Da: IL MANIFESTO – Lo scienziato borderline

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   D’ambiente, nucleare, TAV e altri mostri…di Massimo Zucchetti
 
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  • Io sono un ex giocatore di poker semiprofessionista. So cosa vuol dire dover puntare nel piatto gli ultimi spiccioli per cercare di contrastare l’ineluttabile, quando stai perdendo e sai che perderai. E come ogni giocatore di poker un po’ bravino, so immediatamente fare un calcolo di probabilità per capire quando – inevitabilmente – perderò. E’ un istinto: chi ha provato, e non per finta ma sul serio, sa cosa vuol dire.

    Davanti a quello che è successo in questi giorni in ValSusa, non ho potuto fare a meno di usare questo mio istinto, ed ho capito come e perché i signori del TAV hanno perso, e perderanno, inevitabilmente.

    Nella notte del 13 novembre, scortata da milleduecento uomini armati in divisa a disposizione su tre turni, la ditta Ltf (Lione-Torino-Ferroviaria) ha piazzato tre trivelle all’autoporto di Susa per realizzare alcuni carotaggi: si tratta di alcuni dei  lavori non fatti grazie alla mobilitazione del movimento No Tav nel 2010. Le trivelle – a Susa – dovrebbero funzionare circa tre giorni, e poi andarsene.

    Nel frattempo, la Valsusa è letteralmente esplosa: la polizia ha bloccato subito la statale 24 e l’autostrada A32. Una militarizzazione imponente per proteggere tre trivellazioni dove dovrebbero fare quella che chiamano la “Stazione internazionale”. Nel frattempo, la Valle è tagliata a metà: tutti i camion passano in mezzo alle case, nelle frazioni, su strade strette. Poi scattano le manifestazioni, imponenti, e i blocchi dei NOTAV: dopo le 22.30 dello stessa lunghissima prima giornata, l’autostrada viene bloccata con barricate, in entrambe le direzioni, dai manifestanti. Il giorno seguente – durante il grande sciopero generale che ha interessato l’Italia – la bandiera NOTAV sventola insieme a quelle dei lavoratori e degli studenti. Che brutto giorno, hanno scelto, per iniziare a trivellare.

    Le trivelle, assolutamente trascurabli, come ognuno avrà già capito, dato che il problema è diventato molto più grande di loro e dei pochi tecnici che ci lavorano, funzionano protette da barriere mobili in calcetruzzo e da centinaia di poliziotti armati e dai blindati.  Due chilometri di blindati schierati a proteggerle: per fare poche trivellazioni, i fautori del TAV devono schierare 1000 uomini, chiudere autostrada e statali e scegliersi il posto per loro più difendibile di tutta la Valle, cioè l’autoporto.

    E’ chiara – da parte loro – la volontà disperata di buttare qualche spicciolo nel piatto, in vista dell’incontro al vertice fra Monti e Hollande sulla questione del TAV che si terrà ai primi di dicembre. Dopo che la Corte dei Conti francese ha nettamente stigmatizzato l’opera, l’architetto Virano ed i boiardi intorno a lui cercano di aver qualcosa da mostrare ai francesi, invece del bluff di un progetto in alto mare, che si trascina penosamente fra revisioni, cambiamenti e ridimensionamenti da due decenni.

    Il TAV perde la partita

    Il TAV perde la partita

    Ma non è per questo che ho avuto, netta, la sensazione di chi perderà e chi vincerà in questa partita. Da ingegnere, ho stimato che il costo di questa operazione di “carotaggio” (secondo me, tra l’altro, tecnicamente inutile) è valutabile – tenendo conto dell’enorme spiegamento di polizia e di mezzi, dei danni inferti e subiti, delle strade e autostrade chiuse, insomma “tutto compreso” – in circa otto-dieci volte il costo di una operazione fatta in normali condizioni.

    Pensiamo pure che si tratti di “condizioni eccezionali” (anche se sono condizioni che si ripetono da oltre due decenni e non mi pare che il movimento NOTAV abbia alcuna intenzione di mollare, così come mi pare che la paura da parte degli “altri” stia crescendo man mano che aumentano gli schieramenti di forze di sicurezza), ma cosa succederebbe se DAVVERO costoro dovessero aprire un cantiere reale, esteso per chilometri, con vere opere, non a Chiomonte in un’area ristretta oppure protetti dall’autoporto di Susa, ma nella vera bassa-media Valle?

    Io non oso immaginare il livello di militarizzazione che sarebbe necessario, le difficoltà, gli incidenti dovuti – si badi – soltanto al dover lavorare circondati letteralmente da un fortino con militari con i fucili spianati. Mnetre un intero popolo pacificamente lo tiene sotto assedio. Militari, esatto, perché la polizia non basterebbe più: dovrebbero mandare l’esercito. E in forze.

    Per quanto tempo, signori del TAV, riuscirete a giocare questa partita, in queste condizioni? Ci avrete pensato.

    La mia idea è che le vostre stime dei costi vadano quintuplicate, e i tempi di esecuzione raddoppiati, perlomeno, anche se si ragiona del tutto in teoria, perché non ce la farete mai. Mai: perché la vostra quindicina di miliardi di euro diverrebbe facilmente una cinquantina, una settantina, o magari un centinaio. La ValSusa non è una anonima valle nella quale scavare un tunnel: la ValSusa non vi vuole, e in vent’anni ha fatto nascere e sviluppato un qualcosa che mai si era visto, come forza, determinazione, volontà di non mollare, popolarità (nel senso di movimento di popolo).

    E allora, inevitabilmente, a meno di non trasformare una parte rilavante di una provincia italiana in un fortino militare, dovrete mollare.

    Questo, al di là di tutte le ragioni di tipo ambientale, di traffico merci e passeggeri, di risorse, di tutte le mille incongruenze di un progetto talmente assurdo che noi – tecnici della Comunità Montana della ValSusa e Val Sangone – non sappiamo più come ripeterlo in una lingua che voi possiate capire. L’italiano, le decine di rapporti tecnici e di valuazioni, evidentemente non servono.

