La logica dei media mainstream

saudi war on yemenMamma mia..quanto “tortura ” i dissidenti.
Il “capo dell’opposizione” (l’opposizione in Russia è rappresentata dai comunisti ,secondo partito, non da un blogger stile Aranzulla che vìola un divieto e COME IN TUTTI I PAESI viene fermato, idem Luxuria a Sochi all’epoca, vìola un divieto di manifestazione durante una cerimonia, divieto per motivi di sicurezza, viene fermat* ,sbraita e si parla di repressione) viene arrestato portato in centrale e TWEETTA,Rilascia Interviste audio dove incita i ragazzini, si fa selfie …
Cosa che io in Italia non ho mai visto fare ad uno che ha subito un fermo e viene portato in carcere…
Le balle di chi vuole portare “nuove primavere” all’est vengono smentite dai fatti… Peccato avere dei media totalmente funzionali a chi è incapace di governare bene i suoi paesi e gioca una gara a ribasso…
La Russia ha subito sanzioni
Crollo del rublo
Crolli doloso del prezzo del petrolio
E molte altre aggressioni..
Non ha avuto rivolte di piazza..
Oggi delegano un mezzo blogger che con 4ragazzini vìola un divieto
..
E la spacciano ad occidente come Rivoluzione Francese..
Pietà…#buongiorno (un amico su FB)
La logica dei media mainstream
A Mosca 500 persone sfilano contro Putin: tutti i giornali occidentali ne parlano.
A Sana’a centinaia di migliaia di persone manifestano per fermare i disumani bombardamenti Sauditi contro lo Yemen: nessuna menzione da parte di TV o giornali europei o americani. Giornalisti ed editori dei grandi gruppi editoriali e televisivi non hanno come missione di informare i cittadini, bensì di modellare l’opinione pubblica nella direzione più confacente agli interessi dei proprietari di TV e giornali.
Per questo motivo e per tanti altri, l’editore del corriere o l’inviato della CNN che coscientemente omettono le notizie su Sana’a sono complici del massacro Saudita in Yemen. Nell’era dell’informazione, un giornalista, editore, direttore di Rete/Testata hanno la stessa colpa e responsabilità del pilota di F-15 Saudita che giornalmente trucida i civili Yemeniti.
Cari giornalisti mainstream o come diavolo volete definirivi (#fakenews) le vostre mani sono sporche di sangue e la vostra coscienza è macchiata per sempre.
Chi, consapevolmente, decide di comportarsi in questa maniera delinquenziale ha molto da spartire con al qaeda e al nusra.
Curiosamente, invece di inseguire i propri fratelli ideologici di daesh che in un battibaleno li decapiterebbero, questi autoproclamati giornalisti preferiscono puntare ad un premio pulitzer per sentirsi meno in colpa e forse meno insanguinati.
Logica da servi aguzzini inconsapevoli(?).
Notizia del: 27/03/2017 di Federico Pieraccini

VIDEO. Gli yemeniti condannano l’aggressione saudita nel suo secondo anniversario

yemenLE AGGRESSIONI CHE PIACCIONO ALL’OCCIDENTE. Sono musulmani anche loro …ma non valgono quanto i siriani
Una moltitudine di yemeniti sono scesi nelle strade di Sana’a per condannare l’aggressione saudita contro il loro paese, nel suo secondo anniversario.
Migliaia di uomini e donne hanno manifestato, oggi, contro l’aggressione dell’Arabia Saudita allo Yemen, avviata il 26 marzo 2015. I cittadini hanno anche chiesto un’azione internazionale per affrontare la situazione umanitaria drammatica nel paese arabo.
La marcia è stata effettuata dopo l’appello lanciato dal leader del movimento popolare Ansarolá, Abdulmalik al-Houthi, che accusa gli Stati Uniti e il regime israeliano di essere dietro la campagna militare saudita.
La mobilitazione è stata sostenuta anche dall’ex presidente yemenita Ali Abdollah Saleh, che ha accusato il regime di Riyadh di causare “profonde ferite al popolo yemenita”, con la loro grande guerra. “Non vi è alcun rischio che lo Yemen minacci l’Arabia Saudita e altri paesi lo sanno bene. Tutti sanno che l’aggressione dell’Arabia Saudita contro lo Yemen è stata effettuata in nome delle forze imperiali e sioniste”, ha dichiarato Saleh, assicurando che il suo paese continuerà ad affrontare gli invasori, come ha fatto finora.
Arabia Saudita e i suoi alleati in una guerra impari contro lo Yemen
Emirati Arabi Uniti (EAU), Qatar, Kuwait, Bahrain, Giordania, Sudan e Marocco alleati al regime di Riyadh in questa aggressione. Inoltre, dopo la grande offensiva dell’Arabia Saudita contro il  territorio yemenita, paesi come la Turchia, gli Stati Uniti d’America e il regime sionista hanno definito legittimo e lo hanno sostenuto per ripristinare al potere il presidente yemenita fuggitivo, Abdu Rabu Mansur Hadi, condannato a morte dalla giustizia yemenita.
Massacri, fame e distruzione
Secondo le stime dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), la campagna militare della coalizione guidata da Arabia Saudita, finora ha provocato più di 12.000 morti.
I gruppi per i diritti umani hanno più volte denunciato l’uso di armi proibite a livello internazionale da parte dell’esercito saudita e la distruzione delle infrastrutture di base nello Yemen. Inoltre, dal momento che hanno avuto inizio i bombardamenti, milioni di yemeniti hanno dovuto affrontare la fame a causa del blocco crudele che il regime di Al Saud ha imposto al paese più povero del mondo arabo.
Attualmente, 18,8 milioni di yemeniti, due terzi della popolazione, hanno bisogno di una certa assistenza o di protezione, il che rende la crisi dello Yemen, secondo le Nazioni Unite,  una delle peggiori in atto. Di particolare interesse è l’insicurezza alimentare che colpisce 17 milioni di persone, il 60 per cento della popolazione.
Yem
Fonte: Hispantv
Notizia del: 26/03/2017

Francia: vendita di 445 milioni di armi all’Arabia Saudita per bombardare lo Yemen

bambini, yemeniti, sempre musulmani ma non sono vittime di un nemico degli Usa. L’indignazione non è permessa. Il compagno Hollande contribuisce alla causa dello sterminio dei musulmani yemeniti. E’ cosa giusta in quanto politically correct.

