L’allarme di Brzezinski sul risveglio sociale

ooh ma che guaio questo populismo e sti popoli con la fissa di voler decidere il proprio destino….Loro sono l’elités, sanno quello che è meglio per il popolo….perché mai sto popolo vorrebbe decidere….

Zbigniew-BrzezinskiLa presa di consapevolezza collettiva e i social network sono una minaccia per lo sviluppo dell’agenda globale… Durante un recente discorso in Polonia, l’ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale Zbigniew Brzezinski e massimo guru del “Nuovo Ordine Mondiale” e della necessità di “drogare i popoli con il tittainment” (succhiare latte dalle mammelle), una versione moderna della massima imperiale romana “ludi et circenses” per soffocare le istanze dei popoli -ha avvertito i colleghi elitisti che un movimento mondiale di “resistenza” al “controllo esterno” guidata da “attivismo populista” sta minacciando di far deragliare la transizione verso un nuovo ordine mondiale.
Definendo l’idea che il 21 ° secolo è il secolo americano “una disillusione condivisa”, Brzezinski ha dichiarato che il dominio americano non è più possibile a causa dell’accelerazione del cambiamento sociale guidato da “comunicazioni di massa istantanee come la radio, la televisione e Internet”, che hanno stimolato un crescente “risveglio universale della coscienza politica di massa.”
L’ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti ha aggiunto che questo “aumento in tutto il mondo dell’attivismo populista sta dimostrando ostile alla dominazione esterna del tipo che ha prevalso nell’età del colonialismo e dell’imperialismo.”
Brzezinski ha concluso che “la resistenza populista persistente e fortemente motivata di coscienza politica e dei popoli risvegliati e storicamente avversi al controllo esterno ha dimostrato di essere sempre più difficile da eliminare.”
Anche se Brzezinski ha commentato in tono neutro, il contesto in cui ha parlato, unitamente alle sue precedenti dichiarazioni, indicherebbe che questa non è una celebrazione della “resistenza populista”, ma una perplessità per l’impatto che questo sta avendo sul tipo di “controllo esterno” che Brzezinski ha sostenuto più volte.
Queste considerazioni sono state effettuate a un evento per il Forum europeo per le nuove idee (EFNI), un’organizzazione che sosterrebbe la trasformazione dell’Unione europea in un anti-democratico federale superstato, il tipo stesso di “controllo esterno” a cui messa in pericolo è stata sottolineata da Brzezinski durante il suo speech.
In questo ambito, bisogna comprendere che l’argomentazione di Brzezinski sulla “resistenza populista” di notevole ostacolo per l’imposizione di un nuovo ordine mondiale è da interpretare più come un avvertimento che come riconoscimento/celebrazione.
Tieni anche in considerazione ciò che Brzezinski ha scritto nel suo libro Between Two Ages: il ruolo dell’America nell’era tecno-digitale, in cui ha sostenuto il controllo delle popolazioni da parte di una classe politica tramite la manipolazione digitale.
“L’era digitale comporta la comparsa graduale di una società più controllata. Una tale società sarebbe dominata da una élite, libera da valori tradizionali. Presto sarà possibile esercitare una sorveglianza quasi continua su tutti i cittadini e mantenere file completi ed aggiornati che contengono anche le informazioni più personali di ogni cittadino. Questi file potranno essere accessibili in realtime da parte delle autorità “, ha scritto Brzezinski.
 
“Nella società digitale la tendenza sembra essere verso l’aggregazione dei supporti individuali di milioni di cittadini non coordinati, facilmente alla portata di personalità magnetiche ed attraenti che sfruttano le più recenti tecniche di comunicazione per manipolare le emozioni e controllare le decisioni”, ha scritto nello stesso libro. La preoccupazione improvvisa di Brzezinski per l’impatto di una popolazione politicamente risvegliata globale non è figlia dell’idea che Brzezinski si identifichi con la stessa causa. Brzezinski è il fondatore della potente Commissione Trilaterale, un luminare del Council on Foreign Relations ed un partecipante regolare del Bilderberg. Una volta è stato descritto dal presidente Barack Obama come “uno dei nostri pensatori più importanti”. Questa non è affatto la prima volta che Brzezinski ha lamentato la crescita di una opposizione populista alla dominazione da parte di una piccola elite.
Era stato nel corso di un meeting del CFR del 2010 che Brzezinski aveva avvertito i colleghi globalisti colleghi che un “risveglio politico globale”, in combinazione con lotte interne tra le élite, minacciava di far deragliare la transizione verso un governo mondiale.
Nota caprina: e noi, allora, ne avevamo parlato. Perchè quando Brzezinki parla, è sempre opportuno ascoltare con attenzione.
di Felica Capretta – 19/02/2017
Fonte: controinformazione

Il dispositivo Clinton per screditare Donald Trump

80_clinton-sorosma lo fanno per la democrazia, pace e bene dei cittadini di tutto il pianeta ovviamente. La terza guerra mondiale auspicata da Obama, Killary, Soros etc era senz’altro un bene vero?

Clinton & Soros dietro la campagna contro Trump
Questo articolo è un avvertimento: nel novembre 2016, un vasto sistema di agitazione e di propaganda è stato messo in campo al fine di distruggere la reputazione e l’autorità del presidente Donald Trump, non appena sarebbe arrivato alla Casa Bianca. È la prima volta che una tale campagna è scientificamente organizzata contro un Presidente degli Stati Uniti, e con tale dovizia di mezzi. Sì, stiamo davvero entrando in una era di post-verità, ma i ruoli non sono quelli che vi aspettereste.
La campagna condotta contro il nuovo presidente degli Stati Uniti dagli stessi sponsor di Barack Obama, Hillary Clinton e della distruzione del Medio Oriente allargato è in corso.
Dopo la marcia delle donne del 22 gennaio, è previsto che si tenga una marcia per la scienza non solo negli Stati Uniti, ma anche in tutto il mondo occidentale, il 22 aprile. L’obiettivo è dimostrare che Donald Trump non è solo un misogino, ma anche un oscurantista.
Il fatto che egli sia l’ex-organizzatore del concorso di Miss Universo, e che sia sposato con una modella al suo terzo matrimonio è sufficiente a quanto pare a dimostrare che disprezza le donne. Il fatto che il Presidente contesti il ruolo svolto da Barack Obama nella creazione della Borsa Climatica di Chicago (ben prima della sua presidenza) e che respinga l’idea che le perturbazioni climatiche siano causate dal rilascio di carbonio nell’atmosfera attestano il fatto che non capisce nulla di scienza.
Per convincere l’opinione pubblica statunitense della follia del Presidente – un uomo che dice di desiderare la pace con i suoi nemici, e di voler collaborare con loro per la prosperità economica universale – uno dei più grandi specialisti di agit-prop (agitazione e propaganda), David Brock, ha messo in campo un dispositivo impressionante già prima dell’investitura di Trump.
Al tempo in cui lavorava per i repubblicani, Brock lanciò contro il presidente Bill Clinton una campagna, che sarebbe poi diventata il Troopergate, la vicenda Whitewater, e il caso Lewinsky. Dopo aver voltato gabbana, è oggi al servizio di Hillary Clinton, per la quale ha già organizzato non solo la demolizione della candidatura di Mitt Romney, ma anche la sua replica nella vicenda dell’assassinio dell’ambasciatore USA a Bengasi. Durante il primo turno delle primarie, è stato Brock a dirigere gli attacchi contro Bernie Sanders. The National Review ha qualificato Brock come «un assassino di destra che è diventato un assassino di sinistra».
E ’importante ricordare che le due procedure di destituzione di un Presidente in carica, avviate dopo la seconda guerra mondiale, sono state messe in moto a vantaggio dello Stato profondo, e non certo per il bene della democrazia. Così il Watergate è stato interamente gestito da una certa «gola profonda» che, 33 anni più tardi, si è rivelato essere Mark Felt, l’assistente di J. Edgar Hoover, direttore dell’FBI. Per quanto riguarda la vicenda Lewinsky, era semplicemente un modo di forzare Bill Clinton ad accettare la guerra contro la Jugoslavia.
La campagna in corso è organizzata sottobanco da quattro associazioni:
Media Matters (“i media contano”) ha il compito di dare la caccia agli errori di Donald Trump. Leggete ogni giorno il suo bollettino nei vostri giornali: il Presidente non può essere attendibile, si è sbagliato su questo o su quel punto.
American Bridge 21st Century (“Il ponte americano del XXI secolo”) ha raccolto più di 2.000 ore di video che mostrano Donald Trump nel corso degli anni, e più di 18.000 ore di altri video dei membri del suo gabinetto. Ha a sua disposizione sofisticate attrezzature tecnologiche progettate per il Dipartimento della Difesa – e presumibilmente fuori mercato – che le consentono di cercare le contraddizioni tra le loro dichiarazioni più datate e le loro posizioni attuali. Dovrebbe arrivare a estendere il suo lavoro a 1.200 collaboratori del nuovo presidente.
Citizens for Responsibility and Ethics in Washington — CREW — (“I cittadini per la responsabilità e l’etica a Washington”) è uno studio di giuristi di alto livello con il compito di monitorare tutto ciò che potrebbe fare scandalo nell’amministrazione Trump. La maggior parte degli avvocati di questa associazione lavorano gratis, per la causa. Sono loro ad aver preparato il caso di Bob Ferguson, il procuratore generale dello stato di Washington, contro il decreto sull’immigrazione (Executive Order 13769).
Shareblue (“la condivisione blu”) è un esercito elettronico già collegato con 162 milioni di internauti negli Stati Uniti. Ha il compito di diffondere dei temi preordinati, ad esempio:
Trump è autoritario e ladro.
 
• Trump è sotto l’influenza di Vladimir Putin.
 
• Trump è una personalità debole e irascibile, è un maniaco-depressivo.
 
• Trump non è stato eletto dalla maggioranza dei cittadini degli Stati Uniti, ed è quindi illegittimo.
 
• Il suo vicepresidente, Mike Pence, è un fascista.
 
• Trump è un miliardario che sarà costantemente di fronte a conflitti di interesse tra i suoi affari personali e quelli dello Stato.
 
• Trump è un burattino dei fratelli Koch, i famosi elemosinieri dell’estrema destra.
 
• Trump è un suprematista bianco e una minaccia per le minoranze.
• L’opposizione anti-Trump continua a crescere fuori Washington.
 
• Per salvare la democrazia, cerchiamo di sostenere i parlamentari democratici che stanno attaccando Trump, e cerchiamo di demolire quelli che stanno collaborando con lui.
 
• Stessa cosa con i giornalisti.
Per rovesciare Trump ci vorrà del tempo, quindi cerchiamo di non indebolire la nostra lotta.
Questa associazione produrrà delle newsletter e video di 30 secondi. Si appoggerà ad altri due gruppi: una società che realizza video documentari, The American Independent, e una unità statistica, Benchmark Politics (ossia “politica comparativa”).
L’insieme di questo dispositivo – che è stato messo in campo durante il periodo transitorio, cioè prima dell’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca – dà già lavoro a oltre 300 specialisti a cui conviene aggiungere numerosi volontari. Il suo budget annuale, inizialmente previsto nella misura di 35 milioni di dollari, è stato aumentato fino a un livello di circa 100 milioni di dollari.
Distruggere l’immagine – e quindi l’autorità – del presidente degli Stati Uniti, prima che egli abbia avuto il tempo di fare alcunché, può avere gravi conseguenze. Eliminando Saddam Hussein e Muammar Gheddafi, la CIA ha fatto precipitare questi due paesi in un lungo periodo di caos, e la «terra della libertà» potrebbe gravemente soffrire da una tale operazione. Questo tipo di tecnica di manipolazione di massa non era mai stata utilizzata contro il capofila del mondo occidentale.
Per il momento, questo piano sta funzionando: nessun leader politico al mondo ha avuto il coraggio di felicitarsi dell’elezione di Donald Trump, con l’eccezione di Vladimir Putin e di Mahmud Ahmadinejad.
Mar 04, 2017
Thierry Meyssan

Se i Nobel Economia lo criticano,significa che Donald ha ragione

stglitz vs trump
i criteri con cui assegnano il nobel sono chiari da un pezzo….