    Abbiamo allora fatto uscire un altro articolo su una rivista scientifica internazionale, in inglese, ovviamente:

    L.Giunti, L.Mercalli, A.Poggio, M. Ponti, A. Tartaglia, S.Ulgiati, M. Zucchetti, “ECONOMIC, ENVIRONMENTAL AND ENERGY ASSESSMENT   OF THE TURIN-LYON HIGH-SPEED RAIL”, International Journal of Ecosystems and Ecology Sciences (IJEES) Vol. 2 (4): 361-368 (2012) . ISSN:2224-4980.

    L’articolo l’ho caricato qui, se percaso volete leggervelo, non si sa mai: https://docs.google.com/open?id=0B4zoX5HeBQpgSlhqUDVoazYzaTA

    La rivista è indicizzata sui maggiori siti di riviste scientifiche, quali ad esempio Copernicus:http://journals.indexcopernicus.com/passport.php?id=6721
    La sostanza dell’articolo riprende in breve i risultati più importanti dei tanti rapporti e studi pubblicati come Commissione Tecnica della Comunità Montana. Manzonianamente: quest’opera non s’ha da fare, per ragioni economiche, d’impatto ambientale, di traffico, energetiche,e molto altro ancora. E’ superata, un relitto tecnologico, altro che ”progresso”. L’articolo cerca d spiegarlo ad un pubblico internazionale.

    Ma non è questo, ora, quelo che conta e che dovrebbe essere evidente a chiunque stia giocando al gioco “Costruiamo il TAV in ValSusa”: non potrete reggere a lungo con le poche scartine che avete in mano, e senza fiches, e senza credito, mentre la posta vi raddoppia sotto gli occhi ogni poco.

    Avete perso. Perderete. Converrebbe, come facevo io nelle serate storte, buttare le carte, alzarsi, salutare tutti con un inchino, e sparire.

di massimozucchetti 
pubblicato il 16 novembre 2012  

Siria. L’Europa pronta a scendere in guerra al fianco dei ribelli

La Francia chiederà a Bruxelles la rimozione del blocco sulle forniture di armi ai ribelli e la Gran Bretagna parla già di no-fly zone

Matteo Bernabei

L’Europa si sta dimostrando ancora una volta più realista del re. Com’è accaduto spesso in passato il Vecchio Continente in materia di politica estera segue rigorosamente la linea dettata dagli Stati Uniti e anche riguardo al conflitto siriano non sono state fatte eccezioni. Negli ultimi 18 mesi l’Unione europea, visto lo stallo all’interno del Consiglio di Sicurezza Onu, ha approvato una lunghissima serie di sanzioni economiche che hanno influito direttamente non solo sull’economia del Paese arabo, ma anche su quella della stessa Europa. Un’azione autolesionista, in tempo di crisi, messa in atto solo per assecondare il volere della Casa Bianca.
Quanto fatto fino ad ora per compiacere il padrone d’oltreoceano non sembra però bastare alle colonie europee, che ora si apprestano ad andare oltre. “Per il momento c’è un embargo, così non vi sono armi fornite da parte europea e la questione sarà senza dubbio sollevata perché l’opposizione ci ha chiesto di farlo e questo è qualcosa che si può fare solo in stretto coordinamento con gli altri leader Ue”, ha dichiarato il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius (in foto con l’omologo Giulio Terzi), in un’intervista rilasciata a margine dei colloqui a 5 in corso a Parigi e ai quali prenderanno parte anche i responsabili della diplomazia e della difesa di Italia, Polonia, Spagna e Germania.
In sostanza i rappresentanti del governo transalpino chiederanno ufficialmente ai presenti di sostenere una presunta necessità di armare le opposizioni di fronte al parlamento e alla Commissione europea, tentando di far revocare il blocco.
“Ci sarà un documento di impegno in cui si affermerà la comune volontà di far progredire l’Europa della difesa, poiché se non vuole essere vittima, volente o meno, di un declassamento strategico deve agire, e prima lo fa e meglio è”, ha spiegato il ministro della Difesa francese, Jean-Yves Le Drian.
Una mozione che l’Italia sembrerebbe disposta ad appoggiare e che ha già raccolto il consenso dell’esecutivo britannico, il quale nel corso di un vertice interno presieduto ieri dallo stesso premier David Cameron ha anche discusso della possibilità di dare vita a una no-fly zone su alcune aree del Paese arabo. Pur non avendo ancora riconosciuto ufficialmente il nuovo fronte delle opposizioni quale unico rappresentante del popolo siriano, come già fatto invece dalla Francia, Italia e Gran Bretagna si preparano quindi a diventare parte attiva in una nuova guerra coloniale sostenuta da Washington, a scapito dei propri interessi e sposando una linea fin qui tenuta soltanto dalle monarchie sunnite del Golfo persico e dalla Turchia. E proprio quest’ultima ieri ha seguito l’esempio del governo francese, aprendo le porte alla nuova formazione nata a Doha nei giorni scorsi. “Ankara dà il benvenuto a questo traguardo importante, conferma il riconoscimento della Coalizione nazionale siriana come legittima rappresentante del popolo”, sono state le parole del responsabile della diplomazia turca, Ahmet Davutoglu, che ha inoltre lanciato un appello agli altri Stati membri dell’Organizzazione della Conferenza Islamica a fare lo stesso.
La fornitura di armi ai ribelli è stata invece fortemente criticata dalla Russia, fra le poche nazioni al mondo ad essersi realmente impegnata al fine di trovare una soluzione pacifica e negoziata del conflitto. “L’assistenza esterna all’opposizione volta a scatenare conflitti armati contro il governo legittimo, sarebbe una grave violazione delle disposizioni fondamentali del diritto internazionale”, ha detto il portavoce del ministero degli Esteri russo, Alexander Lukashevich, nel corso del tradizionale briefing a Mosca del giovedì.
I fronti del conflitto sono dunque sempre più delineati e vanno ben oltre i confini del territorio siriano. Le forze in campo sono molteplici, e gli interessi economici e strategici vanno ben oltre la solita farsa dell’esportazione della democrazia statunitense. Qualunque sarà l’evoluzione dei fatti, i Paesi del Vecchio Continente, e l’Italia in particolare, avranno soltanto da perdere. L’esempio libico, evidentemente, non è bastato.
 