 
Bambini fra le rovine in Yemen
 
PARIGI (Pars Today Italian) – Il presidente francese Francois Hollande ha approvato la vendita di armi all’Arabia Saudita, intenta all’aggressione dello Yemen.
Secondo il sito del settimanale Le Point, lunedi Hollande ha emesso l’ordine di vendita di 455 milioni di euro di armi alla monarchia saudita, che dal 26 marzo 2015 a questa parte ha ucciso oltre 14 mila yemeniti, quasi totalmente civili, proprio grazie alle armi ed alle bombe acquistate dalle potenze occidentali.
La Francia, nel 2016, ha ricevuto ordini militari per un ammontare di 20 miliardi di euro, un qualcosa che ha suscitato proteste anche all’interno della nazione.
NotaFrancois Hollande, il presidente socialista che si erge spesso e volentieri a garante dei “diritti umani” e che sale sul piedistallo per dare lezioni a quelli che lui (e l’Occidente) considera “dittatori” da Valdimir Putin a Bashar Al-Assad, ancora una volta si distingue per la sua colossale ipocrisia.
La Francia di Hollande si dimostra come sempre alleata e complice dell’Arabia Saudita, il paese governato dalla Monarchia dei Saud, che sta attualmente conducendo, assieme agli Stati Uniti e con la complicità di altri paesi europei, una campagna di bombardamenti indiscriminati contro la popolazione indifesa dello Yemen, il più povero paese del Medio Oriente.
La Francia fornisce le bombe e gli armamenti, garantendosi mega contratti con i sauditi, indifferente al fatto che quelle bombe e quegli armamenti vengono impiegati per bombardare le case, le scuole, i mercati e persino gli ospedali nello Yemen dove sauditi e statunitensi stanno attuando quella che si può ben definire una “macelleria messicana”. Uno sterminio della popolazione civile che, oltre ai bombardamenti, deve subire un blocco aereo navale che sta portando la popolazione letteralmente alla fame con circa 5 milioni di persone, in maggioranza donne e bambini, che sono sull’orlo della morte per inedia, privi di alimenti, di medicinali e di acqua potabile.
 
Un disastro umanitario, denunciato anche dall’ONU, di grandi proprorzioni e totalmente ignorato dai media, stampa e TV occidentali. Non ci sono le organizzazioni come “Amnesty International” o “Human Right Wath”, quelle che lanciavano grandi appelli per i bombardamenti russi/siriani su Aleppo est, non ci sono servizi sulle TV europee sul dramma che vive la popolazione yemenita, come avveniva invece quando si volevano “salvare” i civili di Aleppo, mentre in realtà si volevano salvare i mercenari armati dall’Occidente e dall’Arabia Saudita che erano rimasti intrappolati nei quertieri est della città.
Ospedale nello Yemen bombardato dall’Arabia Saudita
Per lo Yemen e le sue vittime civili non si leva una voce, sembra si tratti di vittime di serie C per l’Occidente, mentre si sta completando il massacro con la complicità di tutti i leaders occidentali, incluso il nuovo presidente USA che continua tutte le guerre iniziate dal suo predecessore.
 
Di una cosa possiamo però essere sicuri: come spesso accade nella Storia, il sangue dei vinti ricadrà un giorno su tutti quelli che sono stati complici e che hanno chiuso gli occhi davanti alla strage della popolazione yemenita.
 
Fonte: Pars Today Nota di Luciano Lago Mar 21, 2017

Per i bambini di Mossul, la Goracci non piange. Chiediamoci perchè

Non abbiamo né pane né acqua”, dice la donna: “Facciamo appello alle organizzazioni umanitarie,   che ci invino aiuti, soprattutto pane e acqua, e anche beni come gas, combustibile, generatori elettrici”.  E’ una delle forse  centomila persone fuggite da Mossul, sottoposta ai bombardamenti americani dall’ottobre scorso per “liberare Mossul da Daesh”.
L’operazione  è stata chiamata “Inherent Resolve”, che sarebbe “determinazione innata”. Gli  americani però, agli sfollati non offrono alcun aiuto umanitario.   Migliaia  di sfollati si  affollano nel villaggio  di Hammam al-Alil, 30 chilometri a Sud di Mossul, dove non è nemmeno in allestimento un campo-profughi provvisorio:  mancano tende, tutti i generi di prima necessità;   i fuggitivi non hanno denaro – la donna che parla, insegnante, non riceveva lo stipendio da due anni nella città occupata dall’IS né piccoli beni da scambiare per il cibo e l’acqua. Non c’è nemmeno un qualche serbatoio dove raccogliere  l’acqua.  “L’aiuto umanitario non arriva fino a noi.  I pacchi sono aperti, saccheggiati e poi richiusi”.   La situazione igienica è ovviamente   critica. La catastrofe umanitaria è imminente.
Questa assenza  internazionale ha un motivo: il silenzio dei media. Le ONG sono assenti, perché il caso non è mediatico.  Nulla di simile alle lacrime sparse su Aleppo Est bombardata dai russi  spietati, che colpivano  gli innumerevoli ospedali pediatrici di una città che, occupata da Daesh,  era piena di bambini.  Eppure ci sono bambini anche  con gli sfollati di Mossul, oltre 50 mila secondo l’Unicef.
E in pericolo imminente. Niente: qui niente convogli Onu guidati dal valoroso Staffan de Mistura, niente Caschi Bianchi premiati ad Hollywood che  tiravano fuori i bambini di Aleppo dalle macerie e li fotografavano.  E  nessuna lacrima della inviata della Rai, la animosa Goracci: le ha spese tutte per singhiozzare su “L’ultimo ospedale di Aleppo eliminato” dai cattivi russi (era sempre l’ultimo rimasto),  per i bambini affamati e senza medicinali, che richiedevano assolutamente una tregua, perché Daesh si potesse riorganizzare.
Intendiamoci,  la Goracci c’è stata a Mossul: ai primi di novembre, embedded nelle truppe irachene . Ha fatto i servizi d’ordinanza su un quartiere  liberato, le necessarie foto-opportunity. Poi basta.  I bombardamenti americani stanno ammazzando civili, donne e bambini di Mossul, ma ciò non interessa più.
Il perché è spiegato in un saggio dal titolo Shadow Wars, Guerre-Ombra, scritto dal professor Christopher Davidson: il quale non esita a chiamare esplicitamente l’ISIS  un “patrimonio strategico” per l’amministrazione Obama.  Uno “strumento da utilizzare contro   i nemici”.
“IS, patrimonio strategico per gli Usa”
Magari i lettori del nostro blog lo sapevano già. Ma il punto è che il professor Davidson non è un alternativo: cattedratico di studi medio-orientali alla Durham University britannica, è consulente della NATO, del Parlamento Britannico, della British Petroleum (BP) e dei ministeri degli esteri di  Olanda e Nuova Zelanda. Secondo l’Economist, è “uno degli universitari meglio informati  sull’area del Medio Oriente”.  Il suo libro quindi è discusso e recensito sui media anglo-americani.
 
