Province, riforma-caos Mancano i soldi per servizi e lavoratori (PAOLO GRISERI).

ma questo è il terzo governo non eletto dei moralmente superiori e responsabili, loro non fanno cazzate
 esuberi
Ancora incerto il destino dei 20mila dipendenti Allarme Upi: “Un ente su tre rischia il fallimento”.
  

ROMA – Il grande freddo arriverà a fine primavera. A dirlo sono i gufi o, al contrario, Cassandre incomprese? I funzionari dell’Upi, l’Unione delle Province italiane, riassumono la situazione con un dato: «Calcoliamo che a fine marzo il trenta per cento delle Province sarà impossibilitato a presentare il bilancio di previsione del 2015». Frase sibillina per chi non mastica di finanza pubblica. Ma la traduzione è drammatica: senza bilancio di previsione, le Province rischiano il dissesto e il commissariamento. Una su tre è sull’orlo del baratro.

Si dirà: ma non dovevano comunque scomparire? «In realtà dice Marco Zatini, sindacalista della Provincia di Firenze – quelli che rischiano davvero sono i dipendenti e i cittadini. I primi perché non sanno quale sarà il loro futuro, i secondi perché verranno tagliati i servizi». I dipendenti delle Province italiane sono 43 mila e di questi 18-20 mila verranno trasferiti ad altri enti perché, dice la riforma Delrio, sono oggi impegnati in funzioni che passeranno a Comuni e Regioni. «Sarà la più grande operazione di trasferimento nella storia della pubblica amministrazione italiana», dicono all’associazione delle Province.

Un trasloco che rischia però di bloccarsi per mancanza di soldi. Perché la storia della riforma ha tre problemi da risolvere: il gran numero di dipendenti dichiarati non più utili nelle nuove amministrazioni provinciali, la distribuzione ad altri enti locali dei compiti un tempo attribuiti alle Province e i soldi che scarseggiano. Tre nodi intrecciati con conseguenze potenzialmente drammatiche.

A rendere esplosiva la situazione è stata la legge di stabilità che ha preteso dalle Province il versamento di un obolo di un miliardo alle casse dello Stato. Inizialmente c’era una logica. Le Province italiane hanno un bilancio complessivo di 8 miliardi di euro. Di questi, 2 sono destinati agli stipendi e 6 ai servizi al cittadino. Dimezzando i dipendenti grazie alla riforma Delrio, le Province avrebbero risparmiato un miliardo di euro e lo avrebbero potuto girare allo Stato mantenendo inalterata la spesa per i servizi al cittadino. La Legge di stabilità è arrivata a metà di questo processo e ha imposto una accelerazione: le Province devono pagare il miliardo già nel 2015 anche se le funzioni e il personale non saranno trasferite e peseranno dunque sui loro bilanci. Di conseguenza, le amministrazioni provinciali dovranno tagliare servizi ai cittadini per il valore complessivo di un miliardo. Chi non lo farà, rischia il dissesto.

In default sono già andate nei mesi scorsi due amministrazioni, una di una località ricca come Biella e una del povero Sud come Vibo Valentia. A Vibo il Presidente, Andrea Niglia, ha deciso di non pagare a dicembre stipendi e tredicesime: «Devo ringraziare per la loro comprensione tutti i 379 dipendenti del nostro ente provinciale. Ma siamo veramente in difficoltà. Abbiamo denaro sufficiente a scaldare le scuole solo per quaranta giorni. Così quest’anno niente tredicesime: Babbo Natale ci ha portato il carbone ».

