne è avvenuta una, infinitamente più grave nello specifico, da parte dell’ambasciatore americano a Roma John Phillips, che certamente non parlava a nome proprio ma del presidente degli Stati Uniti, il quale ha ‘consigliato’ agli italiani di votare Sì al prossimo referendum costituzionale aggiungendovi il ricatto economico e cioè la minaccia che le imprese yankee non investiranno più in Italia e facendosi supportare dall’agenzia di rating Fitch che è una filiale londinese della Fitch di New York.
 
Questa inaudita intromissione negli affari interni dello Stato italiano, oltretutto su una questione delicatissima che divide il nostro Paese, la prima espressa in modo così esplicito, ha causato molto imbarazzo sia a sinistra che a destra perché tutti i partiti e movimenti italiani, ad eccezione dei Cinque Stelle e dell’infamatissimo CasaPoud, sono da tempo sdraiati come sogliole ai piedi dell’’amico americano’. Sull’Unità, organo ufficiale del Pd, Annalisa Chirico scrive che quella di Phillips è “una analisi legittima e doverosa” e aggiunge che l’ambasciatore americano “può dare consigli e formulare auspici”. Sono affermazioni al limite dell’incredibile perché un ambasciatore deve relazionare al suo Paese sulla situazione dello Stato in cui si trova, ma non può in alcun modo intromettersi formalmente nelle sue questioni interne. Ed è penoso anche che adesso Matteo Salvini e Renato Brunetta facciano i pettoruti difensori dell’indipendenza nazionale quando è da tempo immemorabile che la destra italiana, ammesso che questa possa definirsi una destra, è, Berlusconi in testa, più americana degli americani. E sia chiaro che l’altolà all’ingerenza americana avrebbe dovuto esserci anche se Phillips si fosse espresso in favore del No. Lo dico anche ad Antonio Padellaro che afferma che in fondo gli americani non ci hanno bombardato. “Ma quanto è buona Lei, signora Belva”.
 
E’ dalla scomparsa del Pci che noi italiani non riusciamo a dire nemmeno un flebile no alle prepotenze americane, fuori d’Italia e in Italia, e che anzi le appoggiamo senza riserve. Nel 1999 abbiamo partecipato all’aggressione alla Serbia (gli aerei Usa partivano da Aviano) cui l’Onu era contraria e nonostante che noi con la Serbia avessimo buoni e storici rapporti. Persino la piccola Grecia, che pur è un membro di quella truffa chiamata Nato, si rifiutò di partecipare a quell’operazione. Non abbiamo alzato un dito contro l’aggressione del 2003 all’Iraq altro Stato sovrano, come la Serbia, rappresentato all’Onu che anche in questo caso era contraria all’intervento. Anzi abbiamo mandato sul posto ambigui consiglieri e ‘addestratori’ (ma quanta gente stiamo ‘addestrando’ in giro per il mondo?). Abbiamo partecipato, sia pur malvolentieri (Berlusconi era contrario, ma poi si piegò, e questo rende la sua adesione ancora più grave) all’aggressione alla Libia di Gheddafi, altro Stato sovrano rappresentato all’Onu che anche in questo caso era contraria. Tra l’altro con la Libia avevamo corposi interessi economici che abbiamo sacrificato a favore dei francesi, questi eterni e pericolosi ammalati di grandeur ma notoriamente imbelli quando ci sia un avversario degno di questo nome (la famosa ‘linea Maginot’, Hitler passò dal Belgio e in due settimane era a Parigi). Continuiamo a mantenere truppe in Afghanistan, da cui perfino i canadesi, strettissimi alleati degli Stati Uniti, se ne sono andati, per sostenere gli americani che non possono ‘perdere la faccia’, la loro bella faccia, e ammettere che quella guerra infame e ingiusta l’hanno perduta. Anche in Afghanistan manteniamo, oltre a 540 soldati, un altro mezzo migliaio di ‘consiglieri’ e ‘addestratori’ per sostenere un governo, quello di Ashraf Ghani, che senza la presenza americana sul terreno, con basi, bombardieri e droni, non rimarrebbe in piedi più di due settimane di fronte alla resistenza afgano-talebana.
 
