MALI. PEULS VS DOGONS: UNE CENTAINE DE MORTS DANS UN NOUVEAU CARNAGE !

REVUE DE PRESSE AFRICAINE …

2019 06 10

PANAFNEWS-RP 031b

Après n’être pas parvenue à imposer son plan de découpage du grand Mali, avec à la clé la séparation de l’Azawad au nord, Paris travaille depuis quelque temps à la problématique intercommunautaire. Luc Michel, géopoliticien, revient sur ce sujet et révèle les dessous du massacre des Peuls au Mali.

* Peuls contre Dogons :

Voir l’analyse du géopoliticien Luc MICHEL

Pour le ZOOM AFRIQUE de PRESS TV (Iran)

sur https://www.presstv.com/DetailFr/2019/04/05/592621/Mali-la-stratgie-rampante-de-Barkhane

Video aussi sur https://www.youtube.com/watch?v=UKdjuAl4pMQ

# MALI:

UNE CENTAINE DE MORTS DANS UN NOUVEAU “CARNAGE”,

LE GOUVERNEMENT APPELÉ À AGIR

AFP

PANAFNEWS-RP 031c

Une centaine de morts, des maisons incendiées, des animaux abattus: une attaque a ravagé un village dogon du centre du Mali, ensanglanté par un cycle d’atrocités entre communautés de plus en plus antagonistes, pour lequel l’ONU a appelé lundi à un “sursaut national”.

Cette attaque, dans la nuit de dimanche à lundi, contre un village de la zone de Bandiagara, à l’est de Mopti, fait suite au massacre le 23 mars de quelque 160 Peuls attribuée à des chasseurs dogons dans cette région, proche de la frontière avec le Burkina Faso, devenue la plus violente du pays.

Depuis l’apparition en 2015 dans le centre du groupe jihadiste du prédicateur Amadou Koufa, recrutant prioritairement parmi les Peuls, traditionnellement éleveurs, les affrontements se multiplient entre cette communauté et les ethnies bambara et dogon, pratiquant essentiellement l’agriculture, qui ont créé leurs “groupes d’autodéfense”.

“Des hommes armés, soupçonnés d’être des terroristes, ont lancé un assaut meurtrier contre le paisible village de Sobame Da”, également connu sous le nom de Sobane-Kou, a indiqué le gouvernement.

Le bilan provisoire “fait état de 95 morts et de 19 portés disparus, plusieurs animaux abattus et des maisons incendiées”, précise le gouvernement, dénonçant un “carnage”.

“C’est un village dogon qui a été quasiment rasé”, a confié une source de sécurité malienne sur place. Un élu local a évoqué des “corps calcinés”.

* Info intéressante non commentée. MAIS A lire avec esprit critique (média occidental) …

https://www.lepoint.fr/monde/mali-une-centaine-de-morts-dans-un-nouveau-carnage-le-gouvernement-appele-a-agir-10-06-2019-2318047_24.php

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75° DELLO SBARCO IN NORMANDIA ——— L’UN POPOLO E L’ALTRO SUL COLLO VI STA

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MONDOCANE

SABATO 8 GIUGNO 2019

https://www.youtube.com/watch?v=vZmWlQfFuMk  dedicato agli innominabili

Lo sbarco

Vittorie, liberazioni, processi

Nei giorni scorsi, in Normandia, rianimando un po’ di vecchietti scampati al pianificato massacro e ciononostante belli giulivi, con in testa il basco e sul petto la spilletta di reduce, hanno iniziato alla grande a scassarci quanto è particolarmente caro a noi e prezioso alla continuità della specie minacciata. E diabolicamente persevereranno quando, dallo sbarco, l’anno prossimo, passeranno al settantacinquesimo della “vittoria”. Da noi, in mancanza di quella,  si blatererà di “Liberazione”, che è come dire bravo a chi ha raso al suolo Montecassino. Indi, un altro anno, ottobre 1946, fanfare, piatti e timpani per la celebrazione del primo processo chiamato “Giustizia”, inflitto dal vincitore al vinto, dal bene assoluto al, per antonomasia, “male assoluto”.

Da lì in poi, come sappiamo, non passa anno che non vi sia occasione per celebrare la ricorrenza di un qualche glorioso effetto della “vittoria”. Tipo l’UE, con concomitante fine di un’obsoleta forma di democrazia costituzionale antifascista e della pericolosamente nazionalista autodeterminazione dei popoli; tipo Nato, che ci permette di diffondere i suddetti principi a un universo mondo preda di fobie anti-occidentali; tipo mercato, addetto a una più felice distribuzione della ricchezza, come già sperimentata in forme meno radicali nella migliori tradizioni della civiltà umana: feudali, imperiali, coloniali. E non ci sarà celebrazione  nella quale non si onorerà anche il magistero della Chiesa, sempre e comunque patrocinatrice di ogni forma di processo che irrobustisca i forti e nobili.

Il processo di Norimberga era quella fantasiosa innovazione post-giuridica (come c’è il post-fascismo, c’è pure il post-diritto), che in inglese viene chiamata “Kangaroo Court”, tribunale del canguro, probabilmente perché nel marsupio il soggetto porta già bell’e pronte le sentenze dell’addomesticatore. Ha poi figliato efficaci succedanei sotto forma di Tribunale Penale Internazionale per la Jugoslavia, o per il Ruanda, o Corte Penale Internazionale (riservato ai soli umani di colore scuro), o, ancora, i Grandi Giurì segreti statunitensi, tipo quello che tiene in carcere quella capocciona di Chelsea Manning, finchè non testimonia contro il “traditore e spione Assange”. Incombenza che le verrà risparmiata quando il trattamento riservatogli prima dagli ecuadoriani e poi dai servizi britannici avrà ottenuto lo scopo: la scomposizione fisica di Assange.  Ma anche alcune magistrature italiane vi si sono ispirate, come è venuto a galla in questi giorni.

Giudici e giudicati

Accantonando per l’occasione il nostro disprezzo e dispetto per fascismi  e nazismi (quanto le loro eredità di dittature non più in orbace e campi di concentramento, ma psicotropiche, con tanto di campi di internamento mentali), dobbiamo attribuire a chi si è ispirato a dadaisti come Duchamp, o surrealisti come Breton, la scelta dei padrini di certi processi. Come quelli in cui le accuse a generali e bonzi del nazismo venivano da giureconsulti  del livello di Churchill, che a milioni di cittadini inermi in Iraq, India, Dresda, aveva insegnato il diritto a forza di bombe e gas tossici. O come dai successori di un Napoleone che aveva, sì, portato il Codice e l’emancipazione laica al resto d’Europa, ma a costo di ridurre al lumicino la popolazione maschile francese dai 15 ai 70 anni; o di quelli del Mayflower che, per portare il diritto all’America e al resto del mondo, dall’eliminazione dei nativi sono passati alla media di una guerra all’anno al resto del mondo.

Sia come sia, non si può negare che Trump, Macron e la May in via di dissoluzione, in Normandia abbiano tratto dallo sbarco vittorioso la certezza, primo, che l’Unione Sovietica – e oggi la Russia – non c’entra nulla in tutto questo, sebbene si vanti di aver sacrificato 27 milioni di suoi cittadini e sconfitto la Germania quando il D-Day era ancora di là da essere concepito. Del resto i morti mica si contano, si pesano. Un conto sono quelli dei paesi civili. Un conto gli altri. E cosa sono le 148,3 le vittime russe su 1000 abitanti, 95,1 le tedesche, rispetto alle 3,1 Usa, le 7,6 britanniche e le 13,4 francesi? Dice, già, ma sono i tedeschi ad aver incominciato. Intanto non è proprio del tutto vero, ma c’è anche chi ha contribuito a dargli la forza per farlo. Come per esempio, Wall Street e sue banche e imprese come Ford, General Motors, Du Pont, ITT e altre, tutte statunitensi. Hanno tutti collaborato a fare di World War II il più bel fuoco d’artificio della storia umana.

Una storiografia come i vangeli, una cronaca come le tavole di Mosè

Vabbè, ognuno si guardi in casa sua e, come ci informa la Storia, di cui si sa chi la scrive e su quale pelle viene scritta, quella tedesca, o italo-tedesca, era indubbiamente la casa che andava rasa al suolo, per essere poi ricostruita “più bella e più superba che pria”. E visto che c’erano, anche quella di tutta Europa. Ed ecco  che ci siamo goduti settant’anni di pace, osservando dall’alto le macerie fumanti della Jugoslavia (che c’entra, era fuori dall’UE e pure socialista) e lasciando che furori bellici si scatenassero, ma lontano da noi, seppure spesso con il nostro fattivo contributo in armi e salme, sempre per diffondere la pace e quel diritto che era germogliato da Norimberga. Corea, Vietnam, Palestina (per interposti terzi), America Latina, Caraibi, Cambogia, Laos, Somalia, Iraq, Libia, Siria, prossimamente Iran, Venezuela, Russia, Cina. E dove l’ordine democratico poteva essere ristabilito evitando terrorismi, invasioni e bombe, ecco che si procedeva sul velluto, con rose, gelsomini e altre inflorescenze colorate: Georgia, Ucraina, Kirghizistan, Libano, Honduras, Egitto, DDR, Tien An Men, Budapest. E ora Algeria, Sudan, paesi, questi,  sotto regime change, sui quali le solite disossate pseudoradicalsinistre cadono nelle più scontate e grossolane trappole allestite dai colonialisti….

