La Lituania adotta l’euro. Draghi, bene per Vilnius e l’Eurozona (Video)

Se lo dice Draghi, un banchiere, che è un bene……Chi siamo noi per dubitare lo sia. Dice che ha i conti a posto, la sua ex banca, Goldman Sachs truccò i conti di Italia e Grecia, senz’altro per il bene dei due popoli
 

 Articolo pubblicato il: 01/01/2015

 “La Lituania ha adottato misure eccezionali in tempi difficili per raggiungere gli obiettivi necessari per entrare nell’Euro: questi risultati saranno utili nello stesso tempo all’Eurozona e alla Lituania”. Mario Draghi, governatore della Banca centrale europea, saluta così l’ingresso della Lituania nell’area Euro. (Video)

 “L’Eurozona si arricchisce dall’ingresso di questo piccolo Paese dalla grande storia, dalla grande cultura e dalle grandi conquiste economiche. Da oggi in poi il banchiere centrale di Vilnius, Vitas Vasiliauskas, sarà componente a pieno titolo del Consiglio della Bce, dove parteciperà in modo attivo all’attività di monitoraggio dell’azione politica dell’Eurozona”. Questo mostra come in un’era in cui gli Stati nazionali sono sempre più interconnessi, condividere sovranità vuol dire -conclude – aumentare la sovranità. Congratulazioni e benvenuta, Lituania”.

 Con un Pil di appena 35 miliardi di euro, l’ingresso della Lituania nell’Eurozona, da oggi, difficilmente modificherà gli equilibri e le prospettive dell’area: ma dal punto di vista simbolico, la scelta della piccola repubblica baltica di aderire al travagliato progetto socio-economico rappresentato dalla moneta unica ha un valore assai maggiore. Con l’ingresso di Vilnius (capitale, peraltro, dove si innescò il meccanismo che portò al crollo dell’Unione Sovietica) si completa l’adesione delle repubbliche baltiche, ma soprattutto si conferma l’attrattività dell’Eurozona in un contesto geopolitico a dir poco turbolento.

 La Lituania infatti ha già pagato un prezzo per l’inasprirsi delle relazioni tra la Russia – suo principale partner commerciale – e l’Europa, a seguito dell’annessione di Mosca della penisola di Crimea. La piccola repubblica (grande un quinto dell’Italia e con soli 3,5 milioni di abitanti) ha sofferto per il blocco russo ai prodotti agricoli dell’Unione europea e sta cercando di limitare la sua dipendenza energetica da Mosca con la costruzione di un terminale di gas nel Mar Baltico. Nelle ultime settimane poi la Russia ha aumentato le prove di forza con un aumento delle incursioni nello spazio aereo lituano.

 In questo contesto, i vertici della Lituania vedono una maggiore integrazione nell’Unione europea come migliore garanzia per la sicurezza del Paese. “Fare parte di una stessa famiglia dell’euro dovrebbe far sentire le persone più sicure”, aveva profeticamente sottolineato il presidente della Bce Mario Draghi in un intervento a Vilnius all’inizio del 2014. Gli ha fatto eco la presidente lituana Dalia Grybauskaite, che in una recente intervista ha spiegato come l’adesione alla zona euro significa “sicurezza, non solo economico, ma anche politica”.

 Non è quindi un caso che l’opposizione alla moneta comune è drasticamente scesa negli ultimi mesi: l’ultimo sondaggio Eurobarometro mostra come il 63 per cento dei lituani sia ora favorevole all’euro, con un aumento del 13 per cento rispetto a sei mesi prima. Certo, il fronte dei no resta intorno al 31 per cento, 5 punti percentuali al di sopra della media della zona euro. Ma le autorità di Vilnius sono fiduciose che questo dato scenderà una volta che la nuova moneta sarà in circolazione. “L’esperienza di altri paesi dopo che hanno adottato l’euro mostra come il supporto per la moneta comune europea cresce in modo significativo dopo l’adozione della moneta,” ha ricordato Vitas Vasiliauskas, presidente della Banca di Lituania.

 I contrari hanno giocato la loro campagna lamentando come la scomparsa della litas lituana possa rappresentare una perdita di sovranità, dopo neppure 25 anni da quando Vilnius ha ottenuto l’indipendenza. In realtà la valuta lituana è stata ancorata all’euro dal 2002 e come ha spiegato Vasiliauskas da gennaio la Lituania potrà “partecipare attivamente alla politica monetaria della seconda più grande economia mondiale”. Per entrare nell’euro, tuttavia, Vilnius ha dovuto pagare un prezzo pesante in termini di convergenza economica.

 Gli interventi varati a livello di bilancio, per rispettare i parametri di Maastricht, hanno dato i loro frutti: dopo essere cresciuto del 3,4% nel 2013, quest’anno il Pil lituano dovrebbe mettere a segno un +2,7% e poi accelerare ancora a +3,1% nel 2015. E’ il frutto di quella che Draghi ha definito una risposta “rapida ed audace” alla crisi internazionale che nel solo 2009 aveva fatto scendere il Pil lituano del 15%, “una efficace lezione a tutti gli altri” paesi europei. Risultati eccellenti (il deficit è sceso all’1,2% del Pil e il debito si attesta al 40%) tanto più se si pensa che l’ingresso nell’euro era stato fissato per il primo gennaio del 2007 ma la richiesta di Vilnius era stata respinta dalla Commissione europea a causa del livello dell’inflazione, superiore al massimo consentito. La data di adesione all’Eurozona era slittata così prima al 2010, poi al 2013 e quindi al 2015.

