Kobane
“Quando si tratta di marciare / molti non sanno / che il nemico marcia in testa. / La voce che dà loro gli ordini / è la voce del nemico / e colui che parla del nemico / è il nemico stesso”. (Bertold Brecht)
“La verità è che un miliardo di falsità raccontate un miliardo di volte da un miliardo di persone rimangono falsità”. (Travis Walton)
“Raul ha fatto bene, appoggio la soluzione negoziata e pacifica dei conflitti. Ma non mi fido degli Stati Uniti”.(Fidel Castro). Troppo poco troppo tardi.
Gioie e dolori
Kobané liberata, Mariupol vittima di strage False Flag per arrestare l’avanzata dei patrioti di Novarussija, garrota ai No Tav con la mostruosa condanna dei 47 compagni, Sinistra Radicale (?) vittoriosa in Grecia e subito inciucio con la Destra e la Nato, rinfrescante dipartita di un presidente della Repubblica colpevole di alto tradimento e arrivo di un successore correo (e qui, più che altro, “il modo ancor m’offende”, con questi ciarlatani che se la briscolano tra di loro di nascosto e ci sbattono in faccia il classico “Io so’ io e voi nun siete ‘n cazzo”). Il regime masso-mafioso ha dato il meglio di sé occultando con l’ammuina dei nomi, uno più scandaloso dell’altro, la scelta consacrata al Nazareno e ora rafforzata dagli scilipoti ex-M5S. I quali, così, hanno guadagnato un compenso che non solo consiste nel recupero dello stipendio ridotto dal Movimento, ma anche nella prospettiva di una lunga carriera di politici, piuttosto che di “cittadini”. Nel frattempo ci dovevano distrarre dalla violenza fatta alla Legge, alla democrazia, alla Costituzione, dando la stura alla fogna della Prima Repubblica: candidati al Colle, tutti ovviamente buoni, giacché tutti ricattabili. La rottura del patto del Nazareno era una recita dei berlusconidi. Rimane salda la profonda sintonia renzusconiana sotto l’ombrello della cupola mondialista.
Mamma, la DC s’è mangiata il PCI
La “sinistra”, invece, con il portabandiera “manifesto”, si unisce, con soddisfazione appena temperata rispetto all’esultanza per Tsipras, al gaudio a larghe intese per la scelta renzista del “democristiano perbene”, conseguenza della “rottura senz’ombra di dubbio”, neanche solo pro-tempore, del patto del Nazareno con il guitto mannaro delinquente. Consolidata la nuova “sinistra radicale tsiprasiana” con Fassina, Civati, Vendola e le note teste d’uovo, sotto l’occhio benevole del “democristiano perbene”, un virgulto ammuffito di De Mita, scongelato e servito in pasto a volponi e boccaloni. Che incidentalmente, oltre a essere patriarca di un clan famigliare che vanta fedine penali, marchiate mafia e Banda della Magliana, più di ogni famiglia siciliana, ci ha inflitto il “mattarellum”, figlio del referendum Segni, che affossava la proporzionale con il sistema maggioritario, prodromo dell’involuzione antidemocratica dal bipolarismo al bipartitismo e, infine, al monopartitismo, ora in versione renzusconiana. Da ministro della Difesa ha anche sostenuto in prima linea, con Germania, Usa e Wall Street, la distruzione della Jugoslavia del “dittatore” Milosevic, ha fatto rivoltare nella tomba centinaia di militari italiani uccisi dall’uranio, per aver negato ogni connessione tra cancro e servizio nei Balcani e ha completato il viaggio verso la de-democratizzazione dello Stato, abolendo la Leva (esercito di tutti, poco propenso a guerre e repressione) e introducendo l’esercito dei professionisti ben pagati. Mercenari del potere da addestrare in funzione del soldo e della fregola bellica dell’Occidente. Davvero perbene. Tutti contenti di morire democristiani.
Ora e sempre No Tav!
