Nuovi attentati contro i serbi del Kosovo settentrionale

Nuovi attentati contro i serbi del Kosovo settentrionale

Una bomba è esplosa domenica, mentre sabato in un agguato è stato ferito un ex capo della polizia del villaggio di Istok

Alessia Lai

I serbi del Kosovo sono accerchiati, quotidianamente nel mirino dei criminali albanesi che oramai da tempo commettono omicidi e attentati mirati. Lo scopo è far sparire ogni traccia della comunità serba dal Kosovo, regalato dalla cosiddetta “comunità internazionale” ai miliziani dell’Uck, divenuti oggi i governanti di questo staterello senza legge, regno del crimine organizzato e nuovo campo di addestramento per le milizie salafite che stanno destabilizzando il Vicino Oriente.
Nella notte tra domenica e lunedì degli “sconosciuti” hanno fatto esplodere una granata nella parte nord di Kosovska Mitrovica, città del Kosovo settentrionale divisa in due dal fiume Ibar, con la parte nord abitata da serbi e quella sud da kosovari albanesi.
La bomba è stata lanciata contro un edificio abitato da alcune decine di serbi del Kosovo. Fortunatamente, nonostante i danni materiali, nessuno è rimasto ferito. È andata peggio, sabato scorso, a due uomini serbi, attaccati a sud dell’Ibar mentre stavano guidando la loro auto nei pressi del comune di Istok.
L’emittente radiotelevisiva serba B92, ha riportato che uno dei due uomini, Momir Pantic, è rimasto ferito a un braccio da un colpo d’arma da fuoco. Pantic è un ex capo della polizia di Istok. Il sindaco di Mitrovica, Krstimir Pantic, ha visitato l’uomo in ospedale e ha definito l’incidente “un classico agguato”, la prova che i serbi non sono sicuri in Kosovo. Quelle che raccontano “di una società multietnica e democratica in Kosovo” sono tutte storie, ha affermato il sindaco, perché “gli albanesi stanno facendo tutto il possibile perché tutti i serbi che vivono nella provincia se ne vadano, così come (fanno di tutto per evitare, ndr) il ritorno di quelli che vogliono farlo”. Il sindaco di Mitrovica ha anche puntato il dito contro le truppe della missione Nato, la Kfor, per essersi rifiutate portare il ferito in ospedale.
Non è certo la prima volta che i soldati Nato agiscono in questa maniera nei con fronti dei serbi, voltando lo sguardo di fronte alle aggressioni da parte degli albanesi. Appena venerdì, il giorno prima dell’agguato a Pantic, il sindaco di Mitrovica aveva riportato l’attenzione sul fatto gli assassini di Sava Mojsic – un serbo ucciso nel novembre del 2011 durante una sparatoria avvenuta a Brdjani – non siano ancora stati trovati e puniti. “Mojsic è stato assassinato semplicemente perché era un serbo”, aveva affermato Pantic secondo quanto riporta il sito internet dell’agenzia di stampa Beta. “Sebbene i suoi assassini siano noti alla comunità internazionale e alla polizia kosovara, non sono stati arrestati”, ha detto Pantic sottolineando che “È un messaggio del fatto che (i serbi, ndr) devono accettare ci che viene imposto loro da Pristina e che questa è una società albanese con istituzioni albanesi”. La pace che la comunità internazionale dice di perseguire in Kosovo, insomma, non è altro che la cancellazione di ogni traccia serba dal Kosovo.
Ma Belgrado non ci sta, venerdì il direttore dell’ufficio serbo per il Kosovo, Aleksandar Vulin, ha affermato che la Serbia continuerà a finanziare le sue istituzioni nell’enclave, nonostante Pristina insista nel pretendere che qualunque struttura serba scompaia anche dal nord kosovaro. Secondo il quotidiano serbo Vecernje Novosti, Vulin ha anche duramente criticato il settore della sicurezza del Kosovo, che non è in grado di fermare il fenomeno della criminalità. Vulin ha parlato dell’accordo sulla gestione integrata delle frontiere con il Kosovo: “I rappresentanti delle istituzioni provvisorie di Pristina saranno presenti al valico, ma il ruolo esecutivo lo manterrà l’Eulex”, ha spiegato Vulin, che ha precisato che se così non fosse stato Belgrado non avrebbe mai accettato l’accordo. Accettare la gestione integrata dei confini, ha infatti spiegato Vulin, non significa aver riconosciuto indirettamente l’indipendenza del Kosovo, perché così come stanno le cose l’Eulex mantiene il compito della gestione amministrativa.
Da Pristina, invece, insistono nel pretendere che i serbi e le loro istituzioni spariscano anche dal nord del Kosovo. Ieri, il vicepremier kosovaro-albanese Hajredin Kuci, ha affermato che non ci sarà dialogo finché non verranno rimosse le strutture parallele serbe a nord del fiume Ibar. Dopotutto il premier del quale è vice, Hashim Thaci (foto), ha agito direttamente per eliminare qualunque traccia serba dal Kosovo. Di recente è stato accusato di traffico illegale di organi umani dall’ex magistrato e politico svizzero Dick Marty, relatore per i diritti umani presso il Consiglio d’Europa, che ha pubblicato un rapporto che collega gli ex combattenti dell’Uck, tra cui lo stesso Thaci, al crimine organizzato.