L’alternativa sarebbe quella di trovare presto una sistemazione ai 20 mila dipendenti in sovrannumero, come si dice con un eufemismo. 6.000 potrebbero essere assunti nei centri per l’impiego, dove già lavorano oggi come dipendenti provinciali. Il loro nuovo datore di lavoro dovrebbe essere l’Agenzia nazionale per l’impiego che dovrebbe essere istituita dai decreti del Jobs act. Il condizionale è obbligatorio e vale anche per i 1.000 precari degli stessi centri. Rimarrebbero così 14.000 persone in esubero. Nelle settimane scorse si è tentato di far passare un norma sul prepensionamento di chi nel 2018 avrà raggiunto i 62-63 anni. Ma l’emendamento è saltato. Avrebbe consentito di mandare in pensione circa 4.000 dipendenti. Secondo il semplice gioco dell’anagrafe invece andranno in pensione entro il 2019 circa 2.000 persone. Ne rimarranno così 12 mila da sistemare in quattro anni. «Anche se venissero tutti collocati nelle amministrazioni regionali e comunali, rimarrebbe il problema delle funzioni non trasferite», fanno notare all’Upi. Il rischio è che i dipendenti in esubero delle Province sostituiscano i posti lasciati liberi dai pensionati di Regioni e Comuni ma non si portino dietro la loro funzione. Se un cantoniere finisce nella pianta organica della Regione, chi ripara la strada? Il secondo problema è l’enorme tappo sociale che si creerà nelle pubblica amministrazione. Quanti precari degli altri enti perderanno il lavoro per far posto ai dipendenti in esubero provenienti dalle Provincie?

Eppure senza un trasloco rapido, i bilanci delle Province faranno crack. Perché non potranno garantire gli stessi servizi dello scorso anno con un miliardo in meno da spendere. Lunedì scorso la Provincia di Terni ha diffuso uno scarno comunicato stampa: «Il servizio viabilità ha a disposizione soltanto 300 quintali di sale a fronte di una necessità di almeno due tonnellate e mezza». Pertanto, «in caso di nevicate o ghiacciate improvvise, le operazioni di emergenza potrebbero non essere garantite in tempi rapidi». Dal grande freddo si salvi chi può.

Da La Repubblica del 04/01/2014.

Grecia, corsa al bancomat: la paura fa 2,5 miliardi

gennaio 03 2015

Mentre prosegue la campagna elettorale, i greci svuotano i loro conti per paura dei prelievi forzosi imposti dalla Troika: 2,5 miliardi tornano in contanti.

La Grecia corre verso le elezioni, ma i greci sembrano correre al bancomat: nonostante l’ora nera dell’economia ellenica sembra sia passata, nel dicembre della grande crisi politica ad Atene i cittadini greci hanno fatto razzia di prelievi bancomat, riversando nelle proprie tasche ben 2,5 miliardi provenienti dai loro conti correnti. E non si tratta certo degli spiccioli per il cenone o per i regali di Natale.

ELEZIONE MANCATA – C’era da eleggere il nuovo presidente, a dicembre, in Grecia; ma il tentativo è andato male e tutto s’è risolto con lo scioglimento del Parlamento e il rinvio alle urne, urne che potrebbero cambiare l’esito delle ultime consultazioni e consegnare il governo nelle mani di Alexis Tsipras, leader della federazione della sinistra ellenica Syriza, al momento in testa ai sondaggi. In questo bailamme istituzionale – con le forze “responsabili” e liberiste pronte a dichiarare che Syriza vorrebbe uscire dall’euro e che i soldi finirebbero in fretta se si votasse la sinistra – i cittadini greci hanno concesso poca fiducia alle banche – come dar loro torto? – e hanno trasformato buona parte dei loro averi in banconote.

EFFETTO CIPRO – Il terrore era quello dell’effetto Cipro, il prelievo forzoso imposto dall’alto al governo di Nicosia per mettere a posto i conti statali; anche se Syriza non ha nessuna intenzione di lasciare l’Europa e l’euro, tutt’altro, la Troika si sa che gradisce poco le soluzioni alternative a quelle che propone – e che di solito prevedono di salvare le banche, arricchire i ricchi e far pagare i poveri – e potrebbe comunque assalire la Grecia per far cadere un governo di sinistra. Se Tsipras riuscisse a risanare la Grecia con una ricetta anti-austerità, infatti, la presa sugli altri governi del neoliberismo potrebbe vacillare. E questo non deve succedere.