E, ancora, oltre lo squallore nazionale, i pirati nazisionisti colpiscono Iran e Hezbollah e i patrioti libanesi rendono pan per focaccia: la guerra si estende… A Kobane una resistenza di popolo con insegne della Comune di Parigi e del Che, sconfigge i mercenari dell’ISIS e solo la tracotante ignoranza dei giornalisti italiani può parlare di vittoria dei Peshmerga (che sono le milizie del Kurdistan iracheno colonizzato da Usa e Israele). Ce n’è di roba,.ma, prima, due parole sul terribile segno dei tempi che dà la sentenza di Torino, frutto dell’aria che tira e che, con il concorso di forcaioli come l’ex-procuratore Caselli e i PM suoi discepoli, Paladino e Rinaudo, hanno trasformato la Valsusa nel laboratorio nazionale dell’extra-legalità, della repressione, dell’annientamento della sovranità e autodeterminazione popolare, della dittatura. Insomma, in Valsusa deve nascere un piccolo Stato di Polizia. Per vedere che effetto che fa in giro….
I 143 anni di carcere e i 150mila euro di spese a parti civili, come i gassatori della Valle, devono piegare e sbancare, non solo le persone che si sono erte a difesa del loro territorio, contro abusi, violenze, devastazioni, occupazione militare, ma anche tutti quelli nel paese per i quali la Valle è stata un’università Poi ci sono gli altrettanto scandalosi 220mila euro inflitti ad Alberto Perino e altri per aver “danneggiato” la LTF. Siano un avvertimento a chiunque in questo paese si preoccupa di obiettare all’avvelenamento da inceneritore, discarica, poligono, elettromagnetismo, trivelle a gogò, guerra, ma anche da giustizia, esclusione e repressione. In buona sostanza, non ci si azzardi a buttare sabbia negli ingranaggi del rullo compressore “Sblocca Italia”. Più che con la reclusione, con cui un popolo in lotta sa starci, vogliono strangolare la resistenza finanziariamente, riducendola sul lastrico, anzi, sotterrandocela. Occorre davvero, anche per riconoscimento di quanto la Valsusa ha dato all’antagonismo italiano e internazionale, una grande mobilitazione di militanti e di massa che unisca tutte le aeree di sofferenza e di contrasto – Muos, Mose, Grandi Navi, servitù sarde e friulane, forze contro la devastazione sociale e ambientale in Puglia, Basilicata, Sicilia, ovunque – per sostenere, fino all’ultimo respiro di libertà, la lotta dei No Tav.
Una bella e valida proposta è stata quella del senatore Scibona (M5S) di nominare Alberto Perino, icona nazionale della battaglia No Tav, candidato alla Presidenza della Repubblica. Quanto a Erri De Luca, stiamo appassionatamente al suo fianco nel processo per un reato d’opinione trasformato da piccoli Torquemada in istigazione a delinquere. Condividiamo la sua inconfutabile asserzione del diritto all’autodifesa di chi è minacciato nella comunità e nella persona. Su altri argomenti trovo De Luca sul lato opposto della barricata, ma i cartelli “Je suis Erri”, branditi in aula da un pubblico consapevole, hanno nobilmente ribaltato in autenticità il fariseismo e l’ottusità dei “Je suis Charlie”.
Scherzi della memoria
Siamo riemersi illesi dal “Giorno della memoria”. L’anti-storica rivendicazione dell’ “unicità” di quel crimine non ci ha distratto dall’attenzione sull’olocausto dei palestinesi, degli arabi, dei musulmani, dei balcanici, degli africani, dei relativi milioni inconfutabili, tuttora in atto e in crescendo. Cosa che ci ha dato una nuova, sempre più estesa, misura dell’ipocrisia dei regimi, dei loro cantori e della strumentalità dell’evocazione delle povere vittime. Per quanto fossero 60mila o 6 milioni, per come fossero periti, per fame e tifo, o per esecuzioni programmate. Sono le due teorie degli storici alle quali entrambe spetta il diritto al rispetto. Anche nei tempi in cui storici non conformi vengono sbattuti in prigione e cacciati dalle cattedre, anche nei tempi in cui lo scrittore De Luca viene processato per aver manifestato un’idea, giusta e legittima e molto meglio di Charlie Hebdo.