Fedeli alla linea

Gli inconsapevoli vegliardi in basco, tremolanti sull’attenti a Caen, ma più sinceri di qualsiasi loro commilitone con più di un grado sul braccio o una stella sulle mostrine, e i del tutto consapevoli Trump e soci, hanno di che vantarsi della missione condotta dai loro predecessori  e oggi da loro portata avanti. Dalle spiagge imbiancate dagli ossi di seppia e di uomo della Normandia, possono guardare a un continente liberato ed evolutosi a immagine loro e di dio. Saggi piovuti dal cielo dei management supergalattici, ci dicono da Bruxelles cosa fare, dire, pensare, amare, detestare. Noi li confortiamo ogni cinque anni con un voto che i loro missi dominici locali ci consentono di dare e ci consigliano di indirizzare, anche a forza di odorose fritture di pesce. E in tal modo che da noi ha potuto fiorire una classe dirigente omologa, perfettamente rispondente agli auspici scaturiti dagli sbarchi, con tutti i suoi presidenti (tranne uno), tutta la sua magistratura (tranne forse una dozzina di PM), tutti i suoi media (tranne mezzo) in linea.

L’uomo e la società nuovi

Ma non solo politica e istituzioni. Magnifiche e progressive se ne sono sparse per l’Europa società e cultura. Un rinnovamento e rilancio di civiltà. Lucky Luciano, in diretta dalla New York dei Gambino, dalla Chicago degli Al Capone, giunto sulla scia di un altro sbarco glorioso, in Sicilia, ha proposto e fatto realizzare una nuova forma di coesione sociale, di solidarietà e fratellanza umana. Tutta proiettata sulle opere di emancipazione e progresso. Ne è uscita, in fattiva sinergia, la classe dirigente più illuminata e perspicace d’Europa. Una società dell’armonia tra le sue componenti destrosinistre e di perfetta aderenza al paradigma formulato al momento di quegli storici sbarchi. Non stupiamoci, dunque, semmai sbigottiamoci, se ci capitano dinastie, se non arcaicamente di sangue, modernamente di destinazione d’uso,  come quelle degli Andreotti, Renzi,  Napolitano, Salvini. A proposito di quest’ultimo, può succedere perfino a un Saviano di dire una cosa giusta, ricordate…..

Culture e popoli sul collo

Forme e contenuti innovano su schemi logorati dal tempo: niente cappuccetto rosso, ma Barbie, basta col lupo cattivo, Mazinga. E la favolistica che costituiva la narrativa di formazione delle nostre infanzie assume quel carattere concreto, realistico e pedagogico  a Hollywood, fucina di cultura, dove la plebe lavoratrice vivacchia residuale nelle sole pellicole di un vecchio fissato inglese. Nuovi portatori di giustizia e libertà sono gli LGBTQI e nei videogiochi si vince sfoltendo l’umanità a colpi di spada o pallottola e allargando gli spazi ai buoni. E se prima per farti una giocatina alla roulette, e spararti in frak sulla gradinata del casinò dopo la rovina totale, oggi scommesse e giochi ce li hai a ogni angolo e di azzardo ti puoi strafare perfino a casa, online. E poi, non è forse meglio del vaiolo la ludopatia?

Quanti turbamenti e cambiamenti da assimilare nel corso dei secoli quando sopra ci passavano, perlopiù predando e bruciando, goti, longobardi, turchi, unni, borboni, francesi, austroungarici, germani (unici a comportarsi bene, greci e arabi, toh!). Poi, assunto il peso dell’unità nazionale, abbiamo, da soli, sbagliato un po’ tutto, sia come colonialisti, sia nella scelta tra perdenti e vincitori. Ma poi, un bel giorno del 1945, ci siamo detti liberati. Procedendo con coerenza, c’è chi pensa a liberarci anche dall’unità.

Alessandro Manzoni, lamentando che un popolo, i longobardi, e l’altro, i franchi, ci stavano sul collo, denunciava quella che allora, pure, era detta liberazione: non liberati dagli uni e, in compenso, dominati dagli altri. A lui pareva brutto, ma eravamo nell’800. Oggi tra Usa, UE, Nato e Vaticano, di liberatori sul collo ne abbiamo tanti. E stiamo benissimo. Viva il 75°!

Il forte si mesce col vinto nemico,
Col novo signore rimane l’antico;
L’un popolo e l’altro sul collo vi sta.
Dividono i servi, dividon gli armenti;
Si posano insieme sui campi cruenti
D’un volgo disperso che nome non ha.

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 17:56

Incursione notturna No Tav over 70 (tranne una) dentro al cantiere!

http://www.notav.info/post/incursione-notturna-no-tav-over-70-tranne-una-dentro-al-cantiere/

post — 7 Giugno 2019 at 01:21

Da molti anni oramai lo affermiamo, lo abbiamo altresì dimostrato in centinaia di modi diversi e, nonostante questo, continua ad esserci chi cerca di fare affari sulle nostre vite e sulla nostra terra: noi ci siamo, non molleremo mai!

Questa sera alcuni No Tav dai capelli grigi insieme ad una giovane hanno approfittato di una delle numerose falle nella sicurezza del cantiere  (fermo da oltre un anno ma trasformato in luogo di confino per polizia e carabinieri a monitorarne i recinti) per fare un giro dentro al cantiere.

Armati di striscione e di tutto il necessario per passare la notte in gattabuia hanno sfidato la sicurezza del sito strategico nazionale e raggiunto l’obiettivo sperato, il cuore del cantiere tanto amato da imprenditori senza scrupoli e politici di tutti i colori.

Ovviamente la loro presenza non ha gratificato i solerti difensori dell’ordine costituito che li hanno identificati e denunciati.

Nessuna pace per chi vuole distruggere la nostra terra.

L’estate è lunga da passare (per voi), noi non ci stancheremo mai!

Avanti No Tav

‘LIBERATION’ OU PASSAGE D’UNE ARMEE D’OCCUPATION A L’AUTRE (LE MYTHE DU ‘6 JUIN 1944’ II)

LM DAILY / 2018 06 07/

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE

REVUE DE PRESSE COMMENTEE

LM.GEOPOL - Géohistoire le mythe du 6 juin 44 II rp (2019 06 07) FR

« Des scènes de sauvagerie et de bestialité désolent nos campagnes. On pille, on viole, on assassine, toute sécurité a disparu aussi bien à domicile que par nos chemins. C’est une véritable terreur qui sème l’épouvante. L’exaspération des populations est à son comble »

– La Presse Cherbourgeoise (quotidien normand, 17 octobre 1944).

« On ne peut pas dire que les relations [avec les Allemands] étaient cordiales mais elles furent correctes »

– La Presse Cherbourgeoise (mai 1945).

 « On montrait des Français exultant devant l’arrivée «des Américains». En fait les troupes alliées furent souvent accueillies dans un silence glacial par une population décimée par les bombes et dont les villes et les villages avaient été rasés sans pitié par les avions libérateurs. Encore aujourd’hui, la Normandie, à Caen, à Saint-Lô, à Valognes ou Carentan, porte les stigmates de ces frappes impitoyables sur les civils, sans que l’efficacité militaire de ces destructions soit entièrement prouvée, source de débats infinis entre historiens. Tout comme elle garde parfois un souvenir mélangé du comportement des soldats alliés, trop souvent enclins au viol et à la destruction préventive des fermes et des maisons »

– ‘La Lettre’ de Laurent Joffrin (5 juin).

Nous évoquions hier le déluge de propagande occidentale pour le 75e anniversaire du ‘

 Juin 1944’. Entre autres impostures historiques, le mythe repose sur la « Libération » et l’accueil délirant des populations européennes aux « libérateurs » anglo-saxons. Les cérémonies de ce 6 Juin en France, objet d’une récupération indécente par un Macron plus américanolâtre que jamais, reposaient sur cette imposture historique, qui aura mis des décennies à être dévoilée et dénoncée par certains historiens.

Auteur du livre « La Normandie américaine », fruit de nombreux témoignages et d’archives dépouillés aux États-Unis, l’historien Stéphane Lamache, note qu’« Après ce cataclysme, les Normands n’aspirent qu’à être débarrassés de la guerre. Les Américains visent la victoire finale sans plus se préoccuper des états d’âme des habitants ». « La Libération a été payée au prix du sang et des destructions massives dans la Manche, 4 000 morts civils, le double de blessés, 10 000 maisons rasées, 50 000 autres endommagées, 130 000 sinistrés qui n’ont plus rien (…) Les graines du divorce sont semées », commente ‘Le Point’ (Paris).