Davidson racconta come l’operazione che sta “liberando Mossul” secondo i media, stia facendo anche un’altra cosa: “La concentrazione degli aerei dell’operazione Inherent Resolve nei cieli  della maggior parte dei territori occupati dallo Stato Islamico”, hanno costretto “le forze russe a restringere il perimetro dei loro attacchi nel Nord-Est della Siria”.  In altre parole,  coma ha confermato anche la rivista TheArabist.net, la Russia “è stata ostacolata nella sua capacità di bombardare Daesh, perché la coalizione diretta dagli Stati Uniti ha messo in essere una zona di esclusione  aerea effettiva”  a protezione del Califfato
Christopher Davidson
Davidson riconosce che, “a un anno dall’inizio di Inherent Resolve  nei cieli”,  di Irak e Siria durante l’estate del 2015, “lo Stato Islamico appare più libero che mai di percorrere la maggior parte del suo territorio. I suoi convogli, a volte formati da centinaia di veicoli ad ogni spostamento”  raggiunsero nel 2015  “gli avamposti del governo di Assad a Palmira”, e “in Irak […] riuscirono a impadronirsi di Ramadi […]  ancora una volta avendo attraversato un territorio largamente   allo scoperto”,  semidesertico.    
“Abbiamo  continuamente sentito le forze irachene e curde lamentare che  gli attacchi aerei del comando americano erano  largamente inefficaci, colpendo spesso costruzioni vuote e installazioni non occupate […]  In Irak, le autorità hanno parimenti denunciato che Daesh riceveva avvertimenti preventivi”.
Davidson ritiene  che anche l’ultima e più recente “riconquista” di Palmyra da parte di 4 mila guerriglieri di Daesh, nel dicembre 2016, “meriterebbe un’inchiesta approfondita”. Ciò  perché l’aviazione americana aveva avvertito i russi (come di routine per evitare  “incidenti” fra le due aviazioni) che “il Pentagono s’era ‘riservato’  quella data dell’8 dicembre per occupare lo spazio aereo  di Palmyra”  perché intendeva lanciare  “il più vasto bombardamento  dell’anno”  contro  le fonti petrolifere di finanziamento di Daesh. Di fatto, la US Air Force s’è accanita contro un convoglio di autobotti vuote e senza autisti (lo ha precisato Usa Today:    http://www.usatoday.com/story/news/world/2016/12/09/airstrike-syria-united-states-coalition-islamic-state/95210166/
“I russi erano stati informati che si dovevano tenere alla larga di Palmyra e della sua periferia, mentre i combattenti di Daesh avanzavano liberamente in direzione della città”. Il che ci dice  che gli Usa hanno aggiunto ai loro crimini di guerra e contro l’umanità, anche la voluta distruzione della zona archeologica  più preziosa della Siria,  al solo scopo – si direbbe – di azzerare una  fonte di onesti guadagni turistici futuri per la nazione.
Allungherei troppo a riferire tutte le altre volte in cui la zona di esclusione aerea di fatto imposta dagli Usa  sopra Daesh ha reso possibile, anzi agevolato,  le puntate offensive e  le conquiste dello Stato Islamico. Dato il continuo sorvolo di droni e aerei da ricognizione, “i pianificatori di Inherent Resolve hanno certo una conoscenza precisa dei movimenti dell’IS da trenta mezzi[…]. Secondo le mie fonti in Irak e Siria, che vivono per lo più  nelle  zone occupate da Daesh, è impossibile spostare imponenti colonne di combattenti da un luogo all’altro senza essere osservati”.
Per esempio nel giugno 2016, quando un  convoglio di centinaia di veicoli  in uscita dalla città di Falluja, lo stato iracheno chiese  agli americani di usare la forza aerea per distruggerlo. Il CENTCOM (il comando delle operazioni nell’intero Medio Oriente) addusse “il cattivo tempo” e ”la protezione dei civili” per non fare nulla:  i militanti di Daesh avevano  con loro donne, bambini, famiglie o scudi umani che fossero. Alla fine è stata la piccola aviazione irachena a  neutralizzare il convoglio.
La preoccupazione umanitaria del CENTCOM  si è manifestata vivamente anche nell’agosto 2014,quando non ha voluto incenerire le centinaia di camion-cisterna  che  portavano il greggio rubato da Daesh ai turchi (al figlio  di Erdogan), motivando con la sua paura di “colpire dei civili”  fra gli autisti delle cisterne.
Una delicatezza che dormiva nei vent’anni precedenti, quando la conquista dell’Irak ha  prodotto 4  milioni di morti, quasi tutti civili, e l’uso abbondante di uranio impoverito, che ha conseguenze catastrofiche  sulla discendenza degli iracheni e dei siriani, senza contare la disgregazione della società tutto sommato avanzata e   civile instaurata da Saddam Hussein,  con i servizi pubblici regolari e la sicurezza mantenuta fra sciiti e sunniti.
Adesso,  poi, la viva ansia umanitaria del Pentagono è  tornata nel sonno verso la popolazione civile dello Yemen:  perché la “coalizione” anti-IS, oltre  a garantire la esclusione aerea a  protezione di Daesh in Irak e Siria (Davidson ci spiega che l’aviazione francese ha tirato “una bomba al giorno in una regione grande come la Gran Bretagna”, perché Hollande combatte sì l’IS, ma, ha detto,  “Non voglio fare il gioco  di Assad”),  affianca l’Arabia Saudita nella sua guerra contro gli Houti. Dove il massacro  di civili dal cielo è quotidiano, e la loro uccisione per fame e distruzione delle poche infrastrutture è cosa fatta – ma senza strappare una lacrima al TG3.
Le scuole sono state colpite 800 volte. Perché fare questo, se non per uccidere più gente possibile?” si lamenta Kim Sharif, direttrice   del Centro per i diritti dell’Uomo nello Yemen.  Anche gli americani non sono stati di meno: “Quando i Navy Seals sono atterrati a Shabwah un mese fa, hanno sparato a tutto quello che si muoveva: le vittime sono state solo donne e bambini”.   L’impresa è stata motivata come la necessità di debellare, in Yemen, una base di Al Qaeda. Va a sapere: di fatto hanno ammazzato 25  persone, di cui 10 bambini e  9 donne.
Ma sono milioni i civili che rischiano di morire per fame. In Yemen  sta già avvenendo la catastrofe umanitaria   fra le più spaventose del secolo. Senza una lacrima della Goracci, della Merkel, della Mogherini, dell’ONU.
 