Qualcuno ci spiegherà il sistematico vuoto di “memoria” sulla collaborazione tra organizzazioni ebraiche e governo nazista, prolungatasi dal 1933 al 1942, per promuovere il trasferimento degli ebrei in Palestina, o il fatto che i potenti e occhiuti alleati non abbiano mai bombardato le linee ferroviarie per bloccare il trasporto dei deportati, o anche quale fosse la responsabilità dei governi occidentali nel rifiutare l’immigrazione ebraica. Ma qualcuno dovrà anche chiedere conto a Ovadia e Furio Colombo, due stelle del varietà mediatico ebraico, del loro strabismo nel deprecare l’abitudine umana ai genocidi. Poliziotto buono e poliziotto cattivo. Lo showman “ebreo di sinistra”, impegnato da sempre a glorificare, se non altro, l’eletta qualità della religione scaturita dalla bibbia, di cui ricorda l’invito ad accoglienza e convivenza e dimentica l’invito incessante alla guerra e alla decimazione dei “non eletti”, come portato al parossismo oggi, lamenta scarsa attenzione ad altri stermini, tipo Tutsi in Ruanda, Cambogia, armeni, filippini, manciuri…
Il giornalista, sionista ultrà, ma veneratore del Papa quanto Ovadia, pagato pegno con i soliti lamenti su Rom, migranti, svolto il compito di perenne colpevolizzatore di tedeschi e italiani passati, presenti e futuri, si risente, invece, del fatto che qualcuno abbia potuto mettere in coda alle celebrazioni dell’ “unicità”, anche un ricordino per i periti dell’elenco ovadiano. Curioso che nessuno, tra i tanti bagni di sangue dal duo elencati, abbia come autore diretto gli Usa o Israele: niente Gaza, niente nativi americani, niente cinesi, niente giapponesi di Hiroshima, niente civili tedeschi, niente iracheni, libici, siriani, somali, vietnamiti… Scherzi della memoria. E’ nell’arco delle ore che vanno dall’accensione della Menorah, per il “Giorno della memoria”, alla fine delle sue candele, che Israele ha colpito e ucciso, in Siria, un generale dei Pasdaran iraniano e sette alti dirigenti di Hezbollah, per poi reagire alla sacrosanta rappresaglia dei libanesi (Israele dice 2 soldati morti, altre fonti, 15 e una serie di veicoli), rovesciando proiettili e missili sulla popolazione del Sud Libano e sulle forze dell’ONU (un morto). Affetti da diabolico antisemitismo questi semiti arabi. Charlie Hebdo andava ancora spremuto.
GRECIA: Il Carro di Fetonte
Pensavano di acchiappare il sol dell’avvenire (in parlamento) grazie a un augusto padrino , ma, come l’improvvido Fetonte, impegnato a dimostrarsi figlio di Apollo, prima hanno carbonizzato un po’ di cielo e un po’ di terra, poi sono precipitati. Nichi Vendola sostiene la candidatura a capo dello Stato di Sergio Mattarella, autentica speranza per la sinistra, a dispetto della zavorra di una famiglia tra le più tartassate dai codici della Sicilia. Per uno che amoreggiava con Don Verzè e Archinà dei Riva, ci sta. Ma che Tsipras a pugno chiuso, dopo aver ripetutamente garantitosi della Nato, nomini ministro della Difesa (della futura militarizzazione e delle guerre euro-atlantiche), un destro estremo come Panos Kammenos, trucido grassone impresentabile, capo dei “Greci Indipendent”i, formazione xenofoba, razzista, omofoba, può avergli procurato indulgenza, comprensione e perfino affetto da tutta la destra (non c’è che quella) europea. Ma avrebbe dovuto mettere un po’ di sordina al tripudio del “manifesto” e ai peana dei sinistrati: orgasmo vicario di chi non può che fare il guardone.
E, qui, un inciso. “Perché il padre di questa vittoria è solo il quarantenne Tsipras” sentenzia il “manifesto” . E no, cari “giornalisti comunisti”, un po’ conta anche marxianamente, la classe e, se concedete, il popolo. O vogliamo piegarci alle personalizzazioni che, a dispetto di tante vostre sbandate per la “persona della Provvidenza” (Hillary, Obama, D’Alema, Bertinotti, Cofferati, Ingroia, Vendola) deprecate per Renzi, Grillo, Berlusconi. Per tre anni ininterrottamente centinaia di migliaia, nel totale milioni, di greci hanno occupato le piazze e hanno combattuto, senza remore nonviolente, la consorteria dei vendipatria e i suoi pretoriani, altro che “il solo quarantenne”. Ma le richieste, allora, andavano ben oltre gli attuali propositi e forse, se il 40% dei greci non ha votato, un problemino di fiducia c’è.