 Come detto, con l’ingresso di Vilnius si completa l’adesione delle repubbliche baltiche (l’Estonia aveva adottato la moneta unica nel 2011 e la Lettonia all’inizio di quest’anno) e questo, in un certo senso, rafforza il peso politico di questo gruppo che, nella Bce potrebbe essere decisivo in alcune importanti decisioni. Sul piano squisitamente economico un valuta comune dovrebbe favorire gli scambi tra le tre repubbliche, eliminando le spese di cambio e rendendo più facile il confronto dei prezzi. Il governo lituano inoltre conta che l’euro possa rilanciare l’economia, rendendo il paese più attraente per gli investitori stranieri, eliminando le spese legate al cambio, riducendo i costi di assunzione e incrementando il turismo.

 Il timore è che – come avvenuto altrove – la transizione fra le due valute provochi incontrollati aumenti di prezzi. Il governo ha lanciato una capillare campagna di informazione pubblica e ha introdotto un sistema di “prezzi equi” in base al quale le aziende ‘certificano’ l’impegno a non aumentare i prezzi. La transizione sarà comunque breve: la coabitazione fra le due valute durerà solo quindici giorni, dal 16 gennaio l’euro sarà la sola valuta legale e dalla fine di marzo il cambio fra litas e euro si potrà fare solo in banca (e solo fino alla fine dell’anno). Dopo una attesa così lunga, Vilnius – a quanto pare – ha davvero voglia di ‘abbracciare’ l’euro.

http://www.adnkronos.com/soldi/economia/2015/01/01/lituania-adotta-euro-draghi-bene-per-vilnius-eurozona_Ce1ZDoqLtnkgbwgPHJgV3L.html

PROPOSTA TEDESCA: ”CANCELLIAMO LA GRAN PARTE DEL DEBITO GRECO E IN CAMBIO LA GRECIA ESCE DALL’EURO”

Per fortuna che syriza vuol tenere i greci nell’euro.…che culo

 gennaio 02 2015

Di Max Parisi –

 Alla luce delle nuove insicurezze politiche in Grecia, il parlamentare della Cdu dell’Assia, Klaus-Peter Willsch chiede di adottare dei provvedimenti nei confronti di Atene. “Gli eventi dimostrano che non si puo’ andare avanti cosi’. E’ gia’ stato bruciato troppo denaro, bisogna mettere fine a tutto questo”, ha dichiarato il membro della commissione economica del Bundestag al quotidiano “Handelsblatt”.

 Willsch ritiene un errore cercare a tutti i costi di tenere la Grecia nell’eurozona.

 “Solo se la Grecia esce dall’euro, rimanendo ovviamente uno Stato membro della Ue, il Paese tornera’ a respirare”, ha dichiarato il cristiano-democratico.

 Sarebbe quindi meglio cancellare una parte dei debiti della Grecia in cambio dell’uscita dall’euro: “Solo cosi’ ci sarebbe una nuova prospettiva positiva, per la Grecia, per l’eurozona e per l’Europa”.

 Ma Willsch non e’ l’unico a prospettare l’uscita di Atene dall’euro: anche secondo il vice-capogruppo parlamentare dell’Unione di centro-destra al Bundestag, Michael Fuchs (Cdu), in caso di una vittoria dell’alleanza della Sinistra greca Syriza, l’uscita degli ellenici dall’eurozona sara’ uno scenario possibile.

 La situazione e’ completamente diversa da quella di tre anni fa, quando non c’erano ancora i meccanismi di sicurezza, ha dichiarato Fuchs: “I tempi in cui dovevamo salvare la Grecia sono finiti. Non c’e’ piu’ questo potenziale di ricattabilita’”.

 La Grecia non e’ “too big o fail” per l’euro, ha commentato l’esponente della Cdu. Se Alexis Tsipras di Syriza crede di poter ridurre gli sforzi di riforma e le misure di austerita’, “allora anche la Troika dovra’ ridurre i crediti per la Grecia”.

 E anche secondo l’economista Hans-Werner Sinn, l’uscita dall’euro della Grecia potrebbe essere un’alternativa in cambio di una nuova concessione da parte dei creditori internazionali. In pratica, dalla politica tedesca arriva una proposta sensata: la Grecia esce dalla zona euro e in cambio vengono cancellati alla Grecia buona parte se non tutti i debiti dello Stato ellenico con la Bce, l’Fmi e la Ue.

 Questa proposta – per ora solo ventilata da pur autorevoli politici tedeschi dei partiti del governo Merkel – sarebbe un buon compromesso: la zona euro si libera del perenne “buco nero” dei conti pubblici della Grecia, nazione simbolo della follia d’aver voluto una identica valuta per nazioni europee completamente differenti tra loro, e in cambio paga – una volta per tutte – il conto d’averla voluta nell’euro. Se questa proposta che arriva dalla Germania si trasformasse in realtà, sarebbe perfetta anche per l’Italia (e la Spagna, la Francia, il Portogallo tanto per iniziare).

 Finalmente s’intravede la luce in fondo al tunnel dell’euro-disastro.