13 Novembre 2012 12:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=17745

Egitto. Mohamed Morsi chiede un prestito da 5 miliardi di euro a Bruxelles

Egitto. Mohamed Morsi chiede un prestito da 5 miliardi di euro a Bruxelles

L’Ue fornirà all’Egitto un pacchetto di aiuti pari a cinque miliardi di euro nei prossimi due anni

Sebastiano Caputo

Il presidente egiziano Mohamed Morsi guarda sempre più a Occidente. Due settimane fa una delegazione del Fondo Monetario Internazionale (Istituto che ha sede a Washington) si era recata a Il Cairo per concretizzare con i vertici del governo egiziano un prestito da 4,8 miliardi di dollari – ordinato da Momtaz El Said, ministro dell’Economia e delle Finanze – indirizzato a rilanciare il Paese e risanare il deficit di bilancio. Un prestito che ha imposto come controparte all’Egitto, di iscrivere nel suo programma di governo per l’anno fiscale 2013-2014 alcune riforme strutturali dell’economia.
Ieri la storia si è ripetuta ma con l’Unione Europea. Il leader dei Fratelli Musulmani ha ricevuto al Cairo l’alto rappresentante Ue per la Politica estera Catherine Ashton (insieme nella foto). Durante i colloqui – ai quali ha partecipato anche il ministro degli Esteri egiziano, Kamel Amr – i due hanno discusso su come aumentare la cooperazione fra Ue ed Egitto, in particolare nel campo degli investimenti e del turismo. Sul comunicato della presidenza egiziana pubblicato al termine dell’incontro si legge che l’Unione Europea fornirà all’Egitto un pacchetto di aiuti “senza precedenti” pari a cinque miliardi di euro nei prossimi due anni. Da parte sua Mohamed Morsi si è impegnato a fare presto visita al Parlamento europeo di Bruxelles “per mantenere lo stesso slancio nelle relazioni fra Ue ed Egitto”, com’è stato annunciato dall’eurodeputato José Ignacio Salafranca (Partito Popolare Europeo), in visita nella capitale egiziana.
Si rafforzano quindi i rapporti tra Mohamed Morsi, l’Unione Europea e gli Stati Uniti d’America, come si conferma la mano tesa in chiave anti-iraniana dell’Occidente ai Fratelli Musulmani. Nonostante ci sia stata una volontà di riavvicinamento da entrambe le parti, i rapporti tra Il Cairo e Teheran rimangono fragili. I due Paesi faticano a dimenticare quell’episodio storico che segnò l’interruzione dei rapporti diplomatici. Era 1979 e la neonata Repubblica islamica ritirò i propri ambasciatori per protestare contro la firma egiziana del trattato di pace di Camp David con Israele.


15 Novembre 2012 12:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=17794

La passione di Obama per i droni

di Fabio Sallustro – 15/11/2012

Ma quando un paese cessa di essere semplicemente un paese e diventa un impero, allora la scala delle azioni cambia drammaticamente. Così mi è permesso chiarire che io parlo come una suddita dell’impero USA? Io parlo come una schiava che ha l’ardire di criticare il suo re.

Arundhati Roy – La solitudine di Noam Chomsky

 

 Ricordate il Nobel per la pace del 2009?

Andò al neo rieletto presidente Obama “per i suoi straordinari sforzi per rafforzare la diplomazia internazionale e la cooperazione tra i popoli“.

Il Nobel è buon punto di riferimento per ricordare i momenti storici.