Commovente e patetiche, ad Atene, le centurie di militanti rivoluzionari con la cotta di chierichietti dell’italica “Brigata Kalimera”. Insopportabile quel Bella Ciao tuttofare che include titolari come i No Tav, o i kobaniani, assieme ad abusivi come Santoro, o i parlamentari soggiogati da Napolitano. Un’altra roba che ci hanno fregato e contaminato.
Intanto, man mano che si avvicinava a posizioni di responsabilità e pragmatismo, più volte ribadite, si ammorbidiva la già inflessibile lancia dell’oplite delle Termopili: niente più trattati da cancellare, solo l’austerity da attenuare e il debito da “rinegoziare” (come fosse dovuto a chi lo ha provocato). Poi, quella nomina alla Difesa, i ministri espressi dalla cosca degli intoccabili armatori, il governo di tutti maschi (il “manifesto”, all’ottavo brindisi, l’ha chiamato dream-team – “squadra da sogno” era troppo burino), alla faccia delle tante avanguardie femminili di una lotta vincente di 4 anni. Infine il giuramento che avrebbe mantenuto intonsa la spesa militare greca (Nato), che l’Euro, patibolo della Grecia, non sarebbe stato toccato. Eccoci a quell’Europa col rossetto e le calze a rete, trasformata da ruffiana in amante di rango, che qualcuno vagheggia e che verrà comunque decapitata, alla maniera degli apprendisti ISIS, all’atto del TTIP.
Ricordate gli strepiti alla notizia dell’alleanza tecnica al parlamento europeo tra Grillo e Farage, “fascistone maschilista e xenofobo”? Tutte le combriccole fatte apposta per tagliare le gambe ai Cinque Stelle hanno sparato riprovazione per settimane. Su questa combine, dove il pugno chiuso si puntella su una spranga antimigranti e sulla più alta spesa militare d’Europa in rapporto alla popolazione, “manifesto” e allegra brigata hanno sorvolato con grande chic. I due pesi e due misure non sono esclusiva di quegli altri. Ora si odono grida e sussurri sul proposito di fermare le privatizzazioni, di far mangiare i greci scarnificati dall’euro. Vedremo.
Tsipras: una sintesi di Spartaco, Marx, Lenin, Zapata
Addirittura, con l’ennesima cantonata di Tommaso De Francesco sull’iper-euforico “manifesto”, si afferma che Atene rompe la necessaria unanimità UE, opponendosi ad “altre” sanzioni alla Russia (pur deprecando le cattive maniere di Putin) e, hai visto mai, un ministro della Difesa che occhieggia verso Mosca… Dai funambolismi di De Francesco sorge uno Tsipras condottiero anti-atlantico, partner di Putin per essersi pronunciato contro le sanzioni. Falso, mai detto. Si è limitato, con la Mogherini, a lamentare il metodo, che aveva escluso la Grecia dalla deliberazione. Trattasi del giornalista, che, a suo tempo e ancora oggi, ha definito la difesa delle istituzioni serbe dall’assalto dei tagliagole UCK in Kosovo, “contropulizia etnica”. O, più recentemente, il pogrom pro-golpe allestito dagli Usa con gli ascari nazisti a Kiev, una “giusta protesta contro il corrotto Yanukovic… per non farlo finire nelle mani di Putin”. Chi ricorda come Marinetti definiva individui del genere?
Ceteris paribus, non pare “la grande svolta”. Ma staremo e vedere augurandoci di sbagliare. Sapremo flagellare la nostra cecità politica.Intanto preoccupa questo delirio pro-Tsipras come condiviso, in “profonda sintonia”, tra gli uni e i loro supposti opposti. Con quel Vendola dall’onnicomprensivo, celestiale vuoto pneumatico del logo “Human Factor”. Al ragazzotto di Terlizzi non pareva vero di poterlo scrivere in inglese. Poi c’è la sposa morganatica europea del baldo greco, Barbara Spinelli, tuttora lì, nella lista Tsipras, tuttora fiduciaria “a sinistra” dei padroni del mondo riuniti in Bilderberg. Alexis, non è un bel vedere, non ti pare? Dettaglio significativo, come avrebbe detto Maria Montessori, la presentazione del libro “Alexis Tsipras, la mia Sinistra” da fan come Vendola e Fassina, moderata dalla nota Lucia Goracci, che, invece, fan appassionata era in Rai dei mozzateste in Libia e Siria. Tout se tien.