16 Novembre 2012 12:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=17815

Governo “tecnico” e partiti di regime si inginocchiano di fronte all’Ue

Matteo Mascia

Un anno fa ci raccontavano che il governo di Mario Monti avrebbe intercettato il favore delle cancellerie europee e degli organismi internazionali.
A dodici mesi di distanza siamo costretti a registrare il taglio dei finanziamenti riconosciuti al nostro Paese dall’Unione europea. Evidentemente, la tecnocrazia di Bruxelles deve aver deciso di ritenere l’Italia, in particolare il Mezzogiorno, una zona particolarmente florida del Vecchio Continente. Con un tratto di penna sono stati cancellati denari fondamentali per lo sviluppo e per limitare gli effetti della spirale recessiva. Mossa indotta dalle nuove polemiche sul nuovo bilancio dell’Unione europea.
Alcuni dei “ventisette” si sono stancati di contribuire e chiedono decisi tagli alle voci di spesa. Il loro atteggiamento è comprensibile. Hanno capito che l’Ue non è un’Europa fatta di popoli, ma una “struttura” che si deve limitare ad pilotare un “mercato unico” regolato dalla Banca centrale europea di Francoforte.
D’altra parte… non ha senso che a Bruxelles si occupino anche di agricoltura, politiche regionali o del programma “Erasmus”. Meglio applicare la collaudata tecnica dei tagli lineari. Eppure, in rapporto al suo Pil, l’Italia è il Paese che più contribuisce e meno riceve.
Sarebbe giusto e gradito se le segreterie dei partiti nazionali alzassero la voce con veemenza accantonando il timore di essere additati come responsabili di lesa maestà. Ma non lo fanno.
Per il momento hanno preteso correzioni soltanto gli organismi di categoria del comparto agricolo. “I tagli all’agricoltura sono inaccettabili perché compromettono uno dei pochi settori che possono rilanciare l’economia italiana ed europea”, ha commentato Sergio Marini, presidente della Coldiretti.
I coltivatori diretti fanno bene ad essere preoccupati. L’agricoltura italiana rischia infatti di perdere complessivamente 4,5 miliardi di euro. La nuova Politica agricola comunitaria sarà una lontanissima parente del programma di aiuti attualmente in vigore.
I soldi che prima venivano incassate dalle aziende italiane saranno dirottati in Polonia, Bulgaria e Romania. Economie in cui le condizioni di lavoro non sono paragonabili con quelle delle nostre campagne.
La scure della Consiglio europeo non ha risparmiato altre voci. Per i Fondi strutturali in favore delle regioni in crisi o in ritardo economico, Van Rompuy suggerisce infatti di eliminare 29,5 miliardi dai quasi 339 miliardi proposti dalla Commissione Ue. E le Regioni italiane – dal Nord al Sud – difficilmente potranno sfuggire ad una riduzione di queste dimensioni.
Considerato il silenzio dei nostri partiti, non resta che affidarsi all’opposizione dell’europarlamentare britannico Nigel Farage. Uno che non ha mai avuto timori di fronte a Van Rompuy. Storico un suo affondo: “Lei ha lo stesso carisma di uno straccio bagnato”.

15 Novembre 2012 13:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=17832

 

Il Gruppo Bilderberg a Roma: le immagini in esclusiva

Tratto da: Il Gruppo Bilderberg a Roma: le immagini in esclusiva | Informare per Resisterehttp://www.informarexresistere.fr/2012/11/15/il-gruppo-bilderberg-a-roma-le-immagini-in-esclusiva/#ixzz2CNqn6lgq

– Nel tempo dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!


IL GOVERNO DEI BILDERBERG
16 nov

L’EUROPA E’ ORMAI TUTTA FELICEMENTE CONQUISTATA

Il programma messo a punto dalla società segreta Bilderberg nella riunione del maggio 2009 è stato quasi del tutto realizzato. Diciamo meglio: dato che la parte più difficile e tuttavia indispensabile era quella riguardante la liquidazione delle nazioni d’Europa, essere riusciti a impadronirsene è il segnale che ormai l’opera è al sicuro, nulla potrà più ostacolarne il completamento. Le bandierine del Bilderberg sventolano allegramente sui colli e le torri europee più importanti. La Banca centrale europea ne è per certi aspetti il capolavoro. Attraverso la Bce il Bilderberg ha in mano la vita di quasi tutti gli Stati che, con una decisione illegittima e assurda dei loro governanti, hanno rinunciato a battere moneta e si sono consegnati alla volontà di coloro che ne sono i padroni (partecipanti al patrimonio): Beatrice d’Olanda, il principe Constantjin, Sofia di Spagna, Philippe del Belgio, David Rockfeller, Filippo di Edimburgo, Mario Draghi (in quanto partecipante della Banca d’Italia), tutti membri del Bilderberg e presenti alla riunione del 2009. Le partecipazioni degli Stati sono in percentuali minime e forse servono, oltre che a salvare le apparenze, anche a ricompensare i politici per la loro rinuncia alla creazione e alla gestione della moneta.
COSA AVEVANO DECISO I MEMBRI DEL BILDERBERG NELLA RIUNIONE DEL 2009?