 Fonte: ilnord.it

http://www.informarexresistere.fr/2015/01/02/proposta-tedesca-cancelliamo-la-gran-parte-del-debito-greco-e-in-cambio-la-grecia-esce-dalleuro/

Padova, cento euro di multa al senza dimora che dorme per strada

Con quel cognome cosa voleva, essere accolto, sfamato? Per i paladini dell’equaglianza ciò è inammissibile. Solo “profughi” e migranti hanno diritti da tutelare e garantire. Gli altri non sono abbastanza umani da meritare parità di trattamento

 gennaio 3 2015

 Ercole Olmi –

 «Si sdraiava a terra sul marciapiede utilizzandolo come giaciglio per dormire. Nell’occasione utilizzava cartoni e coperte che venivano fatte rimuovere», si legge nel verbale dei vigili urbani di Padova che affibbia cento euro di multa a Massimo Susa, 48 anni, originario di Torino, uomo tranquillo, ex dipendente di una ditta di illuminazione. Una volta perso il lavoro, non è più riuscito a trovarne altri. E’ accaduto la notte del solstizio d’inverno, alle 2.25 del 21 dicembre ma la notizia ha varcato da poche ore i confini della provincia. Al gelo di Padova s’è sommata la ferocia delle politiche per la sicurezza della città veneta governata dal centrodestra e con un assessore di cui Popoff ha avuto spesso ragione di descrivere le gesta: Maurizio Saia (ex rautiano, ex finiano, postfascista di lungo corso), ora sodale del sindaco leghista Bitonci.

 E’ l’assessore che scatena i cani contro i mendicanti, l’eroe della guerra alle povertà.

 Un mendicante con una gamba sola, la scorsa estate, venne indagato per resistenza e oltraggio ai quattro vigili che lo “ciancicavano” in una piazza di mercato sotto gli occhi delle telecamerine di sbigottiti passanti. Cani poliziotto contro i mendicanti, sgomberi di migranti dai ricoveri di fortuna, carte bollate contro gli artisti di strada, sigilli a un centro sociale, tagli drastici al servizio di trasporti pubblici, deportazione degli ambulanti nelle questure – anche se non sussistono reati – per fargli perdere la giornata di lavoro. Queste le medaglie al valore di questo amministratore pubblico di una città dove ogni notte almeno cento persone dormono all’addiaccio. «Ordinaria follia securitaria», come non si stancano di denunciare le reti solidali della città.

 “Gli accattoni devono capire che l’aria è cambiata. Devono essere consapevoli che, se vengono trovati a chiedere l’elemosina, verranno accompagnati in maniera sistematica al commando dei vigili e lì dovranno rimanerci per qualche ora – ebbe a dichiarare Saia – l’idea è quella di portarli al comando, procedere con il foto segnalamento, fare un verbale e tenerli lì il più a lungo possibile. Devono perdere la giornata di “lavoro”, perché questo è il deterrente”.

Saia è piuttosto esperto in questo genere di cose perché in una vita precedente è stato assessore alla sicurezza per conto di Alleanza nazionale senza disdegnare la compagnia di gente di Forza nuova. In quella consiliatura, prima che una giunta del Pd li ricacciasse all’opposizione senza apprezzabili variazioni sul tema, Saia aveva inventato le Sis, squadre intervento speciale dei pizzardoni padovani col chiodo fisso di terrorizzare i migranti e provocare i centri sociali, mai sciolte dai successori.

Fonte:  popoffquotidiano.it

http://www.informarexresistere.fr/2015/01/03/padova-cento-euro-di-multa-al-senza-dimora-che-dorme-per-strada/

A proposito dell’appello «Cambia la Grecia, cambia l’Europa»

Notizia fresca fresca: «Se dopo le elezioni del 25 gennaio prossimo la Grecia, con una vittoria della sinistra di Alexis Tsipras deciderà di metter fine alla politica di risparmi e cancellare il debito, un’uscita del Paese dalla moneta unica sarà inevitabile». Questo è quanto ritengono la cancelliera Angela Merkel e il ministro delle Finanze Wolfgang Schauble. 

Ha voglia Tsipras a dire che non vuole far uscire la Grecia dall’euro! Se applicherà le misure che ha annunciato, saranno loro a cacciare Atene! In questo contesto sarebbe un vero e proprio crimine se Syriza, una volta salita al governo, non avesse un “piano B” per gestire l’uscita. Gli unici a non volerlo capire sono i sinistrati italiani, che vogliono continuare ad adorare l’idolo euro.

Mi auguro che Syriza vinca le elezioni del 25 gennaio (leggi QUI), e che abbia i numeri per governare. Credo di averne spiegato a sufficienza le ragioni. Il fatto che altri esprimano lo stesso auspicio ma con motivazioni assai diverse fa parte delle cose della politica e financo della vita.

Fin qui siamo nella normalità. Oltretutto in Italia, e solo nella pittoresca Italia, ha potuto presentarsi alle elezioni europee una lista portante il nome del «papa straniero» Alexis Tsipras. Un’anomalia certo spiegabile dalle trascorse prestazioni dei suoi promotori, i quali hanno pensato di poter galleggiare solo a condizione di riuscire a camuffarsi. I fatti non gli hanno dato torto, anche se il prezzo è stato quello di mettersi sotto le ali del fianco sinistro del partito de la Repubblica, nell’occasione ben rappresentato da Barbara Spinelli e Curzio Maltese.

Ora la Grecia va al voto e Tsipras ha reali possibilità (non la certezza, sia chiaro) di arrivare al governo. Com’è giusto e naturale che sia i sostenitori della lista italiana hanno promosso un appello per esprimere il loro sostegno a Syriza. E, come è giusto e naturale che sia, lo hanno fatto con i loro argomenti. Che spesso e volentieri sono gli stessi argomenti di Tsipras. Tutto bene dunque? Assolutamente no.