Yemen e Argentina, tenaglia sull’Iran
Nisman
Restano due situazioni incandescenti, non per nulla anch’esse innescate dalla miccia accesa con l’operazione di Parigi. Ricadute di False Flag che, con protervia complottista, insieme alle tante altre, si possono ritenere programmate (vedi nel prossimo post sulle salmerie anti-complottiste dell’armata sinistronza): Yemen e Argentina, due paesi su cui, agevolata dall’infuocato clima di solidarietà con ebrei e Israele, si sono abbattuti, con rinnovato vigore e accresciuto tasso di disinformazione, la “comunità internazionale” e i suoi uffici stampa mediatici
L’assalto all’Argentina della renitente Cristina Kirchner dura da tempo. Forze di polizia infiltrate e sobillate, categorie di grandi produttori agricoli sollecitate alla sedizione anti-tasse, strozzinaggio finanziario a favore di un pugno di avvoltoi Usa, decretato da un giudice di New York. E, ora, la questione del suicidio-omicidio del PM Alberto Nisman, peraltro protetto da 10 (dieci) guardie del corpo. Già anni fa era stata sepolta nel ridicolo investigativo l’accusa all’Iran di aver compiuto l’attentato di Buenos Aires al Centro Ebraico di Assistenza che, nel 1994, provocò la morte di quasi 100 persone. Un Iran a cui non si era mai potuto addebitare neanche una spettinatina di avversari all’estero. Le inchieste non condussero a nulla, ma gli attentati di Parigi sono stati l’occasione perché un magistrato irriducibile, Nisman, si precipitasse in anticipo dalle ferie e rivelasse l’esistenza di un dossier che dimostrerebbe la paternità di Tehran nella strage e la complicità di Cristina nell’insabbiamento delle prove, in cambio di cospicui vantaggi commerciali (petrolio). Grande clamore della stampa, quasi tutta in mano all’oligarchia agroindustriale.
Poi si scopre che l’inflessibile procuratore era condotto per mano dall’agente segreto Antonio Stiuso, collaboratore della dittatura, provato uomo della Cia e del Mossad, da poco silurato. Il suo dossier, che il giorno dopo Nisman avrebbe dovuto presentare in parlamento, si è rivelato un insieme di fuffa, alla Mitrokin per intenderci. Il giornalista, intimo di Nisman, che ne aveva scoperto il “suicidio” (peraltro con una pistola un po’ troppo lontana dal corpo), Damian Pachter, “temendo per l’incolumità”, se n’è fuggito in grembo a mamma Israele. Cristina scioglie i servizi segreti e parla di assassinio che puzza di golpe lontano un miglio. I suoi scambi commerciali con l’Iran sono di modesta entità. Formidabili, invece, come in tutta l’America Latina, e inaccettabili per gli Usa, quelli con la Cina.Il che non impedisce alle voci del padrone in tutto l’Occidente di rinnovare l’ostracismo e l’assedio all’Iran, come esemplificato dall’isterismo di Netaniahu. Con il beneficio collaterale di gettare l’ombra del mandante sulla presidente argentina che, guarda caso, aveva appena ottenuto la solidarietà della CELAC (organo di coordinamento latinoamericano che esclude gli Usa) alla sua rivendicazione sulle Malvine e ha rapporti sempre più stretti con la Bolivia di Morales, l’Ecuador di Correa e il Venezuela di Maduro. Complottino raffazzonato, ma quanto basta perché i grandi media agevolino un altro passo verso la guerra alle due entità statali coinvolte. Vessillifero italiota Furio Colombo, correligionario del duo Nisman-Pachter, puntualissimo all’appello, che, ripetute le panzane Mossad contro la Kirchner, l’Iran e Hezbollah, ci aggiunge la sua personale fialetta di veleno ricordando che Pachter è fuggito proprio nel “Giorno della memoria”. Sdegno!