LES ALLEMANDS N’AIMAIENT PAS LES JUIFS, L’US ARMY SEGREGATIONNISTE N’AIME PAS SES SOLDATS NOIRS …

Auteur de « Les Manchois dans la tourmente 1939-1945 », l’historien Michel Boivin (cité par ‘Le Point’) a recensé 206 viols d’origine américaine. Selon la Military Police, « 80 à 85 % des crimes graves (viol, meurtre) ont été commis par des troupes de couleur » (sic). « L’armée américaine des années 1940 est, à l’image du pays, ségrégationniste. À Cherbourg, on compte deux foyers de la Croix-Rouge : un pour les soldats blancs, un pour les noirs. Dans sa recherche de criminels, la police militaire s’est-elle montrée plus compréhensive pour les premiers que pour les seconds ? Les soldats de couleur cantonnés à la logistique ont stationné de longs mois dans le Cotentin, territoire étroit, alors que les combattants n’y ont que transité. La gendarmerie locale avait recommandé l’ouverture de maisons closes, les autorités américaines s’y sont opposées », commente ‘Le Point’.

Je partage évidemment la conclusion du ‘Point’ : « Les alliés de 1944 s’apprêtent à fêter le 75e anniversaire du Débarquement et ses scènes d’allégresse. Ne serait-il pas temps d’évoquer des épisodes plus sombres ? »

LM

# REVUE DE PRESSE :

« À L’AUTOMNE 1944, FRANÇAIS ET TROUPES AMERICAINES AU BORD DE L’AFFRONTEMENT » (LE POINT, 6 JUIN 2019)

Après la presse normande et le journaliste de ‘Libé’ Laurent Joffrin, ‘Le Point’ (Paris) consacrait hier une analyse fouillée à cette imposture historique : « Trois mois après le jour J, les Normands n’en peuvent plus des exactions des soldats qui les ont libérés. Retour sur un épisode méconnu » …

Extraits :

« Des scènes de sauvagerie et de bestialité désolent nos campagnes. On pille, on viole, on assassine, toute sécurité a disparu aussi bien à domicile que par nos chemins. C’est une véritable terreur qui sème l’épouvante. L’exaspération des populations est à son comble. » Le 17 octobre 1944, quatre mois et demi après le Débarquement en Normandie, La Presse cherbourgeoise, quotidien local de Cherbourg, publie cette mise en garde sous le titre « Très sérieux avertissement ». À l’automne 44, ceux qui pillent, violent et assassinent sont les Américains : le journal accuse les libérateurs de se comporter en soudards dans un pays conquis. Comment un tel paradoxe deux mois après la fin des combats en Normandie ?

Une fois libérés, la presqu’île du Cotentin et son port sont devenus une gigantesque base logistique. Sur les quais, un millier d’officiers et marins américains assurent, avec les dockers français, le débarquement quotidien de 10 000 tonnes de véhicules, munitions, nourriture. Le 29 septembre 1944, 1 318 camions GMC en partance de Cherbourg acheminent vers les troupes alliées du front 8 000 tonnes de matériel. Sur les premiers kilomètres de la « Red Ball Highway Express », la route du front, défilent hôpitaux, dépôts, aérodromes, camps de repos, chaînes de réparation pour tanks et camions. Les entrepôts du Cotentin mobilisent des militaires en nombre : les 430 000 habitants du département de la Manche cohabitent avec 120 000 soldats américains, dont 50 000 Afro-Américains. D’emblée, la cohabitation, qui s’est prolongée jusqu’en 1946, ne s’annonce pas facile : « L’enthousiasme des Normands pour les forces anglo-américaines risque de s’inverser proportionnellement à la durée de notre séjour en Normandie », prévient dès l’été 1944 la 1re armée américaine (…) »

« Les premières blessures relèvent de l’amour-propre. Les GI, qui organisent des bals sous tente avec plancher, mettent en place des tournées en GMC pour amener les jeunes femmes sous leurs guinguettes. Mais pas ou peu de place pour les jeunes Normands. Le stade de Cherbourg devient un enjeu. Au terme de quatre mois de négociations, les mardi et jeudi sont réservés aux footballeurs cherbourgeois. Un mardi de mai 1945, une violente bagarre éclate entre joueurs de base-ball américains, campant sur place, et footballeurs qui réclament les lieux. La Presse cherbourgeoise compare les libérateurs avec les occupants précédents : « On ne peut pas dire que les relations [avec les Allemands] étaient cordiales mais elles furent correctes. » À la rentrée scolaire 1945, l’état-major allié (le Shaef pour Supreme Headquarters Allied Expeditionary Force) annonce vouloir maintenir dans plusieurs écoles des détachements de la Military Police, qui y sont installés depuis la Libération : « Maintenant que nous sommes en paix, nous ne pouvons pas tolérer que les militaires aient le pas sur la population civile », tonne le maire de Cherbourg, René Schmitt. »

Suivent les querelles financières et matérielles. Fin août 1944, les Américains emploient 7 000 travailleurs civils pour 75 francs par jour et une ration militaire. « Avec 100 francs, les Allemands payaient mieux » constatent les ouvriers. L’Organisation Todt, chargée de construire le mur de l’Atlantique, n’avait pas lésiné sur les moyens. Rapidement, les Français seront remplacés par des prisonniers de guerre allemands (…) »

« Ces multiples agaceries réciproques auraient pu rester sans conséquence sans les bruyantes rafales tirées en l’air par des soldats ivres, mais surtout les morts accidentelles. Bien que les routes militaires soient interdites aux civils, on ne compte plus les victimes des camions américains : un enfant de 8 ans tué le 27 août 1944, une mère de famille le 11 septembre, un cycliste le 30 septembre, pour ne citer qu’eux. Autant d’accidents soigneusement rapportés par La Presse cherbourgeoise plus discrète à propos des violences et agressions par les troupes américaines. Du moins jusqu’à son « très sérieux avertissement » du 17 octobre 1944 sur les pillages, viols et assassinats. Le général français, Alphonse Juin, transmet l’article au général Eisenhower avec ce commentaire : « C’est le sentiment de tous les habitants de la Manche et de la Normandie au contact des Américains. » Mais il n’y aura pas de grand déballage. Les autorités américaines se disent « émues des crimes dont se rendent coupables les militaires de couleur (sic) » et répliquent dans le même journal en déclarant la « guerre à l’alcool pour enrayer la criminalité (…) En réponse aux exactions touchant les femmes, la justice militaire américaine frappe fort : le 23 novembre, trois GI sont condamnés à mort pour le viol de deux victimes en juillet 1944, près de Cherbourg. En août sont recensés dix-huit viols. Selon la gendarmerie, on en dénombre trente-cinq en septembre et sept en octobre. Dans les campagnes, plus aucune femme ne veut aller traire les vaches seule le soir dans les champs (…) »

(Sources : Le Point – La Lettre de LK. Joffrin – EODE Think Tank)

# LIRE OU RELIRE MON ANALYSE SUR

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POUR EN FINIR DEFINITIVEMENT AVEC LE MYTHE YANKEE DU ‘6 JUIN 1944’ : NON, LE SOLDAT RYAN N’EST PAS VENU ‘LIBERER L’EUROPE’ !

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Luc MICHEL pour EODE/

Quotidien géopolitique – Geopolitical Daily/

2019 06 06/
PIH-LM-le-mythe-yankee-du-6-juin-2014-06-06-FR

« Pour De Gaulle, c’est en apprenant, à Londres, les premiers succès soviétiques dans la résistance de leurs armées contre l’envahisseur allemand qu’il se persuade que la victoire des alliés sera acquise plus vite que prévu. Sans les batailles de Russie, pas de débarquement en Afrique du Nord, en Italie, en Provence, en Normandie. Dit autrement : sans le national-bolchévisme, point de combat efficace contre le national-socialisme ».

– Jean Daniel (« Voyage au bout de la Nation »).

« Chaque être humain qui aime la liberté doit plus de remerciements à l’Armée Rouge qu’il ne puisse payer durant toute une vie ! »

– Ernest Hemingway.

Le soldat Ryan, emblématique figure de la propagande américaine made in Hollywood, n’est pas venu « libérer l’Europe » le 6 juin 1944. Il est venu appliquer le point central de la Géopolitique anglo-saxonne (Londres et Washington) : empêcher l’unité du Continent eurasiatique (le « Heartland ») sous une puissance unique, jadis la France, le Reich allemand ensuite, Moscou depuis 1943 (1). Hier un commentateur de la BBC vendait la mèche, le « 6 juin 1944 a été le premier débarquement d’une armée en Europe depuis Napoléon » !