Il 3 febbraio del 1998 un pilota americano, volendo fare il Rambo, tagliò le funi della funivia del Cermis provocando 14 morti. Non è stato processato né in Italia né negli Stati Uniti. Come non vengono processati i soldati americani di base a Napoli che a volte, tanto per divertirsi, stuprano ragazze italiane. Il 4 marzo del 2005 il nostro agente Nicola Calipari fu ucciso da un soldato americano, Mario Luis Lozano, di guardia a un checkpoint. In quel caso gli americani avevano ragione perché il governo italiano a guida Berlusconi, nella fretta di riportare in Italia la giornalista Giuliana Sgrena esibendola come un trofeo, non aveva avvertito i comandi statunitensi. Ma un’inchiesta, almeno un’inchiesta, non si nega a nessuno. Per noi nemmeno quella.
 
I servi vengono trattati, giustamente, da servi. E per questo gli americani pensano di potersi permettere intromissioni inaudite come quella di Phillips. Perfino il presidente delle Filippine, Duterte, ha mandato all’inferno gli yankee, definendo Obama un “figlio di puttana”, che volevano segnare la solita ‘linea rossa’ per i modi molto spicci con cui Duterte cerca di liberarsi dei trafficanti di droga. Da noi si sono alzati solo deboli vagiti da parte di singoli uomini politici ma dovrebbe essere il Governo italiano, nella persona del suo premier, Matteo Renzi, a reagire formalmente e ufficialmente chiedendo spiegazioni agli Stati Uniti e, soprattutto, rispedendo l’ambasciatore Phillips a casa sua. Invece il 18 ottobre Matteo Renzi andrà alla Casa Bianca per genuflettersi davanti a Barack Obama e ricevere, come scrive Travaglio, il ‘Premio Fantozzi’.
 
Massimo Fini
 
Il Fatto Quotidiano, 15 settembre 2016

Scandalo derivati, Corte conti convoca Morgan Stanley. Danno erariale da 4 miliardi

morgan stanley
La procura regionale per il Lazio della Corte dei Conti ha invitato a comparire la banca d’affari Usa e i responsabili del Tesoro che hanno stipulato contratti con la controparte statunitense: Cannata, La Via, Siniscalco e Grilli
 
di ALBERTO CUSTODERO e WALTER GALBIATI
14 settembre 2016
ROMA – L’accusa è pesante: hanno scommesso con i soldi degli italiani. E costretto lo Stato a chiudere in fretta e furia contratti con Morgan Stanley in perdita per tre miliardi di euro tra dicembre 2011 e gennaio 2012. Ora la Corte dei conti li ha convocati tutti e ha chiesto loro danni per 4,1 miliardi.
 
Davanti alla magistratura contabile dovranno presentarsi, oltre alla banca d’affari Usa, Maria Cannata, direttore del Debito pubblico, che dal 2000 ad oggi ha firmato molti di quei contratti e i relativi decreti di approvazione e Vincenzo La Via, predecessore della Cannata. Insieme a loro, Domenico Siniscalco, direttore generale del Tesoro, che terminata la propria esperienza ha pensato bene di andare a lavorare proprio per Morgan Stanley e Vittorio Grilli, anche lui direttore del Tesoro, e passato, una volta uscito dallo Stato, nelle fila di un’altra banca d’affari Usa, la Jp Morgan.
La loro colpa, secondo la ricostruzione del pubblico ministero contabile Massimiliano Minerva, è di aver concesso a Morgan Stanley una clausola per nulla compatibile con gli obiettivi di gestione del debito pubblico del Tesoro. Di fatto, l’esposizione dello Stato nei confronti dei creditori si spalma in un periodo di medio o lungo termine, come avviene in genere per qualsiasi mutuo. Quella clausola (in gergo Ate, Additional termination events), invece, una volta attivata, imponeva alla Stato di chiudere tutta l’esposizione verso quella banca dall’oggi al domani. In particolare, la Morgan Stanely poteva chiedere all’Italia la chiusura di tutte le posizioni debitorie qualora l’esposizione creditizia avesse superato un limite prestabilito.
Tra il 2011 e il 2012, in piena turbolenza finanziaria con gli spread impazziti e rischi di fallimento per gli Stati nazionali all’ordine del giorno, Morgan Stanley ha chiesto l’attivazione della clausola, sebbene già altre volte si fosse verificato l’evento per chiedere la risoluzione. E il governo Monti ha obbedito senza batter ciglio, sborsando 3,1 miliardi di euro.
Come se non bastasse alcuni contratti derivati stipulati dal Tesoro non avevano una finalità di sola copertura contro i rischi di cambio o di tasso, ma avevano in sé alcune caratteristiche speculative, vietate a un investitore pubblico. Una di queste “scommesse”, come le definisce la procura regionale Lazio della Corte dei conti, ha permesso a Morgan Stanley di incassare 1,3 miliardi a fronte di un esborso iniziale a favore del ministero del Tesoro di soli 47 milioni di euro (si tratta della vendita nel 2004 di una swaption collegata all’Interest Rate Swap a 30 anni da 3 miliardi).
Il Tesoro per via della sua forte posizione debitoria (l’Italia ha il terzo debito pubblico più grande al mondo pari a circa 2.150 miliardi di euro), si è trovato più volte in una posizione di debolezza nei confronti delle banche d’affari. Come se pur di veder collocati i propri titoli di debito, il Tesoro avesse dovuto concedere alcuni privilegi alle sue controparti finanziarie. Per esempio l’acquisto di contratti derivati. Di tutto questo ne dovranno ora rispondere i convocati. I danni stimati ammontano a 4,1 miliardi, perché ai 3,1 miliardi restituiti si sommano gli interessi per il costo del finanziamento aperto per sopperire al fabbisogno generato dalle operazioni di chiusura (725 milioni) e i flussi negativi generati dalle swaption (277 milioni).

