Torino-Lione in bus il servizio raddoppia

 

Torino-Lione in bus
il servizio raddoppia

Da Porta Nuova o Porta Susa al centro della Savoia in quasi quattro ore e mezzo. La richiesta è aumenta del 38 per cento negli ultimi mesi.

Da Torino a Lione e ritorno in bus a 72 euro, 52 nei weekend. Proprio mentre stanno per partire i lavori della nuova linea ferroviaria, sul tracciato che collega il Piemonte e la Savoia si sviluppa un collegamento di pullman, (con due corse giornaliere dal martedì al venerdì , una dal sabato al lunedì), dal capoluogo piemontese ed altrettante dalla città francese. E’ il servizio Starshipper, gestito da Courrier Rhodaniens.

La nuova Torino-Lione via bus è stata presentata oggi davanti a Palazzo Civico, a Torino, dai gestori francesi e dall’assessore comunale ai Trasporti Claudio Lubatti. In realtà il servizio è partito il 6 luglio scorso con 10 collegamenti settimanali che sono stati raddoppiati: “La domanda – spiega Gael Savidan di Courrier Rhodaniens – è cresciuta del 38%: i passeggeri sono soprattutto turisti nei fine settimana, ma molti viaggiano per motivi di studio, di lavoro. E se ci sono richieste in più aumentiamo il numero dei bus”.

Gli Starshipper partono da Porta Nuova e Porta Susa, fermano a Chambery ed arrivano nel centro di Lione, a Part Dieu, in 4 ore e 25 minuti. Più veloci del treno perché oggi da Torino a Lione occorrono 4 ore e 10′ ma la fermata, a Saint Exupery, è lontana dalla città, ed occorre un viaggio di 40′ in bus per raggiungere il centro della metropoli transalpina. “La nostra – conclude Savidan con diplomazia – è un’offerta complementare al treno, nata per soddisfare la crescente domanda di spostamenti tra Torino 
e Lione”.

La società francese ha in progetto, per il 2013, 13 altri collegamenti all’interno della Francia o su tratte internazionali”.

(08 novembre 2012)

 

Altro che Tav, tra Torino e Lione si viaggia in autobus a 72 euro

Torino-Lione Autobus Starshipper a 72 euro

Torino-Lione Autobus Starshipper a 72 euro

Altro che Tav, tra Torino e Lione si viaggia in autobus a 72 euro

La società francese: “E’ un’offerta complementare al treno, nata per soddisfare la crescente domanda di spostamenti tra Torino e Lione”. In progetto, per il 2013, 13 altri collegamenti

di Redazione – 8 novembre 2012 

 

Altro che la Tav. Da Torino a Lione e ritorno in bus a 72 euro, 52 nei weekend. Proprio mentre stanno per partire i lavori della nuova linea ferroviaria, sul tracciato che collega il Piemonte e la Savoia si sviluppa un collegamento di pullman, (con due corse giornaliere dal martedì al venerdì , una dal sabato al lunedì), dal capoluogo piemontese ed altrettante dalla città francese.

Il servizio si chiama Starshipper, è gestito da Courrier Rhodaniens. La nuova Torino-Lione via bus è stata presentata oggi davanti a Palazzo Civico, a Torino, dai gestori francesi e dall’assessore comunale ai Trasporti Claudio Lubatti. In realtà il servizio è partito il 6 luglio scorso con 10 collegamenti settimanali che sono stati raddoppiati: “La domanda – spiega Gael Savidan di Courrier Rhodaniens – è cresciuta del 38%: i passeggeri sono soprattutto turisti nei fine settimana, ma molti viaggiano per motivi di studio, di lavoro. E se ci sono richieste in più aumentiamo il numero dei bus”.

 

Gli Starshipper partiranno dalla stazione di Porta Nuova e da Porta Susa, fermando a Chambery ed arrivando nel centro di Lione, a Part Dieu, in 4 ore e 25 minuti. Più veloci del treno perché oggi da Torino a Lione occorrono 4 ore e 10′ ma la fermata, a Saint Exupery, è lontana dalla città, ed occorre un viaggio di 40′ in bus per raggiungere il centro della metropoli transalpina. “La nostra – conclude Savidan con diplomazia – è un’offerta complementare al treno, nata per soddisfare la crescente domanda di spostamenti tra Torino e Lione”. La società francese ha in progetto, per il 2013, 13 altri collegamenti all’interno della Francia o su tratte intrernazionali”. (ANSA)

 

Italia: Bene Comune. O no?

Italia: Bene Comune. O no?

Tra pochi giorni la neonata coalizione di centro-sinistra Italia. Bene Comune chiamerà al voto tutti i suoi sostenitori per decidere il candidato alla presidenza del Consiglio dei Ministri da presentare alle elezioni politiche del marzo (o aprile?) 2013. La competizione vede in gara cinque rappresentanti politici: Pierluigi Bersani, segretario nazionale del Partito Democratico, Matteo Renzi, sindaco di Firenze e membro del Partito Democratico, Niki Vendola, segretario nazionale di Sinistra Ecologia e Libertà e presidente della Regione Puglia, Bruno Tabacci, ex capogruppo di Alleanza per l’Italia e assessore al bilancio del Comune di Milano, Laura Puppato, capogruppo del Partito Democratico alla Regione Veneto.
Si tratta di una partita ancora aperta, sebbene appare quasi scontato che la vera sfida riguardi in realtà soltanto Pierluigi Bersani e Matteo Renzi, in un confronto del tutto interno al Partito Democratico tra la “vecchia guardia” che compose L’Ulivo negli anni Novanta sostenendo Romano Prodi, e i “rottamatori”, una lunga e poco conosciuta lista di giovani amministratori locali saliti alla ribalta nella fase di fondazione del partito, tra il 2007 e il 2008.
L’unico possibile outsider della tenzone sembra essere Niki Vendola, ma il seguito elettorale di cui gode il suo partito non gli garantirà affatto la quota necessaria per poter pensare di insidiare i due candidati maggiori.
Per quanto riguarda i programmi, il comitato Italia. Bene Comune, che organizzerà l’intera fase elettorale di queste primarie, ha pubblicato una Carta d’Intenti che propone i fondamenti essenziali evidentemente comuni a tutti e cinque i personaggi politici in competizione.
Tema di grande importanza in tutti i programmi individuali è proprio quello legato al futuro dell’Unione Europea, al quale la Carta d’Intenti dedica un enfatico annuncio:

“La crisi che scuote il mondo mette a rischio l’Europa e le sue conquiste di civiltà. Ma noi siamo l’Europa, nel senso che da lì viene la sola possibilità di salvare l’Italia: le sorti dell’integrazione politica coincidono largamente col nostro destino. Non c’è futuro per l’Italia se non dentro la ripresa e il rilancio del progetto europeo. La prossima maggioranza dovrà avere ben chiara questa bussola: nulla senza l’Europa. Per riuscirci agiremo in due direzioni. In primo luogo, rafforzando la piattaforma dei progressisti europei. Se l’austerità e l’equilibrio dei conti pubblici, pur necessari, diventano un dogma e un obiettivo in sé – senza alcuna attenzione per occupazione, investimenti, ricerca e formazione – finiscono per negare se stessi. Adesso c’è bisogno di correggere la rotta, accelerando l’integrazione politica, economica e fiscale, vera condizione di una difesa dell’Euro e di una riorganizzazione del nostro modello sociale. In secondo luogo, bisogna portare a compimento le promesse tradite della moneta unica e integrare la più grande area economica del pianeta in un modello di civiltà che nessun’altra nazione o continente è in grado di elaborare”

La volontà di contrastare quelle “regressioni nazionaliste, anti-europee e populiste, da sempre incompatibili con le radici di un’Europa democratica, aperta, inclusiva”, muove il centro-sinistra nella sua totalità. Bersani, nel suo programma afferma per esempio di lavorare “per un patto costituzionale che intrecci politiche nazionali e continentali nell’orizzonte degli Stati Uniti d’Europa”, mentre per Renzi “la crisi dell’euro ha mostrato che la costruzione europea è ancora imperfetta e deve essere completata, sulla linea di quello che avevano immaginato i padri fondatori”. Fuori dal coro appare, invece, Niki Vendola che prova a puntare su fumosi e sorpassati temi alternativi e new-global, nel chiaro tentativo di convogliare sulla sua candidatura il voto di quel ceto medio “bertinottiano” riconducibile ad una parte consistente dell’elettorato “alla sinistra” del Partito Democratico:

“In un mondo globalizzato,la competizione non è più a livello di singola impresa ma a livello di territori. Solo quelli in grado di offrire elementi identitari, vantaggi comparati non riproducibili in altri contesti, possono farcela. In questo senso l’Italia può ambire ad una vocazione “glocale”, che faccia leva sulla ricchezza del patrimonio storico, ambientale, architettonico, artistico, paesaggistico, trasformandolo in fattore di conoscenza, competenza e promozione della propria unicità nel mondo”