Il y a quatres vérités historiques à rappeler sur « le débarquement » :

Le « 6 juin 1944 » se situe historiquement dans la politique séculaire d’hégémonie mondiale des USA ;

Le « 6 juin 1944 », l’occupant yankee a pris la place géopolitique de l’occupant nazi ;

 Le « 6 juin 1944 » est le point de départ de l’imposture historique sur laquelle repose la domination américaine en Europe ;

 Le « 6 juin 1944 » n’est pas une « libération », c’est le début de la colonisation de l’Europe par l’impérialisme américain.

LE TEMPS DES IMPOSTEURS

A l’occasion de ce 75e Anniversaire du « débarquement », la machine de propagande américano-occidentale s’est à nouveau mise en branle et l’on veut à nouveau aujourd’hui nous faire croire que les américains ont débarqué en Normandie le 6 juin 1944 pour « libérer l’Europe ». Les erreurs naïves de la diplomatie russe, encore emprise de la Schizophrénie des Années Eltsine et des illusions létales sur « les partenaires occidentaux » (sic), contribuent, hélas, à ce bourrage de crânes.

Les impostures des Macron l’américanolâtre, et cie, qui usurpent les combat de la Résistance française, achèvent de boucler le piège de la fausse mémoire. Eux, ces politiciens atlantistes qui sont aux USA ce qu’étaient les Quisling et les Pétain au Reich, parlent de la « paix en Europe ». Et oublient qu’ils ont bombardé Belgrade en 1999, première capitale européenne bombardée depuis 1945 !

Tout est faux ! Historiquement faux !

« INVASION 44 »

Et d’ailleurs pour les historiens américains et anglo-saxons l’opération s’appelle toujours depuis 1944 « L’invasion ». Et sept décennies après le 6 juin 1944, les troupes américaines occupent toujours l’Europe et étendent leur domination avec l’extension de l’OTAN aux pays d’Europe centrale, jusqu’aux frontières russes.

La sous-civilisation yankee nous envahit – Lire : Guerre culturelle (2) et américanisation du monde (3) – avec ses sodas, ses hamburgers, ses films, ses séries débiles et sa fausse morale.

Il faut le rappeler : ce n’est pas l’armée américaine qui a libéré l’Europe mais l’Armée rouge. Et sans le sacrifice de 27 millions de Soviétiques conduit avec détermination par le Maréchal Staline, les nazis auraient gagné la guerre. Ce sont les glorieux combattants de l’Armée rouge qui ont pris Berlin et libéré l’Europe de la domination nazie, ouvrant les portes de la liberté aux déportés de dizaines de camps d’extermination nazis.

1943 : QUAND ON THEORISAIT A WASHINGTON LA LUTTE POUR LA DOMINATION MONDIALE !

Le plus brutal théoricien de l’impérialisme américain est James Burnham. Moins connu en dehors des spécialistes des sciences politiques (c’est le père des néomachiavéliens américains et l’ancêtre des néocons de Bush II), c’est un ancien trotskyste reconverti dans le néo-conservatisme. Il fonde notamment la “National Review”

En 1943, il publie un livre fondamental mais passé inaperçu en Europe dont le titre anglais est”The Struggle for the World”. Le titre de l’édition française (1947, chez Calman-Lévy) est lui plus explicite encore : c’est “Pour la domination mondiale”. Burnham y donne les conditions de la puissance destinée à assurer la domination planétaire des Etats-Unis (4). En 1943, les anglo-saxons sont encore être supposés les alliés de l’URSS contre le reich …

D’UNE ARMEE D’OCCUPATION A L’AUTRE

Ces derniers jours, Macron et cie évoquent ad nauseum « les libérateurs ». Imposture là aussi. Paradoxalement, c’est un membre éminent du « parti américain » (la formule est du général de Gaulle !), Laurent Joffrin de ‘Libé’, Young leader 1996 de la ‘French-American Foundation’, qui rappelle dans sa ‘Lettre’ une toute autre réalité historique : « On montrait des Français exultant devant l’arrivée «des Américains». En fait les troupes alliées furent souvent accueillies dans un silence glacial par une population décimée par les bombes et dont les villes et les villages avaient été rasés sans pitié par les avions libérateurs. Encore aujourd’hui, la Normandie, à Caen, à Saint-Lô, à Valognes ou Carentan, porte les stigmates de ces frappes impitoyables sur les civils, sans que l’efficacité militaire de ces destructions soit entièrement prouvée, source de débats infinis entre historiens. Tout comme elle garde parfois un souvenir mélangé du comportement des soldats alliés, trop souvent enclins au viol et à la destruction préventive des fermes et des maisons » ….

D’UN OCCUPANT A L’AUTRE …

Aujourd’hui, l’Europe n’est plus la vassale du IIIeme Reich mais celle des Etats-Unis d’Amérique. Aujourd’hui, ce n’est plus la Wehrmacht, les SS et la Gestapo qui nous occupent, mais l’OTAN, l’US Army, la CIA (qui pratique légalement la torture, a ouvert des prisons secrètes en Europe et enlève extra-judiciairement des citoyens européens) et la NSA, qui espionnent toutes les communications en Europe avec le « Réseau Echelon » – Lire : Occupation yankee (5) -.

Aujourd’hui, l’Europe est toujours sous la domination militaire, politique, économique et diplomatique d’une puissance étrangère. Et c’est toute la classe politique européenne, les nouveaux kollabos, qui travaille avec les américains.

Le soldat Ryan n’est pas venu libérer l’Europe. Il est venu y défendre et y imposer les intérêts géopolitiques et politiques de Washington et économiques de Wall-Street. C’est-à-dire une entreprise coloniale, où les USA n’étaient rien de plus que les rivaux impérialistes du IIIeme Reich.

Hier, l’Europe, grâce aux sacrifices héroïques des Soviétiques, s’est libérée des nazis. Aujourd’hui, elle doit se libérer des Etats-Unis, de l’injustice capitaliste et de la domination du Nouvel Ordre Mondial. Et ce combat pour la liberté, elle doit se mener avec tous les peuples du monde qui refuse le néo-colonialisme yankee, en Russie ou en Afrique notamment .

Aujourd’hui les politiciens occidentaux entendent commémorer le 6 juin.

 Ce sont les mêmes qui veulent faire la Guerre à Moscou, qui a vaincu le Reich en 1941-45, et y appliquer le projet géopolitique de démember l’Etat russe (voir Brzezinski, Albright, Friedman). Ce sont les mêmes qui supportent le révisionnisme historique anti-russe dans les Pays baltes, en Roumanie, en Pologne, en Ukraine.  En 2014, ils ont même mis au pouvoir en Ukraine pour la première fois depuis 1945 des néofascistes et des néonazis, ceux de Svoboda et de Praviy Sektor, le noyau dur de la junte de Kiev.

POUTINE PAS INVITE EN CE 6 JUIN 2019 !

Mais si la mémoire occidentale oublie les russes, la nouvelle Guerre froide 2.0 s’est rappelée à eux ! « C’est une absence qui fait parler ces derniers jours », avoue l’AFP. Vladimir Poutine et la Russie ne sont pas présents en Normandie pour le 75e anniversaire du débarquement du 6 juin 1944. Mais « La Russie relativise le Débarquement ». Cette semaine, Moscou a appelé à ne pas « exagérer » l’importance du Débarquement allié, rappelant les 27 millions de morts soviétiques pendant la Seconde Guerre mondiale. « Le Débarquement en Normandie n’a pas eu d’influence décisive sur l’issue de la Seconde Guerre mondiale (…) déjà déterminée par la victoire de l’Armée rouge, avant tout à Stalingrad, Koursk », avait insisté mercredi la porte-parole de la diplomatie russe, Maria Zakharova.

Imposture occidentale ?

Oui. C’est le noyau central de l’idéologie américano-occidentale. Pourquoi le mythe du 6 juin y échapperait-il ?