Foggia: la figlia di Padoan protesta con i migranti davanti alla prefettura

ma guarda….
lunedì, 22, agosto, 2016
 
veronica-padoan
FOGGIA, 22 AGO – Una quindicina di attivisti e lavoratori africani ha manifestato dinanzi alla prefettura di Foggia in occasione della visita del ministro della Giustizia Andrea Orlando. Tra loro c’era Veronica Padoan, figlia del ministro dell’Economia, che da tempo segue personalmente le vicende del ghetto
 
“La questione del gran Ghetto di Rignano – ha detto Veronica Padoan – è una questione che preme pesantemente sulla Regione Puglia perché ha delle responsabilità oggettive e riceve notevoli pressioni che giungono direttamente dall’Unione Europea”. “Per quel che concerne il gran ghetto di Rignano – ha sottolineato – effettivamente ci troviamo di fronte ad uno dei complessi abitativi più grandi, ma come il ghetto di Rignano in Italia ci sono altri ghetti. E’ dal 2014 che la giunta Vendola aveva millantato di smantellare il ghetto, il problema non sono queste micro-comunità; il problema – ha concluso Veronica Padoan – è che se non si organizza effettivamente il lavoro nei campi è inutile parlare di smantellare i ghetti”. ANSA

Gli aiuti raccolti per i terremotati? Bloccati in Comune e regalati ai migranti

domenica, 18, settembre, 2016
aiuti-terremotati
SILEA – Treviso – giocattoli, beni di prima necessità, biscotti, crackers, alimenti di vario genere e vestiario: questo quanto ormai da oltre 15 giorni è chiuso in decine di scatoloni ammassati nella hall del Comune di Silea e nella vecchia casa del custode dello stesso. Una situazione per molti inspiegabile, per altri simbolo della mala gestione dell’amministrazione comunale.
 
Tra loro Moreno Vanzin, Segretario della Lega Nord – Liga Veneta di Silea, che nelle ultime ore ha denunciato pubblicamente tale situazione. “Nelle settimane scorse il Comune di Silea, su indicazione tra gli altri del sindaco Silvano Piazza, ha deciso di organizzare una raccolti fondi e beni per i terremotati di Amatrice e Accumuli colpiti dal sisma del Centro Italia. Una decisione lodevole, ma organizzata alla cieca. Fin da subito infatti i responsabili della Protezione Civile avevano fatto presente come nelle zone interessate dalla tragedia non ci fosse bisogno di nulla, essendo la situazione in loco ormai ben sotto controllo. Nonostante questo avviso – continua Vanzin – si è andati avanti con la raccolta e ora nessuno sa cosa fare con quanto rimasto in stallo in paese”.
 
“Da giorni poi, su non si sa bene quale base, i beni raccolti stanno venendo regalati a chiamata alla popolazione o concessi direttamente agli immigrati che vengono con camion e auto a fare incetta di quanto messo a disposizione dal Comune. Non c’è nessun controllo e parliamo di circa un container di materiale. Dove va tutto questo quindi? Perchè, si sa, il rischio che si entri nel mercato nero è facile. Non possiamo dare possibilità ai malintenzionati di guadagnare da un eventuale business illegale”. Dalla Giunta comunale però, nel frattempo, alcuni esponenti parlano di un prossimo invio di tutto quanto rimasto non spedito nella giornata di lunedì, sempre verso le zone terremotate, mentre i beni per l’igiene personale sono stati comunque redistribuiti, tramite i servizi sociali, a persone bisognose sul territorio. La polemica però non accenna a fermarsi e nei prossimi giorni sarà anche oggetto di una precisa interrogazione in Consiglio comunale.
 