Sul quotidiano francese LeMonde di venerdi 3 febbraio, con questo titolone : “Joseph Stiglitz : Trump détruit l’ordre géopolitique mondial “ , con sottotitolo “ les perdants de la mondialisation seront les premierès victimes de Trump “,  il premio Nobel  rilascia una intervista che a dir poco mi ha sorpreso .
L’intervistatore gli chiede : “Voi denunciate da anni gli eccessi della mondializzazione fonte di ineguaglianza .Il protezionismo di Trump può esser una soluzione?” . Stiglitz risponde : “ No.L’ironia è che le persone che  ne hanno più sofferto nei 25 anni passati saranno le prime vittime.. “ .
Mio commento : Se Stiglitz spiegasse anzitutto con chiarezza chi sono le vittime e la sua visione sull’origine di questi  eccessi ,dimostrerebbe di aver giustamente meritato il Nobel  e di saper proporre soluzioni. Invece coglie l’occasione per   attaccare  il rischio di populismo politico in Usa ed Europa.
La  risposta giusta è  : Il vero grande disordine si crea negli anni settanta grazie alle dottrine del nuovo ordine mondiale che come prima  azione frenano le nascite (solo in occidente) , e questo fenomeno avvia il processo di disordine economico-geopolitico mondiale. Di per sé la globalizzazione  ha creato un riequilibrio  economico inimmaginabile grazie alla  delocalizzazione produttiva realizzata dai paesi occidentali verso quelli orientali ,per beneficiare dei loro bassi costi di produzione .Pur nell’errore originale ,  ciò  ha permesso  a due terzi del pianeta ( persino in Africa) di avviare piani di crescita economica. Lo squilibrio  si è invece paradossalmente creato nei cosiddetti paesi occidentali ( Usa, Europa in primis) perché da paesi produttori  che erano ,si sono trasformati in paesi consumatori , mentre i paesi asiatici e affini si son trasformati repentinamente in paesi produttori ,ma non ancora consumatori.
L’occidente ha  deindustrializzato creando presupposti per il suo crollo economico. Il cosiddetto  protezionismo nei confronti di alcuni settori industriali diventa ora indispensabile per far riprendere settori trainanti dell’economia ( esposti alla competizione  fondata su forme quasi di schiavismo lavorativo)  e riavviare un nuovo ciclo in paesi come gli Usa, sull’orlo del fallimento economico e sociale. In Occidente ,le vittime son stati i giovani senza lavoro, le persone in età matura  operanti in settori impiegatizi sostituibili dalle tecnologie, gli anziani.
La seconda domanda : “ se il protezionismo non è una risposta come si può proteggere le vittime della mondializzazione ? “.La risposta è da vero premio Nobel .” La priorità è aiutarli a formarsi… “ cioè acquisire nuove competenze e  creare nuovi lavori ….( ci vuole una generazione  per riuscirci?) .
Dice anche che non sarà la rilocalizzazione in patria a creare nuovi impieghi , ma saranno investimenti, per esempio,  nella   sanità, cura degli anziani  , proponendo di trovare le risorse   con tasse e riduzione spese militari  . Ma Stiglitz , premio Nobel per l’economia,  di che sta parlando ? Per creare nuove competenze e nuovi lavori , come si fa se non reimportando in patria quei settori trainanti l’economia , quei settori che creano investimenti e sviluppano tecnologie ?  proprio come l’automobile che sviluppa un indotto che può arrivare a quintuplicare gli effetti  di creazione posti di lavoro  e di investimento , purchè realizzati all’interno del paese.
 
Stiglitz annuncia,  come un oracolo, che prodotte in case le auto costeranno più care per gli americani .  Ma conosce Stiglitz  il potenziale tecnologico americano ( ottenuto proprio grazie agli investimenti nella difesa,che crearono Silicon Valley) che quando applicato a quei settori da rilocalizzare in patria , permetterà  di crescere la competitività domestica  “quasi “ vicino a quella dei paesi a basso costo. Ciò perché questi paesi  , costretti a ridurre le esportazioni  in occidente , per evitare collassi delle proprie economie , dovranno creare domanda interna , aumentando il potere di acquisto, perciò i costi .  Tra poco , se Trump non fa errori ,per molti settori economici ,il costo di produzione domestico in USA   sarà quasi equivalente a quello importato ,ma con un effetto trainante elevatissimo . Grazie alla potenza tecnologica , gli Usa son riusciti  negli ultimi  pochi anni  a diventare persino indipendenti nelle produzioni energetiche .
 
L’intervistatore chiede al premio Nobel se i progetti di fare opere infrastrutturali  beneficeranno la crescita . La risposta è ambigua , si  , forse si potranno fare , ma  conclude ironizzando  che i repubblicani non credono al cambio climatico ..Lasciando immaginare  che Trump lo peggiorerà con le sue scelte.
Successiva domanda è infatti sul  clima : che farà Trump ? Risposta del Nobel in economia : “ Trump sta distruggendo l’ordine geopolitico mondiale avviato dopo la seconda guerra mondiale.” Spiegando che gli Usa ripiegheranno  su sé stessi  fuori dalla comunità internazionale .Ma con una affermazione criptica :” Dans quatre ans, il y aura peut etre un autre président américain qui déciderà  de rejoindre à nouveau le club.”
Quale club , il club di Roma  e affini ?  Intende il  club che ha creato i dissesti della globalizzazione forzandone scelte contrarie a tutte le leggi naturali cominciando dal frenare le nascite nel mondo occidentale ? Ma quale ordine ? Chi ha distrutto l’ordine geopolitico mondiale son stati proprio i predecessori di Trump.
 
Solo nell’ultima domanda Stiglitz da una risposta che condivido (ironicamente) .Gli si chiede se l’Europa deve difendere il libero scambio contro un presidente protezionista .La risposta è “ Bisogna mantenere un sistema mondiale aperto. Se lo si chiude si perde. Ma la mondializzazione deve proteggere i perdenti …e ce n’è anche troppi” .
Bene , ma ripeto la domanda , chi sono i perdenti  e perché lo sono , Stiglitz lo  ha capito ? Io credo che siano quelli che han votato la Brexit, hanno votato Trump e voteranno partiti populisti in Europa . Ma gli Stiglitz hanno  capito perché ? Dalla intervista non si intende . I più deboli  che lui vorrebbe far difendere non vogliono  farsi più difendere da chi vorrebbe lui , avendo  perso fiducia   proprio nel “club” evocato da Stiglitz . Han perso fiducia negli  Obama , Clinton  e compagnia bella . Cioè in coloro che  pretenderebbero oggi di risolvere un problema mondiale agendo sugli effetti anziché sulle cause del problema. E le cause del problema  rifiutano persino di considerarle ,perché , con disprezzo,  le  considerano “morali” . Ed è vero , sono state  la mancanza di  valori morali che han provocato miseria morale che a sua volta ha generato miseria economica e  sociale. L’intervista conferma che l’economia non è una scienza e pertanto il Nobel non dovrebbe neppure  esser riconosciuto, ma conferma anche che sarebbe necessaria una forte Autorità Morale   che  evangelizzasse a dovere  nel mondo globale .
di Ettore Gotti Tedeschi

EN BELGIQUE LE POISSON BELGICAIN POURRIT PAR LA TETE : ENCORE UN HAUT MAGISTRAT DANS LA TOURMENTE !

 

LM pour LA REPUBLIQUE D’EUROPE/ 2017 03 15/

2017-03-15_121519

Après l’avocat général près la Cour d’appel de Bruxelles Jean-François Godbille (proche de la Cour belge et dirigeant d’un réseau de scouts d’extrême-droite, il était au milieu des années 90 proche de l’ex juge néofasciste Bastien, devenue député du FN), soupçonnés  début mars 2017de complicité de corruption dans l’Affaire internationale de corruption dite KAZAKHGATE, voici encore un de ces magistrats belgicains dans la tourmente …

Voici des « soupçons d’escroquerie autour de la prétendue agression de Karin Gérard par trois hommes à Bruxelles » ! Le parquet général compterait poursuivre Karin Gerard, présidente de Cour d’assises, pour faux et usage de faux et tentative d’escroquerie, expliquent nos confrères de Sudpresse. Le 5 janvier 2016, la présidente de chambre à la Cour d’appel de Bruxelles sortait le nez cassé et la lèvre éclatée des urgences de l’hôpital Saint-Pierre. Elle expliquait avoir été agressée et dépouillée de ses bijoux par trois individus, de type slave, à la sortie du Palais de Justice.

LE PARQUET DE BRUXELLES SERAIT AUJOURD’HUI ARRIVE A LA CONCLUSION QU’IL Y A TENTATIVE D’ESCROQUERIE

L’affaire avait déclenché une polémique autour de la « sécurité des magistrats » (sic).

Le parquet de Bruxelles avait en réaction mené une enquête et en serait aujourd’hui arrivé à la conclusion qu’il y a tentative d’escroquerie.

Le parquet général de Bruxelles avait ouvert une enquête à la suite des déclarations qu’a faites la présidente à la cour d’appel, Karin Gérard, une des plus hautes magistrates belges, au sujet de l’agression et du vol dont elle affirme avoir été victime le 5 janvier dernier, confirmant ainsi une information parue sur le site de la VRT et de la “Dernière Heure”. L’enquête sur cette agression supposée avait soulevé quelques doutes sur la véracité des déclarations de Karin Gérard et le parquet général devra à présent déterminer si une infraction a été ou non commise. Karin Gérard avait déclaré avoir été victime d’une agression le mardi 5 janvier dernier à la sortie du Palais de Justice. Elle avait décrit les auteurs présumés comme « trois individus de type slave ». Elle avait fait état de blessures – un nez fracturé et une commotion cérébrale – et du vol de ses bijoux. Le parquet de Bruxelles avait ouvert une enquête à la suite de ces déclarations mais avait indiqué « qu’aucun élément de l’enquête n’avait pu, à ce stade, confirmer les déclarations de la présidente à la cour d’appel ». Le parquet de Bruxelles a ensuite transmis une copie du dossier au parquet général, qui avait décidé d’ouvrir une enquête sur Karin Gérard elle-même.

Cette dernière a notamment déclaré le vol auprès de son assurance pour un montant de quelques milliers d’euros. « Les enquêteurs pensent que Karin Gérard a fait une fausse déclaration pour se couvrir au niveau de son assurance… sachant que la valeur des bijoux déclarés volés oscille entre 50.000 et 60.000 € ! À ce stade de l’enquête, leur hypothèse privilégiée pour expliquer les blessures de la magistrate ne serait autre qu’une mauvaise chute sous l’influence de l’alcool suivie ou non d’un vol », écrivait la DH.NET dès le 27 janvier. Des fuites ayant été visiblement organisées au Parquet général, « un conflit opposant, à la cour appel, la magistrature assise à la magistrature debout » (dit 7SUR7) …

Karin Gérard a conservé sa fonction et avait fait savoir via ses avocats « qu’elle maintenait ses déclarations et entreprendrait des poursuites judiciaires à l’encontre de quiconque avait porté atteinte à sa réputation » (sic). Selon la VRT, « Karin Gérard aurait à deux reprises au moins déposé plainte pour des faits de violences. Il s’agit à chaque fois d’enquêtes qui ont été classées sans suite ».

Comme le veut la procédure, le dossier a été transmis  au ministre de la Justice, Koen Geens et sera transmis dans les prochains jours à la  Cour de cassation. Celle-ci aura trois options: le non-lieu, une demande d’éléments complémentaires ou le renvoi à un juge de fond. Dans ce dernier cas, Karin Gérard risquerait la radiation à vie et la perte de sa pension.

LA « BARONNE » GERARD VITRINE MEDIATIQUE DE LA MAGISTRATURE BELGICAINE …

Magistrate depuis 1983, Karin Gerard est sans doute l’une des figures les plus médiatiques de la magistrature belge. « Elle est bien plus connue que les procureurs du Roi et autres procureurs généraux », dit la DH.NET. L’affaire Dutroux avait surgi et fait d’elle une vedette : « Tout le monde a encore en mémoire les interminables débats du dimanche où on refaisait le monde autour des dysfonctionnements de la justice et de la police. Karin Gérard est vraiment devenue une figure emblématique en expliquant, décrivant, vulgarisant le travail de ses collègues. Cette position lui vaut entre autres de devenir la première présidente du Conseil supérieur de la justice dont la mission était d’œuvrer notamment à la dépolitisation de la magistrature. Elle est considérée comme une véritable experte dans son domaine. Elle a été anoblie en 2004 et porte le titre de baronne ».

* Sur l’Affaire Gérard, lire sur LLB :

Soupçons d’escroquerie autour de la prétendue agression de Karin Gerard par trois hommes à Bruxelles

sur http://www.lalibre.be/actu/belgique/soupcons-d-escroquerie-autour-de-la-pretendue-agression-de-karin-gerard-par-trois-hommes-a-bruxelles-58c8e9aecd705cd98df3f8a0

et :

sur http://www.lalibre.be/actu/belgique/le-parquet-general-ouvre-une-enquete-a-charge-de-madame-karin-gerard-56b0e5f03570fdebf5ac04e4

* Sur l’Affaire Godbille lire sur LUCMICHEL. NET :

En complement de mon edito de ce matin sur les nouveaux rebondissements du Kazakhgate en Belgique (il y a aussi une instruction a Paris) …

sur http://www.lucmichel.net/2017/01/27/lucmichel-net-en-complement-de-mon-edito-de-ce-matin-sur-les-nouveaux-rebondissements-du-kazakhgate-en-belgique-il-y-a-aussi-une-instruction-a-paris/

LA REPUBLIQUE D’EUROPE/

PCN Wallonie-Bruxelles

* Venez liker la page officielle de

LA REPUBLIQUE D’EUROPE, la page officielle d’information

du PCN Wallonie-Bruxelles …

https://www.facebook.com/la.Republique.d.Europe/

LEGISLATIVES AUX PAYS-BAS/ LE GRAND THEATRE DU PARLEMENTARISME BOURGEOIS OCCIDENTAL :

APRES LES LE PEN ‘CHATELAINS DE MONTRETOUT’, WILDERS AUTRE CANDIDAT ‘ANTISYSTEME’ (SIC) ISSU DU SERAIL LIBERAL …

 Luc MICHEL pour PCN-INFO/

Avec LLB – PCN-SPO/ 2017 03 15/

2017-03-15_035903

Les Pays-Bas votent ce 15 mars …

Comme le clan Le Pen, « châtelains de Montretout » qui jouent aux tribuns « du peuple » (sic), Wilders, autre marionnette peroxydée, est aussi une créature du Système, directement issu du sérail libéral, avec un programme entre Trump, Thatcher et Reagan …

« Figure très controversée, qui souhaite interdire le Coran et imposer un moratoire contre l’immigration non-occidentale, Geert Wilders le dit lui-même : “La moitié du pays m’adore, l’autre me déteste, c’est tout ou rien.” Surtout connu pour ses vues islamophobes (…) Néolibéral en faveur d’une privatisation du secteur de la santé et des transports publics, il prévoit des réductions d’impôts et une dérégulation importante ».

