‘Colonna di fuoco e di difesa’. Gaza di nuovo martirizzata

Netanyahu come il Dio biblico nell’Exodus: alla guida di Israele per sterminare i nemici palestinesi

Alessia Lai

Pochi giorni fa lo avevamo previsto, me è facile essere profeti quando si parla della situazione israelo-palestinese. Perché purtroppo la crescita regolare e esponenziale delle tensioni fra l’enclave palestinese di Gaza e Tel Aviv lasciava poco margine a una soluzione distensiva.
Benjamin Netanyahu aveva minacciato i palestinesi già domenica scorsa: “Israele è preparata a una escalation. Il mondo deve comprendere che non resteremo inerti di fronte ai tentativi di attaccarci”. Martedì il ministro della difesa israeliana Ehud Barak aveva di fatto annunciato la pioggia di bombe arrivata ieri sulla Striscia che già nel tardo pomeriggio faceva registrare almeno sei morti. “La vicenda non è finita”, aveva commentato riferendosi alle ostilità in corso alla frontiera con Gaza e promettendo una “punizione” per Hamas. Il governo di Netanyahu scalpitava per una nuova ondata di attacchi indiscriminati su Gaza, e nonostante Hamas e la Jihad islamica si fossero detti pronti a sottoscrivere una nuova tregua, anche unilaterale, ieri è arrivata l’operazione Defense Pillar (un termine rimodellato dall’Exodus biblico).
L’abile retorica di Netanyahu sugli “attacchi ripetuti, quasi ogni giorno, sui nostri civili, sui nostri bambini”, ha ottenuto lo scontato appoggio internazionale, Usa in prima linea, alla nuova aggressione contro la Striscia. Il pieno sostegno statunitense al “diritto di Israele di difendersi contro il terrorismo” è arrivato mentre ancora i resti di case e auto palestinesi bruciavano. In una di queste è stato ucciso il capo delle brigate Izzedine al Qassam, Ahmed al-Jaabari.
E gli unici bambini a morire, come sempre, sono quelli palestinesi, colpevoli solo di essere tali. “È solo l’inizio”, ha promesso il governo israeliano, che come accadde i tempi di “Piombo Fuso” usa i massacri di palestinesi come spot elettorale.
Netanyahu punta a garantirsi la rielezione tra pochi mesi e una nuova operazione contro i palestinesi gli garantirà l’appoggio della destra israeliana più radicale, quella che ultimamente gli ha creato più problemi. “L’occupante si è aperto da solo le porte dell’inferno”, ha risposto il braccio militare di Hamas.
Ma nel silenzio della comunità internazionale, gli unici condannati all’inferno sono, anche stavolta, i civili palestinesi, quelli che vivono a Gaza.

15 Novembre 2012 12:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=17804 

ISRAELE: BAMBINI E GIORNALISTI ARRESTATI

  http://www.youtube.com/watch?v=oWlxLq-2RQA&feature=player_embedded

Una ragazza palestinese chiede soldati ai israeliani di liberare il fratello (15 anni), che è stato arrestato il giorno prima: le forze israeliane hanno arrestato cinque giornalisti stranieri, oltre al bambino!
Palestinian girl asking Israeli soldiers to release her brother (15 yrs) who has been arrested minutes ago,,, Israeli forces arrested foreign journalists 5 in addition to the child.
طفلةفلسطينيةتلاحقجنودالاحتلالبعداناعتقلواشقيقهاالطفلوعدالتميميوهمابناءالاسيرباسمالتميميوالاسيرةالمحررةناريمان التميمي اليوم في قرية النبي صالح حيث اعتقلت قوات الاحتلال صحافيين5 أجانب بالاضافة الى الطفل وعد

Cosa succede ai bambini nelle carceri israeliane?

No Minor Matter – ילד אסור, ילד מותר (sub-ITA)

La doppia morale dei “diritti umani”

In molti, nelle ultime ore, si stanno domandando provocatoriamente se siano più democratici i governi dei Paesi che si dicono democratici per principio, oppure i governi dei Paesi oggi ritenuti parzialmente o totalmente al di fuori della democrazia. Le manifestazioni di piazza che stanno andando in scena in moltissime città del continente europeo, mostrano per l’ennesima volta che la violenza dello Stato in Occidente esiste ancora. Quanto giunge direttamente dalle piazze di Torino, Roma, Madrid, Lisbona e Atene è non solo l’evidente indice che le classi subalterne dei cosiddetti PIGS non accettano le politiche antipopolari di austerità e di predazione della ricchezza nazionale nel nome della stabilizzazione finanziaria e della rassicurazione dei cosiddetti “mercati”, ma anche la dimostrazione dell’inconsistenza sostanziale della retorica utilizzata da quasi tutte le classi dirigenti di quei Paesi che da sessant’anni cercano di distinguersi nello scenario internazionale in funzione del principio della presunta superiorità occidentale, per quanto concerne la democrazia e i diritti della persona. Ma la democrazia, in realtà, non esiste e non è mai esistita, per lo meno nei termini in cui questa viene posta all’interno della società occidentale dai politici e dagli intellettuali di punta. Ogni potere costituito nasce su basi di violenza (guerre civili) e si impone attraverso una progressiva costruzione normativa che regolarizzi il proprio impianto istituzionale, abituando la popolazione a considerarne inviolabili i principi secondo parametri più o meno corrispondenti alle necessità sociali. Questo non significa che i “diritti” siano una semplice invenzione giuridica ma che la loro espressione politica sia, di volta in volta, la risultante di precisi rapporti di forza e dell’evoluzione sociale ed economica del pianeta.
Quando i nostri politici o i nostri giornali hanno la presunzione di considerare questa parte del mondo come la “migliore possibile”, la “più libera” e la “più equa” non va dimenticato che la società occidentale nasce come prodotto della rivoluzione industriale e dell’ordine coloniale, e che il primato tecnologico acquisito negli ultimi duecento anni è pur sempre un dato relativo e temporaneo. Trionfante con l’illuminismo, l’assolutizzazione della superiorità occidentale ha via, via affermato una nuova religione “laicista”, fondata sull’idea assoluta dei cosiddetti “diritti dell’uomo” e sulla loro indiscutibile universalità. Poco importava agli illustri cantori del giusnaturalismo che, proprio nel nome di questa supremazia politica e morale (white man’s burden), il colonialismo europeo continuasse a massacrare e predare popolazioni e territori al di là dei mari. L’illuminista inglese David Hume scrisse nel XVIII secolo: «Non è mai esistita una nazione civilizzata che non fosse bianca: sono portato a sospettare che i negri, e in generale tutte le altre specie umane, siano per natura inferiori ai bianchi». Voltaire nel Trattato di Metafisica afferma: «Sbarco nel paese della Cafraria, e comincio a ricercare un uomo. Vedo macachi, elefanti e negri. Tutti sembrano avere un baleno di una ragione imperfetta. Tutti hanno un linguaggio che non capisco e tutte le loro azioni sembrano ugualmente essere relazionate con qualche causa. Se dovessi giudicare le cose per il primo effetto che mi causano, crederei, inizialmente, che tra tutti questi enti l’elefante è l’animale ragionevole». Seguendo questa logica, dunque, appena qualche secolo prima un cinese o un persiano, entrando in Europa settentrionale, avrebbero potuto affermare le stesse cose a proposito della fantomatica civiltà “bianca” anglosassone, laddove uomini e donne si abbeveravano a fianco dei maiali, le locali popolazioni seguivano ancora un insieme di regole claniche e gli abitanti a malapena erano in grado di esprimersi in una lingua definita.
La Conferenza di Helsinki del 1975 diede certamente un grande contributo al consolidamento del pregiudizio storico in base al quale, in piena Guerra Fredda, l’Occidente – ivi identificato con le nazioni del Patto Atlantico – si sarebbe fatto portatore di valori positivi universalmente validi e globalmente riconosciuti come tali dagli stessi Paesi promotori. Fu facile, così, imporre nel mondo trilaterale del capitalismo avanzato (Nord America, Europa occidentale e Giappone) l’idea che l’Unione Sovietica e gli altri Paesi del Patto di Varsavia fossero da considerare “dittature” prive degli elementari concetti legati ai “diritti umani”. Si badi bene a questo passaggio: in base all’autoproclamata universalità dei valori espressi dalle democrazie occidentali, se un Paese resta al di fuori dei loro parametri, esso si configura non come un Paese figlio di un’altra civiltà, ma come un Paese al di fuori della civiltà. E perciò, analogamente all’epoca coloniale, l’intromissione nei suoi affari interni viene solitamente percepita dalle masse occidentali come legittima. Ovviamente, ai fini di una simile falsificazione storica, è necessaria una grande operazione di disinformazione di massa, che anzitutto ripeta in modo continuativo un’invenzione completamente artificiosa per normalizzarla e renderla credibile sebbene sia oggettivamente falsa. Non è un caso che l’utilizzo di termini quali “democrazia”, “libertà”, “dittatura”, “repressione”, “regime” ecc. … abbondi in modo del tutto improprio ed incoerente nei nostri telegiornali e nella comunicazione in genere.
Per legittimare – in chiave antirussa e antiortodossa – agli occhi del mondo occidentale il fatto che tre prostitute debosciate dessero luogo ad orge e blasfemie in Russia, si è ricorsi ad una semplice ma efficace trasfigurazione della situazione specifica: Putin è un “dittatore”, le Pussy Riot combattono contro Putin, dunque le Pussy Riot sono “ribelli” che lottano per la “libertà”. Identico schema viene utilizzato per la Siria, dove migliaia di trogloditi stranieri e di mercenari qaedisti, stipendiati da Arabia Saudita e Qatar, sono stati dipinti come “martiri” su questa stessa base: Assad è un “dittatore”, l’opposizione armata combatte Assad, dunque l’opposizione armata è un esercito che lotta per la “libertà” e l’affermazione della “democrazia”. Per converso, l’esercito nazionale siriano – cioè l’unico esercito regolare costituzionalmente riconosciuto nel Paese siriano – viene descritto come un insieme di militari “lealisti” o di “mercenari” legati alla figura del presidente Assad. Esattamente come avvenuto in Libia, quando a difendere Gheddafi – in base alle “ricostruzioni” della stampa occidentale – ci sarebbero state poche manciate di “fedelissimi”. Quando la giuria di Oslo, ha assegnato il premio Nobel per la pace al dissidente cinese Liu Xiaobo nel 2010, è arrivato il giubilo generale da gran parte dell’intellighenzia culturale dei Paesi occidentali. Liu, nato a Hong Kong quando questa era ancora una colonia della monarchia londinese, nel 1988 dichiarò che la Cina, per “civilizzarsi”, avrebbe avuto bisogno di altri trecento anni di colonialismo. Quattro anni fa ha fondato il movimento Carta08, ispirato ad un documento politico che cita palesemente l’obiettivo della distruzione della Repubblica Popolare e dell’instaurazione di un sistema di libero mercato sul modello occidentale, dove il potere dello Stato sia ridotto ai minimi termini. Cosa altro dovrebbe fare il governo cinese, se non prendere provvedimenti affinché la sua attività politica disgregatrice ed eversiva sia bandita dal territorio nazionale? Secondo l’opinione dei maître à penser occidentali, invece, queste misure repressive costituirebbero l’ennesima violazione dei “diritti umani”, di cui il Partito Comunista Cinese si sarebbe macchiato.
In tutti questi casi particolari, la promozione dell’anarchia e il boicottaggio dell’ordine costituito sono pienamente legittimati dalle classi dirigenti occidentali per le quali, evidentemente, il principio normativo è nient’altro che carta straccia da utilizzare in base alla propria convenienza e alle necessità che di volta, in volta si presentano per orientare l’opinione pubblica dei rispettivi Paesi. Recentemente il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko, ha sottolineato come i governi dei Paesi dell’Unione Europea, che spesso ha tuonato contro alcune repressioni di piazza andate in scena a Minsk nel 2006 e nel 2010, oggi pretendono di impartire lezioni di democrazia mentre ogni giorno danno ordine di disperdere i loro lavoratori in rivolta con idranti e cariche delle forze di pubblica sicurezza.
Il fulcro fondamentale della contraddizione, però, non è la violenza di Stato o di piazza in quanto tale, bensì l’orientamento politico espresso da uno Stato o da una piazza. Proprio restando in Bielorussia, nel 2004 il presidente statunitense George Bush emanò una direttiva al Congresso nord-americano che invitava alla redazione e all’approvazione del Belarus Democracy Act. In quel documento sono contenute accuse gravissime nei confronti del presidente Aleksandr Lukashenko e del governo nazionale, oltre ad esplicite indicazioni all’apparato d’intelligence degli Stati Uniti a sostenere tutti i gruppi di opposizione attivi nel Paese. Tra questi gruppi vi sono anche e soprattutto realtà violente, terroristi, teppisti e isolati debosciati, che le sigle più “raffinate” degli ambienti filo-europeisti bielorussi (una nettissima ed irrilevante minoranza giovanile che vorrebbe integrare il Paese nella Nato e nell’UE) utilizzano nel ruolo di “manovalanza” per assaltare le sedi istituzionali (come avvenuto nel dicembre 2010 ai danni del Parlamento di Minsk) e per organizzare attacchi mirati contro personaggi politici o semplici cittadini.
In base all’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, qualsiasi Stato membro gode del “diritto naturale all’autodifesa” nel caso in cui la sua sovranità politica e la sua integrità territoriale (fattori ritenuti inviolabili dalla stessa Carta) vengano minacciate da un intervento armato esterno. Rispetto al contesto storico e geopolitico del dettato originale (giugno 1945) oggi molte cose sono cambiate, e se i teorici delle scienze strategiche sono oramai unitamente concordi nel considerare anche il cyberspazio e, più in generale, la sfera della comunicazione (ICT) finalizzata all’ingerenza politica (soft-power) quali parti integranti del quadro multidimensionale del conflitto, è evidente che il Belarus Democracy Act varato dal Congresso degli Stati Uniti nel 2004 e aggiornato dall’amministrazione Obama l’anno scorso, deve essere considerato come una esplicita dichiarazione di guerra degli Stati Uniti contro la Repubblica di Bielorussia. Le misure repressive adottate dalle autorità bielorusse in occasione dei gravi disordini post-elettorali degli ultimi anni devono, perciò, considerarsi come un insieme di legittimi tentativi di difesa della nazione dalle interferenze e dalle intromissioni esterne di attori evidentemente interessati alla dissoluzione dell’ordine politico ed economico costituito e all’integrazione del territorio nazionale (e delle sue risorse) nel proprio campo geostrategico (e a tal proposito basterebbe prendere atto dell’espansione che la Nato ha avviato verso Est negli anni Novanta, inglobando la Germania Est, l’Ungheria, la Repubblica Ceca, la Polonia, la Romania, la Bulgaria, la Lettonia, l’Estonia, la Lituania, la Repubblica Slovacca, la Slovenia, la Croazia e l’Albania, in attesa di concludere le “integrazioni in fieri” della Macedonia, della Bosnia-Erzegovina, del Montenegro e della Georgia).
Ancor più esplicito è il caso della Siria, dove i Paesi della Nato non perdono occasione per incontrare i membri di un governo-ombra completamente autoreferenziale, privo di qualsiasi legittimità sul piano internazionale, e per sostenere le ragioni politiche dei cosiddetti “ribelli”, terroristi armati che stanno cercando di distruggere l’integrità territoriale della Repubblica Araba a fini eversivi. Poche settimane fa, per di più, gli interventi militari della Turchia oltre il confine siriano, hanno definitivamente tolto ogni maschera al conflitto. Assad ha dunque tutto il diritto di difendere la nazione siriana da un’aggressione organizzata su scala internazionale.
Eppure, la situazione in Europa viene completamente ribaltata: ogni minima evoluzione negli scenari dei Paesi non allineati viene attentamente registrata e soppesata all’evidente scopo di scovare qualche “violazione” nel campo dei “diritti umani”, mentre le repressioni “fatte in casa” nei confronti di operai, disoccupati e giovani – ormai a scadenza quasi settimanale – sono sostanzialmente legittimate dalla classe dirigente nel nome della “pubblica sicurezza” e della difesa del principio dell’ordine costituito, privando dunque la categoria del “diritto” di tutta la sua portata in termini di “socialità” e “solidarietà”. Qualcosa non torna. Non vi sembra?