L’appello «Cambia la Grecia, cambia l’Europa» dice cose totalmente condivisibili sulla situazione greca, sulle conseguenze della politica della Troika, sulla campagna mediatica in atto. Dice cose assai meno condivisibili laddove lascia intendere che l’Unione Europea sarebbe riformabile, ma fin qui siamo ancora nel campo delle opinioni, non condivisibili ma legittime. Dove invece si gioca sporco, che più sporco non si può, è nel seguente passaggio:

«Alexis Tsipras ha un programma chiaro: restare in Europa per cambiare l’Europa. Il suo governo chiederà una conferenza europea per la ristrutturazione del debito, che riguarda la maggior parte dei paesi europei; la fine delle politiche di austerità, con l’abrogazione del fiscal compact; un piano europeo per il lavoro e la salvaguardia dell’ambiente. Altro che politica anti-euro e antieuropea, come cercano di descriverla i principali mezzi di informazione del continente per giustificare l’attacco dei mercati, diffondere paura fra gli europei, condizionare gli elettori e le elettrici in Grecia e confondere le proposte della Sinistra con i populismi xenofobi, razzisti e neofascisti».

«Restare in Europa per cambiare l’Europa» è certamente il programma di Tsipras, anche se non esattamente quello di tutto il suo partito, visto che all’interno di Syriza vi è comunque un 35% a favore dell’uscita dall’euro. Ovviamente, vedremo poi quanto l’Europa sarà disponibile a farsi cambiare da Tsipras. Vedremo cioè, alla prova dei fatti, cosa resterà della favola di poter mettere fine all’austerità, tagliare significativamente il debito ed abrogare il fiscal compact con l’amorevole consenso degli oligarchi di Bruxelles…

Ma la cosa più grave non è questa. Il punto davvero intollerabile è contenuto nella seconda parte della citazione di cui sopra, laddove si vuole affermare non una semplice opinione, bensì un autentico dogma: quello secondo cui tutti coloro che sono per l’uscita dall’euro sono immancabilmente populisti, xenofobi, razzisti ed ovviamente fascisti.

E’ esattamente lo stesso dogma diffuso a gran voce da tutti i mezzi di informazione fedeli alla causa dell’oligarchia eurista. E’ un caso? Non credo proprio. E’ invece il classico atteggiamento – a voler essere buoni dettato da una sorta di “sudditanza psicologica” – dei riformisti all’acqua di rose. Di coloro che vedono il male, ma non le cause che l’hanno generato. Che parlano dei diritti dei deboli, ma senza voler mettere in discussione il sistema dei dominanti. Si respinga dunque l’austerità che rovina i popoli, ma sempre nella piena e totale lealtà al mostro che l’ha generata.

L’appello “Cambia la Grecia, cambia l’Europa” è tutto dentro a questa impostazione. Ma la ciliegina sulla torta è l’identificazione tra ogni posizione no-euro e la destra più reazionaria. Sono semmai proprio i discorsi di questo tipo a regalare a quella destra il monopolio della lotta all’euro. Un autentico crimine politico compiuto per non dispiacere alle èlite euriste.

Come molti dei firmatari dell’appello sanno, la posizione no-euro va facendosi invece strada in diversi ambiti della sinistra europea. Certamente è una posizione ancora minoritaria, ma in crescita. Viceversa la posizione del “più Europa” – alla Vendola o alla Spinelli, per capirci – è palesemente alla frutta.

Molti sono ormai gli esponenti della sinistra (militanti, intellettuali, economisti, dirigenti politici) che riconoscono quantomeno la necessità di aprire un dibattito sulla questione dell’euro. Ma la sinistra italiana, sinistrata non per caso, ama solo i dibattiti innocui e rassicuranti. Cioè, per dirla tutta, i dibattiti inutili.

Modestamente, anche in Italia esiste una sinistra contro l’euro. E ne siamo orgogliosi. Anche perché pensiamo di essere nel giusto ed avvertiamo quanto il nostro sentire sia vicino a quello di ampi strati popolari. Che comprendono che di Europa ce n’è una, ed una soltanto: quella che gli strappa la vita giorno dopo giorno. E che una nuova sorgerà, se sorgerà, solo quando quella realmente esistente sarà stata finalmente spazzata via.

http://sollevazione.blogspot.it/2015/01/gioco-sporco-di-leonardo-mazzei.html

2014 buon anno per la Nato

manifesto
Il 2014, per Washington e la sua Alleanza transatlantica, rischiava di essere un anno nero soprattutto in due scenari: una Europa senza guerre dove, nonostante l’allargamento della Nato ad est, si stavano rafforzando i rapporti economici e politici tra Ue e Russia e quasi tutti gli alleati erano restii ad aumentare la spesa militare al livello richiesto dal Pentagono; un Medio Oriente dove stava fallendo la guerra Usa/Nato in Siria e l’Iraq si stava distanziando dagli Usa avvicinandosi a Cina e Russia, la cui alleanza è sempre più temuta dalla Casa Bianca.

Si avvertiva a Washington, sempre più pressante, l’esigenza di trovare una «nuova missione» per la Nato. Che puntualmente è stata trovata. Il putsch di piazza Maidan, a lungo preparato addestrando anche forze neonaziste ucraine, ha riportato l’Europa a una situazione analoga a quella della guerra fredda, provocando un nuovo confronto con la Russia. L’offensiva dell’Isis, a lungo preparata finanziando e armando gruppi islamici (alcuni dei quali prima definiti terroristi) fin dalla guerra contro la Jugoslavia e quella contro la Libia, ha permesso alle forze Usa/Nato di intervenire in Medio Oriente per demolire non l’Isis ma la Siria e per rioccupare l’Iraq.
La «nuova missione» Nato è stata ufficializzata dal Summit di settembre nel GallesYy, varando il «Readiness Action Plan» il cui scopo ufficiale è quello di «rispondere rapidamente e fermamente alle nuove sfide alla sicurezza», attribuite alla «aggressione militare della Russia contro l’Ucraina» e alla «crescita dell’estremismo e della conflittualità settaria in Medio Oriente e Nord Africa». Il Piano viene definito dal segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, «il più grosso rafforzamento della nostra difesa collettiva dalla fine della guerra fredda».