QUEL CANDIDAT « ANTISYSTEME » AUX PAYS-BAS ?

WILDERS ISSU DU PARTI LIBERAL ET MEMBRE DE L’EX MAJORITE !

Ce lundi un débat, que les médias de l’OTAN ont dit « virulent » (sic), a opposé Wilders et Rutte le chef du PVV, Parti libéral. Mais des photos hors champs de Wilders et de son supposé adversaire, le premier ministre Rutte, les montrent riant ensemble et très complices (*) … Car les deux hommes se connaissent bien : « Les deux hommes se connaissent bien car ils ont déjà collaboré ensemble: ancien membre du Parti populaire libéral et démocrate (VVD), Geert Wilders et son Parti Libéral (VVD) avaient claqué la porte du premier gouvernement Rutte en 2012 ». Le rôle de Wilders est de fixer les mécontents au sein du Système parlementariste petit-bourgeois et du Régime néerlandais : « Si la victoire du député controversé est peu probable aux yeux des analystes, son idéologie s’adresse à une partie importante de la population néerlandaise ».

UNE SEULE ALTERNATIVE : L’ABSTENTION !

Aux Pays-Bas, comme pour la future Présidentielle française, comme partout ailleurs dans l’Occident du parlementarisme petit-bourgeois, la seule position politique, révolutionnaire, anti-système et alternative, c’est l’ABSTENTION et pas le vote pour les pions ou les proxénètes politiques du Système, chargé d’endiguer le mécontentement (style Le Pen ou Wilders, Mélenchon ou PTB) …

LUC MICHEL

(*) Cfr. « Elections néerlandaises: un face-à-face télévisé virulent entre Mark Rutte et Geert Wilders », LLB, sur http://www.lalibre.be/actu/international/elections-neerlandaises-un-face-a-face-televise-virulent-entre-mark-rutte-et-geert-wilders-58c70446cd705cd98dec2701

La photo explique tout …

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LUC MICHEL DEVOILE LES DESSOUS DU NOUVEAU COMPLOT CONTRE LA GUINEE EQUATORIALE !

PANAFRICOM-TV/ L’ENQUETE EXCLUSIVE COMPLETE : LUC MICHEL DEVOILE LES DESSOUS DU NOUVEAU COMPLOT CONTRE LA GUINEE EQUATORIALE !

 

sur https://vimeo.com/208176765

UJIUI

Luc MICHEL

dans ‘LIGNE ROUGE’

sur AFRIQUE MEDIA

Des infos exclusives :

Les faits, les hommes, les intrigues contre Malabo.

Enquête menée à Paris, Madrid, au Parlement européen, en Guinée Equatoriale.

 En direct de Bruxelles, le géopoliticien Luc MICHEL (et patron de EODE Think Tank) dévoile tous les dessous du nouveau complot pour déstabiliser la Guinée Equatoriale …

LE COMPLOT CONTRE LA GUINEE EQUATORIALE CONTINUE !

LA NOUVELLE ENQUETE DE LUC MICHEL SUR LA NOUVELLE TENTATIVE DE DESTABILISATION DE MALABO …

 Luc MICHEL, après ses grandes enquêtes précédentes de 2015 et 2016 sur « les réseaux de déstabilisation de la Guinée Equatoriale », réouvre ses dossiers et dévoile le dessous des cartes !

 Avec, notamment, des infos sur :

– Les restes de la CORED (la fraction putschiste de Severo Moto) continuent leur action, soutenue, ou plutôt maraboutisée, par Madrid et Paris ;

– Une cellule d’espionnage a été détectée en Guinée Equatoriale, qui organise le vol de documents officiels pour alimenter les procès dits des « biens mal acquis » ;

– Elle est doublée d’une cellule de déstabilisation et de désinformation à l’intérieur même de la Guinée Equatoriale ;

– A Paris, « La Lettre du Continent » soutient cette opération de déstabilisation et diffuse les fausses informations du Groupe Moto ;

– Le CDPS, parti d’opposition équato-guinén participe à l’opération et est soutenu par un groupe de partis de gauche espagnols et français, dont Podemos et le Front de Gauche de Mélenchon (qui usurpent le combat anti-colonialiste), au service des appareils d’état néocolonialistes espagnol et français ;

– Dans l’optique de la reprise du procès dit « des biens mal acquis » à Paris contre le Vice-président de Guinée Equatoriale, une vaste campagne de diffamation est en préparation …

* Sur le dossier dit « des biens mal acquis »,

voir sur EODE-TV/

LUC MICHEL: AFFAIRE DITE ‘DES BIENS MAL ACQUIS’.

COMPLOT CONTRE LA GUINEE EQUATORIALE AU ‘PROCÈS’ DE PARIS

Sur https://vimeo.com/198856065

DES INFOS EXCLUSIVES :

COMMENT LA DESTABILISATION DE LA GUINEE EQUATORIALE S’INSCRIT DANS LE SOI-DISANT « PRINTEMPS AFRICAIN » NEOCOLONIALISTE !?

Le géopoliticien et patron de EODE THINK TANK répondra aux questions :

PARTIE I (diffusée dans LIGNE ROUGE sur AM ce 13 mars)

* Revoilà donc le Complot contre la Guinée Equatoriale reparti de plus belle ! Vous nous livrez à nouveau les résultats d’une grande enquête, menée avec votre équipe à Paris, Madrid, au Parlement européen, en Guinée Equatoriale. Revoilà donc les restes de la CORED et le putschiste Severo Moto en action contre le Président Obiang Gnuema Mbasogo. Avec Madrid, l’ex colon, et Paris en embuscade ?

* Qui est vraiment Severo Moto ? On le connait surtout dans les médias pour son implication dans le célèbre putsch avorté de 2008 contre la Guinée Equatoriale. Un vrai scénario de thriller avec mercenaires sud-africains, personnalités de la City de Londres (dont le fils de Margaret Thatcher), services secrets britanniques et espagnols. Qui est ce personnage qui a tissé des liens avec plusieurs gouvernements de l’Union Européenne ?

* Au centre du complot contre Malabo, on retrouve les dossiers dites « des biens mal acquis ». Vous nous livrez des informations étonnantes : l’existence de cellules d’espionnage (vous dites des « barbouzes »), qui ont infiltré des organismes d’état, et de cellules de désinformation en Guinée Equatoriale même et en Europe, créée pour alimenter ces dossiers ?

* Paris, l’âme damnée des dossiers dits « des biens mal acquis », est aussi présente dans ce complot contre le Président Obiang Gnuema Mbasogo. Après les ONG voici les médias aux ordres du Quai d’Orsay ?

PARTIE II (diffusée dans FACE A L’ACTUALITE  sur AM ce 14 mars)

* Autre acteur du complot, un parti groupusculaire équato-guinéen, le CDPS, vieux complice de la CORED et de Severo Moto, qui a trouvé des parrains (au sens mafieux du terme) au sein de la « Gauche radicale » de l’UE, en Espagne et en France notamment. Comment expliquez-vous ces liaisons étranges qui conduisent de la CDPS aux appareils d’état français et espagnols via une « gauche radicale » que l’on croyait « anti-système » ?

* Mais derrière la CDPS on retrouve des réseaux bien plus inquiétants que la « gauche radicale » : ceux des « vitrines légales de la CIA » (NED, NDI et cie) et des réseaux de Georges Söros, les organisateurs de ce « printemps africain », mauvais clone du « printemps arabe », qui déstabilise de plus en plus d’états africains ?

* La conclusion de votre enquête, c’est qu’un filet de désinformation et de déstabilisation est en train d’être tendu sur la Guinée Equatoriale. Le but est de préparer la reprise des procédures contre le Vice-président Teodorin Nguema Obiang  Mangue ?

EXTRAIT DE ‘LIGNE ROUGE’

DU 13 MARS 2017

LA GRANDE EMISSION MATINALE

SUR AFRIQUE MEDIA

Images :

Filmé à Bruxelles par EODE-TV

Pour le Multiplex AFRIQUE MEDIA

avec Douala-Yaoundé-Ndjaména-Malabo

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WHO’S WHO NEL CORNO D’AFRICA E IN MEDIORIENTE – IL MANIFESTO E IL FATTO QUOTIDIANO FUORI DAL SEMINATO

http://fulviogrimaldi.blogspot.it/2017/03/whos-who-nel-corno-dafrica-e-in.html

MONDOCANE

MARTEDÌ 14 MARZO 2017

Pensate, a fare chiarezza sul chi è chi nel Corno d’Africa e in Medioriente, due delle regioni più turbolente, strategicamente rilevanti e contese e, dal punto di vista dell’informazione, più divisive del mondo, sono stati, il 14 marzo corrente giorno, mese e anno, due organi di stampa da cui tutto ci saremmo aspettati fuorchè un decisivo apporto alla verità su questi due scacchieri internazionali: “il Fatto Quotidiano” e “il manifesto”. Quotidiani Nato, ma di opposizione finchè, per il primo, ci si fermi agli spietati e incontestabili editoriali del direttoreTravaglio e alle eccellenti firme che denunciano e commentano i crimini del nostro mafio-massonico regime; e, per il secondo, ci si accontenti dei pallini ad aria compressa sparati contro gli abusi perpetrati a lavoratori, donne, migranti e diversi di genere (in concomitanza, però, con le fusa fatte a qualsiasi nanerottolo deforme di passaggio che si definisca di sinistra e perfino di centrosinistra (ultimamente al Pisapia di fama Expo, che si precipita a sostituire la gamba sinistra amputatasi dal PD. E mal gliene sta incogliendo, visto l’ultimo sondaggio che allo sfigato duo da balcone veronese, Pisapia-Boldrini, riserva  l’1,0%, mentre i vegliardi al viagra bersanian-dalemiani viaggiano già al 4,3%).

Per il resto trattasi di due house organ dell’atlantismo che, anziché in uniforme e bombe a mano, qui si presenta in giacca e cravatta, ma pur sempre con la menzogna al gas nervino nel cavo della mano. Per attenuare questa sperticata militanza lo scaltro “il Fatto”, che si vanta sacerdote dell’imparzialità, arriva a pubblicare, molto occasionalmente, articoli antimperialisti e perfino antiamericani e addirittura filopalestinesi, nel vano tentativo di bilanciare la foia talmudista e russofoba degli spudorati falsari  che, nelle sue pagine estere, fanno sistematicamente strame della realtà.

Foglie di fico sulle vergogne

Allo scopo di occultare l’identità cripto-Nato del sedicente “quotidiano comunista” (almeno “il Fatto” non ha tale inaudita pretesa), alle sue virulente campagne, griffate Cia-Soros, contro chiunque intralci i carri armati, le architetture istituzionali e le multinazionali dell’Impero, detti “valori dell’Occidente”, il “manifesto” accompagna interventi condivisibili su realtà lontane. Così la passione incontenibile per la Fratellanza Musulmana, a dispetto degli attentati e dei burka che semina qua e là, e il corrispondente odio amerikano spurgato sull’Egitto laico e non più atlantico (Cruciani, Acconcia, Calderon),  trova parziale contrappeso nell’attivismo chavista pro Venezuela e pro altri latinoamericani non conformi (Colotti). Mentre il tappeto afghano, steso sotto gli scarponi con cui l’Occidente impedisce ai Taliban di ingolfare di stoffa le donne, ma anche di liberare il paese dai monopolisti Usa di oppio-eroina (Battiston, Giordana), vorrebbe essere reso meno osceno da qualche rubrichetta dispersa in basso e in fondo, in cui si spiega come siano assai più gli americani che non i russi a rischiare di far saltare il mondo (Dinucci). Davvero maldestro e fallimentare, poi, il tentativo di bilanciare con Pisapia, Orlando, o Fratoianni (Preziosi), l’impura fregola per Hillary, la donna che per stragi di innocenti ha messo in ombra tutti i precedenti fino a Messalina (Moltedo, Celada, Catucci, D’Agnolo Vallan).