http://www.statopotenza.eu/5061/la-doppia-morale-dei-diritti-umani

Bilderberg, grembiulini e compasso

se davvero esiste la massoneria buona deve essere ancora più occulta…..

Bilderberg, grembiulini e compasso di Sebastiano Caputo – 15/11/2012


Fonte: Rinascita [scheda fonte]

Come consuetudine, dal 1954, il Gruppo Bilderberg si riunisce una sola volta l’anno. Tuttavia la crisi sistematica mondiale e la situazione peculiare dell’Italia nel contesto europeo hanno previsto una sessione di lavori straordinaria, la 61esima.
Martedì sera, i prìncipi del mondialismo – fautori di quell’ideologia comune che sposa perfettamente la globalizzazione economico-finanziaria con il disegno di realizzare un governo planetario – hanno scelto come luogo d’incontro lo spazio pubblico dei Musei Capitolini di Roma (vietato a cittadini e turisti per tutelare la loro adunanza).
La sera pochi erano i giornalisti a Piazza del Campidoglio, tanti invece erano gli uomini della sicurezza, i poliziotti in borghese, i carabinieri e i veicoli blindati. E nonostante la blindatura dell’area, l’atmosfera è stata piuttosto tranquilla, come se l’incontro fosse informale, privo di importanza, ufficioso.
Alle 19.00 sono arrivati i primi invitati, prevalentemente stranieri. Gli italiani sono arrivati pochi minuti dopo. Prima il ministro del “Welfare” (sic) Elsa Fornero, che alla domanda di una giornalista “perché sta andando alla riunione Bilderberg?”, ha risposto “mi hanno invitata, non so cosa sia Bilderberg”, e poi sono arrivati gli altri ministri del governo tecnico, tra questi Corrado Passera e Francesco Profumo.
Dopo pochi minuti sono stati raggiunti da Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia. Tra gli altri invitati Mauro Moretti ex sindacalista della Cgil, Angelo Cardani presidente di Agcom, Fulvio Conti dell’Enel, Anna Maria Tarantola presidente della Rai e ancora Federico Ghizzoni amministratore delegato di Unicredit. Alle 19.30, l’agenzia di stampa AdnKronos rendeva noto che Barack Obama avrebbe telefonato al primo ministro non-eletto Mario Monti. Appena un’ora prima dell’arrivo del premier a Piazza del Campidoglio. Una chiamata che non sembra frutto del caso. Alle 20.30, dopo l’ingresso di Monti la sicurezza ha fatto chiudere i portoni, così che le danze dei “grembiulini” potessero iniziare.
E nonostante tra le mura dei Musei Capitolini ci fossero uomini e donne appartenenti al mondo del giornalismo, della politica, dell’economia e dell’imprenditoria, nessuno sa cosa è stato detto. Un fatto è sconcertante: gli stessi che parlano di partecipazione cittadina, trasparenza, diritti umani, libertà e democrazia, si sono riuniti segretamente, alle spalle dei popoli e delle nazioni, per parlare del loro destino.
C’è chi punta il dito contro i “complottisti”. Ma l’Ancien Régime è sotto i nostri occhi.