LA PAURA – A scatenare la paura e, forse, quei prelievi da 2,5 miliardi sono state le parole del governatore della banca di Grecia, nonché ex-ministro delle finanze Ioannis Stournaras, che nel bel mezzo delle elezioni presidenziali – forse con un disperato tentativo di spingere i parlamentari a votare per il nome scelto da Samaras ma bocciato nell’urna – aveva dichiarato come in cassa ci fosse contante solo fino a febbraio.
Così la campagna elettorale prosegue nell’incertezza più totale, con Syriza in testa ai sondaggi e fortemente tentata dalla corsa solitaria, per poi cercare eventuali alleati dopo le elezioni, mentre le forze moderate di Samaras arrancano, erose tanto da destra quanto da sinistra… e anche dai nuovi partiti di centro. Se i sondaggi avessero ragione, quello di dicembre non sarebbe l’unico prelievo dai conti: dovremmo ricordarci anche del patrimonio di voti dilapidato dall’ex premier greco.

Andrea Bosio
@AndreaNickBosio

Arti http://www.informarexresistere.fr/2015/01/03/grecia-corsa-al-bancomat-la-paura-fa-25-miliardi/colo

Originale: www.wakeupnews.eu

Carburanti, il 65% se ne va in tasse

Le tasse sono belle, servono per finanziare i beni e servizi per i poveri…
gennaio 03 2015

Roma, 3 gen – Più della metà di quanto paghiamo per un litro di benzina o di gasolio se ne va fra tasse e accise. Dal balzello per la guerra in Abissinia a quello per l’alluvione di Firenze, dall’acquisto degli autobus ecologici  ai più recenti aumenti dell’Iva, non c’è governo che praticamente non abbia giocato sui carburanti per rimpinguare le casse pubbliche.

“Anomalia italiana”. Così Assopetroli-Assoenergia definisce, nel suo rapporto mensile sulla rilevazione dei prezzi e il differenzale fra Italia ed Europa, la situazione nel nostro paese. Un’anomalia “rappresentata da un carico fiscale eccessivo sui carburanti che è stato in media nel mese di dicembre il 64,45% del prezzo al consumo”. Nello stesso mese, prosegue la nota, “il consumatore italiano ha pagato in media la benzina 25,7 € cent/litro e il gasolio 23,5 € cent/litro, in più che nel resto d’Europa”, con questo divario dovuto non a costi più elevati di raffinazione o di acquisto della materia prima, in quanto “nel solo differenziale il 95,72% per la benzina e il 100,85% per il gasolio sono tasse”.

Tradotto: paghiamo benzina e gasolio come gli altri paesi europei, ciò che ci distanzia è il carico fiscale. Nello specifico, sui 25.7 centesimi di euro in più pagati per ogni litro di verde “ben 24,6 sono dovuti alle maggiori imposte e solo 1,1 ad un maggiore prezzo industriale”. Più paradossale la situazione invece del gasolio, per il quale “ben 23,7 sono dovuti alle maggiori imposte mentre il prezzo industriale è addirittura inferiore di 0,2 cent/litro”, si legge sempre nella nota dell’associazione.

L’attuale governo non sembra per il momento intenzionato a proseguire sulla strada degli aumenti, vista la sterilizzazione della clausola di salvaguardia posta da Letta e che avrebbe comportato il ritocco all’insù dei prezzi alla pompa a partire dal primo gennaio. Ammesso che il rincaro, uscito dalla porta in via per ora solo temporanea, non rientri poi dalla finestra.

Filippo Burla

Fonte: Il Primato Nazionale

Fondamentale: George Soros vomita tutto il suo odio, e intanto gli USA, ehm gli ucraini, lo mettono tra i candidati allla guida della banca centrale di Kiev.

non ci fidiamo di Soros che tanto denaro ha speso per regime change, per donare ai popoli tanta democrazia e libertà ? Gli è stato conferito un premio in Italia.. da un circolino dell’intellighenzia che conta. Prodi spinse la concessione della laurea a questo    magnanimo filantropo, per aver speculato contro la lira e “convincere” ad entrare nell’euro...
 