NOTES ET RENVOIS :

(1) Cfr. sur LUC MICHEL’S GEOPOLITICAL DAILY/

* TERRE ET MER AU XXIe SIÈCLE (I) :

AU CŒUR DE LA CONFRONTATION GEOPOLITIQUE FONDAMENTALE

sur http://www.lucmichel.net/2018/09/21/luc-michels-geopolitical-daily-terre-et-mer-au-xxie-siecle-i-au-coeur-de-la-confrontation-geopolitique-fondamentale/

* TERRE ET MER AU XXIe SIÈCLE (II) :

COMMENT LES FONDEMENTS DE LA GEOPOLITIQUE, SCIENCE DU XXIe SIECLE, VONT DETERMINER LES CENTS PROCHAINES ANNEES

sur http://www.lucmichel.net/2018/09/22/luc-michels-geopolitical-daily-terre-et-mer-au-xxie-siecle-ii-comment-les-fondements-de-la-geopolitique-science-du-xxie-siecle-vont-determiner-les-cents-prochaines-annees/

(2) Guerre culturelle : voir http://www.pcn-ncp.com/PIH/pih-030923.htm

(3) L’américanisation du monde : voir http://www.pcn-ncp.com/PIH/pih-021202.htm

(4) Cfr. Luc Michel, Théories de l’impérialisme américain: la réponse des peuples,

sur http://www.palestine-solidarite.org/analyses.Luc_Michel.000701.htm

(5) Occupation yankee : voir http://www.pcn-ncp.com/PIH/pih-030311.htm

(Sources : AFP – PCN-NCP.COM (site archive du PCN 1995-2012) – La Lettre de L. Joffrin – EODE Think Tank)

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE

* Avec le Géopoliticien de l’Axe Eurasie-Afrique :

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FRÄULEIN BILDERBERG DI RITORNO DAL CORSO DI FORMAZIONE

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MONDOCANE

GIOVEDÌ 6 GIUGNO 2019

A completamento del post precedente sull’annuale corso di aggiornamento dell’Alta Scuola di Governismo mondiale in Svizzera, con partecipazione di due eccellenze del giornalismo-come-si-deve, Gruber e Feltri, sistemati in dependance assieme al simbolo dell’ Italia-come-si-deve Renzi, questo meraviglioso esempio di giornalismo rispettoso dell’interlocutore, equilibrato, obiettivo, documentato, serenamente sicuro delle sue buone ragioni e dei suoi inconfutabili dati, signorile, anzi, signorinile, anzi fräuleinine, con tanto di jodel deturpato ahinoi, da una foga del tutto comprensibile di fronte all’aggressività dell’ospite malvissuto e “maleducato”, in ossessione compulsiva.
NB. Il finanziamento di se stessa e delle Ong a lei care è stato rivendicato e glorificato in questa stessa sede, appena poche settimane prima, da una che di George Soros e Ong se n’intende, Emma Bonino.Tuttavia, di fronte a questa testimonianza decisiva, ma personale, conviene rifarsi agli stessi documenti contabili di Soros e delle maggiori Ong partecipi della tratta, dove si elencano addirittura le cifre stanziate ai soggetti sui quali con tanto garbo s’inalbera la signorina dello jodel adulterato in borborigmi vernacolari.
 

30e ANNIVERSAIRE DE TIANANMEN (I): QUE S’EST-IL REELLEMENT PASSE EN 1989 ?

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Luc MICHEL pour EODE/

Quotidien géopolitique – Geopolitical Daily/

2019 06 03/

LM.GEOPOL - Géohistoire tiananmen I (2019 06 03) FR (3)

« Le régime avait perdu le contrôle de Pékin, avec de nombreux check-points tenus par des contestataires dans toute la ville (…) il y a eu forcément beaucoup plus de batailles qu’on ne croit »

– J-P Cabestan, sinologue (Libération, 23 déc. 2017).

LM.GEOPOL - Géohistoire tiananmen I (2019 06 03) FR (6)

Le 30e anniversaire des événements de Tiananmen est l’occasion d’un déluge de propagande et de médiamensonges occidentaux, en provenance des USA et des pays de l’OTAN. Mais que s’est-il vraiment passé début juin 1989 à Pékin ?

Dans de précédentes analyses, j’expliquais comment le « changement de régime » en Chine, via des « révolutions de couleur » était l’un des objectifs permanents des USA. L’utilisation de Hong-Kong, ventre mou de la Chine avec son statut spécial, n’est qu’une étape vers l’exportation de la déstabilisation made in USA en Chine continentale (Voir le Dossier analyses et videos ci-dessous) …

Le 30e anniversaire de Tiananmen remet ce dossier de la politique anti-chinoise de Washington au cœur de l’actualité. Les grands acteurs de la déstabilisation, CIA et State Department dorénavant aux mains des faucons faucons neocons John Bolton (le « Docteur des Ténébres » du Régime Bush II) et Mike Pompeo (le chef de la CIA d’Obama-Clinton), ONG liées aux « vitrines légales de la CIA » et aux Réseaux Sorös (Voir l’émission de mon ‘Grand Jeu’ consacrée à la « révolution des parapluies » à Honk-Kong), dissidents fantoches pro-occidentaux, médias de l’OTAN, toute la meute occidentale tente d’utiliser leur version de la mémoire de « Tiananmen » pour semer le trouble contre Pékin.

Mais que s’est-il vraiment passé à Tiananmen ?

Tiananmen est aussi et surtout une bataille d’images. La photo célèbre de « l’étudiant aux mains nues qui défie les chars » dissimule la vraie bataille et les blindés et camions incendiés de l’Armée chinoise. On a alors un tout autre scénario des événements de Pékin !

Demain, j‘analyserai et je démonterai la propagande inouïe des occidentaux en ce début juin 2019 …

# L’ANALYSE DE REFERENCE SUR

LUC MICHEL’S GEOPOLITICAL DAILY

L’ANNIVERSAIRE DE TIANANMEN RAPPELLE QUE L’ORGANISATION D’UN CHANGEMENT DE REGIME A PEKIN RESTE A L’AGENDA DES USA (REVOLUTION DE COULEUR EN CHINE III)

http://www.lucmichel.net/2018/06/04/luc-michels-geopolitical-daily-lactualite-qui-confirme-lanalyse-lanniversaire-de-tiananmen-rappelle-que-lorganisation-dun-changement-de-regime/

# REVOLUTIONS DE COULEUR EN CHINE :

LE DOSSIER SUR LUC MICHEL’S GEOPOLITICAL DAILY

* REVOLUTION DE COULEUR EN CHINE (I) :

APRES LE TEST DE HONG-KONG, VERS UNE ‘REVOLUTION DE COULEUR’ EN CHINE CONTINENTALE ?

sur http://www.lucmichel.net/2017/10/01/luc-michels-geopolitical-daily-revolution-de-couleur-en-chine-i-apres-le-test-de-hong-kong-vers-une-revolution-de-couleur-en-chine-continentale/

* REVOLUTION DE COULEUR EN CHINE (II) :

HONG-KONG, SUITE ET PAS FIN !

sur http://www.lucmichel.net/2017/10/04/luc-michels-geopolitical-daily-revolution-de-couleur-en-chine-ii-hong-kong-suite-et-pas-fin/

# COMMENT LES USA ORGANISENT LA DESTABILISATION DE LA CHINE :

* Voir sur EODE-TV & AFRIQUE MEDIA/

LE GRAND JEU (Saison I – 5). OCCUPY HONG-KONG.

REVOLUTION DE COULEUR EN CHINE

sur https://vimeo.com/114919746

* Voir mon analyse-flash pour AFRIQUE MEDIA :

sur PCN-TV/ HONG-KONG:

UNE REVOLUTION DE COULEUR DE PLUS

sur https://vimeo.com/109342616

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE

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COME TI SISTEMO QUELLI DEL SOVRANISMO ALTRUI —— IL BILDERBERG DEI NOSTRI

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MONDOCANE

MERCOLEDÌ 5 GIUGNO 2019

 

Mai otterrai che il granchio cammini diritto” (Aristofane, Le Commedie)

https://www.fanpage.it/bilderberg-tutti-i-partecipanti-italiani-nei-60-anni-di-incontri/  Ecco coloro che ci hanno guidato alle nostre magnifiche sorti e progressive. E insistono.

Trentesimo anniversario dei fatti di Tien An Men, 65esima riunione segreta del Gruppo Bilderberg. C’è qualcosa che collega i due anniversari? Inevitabilmente, l’uno, nella congiuntura, è propedeutico all’altra e ne fonda l’attualità. Insieme a temi vari, segretissimi nella definizione del metodo, tra i quali abbastanza scoperto è quello delle Quinte Colonne politico-economico-mediatiche da infiltrare in campo amico, neutro o nemico. Però manifesti negli obiettivi, giacchè praticati dalla fondazione in piena prima guerra fredda, 1954. Fondazione in Olanda agevolata e protetta dai servizi segreti angloamericani e a cui hanno dato corpo, denaro, tattica e strategia le residue case monarchiche e le massime divinità del capitalismo imperial-tribale, Rockefeller e Rothschild. Obiettivo finale: globalizzazione, affermazione di una sovranità di portata planetaria e guerra totale a quella altrui, a partire – o finire – con la conquista del “cuore terrestre del mondo” (“Heartland”, nella famosa espressione di Brzezinski), Russia e Cina.

L’evento, dagli aspetti securitari di una trasparenza democratica da far scoppiare d’invidia un vertice mondiale della ‘ndrangheta e di Cosa Nostra messi insieme, ha avuto luogo dal 30 maggio al 2 giugno  tra i fasti ultralusso dell’Hotel Montreux, congeniali a questo parterre de Rois , ascendente nobile dei Casamonica, nell’omonima cittadina svizzera. 130 partecipanti da 23 paesi, euro-atlantici con poche eccezioni. Tra cui lacréme de la créme di quell’0,1%, poche decine di individui,  che veleggia sulla ricchezza di metà dell’umanità grazie a una pervicace creazione di diseguaglianza tramite guerra di classe capitalista , colonialismo, guerra e, appunto, globalizzazione.