Il professor britannico evoca come nacque Inherent Resolve: agosto 2014, l’uccisione del giornalista americano James Foley.
Qualcuno dubita che sia vero.
 
Sgozzato, o almeno così pare, in un video da un tizio mascherato da jihadista a volto coperto, con un accento così  fortemente londoniano,  che verrà chiamato Jihadi John. In esso, Jihadi John  minaccia direttamente il presidente Obama.  Scoperto dal SITE di Rita Katz e amplissimamente diffuso dai media tv,  il video costringe Obama a lanciare l’operazione di “degradare e  infine  eliminare” l’IS. Primo effetto  della “risoluzione inerente”, precisa Davidson, è questo: Usa, Regno  Unito e Francia devo sospendere i tagli programmati alla difesa e anzi aumentare l’armamento  . e la vendita agli altri  alleati della coalizione anti-IS, specie i sauditi.
 
Grazie a ciò “le più grandi imprese americane hanno conosciuto  un boom importante, le loro azioni  hanno abbattuto record storici. Raytheon ha visto la sua quotazione passare da 75 […] a 125  dollari a fine 2015. Nello stesso periodo,  l’azione Northrop Grumman passò da 95  dollari a uno stupefacente 186,20 dollari. [..] a inizio del 2015, l’amministratore delegato di Lockheed Martin informò un esperto di Deutsche Bank che ogni riduzione di vendite di armi “non era certo prossima ad accadere”, a causa della “instabilità del Medio Oriente”  e delle opportunità di affari  corrispondenti. Questa regione restava “una zona di crescita” per la sua impresa”.
 
Nel settembre 2013,   Obama proclama che Assad ha superato la linea rossa “gasando il suo stesso popolo”: la reazione russa – che induce Assad a consegnare tutto il suo arsenale chimico all’Onu –  e il voto contrario del parlamento britannico, del tutto inaspettato, costringono Obama a rinunciare all’invasione diretta della Siria. E’ allora che viene lanciata, come ha raccontato lo stesso New York Times solo nel gennaio 2016,
la vasta operazione clandestina della Cia per formare, armare, stipendiare e istruire  decine di migliaia di mercenari anti Assad: Timber Sycamore”, costata “diversi miliardi di dollari”, in gran parte versati dall’Arabia Saudita, che è anche la più insaziabile compratrice delle  armi americane (sulla carta è  la seconda  potenza militare del mondo, prima di Russia e Cina). Secondo l’esperto Joshua Landis,  i vari stati impegnati hanno dedicato 15 miliardi di dollari allo scopo di rovesciare Assad.  Cifra da ritenere per difetto, perché  le avventure estere dell’Arabia Saudita (e del Katar)  non vengono certo iscritte nei bilanci  formali.
 
L’ingenuo lettore può  piangere al pensare che con quelle cifre si poteva  sviluppare la Siria, coprire d’oro i siriani invece di ammazzarli e farli ammazzare, per non dire del risollevare le sorti degli americani   che abitano sotto le tende avendo perso il lavoro e, quindi, la casa ipotecata da mutuo.
 
“Lo Stato Islamico esiste  come struttura politica la cui utilità supera i guadagni militari e politici  che conseguirebbero    alla sua sconfitta, e non solo per gli Stati Uniti ma per le monarchie del Golfo […]. Lo Stato Islamico combatte gli sciiti in Siria e Irak”. Si aggiunga  che le reti islamiste di arruolamento per la guerra santa in Siria e Irak hanno, per le petromonarchie, di “emasculare i sollevamenti popolari  che minacciavano  le monarchie del Golfo” dal 2011.
E in fondo, questo  razionale è validissimo anche per il capitalismo terminale trionfante: consumare  e vendere  enormi quantità di materiali, scongiurando quindi la riduzione della produzione industriale, senza allo stesso tempo aumentare il potere d’acquisto degli americani, e dei lavoratori occidentali in genere, che devono essere  tenuti a stecchetto, precari, minacciati  di disoccupazione.  La Goracci non ci piangerà sopra, perché lei “lavora per la Rai”,dove i giornalisti non conoscono austerità né stecchetto.
 
di Maurizio Blondet – 22/03/2017  Fonte: Maurizio Blondet

Ennesimo attacco di droni USA uccide bambini yemeniti

Yemeni children stand #UpForSchoolper loro non si indigna nessuno, mica è Razzi. I ricchi wahabiti sauditi non si contestano, possono uccidere chi vogliono che le anime belle hanno un prezzo e tacciono come tacciono i benpensanti contro l’islamofobia a corrente alternata.