Articolo importantissimo, questo, che è uscito su  La Stampa del 29 Dicembre.

George Soros, il chiacchieratissimo magnate e speculatore, un baldo 84enne che è stato al centro di praticamente tutti gli scandali della finanza mondiale degli ultimi decenni esprime pubblicamente il suo pensiero, lo riporto tal quale, permettendomi solo di evidenziare le parti , a mio modesto parere, più significative:

Invadendo l’Ucraina nel 2014, la Russia ha sferrato una sfida epocale ai valori e ai principi dell’Ue e al sistema di regole che ha mantenuto la pace in Europa dal 1945. Né i leader né i cittadini europei sono pienamente consapevoli della portata di questa sfida, tanto meno sanno come affrontarla. Il regime di Putin si fonda sulla forza, che si manifesta nella repressione in patria e nell’aggressione all’estero. Ma è riuscito a ottenere un vantaggio tattico, almeno nel breve periodo, sull’Unione europea e gli Stati Uniti, intenzionati a evitare uno scontro militare diretto. In violazione agli obblighi stabiliti dagli accordi, la Russia ha annesso la Crimea e stabilito enclavi separatiste nella regione del Donbas, nell’Ucraina orientale. Quando, l’estate scorsa, sembrava che il governo ucraino potesse vincere la guerra nel Donbas, Putin ha ordinato l’invasione da parte delle forze armate regolari russe. I preparativi per una seconda fase dell’azione militare sono cominciati a novembre, quando Putin ha inviato ai separatisti un nuovo afflusso di colonne corazzate e uomini. L’Occidente, purtroppo, ha fornito all’Ucraina sotto attacco un supporto solo di facciata. Altrettanto preoccupante è apparsa la continua riluttanza dei leader internazionali a fornire nuovi impegni finanziari per l’Ucraina. Di conseguenza, la semplice minaccia di un’azione militare può essere sufficiente a provocare il collasso economico dell’Ucraina. Putin sembra tenere in serbo la prospettiva di un grande patto, la Russia fa la sua parte nella lotta contro lo Stato islamico – per esempio, non fornendo i missili S300 alla Siria (preservando così il dominio aereo statunitense) – in cambio gli Usa lasciano alla Russia il controllo sul suo cosiddetto «estero dietro casa». Qualora Obama dovesse accettare un tale accordo, l’intera struttura delle relazioni internazionali sarebbe pericolosamente alterata a favore dell’uso della forza. Sarebbe un tragico errore. Il crollo dell’Ucraina sarebbe una perdita enorme per la Nato e, indirettamente, per la Ue e per gli Usa. Una Russia vittoriosa rappresenterebbe una grave minaccia per i Paesi baltici, con le loro numerose popolazioni di etnia russa. Invece di sostenere l’Ucraina, la Nato avrebbe dovuto difendersi sul proprio suolo, esponendo sia Ue e Stati Uniti al pericolo che erano così ansiosi di evitare: il confronto militare diretto con la Russia. La minaccia per la coesione politica della Ue è anche più grave del rischio militare. La crisi dell’euro ha trasformato un’unione sempre più stretta di Stati sovrani uguali in un’associazione di Paesi creditori e debitori, con i debitori che lottano per soddisfare le condizioni poste dai creditori. È questa debolezza interna ad aver permesso alla Russia di emergere come una potente rivale dell’Ue. L’attacco della Russia all’Ucraina è indirettamente un attacco alla Ue e ai suoi principi. E non è opportuno per un Paese, o per un’associazione di Paesi, farsi la guerra per perseguire l’austerità fiscale, come continua a fare l’Unione europea. Tutte le risorse disponibili dovrebbero essere dedicate all’impresa comune, anche se questo dovesse significare chiudere i bilanci in passivo. La fortuna dell’Europa è che il cancelliere tedesco Angela Merkel si sia comportata come una vera europea riguardo alla minaccia rappresentata dalla Russia. Prima sostenitrice delle sanzioni, si è dimostrata la più disponibile a sfidare per questo l’opinione pubblica tedesca e gli interessi commerciali. Ma la Germania è anche il Paese che più di ogni altro sostiene la necessità dell’austerità fiscale, e la Merkel deve capire la contradditorietà di queste posizioni. Le sanzioni contro la Russia sono necessarie, ma non sono senza conseguenze: l’impatto depressivo delle sanzioni aggrava le forze recessive e deflazionistiche già in atto. Al contrario, aiutare l’Ucraina a difendersi contro l’aggressione russa avrebbe un effetto di stimolo sull’Ucraina e sull’Europa. L’Ucraina ha bisogno di un’iniezione di liquidità immediata, diciamo 20 miliardi di euro, con la promessa di averne di più in caso di necessità, così da scongiurare il collasso finanziario. Il Fondo monetario internazionale potrebbe fornire questi fondi, se la Ue promettesse di versare il suo contributo. Le spese reali rimarrebbero sotto il controllo del Fmi e subordinate alla realizzazione di profonde riforme strutturali. In Ucraina, un altro fattore gioca a favore dell’Ue: la nuova leadership del Paese è determinata a cambiare rispetto alla corruzione, alla cattiva amministrazione e agli abusi dei governi precedenti. Infatti, ha già messo a punto una strategia dettagliata per ridurre di oltre la metà i consumi di gas delle famiglie, con l’obiettivo di eliminare il corrotto monopolio di Naftogaz e pore fine alla dipendenza energetica dell’Ucraina dalla Russia. La «nuova Ucraina» è risolutamente pro-europea e pronta a difendere l’Europa difendendo se stessa. Ma i suoi nemici – non solo la Russia putiniana, ma anche la sua burocrazia e la sua oligarchia finanziaria – sono incredibilmente forti, e non può farcela da sola. Sostenere nel 2015 la nuova Ucraina è di gran lunga l’investimento più redditizio che l’Ue possa fare. Potrebbe anche aiutare la Ue a ritrovare lo spirito di unità e di prosperità condivisa che ha portato alla sua creazione. Salvando l’Ucraina, l’Ue potrebbe anche salvare se stessa