Datemi del moralista, ma, a mio avviso, il fatto che validi esponenti dell’integrità politica e professionale della mia categoria, che vantano altre, più decorose e anche più diffuse occasioni di esprimersi, senza doversi imbrattare acciaccando quanto depositato nelle pagine contigue, se la sentano di farsi foglie di fico e dare copertura a un giornale che strategicamente persegue obiettivi opposti ai loro, continua a costituire scandalo e segno di una mancanza di coerenza, perfino di scrupoli. Vada per Geraldina Colotti, purchè si attenga al tema, rispettata nella sua autodeterminazione, anche perché il giornale sa bene che, se mantiene un minimo di credibilità e di lettori, è grazie anche all’esclusività che, grazie a Colotti, vanta nell’informazione sul continente latinoamericano e a Giorgio sulla Palestina (purchè non traligni nel manifesto-pensiero quando si occupa di altro).

Veniamo al dunque. Il grande strappo di oggi riguarda l’eccellente intervista data da Bashar Al Assad, presidente siriano, a Stefano Feltri del “Fatto”. Sebbene sovrastata dal solito titolo che cerca di falsare il contenuto facendo passare Assad per il conclamato tiranno (“Per la Siria i diritti umani ora sono un lusso”), a dispetto di una trafiletto Unicef che parla di bambini uccisi o arruolati in Siria, senza precisare da chi, l’intervista si estende su due pagine, le prime, che si possono ben definire storiche. I box contigui, con i soliti stereotipi sul padre di Bashar e sulla presunta “guerra civile” nata dalla “repressione di pacifici dimostranti”, non riescono a cancellare la forza delle argomentazioni, dei dati, della sincerità, della ragionevolezza, dell’intervistato. Neanche le domandine tendenziose, basate sulle stranote fandonie e che vorrebbero far ammettere a Bashar quanto i calunniatori asseriscono ( I russi colonizzano la Siria? Con l’Iran è bloccato ogni processo di pace? Come responsabile per l’ONU di 400mila morti, lei è disposto a lasciare il potere? Ci sarà una Siria federale, che protegge i diritti umani e controlla esercito e servizi di sicurezza?) riescono a inquinare la forza dei fatti e la competenza e dignità con cui Bashar li espone.

Bisogna dare atto al “Fatto” di non avere, a quanto pare, tagliato o manipolato alcunché, almeno di essenziale e valido, di un’intervista da cui il presidente siriano esce alla grande, assolutamente convincente, con un di più di ammirazione per la sua forza d’animo e di consapevolezza su cosa è in ballo in quella regione. Consiglio a tutti di ricuperare in rete questo documento.

Parla Milosevic? Censura a sinistra!

Nel 2011 tornai da una Belgrado in preda alle convulsioni della prima vera rivoluzione colorata lanciata dalle centrali Usa della destabilizzazione, finanziata e organizzata da Soros e operata in piazza dai sicari di Otopor (poi adoperati per altri regime change). Il mio arrivo a Roma coincise con l’arresto di Slobodan Milosevic, estremo difensore della Jugoslavia e della Serbia, unico protagonista, tra fascisti croati, jihadisti bosniaci, terroristi kosovari UCK e pellegrini fiancheggiatori a Sarajevo, portatore di diritti umani, democrazia, sovranità. Non per nulla accusato di ogni efferatezza, di pulizie etniche  e stragi praticate invece dai nemici del paese, che anni di processi a conduzione Usa non riuscirono a provare e perciò assassinato nella sua cella all’Aja.

Ero stato l’ultimo a intervistarlo, insieme alla moglie, nella sua residenza di Belgrado. Lavoravo a Liberazione, per quanto osteggiato dai bertinottiani in redazione, ansiosi di non urtare suscettibilità che avrebbero potuto ostacolare l’arrampicata del leader e frenare “l’evoluzione”  del partito. Abbastanza contento dello scoop, nell’amarezza per la sorte di un uomo che aveva fatto del suo meglio, me lo vidi respingere dalla vicedirettrice, Rina Gagliardi,  e dal caporedattore Cannavò, ovviamente trotzkista (oggi al “Fatto”) con l’altamente qualificante osservazione: “Non possiamo appiattirci su Milosevic”, intendendo “l’orrendo dittatore”. Fosse anche, ma se ti capita di intervistare Gengis Khan non pubblichi? La stessa concezione alla Starace della professione mi venne poi ribadita al “manifesto”, cui mi ero rivolto nell’affannato sforzo di non disperdere, a sinistra, le parole di un protagonista, tragico ed eroico, della storia contemporanea. Alla fine, il Corriere della Sera, di più solida sostanza professionale e con meno grilli inibitori per il capo, pubblicò l’intervista. Riconosco oggi la stessa caratura editoriale a “il Fatto”.

Eritrea delenda est

Difendendo il solco tracciato da Dipartimento di Stato, Cia, Pentagono, FMI e, in subordine, UE, il “manifesto” non perde occasione per picchiare sull’Eritrea, unico Stato africano che rifiuta sia l’FMI, sia la Cia, il Pentagono e il Dipartimento di Stato, negando a questi stupratori di nazioni e popoli basi militari, economiche e Ong. Per gli argomenti, mai di sua diretta conoscenza,  al “manifesto” bastano gli input delle solite vivandiere umanitarie dei lanzichenecchi Nato: Amnesty International, Human Rights Watch, USAID, Obama, Laura Boldrini e quello squinternato di Pippo Civati che, forse non sapendo nemmeno dove si trova l’Eritrea, s’è voluto guadagnare un buffetto della Commissione dei diritti umani dell’ONU importunando il parlamento con una sua mozioncella all’acido solforico contro quel paese. Paese al quale, a partire da noi colonizzatori, britannici, statunitensi,e  russi e cubani che si schierarono con il suo aggressore e occupante, non avrebbero che da chiedere scusa.

L’Etiopia è il gigante del Corno d’Africa. A sud s’è mangiata, su commissione Usa, un bel pezzo di Somalia, contribuendo con la “comunità internazionale” a sfasciare totalmente quel paese (altra nostra colonia, saccheggiata e poi avvelenata a morte con i rifiuti nucleari e tossici di cui Ilaria Alpi). A nord continua a occupare terre eritree. Ora quella “comunità”, tramite sicari africani riuniti nella spedizione “Afrisom” e raid Usa su villaggi, scuole, funerali e matrimoni, insiste a tenere il paese in condizioni di Stato fallito e popolo morente. Resistono, dopo la decimazione di altre resistenze, la formazioni islamiche degli Al Shabaab, presenti con operazioni militari in tutto il paese e contro le centrali estere dell’aggressione. Resistenza opportunamente satanizzata.

Quanto a satanizzazioni, l’Eritrea non ha nulla da invidiare alla Somalia. Ma nessuno è ancora risuscito a metterle le mani addosso. E neanche gli scarponi. Segno evidente di una forte coesione e convinzione nazionale. Alle criminalizzazioni e punizioni collettive sfugge invece l’Etiopia. Lasciata dall’Italia di Mussolini, Badoglio e Graziani in un oceano di sangue, quel popolo, in cui un paio di etnie, Amhara e Tigrini, spadroneggiano da sempre sulle altre, valendosi del sostegno neocolonialista delle potenze, è tanto governato da una successione di despoti sanguinari, da Haile Selassiè a Menghistu a Meles Zenawi all’attuale Dessalegn, quanto è amato, coccolato, armato e incitato al mercenariato contro i paesi vicini, dalla solita “comunità internazionale, Usa, Ue e Israele in testa.

Etiopia pasto nudo

Frequentatori e cicisbei abituali anche i nostri. Di casa sono Mattarella, Renzi, Pittella (quello della Commissione UE), Ong varie. Partecipano  al banchetto offerto dal regime agli amici. Le pietanze, in questo caso, sono le proprie popolazioni e il loro habitat. Quelle escluse, Oromo in testa. Escluse anche dai territori ancestrali dai rapinatori di terre (indiani, cinesi, sauditi), costruttori di dighe (Impregilo-Salini), coltivatori di monoculture alla Monsanto, forze armate straniere con le loro basi. Il regime etiopico ricompensa tanta grazia, assaltando ogni tanto, su suggerimento Usa, qualche vicino. Dallo sceiccato ai suoi piedi, Gibuti, colonia e presidio militare francese e ora anche Nato, arrivano armi e ordini di servizio.

Dell’Etiopia, però, nessuno parla male. Neanche i missionari comboniani, un po’ perché hanno le mani piene del sabotaggio perenne del Sudan, e un po’ perché gli etiopi, essendo in maggioranza copti, offrono poco ascolto. E, venendo allo strappo operato oggi dal “manifesto”, dell’Etiopia invece parla male, come vorrebbe la ragione sociale che vanta, il “quotidiano comunista”. Merito della sciagura costruita con grande impegno dalle autorità di Addis Abeba (“Nuovo fiore”) per rimuovere dalla faccia del paese la presenza ingombrante, oltre a quella dei villaggi da bruciare per far posto ai bacini dell’Impregilo, dei morti di fame accalcati in capanne di cartone alla base di Koshe (sporcizia), la più grande discarica del paese, forse dell’Africa. E’ crollata mentre ci volevano costruire sopra un “perfezionamento” ulteriore dell’ambiente, un inceneritore. Al momento hanno estratto 65 morti di fame. Altri ne usciranno, dalla Koshe.

E “il manifesto”, con Marco Boccitto, questa tragedia, questo crimine, li ha scritti. E non nel solito trafiletto, o nella solita  rubrichetta  vedo e non vedo. E non ha perso l’occasione per aggiungere altre sciagure e altre nefandezze di uno dei regimi più chiavica del continente. Chapeau. Purchè non provi ora a riequilibrare a favore di Renzi, Mattarella, Pittella, Impregilo, Usa e Onu, tornando alla sua maniera sul tema Eritrea. Senza dubbio gli sponsor del giornalino povero diventato ricco e patinato, glielo chiederanno.

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 20:57

Cosa si racconta di ritorno dall’Eritrea

http://fulviogrimaldi.blogspot.it/2017/03/cosa-si-racconta-di-ritorno-dalleritrea.html

MONDOCANE

LUNEDÌ 13 MARZO 2017

ERITREALIVE intervista FULVIO GRIMALDI, ritornato dal viaggio in Eritrea
Posted by Marilena Dolcehttps://www.youtube.com/watch?v=d_CRAHrdsb0

A Milano, la presentazione del film “Eritrea, una stella nella notte dell’Africa” è l’occasione per intervistare l’autore, Fulvio Grimaldi, ritornato dal viaggio in Eritrea dello scorso anno.
Una conversazione per ripercorrere con lui la storia dell’Eritrea, dalla guerriglia degli anni Settanta all’attuale ostracismo internazionale.
Una storia che l’Italia ha accantonato archiviando, insieme all’esperienza coloniale, la ricchezza della terra e l’orgoglio della gente eritrea. Oggi la battaglia e l’impegno dell’Eritrea è per lo sviluppo e la crescita del paese, ma anche di questo in Italia si sa poco. E il film di Grimaldi ce lo racconta.


“L’Africa è una preda irrinunciabile” per il neocolonialismo, così dici nel film. L’Eritrea, sottraendosi a questa morsa nel 1991, con l’indipendenza, ne sta ancora pagando il prezzo?

Sì l’Eritrea sta pagando un pesante prezzo per essersi sottratta alla nuova colonizzazione che sta toccando e coinvolgendo la quasi totalità dei paesi africani dove sono presenti, salvo pochissime eccezioni, presidi, basi americane o altre forme di collaborazione, addestramento dei militare locali o della polizia. Un apparato per un nuovo colonialismo, per lo sfruttamento dell’Africa, continente ricchissimo di risorse.

L’Eritrea si è sottratta al colonialismo con la sua incredibile lotta lunga trent’anni. Non le viene perdonato di resistere a qualsiasi tipo di condizionamento, finanziario, commerciale, culturale, militare. Questo il motivo per cui è aggredita, subendo una demonizzazione di cui tutti siamo consapevoli, una valanga di menzogne, bugie e diffamazioni che si abbattono sul paese e sul suo governo, accompagnando e giustificando le sanzioni che gli sono state imposte.

Nel 1971 vai in Eritrea per raccontare, come dici, “una guerra dimenticata” che si combatteva già da 10 anni. Tornando in Eritrea l’anno scorso, quante delle speranze di allora hai visto realizzate?

Nel 1971, nella mia prima visita, ho camminato con i guerriglieri attraverso l’Eritrea, dribblando le bombe e le imboscate etiopiche. Allora avevo la consapevolezza che ci fosse un popolo che appoggiava la sua guerriglia, un popolo in lotta per la sua libertà.

Un’idea maggiore dei contenuti e della prospettiva che si voleva creare per questo paese l’ho avuta però nel 1977-‘78, quando sono tornato. Allora esisteva già, nelle zone liberate dalla guerriglia, l’idea di Stato. C’erano scuole, la sanità, le organizzazioni di massa e delle donne. Si prefigurava uno Stato a fortissima partecipazione popolare, a democrazia diretta.

L’Eritrea che oggi ho ritrovato credo sia l’espressione, in grande misura riuscita, di quelle premesse, di quelle prospettive, di quell’impegno, anche se le condizioni difficilissime che le sono state create intorno, le guerre continue, le aggressioni, le sanzioni, l’ostracismo internazionale, le rendono il compito molto difficile.