Chi c’e

Ministri dell’economia e delle finanze, megabanchieri e governatori di banche dette centrali (che le governano per conto dei loro proprietari privati), AD e padroni di multinazionali, alti gradi militari con al guinzaglio il segretario Nato Stoltenberg (ospite fisso), alti bonzi politici, prestigiosi – per servizi resi – giornalisti, capi dell’Intelligence, stimatissimi cibernetici, strizzacervelli in sostituzione dei demodé preti e psichiatri, Jared Kushner con doppia rappresentanza Usa-Israele, nientemeno che il braccio destro del papa, Parolin, animatore della resistenza anti-Chavez in Venezuela e, ad ascoltare le direttive, Mike Pompeo, segretario di Stato. Più gli amici delle diverse filiali: Trilaterale, Council of Foreign Relations, Chatham House, World Economic Forum, P2, P3, Gladio, Greta, Messina Denaro, Ong varie….

Più ospitanti che ospiti, gli immarcescibili garanti della continuità: i Kissinger, i Soros, le Lagarde, un qualche Rockefeller con la sua J.P. Morgan (che manda ai governi italiani sollecitazioni a cestinare la Costituzione) e un qualche Rothschild a nome delle loro 166 (centosessantasei) banche sparse sui 5 continenti. Infine una serie di accademici e intellettuali messi lì a infiorettare di bella forma gli scambi di opinioni tra i gentiluomini e impedire che qualche malvissuto sospetti che si tratti di un convegno per decidere le sorti del genere umano a forza di complotti.

Composizione di Adriano Colafrancesco

Chi impara

Chiaramente per affinità elettive e palmares di servizio, ci sono anche due eccellenze  del giornalismo italiano, Gruber e Feltri, e un politico in disarmo, Renzi, ma da cui, forse, si spera di ricavare ancora qualcosa. Della sudtirolese Lilli Gruber non può non essere stato apprezzato la rigorosa ed elegante imparzialità e l’orgogliosa monotematicità con cui gestisce il suo Parnaso delle “Otto e mezzo” secondo il modulo napoleonico del nemico – di solito un 5 Stelle, o chi non li tratta come deiezioni sul marciapiede – da prendere, con amici alla Mieli, Lerner o Carofiglio, da davanti, dietro e dai fianchi.

L’agenda

Nell’Hotel Montreux,  dopo meticolose e ripetute disinfestazioni della Zucchet,  contro eventuali, ma, dato il contesto, del tutto improbabili tracce di populismo, sovranismo, plebeismo , dagli ospiti in arrivo considerati al pari di blatte e peggio, i temi erano quelli classici, più qualche novità. Governo mondiale, amici, nemici, domestici, cani da caccia, da riporto e d’attacco, profitti dal cambio climatico (tutti per Greta), difesa della Vergine di Norimberga, detta UE, alla faccia di Brexit, Orban, Le Pen (Salvini è finto, va bene), l’impero carolingio franco-germanico e sue forze armate in confronto con l’impero anglosassone e Nato per una comune strategia di obliterazione di Russia e Cina, passando per le tappe intermedie Siria, Iran, Nordcorea, Venezuela e altre. Come armare certi social e disarmarne altri, come sgomberare il sud del mondo di genti, estrarne risorse e confondere in un megamiscione le identità dei popoli in generale, attivando sradicamenti e migrazioni, come fare in modo che le intelligenze artificiali operino, in guerra e in pace, da nuovo strumento maltusiano di sfoltimento delle erbacce umane.

E’ la Nuova Via della Seta, baby

Negli anni ’80 e ’90, quando mi sbizzarrivo in Rai su ambiente, clima, guerre, sport estremi, fui frequentemente onorato da quell’intelligente, ironico, acuto e astuto collage di giustapposizioni demistificanti che era il “Blob” di Enrico Ghezzi. Tipo, volavo in parapendio col bassotto Rambo e di seguito si vedeva la corte dei miracoli di Craxi in volo sull’aereo di Stato. Era la cosa più frizzante della tv dei quegli anni. Oggi Blob, con Ghezzi fuorigioco per malattia, è una stanca “voce del padrone” che arranca sciropposo tra buonismo dell’ipocrisia sinistra, con migranti in barcone, lacrimosità e savianismi vari, e geopolitica funzionale. Da settimane va scassandoci ogni organo interno con la ripetizione di immagini di Tien An Men e relativi mezzibusti d’ordinanza. All’Hotel Montreux non se ne sono fatti sfuggire una puntata.

Fa peggio, se possibile, il resto dei media, primo fra tutti, immancabile quando si tratta di lastricare la strada all’evento e agli obiettivi Bilderberg, “il manifesto”, con ben quattro pagine di inserto di anatemi anticinesi, proprio in coincidenza coll’acme del Bilderberg.. Che sono, implicitamente e in prima linea oggi, anatemi contro la Via della Seta, temuta e odiata dagli Usa. Tant’è che quel “quotidiano comunista”, tenuto in piedi da miei e tuoi soldi, abusivamente sottrattici, stava però spaparanzato su ogni poltrona damascata del Montreux.

Ci sono montagne di reportage contrari alla vulgata subito impostata dall’imperialismo e dai suoi ascari contro un Cina dal modello sociale insidiosissimo e dal potenziale di crescita incommensurabile. I 300 morti degli scontri, dopo due mesi di occupazione della piazza, con ampia presenza criminale di spaccio e prostituzione, scontri detti feroci da parte dell’esercito e pacifici da quella dei rivoltosi, sono diventati “migliaia”. Dei soldati linciati, bruciati vivi nei loro mezzi, sparati, dei gas tossici usati dai manifestanti, nessuna menzione. E  la solita radio Cia, “The voice of America”, che 24 ore su 24 incitava alla rivolta e inneggiava a Zhao Ziyang, il dirigente infiltrato dagli Usa al vertice di Partito e Governo, per le sue promesse di democrazia e mercato, scompare dalla cronaca e dalla Storia. Come Radio B-92 di Belgrado, dello stesso circuito, cara a Luca Casarini e ai suoi.

Tien An Men, prima rivoluzione colorata

La prima rivoluzione colorata, con tutti gli attrezzi dell’organizzazione – tende, armi, cecchini, rifornimenti, soldi delle Ong – visti poi a Belgrado, Kiev, Cairo e oggi a Khartum e Algeri,  diretta a Pechino da quel Gene Sharp che  dei regime change è stato l’inventore e diffusore tramite i serbi di Otpor. E’ grazie alla risposta, estremamente controllata del governo, che la Cina ha evitato un Guatemala, un Kosovo, un Cile, una Libia. Il rilancio dell’anniversario, più massiccio delle passate ricorrenze si spiega con quella brutta bestia, anzi brutto drago, della Nuova Via della Seta, Belt and Road Initiative, che senza bisogno di fottermi la sovranità, togliere migranti  da casa loro e metterli in casa altrui,  tirarmi addosso bombe e soldati, costringermi all’austerity, rischia di inferire un colpo mortale a chi , invece, quelle cose le infligge giorno e notte a me a tutti.

Feltri, nessuno come lui

Ma la “Croce di ferro da Cavaliere, con alloro d’oro, spade e brillanti”, non va negata a colui che ci ha restituito il fenomeno Bilderberg, quello di cui financo benevoli assertori rilevavano una qualche tendenza all’operare sott’acqua, nella sua pura, cristallina, veste di innocente consesso tra il bridge e il circolo della Caccia: Stefano Feltri, vicedirettore del Fatto Quotidiano  e capo dell’Economico a griffe Draghi. Uno di cui ho sempre pensato che fosse stato messo lì, forse da Bilderberg, forse da Draghi, forse da Friedman, data la comunanza confessionale, per sorvegliare l’intemperante e imprevedibile Travaglio. Whitewashing, è quello che gli anglofoni chiamano il riciclaggio, meglio: la ripulitura , la riabilitazione di una roba sporca in anima più bianca del bianco. Il paginone di Feltri sul Bilderberg nel numero del 4 giugno ne è la sublimazione. La sua partecipazione, a fianco dell’uomo del Condor in America Latina e dei massimi succhiatori di midollo dalle colonne vertebrali dei popoli, andava giustificata.

Aah quei complottisti!. Chi potrebbe anche lontanamente sospettare che si complotti in quella specie di fortilizio blindato da trincee e schieramenti di mezzi e uomini militari, poliziotti, Forze Speciali, guardie eco-zoologiche, pompieri, funamboli, maghi e  qualche ricuperato Isis? Cosa c’è di male in un po’ di privacy e distinta discrezione quando si tratta di discutere di tutti gli altri esseri, umani e non, del loro destino individuale e collettivo, e magari di correggerlo e si fa divieto ai partecipanti, tipo P2 o Gladio, di divulgare quanto detto, concordato, deciso.