 Nobel per la pace a Mandela? 1993

Nobel per la pace ad Arafat, Peres, Rabin? Facile: 1994

Nobel per Kissinger? Facilissimo: 1973. Ed anche questo, non fatevi ingannare, era per la pace. Di sicuro comunque non quella con il Cile o con i cileni.

Se vi avessi detto invece: ricordate quando vennero mandati altri 30.000 soldati americani in Afghanistan per “combattere il terrorismo” (ad Oslo avrebbero detto per “rafforzare la diplomazia internazionale”)?

L’anno è lo stesso, il 2009, ed il protagonista anche: Obama.

Ma non sono così sicuro che sareste stati capaci di trovare la data in questione.

A seguito di quegli inconfondibili gesti di pace che sono rappresentati dall’invio di un nutrito contingente militare in territorio straniero si decise di “rafforzare ulteriormente la diplomazia internazionale” con un aumento smisurato degli attacchi dei droni.

E’ risaputo: niente pacifica meglio di una bomba ad un matrimonio.

In realtà se volessimo essere precisi potremmo dire che l’aumento di questi “sforzi di pace” letteralmente ”piovuti dal cielo” procedette di pari passo con l’ossessiva ricerca della giustizia da parte di Obama: infatti secondo alcuni l’esigenza di chiudere i centri di interrogatorio oltre oceano unitamente alla chiusura di Guantanamo costrinsero l’amministrazione Obama ad aumentare l’utilizzo dei droni.

Non c’era più un posto dove torturare la gente e dove metterla in prigione a tempo indefinito, dunque uccidere senza processo sarebbe stato più facile!

Poco conta che la prigione illegale di Guantanamo sia, ad oggi, apertissima.

 I droni: una passione e un primato.

Questo cambio di rotta nella gestione della “diplomazia internazionale” non ha comunque scalfito l’inconfondibile stile umanitario di Obama.

A fronte di una kill list con l’elenco delle future vittime senza processo della giustizia globale il presidente, riferendosi ad un personaggio in particolare, fece sapere che per lui la decisione di uccidere l’obiettivo era stata una “easy one“, roba facile insomma.

I droni, a dirla tutta, sono una passione di Obama.

Gli Stati Uniti ne detengono il primato mondiale.

E dato che avere dei gioielli tecnologici senza poterli usare non dà soddisfazione ecco che abbiamo centinaia e centinaia di attacchi non solo in Pakistan ma anche in Somalia e nello Yemen.

E’ un primato breve ma costante dalla sua genesi e di recente ha mostrato invidiabili impennate.

Questi dati trovano conferma in altri edificanti trend: 1 aereo militare americano su 3 adesso è un drone.

Molti sono aerei spia dalle dimensioni ridottissime.

Ma altri sono invece i molto più letali “predators”, “reapers” e gli invisibili “sentinel”. Così, a fronte di un elevato numero di operazioni e velivoli, l’USA Air Force si è trovata in crisi di piloti: l’avvento di questa nuova forma di guerra, che non rimuove il fattore umano ma sposta il controllo dell’intervento in zone sicure, ha portato l’Air Force a dover addestrare un numero di piloti di droni addirittura MAGGIORE rispetto a quello dei piloti tradizionali. 

I droni: gli effetti collaterali e i media.

Indipendentemente dalla polemica possibile, i droni hanno dei vantaggi umanitari? Sono più precisi, colpiscono meno civili?

A leggere le statistiche di alcune associazioni si.

Ad indagare con maggiore attenzione si realizza che, molto oltre i singoli episodi citati, la realtà è assai diversa.

E decidendo di andare ancora oltre si scopre che l’ONU esprime forti perplessità sulla natura dei dati collegati alle vittime civili de droni: alcuni degli attacchi in questione potrebbero configurarsi come “crimini di guerra” (secondo Ben Emmerson inviato speciale ONU che visiona e valuta le azioni di antiterrorismo  in relazione al rispetto dei diritti umani).

Lo sforzo dei media per nascondere la guerra segreta di Obama e le vittime che produce è comunque un impegno che si estende ai giornali ed alle televisioni di ogni nazione.

I morti civili in Pakistan rischiano spesso di essere dimenticati anche sul proprio lembo di terra.

E in territorio statunitense invece si utilizzano i media in modo selettivo celebrando gli attacchi dei droni senza segnalarne gli effetti.