Negli anni dopo l’indipendenza, fino al 2000, fino al nuovo attacco etiopico (ndr 1998-2000, guerra Eritrea-Etiopia) e poi alle sanzioni (ndr Risoluzione Onu 1907 del 2009), l’Eritrea ha fatto progressi enormi, rapidi, poi rallentati dal fatto che la comunità internazionale, come si autodefinisce, le sta rendendo la vita difficile, impedendole gli scambi, le relazioni con altri paesi. L’impegno, però, e la direzione presa allora è stata in gran parte mantenuta.

Tra le promesse mantenute ci sono scuole e sanità? Hai visto come vivono le persone, c’è gente che muore di fame per le strade?

Gente che muore di fame per strada l’ho vista in Somalia e, soprattutto, in Etiopia, dove la situazione è drammatica rispetto alle ricchezze di cui dispone il paese, ricchezze rapinate dalle multinazionali. Là c’è un’incredibile povertà. Una povertà che in Eritrea non si vede, come non si vede ciò che è solito nei paesi del sud del mondo, cioè una diseguaglianza abissale tra ricchissimi e poverissimi, situazione indotta dal modello economico e sociale occidentale.

Erigendo in tutto il paese e bacini per la raccolta dell’acqua piovana, l’Eritrea, diversamente dagli altri paesi dell’area, riesce anche a far fronte alle siccità ricorrenti, risparmiando alla popolazione le carestie che decimano altri popoli.

In Eritrea hai la sensazione che esista una via di mezzo, episodi limitati di povertà urbana, sempre meno che in Occidente, e una sostanziale uguaglianza, senza agi ma neppure miseria.

Hai intervistato il primario dell’Orotta, il Policlinico di Asmara, dr Habteab Mehari e il Ministro della Sanità, Amina Nurhusien, che cosa pensi della sanità eritrea?

L’Eritrea è tra i rarissimi paesi nel sud del mondo, e l’unico tra i paesi africani dopo il crollo della Libia, a garantire ai suoi cittadini l’assistenza sanitaria praticamente gratuita e l’istruzione, a partire dall’asilo fino all’università, spesso con perfezionamenti e master all’estero, sempre completamente gratuiti. Presidi sanitari, prima scarsi e tutti distrutti dalla guerra, sono presenti ovunque, a portata dei villaggi più sperduti.

Quindi, se si parla di diritti umani, vessillo che l’Occidente sventola per giustificare critiche e aggressioni, io penso che il diritto umano alla salute, all’istruzione, all’educazione, al proprio perfezionamento, alla alfabetizzazione, il diritto umano alla casa e alla dignità, siano diritti umani che in Eritrea vengono effettivamente rispettati e coltivati.

Nelle interviste che hai fatto a molti giovani che vivono in Eritrea, uno di loro dice che “difendere il paese è un dovere,” un altro che stanno combattendo per un futuro migliore, allora è Ginevra che non ha creduto a testimonianze come queste, portate a migliaia dall’Eritrea davanti al Palazzo delle Nazioni Unite lo scorso giugno? Come mai secondo te?

Il Palazzo delle Nazioni Unite, la sua organizzazione e i suoi vari e successivi segretari generali sono, alla luce del percorso storico degli ultimi decenni, portavoce degli interessi degli Stati Uniti.

Non c’è nessuna affidabilità. Gli atteggiamenti assunti dalle Nazioni Unite riguardo alle guerre nettamente di aggressione (Iraq, Balcani, Libia, Somalia, Yemen, Afghanistan), ne squalificano la credibilità.

Credo che chiunque vada in Eritrea, si muova nel Paese, si ponga a contatto con la popolazione, veda come vive, si muove, si esprime, possa smentire quanto ha detto quella Commissione d’Inchiesta (ndr, Rapporto COI, Commission of Inquiry, 2016).

Quando il ragazzo che hai citato dice “difendere il paese è un dovere”, tocca un tasto molto sfruttato da chi ha interesse a dare dell’Eritrea un’immagine negativa.

È il discorso di un presunto servizio militare eterno al quale non si sfugge se non alla fine della propria vita. Questa è un’enorme invenzione. Innanzitutto si confonde chi fa il mestiere di militare, come da noi, con chi fa la leva che ha un periodo determinato e preciso d’impegno militare, per lo più non superiore a 6 o 12 mesi. Poi diventa servizio nazionale civile.

In questo caso si è impegnati a dare un contributo alla società nei termini che si addicono alle proprie capacità, preferenze, e competenze. Per esempio aiutare una comunità nelle opere di bonifica, lavorare in una biblioteca, assistere disabili e altre attività simili. Tantissimi di questi giovani, se dovessero fare il militare per l’eternità, come potrebbero andare ad Amsterdam o a Londra per fare un master, cosa che invece succede a molti studenti eritrei?

Tu hai conosciuto i guerriglieri, la generazione dei padri dei ragazzi nati nel 1992, dopo l’indipendenza. Che rapporto c’è, secondo te, tra loro che hanno combattuto e sofferto e i figli, più sani e scolarizzati, che però sognano una vita come pensano si viva in Occidente, disposti per questo a compiere viaggi pericolosissimi?

La storia dell’immigrazione dei giovani è in gran parte esagerata e manipolata, come riscontrato dai mediatori. Basti pensare che molti di loro non sono neanche eritrei ma etiopi o altro. Si fanno passare per eritrei grazie alla somiglianza etnica. Questo perché agli eritrei è garantito automaticamente il diritto d’asilo.

Un po’ come si era fatto per far scappare i cubani, garantendogli asilo politico negli Stati Uniti. Il risultato era avere una forza anticubana che riceveva in cambio la cittadinanza americana. Un trucco infame per svuotare il paese dalle sue energie migliori, quelle giovanili e per avere un mercenariato cui far dire cose contro il paese. Così sta avvenendo per l’Eritrea.

È chiaro che quando uno esce dal suo paese lascia alle spalle le difficoltà che le sanzioni impediscono di superare e viene a cercarsi un destino migliore. Una persona in queste condizioni, per avere l’asilo, dirà tutto quello che il suo ospite si aspetta che dica. E lo scopo è potenziare la campagna contro il paese.

Quindi i giovani che escono dall’Eritrea emigrano dalla povertà, come hanno sempre fatto la gran parte dei migranti, noi italiani compresi?

Si, ma dall’Eritrea non emigrano per drammatiche condizioni economiche perché, come sa chi ha visitato il paese, non si muore di fame. Certo davanti alla prospettiva, come l’hanno sognata gli albanesi, del bengodi occidentale, ci si può anche illudere…

Vorrei aggiungere un fatto che è molto significativo. Nessuno calcola che l’emigrazione che si svolge in queste condizioni difficili, per cui si devono attraversare un paese dopo l’altro, Sudan, deserto, Libia infine Mar Mediterraneo, è fatto di tappe sottoposte a tariffe. Sommando quello che si dice costino l’attraversamento del Sudan, le mazzette ai doganieri, l’attraversamento del Sahel, il passaggio in Libia, i carcerieri libici, gli scafisti, e chissà che altro ancora, si calcola che servano dai 5.000 ai 10 mila euro. Com’è possibile, se i giovani hanno a disposizione quella somma, che debbano spostarsi, quando con quei soldi, nel loro paese, avrebbero concrete possibilità di autoaffermazione, anche imprenditoriale.

Allora viene fuori una notizia, ormai facilmente documentabile, di chi ha un interesse a incrementare attraverso finanziamenti e attraverso Ong complici, questo esodo. Fughe finanziate dall’esterno. C’è una figura che aleggia su queste entità e si chiama George Soros. È lui il referente di quasi tutte le grandi Ong che promuovono e sollecitano migrazioni e espatri, finanziandoli.

Passando ad altro argomento. Un lascito coloniale positivo: la fondazione di molte città tra le quali la capitale Asmara, probabile sito Unesco. Se verrà approvata la sua candidatura presentata lo scorso anno questo potrebbe essere per l’Italia il modo per rinsaldare il rapporto che Yemane Ghebreab, Political Advisor del Presidente, da te intervistato, definisce “non soddisfacente”?

Tocchi un tasto molto importante. L’Italia, come madrina della sua più antica colonia, nella quale si sono impegnati, nel bene e nel male, decine di migliaia di italiani, ha completamente abbandonato questo suo paese, anche a proprio discapito.

Non si tratta solamente di essere benefattori della colonia, che in buona misura si è sfruttata, ma si tratta anche di approfittare delle enormi opportunità che un paese come l’Eritrea, in quelle condizioni, con quelle potenzialità, in quella posizione strategica, con quelle risorse, può offrire agli italiani.

Gli italiani lì hanno lasciato un grandissimo patrimonio che è quello urbanistico. Le piccole industrie leggere, meccaniche, i latifondi, le aziende agricole sono state recuperate. L’elemento più importante però è stata l’esplosione urbanistica che ha fatto delle città eritree le più belle città dell’Africa, di una modernità ancora oggi all’avanguardia, stupenda, dove si sono impegnati alcuni tra i migliori architetti e urbanisti italiani.

Questo dato è un patrimonio italiano che gli eritrei sono stati bravissimi a conservare e salvaguardare. Il fatto che l’Italia abbia abbandonato questo suo retaggio, è gravissimo e stolto. Noi ora abbiamo lanciato un appello, in vista del fatto che l’Unesco potrà proclamare Asmara patrimonio dell’umanità. Un appello rivolto ai migliori e più noti architetti e urbanisti italiani, iniziando da Renzo Piano, perché si facciano attori e motori di un intervento sul governo italiano che collabori con il governo eritreo per manutenzione, restauro e salvaguardia di questo patrimonio comune. Chiediamo che studi di architettura e urbanistica si attivino con progetti d’intervento e restauro, che gli studi italiani siano parte nel recupero di questo nostro patrimonio comune, dell’umanità, ma soprattutto italo-eritreo. Una possibilità simbolica, molto significativa, per il rafforzamento dei legami tra Italia e Eritrea.

Dicevi “noi”, in che senso?

Noi abbiamo già mandato in giro una petizione, io e mia moglie coautrice del film. La nostra è un’iniziativa italiana e che deve restare italiana, tuttavia ne è al corrente il responsabile media della comunità eritrea.

Torniamo alla guerra di liberazione, quale è stato allora e quale è oggi, per come l’hai potuto vedere nel recente viaggio, il ruolo della donna in Eritrea?

Le premesse dell’attuale situazione delle donne sono, come molti altri aspetti, nate negli anni della lotta di liberazione. Questa è la particolare ricchezza di quella lotta. Non è stata soltanto militare ma ha gettato le basi per la società giusta del futuro. Qui le donne che, come in tutti i paesi del sud del mondo, e non solo del Sud, erano subalterne, con un patriarcato imperante e tradizioni nefaste nei confronti della loro integrità fisica, come le mutilazioni genitali femminili, si sono riscattate.

Io allora ho incontrato parecchie donne che combattevano a fianco dei maschi e già imponevano un trattamento assolutamente paritario. In più mantenevano un ruolo di cura e assistenza, come infermiere e insegnanti.

Tutto questo è stato uno stimolo perché dopo, nella società liberata, il loro fosse un modello per le altre, per le giovani donne, per costruire una società di donne emancipate.
Ci sono ancora delle sacche di resistenza e loro lo sanno. Penso alle mutilazioni genitali che, nonostante una legge (ndr 2007) le abbia proibite, nelle aree più remote, in cui è più difficile penetrare nelle tradizioni, sopravvivono. Sono le donne dell’Unione delle Donne Eritree che vanno nei villaggi, per cercare di reprimere queste usanze e avviare l’emancipazione. Non dimentichiamo poi che la componente femminile, a livello governativo, è pari a 28 per cento.

La stampa nazionale, però, ignora sforzi e progressi dell’Eritrea schierandosi quasi sempre, con titoli apocalittici, contro il paese…

Noi abbiamo una stampa cui va fatta la guerra, iniziando da quelli che dettano la linea, cioè dagli Usa. I giornali non hanno quasi più editori puri, che avrebbero interesse a coltivare un’informazione corretta, ma fanno capo a interessi economici.

In Italia abbiamo il gruppo editoriale dell’Espresso che fa capo a De Benedetti, che ha interessi nelle banche, nell’industria, poi La Stampa che fa capo agli Agnelli, Il Messaggero che fa capo a Caltagirone, il più grande costruttore italiano. Sono aggregati economici che utilizzano i media per i propri interessi. E, in questo momento, ritengono che tali interessi coincidano con quelli della grande stampa internazionale che esprime una linea, in virtù di chi la possiede, neocolonialista, di rapina, di conquista.

È un atteggiamento ottuso perché, come dicevamo prima, l’Eritrea e l’Africa in genere, avvicinata in termini di eguaglianza, di rispetto, di solidarietà, di cooperazione, offrono molte più possibilità che non gli interventi aggressivi, che poi, nel caso dell’Eritrea, sono sempre stati neutralizzati, fortunatamente. Le menzogne e la demonizzazione sono il frutto di questa subordinazione alla stampa internazionale occidentale, una stampa imperialista che trascura il fatto che noi potremmo, nel caso dell’Eritrea, con un atteggiamento onesto, reportage indipendenti, ricavarne grandi vantaggi.