Brando Fioravanzi – – trevisotoday.it

Il taglio degli incentivi ferma le assunzioni “stabili”: giù del 33,7%

un successo….
 
taglio incentivi
Crolla il saldo tra cessazioni e contratti a tempo indeterminato: sono 76mila in sette mesi, l’83,5% in meno rispetto al 2015. Pesa il taglio agli incentivi fiscali. Cresce ancora la vendita di voucher per il lavoro occasionale
 
19 settembre 2016
MILANO – Battuta d’arresto per le assunzioni nei primi sette mesi dell’anno. Il taglio degli incentivi fiscali ha ridotto i nuovi contratti a tempo indeterminato del 33,7% rispetto allo stesso periodo del 2015. L’Inps ha inoltre rilevato che il saldo tra assunzioni stabili e cessazioni (licenziati o andati in pensione) è positivo ma è crollato dell’83,5% a 76mila unità. In aumento, invece, la vendita di voucher destinati al pagamento delle prestazioni di lavoro accessorio, del valore nominale di 10 euro: sono stati 84,3 milioni, con un incremento, rispetto al 2015, del 36,2%.
 
Tra gennaio e luglio le assunzioni complessive (stabili, determinati etc) sono state 3.428.000 – compresi i 408mila lavoratori stagionali – con una contrazione del 10% rispetto al 2015. Il dato è fortemento influenzato dal crollo dei nuovi contratti a tempo indeterminato, scesi del 33,7% (379mila in meno): d’altra parte lo scorso anno le imprese potevano beneficiare dell’abbattimento integrale dei contributi a carico del datore di lavoro per tre anni. Da gennaio, invece, la decontribuzione è calata a 3.250 euro l’anno. A dimostrazione che più del Jobs Act che garantisce maggior flessibilità in uscita, erano proprio gli incentivi fiscali a sostenere la ripresa del mercato del lavoro.
 
Probabilmente, nel 2015, le aziende hanno assunto anche più di quanto avrebbero voluto proprio per non perdere i vantaggi contabili: si spiega così il crollo delle trasformazioni a tempo indeterminato (-36,2%) e la sostanziale stabilità dei contratti a tempo determinato (2.143.000) rimasti in linea con il 2015 (+0,9%). Se il saldo tra i 972.946 contratti a tempo indeterminato (comprese le trasformazioni) e le 896.622 cessazioni resta positivo, preoccupa il fatto che il dato sia peggiore del 2015, ma anche del 2014, quando gli sgravi fiscali non c’erano e il saldo era stato positivo per 129.163 unità.
 
I contratti di apprendistato aumentano del 15,4%; quelli stagionali invece registrano una riduzione del 9%. In relazione all’analogo periodo del 2015, le cessazioni nel complesso, comprensive anche delle cessazioni riferite a rapporti di lavoro stagionale, risultano diminuite dell’8,6%. La riduzione è più consistente fra i contratti a tempo indeterminato (-9,1%) che fra quelli a tempo determinato (-6,9%).

LEGISLATIVES EN JORDANIE : LE RETOUR DES FRERES MUSULMANS AU PARLEMENT ?

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Avec AFP/ 2016 09 19/

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JORDANIE LEGISLATIVES

Législatives en Jordanie : vers un retour des Frères musulmans dans les urnes ?

Les Jordaniens renouvellent leur Parlement ce mardi. Un scrutin dont le principal enjeu est le retour annoncé du parti islamiste comme principale force d’opposition …

Après avoir boycotté les deux précédents scrutins, les Frères musulmans mènent une campagne active avant les législatives du 20 septembre en Jordanie avec l’ambition de revenir sur la scène politique. Le score du Front de l’action islamique (FAI), la vitrine politique des Frères, représente la principale inconnue de ce scrutin à un tour destiné à renouveler la Chambre des députés pour les quatre prochaines années. Pour bien figurer, le parti présente 120 candidats, dont des personnalités politiques, syndicales et tribales, qui tiennent meetings un peu partout dans le pays.