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=44515

 Si odono grida di anime stanche, assalto al potere e fuoco alle banche

La giornata europea di scioperi sindacali contro le politiche usuraie imposte dalla triade Ue, Bce e Fmi, appena conclusa, è stata “raccontata” nei fatti dai servili lacchè dell’informazione italiota come una giornata segnata da scontri di piazza in tutta Italia: agenti feriti, manifestanti bombaroli, binari occupati, sassi, cariche e lacrimogeni quasi a volere inaugurare (loro in esclusiva per riverire i nuovi padroni) un nuovo clima di “inaudita” violenza – omettendo però di sottolineare le vere motivazioni che stanno provocando il disagio tra le generazioni senza futuro: disoccupazione, precarietà, flessibilità, salari da fame, tasse e balzelli di ogni tipo, la rapina del Fiscal compact e i Patti di stabilità e, in ultimo, quel debito pubblico generato per incapacità e malafede governativa e che proprio ieri ha battuto un altro nuovo record. La dilagante corruzione politica non è da meno. Ergo, mentre tutto il sistema finanziario europeo è al collasso occorre però salvare le banche (come fosse una via d’uscita dalla crisi in cui tutti stiamo sprofondando), e l’Europa delle anime morte dietro le vetrate dei palazzi che contano nella grigia Bruxelles, da quattro anni con la messa a punto di regole illusorie (la finanza ha un’etica dicono) continua ostinatamente a varare parametri sempre più vessatori che ricadono sui Popoli. Per rendere quanto più edulcorata la polemica in margine agli scontri trasformati in guerriglia a Roma, scrive il Corriere della Sera: Un gruppo di giovani che era stato deviato dalla Questura davanti alla Sinagoga ha pronunciato cori offensivi e lanciato fischi all’indirizzo del tempio. «Sputi, fischi, bandiere palestinesi, urla contro Israele, grida pro Saddam e mortaretti. E mille bambini della scuola ebraica bloccati in istituto», denuncia l’ebreo Riccardo Pacifici. Non è mancato lacrimevole e riverente l’intervento all’amico giudeo del sindaco di Gerusalemme, Gianni Alemanno, che ha espresso la sua «solidarietà alla comunità ebraica di Roma, offesa dai partecipanti a una manifestazione». Nessuna notizia invece è stata divulgata dai lacchè appecorati della carta straccia e della televisione circa la riunione dell’èlite plutocratica mondialistaBilderberg riunitasi in Campidoglio a Roma (doveva tenersi all’Hotel De Russie, in via del Babuino). A un anno esatto dalla nomina in Italia con un golpe finanziario del governo Monti, il club esclusivo dei gotha della finanza e dei potenti del pianeta, si è riunito in conclave per discutere lo scenario degli stati commissariati dall’Unione Europea, tra cui l’Italia. Coincidenze? L’ultimo incontro si era tenuto a Chantily, una piccola cittadina nello stato americano della Virginia, nel mese di luglio. Tra i nomi degli invitati eccellenti spiccano Elsa Fornero, Corrado Passera(che di banche se ne intende), Paola Severino, Francesco Profumo. Nella lista degli invitati compare mezzo governo e parte determinante della potente macchina mediatico-politica, che un anno fa elogiò il boiardo bocconiano Monti a Palazzo Chigi. Sarebbe stato invitato anche il trinariciuto governatore della Bce, Mario Draghi, il quale, tuttavia, avrebbe declinato l’invito per evitare strumentalizzazioni, inviando però un comunicato in cui garantiva di seguire i lavori da Francoforte. Tra gli altri nomi spiccano Giuliano Amato, in qualità di presidente Treccani, la bocconiana radicale Emma Bonino, l’ad Trenitalia Mauro Moretti, l’ad Mediobanca Alberto Nagel, il presidente Agcom Angelo Cardani, l’ad Unicredit Federico Ghizzoni, l’ad Intesa Enrico Cucchiani, l’ad EnelFulvio Conti, la presidente Rai Anna Maria Tarantola, il presidente CirRodolfo De Benedetti, il giornalista La7 Enrico Mentana (ha miserevoltente smentito), il presidente Telecom Italia Franco Bernabè, la giornalista Lilli Gruber, il deputato e vicesegretario del PD Enrico Letta e il giornalista Ferruccio De  Bortoli. Non occorre ingaggiare investigatori privati per riconoscerli, i leader della global mafia e dell’onorata società mafiosa erano tutti là, al gran completo, per polverizzare lo Stato Sociale e per rendere l’ennesimo servigio alla ristretta èlite dei signori del denaro e del debito.

RIFERIMENTO
http://fuckthepower.blogspot.com/2012/11/si-odono-grida-di-anime-stanche-assalto.html

La giornata della collera scuote tutta Europa

Sciopero generale in Spagna e Portogallo. Manifestazioni in Germania Polonia, Francia e Italia

Andrea Perrone

I popoli europei stanchi dei sacrifici imposti dall’usura internazionale si mobilitano per contestare governi e Unione europea asserviti a bankster e organismi mondialisti: Fondo monetario in primis. Ci sono un po’ tutti: la Grecia è sempre in stato di mobilitazione ormai da settimane, ma ieri è stata la volta di Spagna, Portogallo, Germania, Polonia, Francia e Italia (in quest’ultimo caso l’astensione dal lavoro è stata di quattro ore). Complessivamente si sono tenute iniziative di protesta in 23 dei 27 Stati membri Ue.
A Madrid si sono verificati scontri nel centro della capitale tra manifestanti e forze di polizia nel giorno dello sciopero generale. Gli agenti hanno caricato gruppi di giovani nel tentativo di disperdere i cortei ed evitare il blocco della Gran Via, il viale principale della capitale spagnola. Incidenti tra manifestanti e polizia anche in Italia, in tutte le principali città del nostro Paese. Un segno evidente che i popoli del Vecchio Continente sono stanchi di tirare la cinghia per ingrassare eurocrati, politicanti e banchieri di ogni ordine e grado.
Per questo e per esprimere la loro collera hanno deciso di scendere in piazza contro l’austerità, l’indigenza, la disoccupazione e le politiche di rigore dei governi schiavi dell’usura internazionale, in una giornata segnata in particolare dallo sciopero generale in Spagna e in Portogallo, due fra i Paesi più colpiti dalla crisi. La Spagna, che rappresenta la quarta economia della zona euro, è attualmente strozzata da una disoccupazione oltre il 25% e da drastiche politiche di rigore ha messo in atto il secondo sciopero generale in un anno. Nella notte i primi picchetti hanno preso posizione nei punti nevralgici della capitale iberica, aeroporti, depositi di bus, mercati generali.
Dal 29 marzo scorso, giorno del precedente sciopero generale, si sono succedute diverse manifestazioni contro la politica del governo conservatore di Mariano Rajoy, che prevede 150 miliardi di euro di tagli entro il 2014. Una cifra enorme che verrà pagata esclusivamente dal popolo iberico infuriato per i tagli e le tasse decise dall’esecutivo per volere dei bankster. Sciopero generale anche in Portogallo dove si sono svolte manifestazioni in diverse città a favore del lavoro e della solidarietà, e contro le politiche di solo rigore, senza alcuna prospettiva di crescita, che stanno alimentando pericolosi processi di recessione in Europa come in Italia.
Motivazioni queste addotte dalla Confederazione europea dei sindacati per questa giornata di mobilitazione europea che ha visto manifestazioni anche in Germania, Polonia, Francia e Grecia. In alcuni Stati europei la situazione è in via di evoluzione e se prima era decisamente rosea, ora sta lentamente peggiorando a causa delle politiche di rigore dei governi e della recessione che inizia a fare capolino con tutta la sua virulenza, mettendo a rischio il futuro di migliaia di lavoratori e disoccupati, e distruggendo il futuro di gran parte degli strati sociali.

15 Novembre 2012 12:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=17801

La situazione in Portogallo vista dall’interno

Posted By Lino Bottaro On 15 novembre 2012

Riceviamo dal collega bologger portoghese Massimo De Maria che ringraziamo e postiamo.

[1]Il Portogallo, con Grecia e Irlanda, é uno dei Paesi che ha richiesto l’intervento del Fondo Salva-Stati dell’Unione Europea.
A dire il vero, di “salvamento” se n’é visto poco: in Grecia, per esempio, la situazione é notevolmente peggiorata dall’arrivo della pattuglia FMI-BCE-Banca Mundiale. Le banche sono state salvate, questo é vero: ed é stato evitato il default, il fallimento dello Stato. Anche questo é vero. Ma tutto il resto? Perché la Grecia é molto piú di semplici bilanci.

Diamo un’occhiata al Portogallo.
Lisbona ha richiesto l’intervento della cosí chiamata “troika” (i cui componenti sono gli stessi del caso-Grecia) nel corso del 2010. Piú o meno nello stesso periodo le elezioni legislative sono state vinte da una maggioranza formata da PSD (socialdemocratici) e CDS-PP (Destra). Il nuovo Primo Ministro ha quindi promesso che avrebbe seguito il programma della troika affinché il Paese potesse uscire dalla difficile situazione nel giro di uno o due anni. E per “uscire dalla difficile situazione” si deve intendere il ritorno sui mercati, dove i Titoli di Stato portoghesi non erano piú disponibili a causa degli stratosferici tassi di interesse richiesti dagli investitori.
Tutto ció, naturalmente, implicava sacrifici e i Portoghesi ne erano coscienti. Ma non erano preparati a ció che stava per arrivare.

Il governo ha quindi presentato il piano (che é in realtá appartiene alla troika), fra i cui  punti possiamo ricordare:

    Soppressione di tredicesima e quattordicesima per tutti i dipendenti pubblici i cui stipendi superavano i 1.000 Euro.

    5% di taglio allo stipendio degli stessi dipendenti con una retribuzione superiore a 1.500 Euro.

    Allargamento dell’orario di lavoro nel settore privato per i prossimi due anni, a discrezione del datore di lavoro.

    Taglio fra 25 e 50% per le ore di lavoro straordinario.

    Taglio di 50% per i lavoratori in “mobilidade especial”, una specie di cassa integrazione.
    Soppressione di alcuni giorni festivi nazionali.
    Soppressione di tredicesima e quattordicesima per i pensionati del settore pubblico.
    IVA al 23% per numerosi prodotti, fra cui molti alimentari che anteriormente erano tassati al 6 o 13%.
    Tagli ai finanziamenti nei settori della Salute, dell’Educazione, della Previdenza Sociale, delle amministrazioni locali.
    10% di aumento nel prezzo dei trasporti pubblici.
    Aumenti di gas, luce e acqua.

Questi i punti principali del bilancio statale 2012.
Quali i risultati? Principalmente due: drastica diminuzione del consumo privato e economia in recessione.
Nello scorso mese di Luglio, lo stesso governo si é detto sorpreso per la diminuzione delle entrate fiscali. Infatti, in questo strano Paese, sembra che quando si diminuiscono gli stipendi le persone comprino meno.

Ma ció che importa é evidenziare che gli obiettivi tracciati dalla troika (e conseguentemente dal governo) sono stati mancati: perché se é vero che le spese dello Stato sono diminuite, é anche vero che il PIL é calato (l’economia é in coma): pertanto il rapporto debito/PIL é rimasto sostanzialmente lo stesso.