È evidente che il nodo relativo all’Europa non sia risolvibile né con le poetiche perifrasi “glocali” di Vendola né con quelli che vengono giustamente considerati arroccamenti “nazionalisti e populisti”. È tuttavia opportuno ricordare che tali fermenti germogliarono in Europa proprio con la Rivoluzione Francese e con quel pensiero “progressista” (borghese) cui l’intera Carta d’Intenti di Italia. Bene Comune si ispira. La deriva liberale del giacobinismo è sfociata necessariamente nella costituzione di nuovi soggetti nazionali fondati su principi costituzionali di natura etnocratica ed esclusivista, che – come ricordava già lo storico ungherese Ferenc Fejtö – distrussero in poco tempo quell’idea integrativa e “continentale” nata nella Mitteleuropa. La rivoluzione borghese europea, sebbene abbia inizialmente svolto un positivo ruolo di modernizzazione tecnica del continente, come riconosceva lo stesso Karl Marx, col tempo ha posto le basi per un salto di qualità spaventoso della competizione intercapitalistica in Europa e della sua proiezione coloniale nel resto del mondo. L’acquisita capacità di navigazione oceanica e l’applicazione al campo militare delle innovative conquiste tecnologiche cambiarono profondamente la concezione politica continentale, ponendo le basi per un crescendo di violenza ed odio sfociato nel disastro delle due guerre mondiali. E’ chiaro che un’eventuale integrazione europea seria e stabile debba tornare a pensare alla rivalutazione di quella koiné latino-slavo-germanica che caratterizzò gli Imperi Centrali (Prussia e Austria-Ungheria) per almeno quattro secoli, nell’ambito di una moderna e più ampia idea integrativa che includa il recupero di quel dialogo a lungo perduto con l’Oriente, e in particolar modo con la Russia e con la Cina, proprio come sta facendo la Germania.
Ma nei programmi dei candidati di Italia. Bene Comune tutto questo non esiste. Perciò l’integrazione europea sottolineata da tutti i candidati alla guida del centro-sinistra, a cosa fa riferimento? Gli Stati Uniti d’Europa proposti da Bersani cosa sono? L’Unione Europea cui la classe dirigente di un Paese evidentemente vittima delle politiche del rigore di Bruxelles dovrebbe volgere il proprio sguardo, è un progetto che va in direzione completamente opposta a quello proposto. Certamente dice bene Tabacci quando, senza peli sulla lingua, sostiene che per sviluppre una “capacità reale di mettere la finanza sotto controllo” bisogna accettare “una razionale e misurata cessione di sovranità nazionale”. Quello che, infatti, si dovrebbe intendere con la parola “sovranismo” non è un concetto fondato sulla condizione necessaria in base alla quale debba esistere un’unità a carattere geopolitico e geoeconomico, chiusa nello spazio ed invariabile nel tempo. Il sovranismo è un concetto che, in generale, privilegia il primato della politica e del principio costituzionale rispetto ai meccanismi dell’economia privata, ma questo può applicarsi a qualsiasi spazio, anche ad un ipotetico spazio europeo integrato.
Per definire la fattibilità di uno spazio geopolitico, dunque, entrano in campo altri criteri, come quello etno-linguistico, quello strategico, quello politico e quello geografico. L’Unione Europea così com’è oggi strutturata ha un senso?
Sul piano etno-linguistico, con l’eccezione di Finlandia, Ungheria ed Estonia, l’Europa è fondamentalmente unita dalle comuni radici indoeuropee dei suoi Paesi membri e si basa su un ritrovato compromesso tra i Paesi di tradizione cattolica e quelli di tradizione protestante. Restano, però, pesanti ombre in merito all’opportunità dei processi di integrazione di Paesi ortodossi come la Serbia (refrattaria all’ingresso) e la Bulgaria, o di Paesi addirittura estranei al contesto europeo come la Turchia e Israele.
Sul piano politico, cos’è l’Unione Europea? Nulla. Ad oggi non esiste una Costituzione Europea. Fallito il progetto costituzionale a seguito dei referendum votati in Francia e in Olanda nel 2005, il Trattato di Lisbona, entrato in vigore nel 2009, è un insieme di disposizioni che introducono misure di (de)regolamentazione in ambito economico e finanziario, dettando qualche buon proposito nel senso della solidarietà sociale tra gli Stati membri, rimasto tuttavia carta straccia durante questa fase di crisi, dove la Germania e la Francia hanno deciso di procedere lungo una linea politica di rigore senza troppo curarsi delle sue conseguenze in termini sociali e occupazionali.
Ne abbiamo avuto prova in Italia dove la “cura” adottata dal governo tecnico ha distrutto ogni garanzia sociale nel segno del rigore promosso da Monti, sebbene egli resti ben lontano da una sintonia con la Germania, come molti sospettano, ed anzi sia profondamente legato al mondo anglofono e alle sue ramificazioni economiche e finanziarie (ha infatti lavorato per la Goldman-Sachs, per Moody’s e per la Commissione Trilaterale). Eppure Bersani, che pure promette “alleggeriremo il prelievo sul lavoro e sull’impresa […] contrasteremo la precarietà”, esordisce dicendo che “il nostro posto è in Europa, lì dove Mario Monti ha avuto l’autorevolezza di riportarci dopo una decadenza che l’Italia non meritava”.
Sul piano geografico, l’Europa ha un senso? Sì, ma solo nella misura in cui si definisca come uno spazio incluso tra il Mar Baltico e lo Stretto di Gibilterra, cercando dunque di costruire un insieme di relazioni e di connessioni pacifiche e cooperative con le realtà direttamente prospicienti a questo spazio: il mondo russofono e postsovietico (Russia, Ucraina e Bielorussa) e il mondo arabo (Nordafrica e Vicino Oriente), coi quali Enrico Mattei aveva avuto l’accortezza di dialogare in maniera seria e rispettosa (e abbiamo visto che fine ha fatto). Passando, così, al piano strategico, la condizione attuale dell’Europa corrisponde a questa descrizione? Assolutamente no. Ed è lo stesso Bersani a procedere in modo ancor più incisivo sul solco di questa contraddizione geopolitica, quando afferma che dovrà essere responsabilità prioritaria del nostro Paese “assicurare il pieno sostegno, fino alla loro eventuale rinegoziazione, degli impegni internazionali già assunti dal nostro Paese o che dovranno esserlo in un prossimo futuro”.
A che fa riferimento Bersani? Ovviamente al Trattato Nord-Atlantico e alle missioni militari internazionali coordinate dai Paesi della NATO che vedono coinvolta l’Italia con suoi uomini e mezzi: Kosovo, Afghanistan e Libano.
È forse per questo che Bersani considera clamorosamente la deflagrazione dei Balcani negli anni Novanta come una “tragica eccezione” ad un ventennio di sostanziale pace in Europa. Quella “tragica eccezione”, come sappiamo, ha distrutto e umiliato la Serbia, ha favorito la nascita di uno Stato non riconosciuto dall’ONU, come il Kosovo, che tutt’oggi svolge un ruolo fondamentale nel reclutamento e nell’addestramento delle milizie integraliste legate alla rete del radicalismo salafita e wahabita. Credendo alle favole “manichee” giunte da Srebrenica nel 1995, il mondo intero fu impietosito dal presunto genocidio che i nazionalisti serbi avrebbero compiuto ai danni dei bosniaci musulmani, ma aveva dimenticato di considerare che a partire dal 1993 Sarajevo fu letteralmente presa d’assedio da trentamila miliziani di al-Qaeda provenienti dall’Azerbaigian, dalla Cecenia, dal Dagestan e dall’Arabia Saudita. Nel 1999, i devastanti bombardamenti del territorio serbo da parte delle forze NATO, tra le quali va segnalato il particolare attivismo imperialista di Turchia e Germania, vide l’Italia di Massimo D’Alema macchiarsi indelebilmente di una complicità nel progetto che l’amministrazione Clinton aveva pensato per la regione.