Les Frères musulmans traversent cependant une passe délicate, affaiblis par des divisions internes et une répression des autorités qui ont fermé plusieurs de leurs bureaux dans le pays.

“Tout ce que nous voulons ce sont des élections crédibles qui traduisent la réelle volonté du peuple, indépendamment des résultats ou du degré de représentation que nous aurons au parlement”, a déclaré à l’AFP Zaki Bani Irsheid, l’un de principaux dirigeants de la confrérie.

Les Frères avaient boycotté les scrutins de 2010 et 2013 en dénonçant les fraudes et en réclamant la révision du système électoral. En annonçant en juin sa participation aux législatives, le mouvement avait appelé le pouvoir à “garantir la transparence du scrutin et à mettre fin à l’intervention des organes officiels dans le déroulement de l’opération électorale et les résultats”. Pour M. Bani Irsheid, “la Jordanie doit profiter de cette occasion (…) pour rétablir la confiance du citoyen dans le processus électoral et les institutions de l’Etat”.

Tolérée pendant des décennies, la confrérie entretient des relations tendues avec le pouvoir depuis les révoltes du soi-disant « Printemps arabe » de 2011. Elle est, en tant qu’association, considérée illégale et les autorités ont fermé fin avril sept de ses sièges dans plusieurs villes.

Les autorités ont toutefois lâché du lest en amendant la loi électorale pour permettre aux partis politiques de présenter des listes et rompre avec un système de “voix unique” qui avantageait les candidats des tribus, acquis au pouvoir. Les islamistes ont décidé de participer aux élections même s’ils jugent les réformes “insuffisantes”. Ils réclament notamment de nouveaux amendements permettant la formation d’un gouvernement issu du Parlement, contrairement à la Constitution actuelle, qui donne au roi le pouvoir de nommer le Premier ministre.

LES LEGISLATIVES : UN TEST POUR LE REGIME JORDANIEN …

L’Etat sera par ailleurs mis au défi de “prouver sa capacité à organiser des élections crédibles, transparentes et libres. Parce que l’opinion publique est sceptique compte tenu d’expériences précédentes et la reconnaissance par les autorités elles-mêmes de fraudes à grande échelle”, explique Oreib al-Rentawi, directeur du centre al-Qods pour les relations stratégiques.

Selon lui, le régime a le choix entre deux options: continuer sur la voie des réformes et garantir des élections libres, ou opter pour la “confrontation” avec les islamistes.

Cette question se pose dans un contexte délicat pour le royaume, jusqu’à présent îlot de stabilité dans une région secouée par les crises et les conflits. Alliée des Etats-Unis, la Jordanie est en première ligne face à la guerre en Syrie en accueillant plus de 600.000 réfugiés selon l’ONU, plus de 1,4 millions selon Amman. Mais surtout en servant de base arrière aux forces islamistes (les soi-disant « rebelles modérés ») qui visent Damas.

… MAIS AUSSI POUR LES FRERES MUSULMANS

Le scrutin sera aussi un “test pour la popularité de la confrérie”, indique M. al-Rentawi, qui s’attend à ce que les islamistes remportent autour de 20 sièges sur 130, ce qui en ferait la première force d’opposition au Parlement. Comme lors des élections précédentes, la majorité sera composée de candidats loyaux au régime, élus notamment sur des bases tribales.

La confrérie a cependant été déstabilisée par la récente autorisation délivrée par les autorités à un groupe dissident. Ce dernier a expliqué avoir agi pour couper les liens avec la confrérie en Egypte, berceau du mouvement déclaré illégal par le pouvoir du Caire et dont des milliers de membres croupissent désormais en prison. Le FAI avait obtenu son meilleur résultat lors des législatives de 1989 quand il avait obtenu 22 sièges sur 80. Mais, pour l’analyste Labib Qamhaoui, “l’Etat ne permettra pas des élections libres comme en 1989. Il ne peut pas prendre de risque parce que le pays passe par une période délicate”.