Volendo raggiungere come meta finale la realizzazione di un’unica civiltà planetaria, ne erano state predisposte le tappe (ormai per quanto riguarda l’Occidente quasi raggiunte): la distruzione delle identità nazionali, da perseguire attraverso la sovversione dei valori che vi si fondano e l’eliminazione dei singoli Stati; il controllo centralizzato di tutti i sistemi educativi di cui l’avvio è stato dato in Europa con il Trattato di Maastricht e la cosiddetta “armonizzazione” dei programmi scolastici; il ripudio delle discipline storiche e del loro insegnamento in quanto possibile ostacolo nei giovani all’accettazione del Nuovo Ordine Mondiale e al superamento psicoaffettivo del valore della patria, della tradizione, dei costumi in tutti i campi; il controllo delle politiche interne ed estere, come già avviene in Europa attraverso l’esame preventivo delle finanziarie e i vari trattati sui confini, sull’immigrazione, sull’uguaglianza dei diritti; una lingua unica, che è quella già in uso e che a poco a poco tutti sono obbligati ad adoperare: l’inglese. Il perno sul quale i bilderberghiani si fondano in tutti i loro progetti è però sempre quello finanziario visto che, tramite le banche e le speculazioni di Borsa, riescono a guidare concretamente ogni tipo di politica riducendo a propri esecutori gli uomini di governo dei singoli Stati. L’instaurazione di un mercato unico e di una moneta unica è quindi la meta più importante; ma essere riusciti, con la creazione dell’euro, a eliminare quasi tutte le monete europee rappresenta la loro vittoria più significativa in quanto segnala che il progetto finale è sulla via del traguardo. Di fatto tutta l’operazione “Unione europea” è stata pensata come una specie di esperimento la cui riuscita avrebbe confortato i progettisti nel proseguire sulla stessa strada. Nessuno creda che le crisi finanziarie, l’impoverimento dei popoli, l’eccesso di tassazione, siano per il Bilderberg segnali negativi, tutt’altro: era programmato che sarebbero stati questi gli strumenti con i quali giungere alla meta. Come abbiamo potuto vedere attraverso quello che è successo in Italia, il colpo di forza con il quale un banchiere è diventato capo del governo ha avuto come “giustificazione” il crescere del debito, il differenziale sempre più alto con i titoli tedeschi; ma per chi è padrone del gioco di Borsa provocare tali squilibri è facilissimo, tanto più quando i manovratori sono d’accordo sul da farsi essendo tutti membri del Bilderberg o dei suoi rami più importanti, quali la Trilateral Commission e l’Aspen Institut: Mario Monti, Mario Draghi, Giorgio Napolitano, Carlo Azeglio Ciampi, Romano Prodi, José Barroso, Giuliano Amato, Vincenzo Visco, Enrico Letta… Tutti nomi citati più volte e da diversi autori, oltre me, negli anni scorsi, quali per esempio Daniel Estulin con il suo “Il Club Bilderberg” pubblicato nel 2005, Marco della Luna con “Euro schiavi” anch’esso del 2005, Elio Lannutti con “La repubblica delle banche” pubblicato nel 2008, senza che nessuno li abbia mai smentiti.
DUNQUE POSSIAMO CONSTATARE CHE TUTTE LE PREVISIONI SI SONO AVVERATE

Gli Stati d’Europa hanno perso la sovranità, l’identità, le loro ricchezze e quelli più difficili da domare a causa della loro creatività, del loro attaccamento alla propria storia, alla propria indipendenza, quali la Grecia, l’Irlanda, la Spagna, l’Italia, sono stati ridotti, tramite la pressione sui titoli sovrani, a dipendere dalla “generosità” dei banchieri con una nuova, orribile immagine di sé, quella di “mendicanti”, di possibili ladri cui è pericoloso prestare soldi se non danno se stessi e i propri figli in garanzia. I banchieri hanno adesso finalmente raggiunto il loro ultimo scopo: darsi la mano diventando interscambiabili con i politici e proclamando così apertamente che è iniziata una nuova era: il Regno dei Banchieri. Avevo scritto due anni fa, nella Dittatura europea, che avrei creduto a questa ricostruzione, che pure ero stata io stessa a fare con puntigliosa, scrupolosissima ricerca, il giorno in cui avessi visto i banchieri mettersi al posto dei politici. E’ proprio quello che è avvenuto. Ed è avvenuto – cosa incredibile – con l’aiuto, la complicità dei politici. Ho tante volte interrogato negli anni scorsi i maggiori leader del mondo politico, religioso, industriale, giornalistico sul perché avessero accettato in silenzio di uccidere se stessi, insieme all’ Italia, senza riuscire ad avere una risposta. Oggi però non possono continuare a tacere e consegnarsi alla storia come dei vigliacchi traditori della propria nazione e del proprio popolo. E’ indispensabile che si scuotano dalla passività nella quale sono sprofondati e si convincano che la desertificazione attuale dei partiti, l’assenteismo e il ripudio degli elettori, perfino la corruzione che ha invaso tutte le istituzioni, sono la conseguenza di questo tradimento perché nessuno ha più davanti a sé una patria da difendere, un valore collettivo in cui credere, un futuro in cui sperare e da costruire per i suoi figli.
di – Ida Magli
tratto da: www.italianiliberi.it

Redatto da Pjmanc: http://ilfattaccio.org

Nuovo attacco sionista a Beppe Grillo: «Fermarlo, prima che sia troppo tardi»,

Nuovo attacco sionista a Beppe Grillo: «Fermarlo, prima che sia troppo tardi», questa la parola d’ordine della rete dei sayanim.

In un fetido commento, appena emesso da “Informazione Scorreggia”, si ritorna alla strategia che avevamo già denunciato in un precedente post. Si era allora partito da Tel Aviv un giornalista israeliano, che gli era andato a fare una intervista, a Genova. L’intervista è sta poi ripresa dal “Corriere di Sion” e da lì è partito il segnale ai media, che da allora si accaniscono in una campagna diffamatoria. Per fortuna, sembra che quando giornali come “Repubblica” si accaniscono contro qualcuno, si può ormai ragionevolmente pensare che vi sia una campagna di diffamazione condotta ad arte e la campagna produce il risultato opposto: bravo Beppe, vai avanti! L’interesse dell’intervista “sionista” era chiaramente dettato da alcun3 dichiarazioni di Beppe che riguardavano Israele, la pulizia etnica della Palestina, la campagna di propaganda per una nuova guerra all’Iran, dopo quelle genocidarie e disastrose contro l’Iraq e l’Iran, sobillate da Israele, ed eseguite dagli Usa, totalmente asserviti alla Lobby.

È curioso come ricorrano alcune espressioni, già usate, nel titolo del peto odierno di “Informazione Scorreggia”, che fa ridere nel commento, quanto pretende che «IC non entra mai in argomenti che riguardano i partiti politici» con un “a meno che…”, che sconfessa e contraddice quanto appena detto. Quanto poi a imputare a Grillo il suo «linguaggio», ci vuole la proverbiale “Chutzpath” (sfacciataggine) della “cultura ebraica”, che su “Informazione Scorreggia” tocca i suoi massimi livelli. Si esplori il suo “archivio”, di cui i redattori degli anonimi commenti vanno fieri, quasi fosse l’Archivio Segreto Vaticano. Vi si trova un vasto campionario di diffamazione sistematica, rimasta sempre impunita e protetta dal regime, le più insensate e contraddittorie menzogne, la denigrazione sistematica… ed un Odio immenso ed autentico per chi non soggiace servilmente alla propaganda (Hasbara), che viene inoltrata da qualche stanza di Tel Aviv. Si presti attenzione all’espressione: «fermarlo prima che sia troppo tardi», già usata e ricorrente come una parola d’ordine mandata alle redazioni dei giornali, dove peraltro gli ambasciatori israeliani pare tengano appositi seminari… Chi deve fermarlo? A chi è rivolto l’ordine? Come e perchè? Non sono gli italiani liberi di decidere se dare o non dare il proprio consenso a Beppe Grillo? Sarà come per Hamas, che dopo aver vinto le elezioni, è stato iscritto di ufficio nell’elenco dei “terroristi” perché il risultato elettorale non è piaciuto alla Lobby che non esiste e non si può neppure nominare? Rispondendo a queste domande si scopre la rete dei sayanim operante in Italia, il sistema dei politici asserviti, il ruolo della stampa ed il modo in cui il sionismo opera non solo in Italia, ma nel mondo.