Tre giorni dopo la sua prima elezione Obama autorizzò un attacco su Koresh Hot, un villaggio nel sud del Waziristan.

Morirono 10 persone senza essere identificate (secondo la Pakistan Geo News).

Il 23 gennaio (lo stesso giorno delle dichiarazioni della Pakistan Geo News) il New York Times valutò in 7 il numero delle vittime di cui 3 bambini.

L’articolo aggiunse inoltre che tale attacco, secondo funzionari americani, non aveva colpito alcun leader di Al-Qaeda.

Il 24 gennaio il Washington Post, con toni celebrativi, affermò che questo attacco aveva rappresentato “il primo segno tangibile dell’impegno del presidente Obama a mantenere la pressione militare sui gruppi terroristi”.

Gli articoli dei giornali segnalarono solo brevemente il seguente particolare: il drone aveva sbagliato bersaglio.

Questo, non è superfluo dirlo, è solo il primo possibile esempio.

I droni: un mondo più sicuro?

Resterebbe in sospeso almeno un altro punto: il mondo è più sicuro da quando sono cominciati i bombardamenti con i droni?

Indipendentemente dal numero di vittime civili, dalla reinterpretazione della Costituzione (americana e non solo), dalla violazione dei diritti umani e dal mancato rispetto delle relazioni internazionali, il mondo adesso è un posto più sicuro?

Una risposta esemplare è stata offerta da Robert Grenier ovvero colui ha guidato l’unità di antiterrorismo della CIA dal 2004 al 2006 ed è stato responsabile della sezione locale della CIA in Pakistan:

Abbiamo generato una situazione in cui creiamo più nemici di quanti ne rimuoviamo dal campo di battaglia. (…) Sono estremamente preoccupato dal fatto che, in questo modo, si possa instaurare un nuovo e più grande paradiso per i terroristi in Yemen“.

Droni: i criteri per un attacco.

Viste tali premesse è facile capire come mai Obama sia tanto restio a parlare di droni.

Ad un giornalista che chiese conto della sua “kill list” (che include cittadini americani e che porta con sè immensi problemi di natura costituzionale) rispose in modo molto esplicito che le questioni di sicurezza nazionale non andavano discusse.

A settembre di quest’anno però è stato possibile finalmente avere alcune informazioni ufficiali.

Obama ha dichiarato alla CNN che un “sospetto terrorista” deve superare cinque verifiche per essere spazzato via da un aereo senza pilota a bordo:

  • deve essere un obiettivo autorizzato dalle nostre (loro) leggi
  • deve essere una minaccia concreta e non teorica
  • deve essere una situazione in cui non sia possibile catturare l’obiettivo prima che agisca contro gli USA
  • deve esistere la certezza che si possano evitare vittime civile, in qualunque operazione si decida di pianificare
  • deve esistere una giustificazione legale per fermare cittadini americani che portino avanti progetti contro gli USA e devono essere garantiti loro i diritti costituzionali

Micah Zenko membro del Consiglio delle Relazioni Internazionali  ha segnalato quanto sia difficile credere che queste regole siano state rispettate facendo riferimento agli oltre 3000 morti coinvolti in 375 omicidi mirati. Inoltre, sia in Yemen che in Pakistan, la CIA ha autorizzato attacchi basandosi solamente su presunti comportamenti pericolosi (signature) senza necessariamente detenere informazioni che identificassero, ALMENO PER NOME, i bersagli.

Infine, per quanto riguarda le fortunate vittime statunitensi, la garanzia di rispettare i loro diritti costituzionali non deriva più da un processo ma dalla valutazione di personale “esperto” ed assistenti del presidente non soggetti in alcun modo a controllo da terze parti indipendenti.

Molti costituzionalisti ritengono che un simile approccio non ponga alcun limite all’intervento che potenzialmente può essere messo in atto nei confronti di chiunque, sia esso cittadino americano o meno.

L’intervista di Obama alla CNN, seppur in inglese, è disponibile integralmente.

E dunque?

La prossima volta che verrà rieletto un presidente degli Stati Uniti e presteremo massima attenzione all’esito della tornata elettorale forse, prima di esultare per strada e sui social network,  sarà raccomandabile dedicare altrettanta attenzione al suo operato nei quattro anni precedenti.

Non siamo cittadini americani, non eravamo a Wasghinton ad occupare nella vana attesa che il governo ci sostenesse.