Come inizio, in appena tre mesi la Nato ha quadruplicato i cacciabombardieri, a duplice capacità convenzionale e nucleare, schierati nella regione baltica (un tempo parte dell’Urss); ha inviato aerei radar Awacs sull’Europa orientale e accresciuto il numero di navi da guerra nel Mar Baltico, Mar Nero e Mediterraneo; ha dispiegato in Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania forze terrestri statunitensi (comprese unità corazzate pesanti), britanniche e tedesche; ha intensificato le esercitazioni congiunte in Polonia e nei paesi baltici, portandole nel corso dell’anno a oltre 200.

Sempre in base al «Readiness Action Plan», è stato avviato il potenziamento della «Forza di risposta della Nato» costituendo «pacchetti» di unità terrestri, aeree e navali in grado di essere proiettate rapidamente in Europa orientale, Medio Oriente, Asia centrale (compreso l’Afghanistan dove la Nato resta con le sue forze speciali), Africa e altre regioni. In tale quadro sarà formata una nuova «Task force congiunta ad altissima prontezza», capace di essere «dispiegata in pochi giorni, in particolare alla periferia del territorio Nato».

Contemporaneamente è stato aperto a Riga (Lettonia) il «Centro di eccellenza di comunicazioni strategiche Nato», incaricato di condurre la nuova guerra fredda contro la Russia con vari strumenti, tra cui «operazioni informative e psicologiche». Secondo l’accordo firmato il 1° luglio presso il Comando alleato per la trasformazione (Norfolk, Virginia), fa parte del Centro di eccellenza per la nuova guerra fredda anche l’Italia, con Gran Bretagna, Germania, Polonia e le tre repubbliche baltiche.

In tal modo l’Italia e la Ue contribuiscono ad aprire la «nuova era di dialogo con Mosca» annunciata da Federica Mogherini, alto rappresentante per la politica estera della Ue.

Manlio Dinucci
Fonte:

www.ilmanifesto.info

LA DIFFERENZA TRA L’ITALIA E LA GRECIA. LORO NON POSSONO USCIRE DALL’EURO, NOI SI

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=14436&mode=&order=0&thold=0

Postato il Mercoledì, 31 dicembre @ 07:25:00 GMT 

tsipras

DI GZ

cobraf.com

Siryza ha due economisti ufficiali del partito, che due settimane fa sono andati a Londra e hanno parlato ai fondi spiegando il loro piano e la spread della Grecia è andata da 300 a 1,000 punti. Questo nonostante gli economisti di Syriza abbiano detto che ripagherà tutti i 60 mld di debito greco in mano a privati e chiederà il default solo su metà di quello in mano alla BCE!!!! Pensa un attimo.

In realtà il debito greco in mani private ora sono infatti solo 60 miliardi e rotti e tutto il resto (260 mld e rotti) è in mano alla BCE e ai fondi salvastati, che fanno pagare alla Grecia meno del 2%, per cui il problema non è tanto la spread, quanto cosa decide la Merkel dei 260 mld. E gli economisti di Syriza hanno detto: “ehi… la Grecia rimane nell’Euro e paga tutti i 60 mld di debito in mani privati, vogliamo un taglio del 50% sui 260 mld in mano alla BCE…”. Lo stesso la spread gli è esplosa.

Adesso che stanno per andare al governo Tsipras e compagni stanno misurando bene le parole e affidandosi ad economisti ed esperti che inviano in giro per l’Europa a spiegare i dettagli della “ristrutturazione del debito” cioè DEFAULT che vogliono. Se a marzo vincono, come indicano tutti i sondaggi, chiedono di spalmare il debito greco su 60 anni e a tassi di favore riducendolo in pratica di metà, da 319 miliardi.

Syriza è diventato il primo partito e sta andando a vincere le elezioni a marzo con questo programma: “non paghiamo metà dei 319 mild di debito, tanto sarebbe solo un 1,5% del PIL dell’eurozona… ma per noi è quasi pari al PIL greco !”
(vedi articolo in fondo che spiega bene tutti i dettagli: “..Now let’s look at Syriza’s plan. It says it will negotiate with the EU for the write-off of half the 319bn euros. It will not try to get a write-off from the private sector, and will pay back IMF loans in full, so all the pain falls on the EU and ECB… The 60-year debt deal simply recognises that a 20 year deal only pushes the problem out to the 2040s, and that Greece’s debt is in fact unpayable.

Già adesso, solo perchè hanno le elezioni a marzo in Grecia, la spread greca è andata a 1,000 punti! Non è un vero dramma perchè come si è detto solo 60 mld su 319 mld sono sul mercato, ma è un assaggio di quanto siano isterici i mercati. Forse Tsipras e compagni ora si spaventano, fanno marcia indietro si rimangiano le promesse, perchè la spread gli stanno esplodendo, gli crollano le banche e hanno la fuga di capitali ecc… ?

Non sembra: Tsipras non dovrebbe rimangiarsi le promesse se guardi la personalità dei leader e senti i suoi economisti che sembrano sapere quello che dicono. Quindi deve… bluffare per convincere la Merkel e la BCE…. Deve però stare attenta perchè la Grecia ha un debito estero alto in percentuale del PIL.