Con tali risultati, quale la scelta del governo? Semplice: piú austeritá. Visto che non ha funzionato una volta, perché non dovrebbe deludere anche una seconda?
Il bilancio statale 2013 scommette per l’80 % sulle entrate per risanare il Paese. Per questo, il governo ha rivisto le aliquote della tasssazione sui redditi. E, naturalmente, tutti il prossimo anno pagheranno di piú.

Nel mezzo (lo scorso Settembre), c’era anche stato un tentativo di tagliare 7% di tutti gli stipendi (pubblici e privati) e diminuire le imposte delle imprese. In pratica, una trasferenza di denaro dai lavoratori alle imprese. Mas 600 mila persone nelle strade e addirittura la bocciatura degli impenditori (che i conti li fanno e sanno bene che se i cittadini non spendono l’economia chiude una volta per tutte) hanno obbligato il governo a fare marcia indietro. Naturalmente un collaboratore del primo ministro ha definito como “ignoranti” gli imprenditori, ma questi sono dettagli.

Nel frattempo, il governo continua a ricevere gli ordini della troika con lo scopo di “ridisegnare” il Portogallo. Fra le misure considerate, ma non ancora ufficializzate, la vendita di tutte le emittenti televisive statali (ma é possibile un ripensamento), la concessione ai privati del partimonio naturale statale (boschi, foreste, riserve), piú altre misure che non sono ancora state rivelate tanto per non rovinare l’effetto sorpresa. La sostanza é che quello che avrebbe dovuto essere un periodo di assestamento (“tutto bene, qualche sacrifico ma dopo tutto sará migliore”) é stato trasformato in un incubo del quale non si vede la fine: adesso anche il governo non parla piú del 2013 come “punto di svolta” (nel 2011 il punto era il 2012…) ma avanza com timidi 2014 oppure 2015. Date alle quali non crede piú nessuno, soprattutto senza un cambio di rotta politico-economica.

Uno Stato in crisi che necessita di denaro, si potrebbe pensare. Senza dubbio. Tuttavia i conti non tornano. Perché se il governo desiderasse realmente aumentare le entrate dello stato per risanare i conti pubblici non venderebbe le imprese pubbliche che generano profitti. Un caso fra i molti: la TAP, la compagni aerea nazionale. Ma non possiamo dimenticare la REN (energia elettica), la Galp (di cui l’ENI detiene una quota), la Portugal Telecom (comunicazioni), la EDP (nuovamente eletricitá). Queste sono imprese in buona salute, che alla fine dell’anno apportano utili alle casse dello Stato e la cui vendita evidenzia il vero fine del programma troika-governo portoghese: la privatizzazione.

Con il mantra “Stato piú leggero” si svende tutto, compresi anche alcuni settori della Salute.
Certo, poi capita che le piazze si riempano di 600 mila dimostranti convocati non dai partiti o dai sindacati ma da un semplice appelo via internet. Oppure che le forze armate siano ogni volta piú inquiete, con tanto di cappellano militare che afferma che “l’esercito non rimarrá ad assistere alla distruzione del Paese”. E che le statistiche ufficiali parlino di una disoccupazione al 16% (ma il dato reale é superiore) e in costante crescita.

Ma sono rischi previsti, giá calcolati. Ed il gioco vale la candela: in palio c’é la distruzione di uno Stato e la svendita delle sue rovine.

Massimo De Maria

http://www.stampalibera.com/?p=55781

Primo passo costituente dell’Europa ribelle

 

Soldato blu, così non si fa. A Roma, ed in altre 22 capitali e centinaia di altre città, monta la protesta contro i governi che il welfare lo danno sohttp://selvasorg.blogspot.it/2012/11/primo-passo-costituente-delleuropa.html?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed:+selvas/blog+%28Selvas+Blog%29lo a banchieri e mafie finanziarie. Prende corpo un fantasma che comincia a popolare le strade e le piazze della Vecchia Europa, delle sue città antiche che conobbero
vedi Qualche sussulto di dignità  QUI
tempi rigogliosi, più degni e umani. Avanza a macchia di leopardo, e già scatta il conto alla rovescia per quelli che sottraggono ai poveri per finanziare i ricchi. Non fanno più paura quelli che non ci “rappresentano”e parlano solo dagli schermi: sono la malattia, non la medicina! S’avvicina il tempo del disprezzo e della resistenza contro i cinici, i nichilisti  e gli avidi. Si profilano all’orizzonte spazi sempre più stretti per chi manganella alle spalle, non il “populismo” ma il popolo di carne e ossa! Finiti in un vicolo cieco quelli che confusero “globalizzazione finanziaria” con internazionalismo, post-modernismo con il liberismo  del secolo XVII. Soldato blu, tranquillo, fregheranno la pensione e il futuro anche a te e ai tuoi figli. Fattene una ragione.

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FALLIMONTI/ Debito record, 43 voti di fiducia (nemmeno B.), 392 decreti fermi. Radiografia di un disastro

Inchieste Italia

Scritto da Carmine Gazzanni

Giovedì 15 Novembre 2012 08:29

Debito pubblico oltre i due mila miliardi (record assoluto per Monti). Oltre 33 mila euro a testa di rosso per tutti gli italiani, dagli anziani ai neonati. In un anno oltre 90 miliardi di euro di debiti accumulati e due punti percentuali in più (dall’8,8 al 10,8%) di disoccupazione. Non solo: ben 43 volte l’esecutivo è ricorso al voto di fiducia (in media quattro ogni mese, roba che nemmeno B.) e, nonostante questo, su 482 decreti attuativi necessari per rendere operative le norme fino ad ora approvate, sono ferme al palo 392. Ecco gli incredibili numeri del disastro tecnico targato Mario Monti. A poco più di un anno dal suo insediamento, all’indomani delle manifestazioni andate in scena in tutta Italia (ed Europa) contro la politica di austerity di questi mesi e contro i cosiddetti governi dei banchieri, non è affatto un bilancio felice. Checché ne dicano i sostenitori di un Monti-bis.

 di Carmine Gazzanni

monti_disastroso_peggio_di_bProbabilmente quando in televisione Elsa Fornero avrà visto le scene degli scontri di ieri (che nessuno qui giustifica. La questione è un’altra), avrà pensato alle centinaia di migliaia di giovani scesi in piazza. Tutti choosy, ovviamente. Perdigiorno. Quasi un peso per la ripresa economica. Probabilmente anche molti degli altri ministri – a cominciare da Mario Monti – avranno avuto lo stesso pensiero. Si saranno domandati: cosa dovremmo fare? Stiamo lavorando per il bene del Paese e nemmeno vi va bene? Avranno pensato: “Ciò che è necessario va fatto comunque”, come ha detto ieri Angela Merkel di fronte ai tafferugli andati in scena nel suo Paese.

Peccato, però, che questo ipotetico “necessario” non sia utile. Perlomeno non è utile per il bene del popolo. Facili accuse? Assolutamente no. Pura e semplice verità. La questione, infatti, è che, a poco più di un anno dall’insediamento del governo Monti, se volessimo fare un bilancio, questo non sarebbe affatto positivo dato che l’Italia è sprofondata in una situazione decisamente peggiore alla precedente. E le responsabilità, ovviamente, non sono che imputabili alle scelte scellerate dell’esecutivo. Un vero e proprio disastro tecnico, insomma.

Ed è paradossale: a condannare il governo dei tecnici, dei professori e dei banchieri sono proprio quei dati e quei numeri a cui loro, molto spesso, hanno fatto affidamento. Cominciamo dal più sconvolgente: 1.995,1. Sono i miliardi di euro di debito pubblico italiano relativi a settembre e resi noti ufficialmente due giorni fa da un rapporto di Bankitalia. Non solo. Secondo stime ufficiose nel mese appena trascorso di ottobre sarebbe stato sfondato anche il muro dei due mila miliardi di euro. Un debito pubblico pauroso che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non è affatto diminuito da un anno a questa parte. Ma anzi è aumentato di ben 90 miliardi (per la precisione 88,4 miliardi). In media 9,8 miliardi in più ogni mese. Cifre assurde, insomma. E lo sono ancora di più se facciamo un calcolo pro capite. Ad oggi ogni cittadino italiano – dall’anziano fino al bambino nato da un minuto – deve sopportare sul suo groppone un debito di circa 33 mila euro a testa.

Anche se ragioniamo percentualmente il discorso non cambia. Anzi, la questione diventa ancora più critica. Nel rapporto di Bankitalia, infatti, si mette a confronto il debito anche con il Pil. Se a fine 2011 il rapporto debito/Pil era del 120,1%, ora è del 126,1%. Un aumento di sei punti percentuali. Il perché è facilmente intuibile: se tassi blocchi l’economia, la produzione ne risente e il Pil scende.

Ma i numeri che sentenziano il fallimento della politica economica di Mario Monti sono anche altri. Secondo gli ultimi dati Eurostat, ad esempio, anche il tasso di disoccupazione è aumentato: nel settembre 2011 era al 8,8%; oggi è salito di due punti percentuali (10,8%).

Come se non bastasse, anche la partecipazione democratica è messa pesantemente a dura prova dall’esecutivo di Mario Monti. Anche a tal proposito, dunque, è innegabile il fallimento del governo dei tecnici, che è ricorso al voto di fiducia un numero incredibile di volte: ben 43 dl o ddl infatti hanno visto la loro approvazione tramite questo meccanismo. Una frequenza impressionante di voti di fiducia che ha annullato l’istituzione parlamentare. Un Parlamento che, nei fatti, è diventato inutile perché spogliato delle sue prerogative, chiamato solo ad un voto che non ha altra funzione se non quella di legittimare una situazione che ormai si è impiantata da dodici mesi a questa parte: è l’esecutivo a decidere, in autonomia. Non è possibile modificare alcunché, cambiare una virgola o togliere un punto. Nulla di nulla.

E questo, come detto, si è avuto ben 43 volte. Nemmeno Silvio Berlusconi era arrivato a tanto. Il Cavaliere, infatti, dal 2008 fino alla sua caduta è arrivato a quota 52: poco più di uno ogni mese di governo (43 mesi è durato l’esecutivo targato B). Una cifra assolutamente elevata. Basti pensare che il Berlusconi II – quello per intenderci che è arrivato alla scadenza naturale della sua legislatura – in cinque anni era arrivato a 31. Ebbene, Monti l’ha superato e non di poco: in dodici mesi è arrivato a 43. Il calcolo è agevole: quasi quattro voti di fiducia ogni mese.