Almeno due minori yemeniti sono stati uccisi lo scorso Lunedì  da un attacco aereo realizzato mediate un drone senza pilota diretto nella zona centrale dello Yemen.
I fratellini Ahmad e Mohamad Al-Jozba hanno perso la vita nel corso di un bombardamento attuato mediante un drone statunitense mentre camminavano per una via nella località dui Al-Yakla, nella provincia di Al -Bayda.
 
Questo percorso è da tempo oggetto di attacchi da parte degli USA per la presunta presenza di terroristi di Al-Qaeda, come hanno informato questo Martedì da media locali.
 
Inoltre, in un altro attacco simile attuato nella località di Qifa, situata nella stessa provincia, hanno perso la vita tre persone sospettate di appartenere alla rete terroristica di Al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQPA), secondo le fonti locali.
In aggiunta a questi, la casa di un presunto componente di Al-Qaeda è stata bombardata da un drone teldiretto degli USA nella località di Nouyfan, nella stessa provincia, mentre nella stessa giornata un altro missile è esploso contro una zona montagnosa dove presumibilmente vi era un accampamento di addestramento dell’ AQPA, nell’ Al-Said, che fa parte  della provincia di Al.Shabwa (sud della penisola).
Anche altre persone, nella stessa giornata sono state eliminate per mezzo di un drone, nel sud del paese. L’apparato ha lanciato un missile contro un veicolo che si stava spostando, nel pomeriggio del Lunedì, nel distretto di Wadi Yashbum. Il veicolo è rimasto totalmente distrutto e bruciato e fra i resti sono  stati ritrovati i corpi calcinati di due uomini che presumibilmente erano membri di Al-Qaeda. Lo stato dei cadaveri ha impedito qualsiasi tipo di identificazione.
 
La strategia di Washington nello Yemen è quella di bombardare quelli che considera terroristi , la AQPA – una strategia che è stata oggetto di critica nella comunità internazionale per causa della morte procurata di centinaia di civili innocenti durante questi attacchi. Lo scorso mese di Gennaio l’operazione realizzata dalle forze militari degli Stati Uniti nella provincia di Al-Bayda ha causato la morte di 16 civili e 41 presunti integranti di Al Qaeda.
In conformità a quanto pubblicato da un rapporto del Think Tank ,”International Crisis” (IGC) , con sede a Bruxelles, gli attacchi statunitensi nello Yemen, oltre a produrre molte vittime civili, hanno contribuito a fortificare i gruppi di Al-Qaeda nel paese.
Nota: Gli attacchi mediante i droni sono attuati dalle forze statunitensi, partendo da basi militari USA in Sicilia (Sigonella), oltre che da Gibuti in Africa Orientale, e coinvolgono vari paesi fra cui lo Yemen, la Somalia, la Libia, la Siria e l’Iraq. Questi attacchi, che dovrebbero essere mirati, hanno prodotti alcune centinaia di morti fra i civili innocenti, colpendo in alcuni casi persone raggruppatesi per un funerale o per una festa di matrimonio e facendone strage. “Danni collaterali”, hanno dichiarato a Washington.
Si sono verificate molte proteste da parte delle popolazioni coinvolte ma questo non ha smosso alcun organismo sovranazionale, neppure quelle ONG come “Amnesty International” o “Human Right Watch” ed altre che erano molto solerti nel denunciare i bombardamenti ad Aleppo.
Le vittime dei droni per le ONG internazionali e per i media occidentali sono solo dei “fantasmi” che non hanno rilievo nelle periodiche sagre della commozione pilotata dai media, visto che non sono vittime di Assad o di Putin.
Fonte: Hispan Tv Traduzione e nota: Luciano Lago Mar 08, 2017

Panorama degli orrori nell’Arabia Saudita, il miglior alleato dei governi di USA ed Europa

i diritto umanisti di Soros e filantropi pieni di dollari non sono tanto inorriditi, affranti o indignati per le esecuzioni dell’amico saudita. Sono troppo preoccupati per i poveri spacciatori vittime del cattivo Duterte


saudi-arabia-al-descubiertoEsecuzioni in Arabia Saudita
Documentario su quanto accade in Arabia Saudita: una donna decapitata per strada. Cinque cadaveri con la testa mozzata appesi alle gru.
Questo documentario rende evidente che in Arabia Saudita regna una dittatura assassina che non tollera alcuna dissidenza.
Il documentario si basa su sei mesi di riprese fatte di nascosto ed il cortometraggio di esecuzioni e decapitazioni è abbastanza inquietante. Tuttavia questo mostra l’estremo contrasto  fra richezza e povertà in questo paese ricco di petrolio. Inoltre racconta la storia di uomini e donne che si azzardano a parlare contro la dittatura saudita e rivela il terribile prezzo che debbono pagare per il loro coraggio.
Il documentario che sarà mostrato domani sera viene condiviso da una produzione di ITV e dal servizio pubblico di Radiodiffusione degli Stati Uniti (Public Broadcasting Service).
Nota: I regime vigente in  Arabia Saudita è ispirato dagli stessi rigidi principi della religione islamica wahabita (una forma radicale ed oscurantista dell’islam)  a  cui si ispira lo Stato Islamico, con  l’imposizione obbligatoria della Saharia (la legge islamica) come Legge di Stato.
Nella Sharia è contemplata la pena di morte per i casi di :
Omicidio, adulterio, bestemmia contro Allah ed apostasia (abbandono della religione islamica).
 
In tutti e quattro i casi è richiesta la testimonianza di quattro musulmani adulti o una completa confessione.
 
Per quanto riguarda l’omicidio, alcune scuole giuridiche islamiche sostengono che va punito con la morte solo nel caso che la vittima sia un musulmano.
 