L’Italia invece no. L’Italia ha 430 miliardi di debito netto e la Grecia 230 miliardi, ma il PIL dell’Italia è di 1,600 mld e quello della Grecia di 190 miliardi.

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Qui cerco sempre di mostare le cifre vere e non le percentuali che confondono, ma in sostanza il debito greco ESTERO, QUELLO CHE NON POSSONO RIDENOMINARE IN DRACME è maggiore del PIL greco per cui se escono dall’Euro i greci il loro debito estero, che NON POSSONO RIDENOMINARE, gli raddoppia e sono fritti. Cioè, .con un PIL di meno di 200 miliardi, uscendo dall’Euro i greci (aziende, stato, famiglie) si ritrovano altri 200 miliardi di debito in più (in euro, dollari…) che devono pagare in valuta straniera anche se sono tornati alla dracma. E per le imprese greche significa fallimento.

L’Italia invece ha solo 400 mld e rotti di debito estero NETTO (al netto dei crediti che famiglie e imprese hanno) su 1,600 mld di PIL e se esce dall’Euro avrà una svalutazione minore della Grecia, diciamo che da noi il debito estero aumenta per effetto del ritorno alla Lira forse di 200-250 mld, cioè (su un PIL di 1,600 mld) di un 15%.

La Grecia è un paese veramente fragile, a differenza dell’Italia. In Grecia nelle banche c’erano 280 miliardi e nel 2011 erano calati di colpo di 60 miliardi i depositi bancari, prima che la Troika gli prestasse oltre 200 mld in varie modalità e stabilizzasse la situazione


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Il problema è il debito ESTERO, quello fuori dal paese, che devi pagare comunque, specie le imprese, in valuta estera in ogni caso, anche se torni alla valuta nazionale. La Francia e l’Italia ne hanno rispettivamente un 10 e 15% del PIL per cui possono uscire dall’Euro. Portogallo, Spagna e Grecia ne hanno per il 100% del PIL per cui non possono uscire dall’Euro.

Questo spiega perchè Podemos in Spagna e Syriza in Grecia e virtualmente tutti in questi tre paesi siano contro l’uscita dall’Euro. E in Francia la LePen sia il primo partito e Salvini, Meloni, Grillo e in parte Berlusconi in Italia siano forse la maggioranza ora parlando di uscire dall’Euro.

OK ? Questo è il motivo per cui l’Italia può uscire dall’Euro e la Grecia no. Per noi significa un aumento del debito estero (denominato in valuta estera, che non puoi cambiare) di un 15% del PIL e per la Grecia del 110% circa.

In Italia Salvini e Grillo non temono ancora di andare al governo o vincere referendum (che è lontano un anno nel tempo) per cui possono parlare a ruota libera, ma quando si avvicina il momento di una vera decisione o sul DEFAULT come chiedono in Grecia a Syriza o sull’uscita dall’Euro allora cambia tutto. In Grecia quel momento è arrivato, in Italia arriverà nei prosimi mesi e allora devi stare attento a quello che proponi DI PRECISO, perchè se sembra che sarai tu (Tsipras o Podemos o Grillo/Salvini) a decidere i destini del debito i mercati attaccano in anticipo.

Il secondo articolo è fatto molto bene e spiega la situazione in Grecia.

GZ

Fonte:

Link

30.12.2014

GUARDIAN: LA GRECIA HA PERSO IL POTERE CONTRATTUALE DI MINACCIARE L’EURO-EXIT (da Voci dall’Estero)

La Grecia non ha più il potere contrattuale di una volta, e le richieste di Syriza per una remissione del debito probabilmente non saranno accolte

di Phillip Inman – 29 dicembre 2014

Gli allibratori hanno tagliato le quote scommesse per un’uscita della Grecia dall’euro, ora che probabilmente le elezioni porteranno al potere un partito di sinistra col mandato di muovere guerra a Bruxelles.

La scommessa è che i leader di Syriza, che sono sul punto di dominare il parlamento dopo le nuove elezioni, scopriranno che Atene non ha più quel potere contrattuale che aveva un tempo.

Quattro anni fa la Grecia era come il proverbiale topolino rispetto all’elefante europeo: minuscolo in confronto, ma con una grande capacità di spaventare e destabilizzare.

Oggi l’eurozona, sebbene sia ancora un goffo gigante, ha acquisito una scaltrezza che mette la Grecia in netto svantaggio. Bruxelles è riuscita a scavare una linea tagliafuoco tra sé e i potenziali ribelli anti-austerità.

Syriza sostiene che la determinazione della coalizione di centrodestra nello spingere avanti i tagli al bilancio fino a generare un surplus che permetta di ripagare il debito a Bruxelles, al Fondo Monetario Internazionale e agli investitori privati, sia la ricetta per un’infinita austerità e povertà. Da Bruxelles dovrebbe venire invece una maggiore remissione dei debiti, con la possibilità di ripagarli entro termini più lunghi.

Tuttavia i leader dell’eurozona hanno passato gran parte degli ultimi due anni a puntellare le finanze degli altri paesi colpiti dalla crisi, come Irlanda e Portogallo, e a legare più strettamente al seno di Bruxelles quei paesi che erano vicini al crollo finanziario.

I fondi di salvataggio dell’eurozona e i fondi per le infrastrutture vengono spesso descritti come inadeguati per stimolare la crescita, ma tuttavia sufficienti a mantenere la stabilità nell’area monetaria.