Pregiata Casa detersivi Feltri

Così finalmente Stefano Feltri rettifica, bonifica, purifica un’immagine dai complottisti pesantemente deteriorata facendoci il rasserenante racconto, tra la fiaba e l’apologo, di una “riunione di vecchi saggi (sic), la cui opinione è sempre utile, come l’ex-segretario di Stato Henry Kissinger”, brav’uomo, o “gli attivisti dei diritti civili, gente con incarico di rilievo (ovviamente benefico), esperti dei temi in agenda, leader emergenti, qualche giornalista, alcuni (sic) membri facoltosi…” Quanto alla segretezza, non è che l’apoteosi con la cultura americana del networking, costruzione di rapporti personali come ponte tra culture, professioni e idee diverse, fin dalla prima cena con – massimo della democrazia! – freesitting”. E poi i temi: “Cina, tanta Cina, visto che gli americani, hanno confidato per qualche anno che a Pechino arrivassereo le riforme, democrazia e mercato (inscindibili, ovvio). Ora hanno capito che non succederà… la Russia di Vladimir Putin è un vero pericolo o è aggressiva per mascherare le sue fragilità?” E l’ecologia verde?  Greta insegna: “Grande possibilità di business, purchè dai fossili non si esca con troppi traumi”, poverini.

Ai pretenziosi e gossipari che si chiedono se, in democrazia, la gente non ha il diritto di farsi dire dai giornalisti presenti cosa dicono e decidono i più potenti e ricchi personaggi della Terra, Feltri risponde con prontezza: “Che domanda, tutti i partecipanti sono già attivi nel dibattito pubblico(Rothschild e Rockefeller soprattutto)… e poi, quella che dall’esterno pare segretezza , da dentro risulta assenza di distrazioni e formalità, di sera al bar con whisky che gli esperti giurano essere notevoli”, meno male. Più Circolo della Caccia, o Accademia dei Lincei di così?

Quanto ai fissati che vedono complotti ovunque ci siano poliziotti, militari, blindati e cecchini a difendere un consesso di miliardari e triliardari, non va riservato che sfottò: “Che le teorie del complotto ricomincino”, sghignazza l’eulogo alla fine del panegirico. Detto da un maligno Manzoni “vile encomio”. Mentre l’intenzione del buon Feltri era più che commendevole: “put some lipstick on the pig”, come la mettono gli anglofoni.  Se si va per correzioni di grugni, Feltri ha ampiamente battuto la Gruber quando  a Emma Bonino  fece dire quanto filantropo fosse George Soros per averle dato tanti bei soldini.

Intanto Bilderberg, camminando anche sulle stampelle di bravi giornalisti, procede. Grazie all’ingegneria genetica, agli operativi digitali e alle intelligenze artificiali, già sappiamo il mondo che ci prospettano. Dal popolarissimo transgender, all’imminente transumano. Insomma, sempre meno “umanità”. Con una buona mano data dal 5G. E qui non scherziamo.

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 17:33

L’Europe remet le Lyon-Turin sur les rails

https://www.lesechos.fr/industrie-services/tourisme-transport/leurope-remet-le-lyon-turin-sur-les-rails-1026441

La coordinatrice européenne a confirmé mardi à Lyon, que les voies d’accès étaient éligibles au fonds de mobilité. Elle a même proposé de relever la participation communautaire à hauteur de 55 %.
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Le percement du tunnel de 57 kilomètres entre les deux pays est la pièce majeure du projet, mais la mise à niveau des voies d’accès est tout aussi importante, plaident ses partisans

Riccardo Dalle Luche/IP/SIPA

Par Lea Delpont

Publié le 04/06 à 18h22
Mis à jour le 04/06 à 18h40

Les feux passent au vert pour le Lyon-Turin. Alors que depuis des mois le projet ferroviaire transfrontalier s’enlisait côté italien , les élections européennes et municipales du 26 mai ont vu « les forces pro-TAV (le nom du projet en Italie, NDLR) remporter 85 % des suffrages dans le nord du pays », se réjouissait mardi le président de la Confindustria Piémont, l’équivalent du Medef, devant l’Assemblée Générale de la Transalpine à Lyon. Et c’est devant ce comité-lobby réunissant les plus fervents partisans de cette liaison qu’une responsable de la Commission européenne a fait deux annonces susceptibles de changer radicalement l’économie du chantier.

Alors que l’Europe devait financer le tunnel de base à hauteur de 40 %, une aide portée à 50 % l’an dernier , la coordinatrice du corridor européen Iveta Radicova a surenchéri à « plus 5 % » à la surprise générale. Le geste s’adresse surtout aux Italiens qui doivent débourser 3 milliards d’euros pour le percement du tunnel de 57 kilomètres à travers les Alpes, et la France seulement 2 – alors que 80 % du tracé se trouve en territoire français. Le motif de cette distorsion : rééquilibrer le financement des accès aux tunnels, beaucoup plus conséquents en France (200 kilomètres) que dans la Botte (60 km).

Le coup de pouce de Bruxelles

D’où le deuxième message – à la France cette fois – d’Iveta Radicova : les accès, qui sont « aussi importants que le tunnel » a-t-elle insisté, sont éligibles au Mécanisme d’Interconnexion Européen (MIE). Une révolution pour la suite des travaux dont le coût est estimé côté français à 8 milliards d’euros. Cette somme rédhibitoire a poussé les gouvernements successifs à l’immobilisme sur ce sujet.

L’émissaire de l’Union européenne est venue fluidifier le dossier avec un dégrippant sonnant et trébuchant. « Nous serions appauvris, affaiblis en arrêtant ce projet. On ne le fait pas pour relier deux pays mais pour connecter les citoyens des 26 Etats membres », a-t-elle rappelé en évacuant déjà le Royaume-Uni.

« Un coup de théâtre »

C’est à ce titre que l’UE est prête « non plus à financer la moitié du tunnel mais la moitié de la ligne de Lyon jusqu’à Turin. C’est un coup de théâtre », s’enthousiasme Stéphane Guggino, délégué général de la Transalpine. « A condition que les Etats le demandent, c’est oui, oui, et oui », a répété la coordinatrice.

Anticipant sur cette annonce, la ministre des Transports Elisabeth Borne a chargé il y a quelques semaines SNCF Réseau de produire des études de phasage de réalisation des accès. « Il faut abandonner le tout ou rien et procéder à un phasage pragmatique », réclame Jacques Gounon, président de la Transalpine et par ailleurs PDG du groupe GetLink (Eurotunnel). En matière d’accès, avec 4 milliards d’euros, on pourrait déjà faire beaucoup de choses ». En comptant sur 2 milliards de l’UE et 1 milliard promis par les collectivités d’Auvergne-Rhône-Alpes très favorables au projet, l’Etat n’aurait plus qu’à apporter 1 milliard pour rendre l’infrastructure viable, avancent les partisans du projet.

Du coup, le monde économique local repart à la charge avec une motion CGPME, Medef et CCI « en faveur de la réalisation complète et coordonnée de la liaison transalpine ». Et une lettre à la ministre attend d’être timbrée dans le tiroir du maire de Lyon, Gérard Collomb. En miroir des résultats électoraux italiens, les bons scores des écologistes en France, farouchement opposés au Lyon-Turin, n’entachaient pas l’enthousiasme retrouvé de la Transalpine.

Léa Delpont (Correspondante à Lyon)

La  coordinatrice europea ha confermato martedì 5 giugno a Lione che le vie di accessi al tunnel sono ammissibili al fondo per la mobilità. Ha persino proposto di aumentare il contributo comunitario al 55%.

Il tunnel di 57 chilometri tra i due paesi è la parte principale del progetto, ma il miglioramento delle vie di accesso è altrettanto importante, sostengono i suoi sostenitori.

Riccardo Dalle Luche/IP/SIPA – Di Lea Delpont Pubblicato il 04/06/2019

La luce passa al verde per la Torino-Lione. Mentre per mesi il progetto ferroviario transfrontaliero si è arenato dalla parte italiana, le elezioni europee e comunali del 26 maggio scorso hanno visto “forze pro-TAV (il nome del progetto in Italia, NDLR) vincere l’85% dei voti nel nord del paese”, il Presidente di Confindustria Piemonte, l’equivalente di Medef, si è rallegrato martedì scorso all’Assemblea Generale Transalpina di Lione. Ed è stato davanti a questo comitato di lobby, che ha riunito i sostenitori più accaniti di questa relazione ferroviaria  che un funzionario della Commissione Europea ha fatto due annunci che potrebbero cambiare radicalmente l’economia del cantiere.