Ma allora facciamoci un’altra domanda: il ricorso smodato al voto di fiducia perlomeno avrà portato a cambiamenti importanti nella vita economica, politica e sociale italiana? Niente affatto. Secondo gli ultimi dati de Il Sole 24 Ore l’attuazione delle varie norme approvate dall’esecutivo è ferma al 18,7%. In numeri: di 482 decreti attuativi necessari per rendere operative le norme approvate da dicembre scorso, ne mancano ancora 392. Di questi 218 sono in itinere (nel senso che gli uffici legislativi hanno cominciato a lavorare alla loro stesura), mentre ben 174 sono fermi al palo. Come se mai nessuno avesse approvato quelle norme. Il tanto blaterato cambiamento avuto da quando si è insediato Monti, insomma, è soltanto una favola (o una barzelletta?).

Ma andiamo più nello specifico. In particolare al decreto Salva Italia, primo provvedimento dell’esecutivo, mancano ancora 55 decreti attuativi su 90 norme totali, sebbene sia diventato legge il 22 dicembre 2011. Al Cresci Italia ne mancano 45 su 61, al Dl Semplificazione 47 su 49, al Dl Semplificazione fiscale 47 su 53.

Curioso il caso anche della spending review. Su 124 decreti previsti, solo 8 sono stati già presi. Ne mancano all’appello 111. Infine la tanto discussa riforma del lavoro: 27 norme che richiedono decreti attuativi. Ma ancora se ne attendono ben 23.

Da qualunque parti li si guardi, dunque, i numeri condannano senza appello l’operato del governo Monti. Ma allora perché – di grazia – si continua a parlare di Monti-bis?

 

Guglielmo Sinigaglia, da Ten.Colonnello a barbone. Il segreto di Ustica

Quella che vi proponiamo di seguito é la storia di Guglielmo Sinigaglia, che nel suo profilo Facebook si presenta cosi

“ex Ten.Colonnello del Tuscania, ex Agente del SISMI,” servizi segreti militari”, TESTIMONE DI USTICA costretto a fare il barbone in San Babila (Milano), i ragazzi del “david icke meetup” mi aiutano per il collegamento internet.CERCATE LA MIA STORIA DIGITANDO SU GOOGLE :”Guglielmo Sinigaglia”


Era Colonnello, ha scelto di vivere come un barbone per scampare alla morte, quando vedeva gli altri testimoni morire nei classici tragici incidenti… ha dovuto abbandonare la sua vita… leggete questa storia allucinante tutta italiana, o meglio italo/francese/inglese/americana… 

Guglielmo Sinigaglia interviene al Convegno DAVID ICKE Meetup – 11/09/2010

Staff nocensura.com
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Ci sono persone per bene, che per proteggere la vita di chi amano, sono obbligate a diventare “invisibili”, “fantasmi” senza fissa dimora, “alieni” fra i propri simili, su un pianeta troppo spesso ingrato, ma che amano con tutto il cuore. 

Ecco la storia di Guglielmo Sinigaglia tratta da una serie di articoli usciti negli anni su diversi giornali. Cominciamo da qui: un estratto di quanto pubblicato su Repubblica, a pagina 21, sezione cronaca, il 6 novembre 1990. 
“(…) ha 37 anni. E’ stato arruolato nella legione Straniera (…) matricola numero 155666, nome in codice Licaone (…) Il Dc 9 dell’ Itavia è stato abbattuto per errore. L’ ha colpito un missile, lanciato da un Mirage o più probabilmente da un sottomarino. Entrambi delle Forze armate francesi. Il tragico errore si compie al culmine di una convulsa e frenetica battaglia aerea-navale nel basso Tirreno, ingaggiata dopo il fallito tentativo di distruggere il jet che trasportava Gheddafi da Tripoli a Varsavia. L’ operazione era divisa in due fasi. La prima, nome in codice Tobruk, prevedeva il rifornimento di armi del Fronte rivoluzionario libico da una base in Sicilia, Petosino, piccolo centro a dieci chilometri da Mazara del Vallo. La seconda, nome in codice Eagles run to run, faceva scattare il piano per abbattere il jet che trasportava il colonnello libico. In Corsica, il legionario si allena a varie azioni. Eravamo circa duecento, ricorda, tutti del Gole, il Gruppo operativo Legione straniera. In tre iniziamo a volare con il Nimrod. Il 26 scatta l’ allarme. Le centrali operative erano due, a Decimomannu e a Calvi. Sapevamo che le nostre operazioni erano coordinate da quattro eminenze grigie: i francesi, gli inglesi, i tedeschi e gli italiani. Alle 18 e 30 del 27 giugno, mentre eravamo in volo sul Nimrod, arriva il segnale stabilito: L’ oiseau y vole, l’ uccello vola, in francese. E cioè che Gheddafi o Jallud erano in volo, da Tripoli a Varsavia, su un aereo civile. L’ abbattimento del jet doveva essere effettuato da un pilota libico lealista. Dai radar lo vediamo decollare con il suo Mig. Ma sorge un problema: il caccia non ha carburante sufficiente per attendere l’ obiettivo ed abbatterlo. Scatta allora l’ operazione di rincalzo. Dalla Corsica si alzano tre Mirage francesi con serbatoi supplementari e armati di missili capaci di centrare il bersaglio anche a 90 chilometri di distanza. Dalla Foch sarebbero partiti altri aerei di scorta e degli F 104 da Decimomannu. I Mirage della Foch dovevano soprattutto tenere fuori dall’ azione un Airbus dell’ Air France diretto a Barcellona, volo di cui noi eravamo a conoscenza. Nessuno, invece, ci aveva avvertito del Dc 9 che in quel momento stava volando da Bologna a Palermo. Dalla portaerei sovietica Kiev, che incrociava nel Golfo della Sirte, decollano intanto un Mig con i contrassegni libici e uno Yak 36 Stol. A noi ci viene ordinato di abbatterli. L’obiettivo proprio in quel momento vira verso Malta. Sugli schermi radar noi abbiamo due aerei: uno sappiamo essere l’ Airbus dell’ Air France, l’ altro crediamo sia il jet con Gheddafi o Jallud. Invece è il Dc 9 Itavia. Intanto scatta l’ ordine di colpire il Mig e lo Yak. L’ ordine riguarda tutti: gli F 104, i Mirage, e anche i sottomarini che si trovano nella zona. Tre francesi e uno inglese. Il missile è partito da un mezzo francese, gli unici in grado di centrare anche a distanza l’ obiettivo. L’ azione è convulsa, tirano tutti: viene giù un Mirage, ma il pilota si salva, e viene giù il Dc 9. 
La testimonianza di Guglielmo Sinigalia termina qui. L’ ultimo capitolo di questa tragedia lo racconta tra i singhiozzi e le lacrime. Il pilota del Dc 9, spiega, è riuscito a far ammarare il suo aereo. La carlinga ha galleggiato fino alle 5,43 del mattino. Poi, una squadra di sommozzatori usciti dal sommergibile inglese l’ hanno fatta affondare con due cariche d’ esplosivo”. 