C’era una situazione differente nel 2010, quando la minaccia di un’uscita della Grecia dall’euro aveva spaventato per la prima volta gli investitori internazionali. A quel tempo, i gestori dei maggiori fondi d’investimento del mondo vedevano aprirsi un vuoto al centro dell’eurozona. Ancor di più, ritenevano che un voto in un qualsiasi paese, piccolo o grande, avrebbe significato la sentenza di morte per l’euro.

Ora gli investitori ritengono che il loro denaro sia al sicuro. I mercati azionari e i mercati delle obbligazioni, che erano impazziti nel 2010, hanno ora scontato l’eventualità di un’uscita della Grecia dall’euro nelle loro previsioni per l’anno venturo. Certo avrebbe conseguenze, ma non sarebbe quell’evento sismico che un tempo veniva temuto.

Pertanto, privata della capacità di determinare uno shock in questo gioco del rischio calcolato, Atene è la sola perdente.

Peggio ancora per la Grecia, molti dei papaveri a Bruxelles ritengono che per quante storie si facciano, il paese sia ricco e abbia solo bisogno di un po’ di redistribuzione al suo interno per risolvere gran parte della sua povertà.

Gli incalliti eurocrati pensano che la Grecia, come altri paesi in difficoltà quali Italia e Spagna, possano risolvere molta della loro povertà con un giro di vite sulla corruzione palese e sulla fiorente economia sommersa.

Avendo ciò in testa, le richieste di remissione del debito avanzate da Syriza saranno accolte con qualche sorriso e un fermo “no”. Da Berlino ad Oslo c’è ben poco sostegno per gli elettori greci.

“Greece election: opposition party’s main enemy will be time”

Sunday 21 Dec 2014
….What can Syriza do?
Syriza’s ability to negotiate successfully will depend very largely on mood music in Europe.

If, for example, the Greek centre right implodes – during or after the election – it would become clear to the EU that there is no point holding out to cause chaos and a second election: the winners then might only be more radical parties.

It is clear from my discussions with George Stathakis and John Milios, the economics professors who have designed the Syriza debt programme, that they are positioning themselves within a wider European debate.

Parts of the EU establishment want to use ECB quantitative easing (QE), loosen fiscal austerity and pursue a Keynesian version of structural reform.

The prevailing view in Germany is to keep fiscal austerity, do everything short of QE and to do a neoliberal version of structural reform.

Syriza’s economics professors believe that if they can insert the Greek debt problem into this dynamic, and with the help of the two bigger left parties – Die Linke in Germany and Podemos in Spain – and indeed some left social democrats, they can negotiate the big debt write-off.

But their own domestic growth programme is reliant on inward investment happening at the same time as a re-regulation of the labour market and the restoration of some welfare spending.

Germany the key?

Much has been made of the disastrous meeting Mr Stathakis and Mr Milios had with private investors in London.

But they are not planning to default on private debt, and the 2015 repayment crunch is primarily with the IMF and EU.

Earlier this month Charles Robertson, of Renaissance Capital, issued a note saying:

“We see a fair chance that German Chancellor Angela Merkel will say yes to Syriza.

“She made the decision in 2010 that Greece should stay in the eurozone and that probably prevented a far wider global crisis.

“Saying yes to Syriza is not that expensive (roughly 1 per cent of eurozone GDP)… We think Europe would be a step closer to the fiscal .union that Germany clearly rejected in the 1990s, when it agreed to sacrifice the Deutschmark for the euro via the Maastricht treaty.” – Thoughts from a Renaissance Man, 9 December

However, the same analyst warned that the precedent might persuade Merkel and the ECB to say no.

So the biggest question for the survivability of a Syriza government is whether the EU governments and the IMF play ball.

Those who have met the Syriza economic leadership, comparing notes, tend to say they are acting as if they know Mrs Merkel may say yes when there is a high likelihood she will say no, and they don’t realise how tough the ECB, IMF and private investors are going to get in the short term, to force Syriza to impose its own form of austerity.

The timing is interesting. Greece has a 7bn euro cash buffer built into the original bailout deal.

There is also some financial engineering whereby the state can borrow from public enterprises, to the tune of about 7.5bn euros. Plus the banks are set to repay about 2bn euros of state bailout money.

So the smart money says Mr Tsipras could meet debt redemptions coming due in the first half of 2015.

However, the second half is the crunch point. Of the 17bn euros due, 11bn euros is in the second half, and BoAML’s analysts think that even with all this duck and dive economics, Syriza would have to raise about 11bn euros in the markets.

If Syriza does form a government there will certainly be a multilevel political crisis in Greece.

The official system is riddled with corruption, from hospital doctors on the take to discrepancies at the very highest levels of government. Out of control actions, and fascist infiltration into certain police units, make the possiblity of destabilisation there non-negligible.

The large anarchist left, which recurrently clashes with the cops, will probably up the ante.

As the centre-right economist Yannis Palaiologos points out in his book this year, The 13th Labour of Hercules: Inside the Greek Crisis, the main problem in Greece is not debt, but the fact that an independent state, standing above local and sectoral claims, barely exists.

The Greek state is a mass of claims and counter claims which are impossible to navigate unless you use networks of party privilege.

As all these networks are clustered into government, the sudden departure of such networks form power will make Greece very hard to run, even without workers on strike, migrants camped on the streets and anarchists squatting in buildings.

– See more at: http://blogs.channel4.com

 

La politica anti-russa di Angela Merkel è diretta da Londra?

eppure c’è gente che crede che un paese sconfitto dagli Usa possa avere autonomia decisionale propria, certo lo ripetono politici, media, opinion maker “griffati” come possiamo dubitare?