Spiega Atzmon che è falsa e fuorviante la concezione del sionismo come un fenomeno coloniale e territorialmente limitato alla Palestina storica, espropriato ai legittimi abitanti che da allora vivono in campi profughi o in Lager come quello di Gaza. Si tratta invece di una dottrina di stampo razziale primatista, che ha una ramificazione globale. Naturalmente, siamo con Grillo e ci auguriamo che abolisca la legge Mancino, voluta dalla coppia Taradash-Modigliani per reprimere qualsiasi opposizione all’opera nefasta del sionismo, che ha appena prodotto un disegno di legge, firmata da ben 97 senatori, per imbavagliare qualsiasi critica ad Israele ed alla comunità ebraica, che si è ormai resa complice di tutto ciò che Israele fa ed ha fatto scattare quella inversione del concetto di temporalità di cui parla Atzmon. Una simile legge, che si vuole anche in Italia – complice e supporter “Repubblica” – ha prodotto nella sola Germania ben 200.000 incriminazioni per meri reati di opinione: solo i giornalisti di “Repubblica” avranno il diritto di parlare e di stampare! Solo i Merli potranno cantare! Quelli di “Informazione Scorreggia”, che teorizza l’esistenza di “opinioni” che sono “crimini”, vogliono solo per sé ed i loro sayanim la piena ed assoluta libertà di scorreggiare, in quello che chiamano “il nostro paese”. Quale? di chi? Cosa include il “nostro”? “Nostro” di chi? Di Israele? Chi è il soggetto e chi il predicato? Domande inquietanti che gli italiani dovrebbero incominciare a porsi seriamente ed a volgere il loro sguardo, finora distratto ad arte – da giornali come la “Repubblica del Linciaggio” o il “Corriere di Sion” –, verso determinate direzioni, magari guardando negli uffici israeliani, dove vengono redatti i “commenti scorreggia”.

Francesco Merlo

Sul merito dell’articolo uscito su “La Repubblica” basta dire che è proprio la “Repubblica” benedetta, ossia la “Repubblica del linciaggio”, che pensa di costruire il suo potere sugli “insulti”, quella che in fatto “gogna”, di “diffamazione”, demonizzazione, denigrazione è l’organo insuperato ed impunito. Non sono le innocente e proletarie storpiature satiriche dei nomi dei politici di regime a fare danno, ma la sistematica e scientifica opera di diffamazione, manipolazione, disinformazione di pezzi di cartaccia che da decenni bendano gli occhi degli italiani. Quindi, davvero ma davvero curioso, ma interessante osservare come il Merlo rovesci la prospettiva ed ora sia il web ad essere il palcoscenico, non più la carta stampata, che per fortuna i cittadini comprano sempre di meno: ricordo con quanta professionalità ed efficacia l’addetto alla lavaggio della mia macchina si serviva di intere pagine di giornale, quasi fossero fatte apposta per l’uso più adeguato che possono avere.

Se così fosse, vorrebbe dire che è già giunto il declino della carta stampa, della “carta straccia”, secondo le parole di un ex-giornalista di Repubblica. La tecnica compositiva dell’articolo merlesco è quella vecchia e consolidata: giochi pirotecnici per confondere il lettore con quale citazione, ignorando la gravità dei problemi e la disperazione che ha prodotto in piazza Montecitorio il nostro morto suicida che si è dato alle fiamme, ma senza senza che il fuoco delle sue carni ardenti abbiano attirato la stessa attenzione dei suicida tunisino. Che faceva Francesco Merlo? È andato ad intervistare la famiglia? Si è interessato delle ragioni del suicida? Lo chiedo perché non lo so e la notizia mi pare sia stata del tutto o quasi oscurata dai nostri media, che nel caso di Merlo si preoccupano dei nomi “storpiati” da Grillo, si badi: i nomi! La giustizia popolare vorrebbe che si storpiasse qualcos’altro. Ma a noi bastano storpiare le lettere dell’alfabeto e combinarle diversamente. Pare che anche questo dispiaccia al signor Merlo, che scrive su “Republica”, dove ad altri non è concesso, neppure quando diffamano: libertà di stampa, ossia libertà di diffamazione per chi possiede la stampa e per chi ci scrive sopra.  Sui “nomi storpiati”, oggetto dell’articolo di Francesco Merlo – il cui nome non storpiamo: basta da solo –, farebbe meglio costui a ricordarsi dei tempi non remoti, dove non i nomi, ma le gambe venivano storpiate. Il sistema mediatico alla Merlo non storpia i nomi, ma ad esempio chiama “opposizione siriana” una opposizione che non esiste, facendo diventare elegantemente “opposizione” bande di mercenari tagliagole, pagari dai regimi del Golfo con il concorso di Israele, per invadere un paese ed abbattere un governo legittimo che ha la sola grave colpa di non volersi sottomettere ad Israele, i cui appetiti sionistici si estendono a tutto il Medio Oriente e che trovano in “Repubblica” un sicuro organo di sostegno. Di una “opposizione” reale, di cui Grillo è espressione, il signor Merlo non sembra accorgersi. Purtroppo, a questa opposizione reale del popolo italiano non forniscono le stesse armi che hanno dato ai ribelli mercenari di Libia e di Siria. Mah! Speriamo, ci auguriamo fermamente, che questa “Repubblica”, dove il Marcio regna sovrano, possa essere presto smantellata. Il blog di Merlo ha una sua area commenti: è falsa come è truccato il suo articolo. Appaiono solo i commenti addomesticati ed addolciti: quelli che fanno comodo allo stesso Merlo, un merlo che ha inteso giocare un tiro ad un grillo, ma che in realtà lo ha giocato a se stesso.

http://antisionista-antigiornale.blogspot.it/

Tratto da: Nuovo attacco sionista a Beppe Grillo: «Fermarlo, prima che sia troppo tardi», questa la parola d’ordine della rete dei sayanim. | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2012/11/14/nuovo-attacco-sionista-a-beppe-grillo-fermarlo-prima-che-sia-troppo-tardi-questa-la-parola-dordine-della-rete-dei-sayanim/#ixzz2CNtAk1UV
– Nel tempo dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!