Per adulterio si intende qualsiasi rapporto sessuale al di fuori del matrimonio. Se il colpevole è sposato, è prescritta la lapidazione: l’uomo è interrato fino alla vita e la donna fino al petto. Vengono colpiti  con pietre non troppo grandi affinchè la morte non sia troppo rapida.
Per chiunque critichi o sia considerato dissidente con il Governo e la Monarchia è prevista la pena capitale mediante decapitazione. Ogni anno sono centinaia  le decapitazioni che vengono eseguite nel Regno ma i numeri effettivi vengono tenuti nascosti.
L’Arabia Saudita finanzia la diffusione del radicalismo religioso wahabita/salafita in molti paesi mussulmani ed anche in Europa attraverso la realizzazione di Moschee e invio di Iman per indottrinare la popolazione mussulmana emigrata in quei paesi.
L’Arabia Saudita è considerato il miglior alleato nel Medio Oriente di Stati Uniti e Gran Bretagna. Oltre a questo l’Arabia Saudita è il maggior importatore di armi al mondo (dopo la Cina)  ed ha stretto contratti miliardari record durante l’Amministrazione Obama.
Il principale antagonista dell’Arabia Saudita nel Medio Oriente è l’Iran sciita , assieme ai suoi alleati, Siria, Libano ed Iraq (in maggioranza sciita). In Siria l’Esercito siriano, appoggiato dall’ Iran e dalla Russia,  combatte da 6 anni contro gruppi terroristi di ispirazione salafita che sono sostenuti e finanziati dall’Arabia Saudita e dagli Stati Uniti.
I legami della Monarchia saudita con gli ambienti politici USA sono saldissimi. La stessa Clinton ha goduto di un ingente finanziamento saudita per la sua campagna presidenziale.
Ogni presidente USA ed ogni leader del Regno Unito hanno sempre confermato fino ad oggi  gli stretti legami di alleanza e di fattiva cooperazione con l’Arabia Saudita ed hanno prestato forniture di armi ed assistenza militare per le guerre, palesi o occulte, che il Regno saudita sta conducendo in vari paesi del Medio Oriente (Siria, Iraq, Yemen ).
Anche la Francia, la Germania e l’Italia hanno stretti rapporti di collaborazione con l’Arabia Saudita e si registra un export in crescita, in particolare nel settore degli armamenti.
Traduzione e nota: L.Lago

Che cosa accadrebbe se Washington rinunciasse al jihad?

ISIS-Jihad-Terror-Training-CampLa volontà del presidente Trump di combattere Daesh e porre fine al terrorismo internazionale è estremamente difficile da attuare. Infatti, danneggia gli Stati che l’hanno organizzato e comporta un riorientamento della politica internazionale. Il nuovo presidente statunitense non sembra in grado di dare ordini di passare all’attacco alle sue truppe fino a quando non avrà trovato e sigillato delle nuove alleanze.

DAMASCO (Siria) – L’opposizione che incontra il presidente Donald Trump è così forte che il piano di lotta contro Daesh, che sarà presentato il 22 marzo al vertice della Coalizione a Washington, non è ancora pronto. La sua linea politica è ancora sfocata. Solo l’obiettivo dell’eradicazione del jihadismo è stato messo agli atti, ma nessuna delle sue implicazioni è stata risolta.
Il generale Joseph Votel, capo del CentCom, non ha ancora presentato le opzioni sul campo. Dovrebbe farlo solo ai primi di aprile.
 
Sul terreno, si è quindi limitati alla condivisione delle informazioni tra gli statunitensi da un lato, i russi e gli iraniani dall’altro. Per mantenere le cose come sono, le tre potenze hanno convenuto di prevenire uno scontro tra turchi e curdi. E dei bombardamenti intensi sono condotti contro al-Qa’ida in Yemen e contro Daesh in Iraq. Ma nulla di decisivo. L’attesa è d’obbligo.
In nome e per conto di Londra e Washington, l’arma del terrorismo internazionale è gestita dalla Lega islamica mondiale fin dal 1962. Essa comprende sia la Confraternita dei Fratelli Musulmani (composta da arabi) sia l’Ordine della Naqshbandiyya (composto principalmente da turco-mongoli e caucasici).
Fino alla guerra dello Yemen, il bilancio militare della Lega era più importante di quello dell’esercito saudita, di modo che la Lega risulta essere il primo esercito privato del mondo, distaccando di gran lunga persino Academi/Blackwater.
Benché si tratti solo di un esercito di terra, è tanto più efficace in quanto la sua logistica dipende direttamente dal Pentagono e dispone di numerosi combattenti suicidi.
Questa è la Lega – vale a dire i Saud – che fornì a Londra e Washington il personale che organizzò la seconda “Grande Rivolta Araba” nel 2011, sul modello di quella del 1916, ma sotto il nome di “Primavera araba”. In entrambi i casi, si è trattato di fare affidamento sui wahhabiti per ridefinire i confini regionali a beneficio degli anglosassoni.
Non si tratta quindi semplicemente di abbandonare l’arma del terrorismo, ma anche:
– Di rompere l’alleanza tra Londra e Washington per il controllo del Medio Oriente allargato;
– privare l’Arabia Saudita e la Turchia dell’arma che sviluppano per conto di Londra e Washington da mezzo secolo in qua;
– determinare il futuro del Sudan, della Tunisia e della Libia.
Inoltre, occorre anche trovare un accordo con la Germania e la Francia che hanno ospitato i dirigenti della Fratellanza dal 1978 e hanno finanziato il jihad.
Già ora, vediamo che il Regno Unito non ci sente da quest’orecchio.
Si scopre che è stato il GCHQ (servizio di intercettazione satellitare britannico) ad aver sottoposto la Trump Tower a intercettazioni durante la campagna elettorale e il periodo di transizione. Mentre, secondo l’agenzia giordana Petra, l’Arabia Saudita ha finanziato segretamente un terzo della campagna elettorale di Hillary Clinton contro Donald Trump.
Questo è il motivo per cui il presidente Trump sembra cercare nuovi alleati per permettergli di imporre un tale cambiamento.
Sta ora organizzando un incontro con il presidente Xi Jinping, durante il quale potrebbe pianificare l’adesione del suo paese alla Banca per gli investimenti cinese. Metterebbe allora i suoi alleati davanti a un fatto compiuto: se gli Stati Uniti partecipassero alla costruzione delle Via della Seta, diventerebbe impossibile nel Regno Unito, in Arabia Saudita e in Turchia, in Germania e in Francia, continuare il jihad in Iraq, in Siria e in Ucraina.
Fonte: Al-Watan (Siria)  di Thierry Meyssan – 20/03/2017  Fonte: Megachip