Bisogna dire un’altra cosa, purtroppo, che c’è anche un settore della chiesa che aderisce alla criminalizzazione, penso a Nigrizia, mensile cattolico molto ostile nei confronti dell’Eritrea. In questo caso si va addirittura contro la comunità cattolica in Eritrea. Una comunità che convive e prospera felice con le altre confessioni, in perfetta armonia, tanto da rappresentare un modello in un mondo dove le solite forze neocoloniali istigano le nazioni a sbranarsi tra etnie e confessioni diverse.

Perché allora i comboniani ce l’hanno con loro? Forse perché anche loro, storicamente, sono state avanguardie della colonizzazione… Tutto questo deve essere superato nel segno della collaborazione e della comprensione reciproca. E anche all’insegna del debito che il nostro paese ha nei confronti dell’Eritrea. Da cui, peraltro, oggi ha molto da imparare.

Bene. A chi vuole saperne di più, non resta che vedere il film…

Marilena Dolce

@EritreaLive

 

FOGNA OCCIDENTE, PREDA AFRICA, LUCE ERITREA

http://fulviogrimaldi.blogspot.it/2017/03/fogna-occidente-preda-africa-luce.html

MONDOCANE

VENERDÌ 10 MARZO 2017

Fogna Occidente, Preda Africa, Luce Eritrea

https://youtu.be/TGeFkn_nPJs  link dell’incontro con la Comunità eritrea di Milano in occasione della presentazione del docufilm “Eritrea, una stella nella notte dell’Africa

Mollare tutto?

Qualche volta mi è capitato di pensare all’espatrio. Via da questo rottame di paese che, dopo i guizzi di Rinascimento, Risorgimento, Resistenza anti-nazifascista e ‘68, brevi sussulti di vita nella morta gora del conformismo, opportunismo, servilismo, trasformismo, familismo, clientelismo, il tutto avvolto e protetto dal clericalismo, che dalla caduta di Roma, anzi, da Giuliano l’Apostata in poi, ci ha fatto attori unicamente di servo encomio e codardo oltraggio. Ma poi inciampavo in qualche verso di Alighieri o Montale, in qualche operetta morale di Leopardi, in un inno di Manzoni, in una lettera di Gramsci, in una pagina di Fenoglio o Calvino, in una cronaca  della Repubblica Romana, nel monumento dei bersaglieri a Porta Pia che celebra la disintegrazione del potere temporale della Chiesa, in una foto di Mario Lupo (uno dei tanti martiri di Lotta Continua di cui sono stato compagno e amico), dei compagni sardi che ogni giorno si rompono le corna di muflone contro le basi Nato, di chi soffoca tra trivelle e si dà da fare per estirparle… e mi vergognavo di quel pensiero di fuga. E così sono rimasto. Anche se quel pensiero torna ad insinuarsi tutte le volte in cui collera e disgusto arrivano al diapason e si uniscono in un groppo che fa sempre più fatica ad andar giù.

Uteri in affitto, bambini a disposizione

Come in questi giorni, dove le nefandezze si succedono a ritmo accelerato e si uniscono in un percorso da galleria degli orrori. Le sciagurate unioni “arcobaleno”, dove la mercificazione e manipolazione dell’indifeso bambino si esaltano in un egoismo parossistico e nichilista.  Madri che non lo saranno mai perché di loro è stata fatta merce generica da banco, il figlio glie l’hanno pagato e glielo possono estirpare impunemente; figli che non avranno mai una madre, ma solo padri chiusi nella sterile gabbia unisex, per un modello di vita che li priva dell’incontro-scontro con l’altro genere, soffio vitale, condizione per la pienezza della maturità e del proprio ruolo nella missione assegnataci dal cosmo: la continuazione della specie. Cose rispetto alle quali la deriva genetica, morale e politica della tarda Bisanzio, o il suicidio di massa dei lemming, sono un rigoglio di vitalismo ed evoluzione.

La fogna ai ratti: tana liberi tutti

Virginia Raggi può fare tutte le sventatezze che vuole, Grillo può sparare bislaccherie altamente inopportune, Di Maio può collocare la Svezia in Oceania, la Lombardi può fanculare amici e colleghi nella Giunta romana quanto vuole, ma nessuno sarà mai così abietto come ogni componente della classe dirigente destra-sinistra italiana, europea, atlantica. Un’ élite antropofaga la cui tanto declamata innovazione tecnologica ha l’unico scopo di decerebrarci per scarnificarci.  Dove la destra è mafia, vampirismo, lordume etico e i miserandi detriti di una sinistra spiaggiata sulla riva della propria inane autoreferenzialità, se non della subalterna complicità con gli antropofagi, la rincorre. Qui una magistratura esemplificata dal “Porto delle Nebbie” romano lancia ciambelle di salvataggio ai delinquenti togliendo le indagini a chi li ha scoperti (il NOE dei carabinieri a cui era stato affiancato, depotenziandolo,il Corpo Forestale), affidandoli  ai produttori di nebbia (quelli comandati dai “fedeli nei secoli” che i delinquenti li hanno messi sull’avviso), strappando inchieste a tribunali non fidati, mandando in pensione procuratori disobbedienti e prorogando quelli allineati. Parliamo del regime Consip-Renzi. Quello detto “della Malavita”, di Giolitti, al confronto era un governo di monaci trappisti.

Stesso discorso per gli Usa, dove una classe politica, primatista storica di genocidi e devastazioni sociali e ambientali rifiutata dal voto, utilizza gli strumenti creati a propria immagine e somiglianza, servizi segreti, giudici, media, pseudosinistre-criptofascisti, banditi finanziari, squadroni della morte, per neutralizzare come da abitudine consolidata (Lincoln, Garfield, Guiteau, Kennedy) chi esce dal seminato del campo circoscritto dalla Cupola. Dai tempi di Eisenhower presidenti, segretari di Stato e parlamentari  hanno brigato con esponenti del Cremlino, raggiungendo con Eltsin addirittura un munifico partenariato. E, a parte gli interessi travestiti (vested interests) personali o di consorteria, se ne avvantaggiava la pace. Molto più di quando questi stessi personaggi brigavano e istigavano con i ceffi del terrorismo di Stato o privato, da Al Qaida a Pinochet, dall’Isis all’Arabia Saudita, da Gladio a Papadopulos, dai Fratelli Musulmani a Napolitano.

La Cia traccia il solco, Obama lo difende

Oggi, svaporata la minaccia del comunismo, rivelatosi il terrorismo islamico apprendista dello stregone Cia-Mossad, si ricupera l’orso russo in salsa putiniana, si monta una del tutto artificiale ma parossistica russofobia e si addebita al presidente e ai ministri non conformi , opportunamente e criminalmente spiati dal predecessore, i più legittimi e quindi, nella post-verità, nefandi, contatti con interlocutori russi, come l’ambasciatore a Washington, diplomaticamente qualificato di “spia e reclutatore di spie”. Contatti assolutamente naturali, auspicabili e proficui, come lo è ogni dialogo che allontani conflagrazioni. Come è d’uso da tempo, ma come, nel consolidarsi degli schieramenti e nel prospettarsi l’ora fatale della scontro finale, s’è perso ogni tentativo di mistificazione, le sedicenti sinistre la fanno da mosche cocchiere. “Il manifesto”, per dirne una, in perfetta sintonia con i talmudisti del New York Times e gli sguatteri dello Stato Profondo nel Washington Post  o nella CNN, svolge il compito con un paginone di finta recensione letteraria sui nuovi poeti russi. Invettiva anti-Putin significativamente sovrastata dalla fotona di due soldati russi gay che, slinguazzandosi, uniti alle ormai epiche Pussy Riot, rappresenterebbero quella società civile, liberatasi dalla zavorra eterosessuale, di cui si spera, prima che occorra l’atomica, che possa rovesciare il regime che si è messo di traverso ai neocon-liberal. Segue, nell’articolo, un concentrato di nequizie putiniane al limite del grottesco, rastrellato dalle più luride Fake News dei media sopra citati.

Per una Cuba che se ne va, c’è un’Eritrea che arriva

A noi, che già siamo messi malissimo di nostro, dagli Stati Uniti, fatta salva gente come  Steinbeck, Fitzgerald, Scorsese, Eastwood, Johnny Cash, quelli del rock, Malcolm X, Muhammad Ali e loro affini, dagli Stati Uniti-Stato non è venuto che male, con un accelerazione senza precedenti nella fase Bush-Clinton-Bush-Obama-Cia. Una criminalità organizzata senza precedenti, sorretta dai signori della guerra e dai sociocidi della Silicon Valley, roba che se Trump ne volesse uguagliare il tasso delinquenziale, si dovrà dare da fare assai. Ecco, se fino a ieri pensavo che ricollocarsi in un paese dell’ALBA, in Latinoamerica, ci avrebbe garantito una prospettiva di vita degna e forse addirittura di vittoria, oggi vedendo come sta scivolando via Cuba e sono sotto tiro Venezuela e gli altri popoli in via di riscatto, tocca guardare altrove. Tipo Eritrea. Che ha pure un buon clima.

Dell’Africa si parla poco perché le si cerca di fare tutto il male possibile. E pensare che noi, Italia, siamo la piattaforma di lancio per tutte le aggressioni in atto, o programmate. Dell’Eritrea alcuni, sempre quelli che fanno da eco allo sbattere di sciabole di Cia-Pentagono-FMI, parlano molto e male perché, dopo lo squartamento della Libia, è forse l’ultimo angolo del Continente dove si percorre una strada con più fiori che spine, più frumento che gramigna, e su cui non sono ancora riusciti a passare né gli artigli delle multinazionali, nè i carri armati dell’Impero. Non mi rimanesse che poco tempo per tentare di mettere un po’ di sale sulla coda degli antropofagi e per divertirmi a contribuire con i “populisti” a tirar fuori il mio paese dal servo encomio a Usa e UE, ci andrei pure a stare in Eritrea. Salvo sentire dal bassotto Ernesto se il trasloco gli sta bene.

Intanto, col nostro lavoro filmato sull’Eritrea, vado frequentando quel che in Italia abbiamo di eritreo. La diaspora antica, scampata al genocidio etiopico, perpetrato tra il 1960 e il 1991 con armi Usa e poi, in forza di ignoranza e pregiudizio, con quelle sovietiche e cubane. E poi quella recente, di ricongiungimento famigliare, studio, ricerca di una prospettiva che le sanzioni e lo stato di non guerra-non pace, imposto dagli ascari etiopi dell’Impero negano in patria, per quanti sforzi da sola riesca a fare. Vi ritrovo, a Bologna, a Milano, ovunque si raccolga questa straordinariamente coesa comunità, venuta in Italia aspettandosi di riscuotere, in termini di accoglienza e considerazione, un minimo del credito accumulato in sessant’anni di colonialismo, quanto avevamo trovato di valori perduti in Eritrea. Quei tasselli del mosaico di una civiltà che fino a qualche decennio fa era ancora anche nostra, specie nel Sud. E che si è spostata sempre più a Sud, ma oltre il mare.

Per la Maturità liceale passata, mio padre mi regalò lo Zigolo Guzzi, una motociclettina due tempi, fedele come un bassotto e che mi legò alle due ruote per la vita. Ci girai l’intera Europa e l’Italia, senza autostrade, sparpagliata tra monti, piani e borghi, da Genova a Capo Passero. Strana creatura, il piccolo centauro rosso che serpeggiava tra i costumi settecenteschi delle donne di Nicastro (oggi, chissà perché, Lamezia Terme), le gagliarde sopravvivenze greco-arcaiche dei discendenti di Pitagora, le colonne di Selinunte frequentate dalle pecore, i pescatori ancora verghiani di Padron ‘Ntoni. In un giro di un mese avrò dormito in qualche casolare abbandonato non più di mezza dozzina di volte. Succedeva che, vedendomi sul muretto col panino in bocca, accanto allo Zigolo, la signora affacciata al primo piano mi chiamasse su a mangiare la pastasciutta insieme ai bambini. E, alla sera, a occupare un letto. Forse è così ancora oggi, a presentarsi diciottenne, con i segni dell’amore per Sicilia e siciliani sulle labbra e su uno Zigolo.

Il nostro Sud si è spostato in Eritrea

E’ la disponibilità e l’interesse per quel che li circonda e li incontra, greci, arabi, normanni, da cui nasce la loro gioia di vivere, a dispetto di tutto. E’ così in gran parte del Sud del mondo. Tra gli arabi, che all’Occidente risultano ostici anche per questo, e in Africa, almeno nei paesi da noi non contaminati come l’Eritrea che, anche per questo, subisce calunnie, sanzioni e aggressioni. Parlando di quelli che conosco meglio. Basterebbe, per capirlo, un Elias Amarè, grande intellettuale, prestigioso rappresentante del suo paese, che molla tutto, il lavoro, gli amici, i riposi e gli impegni, perfino la moglie negli Usa, per sbattersi con noi, assediato dalle nostre esigenze e impazienze, per tutta l’Eritrea, quella di fuori e quella di dentro, per farci entrare nel suo corpo e nella sua anima. Senza perdere un attimo il sorriso, l’affettuoso scambio di sfottò, l’intesa sempre più profonda. Suscita odio vedere che altri sanno ancora volersi bene, si godono la vita in comunità e, come diceva Vittorio Arrigoni, restano umani !