fonte:http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/11/06/il-dc9-ammaro-sub-lo-affondarono.html
Qualora qualcuno distrattamente, si chieda perchè la vita di questo testimone fu segnata per sempre e perchè ha dovuto allontanarsi da chi amava, lo invitiamo a leggere quanto segue.
“Nella sciagura di Ustica non ci sono solo le 81 vittime del DC 9. C’è una serie di morti sospette e di testimoni scomparsi che lo stesso giudice Rosario Priore definisce: «Una casistica inquietante. Troppe morti improvvise». Vediamola questa lista che secondo il magistrato è di una decina di morti strane, ma forse sono di più. 3 agosto 1980 – In un incidente stradale perde la vita il colonnello Pierangelo Tedoldi che doveva assumere il comando dell’aeroporto di Grosseto.9 maggio 1981 – Stroncato da un infarto muore il giovane capitano Maurizio Gari, capocontrollore della sala operativa della Difesa aerea a Poggio Ballone. Era di servizio la sera del disastro.23 gennaio 1983 – In un incidente stradale perde la vita Giovanni Battista Finetti, sindaco di Grosseto. Aveva ripetutamente chiesto informazioni ai militari del centro radar di Poggio Ballone.31 marzo 1987 – Viene trovato impiccato (la polizia scientifica dirà «In modo innaturale») il maresciallo Mario Alberto Dettori, in servizio a Poggio Ballone la sera del 27 giugno 1980. «Aveva commesso l’imprudenza di rivelare ai familiari di aver assistito a uno scenario di guerra», ha detto Priore.12 agosto 1988 – Muore in un incidente stradale il maresciallo Ugo Zammarelli. Era in servizio presso il SIOS (Servizio segreto dell’aeronautica) di Cagliari.28 agosto 1988 – Durante una esibizione delle Frecce Tricolori a Ramstein (Germania) entrano in collisione e precipitano sulla folla i colonnelli Mario Naldini e Ivo Nutarelli. Quest’ultimo due giorni dopo doveva essere interrogato da Priore. La sera del 27 giugno 1980 si erano alzati in volo da Grosseto e avevano lanciato l’allarme di emergenza generale. Perché? Cosa avevano visto? I comandi dell’aeronautica militare e la Nato non lo hanno mai rivelato.1° febbraio 1991 – Viene assassinato il maresciallo Antonio Muzio. Era in servizio alla torre di controllo di Lamezia Terme quando sulla Sila precipitò il misterioso Mig libico.13 novembre 1992 – In un incidente stradale muore il maresciallo Antonio Pagliara, in servizio alla base radar di Otranto.12 gennaio 1993 – A Bruxelles viene assassinato il generale Roberto Boemio. La sua testimonianza sarebbe stata di grande utilità per la sciagura del DC 9 e per la caduta del Mig libico sulla Sila. La magistratura belga non ha mai fatto luce sull’omicidio.21 dicembre 1995 – È trovato impiccato il maresciallo Franco Parisi. Era di turno la mattina del 18 luglio 1980 (data ufficiale della caduta del Mig libico sulla Sila) al centro radar di Otranto. Doveva essere ascoltato come testimone da Priore. 
fonte: http://blog.oggi.it/news/2010/06/25/ustica-30-anni-dopo-incidenti-suicidi-e-morti-sospette
Penso che a questo punto non occorra una intelligenza superiore o extraterrestre, per comprendere quale motivo abbia indotto Guglielmo a diventare un senza tetto e allontanarsi dalle persone che ama. 
E’ per proteggerle: come fra l’altro riportato da questo articolo scritto da Enrico Fovanna: 
MILANO – Era in servizio come colonnello del Sismi la sera del 27 giugno 1980, quando il Dc-9 Itavia precipitò nel mare di Ustica, con le sue 81 vittime. Oggi Guglielmo Sinigaglia, 46 anni, ex membro di Stay Behind, fa il barbone a Milano, pur risultando tra gli indagati eccellenti nell’inchiesta del giudice Priore. Il suo nome è finito nell’elenco degli inquisiti per reticenza, ma certo oggi lui sembra temere più qualcosa di oscuro e indecifrabile che la semplice violazione del segreto istruttorio. «Voglio stare ancora con mia moglie sussurra vedere mio figlio nascere e crescere. Ma quella sera fu guerra, sì, guerra vera. Priore ha ragione, tutto però finirà nel nulla tra meno di un anno, il 29 giugno del 2000. I reati militari cadono in prescrizione dopo 20 anni,un giorno e dodici ore». Corsa contro il tempo, dunque? 
Nella borsa Guglielmo porta con sè fotocopie di documenti e tracciati radar, i cui originali sono in mani sicure, «avvocati e notai che li tirerebbero fuori nel caso mi succedesse qualcosa. Nomi da far tremare i palazzi romani, e non solo». 
La carriera che porta Guglielmo dal Sismi allavita da clochard, comincia trent’anni fa, quando a soli 16 anni entra all’Accademia Militare di Modena, fiore all’occhiello nella formazione di giovani 007. Tra i primi per punteggio, viene messo in incubatrice da quello che allora si chiamava il Sid e addestrato per divenire membro attivo dei servizi segreti. A 21 anni, entra a tutti glieffetti in Stay Behind, organizzazione grazie alla quale potrà addestrarsi all’estero con i Seals americani, i giovani Sbs inglesi(gli stessi che poi un giorno avrebbe indicato come i veri autori materiali dell’affondamento del DC-9) e la Legione Straniera. In 24 anni di servizio, da giovane sottotenente otterrà cinquepassaggi di carriera, fino al grado di colonnello. Ma i suoi guaicominciano nel ’93, quando Andreotti, in seguito ai fatti di via Monte Nevoso, per decreto scioglie sostanzialmente la struttura, collocando al di fuori dell’apparato militare tutti i suoi componenti.
Da lì Guglielmo continuerà a rivendicare con testardaggine la propria posizione, con clamorose, ma vane proteste. Fino all’esaurirsi degli ultimi risparmi e alla scelta obbligata, vivere di elemosina. Proprio poco dopo aver messo incinta sua moglie, Diana. Ha una spalla rotta e dolorante, Guglielmo, pantaloni corti, scarpe da tennis, calzini,canottiera e bendaggio rigido. Vestito come l’ultimo dei disperati, da quasi sei mesi ha scelto di vivere per strada, di prendere botte e coltellate, di farsi una doccia a diecimila lire una volta ogni quindici giorni, di stare lontano dalla donna che gli darà un figlio, raccogliendo l’elemosina in corso Vittorio Emanuele, sotto le insegne del cinema Astra. Al suo fianco, fin dall’inizio c’è sempre un collega clochard, Silvio Diligenti, coetaneo, compagno di sventure ed ex maresciallo della Folgore. A Guglielmo la spalla l’ha rotta un altro disperato, la notte di un mese fa. Uno che gli aveva visto tirar fuori un telefonino, quando la moglie l’aveva chiamato, e che doveva aver pensato: se un barbone ha il cellulare, che cavolo di barbone sarà mai? E chissà cos’altro nasconde nel portafogli. E invece no, quel telefonino con scheda ricaricabile era un regalo di sua moglie, Diana Moffa, che vive a La Spezia. La donna che lo chiama, per sapere come sta, se lui la ama ancora, se quel figlio lo vedranno insieme, se davvero è ancora deciso a fare quella vita e fino a quando. Eh sì, perché Guglielmo il barbone, l’ex colonnello del Sismi che sa molto diquello che avvenne quella notte, ha deciso di fare il clochard per amore. La strada, per Guglielmo, non è solo dormire sotto la luna, sul marmodei gradini di una chiesa con la spalla rotta e cercare di fermare i passanti con una frase di Esiodo, il primo poeta greco, su un pezzo di cartone («La vostra indifferenza uccide la nostra speranza»). La strada è soprattutto violenza. Pochi giorni fa, l’ultima aggressione: uno gnomo vestito di nero cerca di portargli via la scatola delle scarpe piena di monete, trentacinquemila lire in tutto. Lui, più alto di mezzo metro e largo il doppio, prova a reagire, brandendo l’unico braccio a disposizione.In tutta risposta l’altro gli punta un coltello alla gola. Intanto arriva Silvio, afferra il nano per le spalle e lo mette faccia a terra, ma nel frattempo una coltellata alla spalla e una al ginocchio di Guglielmo fanno in tempo ad arrivare lo stesso. «Ci si può fare una tal guerra tra poveri per l’elemosina?», sbraita ora Guglielmo. E se parlassimo della guerra, quella vera, che avvenne la sera del 27 giugno sui cieli di Ustica? Guglielmo Sinigaglia vorrebbe farlo il meno possibile. «Mi hanno preso troppo a lungo per mitomane». Già interrogato più volte, Guglielmo ha fornito la sua versione dei fatti: si trattò di un complotto occidentale per uccidere Gheddafi, che quella stessa sera era partito in aereo da Tripoli, e insediare in Libia un governo filo-occidentale. Le dichiarazioni, molte delle qualigià agli atti, scendono poi nel dettaglio. «Qualche politico italiano avvisò il leader libico, che così atterrò a Malta. Nel frattempo il Dc-9 Itavia si infilò nell’aerovia denominata «zombie» (che in codice sta per «capo di stato ostile»), una sorta di corridoio tre chilometriper cinque. Un sottomarino francese lanciò un missile Standard, concarica di prossimità, che costrinse l’aereo ad ammarare bruscamente. Sulla superficie fu affondato con esplosivo Dynagel dagli Sbsinglesi». Ma c’è dell’altro. 
«La strage di Bologna fu architettata per distogliere l’attenzione da Ustica». Da chi? 
«Fate voi». 
Cosa prova quando pensa alle 81 vittime? «Penso che le vittime siano 117». 
In che senso? «Aggiungerei i 36 testimoni morti in circostanze misteriose.
Uno scivola sulla buccia di banana sulla scalla del metro a Termini, uno legge il giornale e non si avvede del paraurti di una macchina, un altro investito da un bambino di 4 anni col triciclo… Lasciando perdere quelli che si sono impiccati in casa».
fonte: http://qn.quotidiano.net/1999/09/02/172369-Da-colonnello-a-barbone-per-paura-.shtml
Cominciate a capire? Noi a Guglielmo crediamo. E lo riteniamo un eroe. Uno dei tanti eroi invisibili, che per aver fatto il suo dovere, è ora obbligato a vivere lontano da chi ama, e in condizioni di vita che non merita. Che nessuno merita. 

Adam Kadmon e il suo staff 
tratto da http://it.paperblog.com/guglielmo-sinigaglia-e-il-segreto-di-ustica-100159/

http://www.nocensura.com/2012/11/guglielmo-sinigaglia-da-tencolonnello.html

DISORDINI IN ARGENTINA. GENTILMENTE OFFERTI DA GOLDMAN SACHS

Wednesday 14 november 2012

La “Primavera Araba” ingegnata dagli USA (1) ci ha regalato in Egitto il “Movimento Giovanile 6 aprile” (2) , condotto da da Mohammed ElBaradei (3), manovrato da Wall Street, coordinato con la Fratellanza Musulmana della “Rivoluzione del 17 Febbraio” in Libia , cioè i terroristi di Al Qaeda del Gruppo Islamico Combattente Libico (4). E ora anche l’Argentina ha il suo movimento “8N”, ovvero “8 Novembre” che lavora in piena sincronia con il gruppo editoriale argentino di proprietà straniera “CLARIN”. CLARIN ha appoggiato con grande entusiasmo i manifestanti (5), preparando il terreno retorico necessario per giustificare una tale presenza di piazza.

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  Il Guardian riporta il loro articolo: “L’Argentina protesta: più di mezzo milione di persone manifestano contro Fernández de Kirchner!”(6): La notizia della manifestazione si è diffusa attraverso i social network. Molti organizzatori restano anonimi, ma Mariana Torres, amministratore della pagina Facebook El Anti-K, una delle più attive nell’organizzazione della manifestazione, ha detto di essere molto felice: “E’ stata una vera festa della democrazia.” C’era più di un motivo per protestare: molti delle fasce medie sono infuriati per l’alto tasso d’inflazione attuale, che ha raggiunto il suo picco massimo dell’ultimo decennio, stimata intorno al 25% da economisti privati; le restrizioni di valuta hanno creato un mercato nero del dollaro americano; il tasso di crescita è tra i più bassi dell’intera America Latina.

Gli slogan e i motti hanno preso di mira anche i recenti casi di corruzione e i tentativi del Presidente Fernandez di limitare i poteri dei grandi gruppi editoriali e televisivi. Clarín, il gruppo editoriale più importante del paese, ha accentuato la sua critica al governo attuale proprio poco prima dell’entrata in vigore (il prossimo 7 Dicembre) di una legge che limiterà il suo “impero” mediatico.

Il fatto che il Guardian abbia menzionato la pagina Facebook “El Anti-K” (7) è interessante per due motivi. Primo: Mariana Torres e il suo collaboratore Marcelo Moran, creatore della pagina, hanno dichiarato di “non essere affiliati ad alcuna organizzazione politica”.(8) Ma considerando il livello di appoggio che la manifestazione ha ricevuto da parte di particolari interessi Argentini ed esteri (9) fa sorgere alcuni dubbi sulla veridicità di tale affermazione. Secondo: mentre il Guardian tenta di raffigurare “El Anti-K” come un’entità separata dal gruppo CLARIN, la pagina stessa è zeppa di commenti di strenui difensori di CLARIN; uno di questi diceva così (tradotto dallo spagnolo): Clarín è una società e in quanto società il suo scopo è di unire sforzo umano e capitale, per l’ottenimento di un profitto. Se questo avviene nei limiti della legge, noi che abbiamo acquistato i loro prodotti e servizi dobbiamo solo starcene zitti, oppure cercare un’alternativa. Il Governo Kristina è un governo che prende il nostro denaro (quello delle tasse che paghiamo) e lo usa per propri scopi.