Contestano Trump anche quando fa come Obama

all immigrantsIl primo strepito della giornata di ieri arriva quando i media americani ed europei annunciano che Donald Trump ha rimosso dall’incarico il ministro della giustizia, Sally Yates, per il suo rifiuto di applicare il bando restrittivo sull’immigrazione ai sette paesi arabi indicati nell’ordine esecutivo del Presidente. Prima di commentare il merito del provvedimento e di come esso non sia in realtà senza precedenti nella storia recente americana, è opportuno ricordare che la Yates è un ministro uscente nominato da Obama – il ministro della giustizia indicato da Trump, Jeff Sessions, è in attesa della ratifica della sua nomina dal Senato – ed è andata espressamente contro un ordine presidenziale perfettamente legale dal punto di vista giuridico.
Stupiscono anche in questo senso le ingerenze dell’Onu che è arrivata a dichiarare l’illegalità del bando, in un’intromissione quantomeno anomala se si pensa che in passato essa ha taciuto di fronte alle vere violazioni del diritto internazionale commesse dagli Stati Uniti, ma all’epoca evidentemente i diritti umani non erano così prioritari come lo sono ora con Trump.
SICUREZZA INTERNA
Ma tornando al merito della questione, è corretto affermare che la decisione del Presidente sia senza precedenti nella storia americana? La prima cosa importante da dire su questo punto è che l’idea di porre delle restrizioni sull’immigrazione per i sette Paesi interessati dal bando restrittivo (Iraq, Iran, Siria, Yemen, Somalia, Libia e Sudan) non è una idea di Trump, ma del suo predecessore, Barack Obama.
Nel 2015 Obama infatti firma la legge sul programma di miglioramento per il rilascio dei visti (Visa Waiver Program Improvement), e la legge sulla prevenzione del terrorismo per i viaggi negli Usa (Terrorist Travel Prevention Act).
Nel sito del dipartimento della sicurezza interna (Department of Homeland Security) si legge che «il dipartimento per la sicurezza interna rimane preoccupato per la situazione in Siria e in Iraq, così instabili da attirare migliaia di combattenti stranieri, inclusi molti interessati dalla legge in questione (il Vwp). Questi soggetti potrebbero viaggiare negli Stati Uniti per compiere delle operazioni sia per proprio conto sia sotto la direzione di gruppi estremisti violenti». Quindi come si vede la restrizione posta da Trump era in parte già stata anticipata dall’amministrazione Obama che aveva individuato nell’immigrazione da questi paesi una fonte di rischio per la sicurezza nazionale.
La critica legittima che si può fare al provvedimento è semmai l’inclusione dell’Iran nella lista, considerato che l’Iran sta contribuendo attivamente in Siria e in Iraq nella lotta al terrorismo islamico, e l’esclusione dell’Arabia Saudita, uno dei Paesi che ha sfornato più terroristi negli ultimi anni, compresi i responsabili dell’11 settembre.
Ad ogni modo parlare di un atto discriminatorio rivolto contro le persone di religione musulmana è del tutto fuorviante. I media, come al solito, stanno raccontando falsità.
Veniamo ora all’aspetto più strettamente legale del provvedimento. Alcuni osservatori hanno rilevato l’illegalità dell’ordine esecutivo del Presidente, contestando la sua incostituzionalità e il suo carattere discriminatorio dal momento che restringe l’immigrazione solamente per i paesi citati sopra. Come detto, il provvedimento non è motivato da motivi religiosi e se si dà uno sguardo alla legge sull’immigrazione federale statunitense (legge 1182 sezione f), viene specificato che «qualora il Presidente ritenga che l’ingresso di stranieri di ogni tipo e classe sia dannoso per gli interessi degli Stati Uniti può, con un atto esecutivo e per il periodo che riterrà necessario, sospendere l’ingresso di tutti gli stranieri di qualsiasi tipo sia che siano immigrati o non immigrati, o imporre sull’ingresso di stranieri qualsiasi altra restrizione che ritenga appropriata». Come si vede, tutto quello fatto da Trump è perfettamente legale e non viola in alcun modo la Costituzione americana.
ORDINE ESECUTIVO
Nonostante questo il giudice federale di New York, Ann Donnelly, ha accolto il ricorso dell’Aclu (American Civil Liberties Union) l’associazione per i diritti civili americana, riguardo all’espulsione di immigrati provenienti dai paesi che riguardano l’ordine esecutivo di Trump. Il giudice Donnelly è stato nominato da Obama, e fino ad ora né le associazioni dei diritti civili americane né la magistratura avevano mai sollevato obiezioni sul fatto che le pratiche per ottenere lo status di rifugiato andassero avanti per anni. Ad ogni modo l’ordine esecutivo di Trump resta in vigore, e parlare di proteste spontanee è piuttosto grottesco dal momento che l’Aclu risulta essere stata finanziata da Soros con 50 milioni di dollari nel 2014.
A questo punto sembra legittimo chiedersi, come mai dietro queste associazioni umanitarie si annidano sempre i rappresentanti della peggiore finanza speculativa?
di Paolo Becchi e Cesare Sacchetti – 01/02/2017

Yemen: otto milioni di bambini senza cure mediche

immagino che quelle donne e uomini tanto arrabbiati in piazza per l’arrivo bambini yemendell’ISOLAZIONISTA (ossia chi non vuole BOMBARDARE paesi altrui) Trump, che si indignano per il bimbo siriano morto sulle coste di un altro paese mentre fuggiva dalla guerra, ritengono assolutamente GIUSTO che l’alleato saudita del pacifista OBAMA STERMINI IL POPOLO YEMENITA. Nessun corridoio UMANITARIO PER IL POPOLO YEMENITA??????