Non eravamo in Wisconsin mentre la polizia ci caricava.

E non eravamo nelle stanze del potere quando Obama nominava gente che con la finanza d’assalto ha prosperato.

Ma viviamo nel resto del mondo, siamo sudditi dell’impero ed abbiamo gli strumenti per leggere ed interpretare le azioni di un governo che continua ad esportare democrazia con le bombe.

Dove le condanne a morte a distanza ormai sono la prassi e dove la “pace” in casa vale bene il caos altrove.

Arianna editrice

Cacciari a Monti: si candidi, non sia ‘tiepido’

Beh in effetti Monti per la decrescita ha fatto molto. Peccato fosse del tipo estremamente infelice…

Cacciari a Monti: si candidi, non sia ‘tiepido’

Una lettera-appello al premier Monti affinche’ scenda nell’arena politica e si candidi alla guida del Paese. A scriverla e’ Massimo Cacciari, ex sindaco di Venezia e a capo di ‘Verso il Nord’. “Caro Monti la prego, si candidi – scrive Cacciari nella missiva riportata nel numero dell’Espresso in edicola domani – Lei da anni svolge incarichi importanti e con il suo governo ha segnato una forte discontinuita’. Oggi che i partiti sono in stato confusionale, solo lei puo’ battere l’astensione e attrarre gli incerti”.

Massimo Cacciari ‘Verso il Nord’

Roma, 15-11-2012

Una lettera-appello al premier Monti affinche’ scenda nell’arena politica e si candidi alla guida del Paese. A scriverla e’ Massimo Cacciari, ex sindaco di Venezia e a capodi ‘Verso il Nord’. “Caro Monti la prego, si candidi – scrive Cacciari nella missiva riportata nel numero dell’Espresso in edicola domani – Lei da anni svolge incarichi importanti e con il suo governo ha segnato una forte discontinuita’. Oggi che i partiti sono in stato confusionale, solo lei puo’ battere l’astensione e attrarre gli incerti”.

Per il fondatore di ‘Verso il Nord’, “la situazione e’ ancora piu’ drammatica che all’inizio del suo mandato. Il Pdl e’ in stato confusionale – riassume – Il Pd naviga nel bicchier d’acqua in tempesta delle sue primarie. Crolla perfino Di Pietro. C’e’ Grillo,
magari al 20%, ma e’ un po’ arduo presentarlo alla Bundesbank, le pare?”, chiede ironico. I piu’ “ragionevoli” pensano: facciamo un porcellum prima Repubblica al posto dell’attuale, frantumiamo il quadro politico, una bella emergenza e Monti ritorna. Sono certo che lei, da cittadino responsabile, aborri una tale prospettiva”.

Quel che ci vuole, secondo l’ex sindaco di Venezia, e’ “una coalizione di governo”, in cui presidente e programma “vanno indicati prima. Un ritorno di Monti post festum – avverte – non risolverebbe nulla. Un Monti-bis senza alcuna propria base parlamentare governerebbe ancora meno di quanto abbia governato il Monti-uno.

Presidente, ancora uno sforzo. Dia ascolto alla sua vocazione politica – chiede Cacciari – e se non la possiede, la finga! Si candidi. Solo la sua candidatura a capo di un suo movimento puo’ prosciugare molta astensione, e ancora piu’ consensi attrarre da altre aree politiche in crisi. Solo la sua candidatura puo’ sparigliare i giochi di questi agonizzanti partiti e costringerli a coerenti scelte di alleanza e governo. Lo faccia, se non altro, per salvare le fatiche sopportate fin qui. Virtu’ insegna che ci si ritira soltanto dopo aver vinto o aver fallito. Non resti a meta’: i tiepidi, dice l’Apocalisse, saranno sputati nel giorno del Giudizio”.

 http://www.rainews24.rai.it/it/news.php?newsid=171555

Siria. Fuga in avanti di Hollande. Riconosciuta l’opposizione all’estero

La “comunità internazionale” vuole ripetere il copione libico nonostante l’opposizione di Russia e Cina. La Turchia è l’arma