Identica strategia è stata recentemente applicata dai Paesi occidentali alla Libia e alla Siria, dove l’intervento “esterno” delle forze della NATO ha fornito e sta ancora fornendo un sostegno decisivo all’integralismo e al terrorismo. Fu proprio Bersani ad esporre un intervento alla Camera dai toni durissimi ed ostili, incitando il governo ad “intervenire, anche con strumento militare, per fermare il massacro di Gheddafi contro il suo popolo”, mentre fu proprio il suo predecessore alla guida del Partito, Dario Franceschini, a definire “inaccettabili” le esitazioni del governo Berlusconi di fronte alla crisi libica. Insomma: si doveva bombardare e subito, anche a costo di annichilire Sirte, Tripoli, Bani Walid e Misurata, città che di fatto oggi non esistono più; anche a costo di stracciare contratti e forniture energetiche per le nostre aziende di Stato (ENI, ENEL e Finmeccanica), in tempi di crisi economica; anche a costo di supportare gruppi di ribelli che nella grandissima maggioranza dei casi erano affiliati a organizzazioni terroristiche straniere. Gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia non esitarono a raccogliere la risoluzione 1973 dell’ONU per giustificare la costituzione di un’ennesima coalizione in seno alla NATO, mostrando ancora una volta la totale dipendenza geostrategica dell’Unione Europea dagli Stati Uniti. Quale autentica e reale Unione Europea, difatti, potrebbe accogliere in modo così acritico i diktat di una potenza esterna al suo territorio? Quale Stato europeo potrebbe mai dirsi sovrano se il suo territorio è ancora oggi occupato da centinaia di basi o installazioni militari di una potenza esterna? Ad oggi l’Unione Europea non ha un suo comando militare indipendente e sovrano, non possiede un esercito interforze autonomo dalla NATO e dall’ONU, eppure una larghissima parte dei bilanci per la Difesa dei Paesi europei e molti sistemi difensivi di fabbricazione europea (vedi Finmeccanica) vengono sfruttati al solo ed unico scopo di garantire gli impegni assunti dagli Stati membri nel quadro di quelle coalizioni a guida extraeuropea.
In questo caso, soltanto Vendola concede minime aperture ad un dibattito critico, considerando “urgente aprire un processo di ridiscussione della presenza di basi militari statunitensi sul territorio nazionale e di revisione partecipata del sistema delle servitù militari”, tuttavia l’idea pacifista e non-violenta che muove il suo ragionamento (“riduzione drastica delle spese militari nel nostro paese e di quelle a livello internazionale”, “conversione dell’industria bellica in sostegno alla conversione ecologica dell’economia” e altre baggianate del genere) lo porta sul binario morto della semplice revisione delle “dottrine nucleari della NATO” in base alla quale l’Italia dovrebbe seguire “l’esempio di altri paesi NATO che hanno deciso di non ospitare sul loro territorio nazionale ordigni nucleari tattici USA”. Nei fatti, la radicale messa in discussione della NATO a partire dalle sue fondamenta geostrategiche è lontana milioni di chilometri da questa prospettiva, specie se si considera che, ormai, dopo la Rivoluzione negli Affari Militari le armi tattiche nucleari costituiscono un mezzo di esclusiva deterrenza a cui si affiancano più precisi ordigni balistici a testata convenzionale e più efficienti sistemi ad alta tecnologia (droni, radar, reti ICT…).
La controprova dello sfasamento politico cui conduce l’ideologia dei “diritti umani” nella sua naturale deriva di “sinistra”, ce la fornisce la lettura che Vendola opera relativamente ai recenti eventi mediorientali, dove afferma che “i paesi che hanno invaso la Libia, dove ci sono immense riserve di petrolio, sono gli stessi che assistono silenziosamente complici ai massacri di Assad in Siria”. Quali massacri? Gli stessi che i Paesi NATO si sono inventati per invadere la Libia. Un circolo vizioso che potrebbe continuare all’infinito e dal quale non sembra esserci via d’uscita.
Questa pesantissima rigidità geopolitica diventa anche geoeconomica attraverso le decisioni stabilite presso la Commissione Trilaterale che, benché non governativa, raccoglie la partecipazione di politici, uomini d’affari e analisti delle tre aree a capitalismo avanzato (Nord America, Europa e Giappone), tutte integrate in almeno tre dei sei comandi militari internazionali degli Stati Uniti (US Eucom, US Northcom, US Pacom, US Southcom, US Centcom, US Africom) o nei partenariati atlantici.
Per l’Italia, oltre all’ormai nota presidenza europea dell’istituto presieduta da Mario Monti nel 2010, partecipano regolarmente alle sue riunioni: John Elkann, Giuseppe Orsi (presidente di Finmeccanica), Enrico Letta (vicesegretario del Partito Democratico), Carlo Pesenti (consigliere delegato di Italcementi), Luigi Ramponi (Popolo della Libertà), Gianfelice Rocca ( vicepresidente di Confindustria), Carlo Secchi (economista, ex eurodeputato e senatore), Maurizio Sella (presidente del gruppo Banca Sella), Marco Tronchetti Provera, Enrico Tomaso Cucchiani (a.d. di Intesa Sanpaolo), Marcello Sala (vicepresidente del CdA di Intesa Sanpaolo), Marta Dassù (sottosegretario agli Esteri del Governo Monti), Giuseppe Recchi (presidente di ENI), Stefano Silvestri (presidente dell’Istituto Affari Internazionali dal 2001 e giornalista de Il sole 24 ore), Franco Venturini (giornalista del Corriere della Sera), Federica Guidi (direttore esecutivo e vicepresidente di Ducati) e Paolo Andrea Colombo (presidente dell’Enel).
È evidente che l’Italia, allo stato odierno, non possieda la benché minima capacità di avviare una politica industriale autonoma. Dopo la distruzione dell’IRI e grandi dismissioni degli anni Novanta, qualsiasi idea di investimento pubblico o di partecipazione dello Stato all’impresa è da considerarsi impraticabile. La cura pensata da Monti per risanare le casse dello Stato ha condotto il nostro Paese non solo ad una pesantissima recessione ma anche ad un’ulteriore fase di deindustrializzazione che ha messo alle corde persino la Piccola e Media Impresa, proletarizzando gran parte del ceto medio produttivo ed annullando ogni residuale significato sindacale e concertativo presente nei contratti nazionali di lavoro.
Nonostante i suoi fallimenti manageriali, Sergio Marchionne, col consenso di tutto il panorama politico nazionale, continua tranquillamente a ricattare gli operai della FIAT e a guidare un’azienda parassitaria che negli ultimi trent’anni ha ricevuto 7,6 miliardi di euro dallo Stato, col “lieto fine” di risolverne i problemi interni consegnandola nelle mani di Chrysler. Nessuna proposta di nazionalizzazione in questo senso, viene avanzata dai candidati alle primarie di Italia. Bene Comune. Anzi, Renzi sembra vivere in un mondo suo personale dal momento che addirittura pretende che l’Italia, nelle condizioni presenti, riesca ad attrarre investimenti stranieri così da avere “un flusso aggiuntivo di investimenti in entrata di quasi 60 miliardi di euro, con la conseguente apertura di centinaia di migliaia di posti di lavoro e l’avvio di molti piani industriali fortemente innovativi”.
È inutile perciò parlare della necessità di integrare l’Europa e di procedere verso la costruzione dei cosiddetti Stati Uniti d’Europa, agitando propagandisticamente l’abusato pericolo di un “nazionalismo” che in realtà non esiste, senza specificare il ruolo politico e strategico delle istituzioni europee e il peso specifico dell’Italia. Rilanciare la politica economica in Italia oggi, significa restituire allo Stato un ruolo determinante nella gestione delle aziende strategiche, ricapitalizzare con denaro pubblico le banche di credito cooperativo per ridare ossigeno alla PMI, riportare sotto i 4.000 euro mensili gli stipendi dei dirigenti pubblici a tutti i livelli e tagliare il finanziamento delle aziende pubbliche a Confindustria (40 milioni di euro l’anno circa).
Paradossalmente, sebbene blanda, l’unica proposta concreta e rispondente alle necessità urgenti del Paese arriva da Tabacci, che denuncia senza mezzi termini la parzialità delle agenzie di rating e il loro ruolo geoeconomico:

“Le tre grandi agenzie di rating internazionali che oggi pontificano hanno la particolarità di essere controllate da grandi editori americani. E’ assurdo che a queste agenzie vengano attribuiti compiti determinanti come quello di valutare la tenuta degli Stati. Se non si sono accorte né del clamoroso scandalo americano della Enron, né di quello nostrano della Parmalat, ci sono delle precise ragioni. Queste importanti agenzie di rating in grande coprivano la finanza americana, nel piccolo praticavano commercio di rating, nel senso che, in cambio dell’incarico, assicuravano un giudizio positivo o di benevolenza”

Addirittura il democristiano Tabacci, forse consapevole di non avere alcuna possibilità di vincere, si concede un affondo molto pesante al sistema bancario, mostrandosi in questo molto più a “sinistra” dei suoi sfidanti:

“In questi anni il mondo bancario ha dato una risposta alla crisi di un’arroganza senza limiti. Si sono visti i banchieri fare fortuna spesso sulla pelle della povera gente. Come nella vicenda delle stock option: anche quando le cose andavano male per tutti, per i banchieri andavano bene. Siamo passati dall’idea del banchiere che valeva quanto il confessore a quella di banchieri-avvoltoi. Banchieri sempre più spregiudicati hanno usato i prodotti derivati, applicandoli non solo a strutture di debito, ma anche a quelle di risparmio”

Vale la pena menzionare a suo merito che Tabacci, come assessore al bilancio, ha concluso recentemente le pratiche per la restituzione del denaro alle casse pubbliche da parte delle quattro banche (JP Morgan, Depfa Bank, UBS e Deutsche Bank) responsabili del disastro dei derivati, acquistati dal Comune di Milano durante i mandati Albertini e Moratti.
Recentemente su facebook, è nata una pagina ironica dedicata proprio all’ex UDC, Bruno Tabacci, dall’emblematico nome “Marxisti per Tabacci”, dove il candidato alle primarie del centro-sinistra viene scherzosamente dipinto al fianco di Lenin e Stalin e la sua faccia inserita in un tripudio di slogan e simboli bolscevichi. Qualche sostenitore di Bersani se l’è presa, ma a noi la goliardia piace abbastanza. E poi, pensare che ai faccioni ammiccanti di Renzi, ai proverbi emiliani di Bersani o alle avventurose perifrasi di Vendola debba essere necessariamente conferita un’aura di serietà imparagonabile a quella pagina ironica, è davvero presuntuoso.
Scherzo per scherzo, chi proprio non riesce a fare a meno di andarsene a votare a queste primarie, voti il “compagno” Tabacci. La classe operaia ormai le ha viste davvero tutte. Chissà che non vedrà anche questa.
http://www.statopotenza.eu/4972/italia-bene-comune-o-no

I “ribelli” siriani filo-USA sbandati alla conferenza del Qatar

I “ribelli” siriani filo-USA sbandati alla conferenza del Qatar

di Bill Van Auken

I quattro giorni del vertice di Doha, la capitale del Qatar, degli elementi filo-occidentali che appoggiano il rovesciamento del governo siriano, hanno avuto iniziato nel caos, dopo la richiesta, la scorsa settimana, della segretaria di Stato degli USA Hillary Clinton per una ristrutturazione della cosiddetta leadership dei ribelli. Clinton ha dato agli oppositori siriani l’ordine di marcia, dichiarando che il Consiglio nazionale siriano (CNS), formatosi solo un anno prima e riconosciuto da Washington come “legittimo rappresentante” del popolo siriano, aveva perso il sostegno degli Stati Uniti. Ha definito la leadership che gli Stati Uniti avevano in precedenza sostenuto, una banda di esuli irrilevanti che non mettevano piede in Siria da decenni, e insisteva sul fatto che Washington vuole entrare in contatto con coloro che sono pronti a “combattere e morire” nella guerra civile che infuria nel paese mediorientale.