A quasi due anni dallo scoppio della guerra, l’emergenza sanitaria in Yemen si aggrava. A pagare sono soprattutto i bambini, che non ricevono le cure mediche di base necessarie. Il sistema sanitario yemenita, ormai allo stremo, è ad oggi incapace di far fronte a malattie infantili prevenibili e curabili.
È questa la denuncia dell’ultimo rapporto di Save The Children sul Paese più a sud del Golfo Persico, già prima dell’aggressione saudita tra i più poveri al mondo. Questo conflitto, dimenticato dall’Occidente, ha portato all’implosione di un sistema sanitario da tempo precario. La situazione tragicamente statica degli scontri e la instabilità da questi generata, si ripercuotono sulle fasce della popolazione più deboli, con un tasso di 100mila morti in più all’anno. Morti prevedibili, dovute a malattie come infezioni delle vie respiratorie, diarrea o malnutrizione, facili da debellare con una risposta medica adeguata.
L’organizzazione riporta dati allarmanti: otto milioni di bambini non hanno accesso alle cure mediche e l’incremento della mortalità infantile, già drammatico prima dell’inizio della guerra, ha raggiunto i mille decessi a settimana. Tra le cause, la povertà dilagante che impedisce ai pazienti di raggiungere gli ospedali e alle stesse strutture di riparare o sostituire macchinari fondamentali come le incubatrici. Molti ospedali sono stati chiusi o distrutti dalle bombe saudite e altri, allo stato attuale, sono parzialmente funzionanti.
La crisi economica e l’aumento delle tasse che sono ormai in pochi a pagare, sono elementi non trascurabili. Alla base della crisi sanitaria c’è infatti un aumento dei costi. Da quando è iniziato il conflitto il prezzo della maggior parte dei farmaci è aumentato del 300%, secondo Hilel Mohammed al-Bahri, vice-direttore dell’ospedale Al-Sabeen Hospital di Sana’a.
Per far fronte a questa crisi, la richiesta a tutte le parti coinvolte nel conflitto è di permettere l’accesso di aiuti umanitari che possano permettere il rifornimento degli ospedali, per arginare i danni di questa devastante guerra che sta devastando lo Yemen.
gennaio 11 -2017
– di Vincenza Lugnano per Il Faro Sul Mondo

Yemen, bambini malati di cancro muoiono in agonia

un articolo di dicembre, ma non credo che sia stato trattato il genocidio degli yemeniti ad opera dell’Arabia Saudita, tanto cara alleata del Premio Nobel per la pace Obama, Chissà chi minacciava la stampa se ne avesse parlato, sicuramente Putin o Trump no?

Ce ne parlerà senz’altro Meryl Streep o Robert de Niro, del perché sono evidentemente diversamente musulmani, perché loro “non vanno salvati”? Grazie OBAMA, per questo  (ed altri) genocidio, le proteste contro Trump DIMOSTRANO QUANTO I MORALMENTE SUPERIORI HANNO GRADITO I TUOI MASSACRI


Yemen, bambini malati di cancro muoiono in agonia

bambini malati yemen
Mentre i nostri bambini sono in attesa dei regali di Natale, in altri Paesi, come in Yemen, i bambini aspettano le feste tra bombe, fame, malattie da malnutrizione e agonie da cancro, sotto gli attacchi militari sauditi quasi su base giornaliera, che hanno ucciso migliaia di persone e distrutto infrastrutture civili del Paese, tra cui ospedali, scuole e fabbriche.
Anche prima dello scoppio del conflitto, nel marzo del 2015, lo Yemen doveva affrontare le sfide da povertà diffusa, insicurezza alimentare e mancanza di servizi sanitari. Ma ora, con più di 3,2 milioni di persone sfollate, cibo e carburante da importazioni tagliate, e i mezzi di sussistenza distrutti, più di quattro su cinque yemeniti hanno bisogno di un qualche tipo di assistenza umanitaria. In tutto lo Yemen, almeno 370mila i bambini sono affetti da malnutrizione acuta grave.
Sono sopratutto i più vulnerabili, i bambini, a pagare un tributo devastante
Migliaia sono i bambini morti o feriti sotto i bombardamenti. Sono 10mila i bambini morti nello scorso anno, tutti sotto i cinque anni di età, per malattie del tutto “evitabili e prevenibili”, come la diarrea e la polmonite, secondo le Nazioni Unite.
Il conflitto ha portato lo Yemen indietro di centinaia di anni. La maggior parte del Paese è senza lavoro e ci sono carenze di energia elettrica, gas, acqua e cibo. Per quasi 600 giorni i bambini sono andati a letto, ogni singola notte, terrorizzati dal rumore degli aerei.
Un semplice colpo di tosse, una febbre, il freddo può uccidere quando lo stomaco è vuoto e il corpo debilitato, le strade sono polverizzate dai bombardamenti e gli ospedali sono irraggiungibili sia finanziariamente che logisticamente.
Il colera si sta diffondendo e la minaccia della carestia si profilaStiamo vedendo scene che ricordano il Biafra o l’Etiopia negli anni ’70 e ’80, scrive un cittadino yemenita che vive a Sana’a, la città che ha affrontato – insieme a Saada, al confine con l’Arabia Saudita – la maggior parte degli attacchi aerei della vile aggressione saudita. Egli scrive anche di come si muore di cancro in Yemen.
I due figli di Mohamed Ahmed
Mohamed Ahmed, padre di due figli, entrambi i quali hanno una forma grave e dolorosa di cancro alla lingua. Cercava aiuto ed è stato solo in grado di raggiungere la capitale Sana’a perché gli amici nel suo villaggio hanno raccolto donazioni per finanziare il suo viaggio.
La prima figlia di sei anni, Gaza, aveva il cancro alla lingua e nonostante le visite in molti ospedali non ha trovato un trattamento efficace per lei. L’unica soluzione era un intervento chirurgico urgente, possibilmente con trapianto di lingua, ma a causa della guerra i medici non sono nelle condizioni attualmente di effettuare tale trattamento. Non è stato possibile trasportarla in un ospedale fuori dal Paese, perché l’aeroporto di Sana’a è stato chiuso a causa di un blocco dei sauditi. E Gaza ha aspettato a letto la morte sopportando atroci dolori.
Ma lo strazio dei genitori non è finito, continua con il loro figlio, Mohamed, di due anni colpito dallo stesso male, un cancro alla lingua che ha bisogno dello stesso trattamento. In questo modo, atroce, i bambini muoiono di cancro in Yemen.
dicembre 09 2016,   di Cristina Amoroso