Mentre l’Europa avrebbe dovuto finanziare il 40% della galleria di base, l’anno scorso gli aiuti sono aumentati al 50%, la coordinatrice europea del corridoio del Mediterraneo Iveta Radicova ha offerto fino al “più il 5%” con sorpresa di tutti. Il gesto è rivolto principalmente agli italiani, che devono pagare 3 miliardi di euro per il tunnel di 57 chilometri attraverso le Alpi, e solo 2 in Francia, mentre l’80% del percorso è in territorio francese. La ragione di questa distorsione: riequilibrare il finanziamento dell’accesso al tunnel, che è molto più significativo in Francia (200 km) che per l’Italia (60 km).

L’aiuto di Bruxelles

Da qui il secondo messaggio di Iveta Radicova – questa volta alla Francia -: gli accessi, che sono “importanti quanto il tunnel”, ha insistito, sono ammissibili al finanziamento del Meccanismo Europeo di Interconnessione (CEF). Una rivoluzione per il seguito dei lavori, il cui costo è stimato dalla parte francese a 8 miliardi di euro. Questa quantità proibitiva di denaro ha costretto i governi che si sono succeduti a rimanere fermi su questo argomento.

L’inviata dell’Unione europea è venuta a rendere la questione più fluida con le sue affermazioni. “Saremmo impoveriti, indeboliti dall’arresto di questo progetto. Non lo stiamo facendo per collegare due paesi, ma per collegare i cittadini dei 26 Stati membri”, ha ricordato, non considerando il Regno Unito.

“Un coup de théâtre”

Per questo motivo l’UE è pronta a “non solo a finanziare al 50% il tunnel, ma metà della linea Lione – Torino”. È una svolta teatrale”, si entusiasma Stéphane Guggino, delegato generale della Transalpina. “A condizione che gli Stati lo richiedano, è sì, sì, sì, e sì,” ripete la coordinatrice.

Alcune settimane fa, in previsione di questo annuncio, il ministro dei trasporti Elisabeth Borne aveva incaricato SNCF Rete di produrre studi per determinare i tempi della costruzione delle vie di accesso al tunnel. “È necessario abbandonare il tutto o il nulla e procedere con un fasaggio pragmatico “, afferma Jacques Gounon, presidente della Transalpine e anche CEO del gruppo GetLink (Eurotunnel). Circa gli accessi, con 4 miliardi di euro, potremmo già fare molte cose. Contando su 2 miliardi dell’UE e 1 miliardo promesso dalle autorità locali dell’Auvergne-Rhône-Alpes molto favorevoli al progetto, lo Stato francese dovrebbe contribuire con un solo miliardo per rendere l’infrastruttura redditizia, dicono i sostenitori del progetto.

Di conseguenza, il mondo economico locale torna ad essere responsabile con una mozione di CGPME, Medef e CCI “a favore della realizzazione completa e coordinata del collegamento transalpino”. E una lettera al Ministro è nel cassetto del sindaco di Lione Gérard Collomb in attesa di essere timbrata. All’opposto dei risultati elettorali italiani, i buoni punteggi degli ecologisti francesi, ferocemente contrari a Lione-Torino, non hanno espresso il rinnovato entusiasmo della Transalpina.

Léa Delpont (corrispondente a Lione)

L’inquinamento, i Tir e la sicurezza: nuove balle in difesa del Tav

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2019/06/05/linquinamento-i-tir-e-la-sicurezza-nuove-balle-in-difesa-del-tav/5232787/

L’Osservatorio di Palazzo Chigi, guidato dal fan dell’opera Paolo Foietta, torna a contestare l’analisi costi-benefici. Ma le sue accuse non reggono alla prova dei numeri
L’inquinamento, i Tir e la sicurezza: nuove balle in difesa del Tav

Se i cantieri del Tav Torino-Lione vivacchiano in attesa di una decisione politica sul destino dell’opera, prosegue invece a pieno ritmo la produzione di documenti da parte dell’Osservatorio per l’asse ferroviario Torino-Lione guidato dall’architetto Paolo Foietta (anche se il suo mandato è scaduto a fine 2018). 

L’ultimo Quaderno appena pubblicato contesta il gruppo di lavoro che ha redatto l’analisi costi-benefici dell’opera per il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli.

Le accuse sono: 1) “fideismo tecnologico, alla riduzione del carico ambientale provvederà l’evoluzione tecnologica del sistema stradale e dei mezzi di trasporto” 2) “grossolani errori di sottovalutazione di impatti e benefici ambientali” per cui sarebbe falso che “anche una significativa riduzione dei flussi di lunga percorrenza avrebbe un impatto marginale sui livelli di inquinamento destinati a ridursi ulteriormente grazie al rinnovo del parco veicolare”.

La tecnologia. Riguardo al primo capo di imputazione, sarebbe legittima l’accusa contraria. La stima dei costi ambientali e di quelli relativi alla sicurezza del trasporto nell’analisi costi-benefici è stata prodotta ignorando probabili innovazioni future: nessun veicolo elettrico, nessuna ipotesi di convogli di veicoli (semi)automatizzati. Solo una presa d’atto della radicale riduzione delle emissioni di inquinanti locali – un Tir Euro0 inquina come dieci EuroVI – e del declino dei tassi di mortalità sulla rete autostradale (-90 per cento dal 1970).

L’ARIA. Foietta considera una “tesi estrema” la seguente affermazione di chi scrive: “La qualità dell’aria, a Torino come in tutta Europa è in miglioramento da decenni. Tale tendenza proseguirà grazie alla progressiva sostituzione dei mezzi più inquinanti”. Gli autori dello studio per il ministero sono accusati di “costruire i presupposti per trasformare la Val Susa in una camera a gas”. Ma forse Foietta non ha mai sfogliato i Rapporti della Qualità dell’aria dell’Arpa Piemonte che mostrano come da trent’anni la concentrazione degli inquinanti sia in calo. Perfino nel Quaderno di Foietta si legge che “i dati Ispra 2018 confermano che anche in Italia si è registrata la diminuzione progressiva delle emissioni inquinanti negli ultimi anni, avvenuta nel settore dei trasporti grazie all’introduzione di catalizzatori, filtri per particolato e altre tecnologie”. A sostenere che tale evoluzione proseguirà in futuro è ancora l’Arpa Piemonte, nel Piano regionale della qualità dell’aria: “Al 2030 si prevede una consistente e diffusa riduzione delle concentrazioni di biossido di azoto, mentre, per quanto riguarda il particolato, si osserva una riduzione delle concentrazioni in particolare nell’Agglomerato di Torino e in altre aree urbane, legato alla prevista riduzione delle emissioni da traffico per le innovazioni tecnologiche e il miglioramento dei carburanti”. Spostare dalla strada alla ferrovia 3-4.000 Tir non modificherebbe in modo apprezzabile il quadro. Non è un caso che in nessuno dei documenti dell’Osservatorio si fornisca una stima di quanto migliorerebbe la qualità dell’aria a Torino e dintorni grazie al Tav.

La Co2 risparmiata. Nel Quaderno si scrive di un presunto “risultato estremamente positivo [con] benefici che valgono dal 2030 oltre un milione di tonnellate di CO2 risparmiate ogni anno”. La stima proposta si basa su un irrealistico risultato in termini di “spostamento modale” (passaggio dalla strada alla ferrovia). Una valutazione meno estrema, contenuta nell’analisi costi-benefici, porta a una quantificazione dimezzata. Ma prendiamo per buono il milione. È tanto o è poco? Nella Ue le emissioni del settore trasporti sono pari a 1,2 miliardi di tonnellate. Il Tav le ridurrebbe quindi di meno di un millesimo. La sostanziale irrilevanza degli investimenti ferroviari ai fini della riduzione delle emissioni è confermata dalla Svizzera, Paese che – si afferma nel Quaderno – dovremmo assumere come esempio, ma che ha emissioni nei trasporti superiori del 15% rispetto alle nostre.

LA SICUREZZA. L’Osservatorio scrive di “condividere nel merito e nel metodo quanto scritto e specificato” in un post su Facebook (sic!) secondo il quale il completo cambio modale, azzerando i flussi su strada da e per la Francia, porterebbe a una riduzione annua di 170 morti.

Sarebbe stato sufficiente consultare il Bollettino semestrale pubblicato dall’Aiscat, l’associazione dei concessionari autostradali, per scoprire che negli ultimi dieci anni i mezzi pesanti su tutte le autostrade a pedaggio in Italia hanno causato in media 82 vittime. Quelle davvero evitabili grazie alla nuova linea si contano sulle dita di una mano. Identico risultato potrebbe essere conseguito investendo non una decina di miliardi ma qualche decina di milioni in misure di controllo e di repressione.

In nessun Paese europeo il riequilibrio modale ha avuto un ruolo di qualche peso nella riduzione degli incidenti stradali conseguita negli ultimi 25 anni (da 77 mila a 25 mila vittime in Europa). Meglio evitare di sprecare le nostre scarse risorse in costose cure omeopatiche e concentrarci sulle terapie che hanno dato prova di essere efficaci. E senza costi per la finanza pubblica.