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Strage di Viareggio, l’accusa: “Europa colpevole senza anti svio sui treni”

http://iltirreno.gelocal.it/versilia/cronaca/2016/09/17/news/disastro-ferroviario-il-processo-1.14113677

Secondo i pm, nel rapporto dell’Ente per la sicurezza il confronto cost-benefici non ha tenuto conto delle vite umanedi Donatella Francesconi

VIAREGGIO. «In questa tabella possiamo osservare il bollettino prezzi della macelleria Era», dichiara senza neppure alzare la voce – tanto forti risuonano queste parole – il pubblico ministero Salvatore Giannino. Pomeriggio di ieri, Polo fieristico di Lucca, l’argomento sul tavolo è il dispositivo chiamato detettore anti svio. Che l’Era (Agenzia europea per la sicurezza ferroviaria) non ha ancora oggi dichiarato obbligatorio sui carri che trasportano merci pericolose. Installare o meno il sistema che si accorge che il treno sta deragliando e ne arresta la marcia è ancora lasciato all’adozione volontaria delle singole imprese ferroviarie. Con buona pace della task force che la stessa Era ha mandato in giro tra Europa ed Italia un attimo dopo le immagini di Viareggio in fiamme a fare il giro del mondo. Salvo poi diventare – in questi sette anni – le più scomode da mostrare e raccontare, tanto che mai processo di tali dimensioni fu così nascosto agli occhi dell’opinione pubblica.

L’Era non ha mai scelto. Ma in quella tabella «da macelleria», come ha voluto sottolineare il pm, ci sono i prezzi di vite umane perse e feriti in caso di deragliamento. Confrontati con i costi per dotare i carri del dispositivo anti svio: «Ogni carro allestito con un sistema molto più evoluto anche dell’antisvio sarebbe venuto a costare tra i seimila e gli ottomila euro», sono le cifre ricordate in aula dal pubblico ministero Giuseppe Amodeo. Ma per l’Era costano meno «quelle tre vite umane l’anno» che si possono statisticamente perdere se si verifica un deragliamento di treni che trasportano merci pericolose.

LA STRAGE CHE VIENE DA LONTANO: IL RACCONTO MULTIMEDIALE

In aula c’è chi ha testimoniato, senza nulla omettere, che c’era un progetto al quale dentro Trenitalia – la stessa società di Fs che oggi sta sperimentando l’adozione dell’anti svio – si è lavorato per valutare se attrezzare o meno i carri merci che l’azienda avrebbe dovuto acquistare se avesse deciso di investire nel settore del trasporto merci e merci pericolose su rotaia. Finì che non se ne fece di niente, dopo l’analisi del rapporto tra costi e benefici, illustrata in aula da Giannino. Ma – sono le parole di Amodeo, pesanti come quelle del collega – «il settore merci pericolose per Trenitalia non faceva vetrina, non era strategico. Era l’Alta velocità che consentiva di fare apparizioni brillanti». La conclusione è densa di amarezza. E per i familiari delle vittime in aula è l’ennesimo pugno nello stomaco che l’intera storia del disastro ferroviario di sette anni fa riserva loro: «Interessava altro. Questa è la verità. Dura, intollerabile verità».

La conclusione dell’intervento di Amodeo è la citazione di una persona che molto ha fatto e fa per la sicurezza in ferrovia, anche sopportandone le conseguenze del suo agire sulla propria vita personale: «Dante De Angelis, un macchinista e non un ferroviere da salotto. Colui che ha ricordato come i treni svizzeri attraversino tutta l’Italia e che non gli è mai capitato di intervenire su un rilevatore anti svio che fosse andato in allarme. Aggiungendo: “Se qualcuno dicesse di non tirare un freno d’allarme perché altrimenti succederebbe un guaio direi che quello di treni non ne capisce nulla”».

Per completare la storia del rilevatore di svio va ricordato quello che scrive l’Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria: «Vista la criticità connessa al trasporto di merci pericolose, l’Otif (Organizzazione sovrannazionale per i trasporti internazionali ferroviari) aveva previsto nel Rid (Regolamento del trasporto ferroviario internazionale di merci pericolose) a partire dal 1° gennaio 2011, il requisito di dotare i carri trasportanti merce pericolosa del rilevatore di deragliamento. Tale posizione era stata unitariamente sostenuta dall’Italia in sede Otif».

Esattamente quanto mostrato in aula, carteggio alla mano, dal pm Giannino: «Ecco una email del ministero dei trasporti ed infrastrutture con la quale l’Italia l’Italia dichiara la ferma convinzione di introdurre nel Rid 2013 l’obbligo del dispositivo anti svio per i carri trasportanti merci pericolose a partire da quelli più vetusti. Come era quello di Viareggio». A distanza di quattro anni dalla strage di Viareggio la preoccupazione che un disastro simile potesse ripetersi era ancora alta e vi era – aggiunge Giannino – «forte preoccupazione da parte Italia». Il cui ministero, in quella comunicazione, ricordava che «le conseguenze dell’incidente di Viareggio sarebbero state molto più limitate se il carro che è deragliato fosse stato invece attrezzato con il dispositivo che ne avrebbe impedito la corsa al primo accenno di deragliamento».