Il processo politico di un brav’uomo e la fine della giustizia in Usa

IL PROCESSO POLITICO DI UN BRAV’UOMO E LA FINE DELLA GIUSTIZIA IN USA

– DI JOHN PILGER – johnpilger.com

Nel 1999, mi recai in Iraq con Denis Halliday, che si era dimesso da assistente segretario generale delle Nazioni Unite, piuttosto che dover imporre un embargo punitivo all’Iraq, ideato e gestito da Stati Uniti e Gran Bretagna. La sofferenza estrema che queste “sanzioni” causarono, secondo l’UNICEF, condannò a morte mezzo milione di bambini iracheni al di sotto dei cinque anni. Dieci anni dopo, a New York, ho incontrato l’alto funzionario britannico responsabile per l’imposizione delle sanzioni. Si trattava di Carne Ross, già conosciuto alle Nazioni Unite come “Mr. Iraq”.

Gli ho riletto una dichiarazione da lui rilasciata nel 2007 ad una commissione parlamentare scelta. “È oltremodo evidente che le sanzioni hanno causato enormi sofferenze umane tra gli iracheni, in particolare tra i bambini. Noi, i governi di Stati Uniti e Regno Unito, siamo stati i principali artefici e colpevoli per le sanzioni ed eravamo ben consapevoli dei loro potenziali effetti, ma li abbiamo in gran parte ignorati o ne abbiamo addossato la colpa al governo di Saddam. [Noi] abbiamo di fatto negato a tutta la popolazione i mezzi per la sopravvivenza.”

Gli dissi: “È un’ammissione sconvolgente.”
“Sì, sono d’accordo,” rispose, “Provo molta vergogna al riguardo… Prima di partire per New York, mi recai al Ministero degli Affari Esteri dove mi aspettavo un rapporto dettagliato sulle enormi quantità di armi che pensavamo l’Iraq ancora possedesse, ma il funzionario di turno mi guardò un po’ imbarazzato e disse, ‘Beh, effettivamente, non credo che ci sia granché in Iraq’”.

Questo nel 1997, più di cinque anni prima che George W. Bush e Tony Blair invadessero l’Iraq per motivi che sapevano essere fasulli. Lo spargimento di sangue che causarono, secondo stime recenti, supera quello del genocidio in Ruanda.

Il 26 febbraio 2003, un mese prima dell’invasione, il Dottor Rafil Dhafir, un famoso specialista di tumori di Syracuse, New York, fu arrestato da agenti federali e interrogato riguardo alla fondazione di solidarietà che aveva avviato per aiutare i bisognosi. Il Dottor Dhafir è stato uno dei molti americani, musulmani e non, che nell’arco di 13 anni avevano raccolto fondi per cibo e medicine per gli iracheni affamati e malati colpiti dalle sanzioni. Aveva anche chiesto alle autorità statunitensi se fosse lecito mandare aiuti umanitari all’Iraq e gli era stato risposto di sì, ma una mattina presto degli agenti federali lo trascinarono fuori dall’auto mentre si apprestava ad andare in ambulatorio. Sfondarono la porta di casa sua e puntarono le armi alla testa di sua moglie. Oggi sta scontando 22 anni di carcere.

Il giorno dell’arresto, il procuratore generale del governo Bush, John Ashcroft, comunicava che “finanziatori del terrorismo” erano stati catturati. Il “terrorista” era un uomo che aveva dedicato la sua vita alla cura degli altri, compresi i malati di cancro nella sua stessa comunità di New York.

Furono raccolti più di 2 milioni di dollari, con molte persone che ipotecarono le loro case, ma la cauzione gli fu negata sei volte.

Per l’International Emergency Economic Powers Act, il crimine del dottor Dhafir è di aver inviato cibo e medicine al suo paese di nascita colpito dalle sanzioni. Gli è stata “offerta” la prospettiva di una pena minore, se si fosse dichiarato colpevole, ma lui ha rifiutato per principio.

Il patteggiamento, che attribuisce ai pubblici ministeri i poteri di giudice, giuria e boia è un sopruso del sistema giuridico americano. Per averlo rifiutato, Dhafir è stato punito con ulteriori accuse, tra cui quella di frode del sistema “Medicare”, un “crimine” che si basa sul non aver compilato correttamente i moduli per il rimborso fondi, e per riciclaggio di denaro ed evasione fiscale, tecnicismi gonfiati relativi al suo stato di fondatore dell’associazione benefica “Help the Needy”.

George Pataki, l’allora governatore di New York, lo definì “riciclaggio di denaro per aiutare le organizzazioni terroristiche […] a condurre atti orribili”. E descrisse il dottor Dhafir e i sostenitori dell’associazione “Help the Needy” come “terroristi che vivono qui a New York in mezzo a noi… che sono complici e sostenitori di coloro che vorrebbero distruggere il nostro modo di vivere e uccidere i nostri amici e vicini di casa”. Un messaggio altamente manipolativo per i giurati. Questa era l’America sulla scia emotiva dell’11 settembre.

Il processo nel 2004 e nel 2005 è stato kafkiano. Iniziò con il pubblico ministero che inoltrava un’istanza, accolta dal giudice, di vietare ogni accenno alla parola “terrorismo”. “Questa decisione si trasformò in un ostacolo insormontabile per la difesa”, dice Katherine Hughes, una osservatrice. “Il pubblico ministero poteva alludere ad accuse più gravi, ma alla difesa non è mai stato permesso di seguire quella linea di domande e demolirla, pertanto il processo non è stato, in realtà, quello che avrebbe dovuto essere”.