  Mentre possiamo dire che qualsiasi governo è alla fine colpevole di prendere il denaro sudato della gente e ridistribuirlo in altri modi – dire che CLARIN è solo un’onesta società che opera nei limiti della legge per “unire sforzo umano e capitale e ottenere un profitto” e che la sua influenza arbitraria non sia un fattore da considerare, è di un ingenuo pazzesco. Quanta arbitraria influenza arbitraria può esercitare un gruppo come Clarin? Abbastanza, essendo appoggiata da una delle maggiori istituzioni finanziarie della Terra, Goldman Sachs.


L’immagine nell’articolo è presa dalla pagina 40 (43 pagine nel pdf) del Report annuale 2011 del gruppo Clarin. Goldman Sachs è la più grande (e la sola ) nominata come maggiore azionista del gruppo Clarin. Pdf integrale a questo indirizzo

  Come abbiamo già visto durante la “Primavera Araba” congegnata dagli U.S.A., un’istituzione finanziaria come la Goldman Sachs non è solo un’entità che opera da sola, ma è parte di un più vasto cartello d’interessi finanziari societari,(10) che non si limita a complottare di nascosto durante fumosi consigli d’amministrazione, ma finanzia noti pensatoi politici come la Brookings Institution, il Consiglio di Relazioni Estere (Council on Foreign Relations-CFR), l’ American Enterprise Institute e il Gruppo di Crisi Internazionale (ICG). A loro volta questi think-tank sfornano politiche che poi i politici mettono in atto, e opinioni che si diffondono a macchia d’olio attraverso i grandi gruppi editoriali occidentali e i gruppi locali, come appunto il CLARIN Group in Argentina.

Enti finanziati dal governo USA come il National Endowment for Democracy (11), la Freedom House e la Open Society di George Soros, costituiscono gruppi di opposizione in paesi – bersaglio, a volte anche con finanziamenti diretti, laddove le organizzazioni locali non sono in grado o non hanno abbastanza interesse a collaborare con quei particolari interessi esteri.

In Argentina appare chiaro che gli interessi speciali locali sono ben collegati ai progetti occidentali – proprio come per il Venezuela, ed è in corso in questi due paesi una campagna praticamente identica (12) mirata alla loro distruzione.

Ma in Argentina esiste davvero un’opposizione

Se da un lato l’attuale governo argentino costituisce un vero ostacolo per gli interessi stranieri, dall’altro esso non è comunque perfetto. Secondo alcuni lettori dall’Argentina, esistono dei legittimi gruppi di opposizione senza alcun legame con ambienti esteri e con i manifestanti di questi ultimi giorni; questi gruppi sono molto contrari alle ingerenze straniere nel paese. Hanno ben chiarito quali sono le loro rivendicazioni e lamentele contro il Governo di Cristina Kirchner, eppure sono stati a malapena citati dai canali d’informazione locali e internazionali.

Sarebbe molto utile se questi gruppi rivelassero la vera natura delle proteste in corso, e invece di manifestare a loro volta, farebbero bene a elaborare un programma di soluzioni concrete per risolvere i problemi denunciati.

I governi di Venezuela e Argentina fanno davvero ricorso al populismo. Se non lo facessero, entrerebbe allora in scena un candidato rappresentante dell’Occidente che utilizzerebbe il populismo per costruire un “movimento popolare” pro-occidente, un’ottima base elettorale inespugnabile, proprio come Thaksin Shinawatra (sostenuto dall’occidente) ha fatto in Tailandia ( 13).

Il populismo è uno strumento socioeconomico: e può essere buono o cattivo a seconda delle mani che lo manipolano. E come per ogni strumento, il suo abuso crea gravi conseguenze.

Le tensioni in Argentina sono causate proprio da questo populismo collegato a influenze straniere, limitato da queste, dalle sanzioni e dai tentativi di destabilizzazione politica ed economica. Come per il Venezuela, dopo la recente rielezione, devono essere esplorate soluzioni permanenti (14), e i veri gruppi d’opposizione hanno un’ottima opportunità per fare da battistrada.

N.D.T
1) http://landdestroyer.blogspot.it/2011/12/2011-year-of-dupe.html
2) http://landdestroyer.blogspot.it/2011/06/fake-revolutions.html
3) http://landdestroyer.blogspot.it/2011/11/egyptian-protesters-us-stooge-elbaradei.html
4) http://landdestroyer.blogspot.it/2011/09/west-point-terror-center-confirms-al.html
5) http://www.clarin.com/politica/protestas-Jujuy-Tierra-Fuego_0_807519391.html
6) http://www.guardian.co.uk/world/2012/nov/09/argentiana-protests-rally-fernandez-kirchner
7) http://www.facebook.com/pages/EL-ANTI-K/156333624406111
8) http://www.lasvegassun.com/news/2012/nov/11/lt-argentina-anti-government-march/
9) http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=11076&mode=thread&order=0&thold=0
10) http://landdestroyer.blogspot.it/2011/11/ned-freedom-house-are-run-by.html
11) http://landdestroyer.blogspot.it/2012/10/us-prepares-for-overthrow-of-venezuela.html
12) http://altthainews.blogspot.it/2012/11/thai-governments-reckless-populism.html
13) http://landdestroyer.blogspot.it/2012/10/venezuelas-victory-over-wall-street.html
14) http://landdestroyer.blogspot.it/2011/04/free-markets-socialism-alternative-view.html

L’immagine nell’articolo è presa dalla pagina 40 (43 pagine nel pdf) del Report annuale 2011 del gruppo Clarin. Goldman Sachs è la più grande (e la sola ) nominata come maggiore azionista del gruppo Clarin. Pdf integrale a questo indirizzo: http://www.scribd.com/doc/112842629/2011-Annual-Report-for-Clarin-Group-Argentina

Toni Cartalucci – Tradotto da: comedonchisciotte – Tratto da: tlaxcala-int.org

Il terzo ritorno della marea nera. Trovato ancora petrolio sul sito del pozzo Bp. Video

Effettivamente il caso non è chiuso. Per la terza volta è comparso un velo di idrocarburi sul mare devastato, due anni fa, dal petrolio che uscì dal pozzo Macondo della Bp dopo l’incendio della piattaforma Deepwater Horizon: fu il peggior disastro nella storia dell’industria petrolifera. I link sono in fondo.

Sto per mostrarvi il sorvolo aereo effettuato pochi giorni fa sul Golfo del Messico. Il petrolio vicino a Macondo c’è e si vede. Non aspettatevi immagini tragiche: merita però parlarne per sottolineare che, evidentemente, da qualche parte c’è qualcosa che non va e, date l’entità della marea nera 2010 e le difficoltà che si incontrarono per arrestare il petrolio, non si tratta affatto di un problema di portata locale.

A incidente ufficialmente chiuso, nel 2011 sul Golfo del Messico per la prima volta venne trovato petrolio fresco proveniente dal giacimento di Macondo e le autorità, ispezionato con un robot e telecamera il pozzo faticosamente turato l’anno prima, non riuscirono ad identificarne la sorgente.

Si trovò per la seconda volta petrolio in superficie il mese scorso: la telecamera calata sul fondale mostrò il pozzo sigillato e goccioline che uscivano dalla “cupola” con cui si tentò vanamente di ingabbiare Macondo nel 2010: da allora è rimasta laggiù, ad alcune centinaia di metri dal pozzo. La Bp, subito dopo, ha turato con un robot le aperture della “cupola”. Eppure ora sul mare c’è per la terza volta petrolio. Ecco le immagini.

20121109- OWOC Gulf Flight – Macondo

Le riprese sono state girate da Wings of Care, un’associazione di volontariato che si occupa di ambiente, e sono state inserite oggi su Youtube. La presenza del petrolio è stata segnalata alla guardia costiera statunitense, che a sua volta ha diramato un comunicato.

Su Wings of Care si legge che il petrolio è distribuito in scie parallele lunghe 1,8-2,8 chilometri; il centro dell’area in cui sono visibili gli idrocarburi si trova a circa 1,6 chilometri da Macondo (peraltro, aggiungo, non penserete mica che il petrolio salga a galla perfettamente in verticale: il fondale è a 1300 metri di profondità, bisognerebbe conoscere direzione e velocità delle correnti…); la quantità, seppur modesta in sè, è decisamente superiore a quella delle perdite naturali conosciute che si trovano nel raggio di una trentina di chilometri.

Nel filmato – l’avete visto – compaiono in mezzo al petrolio una nave e una barchetta che secondo Wings of Care prelevano campioni. Mica per caso penserete che le autorità americane vogliano finalmente prendere il toro per le corna ed andare a fondo della faccenda?

No, infatti. L’imbarcazione è il Falkor dello Schmidt Ocean Institute. Studia gli effetti a lungo termine della marea nera 2010 sull’ecosistema marino. La spedizione è pagata dal Gulf of Mexico Research Initiative, che a sua volta funziona grazie al denaro stanziato dalla Bp per la ricerca scientifica indipendente sulla marea mera.

Da dove viene il petrolio? Non credo che il Falkor lo scoprirà: non è mica lì per quello. Comunque ripeto ancora una volta la spiegazione più plausibile.

Quello di Macondo era un giacimento rognoso e difficile; ne uscivano ad altissima pressione sia petrolio sia gas.

Può darsi che le manovre per turare il pozzo abbiano provocato delle fratture nel fondale oceanico, e che gli idrocarburi si facciano strada lungo la linea di minor resistenza.

Delle crepe nel fondale era fermamente convinto – già due anni fa – un senatore americano, che però non rivelò su cosa si basava questa sua certezza.

Per eliminare dubbi, sospetti e scenari apocalittici di cui è pieno il web (e che non mi soffermo ad illustrare perchè non c’è uno straccio di una prova) bisognerebbe mandare sul fondale uno sniffer, un robot in grado di individuare la concentrazione del petrolio e di percorrere la strada lungo la quale essa si presenta via via maggiore. Non risulta che ci stiano pensando.