Le leggi del mercato, invece, fanno sì che ancora oggi si stia discutendo dell’obbligatorietà o meno dell’adozione di una «facile ed economica soluzione che richiede un tempo relativamente breve per essere montata e costi assolutamente esigui», conclude Salvatore Giannino.

Una soluzione tecnica – ricorda Amodeo – che per le Ferrovie italiane «non è un alieno, visto che lo conoscono dal 1998. Da allora ad oggi ci sarebbe stato davvero un bel po’ di tempo per sperimentarlo, prenderlo in considerazione, confrontarsi con la Svizzera». Evitare trentadue morti.

RUSSIE UNIE GAGNE LES LEGISLATIVES RUSSES

# EODE/ RUSSIE: LARGE VICTOIRE DU PARTI DE POUTINE AUX LEGISLATIVES

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EODE - DOUMA 2016 III poutine gagne (2016 09 19) FR  2

Le parti pro-Kremlin Russie Unie a largement remporté les législatives de ce dimanche en Russie, selon les premiers sondages sortie des urnes publiés à l’issue d’un scrutin marqué par une participation faible et un renforcement des forces nationalistes.

VICTOIRE DE RUSSIE UNIE

Le parti RUSSIE UNIE du président Vladimir Poutine a obtenu 44,5% des voix à l’issue de ce scrutin, alors qu’il avait recueilli 49% lors des précédentes législatives en 2011, selon un sondage de sortie des urnes de l’institut public Vtsiom, dévoilé après la clôture du vote à 18H00 GMT à Kaliningrad, enclave russe au coeur de l’Union européenne. Le mode de scrutin avait changé depuis 2011 et plus de candidats se présentaient. Modifications qui donneront plus de sièges au parti de Poutine.

“On peut dire clairement que notre parti a gagné”, a déclaré le Premier ministre Dmitri Medvedev, tête de liste de Russie Unie, à la télévision. A ses côtés, Vladimir Poutine s’est réjoui d’un “bon résultat” pour le parti malgré une participation “pas la plus élevée mais quand même importante”. Pour le chef de l’Etat russe, ces élections étaient d’autant plus importantes qu’elles sont la dernière consultation nationale avant la présidentielle de 2018, où personne en Russie n’imagine que Vladimir Poutine ne se présentera pas pour un 4e mandat.

RENFORCEMENT DES PARTIS NATIONALISTES ET PATRIOTES A LA DOUMA

Le parti libéral démocrate (LDPR, nationalistes radicaux) de Vladimir Jirinovski est arrivé en deuxième position avec 15,3% des voix, en hausse de 4 points par rapport à son score en 2011. Le Parti communiste (KPRF, national-communiste) est juste derrière avec 14,9% des voix, en baisse de cinq points, alors que le parti nationaliste conservateur RUSSIE JUSTE recueille 8,1% des voix.

UN SCRUTIN TRANSPARENT

Le scrutin a en effet été marqué par une faible participation. A 18H00 (15H00 GMT), elle s’élevait ainsi à moins de 40% selon la commission électorale centrale, contre plus de 51% il y a cinq ans. Dans les deux principales villes du pays, Moscou ou Saint-Pétersbourg, la participation était encore plus faible, à la fois par rapport à la tendance nationale et aux précédentes législatives. Cette participation modeste intervient après une campagne morne dans un pays sous sanctions occidentales depuis dix huit mois.

Contrairement aux élections législatives de septembre 2011, marquées par une tentative de « révolution de couleur » et à l’agitation déstabilisatrice des forces pro-occidentales (la 5e collonne, disait les partisans du Kremlin), à la suite desquelles des centaines de milliers de manifestants étaient descendus dans la rue, le Kremlin avait voulu donner plus de transparence au processus électoral. Le président russe avait ainsi placé à la tête de la commission électorale centrale l’ex-déléguée aux droits de l’Homme auprès du Kremlin, Ella Pamfilova, pour remplacer Vladimir Tchourov. Les travaux de la commission électorale étaient diffusés en direct sur la chaîne publique d’information en continu.