È stato invece un farsesco processo politico di proporzioni staliniane e di carattere anti-musulmano svoltosi ai margini della “guerra al terrore”. Alla giuria fu gravemente detto che il dottor Dhafir era un musulmano salafita, come se questo fosse un’infamia. Fu fatto il nome di Osama bin Laden senza alcuna rilevanza. Che l’associazione “Help the Needy” avesse apertamente pubblicizzato i propri scopi umanitari e che le fatture e le ricevute per l’acquisto di aiuti d’emergenza e cibo fossero disponibili non fu di alcun interesse. Lo scorso febbraio, lo stesso giudice, Norman Mordue, ha ribadito la sentenza e condannato il dottor Dhafir a 22 anni di reclusione. Una crudeltà degna del Gulag.

Dopo aver “vinto” il loro caso “terrorista” i pubblici ministeri tennero una cena di celebrazione, “festeggiando”, scrisse un avvocato di Syracuse al giornale locale “come se avessero vinto il Super Bowl … dopo aver perpetuato una menzogna mostruosa [nei confronti di un uomo] che aveva aiutato migliaia di persone che ingiustamente soffrono in Iraq … il processo è stato un’aberrazione”. “Nessuno dei dirigenti di compagnie petrolifere che facevano miliardi di dollari di affari illegali con Saddam Hussein durante le sanzioni è stato processato. Sono sbalordito per la condanna di questa generosa persona”, ha ribadito Denis Halliday, “tanto più che il Dipartimento di Stato americano ha violato le sue stesse sanzioni per ben 10 miliardi di dollari.”

Durante la campagna presidenziale di quest’anno, entrambi i candidati hanno concordato sulle sanzioni all’Iran perché, hanno dichiarato, rappresenta una minaccia nucleare per il Medio Oriente. Quest’affermazione, ripetuta più volte, ricorda le bugie raccontate sull’Iraq e l’estrema sofferenza di quel paese. Già adesso le sanzioni stanno devastando la vita degli ammalati e disabili iraniani. Mentre i medicinali importati diventano incredibilmente costosi, i malati di leucemia ed altri tumori sono le prime vittime. Per il Pentagono si tratta semplicemente di “dominio a raggiera”.

John Pilger
Fonte: http://johnpilger.com
http://johnpilger.com/articles/the-political-trial-of-a-caring-man-and-the-end-of-justice-in-america
Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte da GIANNI ELLENA


Tratto da: IL PROCESSO POLITICO DI UN BRAV’UOMO E LA FINE DELLA GIUSTIZIA IN USA | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2012/11/16/il-processo-politico-di-un-bravuomo-e-la-fine-della-giustizia-in-usa/#ixzz2CNmil0mK
– Nel tempo dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!

Francia, bomba ritardata nel cuore dell’Europa

 

Miccia accesa dagli anglosassoni!

Domani sul The Economist, uno numero speciale di 14 pagine sulla Francia. Il nuovo obiettivo…

La crisi economica francese è davvero grave

Hollande avverte che ci sarà bisogno di altre riforme. Nuovi sacrifici in vista per il popolo transalpino

Andrea Perrone

Una grave crisi mette a rischio il futuro della Francia. È quanto dichiarato ieri nel tardo pomeriggio dal capo dell’Eliseo, il socialista François Hollande (nella foto), alla sua prima apparizione davanti ai giornalisti e sugli schermi televisivi, nel corso di una maxi-conferenza stampa convocata a sei mesi dalla sua elezione all’Eliseo. Era decenni che non veniva fatto un annuncio del genere.
Il presidente francese ha comunque denunciato la complessa situazione che attraversa il Paese e i passi per affrontare le difficoltà che mettono a dura prova anche il popolo francese – per volere dell’usura internazionale e dei governi loro vassalli – come sta avvenendo anche per altri popoli europei. Testuali le parole del capo di Stato che ha sottolineato come la situazione economica della Francia “è seria e non sto esagerando. La mia missione è semplice: recuperare la crescita e ridurre la disoccupazione” nel Paese, ha chiosato Hollande, nel suo discorso.
A suo dire la situazione è comunque sotto controllo grazie alle misure decise nei mesi scorsi e alle nuove che presto verranno annunciate e varate. Ma i pericoli economico-finanziari incombono lo stesso. D’altronde la crisi è palpabile anche nella seconda economia dell’Unione europea, con il rischio recessione dietro l’angolo e la disoccupazione in aumento. “La Francia – ha tuonato – sarà in grado di rispondere alle sfide”. “La rotta è fissata”, ha dichiarato sicuro di sé Hollande, nel corso della sua conferenza stampa. Per Hollande, la Francia sarà in grado di rispondere “con successo” alle minacce che la attendono, come il rilancio della competitività e il risanamento dei conti pubblici. Da settimane, il capo dell’Eliseo è tuttavia al centro delle critiche per non avere ancora dato una direzione chiara al Paese. “Ci sono riforme da fare, le faremo”, ha assicurato il presidente nel tentativo di rispondere a chi lo accusa di inanità.
È comunque d’obbligo ricordare che nonostante gli annunci elettorali dell’attuale presidente francese per favorire la crescita economica e impedire la recessione evitando nuovi tagli e altrettante nuove tasse, Hollande ha dovuto applicare molte delle ricette in vigore negli altri Paesi dell’Eurozona: tagli ai salari e alle pensioni, all’occupazione, alla Sanità e all’istruzione. Riducendo la Francia alla stregua di altri Stati della zona euro, vittima della speculazione e dell’usura internazionale, obbligata a varare riforme antipopolari per far pagare gli errori di politici corrotti, tecnocrati e banchieri ai ceti popolari meno abbienti, in barba alla sua militanza socialista.

14 Novembre 2012 12:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=17784

Rating alla sbarra: danni all’Italia per 120 miliardi di euro

Rating alla sbarra: danni all’Italia per 120 miliardi di euro

Scritto il 15/11/12 Un danno all’Italia stimato in 120 miliardi di euro, generato da analisti finanziari incompetenti e notizie manipolate «a orologeria». Sotto accusa il gotha della finanza internazionale. La Procura di Trani, guidata da Carlo Maria Capristo, ha chiesto il rinvio a giudizio per i vertici di due agenzie di rating, “Standard & Poor’s” e “Fitch”. Insufficienza di prove, invece, a carico di “Moody’s”, terza indagata. L’inchiesta, condotta dalla Guardia di Finanza a seguito di un esposto delle associazioni dei consumatori Adusbef e Federconsumatori, è stata coordinata dal pm Michele Ruggiero. Sette le persone per le quali è stato chiesto il rinvio a giudizio per “manipolazione del mercato” e “aggiotaggio”, con le aggravanti di danno patrimoniale di rilevante gravità. Appunto i 120 miliardi di euro, secondo la stima fatta dalla Procura della Corte dei Conti della Regione Lazio.