In realtà, è diventato chiaro che gli Stati Uniti hanno deciso di modellarsi una leadership “rispettabile”, con i rappresentanti dei vari gruppi religiosi ed etnici che compongono la popolazione siriana, al fine di meglio mascherare il carattere feroce del conflitto settario che Washington alimenta, così come il ruolo sempre più importante svolto dalle milizie islamiste collegate ad al-Qaida. La conferenza a Doha ha avuto inizio con una riunione del CNS sponsorizzata dalla Lega araba e dalla monarchia sunnita del Qatar, volta ad inserirvi nuovi membri, nel tentativo di evitare l’azione degli Stati Uniti per privarla del suo marchio di opposizione siriana filo-imperialista. Dominato in gran parte dal ramo siriano della Fratellanza musulmana, il CNS ha manifestato il suo forte disaccordo con la mossa degli Stati Uniti, mentre non chiarisce in via preliminare, se semplicemente rifiuterà o contratterà un accordo migliore con Washington.
Il Dipartimento di Stato degli USA ha reso noto di essere pronto ad offrire al CNS 15 seggi su 50 membri alla guida del nuovo fronte che sta per essere creato da Washington. Denominato Iniziativa nazionale siriana, questo nuovo fronte dovrebbe essere convocato a Doha. Secondo quanto riportato dalla stampa, il capo del CNS Abdelbaset Sieda ha respinto la proposta degli Stati Uniti, pur sostenendo che il suo Consiglio nazionale siriano dovrebbe avere almeno il 40 per cento dei seggi nella nuova Iniziativa nazionale siriana. Nell’annunciare il mutamento nell’azione politica degli Stati Uniti, nel corso di una conferenza stampa la scorsa settimana in Croazia, Clinton ha chiarito che Washington ha raccolto una leadership siriana che intende installare come governo di transizione che servirebbe da fantoccio degli Stati Uniti.
Il Dipartimento di Stato, ha detto, aveva “raccomandato nomi e organizzazioni che riteniamo devono essere inclusi in qualsiasi struttura della leadership.” L’annuncio ha apparentemente colto di sorpresa gli alleati di Washington. “Il governo degli Stati Uniti non ha dato alcun preavviso sulla sua intenzione di rinunciare al consiglio come principale gruppo ombrello, hanno detto dei diplomatici di tre paesi“, avevano riferito i giornali McClatchy. “Hanno detto che i loro governi hanno saputo dell’iniziativa dai notiziari.” Un diplomatico occidentale, citato da McClatchy, ha messo in dubbio l’opportunità delle osservazioni della Clinton circa la raccolta di individui e organizzazioni da includere in una nuova leadership. “I Siriani diranno che gli americani impongono dei nomi”, ha detto. “E non sono sicuro che gli americani proporranno le persone giuste.”
La Turchia, che ha svolto un ruolo importante nel rifornire i cosiddetti ribelli di armi, addestramento militare, basi e altre forme di sostegno, ha risposto in modo criptato al cambiamento degli Stati Uniti, convocando un incontro di due ore tra il ministro degli esteri Ahmet Davutoglu e la direzione del CNS ad Ankara. Non è chiaro se il governo sunnita islamista di Ankara e la monarchia sunnita del Qatar, che avrebbe incanalato grandi quantità di armi alle milizie islamiche che combattono in Siria, siano in accordo con la mossa degli Stati Uniti. La creazione della nuova Iniziativa nazionale siriano ad opera degli USA è stata soprannominata “Piano di Riad Seif,” dal nome della persona proposta dal Dipartimento di Stato alla sua guida. Seif è un capitalista siriano che aveva iniziato come produttore tessile, prima di avere il franchise Adidas per la Siria nel 1990. Ha cercato di costruire un partito borghese come alternativa ai dirigenti baathisti e di impegolarsi contro il regime di Assad, sfidandolo in un accordo che ha posto una grande azienda di telefonia mobile del paese nelle mani di un membro della famiglia Assad. Come i cabli classificati dell’ambasciata, e resi pubblici da Wikileaks, hanno precisato, Seif ha tenuto riunioni regolari con i funzionari dell’ambasciata degli Stati Uniti a Damasco, per informarli delle proprie attività, nonché per dare la sua valutazione sugli sviluppi nel regime di Assad. In altre parole, è l’uomo di Washington.
Nella sua dichiarazione la scorsa settimana, Clinton ha emesso il suo ultimatum al CNS, dichiarando che “non può più essere visto come il palese dirigente dell’opposizione.” Questa curiosa scelta di parole suggerisce che vi è la necessità di una leadership “visibile”, laica, solidamente borghese e filo-occidentale, che serva da copertura per le vere forze che conducono la guerra per il cambio di regime in Siria, sempre più settarie e islamiste, tra cui un gran numero di combattenti stranieri legati ad al-Qaida che si sono riversati nel paese da Iraq, Libia, Arabia Saudita, Algeria, Cecenia e altrove. Questa leadership “visibile” renderebbe politicamente più fattibile, per Washington, intervenire molto più direttamente nella guerra in Siria, dopo le elezioni presidenziali degli Stati Uniti. Il governo russo ha denunciato la convocazione del nuovo fronte di opposizione a Doha, dichiarando che Washington viola un accordo raggiunto a Ginevra la scorsa estate, che impegna tutte le parti a porre fine ai combattimenti e avviare una transizione negoziata per un nuovo governo in Siria.
Il Dipartimento di Stato, accusa in un comunicato il ministero degli esteri russo, ha emesso “ordini diretti su ciò che l’opposizione siriana deve fare per formare un ‘governo in esilio’, e su chi deve partecipare a tale governo.” Mentre Washington lavora per impostare il suo nuovo fronte di opposizione a Doha, la feroce guerra civile che infuria in Siria, ha continuato a smentire tutti i discorsi su una preoccupazione umanitaria e la transizione democratica. Un’autobomba è esplosa in un quartiere densamente popolato di Damasco, uccidendo 11 persone e ferendone almeno altre due dozzine, molte di loro in modo critico. Tra le vittime donne e bambini. Un altro attentatore suicida ha attaccato ad Hama. L’agenzia di stampa ufficiale di Stato, Sana, ha riferito che due civili sono stati uccisi nell’esplosione e altri 10 feriti in un attacco a una agenzia di sviluppo statale. Fonti dell’opposizione hanno affermato di aver colpito un avamposto delle forze di sicurezza siriane e ucciso 50 persone. In un terzo attacco, due persone sono state uccise nei pressi di Damasco da una bomba.
L’ondata di attentati sarebbe stato denunciato da Washington come terrorismo, se avesse avuto luogo in altre parti della regione, ma in Siria tali attentati godono del sostegno degli Stati Uniti. Dopo il massacro di almeno una dozzina di soldati siriani catturati dai miliziani islamisti, presso  Saraqeb, nel nord-ovest della Siria. Un video del massacro caricato sul social media nello stesso giorno, ha mostrato i miliziani picchiare e prendere a calci i soldati feriti che invocavano la salvezza della vita. Urlando “cani di Assad” hanno costretto i soldati disarmati in un angolo e poi li hanno massacrati a colpi di fucile automatico.

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

Ammazzateci con l’Imu

nov 062012

di Fabrizio Giusti

Aumenti di imposta, rispetto all’Ici, fino al 207% per i contratti liberi e al 2.330% per quelli concordati. È quanto dovranno aspettarsi i proprietari di immobili locati facendo i conti dell’esborso complessivo della nuova imposta sugli immobili, l’Imu, rispetto alla vecchia Ici.

Secondo Confedilizia, sarà proprio l’applicazione della maggiore aliquota deliberata dai vari Comuni, rispetto a quella base uniformemente adoperata per la prima rata e pari al 7,6 per mille, ad avere effetti molto pesanti, soprattutto per chi ha affittato con contratti «liberi», per i quali gli aumenti percentuali sono tutti a tre cifre e 13 capoluoghi su 20 hanno scelto l’aliquota massima.

”L’effetto finale – Confedilizia – sarà che salteranno i contratti calmierati, quelli che erano stati accettati dai proprietari proprio in virtù del trattamento fiscale agevolato che li contraddistingueva. In questo modo i Comuni si ritroveranno con una richiesta di affitti agevolati che si tradurrà in una maggiore spesa”.