Lo Yemen, per averci vissuto, lo conosco bene. Popolo remoto nel tempo ed effervescente nell’oggi. Paese di genti gentili e fiere. Fine anni ’70, Ibrahim El Hamdi, un presidente onesto e nazionalista e l’Arabia Saudita wahabita, che da sempre considera lo Yemen un suo protettorato, che sobilla le popolazioni del Nord, pur trattandosi di sciti, in funzione antigovernativa. Segue colpo di Stato di El Ghashmi, un generale fellone, assassinio di El Hamdi, e poi la trentennale tirannia “democratica” e “amerikana” di Ali Saleh. Nel 2012 una primavera yemenita, che unisce classi, clan, confessioni, indipendentisti del Sud eredi della Repubblica Popolare Socialista (forzatamente riunita al Nord nel 1992), spazza via il trentennale despota che aveva ridotto il già povero paese al lumicino. Ma, combinazione, spunta Al Qaida, che inizia a disorientare e dividere le masse. Chi resiste sono gli zaiditi sciti “Huthi” (da Hussein Badreddin Al Huthi,un capo ucciso nel 2004) riuniti nel movimento “Ansarollah”, patriottico e moderatamente islamico, che si oppone alla normalizzazione dettata dal duo Usa-Saudia. Una casa regnante, quella saudita, che, a discapito delle decapitazioni, amputazioni ai ladri e lapidazioni di donne che fanno un baffo all’ISIS, va puntellata ad ogni costo. Anche con l’immondo omaggio da parte delle Grandi democrazie al testè defunto socio capo-decapitatore Abdallah. Nel giro di pochi mesi del 2014 “Ansarollah” conquista la capitale e dilaga verso Sud e si prende i grandi porti a ovest, sul Mar Rosso. E potenziano lo scontro con il regime, dove ora è stato insediato il nuovo fantoccio dell’imperialismo ,Mansur Al Hadi, succedaneo di Ali Saleh.
L’esercito, in gran parte di sciti (il 30% della popolazione), si decompone e, contro la rivolta popolare, gli vien fatto subentrare Al Qaida. Gli Usa sono presenti da tre anni con i soliti “istruttori”. I droni della Cia, con i loro missili Hellfire, si avventano sul paese e fanno fuori famiglie, prevalentemente scite, definite “terroristi” di Al Qaida nella Penisola Arabica. L’obiettivo finale per lo Yemen: una nuova Somalia. Caos creativo.
I rapporti degli insorti col nuovo presidente sono alterni. Con la capitale occupata, il popolo mobilitato, il palazzo presidenziale assediato, Al Hadi si dimette insieme al Primo Ministro, il parlamento recalcitra per ovvie ragioni di sopravvivenza, e i due ci ripensano. Stallo politico, ma dominio militare scita. Mentre è chiarissima la funzione di Al Qaida e della sua aereonautica di droni Usa, non è facile capire i rapporti tra indipendentisti del Sud e Huthi, entrambi aggrediti da Al Qaida e bombardati dagli Usa. E neanche sono chiari gli obiettivi degli insorti. Se puntano a un rovesciamento del regime, o a una convivenza nel segno di una nuova costituzione che garantisca ai discriminati sciti un ruolo di partecipanti a pari titolo e non spezzetti il paese secondo il progetto iniziale del presidente e dei suoi suggeritori sauditi.
Intanto la centralità mediatica e geostrategica in cui i fatti di Parigi hanno collocato lo Yemen, con la presunta matrice yemenita dei presunti attentatori e le chiassose rivendicazioni delle stragi arrivate da Al Qaida nello Yemen, hanno spalancato un’autostrada a un più massiccio intervento Usa. In gioco è la posizione superstrategica dello Yemen tra Africa e Medioriente, sulle rotte del petrolio e dei pirati da sterminare. Naturalmente si tratta solo di contenere l’espansione dello Stato Canaglia iraniano, di cui, con ogni evidenza, gli Huthi sarebbero un tentacolo.Tutto questo è molto gradito ai frantumatori israeliani degli Stati nazionali nella regione, al complesso militar-industriale Usa, alle compagnie di contractors, ai jihaidisti assoldati e importati dalle solite aree di reclutamento Cia e Mossad. Forse un po’ meno a un esausto Obama, già in difficoltà in Afghanistan e Ucraina, incapace di tagliare il nodo siro-iracheno, assediato dai cannibali repubblicani, dalla necrofila Clinton e dal matamoros Netaniahu, si sta chiedendo se la Cupola che lo ha inventato, non stia passando a sicari più efficaci.