 

Cosa dire?
Leggere questo sproloquio, infarcito da balle colossali porterebbe a fraintendimenti, e sembrerebbe la solita invettiva di un pazzoide sbavante come MacCain e simili.
Invece dietro questo articolo c’è
la candidatura di George Soros alla guida della banca centrale ucraina.
Non è il solo, il governo di Kiev lo ha già rinchiuso in una ristretta cerchia di cinque candidati , probabilmente tutti stranieri.
Ancora non ci è stato dato l’elenco si sa solo che, oltre al buon Soros, c’è anche Dominique Strauss Khan, altro personaggio abbastanza noto.
Rileggiamo e condensiamo il pippone di Soros al minimo comune denominatore:

“i russi cattivi invaderanno il mondo se non salviamo l’Ucraina.
Il governo di Kiev ruba tutti i soldi che gli inviate.
Occorre dare il controllo delle finanze del paese ad un vero genio, un uomo capace di spendere i soldi dei contribuenti europei per il bene degli USA, della democrazie e del diritto..IO! “

Malgrado la situazione del paese sia drammatica il piatto è ricco , in fondo il PIL Ucraino è ancora d centinaia di miliardi e molti si auspicano che decine di miliardi di euro alla volta vengano gettati nella voragine senza fondo dei debito pubblico, ovviamente a spese dei contribuenti europei.
Mettere un mascalzone come Soros alla guida di una banca centrale equivarrebbe a mettere una volpe a guardia del pollaio, ma questo lo sapete tutti benissimo.

Viviamo in tempi interessanti.

http://liberticida.blogspot.it/2014/12/fondamentale-george-soros-vomita-tutto.html?utm_medium=referral&utm_source=pulsenews