Se il problema non viene indagato ed affrontato cosa succede? Non lo sa nessuno, l’eventualità che le perdite di questo tipo continuino per anni ed anni potrebbe addirittura configurarsi come un happy end: perchè è difficile che il fondale oceanico si richiuda automaticamente ed è facile che invece le crepe, una volta createsi, si allarghino.

Da Wings of Care gran quantità di petrolio sul sito del disastro Deepwater Horizon

Il comunicato della guardia costiera statunitense segnalato un velo di petrolio in prossimità del pozzo Macondo

Sul Wall Street Journal la Bp tura le aperture della “cupola” da cui usciva petrolio

Dallo Schmidt Ocean Institute la missione sugli effetti a lungo termine della marea nera 2010 e chi sono i finanziatori

http://blogeko.iljournal.it/2012/il-terzo-ritorno-della-marea-nera-trovato-ancora-petrolio-sul-sito-del-pozzo-bp-video/71378

Ecco come la ricchezza viene trasferita dai lavoratori agli speculatori finanziari

By Edoardo Capuano – Posted on 15 novembre 2012

ImpiccagioneNell’edizione 2012 del libro Occupy Money> uscito da pochi giorni, la Professoressa Margrit Kennedy scrive che dal 35% al 40% di quello che spendiamo serve a pagare interessi. Questi interessi vanno a banchieri, finanzieri, e obbligazionisti, che taglieggiano quindi il PIL – USA dal 35% al 40% del suo valore.

Commercianti, fornitori, grossisti e dettaglianti lungo tutta la catena della produzione si basano sul credito per pagare i conti. Devono pagare la manodopera e i materiali prima di avere un prodotto da vendere e prima che il compratore finale paghi il prezzo del prodotto, 90 giorni dopo.

Ogni attore della catena aggiunge interesse per i suoi costi di produzione, che vengono trasferiti al consumatore finale. La dottoressa Kennedy parla di oneri per interessi che vanno dal 12% per la raccolta dei rifiuti, al 38% per l’acqua potabile fino al 77% per un affitto di una casa popolare nella sua nativa Germania.

Queste cifre sono pubblicate in una ricerca dell’economista Helmut Creutz, che le ha estratte da documenti ufficiali della Bundesbank e si riferiscono alle spese delle famiglie tedesche per i beni di tutti i giorni e per i servizi nel 2006, ma cifre simili si possono incontrare anche nelle analisi dei profitti del settore finanziario negli Stati Uniti, dove corrispondono a un enorme 40% dei profitti finanziari del 2006. Questa percentuale era del 7% nel 1980.

Tutto ciò spiega come la ricchezza (monetaria) viene sistematicamente trasferita dai lavoratori agli speculatori finanziari. I ricchi diventano progressivamente più ricchi a spese dei lavoratori, non solo per l’insaziabile avidità del sistema finanziario, ma a causa delle regole matematiche e inesorabili del nostro sistema bancario privato (clicca qui per approfondire).

L’unica soluzione che esiste è riconoscere che la Ricchezza = Lavoro & Creatività e per arrivarci sono necessari due passaggi:

1 – Ritorno alla Emissione Monetaria Statale;

2 – Abolizione degli interessi sulla capitalizzazione attiva e passiva di moneta.

Torniamo Sovrani dell’Emissione e Gestione Monetaria!!!

Fonte: glollo.com

Non ci avrete mai come volete voi

Pubblicato da  il 15 novembre 2012. 
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–  di Valerio Valentini 

Ho visto un meraviglioso striscione tra i tanti che stanno sfilando in queste ore nelle piazze italiane, e nelle videogallery dei quotidiani online. Lo reggevano cinque o sei ragazzi, di 16 o 17 anni. Liceali, con ogni probabilità. Dietro lo striscione, una lunghissima fila di studenti. Su quel lenzuolo bianco, con lettere un po’ sbilenche e non molto allineate, c’era scritto uno di quegli slogan che spesso vengono utilizzati durante manifestazioni o cortei, né più bello né più brutto di molti altri simili. Ma che, nonostante l’abuso tipico di ogni slogan, nel momento in cui l’ho visto, mi è sembrato, appunto, meraviglioso: “Non ci avrete mai come volete voi”.

Ecco, appunto, come ci vogliono? Io credo che prima di tutto ci vogliono ignoranti. E sappiamo perché. Rassegnati. E sappiamo perché. Disillusi. E anche in questo caso, sappiamo perché. Dunque la manifestazione di oggi, apparentemente, va contro i loro progetti. Ma quello slogan, apparentemente, era un’affermazione coraggiosa e prepotente della volontà di autodeterminare il nostro presente. Apparentemente.

Perché dico apparentemente? Perché secondo me chi detiene il potere, che poi è un agglomerato di poteri transnazionali, oggi ci vuole anche arrabbiati, bruti, violenti. Ci vuole esattamente come oggi stiamo dimostrando di essere. La protesta di piazza, in fondo, agli occhi di chi governa è un atto auspicabile: è una valvola di sfogo, il rientro dei livelli di guardia della frustrazione e dell’indignazione. Il fatto che lo si faccia sfasciando le vetrine di una banca, incendiando un cassonetto oppure organizzando una sassaiola non ha alcuna importanza. Quello che conta è che da domani ce ne torniamo tutti, calmi ed estenuati, alle nostre quotidiane occupazioni, sereni per aver fatto il proprio dovere: aver protestato.

So bene qual è il significato di uno sciopero così imponente come quello di oggi. Aver ribadito, da un lato, la voglia di far sentire la propria voce, l’orgoglio di affermare tutto il significato della propria esistenza non solo di cittadini, ma di individui; in secondo luogo, lo sciopero significa mettere in crisi il sistema produttivo, bloccare le attività commerciali, ridurre i profitti dei padroni. Tutto vero, in teoria. In pratica, negli ultimi anni la voce di chi protesta non solo non viene ascoltata, ma spesso non viene neppure percepita. Essa sprofonda in mezzo alla confusione, alle urla, alle sirene, e nessuno riesce a decifrarla. Ma tutti sanno bene come strumentalizzarla. Quanto poi a mettere in crisi il sistema produttivo, nutro seri dubbi circa la reale efficacia di queste manifestazioni. Domani ci saranno vetrine spaccate da risistemare, sampietrini divelti da reinserire sul selciato dei viali, auto incendiate da ricomprare. Magari il piccolo commerciante o l’operaio subiranno danni gravissimi, ma il “Sistema”, come molti lo chiamano, finirà per guadagnarci. La protesta è, in generale, un atto meraviglioso, ma il modo di esercitarla è ormai fallimentare. Lo abbiamo ereditato dalle generazioni precedenti e lo trasmettiamo a quelle successive, senza rinnovarlo. Come un’abitudine, una tradizione. Credo che non solo tra le dinamiche, ma direi anche tra gli slogan degli scioperanti di fine ottocento cannoneggiati da Bava Beccaris e quelli degli studenti di oggi manganellati dai celerini non ci sia alcuna differenza. E questo è terribile, perché nel frattempo i “Savoia” si sono evoluti.

Ci sono casi, come in Val Susa, dove il sopruso necessita ancora di un avanzamento fisico, fatto di ruspe e di trivelle. E allora ben vengano gli assalti ai cantieri, la costruzione delle baite, i consorzi di valligiani per acquistare i terreni. Ma in tutti gli altri casi, dove l’affermazione del potere non ha nulla di fisico – il Fiscal Compact o il MES non sono, purtroppo, ruspe e trivelle – opporsi fisicamente serve ancora a qualcosa? L’unica utilità è per il Potere, che manda carabinieri e poliziotti a pestare a sangue i ragazzini, in una guerra tra poveri che non ha alcun senso. Perché tanto, alla fine, vince sempre chi si trova in sala regia, a dirigere pattuglie e manifestanti come fossero pedine su un grande gioco dell’oca.

Qual è l’obiettivo? Costringere alla ritirata un blindato? Ne arriverà un altro. Conquistare una piazza? Verrà liberata. Negli ultimi anni i manifestanti arrivano con i caschi, con le maschere antigas, si dispongono a mo’ di testuggine romana, con materassini o assi di plexiglass. E’ proprio quello che il Palazzo vuole: avere come spalla manifestanti organizzati, minacciosi e armati di tutto punto. Che facciano il maggior numero possibile di danni, che mettano a ferro e fuoco, a soqquadro la città. Che ingaggino tafferugli con le forze dell’ordine usando tecniche da guerriglia urbana. Magari che ci scappi il morto, così che si possa invocare la parola magica, “repressione“,  e si possano dare ampi poteri alle forze armate, nel consenso generale dell’opinione pubblica, magari dichiarando lo stato d’assedio.

È il caso di ripensare la protesta. Di esprimere la rabbia e l’indignazione in forme diverse, più costruttive, più pericolose per il Potere. Si potrebbe cominciare, ad esempio, ad occupare le sedi locali e nazionali dei giornali e della RAI. Farebbe molto più rumore un TG interrotto dall’arrivo di manifestanti che si impossessano di microfoni e telecamere, che non un liceo autogestito a oltranza dagli studenti che si barricano dentro l’aula magna finché non arriva la Digos a sgomberarli. E poi, visto che tutti la definiscono la dittatura delle banche, si potrebbe provare a colpirla ritirando i soldi dai conti correnti e mettendoli sotto al materasso, almeno finché le banche non torneranno ad assumere il loro ruolo originario, quello vicino ai risparmiatori.

Si potrebbe addirittura tornare a ristrutturare il vecchio casale in campagna, avuto in eredità dal nonno [ndrad avercelo!], e coltivare la terra. Oggi raccogliere un pomodoro che si è seminato è qualcosa di infinitamente più rivoluzionario che raccogliere un sasso per tirarlo contro un celerino. O, infine, gli studenti potrebbero ribellarsi a questo potere reagendo nella maniera che è, tra tutte, sicuramente la più pericolosa: studiare. Essere molto più colti e preparati di chi comanda è l’atto anarco-insurrezionalista più antico ed efficace di sempre.

 http://www.byoblu.com/post/2012/11/14/Non-ci-avrete-mai-come-volete-voi.aspx

Tratto da: Non ci avrete mai come volete voi | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2012/11/15/non-ci-avrete-mai-come-volete-voi/#ixzz2CHzdqLc7 
– Nel tempo dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!