Alessia Lai

Hollande, come il suo predecessore Sarkozy, non si discosta dalla linea bellicista in salsa francese inaugurata con le bombe sulla Libia.
Nella serata di martedì ha ufficialmente riconosciuto la nuova Coalizione nazionale siriana come “solo rappresentante del popolo siriano e come futuro governo provvisorio di una Siria democratica, consentendo di porre fine al regime di Bashar Assad”, aprendo inoltre alle forniture ufficiali di armi ai “ribelli” (finora effettuate solo clandestinamente). La questione del rifornimento di armamenti “dovrà ora essere necessariamente riconsiderata non solo dalla Francia ma da tutti i Paesi che hanno riconosciuto questo governo”, ha infatti detto il presidente francese. Socialisti e conservatori – e non solo francesi – uniti nelle modalità e nell’arroganza, anche se solo da Parigi e dalle petro-morachie del Golfo (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Qatar, Barhein e Oman) è giunto il riconoscimento dell’opposizione nata domenica a Doha quale “unico” interlocutore. La stessa Lega Araba, infatti, ha definito la nuova formazione solo come “unico rappresentante delle opposizioni”, attraversate da rivalità e spaccature. E anche Washington, che si era spesa per arrivare a questo nuovo “comando unificato” degli oppositori siriani all’estero, per ora ha indicato la coalizione come “legittima rappresentante del popolo siriano”, ma senza arrivare ancora a riconoscerla come un futuro governo provvisorio.
Ieri il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, ha definito “un buon inizio” la nuova coalizione aggiungendo che “quando l’opposizione siriana adotterà tali misure e dimostrerà la sua efficacia nel portare avanti la causa di una Siria unita, democratica e pluralista, allora saremo pronti a collaborare per fornire assistenza al popolo siriano”. La Clinton ha poi affermato che gli Usa stanzieranno altri 30 milioni di dollari per gli aiuti umanitari ai siriani. Una prima risposta alle richieste di questa nuova Coalizione nazionale siriana dell’opposizione, che per mezzo di un suo rappresentante, tale Ahmed Ramadan, ieri ha lamentato il fatto che finora “il Cns ha ricevuto solo 40 milioni di dollari”. Non sono nemmeno soddisfatti delle generiche aperture nei loro confronti, questi oppositori con sede all’estero. Vogliono soprattutto armi, e vista la fuga in avanti di Hollande sperano probabilmente che a breve verrà intrapresa una campagna militare come quella che ha portato alla caduta di Muhammar Gheddafi. La differenza, oggi, è però che Russia e Cina non pare abbiano intenzione, come invece fatto incautamente nel caso della Libia, di concedere nessuno spazio alla possibilità di un intervento armato internazionale contro Damasco. Resta la feroce pressione che arriva dalla Turchia, che da settimane cerca di alzare la tensione al confine con la Siria, probabilmente nella speranza che un suo attacco possa portare gli alleati Nato a intervenire anche senza alcun avallo Onu. Il ministro della Difesa di Ankara, Ismet Yilmaz, ha ribadito ieri che le forze armate turche risponderanno ad ogni violazione dello spazio aereo da parte di velivoli siriani.
L’agenzia di stampa Anadolu ha reso note le parole del ministro: “Le regole d’ingaggio stabilite dal primo ministro sono ancora valide. Una risposta adeguata sarà data ad ogni aereo o elicottero siriano che violerà il nostro spazio aereo”. Un commento alla presunta violazione dello spazio aereo turco da parte di alcuni elicotteri siriani. Damasco, accerchiata, contrattacca denunciando – per quanto possibile vista l’indifferenza dei media mainstream – la posizione della Francia come “immorale”. “Permettetemi di utilizzare questa parola – ha dichiarato ieri il vice ministro degli Esteri siriano, Faysal Meqdad, in una intervista all’Afp – è una posizione immorale, perché autorizza l’omicidio dei siriani. Sostiene gli assassini, i terroristi e incoraggia la distruzione della Siria”. La riunione di Doha, ha ancora denunciato Meqdad “è stata una dichiarazione di guerra: questa gente non vuole risolvere la questione pacificamente attraverso il meccanismo dell’Onu”. Un dato confermato dalla stessa Coalizione, che sempre attraverso Ahmed Ramadan ha criticato il riconoscimento “non esclusivo” del gruppo dissidente fatto dalla Lega Araba, affermando che “la cosa più pericolosa è che il decreto di riconoscimento (della Lega, ndr) è stato legato all’attività dell’inviato dell’Onu, Lakhdar Brahimi”.
Intanto il Giappone ospiterà il 30 novembre il quinto summit internazionale degli “Amici del popolo siriano” al quale sono attesi 150 delegati in rappresentanza di una sessantina di Paesi, con lo scopo di trovare ed esercitare nuovi strumenti di pressione sul presidente Bashar al Assad. Una riunione “allineata”. Lo stesso non si può dire del vertice che si svolgerà a Teheran la prossima settimana, al quale parteciperanno i rappresentanti dei vari gruppi etnici, dei partiti politici, delle minoranze e dell’opposizione siriana interna, oltre ad esponenti del governo siriano. Riunione che verrà boicottata dalla Coalizione e dai loro alleati internazionali. Anche in questo atteggiamento si ritrovano le tracce di quel che è già accaduto per la Libia: i tentativi dell’Unione africana di porsi come mediatore nella crisi libica vennero vergognosamente snobbati dalla comunità internazionale. Avevano già deciso. I vincitori a tavolino aspettavano solo di essere incoronati nuovi padroni della Libia. Dove si cerca il vero dialogo non c’è posto per queste opposizioni cresciute e pasciute all’estero.