La maggiorazione dell’esborso dell’imposta da Ici a Imu è determinata oltre che dall’aumento dell’aliquota, dall’incremento del 60% della base imponibile, dovuto alla variazione del moltiplicatore da applicare alla rendita catastale.

Gli americani no, loro nella Sicilia ci vedono solo un deserto

Gli americani no, loro nella Sicilia ci vedono solo un deserto

di Pietrangelo Buttafuoco – 03/11/2012

Fonte: Il Foglio [scheda fonte]

Breve ma veridica storia del Muos. Il Mobile User Objective System è un potentissimo sistema di comunicazione militare di ultima generazione messo a punto dal dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. Una centrale Muos è in costruzione proprio nella riserva naturale “Sugherata” di Niscemi in provincia di Caltanissetta. In Sicilia, dunque. L’impianto sarebbe costituito da torri radio e antenne dal diametro di 18,4 metri e dall’altezza di 149 e servirà a gestire centri d’intelligence, radar, velivoli senza pilota, missili da crociera, cacciabombardieri e altri strumenti di guerra non guerreggiata. Proprietà degli Stati Uniti naturalmente.
Il Muos nasce da un patto bilaterale tra Italia e Usa del 2001 con il governo Berlusconi, ratificato nel 2006 dal governo Prodi che ha dato mandato alla regione siciliana di occuparsi dei nulla-osta necessari a un’area in cui vige l’assoluto divieto di edificazione. Il Muos è una mostruosità; è pericoloso per l’ambiente ed è pericoloso per la salute dell’uomo. Ma, soprattutto, completa la colonizzazione militare americana della Sicilia, sarà lo strumento con cui si condurranno le future operazioni di guerra, quelle che avranno come protagonisti gli aerei senza pilota e i missili telecomandati a distanza, che partiranno in buona parte dalla grande base aerea siciliana di Sigonella.
Il 6 ottobre scorso nel pieno delle proteste dei cittadini di Niscemi, la procura di Caltagirone aveva ordinato il sequestro dei cantieri dei lavori del Muos per violazione delle norme ambientali. Però, giusto qualche giorno fa, il tribunale della Libertà di Catania ha annullato il decreto e ha dato di nuovo il via ai lavori.
Il progettino innocente degli Usa comprende quattro impianti Muos in tutto il mondo. Uno in Australia, uno in Virginia, uno nelle isole Hawaii e uno in Sicilia, appunto. A parte Niscemi, le altre tre basi sono dislocate in zone desertiche.
Dalla Sicilia sono passati in tanti e tutti dovranno passarci. I greci vi hanno inventato la dialettica, i latini vi hanno ambientato il mito, gli arabi i colori e la conversazione, i Normanni la grandezza. Gli americani no, loro nella Sicilia ci vedono solo un deserto. Unici a non ascoltare e capire la ninfa Aretusa: “Sicaniam peregrina colo, sed gratior omni haec mihi terra solo est”. La Sicilia la abito da straniera, ma mi è più cara di qualunque altra terra. Detto ciò, non c’è giornale in Italia che racconti la storia del Muos.

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=44430

 

 

Così l’Europa distrugge l’industria italiana

di Marcello Foa

 

 

 

 

Un paio d’anni fa, quando ero ancora inviato de “il Giornale”, seguii e appoggiai la battaglia di un gruppo di imprenditori italiani che chiedevano una cosa semplice e di buon senso ovvero che solo che chi produce davvero in Italia possa usare il marchio Made In. Ricevo ora la lettera di Roberto Belloli, un vero eroe dei nostri tempi, che segna la fine di quella battaglia. Fine amara, considerato che il Parlamento italiano all’unanimità aveva votato la legge promossa da Belloli e dai Contadini del Tessile, ma che l’Europa ha bocciato. Questa vicenda dimostra che primo l’Italia non è più un Paese sovrano e forse giornali e partiti dovrebbero dirlo con chiarezza al popolo italiano; secondo che viene dato l’ennesimo schiaffo a quei pochi imprenditori che si ostinano a produrre in Italia, disprezzati dai politici, massacrati dalle tasse e dalla burocrazia, umiliati dall’Europa. Senza industria l’Italia muore, ma questo a Monti e ai suoi sodali europei non importa proprio nulla. Sono indignato.

Ecco la lettera che Belloli ha inviato all’onorevole Muscardini dopo la decisione europea.

Gentile Signora Muscardini,
io che sono un “piccolo” , un contadino del tessile , e quindi conto meno di nulla, non sono affatto sorpreso, e per niente stralunato dalla decisione che “finalmente” la Commissione Europea ha preso dopo 7 anni di discussioni (accanimento terapeutico ?!) “.. John Clancy portavoce del commissario europeo al commercio Karel De Gucht ha difeso la decisione della Commissione UE di non portare avanti la proposta di regolamento sul MadeIn!..”

Probabilmente all’uomo della strada tutto questo non arriverà mai, vista la connivenza tra i “poteri forti”, la politica e l’informazione, e quindi, quasi nessuno, saprà che la causa della mancanza di posti di lavoro, dello sbriciolamento delle filiere produttive e della totale assenza di un’economia reale, dipende in gran parte, dall’incapacità di chi “pasticcia” in Europa di prendere delle decisioni, o meglio della passività nel farsi imporre delle decisioni, che siano essi alti o “bassi” commissari europei.

Quello che lascia perplessi e amareggiati non è la decisione di non portare avanti una proposta di regolamento, ormai mummificata e ribollita, passata attraverso un dedalo di commissioni, pareri legali e esami di conformità favorevoli e sfavorevoli, tra l’euforia e l’affanno di un esercito di europarlamentari impegnatissimi, ma la totale mancanza di volontà di una nazione (l’ Europa ) di proteggere il lavoro dei propri cittadini !!

Cara Signora, mi fa molto piacere che Lei sia “fortemente preoccupata” e che “contesti la decisione della commissione” ma ormai a noi piccoli imprenditori (tessili e non) questo non basta più, e non ci facciamo nemmeno più comprare da una babilonia deresponsabilizzante, dove la colpa è sempre e solo di qualcun altro !!