Dopo Bologna, Milano. La comunità più numerosa. Passo per Piazza del Duomo e trovo palme, quasi fosse un anticipo di Africa. Non mi pare che stiano male. Sullo sfondo sta un palazzo che assomiglia a quelli più belli di Asmara. Più  ci accostiamo all’Africa e meno a Bruxelles o New York, è meglio ci va, ci andrebbe. L’unica macchia, indelebile però, è che quell’oasi verde è marchiata Starbucks, la multinazionale del caffè-pozzanghera, la McDonald’s del caffè, venuta a umiliare la nobilissima storia dei nostri, dei veri, caffè. Quelli che ad Asmara sono vivi e vegeti e si chiamano Bar Tre Stelle o Bar Impero. E niente Starbucks o McDonald’s. E i centri commerciali non sono orridi silenziatori e appiattitori sociali, ma mercati dei mille colori e mille dialoghi nell’ombra dei portici o sotto il sole.

Bologna, ascoltando l’inno eritreo

Sono arrivati a centinaia, una delle comunità immigrate più folte che abbiamo, a incontrare Sandra e me per vedere il nostro film “Eritrea, una stella nella notte dell’Africa”. Tra le tante, è anche la comunità più legata al suo paese, a cui resta fedele, di cui sa la verità, a cui offre sostegno. Comunità che è riuscita nel miracolo dell’intelligenza e della cultura di stare tra noi, in armonia, condividendo spazi e modi, senza la tanto celebrata, ma tanto colonialistica, “assimilazione”, mantenendosi coesa, fedele a se stessa e alla patria. Diversa da quella cinese, chiusa, separata, ombrosa, con un sottobosco invisibile di schiavi, straripante di misterioso contante che tutto compra e tutto omologa nell’indistinto, che sradica storia, virtù antiche, identità, in un nulla che non è né cinese, né italiano.

Oggi degli eritrei immigrati ci sono la seconda e terza generazione, spesso nate qua. Ci vorrebbe una maggiore frequentazione tra i figli e nipoti che hanno subito l’oppressione coloniale, ma anche lo stimolo alla modernità, e i figli e nipoti che l’hanno imposte. Oggi il loro destino è diventato comune e i secondi hanno tutto da guadagnare a conoscere la verità dei primi. Come ha capito la Casa Rossa di Milano, un’isola di dinamismo politico e corretta informazione, che ha visto un centinaio di italiani vedere e ascoltare l’Eritrea in fotogrammi e parole. Segno confortante che, dopotutto, l’Eritrea non è così lontana dagli occhi, e quindi dal cuore, come, con le note di Sergio Endrigo, denunciamo nell’ultima canzone del film.

Abbiamo suggerito un ponte che superi le distanze, tutte mentali e politiche. Architetti e urbanisti italiani, eredi dei grandi che negli anni ’20 e ‘30  hanno costruito le magnifiche città eritree in stile liberty, eclettico e poi razionalista, si adoperino e adoperino le istituzioni per assistere il governo eritreo a salvaguardare questo patrimonio senza uguali, che l’Unicef vorrebbe a luglio proclamare “patrimonio dell’umanità”. E’ il minimo che possiamo fare per un paese al quale ci lega un cordone ombelicale che ci fa reciprocamente genitore e figlio. Lo abbiamo fatto seccare, quel cordone. A rinsanguarlo, a rifarci passare il flusso delle nostre vite, ci guadagniamo soprattutto noi.

Africa, la preda

Addestratori Usa di truppe africane

Non c’è paese, dei 53 africani, salvo l’Eritrea, dove gli Usa non abbiano una presenza militare di qualche forma, o di intelligence, nemmeno quelle mascherate da Ong umanitarie, tipo USAID e succursali spionistiche e destabilizzanti varie. Degli Stati Uniti, con grande accelerazione sotto la coppia sinergica delle guerre, Obama-Clinton, si impone essenzialmente il pugno militare. Con un nuovo comando per il continente, AFRICOM, voluto dal presidente caro ai colonialisti di sinistra e destra e, visto il perdurante rifiuto dei governi africani, determinato a suo tempo da Muhammar Gheddafi, è installato da noi, a Napoli, una specie di Hub per il Sud, reso possibile dall’obbedienza della complice marca imperiale. Il ruolo di supporto alla militarizzazione Usa dell’Africa si avvale anche della base Ederle di Vicenza, dove sono installate le truppe di intervento rapido dell’US Army Africa.  Tutte cose che, come le 90 atomiche a Ghedi e Aviano pronte all’uso, violano la nostra costituzione.

Penetrata in Africa facendosi strada, tra le macerie della Libia, tra due pilastri della sovranità e indipendenza non ancora minati, Algeria e l’Egitto riscattatosi dalla quinta colonna coloniale dei Fratelli Musulmani, la Nato, che ama millantarsi “comunità internazionale”, ha affidato al revanscismo francese il recupero del Sahel e dell’Africa sub sahariana: Mali, Niger, Ciad, RCA.  Allo scopo ha infiltrato nella regione tra Africa mediterranea e Golfo di Guinea i mercenari collaudati in Medioriente, l’Isis, che, oscurando la resistenza nazionale genuina di popolazioni come i Tuareg, forniscono il pretesto per la riconquista.

Per appropriarsi del petrolio sudanese le grandi potenze, con il supporto di Israele e del Vaticano attraverso i padri comboniani (Zanotelli), hanno istigato, armato e finanziato al Sud movimenti secessionisti su base etnico-confessionale, riuscendo a mutilare il paese e provandoci ora con la regione del Darfur. Intanto il Sud è dalla sua nascita, 2011, uno Stato fallito in preda alla malnutrizione e a feroci conflitti intertribali con opposti sponsor miranti alle fonti energetiche. Carestie imperversano nello Yemen sotto attacco Usa-saudita, nella Nigeria devastata dalla quinta colonna jihadista Boko Haram, in Somalia dove si succedono regimi fantocci sostenuti, contro la resistenza degli Shabaab, dai raid Usa e da una spedizione dell’Unione Africana, Afrisom, che si rende colpevole di innumerevoli atrocità e prevaricazioni, e in Etiopia dove un regime dispotico consente la cessione di terre a India, Arabia Saudita, Cina, le Grandi Opere idroelettriche delle multinazionali, anche italiane, e la conseguente deportazione e decimazione di intere popolazioni. La tragedia del Congo, insanguinato, disarticolato dagli interessi collidenti delle multinazionali occidentali e dei rispettivi signori della guerra locali, dura fin dall’assassinio del suo liberatore Patrice Lumumba, nel 1961. Gli antropofagi coloniali non si accontentano dei 20 milioni di congolesi trucidati da Leopoldo del Belgio, un olocausto ad oggi insuperato, checché se ne dica.

 Patrice Lumumba

Discorsi non dissimili si possono fare per Kenya, Uganda, gli Stati del cono Sud, come Tanzania e Mozambico, la cui decolonizzazione è stata ottenuta da forze rivoluzionarie che molto promettevano e poco hanno mantenuto. Promesse mancate anche quelle del Sud Africa, dove Nelson Mandela non ha saputo accompagnare la fine dell’apartheid con quella dello sfruttamento di classe e con una rivoluzione sociale che riscattasse davvero la popolazione nera. In questi e in tutti gli altri paesi dell’Africa la pressione militare Usa e Nato e i ricatti della potenza economica occidentale hanno installato classi dirigenti omologhe e subalterne ai modelli neoliberisti, formalmente democratiche grazie a un multipartitismo fasullo che esclude le masse popolari e si regge su clientelismo, corruzione e supporto militare americano. Un supporto militare del quale costantemente il Pentagono chiede il rafforzamento, anche per contrastare con la forza il contributo allo sviluppo che a molti paesi africani viene dagli investimenti e dalle infrastrutture fornite da Cina e Russia.

Eritrea, un’eccellenza

In questo quadro diventa evidente la condizione di isolamento continentale e, contemporaneamente, di eccellenza anticoloniale dell’Eritrea, libera dai condizionamenti e ricatti di organismi imperialisti come le forze armate e l’intelligence Usa e Nato, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e i vari trattati-capestro di libero scambio con cui l’Occidente perpetua le sue predazioni. In questo contesto è quasi miracoloso aver mantenuto la sovranità, l’indipendenza, la coesione sociale in presenza di molteplici etnie e confessioni e, miracolo vero, aver raggiunto l’autosufficienza alimentare ed essersi posti al riparo, con geniali opere idrauliche e un fenomenale sviluppo agricolo, dalle carestie che devastano periodicamente il continente.

 Milano

Eritrei e italiani un cammino comune

Con i suoi storici e un tempo profondi legami con l’Eritrea, l’Italia avrebbe ogni titolo e ogni opportunità per rapporti di intensa collaborazione con un paese dalla tante risorse. Collaborazione accessibilissima, ma che è ostacolata sul piano politico, culturale, psicologico, dalla virulenta campagna di calunnie e falsità che le potenze neocoloniali conducono contro una nazione, appetibile anche perchè collocata nella posizione strategicamente più cruciale tra Oriente e Occidente, Sud e Nord, che non si piega ai loro diktat. Campagna supinamente ripresa anche da ambienti politici e istituzionali di un’Italia che avrebbe ben altro obbligo di affrontare il suo debito verso l’ex-colonia. E ancora una volta le sedicenti sinistre a far da mosche cocchiere al colonialismo.  I giovani eritrei d’Italia e d’Europa, quelli venuti in anni recenti o nati qui, possono dare un grande contributo a lacerare il tessuto di menzogne con  cui si tenta di strangolare il loro paese. Per questo la difesa della tradizionale coesione interna della comunità, delle sue usanze e tradizioni, non basta più. Occorre uscire allo scoperto, incontrarsi con il paese ospitante, frequentarne i giovani, i movimenti politici, culturali, sociali, che nell’Eritrea possono vedere un modello, un fratello e una luce. Una stella nella notte dell’Africa. E di tutto l’Occidente. 

Milano

Bologna

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 12:56

8 Marzo postscriptum: SEBBEN CHE SIAMO DONNE

http://fulviogrimaldi.blogspot.it/2017/03/8-marzo-postscriptum-sebben-che-siamo.html

MONDOCANE

MERCOLEDÌ 8 MARZO 2017

A partire da quello davvero acuto e stimolante di Sergio Martella, riporto qui sotto alcuni interventi sulla guerra di genere di cui le varie marce e manifestazioni delle donne, da quella contro Trump allo sciopero di oggi, sono espressione voluta, non tanto da chi vi partecipa, quanto da chi queste iniziative promuove, sponsorizza, finanzia. Rimpiangendo le eroiche suffragette di inizio secolo e inchinandoci davanti a compagne, come l’honduregna Berta Caceres, che, soprattutto nel Terzo Mondo, hanno sfidato colonialismo, imperialismo, capitalismo, tutti strutturalmente transgender, possiamo immaginare oggi alla testa di questi cortei, invisibile ma emblematica presenza, un bello squadrone a passo dell’oca: Hillary Clinton, Madeleine Albright, Golda Meir, Margaret Thatcher, Condoleezza Rice, Samantha Power, Victoria Nuland (“Fanculo Europa”), Suzanne Nossel (ex-direttore di Amnesty International), Angela Merkel, più qualche velina vernacolare, tipo Federica Mogherini, Roberta Pinotti, Maria Elena Boschi, Elsa Fornero, Marianna Madia e l’impareggiabile sgovernante della Camera, imparziale ghigliottinatrice renzista di oppositori, Laura Boldrini. Tutte oggi in prima fila nel denunciare come, in quanto donne, abbiano subito violenza ed emarginazione. Passati questi stivali con tacchi a spillo ci rimane il deserto. Di macerie, sangue, ossa, morte. Perlopiù di donne.

Di questa rappresentazione dello stato di cose presenti un esempio calzante lo fornisce l’edizione odierna del “manifesto”, storico house-organ del femminismo inteso come strumento per il superamento di qualsiasi conflittualità che non fosse quella tra maschi e femmine. Il numero dell’8 marzo lo esemplifica nella gerarchia delle notizie. Sei pagine alle donne in piazza in 40 paesi, nelle quali si incontrano titoli come “Libere tutte”, “Un nuovo popolo internazionale guidato dalle donne”, “I politici abbiano il coraggio di dirsi femministi” (Laura Boldrini), “Il femminismo, una chiave di volta globale”. Dove la donna in quanto tale, non quella più brava e giusta, diventa categoria politica indefettibile. Non dimenticando in quale contesto questo primato femminista il “manifesto” è chiamato a collocare, la prima pagina si apre e un paginone interno si dedica alla più recente delle operazioni Cia per distruggere la Siria, donne comprese: il rapporto di “Save the children” (2011: “Gheddafi riempie di Viagra i suoi soldati perché stuprino anche i bambini”. 2013: “Ah no, scusate, falsa informazione”) sulla malasorte dei bambini in Siria. Sulla base delle solite interviste anonime si sparano dati a cazzo sui milioni di bambini siriani morti, mutilati, traumatizzati, affamati, depressi, orfani, insonni, suicidi, privi di casa, scuola, salute.