Luc MICHEL / EODE Elections Observatory

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Photo : poutine vote …

SYRIE : WASHINGTON PROTEGE DAESH

# SYRIA COMMITTEES/ 62 SOLDATS SYRIENS TUES DANS UNE FRAPPE DE LA COALITION MENEE PAR LES ETATS-UNIS !

SYRIA COMMITTEES WEBSITE/ 2016 09 18/

Avec SANA – PCN-SPO/

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KGUKU

« Si nous pouvions déjà auparavant nous douter que la Maison blanche protégeait le front al-Nosra, maintenant, après la frappe sur l’armée syrienne, nous pouvons tirer une conclusion effrayante pour le monde entier ; la Maison blanche protège Daesh »

– Maria Zakharova, porte-parole du MAE russe (Rossiya 24).

A quoi sert la « trêve » en Syrie ?

62 militaires sont morts dans le bombardement et plus d’une centaine d’autres sont blessés, selon les chiffres donnés par le ministère russe de la Défense…

Le commandement général de l’armée syrienne a indiqué dans un communiqué de presse que des avions de la coalition menée par Washington avaient bombardé des positions des forces gouvernementales près de la ville de Deir ez-Zor, à l’est du pays. Selon un communiqué de presse du commandement général syrien relayé par une chaîne de télévision officielle, la coalition emmenée par les Etats-Unis a bombardé des positions de l’armée syrienne le 17 septembre près de l’aérodrome de Deir ez-Zor. Citant des données militaires syriennes, le porte-parole du ministère russe de la Défense Igor Konachenkov a fait savoir que deux avions F-16 et deux A-10, ainsi qu’un drone, entrés via la frontière irakienne, avaient effectué la frappe à 6 kilomètres au sud de l’aérodrome de Deir ez-Zor.

Il a ajouté que des combattants du groupe terroriste Daesh avaient entamé une offensive contre les positions syriennes immédiatement après ces frappes. Toutefois, l’armée gouvernementale est parvenue à défaire les islamistes et à reprendre ses positions bombardées, a fait savoir un responsable militaire local.

UNE PREUVE DU SOUTIEN DE WASHINGTON ENVERS DAESH,

SELON LE COMMANDEMENT GENERAL SYRIEN

Les actions de la coalition menée par les Etats-Unis «ont clairement pavé la route aux terroristes de l’Etat islamique pour qu’ils attaquent les positions et en prennent le contrôle», a déploré le commandement général des forces armées syriennes. Celui-ci qualifie l’incident d’«agression sérieuse et flagrante» contre les forces syriennes et de «preuve formelle» que Washington et ses alliés soutiennent les djihadistes de Daesh en Syrie. «Même si le bombardement […] était une erreur, cela reste une conséquence du refus de Washington de coordonner son action antiterroriste avec Moscou», a indiqué le ministère russe de la Défense.

Dans un communiqué publié le soir du 17 septembre, le commandement central de l’armée des Etats-Unis a reconnu avoir mené une frappe à Deir ez-Zor. Les frappes de la coalition, qui «pensait viser des positions de combat de Daesh» (sic), ont été «interrompues immédiatement lorsque des responsables de la coalition ont été informés par des responsables russes qu’il était possible que les personnes et les véhicules visés fassent partie de l’armée syrienne» (resic), peut-on lire dans ce communiqué peu convaincant.

LA RUSSIE CONVOQUE UNE REUNION D’URGENCE

Après la réaction américaine, le ministère russe des Affaires étrangères a indiqué avoir convoqué une réunion d’urgence du Conseil de sécurité de l’ONU. Moscou a par ailleurs démenti avoir été informé par les Etats-Unis d’une opération dans la région de Deir ez-Zor.

LA MAISON BLANCHE PROTEGE DAESH

La porte-parole du ministère, Maria Zakharova, a indiqué à la chaîne russe Rossiya 24 : «Si nous pouvions déjà auparavant nous douter que la Maison blanche protégeait le front al-Nosra, maintenant, après la frappe sur l’armée syrienne, nous pouvons tirer une conclusion effrayante pour le monde entier ; la Maison blanche protège Daesh.»

Plus tôt ce 17 septembre, la Russie avait accusé Washington de ne pas avoir pris les mesures nécessaires pour forcer les rebelles «modérés» à respecter le cessez-le-feu, en vigueur depuis le 12 septembre en Syrie.

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