Non voglio cadere nel qualunquismo dell’antipolitica, nella demagogia del “cosa siete lì a fare??”, ma il grido di dolore di chi sta morendo, e urla la propria rabbia perché conosce la cura per guarire, voi proprio non lo ascoltate ?
Mi piacerebbe sapere cosa vi dite nella stanza dei bottoni , quando Barroso definisce obsoleto il made in , vorrei sapere come pensate di risolvere la crisi che ci sta sterminando, che lascia milioni di giovani senza lavoro, senza riportare in Europa le produzioni, adesso che anche la “santa produzione di automobili ” sta tirando le cuoia nonostante tutti gli aiuti europei e i soldi sperperati .

Gli altri paesi ( quelli bravi li chiamano BRICS ) , sono molto attenti alle loro filiere produttive, le coccolano e le proteggono, perché sanno che sono l’unica possibilità per fare economia reale e sana , ma noi no! , noi in europa siamo liberisti , Monti ha detto che il made in…: “si trattava di una boiata”, è un’affermazione discutibile e anche un pochino priva di stile, ma che comunque non risolve nulla , Lei crede davvero che il fondo salva stati, possa essere la soluzione della nostra crisi ? o gli eurobond ? , io NO !!

Noi siamo ancora lì a farci delle “pippe” con le norme del WTO, mentre Cinesi, Indiani, Pakistani, Vietnamiti, e etnie varie ci sommergono di prodotti FUORI LEGGE, in dumping, il Brasile alza dazi al 70% , la Turchia del 40% , gli USA impongono l’etichettatura obbligatoria del prodotto e la tracciabilità, la Cina impone per l’importazione nel suo mercato dei controlli così restrittivi che le nostre aziende spesso si vedono rimbalzare la merce per un cavillo, in Europa arrivano scarpe tinte con il cromo esavalente, maglie con le ammine aromatiche, plastiche tossiche per i giocattoli, le composizioni fibrose non vengono minimamente rispettate e l’Europa sta a guardare !!??

E tutto quello che sapete fare è un misero comunicato stampa ??

Sono veramente deluso, speravo che una situazione così disperata, imponesse ( almeno in parte) di lasciare da parte i soliti interessi di pochi, a scapito degli interessi di molti, ma vedo che nonostante tutto prevale ancora la forza di chi ha in mano il guinzaglio del potere.

Roberto Belloli
Contadino del tessile (obsoleto)
Reparto Produzione

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=44402

 

L’economia non è tutto per una comunità

L’economia non è tutto per una comunità

di Massimo Fini – 07/11/2012

Fonte: Massimo Fini [scheda fonte]

 Non credevo ai miei occhi quando ho letto che nella legge di stabilità c’è una norma che in materia edilizia, sostituisce il silenzio-rifiuto col silenzio assenso. Di che si tratta? Secondo la normativa vigente se un imprenditore vuole costruire in deroga a “vincoli ambientali, paesaggistici o culturali” deve ovviamente chiederne l’autorizzazione alla Pubblica Amministrazione. Se questa non risponde equivale a un rifiuto. Con la nuova normativa la non risposta entro 45 giorni è invece un “liberi tutti”. Già la normativa vigente si prestava a ogni sorta di abusi e di corruttela. Un vincolo è vincolo e dovrebbe valere per tutti. Invece non valeva per alcuni, i soliti noti. È con le deroghe al Piano Regolatore che Ligresti, per fare un esempio noto, ha realizzato il sacco edilizio di Milano. In proposito ho un’esperienza personale. Nel 1989 fui chiamato a processo per diffamazione dall’avvocato amministrativista Cutrera (che con Ligresti e il costruttore Brenda formava la “banda di viale Helvetia” come veniva familiarmente chiamata) per aver descritto sull’Europeo i metodi usati dal “trio”. C’era un terreno vincolato, su cui il proprietario non poteva far niente nonostante promettesse, in cambio dell’autorizzazione, di costruire, a spese sue, ogni genere di infrastrutture. Ligresti trafficava con gli Uffici tecnici del Comune, otteneva l’impegno allo svincolo dell’area, poi si presentava dal proprietario: “Quanto vale il tuo terreno? Uno, dato che non ci puoi far niente. Io te lo compro a tre. Il proprietario accettava, tutto contento, ma in quel momento il suo terreno, segretamente svincolato, non valeva tre ma dieci volte tanto. Fui assolto. Dirà il lettore. ma adesso, col sistema del silenzio-assenso, almeno questi truffoni non saranno più possibili. Al contrario: saranno facilitati. Basterà che l’imprenditore disonesto induca, con argomenti convincenti, i tecnici dell’Ufficio a essere neghittosi e, oplà, il gioco è fatto. E non ci sarà nemmeno una delibera del Comune che consenta di risalire al malaffare. Che colpa ne ha l’impiegato del Comune se, sommerso da migliaia di pratiche, se n’è dimenticata qualcuna?

Le nostre coste sono tutte una lunga striscia di cemento. E le città? Milano. Io abito in una brutta casa anni ’50 ma, per una serie di circostanze fortunate, avevo il privilegio di vedere l’arco delle Alpi. Un tempo c’era la stazione delle Varesine, poi è stata spostata un paio di chilometri più in là. Si è aperto uno spazio immenso. Per parecchi anni è stato occupato da un grande Luna Park, perlomeno, o ci si portavano i bambini. Poi il Luna Park, sconfitto, immagino, dalla playstation se né andato ed è nato un bosco, un vero bosco. Miracolo a Milano, un piccolo polmone verde quasi nel centro della città. Una mattina mi alzo: in una sola notte il bosco era stato raso al suolo. In poco più di un anno hanno innalzato lavorando giorno e notte, una serie di ecomostri che hanno distrutto la fisionomia del quartiere, ancora semipopolare, costringendo barini, macellai, formaggiai, drogherie e ogni sorta di negozietti a sloggiare per il rincaro degli affitti.

Capisco che la nuova legge ha lo scopo di incentivare l’imprenditoria edilizia per aiutare l’economia. Ma l’economia non è tutto per una comunità. Esiste anche la qualità della vita. Ma è proprio l’economia, anche quando va bene, anzi soprattutto quando va bene, ad averla distrutta.

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=44450