Naturalmente il problema c’è, ma la grottesca esagerazione del dato e l’attribuzione della colpa, ossessivamente ripetuta, esclusivamente a bombe e bombardamenti , per definizione “di Assad”, insudicia la finta preoccupazione umanitaria. Esce allo scoperto lo scopo, avallato con entusiasmo dal “manifesto”: annientare ogni riferimento a chi questa tragedia ha causato, iniziato, condotto fino a oggi con la sua aggressione e i suoi subumani mercenari, occultare gli immani sforzi che il governo di Damasco compie e, con successo, per assicurare vita e fabbisogno sociale ovunque le sue eroiche truppe riescono a strappare pezzi di Siria al carnefice. E chi, per il “manifesto”, ha “ucciso l’infanzia dei bambini siriani”? Una roba astratta: “lo stress tossico”. Come quando si parla di spirito santo per l’inseminazione di Maria. Non li puoi mica catturare e processare, lo spirito santo e lo stress tossico. Aggressori genocidi come Obama e Hillary, magari sì. Ma di loro non si parla.


Come non se ne parla nel modestissimo colonnino che il “quotidiano comunista” dedica alla bomba mondiale del giorno, al più grosso scandalo politico della congiuntura, sul quale tutti, perfino i media più atlantico-talmudisti della marca italiota aprono con spazi ed enfasi da evento epocale. Eppure è di stretta pertinenza dei dioscuri del “manifesto”, Barack e Hillary, la CIA. Tanto che oggi, in nome e per mandato loro, si avventa sul successore cercando nei modi più sporchi di farlo fuori. Prima Trump scopre che, commettendo una fellonia da alto tradimento, Obama lo ha fatto spiare in casa durante la campagna elettorale. Poi, altro che la ridicola bufala degli hacker di Putin, l’impareggiabile Julian Assange, terzo in una serie di eroi-martiri della verità, dopo Chelsea Manning e Edward Snowden, annega per sempre il maggior serialkiller della lista dei presidenti Usa e la sua immeritata fama, sotto un oceano di crimini contro l’umanità ordinati alla CIA e agli altri servizi segreti, anche esteri, perpetrati con la distruzione tecnologica di ogni identità, libertà, riservatezza di milioni di persone. Schermi e attrezzi elettronici che ti ascoltano, guardano, registrano, seguono, perseguitano, violano. Sapere tutto di tutti per la sorveglianza, il controllo, il ricatto, il dominio totali. Lo dobbiamo a Obama e a chi gli ha fornito gli strumenti: gli scienziati pazzi, ma lucidi, di Silicon Valley da cui, poco fa, l’App Renzi è andato a farsi risettare.

Tutto questo è demagogia, lo riconosco, e dice poco sul tema, nel quale primeggia, al di là delle fregole di potere di un movimento delle donne che pratica l’androfobia per gli stessi nobili fini per cui i famelici di guerre si sfondano di russofobia, la condizione storica della donna. Quella che arriva da noi ridotta in condizioni effettivamente pietose se riportata all’evo del primato matriarcale pre-ellenico. Età in cui le donne, scoperta l’agricoltura e sottratta l’alimentazione ai barbuti cacciatori, avevano inventato la Grande Dea, monopolizzato il potere e se azzardavi una corteo maschilista, finivi , sgozzato dalla regina, a spargere seme e sangue sui solchi da fertilizzare. Ne rimase qualche eco nel mito delle Amazzoni. Ma da Zeus in poi la condizione si fece iniqua, altamente discriminatoria sul piano economico e politico, non necessariamente su quello umano o famigliare, dove la custode del focolare e dei procreati conservava il mestolo del comando. Per uscirne c’è voluta una lotta di donne che, per intelligenza, coraggio e sincerità, stanno alle marciatrici di oggi come una parmigiana sta a un hamburger di McDonald’s. Ma chi se le ricorda le suffragette?

La spiegazione è stata vista, da un femminismo che si confronta col maschilismo in termini speculari, in un patriarcato che, scisso da condizioni economiche, ambientali e dai rapporti di produzione, trae la sua origine unicamente dalla natura violenta e prevaricatrice del maschio. Violenza che, considerando l’esiguità di muscoli e struttura ossea, non farebbe parte di un’identità femminile, interamente dedita alla vita, alla cura, agli affetti . Si annebbia l’idea che la persona, donna o uomo che sia, possa essere brava o stronza, violenta o nonviolenta, indipendentemente dal genere. E se eccezioni negative appaiono tra le donne, è solo perché in loro si è verificato un processo di mascolinizzazione. Concetto privo di base scientifica e clamorosamente smentito dall’osservazione della realtà, ma utilissimo ai processi gemelli di vittimizzazione delle une e colpevolizzazione degli altri. Processi, come Israele esemplifica meglio di qualunque altro fenomeno, utili al perseguimento del dominio.

Io sono uno che ha maltrattato alcune donne. Ma io sono anche uno, dei tanti, che da alcune donne, con ruolo particolarmente vigoroso della mamma che mi ha riempito di botte e cultura, è stato maltrattato. Loro portano le ferite che gli ho inflitto. Io porto i traumi venutimi da loro. Non è difficile individuare se sia venuto prima l’uovo o la gallina. Ma la catena ancora non si è rotta e la guerra che continua, continua a distoglierci dalle guerre che si dovrebbero combattere insieme. Succede agli arabi quando siano sciti e sunniti e agli uni è fatto credere di essere più giusti degli altri. Forse però un equilibrio si stabilirebbe, se il colto e l’inclita, infrangendo il muro del frastuono delle femministe anti-maschio (e mai anti-Nato e, dunque, anti-fine del mondo per grazia capitalista), facessero mente locale alla mamma, che è sempre la mamma, di cui ce ne una sola e tutte le altre sono puttane, che a forza di unicità, dimensione divina, ricatto affettivo, il maschio se lo ricaccia metaforicamente nell’utero, diventandone inizio e fine. Di androfaghe non è la sola.Un po’ come pretende la Chiesa, che non per nulla si dice madre.


Ciò che non mi torna è che, a fronte di un gigantesco apparato di mobilitazione femminile contro l’altro genere, la piattaforma della manifestazione pervicacemente ignora ciò che i due generi uniti in operativa simbiosi, tipo Hillary-Barack, Condoleezza-Bush, Pinotti-Renzi, combinano, specificamente alle donne, con le bombe sui loro padri, figli, mariti, case, campi, con gli stupri delle soldataglie proprie o surrogate, con lo sradicamento e la dispersione nel vento a forza di ordigni economici e climatici, con lo stritolamento sociale che impone doppi e tripli lavori casa-fuori casa, con figli/e che non trovano né asili, né scuole sostenibili, né lavoro. Esempio di mia fresca esperienza: Eritrea sotto sanzioni Onu-Usa-UE volute specificamente dalla donna Clinton che allora era segretaria di Stato del solito Obama. Sanzioni come sempre in prima linea contro le donne, architrave di ogni società, specialmente quando condizioni di penuria le caricano di oneri superiori. Una donna che nell’ultima contesa elettorale le femministe (e il “manifesto”) invitavano a votare. Una donna che si avventava su donne che avevano combattuto per la liberazione e, in simultanea, avevano potuto emanciparsi agli occhi di se stesse, prima ancora che agli occhi dei maschi. Donne che non si sono scordate di se stesse e del loro specifico genetico e storico, ma che frequentano, accanto al Kalachnikov, lo stetoscopio, la benda, l’ago e la sutura, il mestolo e il fuoco, la cattedra e i banchi.

Domanda finale: ma una marcetta, un piccolo presidio, uno sciopericchio, una raccoltina di firme, contro quelli che vi hanno fregato, più di qualsiasi maschilista sciovinista paternalista patriarcale, nei secoli dei secoli, contro i preti mai?

A seguire gli altri interventi.

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Sergio Martella ha aggiunto 3 nuove foto — con Fulvio Grimaldi e altre 27 persone.

“SCIOPERO DELL’8 MARZO”

UN GRANDE MOVIMENTO REAZIONARIO COSTRUITO PER LE DONNE (che ci stanno) E PER FOMENTARE L’ODIO DI GENERE.
Le sole motivazioni sono il conflitto tra i sessi e lo spostamento delle reali tematiche di lotta e di diritti di emancipazione sociale su posizioni reazionarie e sessiste.
Non si parla di diritto all’aborto assistito, di diritto e tutela sul lavoro, di maternità consapevole e protetta, di potenziamento dei servizi pubblici, di diritto alla salute, scuola e asili nido. Nulla di tutto questo .

La violenza è l’unico slogan che cancella la pianificazione oppressiva del potere come causa comune del disagio e dell’illegalità diffusa ed offre all’ignoranza acefala di chi ci vuole credere un unico capro espiatorio: il maschio in quanto tale.

Tutto è riscritto solo e soltanto al femminile come se oppressione e sfruttamento fossero temi da subordinare ad un discorso sessista e criminale che accusa il “maschio” come causa di violenza. Non esiste la violenza delle donne contro le donne, contro gli uomini e contro i figli? Siamo proprio sicuro che non esista?

Questo approccio e fascista e razzista. La violenza non ha genere ma genera dalla maleducazione familiare, dall’ingiustizia, dall’educazione religiosa e da tanta tanta ignoranza come questa messa in campo a livello di massa.

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Sergio Martella. Infatti ma il grave è che la campagna mediatica è orchestrata al pari di altre tematiche obbligate e dirette (bullismo, gender, meningite, terrorismo mediatico e finanziario…). Fa appello ad istanze falsamente progressiste in realtà reazionarie ed evita appunto di focalizzare il saccheggio di servizi, dignità e diritti sociali.

Sergio Martella
Fulvio Grimaldi vero è che la violenza della donna sul mondo maschile sui figli è proporzionale al potere affettivo del suo ruolo ma è anche proporzionale alla sua alienazione e alla oggettiva sofferenza di una fisiologia in continua contiguità con il dolore e con il sangue. I misteri eleusini del dionisiaco erano sanguinari come tutti i riti matriarcali, proprio per la natura proiettiva della percezione esistenziale e fisiologia della sua condizione connessa a doglie, dolori mestruali, parto, menopausa, setticemia e sessualità violenta. Oggi è molto diverso, il corpo della donna ha ben maggiori tutele. Molto però resta da fare. Soprattutto nella mancanza di rispetto che ancora la madre ha per la figlia vissuta come concorrente. L’ ambivalenza in questo campo è deleteria, genera ancora troppo conflitto e mancanza di autostima nelle giovani donne. Lo scarico sul maschile e contro il maschio ne è la conseguenza. Infine bisogna precisare che non esiste un “patriarcato” come alternativa al matriarcato: siamo mammiferi, non “babbiferi”. L’alternativa alla violenza del matriarcato non è un inesistente patriarcato (oggi meno che mai!9 ma la civiltà sociale, la Polis! I rapporti sociali che sopravanzano quelli del privato egoistico famigliare. In questi Bacofen, Neumann ed altri autori sono concordi.

Fabrizio Marchi Sergio Martella ovviamente…l’altra faccia della tragedia, dal mio punto di vista, è che tutta la sinistra, anche quella comunista, abbia aderito e aderisca pedissequamente a questa campagna di criminalizzazione sessta, sia pur camuffata di “progressista e di sinistra”. Una forma di cecità che ormai da tempo non esito a definire patologica…figlia di un dogmatismo e di un’ottusità purtroppo duri a morire…

Fabrizio Marchi Artemisia Mazzotta appunto, c’è una sorta di celebrazione del femminile in corso da molto tempo che avviene contestualmente ad un atteggiamento di passiva e supina accettazione da parte dei maschi, ormai per lo più psicologicamente spappolati dopo decenni di colpevolizzazione. E’ ovvio poi che la capacità del femminismo di occupare la psiche dei maschi è dovuta ad una fragilità intrinseca di questi ultimi dovuta al condizionamento materno. Ma ovviamente su questo cala il sipario perchè se si dovesse ammettere che in realtà le donne e soprattutto le madri esercitano un potere enorme sui figli e sulle figlie il femminismo si squaglierebbe come neve al sole…

Monica Lisi

Essendo donna trovo assurdo che nella giornata internazionale della Donna non vengano trattati i temi per noi più importanti. Il diritto all’aborto, politiche che ci tutelino come madri nei luoghi di

La violenza non è mai di genere,ma è un sintomo di problematiche profonde e affonda le radici nella famiglia e nella società. Penso che una lotta tra i sessi e il concetto di violenza di genere non fanno altro che dividerci e questa divisione giochi a favore del potere politico ed economico. C’è bisogno di un nuovo femminismo che a differenza del vecchio femminismo che insieme alle giuste lotte che hanno portato all’ottenimento di tanti diritti ( che oggi ci stanno togliendo), non faccia l’errore nel vedere anche nel genere maschile la fonte del proprio malessere. Dovremmo vederci, uomini e donne, incontrarci per dibattiti e riflessioni su questi e altri temi. Metto a disposizione la sede della mia associazione ( Viva.Io) se necessario