Che cosa sono le agenzie di rating? «Nel mercato finanziario – scrive il quotidiano “Pubblico” – vendono informazioni, svolgendo un ruolo di intermediari tra investitori ed emettenti di titoli, siano essi privati o Stati». Da un lato gli investitori chiedono informazioni per indirizzare il loro denaro a chi può offrire la garanzia di restituirlo, e loro volta gli emittenti di titoli, in cerca di liquidità, puntano ad avere dalle agenzie di rating referenze positive, cioè la “pagella” che renda i loro titoli appetibili sul mercato. Problema: anche se vestono i panni dell’arbitro, le agenzie di rating sono parte anch’esse del sistema “impazzito” della finanza mondiale, che proprio attraverso continue manipolazioni organizza colossali speculazioni quotidiane, anche a danno di interi popoli.

Condizione che stride, ovviamente, con lo statuto delle agenzie, che sarebbero formalmente tenute a fornire i loro servizi secondo principi di qualità adeguata, trasparenza e tempestività. Proprio lo “sciopero” delle informazioni finanziare sull’Italia è la minaccia a cui ricorre “Fitch”, come ritorsione contro l’iniziativa dei magistrati di Trani: cosa accadrebbe, infatti, se le autorità giudiziarie del resto del mondo cominciassero a procedere contro le agenzie di rating? A livello internazionale, c’è il clamoroso precedente dell’Australia: dove “Standard & Poor’s” è stata condannata a risarcire 24 milioni di euro per valutazioni errate espresse nell’attività di rating. La causa australiana è stata innescata da una class action, un’azione collettiva.

«Da intercettazioni telefoniche – spiega il quotidiano di Luca Telese – sarebbe emerso non solo che la “S&P” forniva le notizie con una tempistica pilotata, ma anche che i vertici dell’agenzia erano consapevoli del fatto che i loro dipendenti in Italia non erano competenti». La controprova di ciò – secondo il pm Ruggiero – starebbe in una comunicazione interna della “Standard & Poor’s”: il 13 gennaio 2012 Renato Panichi, responsabile per l’Italia del settore banche, segnalò agli analisti Eileen Zhang e Moritz Kraemer che il giudizio da essi espresso sul sistema bancario italiano era errato, o meglio «esattamente contrario» alla situazione reale. L’errata valutazione sparì solo dal comunicato in lingua inglese, mentre non vennero aggiornati né la nota ufficiale trasmessa alla Repubblica italiana né il comunicato diffuso in lingua italiana. Così, nonostante la segnalazione di Panichi, l’agenzia confermò il declassamento dell’Italia, facendo schizzare lo spread a quota 505.

Oltre agli analisti Zhang e Kraemer, nel mirino delle indagini è finito Deven Sharma, presidente dal 2007 al 23 agosto 2011, e con lui Yann Le Pallec, responsabile per l’Europa, e un altro analista senior, Franklin Crawford Gill. «Sotto accusa – scrive “Pubblico” – una serie di informazioni tendenziose e distorte, avvenute tra maggio 2011 e gennaio 2012». False informazioni che, secondo l’accusa, avrebbero dato corpo a un vero e proprio «disegno criminale», provocando l’indebolimento dell’Italia sui mercati finanziari e il deprezzamento dei titoli di Stato con una ricaduta negativa anche sull’euro. Altre imputazioni, poi, a carico dei manager di “Fitch”: David Michael Willmoth Riley, capo del rating “sovrano”, e Alessandro Settepani, direttore senior della Fitch Italia, sono accusati di manipolazione del mercato pluriaggravata, dovuta alla divulgazione – a mercati aperti – di informazioni che dovevano restare riservate. I due emisero preavvisi di declassamento che erano «idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari». Per la Procura di Trani, operarono con un abuso di “prestazione d’opera”, essendo “Fitch” legata al ministero dell’economia e delle finanze per l’emissione di titoli di Stato italiani.

http://www.libreidee.org/2012/11/rating-alla-sbarra-danni-allitalia-per-120-miliardi-di-euro/?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=feed+%28LIBRE+-+associazione+di+idee%29

Gran Bretagna: 8 milioni di bambini schedati in segreto

Gran Bretagna: 8 milioni di bambini schedati in segreto

Un gigantesco database  in Gran Bretagna. Tutte le informazioni amministrative, scolastiche, o comportamentali dei bambini, vengono memorizzate. La consultazione e la possibilità di arricchimento permessa a e di vari servizi (polizia, assistenti sociali, medici) … I genitori non sono stati informati.

Si chiama “One”, sviluppato da Capita, una società specializzata nella fornitura di sistemi IT.


Fonti
thesundaytimes.co.uk
dailymail.co.uk

Draghi: La fine della sovranità dei paesi europei

Mario Draghi, presidente della Banca Centrale Europea, ha detto in un’intervista al quotidiano tedesco “Der Spiegel”, che è a favore al diritto di controllo dell’Unione Europea sui bilanci delle nazioni.

« Molti governi non hanno ancora capito che hanno perso la loro sovranità nazionale molto tempo fa. Poiché sono fortemente indebitati, ora sono dipendenti della buona volontà  dei mercati finanziari ».
« L’euro deve essere basato su una maggiore integrazione »

e dare così

« più potere ai politici nominati dagli Stati e non eletti dal popolo ».

http://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2012/html/sp121029.en.html

In attesa di improbabili novelli San Giorgio, ecco la versione di Mario Draghi, potentissimo governatore della Banca Centrale Europea, consegnata all’intervista concessa al settimanale tedesco Der Spiegel (pubblicata su L’Eco di Bergamo del 2/11/12). Due i passaggi chiave:

http://olivatireport.blogspot.gr/2012/11/il-soffio-del-draghi-gli-stati-europei.html