15 Novembre 2012 12:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=17799

Gaza sotto attacco!

Le ultime notizie ed un commento di Angela Lano (InfoPal)

Continuano i bombardamenti israeliani contro la Striscia di Gaza: 13 morti e oltre 100 feriti. Uccisi 3 israeliani. Nessuna azione intrapresa dall’Onu

 

 

Gaza – InfoPal. L’aviazione da guerra israeliana ha continuato per tutta la notte e la mattina a sorvolare la Striscia di Gaza e a eseguire raid. Il bilancio attuale (ore 11, ndr) è di 13 morti e oltre 100 feriti.

Un ufficiale della polizia del governo di Gaza e due membri delle brigate al-Qassam sono stati uccisi all’alba di giovedì 15 novembre.

 

Le vittime identificate nella giornata di mercoledì sono: Ahmed Said Khalil Al-Jabari, 52 anni; Mohamed Hamed Subhi al-Hams, 28 anni; Mohamed Hani Ibrahim, 18 anni; Essam Mahmoud Ahmed Abu al-Ma’za, 19 anni; Heba Adel Mashharawi, 19 anni; Rinan Yousef Arafat, 3 anni; Omar Mashharawi Jihad, 11 mesi; Mahmoud Abu Soawin, 65 anni.

Giovedì mattina, il comandante delle forze di sicurezza di Gaza, Habes Masmah, 30 anni, è stato colpito mentre viaggiava a bordo di una motocicletta, a est di Khan Younis. Il suo cadavere è stato portato all’ospedale Nasser di Khan Younis.

Sono stati uccisi anche altri due membri delle brigate al-Qassam: Wael Haidar al-Ghalban e Hisham Muhammad al-Ghalban.

 

Israele ha effettuato oltre 100 attacchi contro la Striscia di Gaza, nella notte, colpendo case, auto e siti di addestramento delle brigate della resistenza.

Le navi da guerra israeliane hanno preso parte all’aggressione in corso nella Striscia di Gaza per il secondo giorno consecutivo, e hanno sparato decine di missili e aperto il fuoco di mitragliatrici pesanti contro le case adiacenti la spiaggia, mentre l’artiglieria israeliana ha sparato contro le zone orientali.

 

Da parte sua, la resistenza palestinese ha risposto all’aggressione lanciando più di 120 granate contro siti militari e insediamenti intorno alla Striscia di Gaza, uccidendo 3 israeliani e ferendone 28, e danneggiando diverse auto dei coloni.

 

Nessuna azione intrapresa dalle Nazioni Unite

Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha tenuto una riunione di emergenza a New York, per discutere degli attacchi israeliani contro la Striscia di Gaza, ma non ha intrapreso alcuna azione, mentre Israele minaccia un’escalation di aggressioni.

 

L’ambasciatore indiano Hardeep Singh Puri, presidente del Consiglio di Sicurezza nel mese di novembre, ha dichiarato ai media che nella riunione di 90 minuti, a porte chiuse, i membri si sono accordati soltanto sulla stesura di un comunicato che afferma che si è tenuta una riunione di emergenza.

Il governo di Gaza, l’Anp di Ramallah, il governo egiziano, che mercoledì ha richiamato il proprio ambasciatore da Tel Aviv, così come altri nel mondo, insieme alla Fratellanza Musulmana, hanno chiesto alle Nazioni Unite e alla comunità internazionale di fermare la mattanza israeliana contro la Striscia di Gaza.