29 dicembre 2014 (MoviSol) –

Chi non si spiega la politica anti-russa del Cancelliere tedesco Angela Merkel può trovare una risposta ai suoi interrogativi nella figura del consigliere di politica estera della Bundeskanzlerin, Christoph Heusgen.

L’agenzia EIR spiega al riguardo: Heusgen è un agente della politica di “regime change” di Tony Blair, una politica che egli ha contribuito ad elaborare per l’Unione Europea assieme all’ex consigliere di Blair Robert Cooper, prima di essere chiamato a Berlino nel 2005. Il suo mandato nella capitale tedesca è stato quello di ribaltare la politica anti-guerra e di amicizia con la Russia stabilita dal Cancelliere Gerhard Schroeder, e di fare da contrappeso all’allora (e attuale) ministro degli Esteri Frank Walter Steinmeier, continuatore di quella politica.

Dopo che Schroeder aveva detto “nein” alla guerra in Iraq e si distanziò, assieme al Presidente francese Jacques Chirac, dai paesi europei che aderirono alla “coalizione dei volenterosi” diretta dall’asse angloamericano nel 2002, la Commissione UE si mobilitò per riassorbire l’opposizione e impedirla nel futuro. Heusgen e Cooper, lavorando assieme sotto il Rappresentante di Politica Estera e di Sicurezza dell’UE Javier Solana, stilarono rapidamente, in consultazione con Washington, quella che divenne la Strategia di Sicurezza Europea (ESS), adottata dall’UE alla fine del 2003. Quel documento di dodici pagine impegna l’UE all’intervento militare preventivo qualora siano minacciati i “diritti umani” o la “democrazia” in qualsiasi parte del mondo. Esplicitamente bersagliati sono i paesi “all’est dell’Unione Europea” che non si sottomettono alla definizione UE del “buon governo”.

Come principale consigliere di politica estera di Angela Merkel, Heusgen si è adoperato per realizzare la strategia ESS, come egli ha dichiarato in alcune interviste. Attualmente egli è impegnato nel tentativo di neutralizzare un importante ostacolo alla sua politica, il Petersburger Dialog, un forum istituzionale per consultazioni russo-tedesche.

Il concetto dietro alla ESS è quello che lo stesso Cooper ha chiamato “imperialismo liberale”. Nel suo libro The Breaking of Nations: Order and Chaos in the Twenty-First Century, uscito nel 2003, Cooper scrisse: “La più lungimirante forma di espansione imperiale è quella dell’Unione Europea. La risposta post-moderna europea alle minacce è estendere sempre più il sistema di impero cooperativo”.

Nel 2001, Cooper aveva catalizzato un’intensa discussione in Gran Bretagna con la sua proposta di muoversi verso un nuovo tipo di imperialismo. In un articolo scritto per la rivista Prospect nell’ottobre di quell’anno, intitolata The New Empire, Cooper aveva scritto che “sembrano esserci tutte le condizioni per un nuovo imperialismo”. Di fatto, Cooper ha contribuito decisamente al famoso discorso di Blair a Chicago nel 1999, in cui l’allora Premier britannico espose la teoria di una nuova era di interventismo globale dietro il pretesto delle ragioni umanitarie. Tutto ciò consente di affermare che la mano che esegue la politica di guerra imperiale europea è tedesca, ma il cervello è britannico.

Su Robert Cooper

“L’imperialismo liberare e l’Unione Europea” (2004)

“L’utopia imperiale di Robert Cooper” (2004)

“Padoa Schioppa, ministro dell’Impero” (2006)

http://www.movisol.org/14news262.htm

Usa programmano nuova Maidan in Ungheria

In Ungheria ci dicono dalla società civile che c’è un despota cattivo, che sbatte fuori il FMI, che nazionalizza le banche ed aumenta le pensioni, va fermato perché siamo ad un passo dalle fosse comuni ed una guerra di liberazione del popolo ungherese si impone, ovviamente da parte di coloro che senza chiedere mai niente in cambio da 70 anni liberano il pianeta dai cattivi. Mentre in Ucraina si sono avvalsi di manovalanza di destra, essendo in Ungheria al potere la destra si avvarranno delle sinistre che da tempo lanciano allarmi sulla così definita dittatura con i soliti cliché..Niente di nuovo, non è la prima volta che “si prestano ad aiutare la NATO ad allargare l’impero”. Basti vere in Italia quale governo viene richiesto, per meglio proteggere gli interessi americani
C’è una raffica di dichiarazioni, prese di posizione, ecc, in Ungheria contro gli Stati Uniti, accusandoli di voler fomentare una “nuova Majdan” ucraina in Ungheria con decisioni estreme che interessano la politica degli Stati Uniti con il suo estremismo e totale disprezzo della sovranità, irrazionalità destrutturante, ecc.

Russia Insider (RI) pubblica testi, tra cui due interviste ad importanti esponenti politici, che lanciano accuse molto gravi verso tale politica, e implicitamente la concreta sostenibilità ed interessi dell’Ungheria nell’alleanza con gli Stati Uniti, almeno tramite la NATO. I tre testi sono: “L’Ungheria teme Majdan made in USA, accuse all’ambasciatore USA a Budapest Andre Goodfriend di aver frequentato le manifestazioni antigovernative” del 28 dicembre 2014; “I governi di Ungheria e Stati Uniti sono ora avversari. Questo è il senso dell’intervista a Janos Lazar, braccio destro del primo ministro ungherese”, del 29 dicembre 2014 e infine “L’Ungheria vuole un’alleanza regionale per difendersi dagli Stati Uniti” del 30 dicembre 2014.
Nel terzo articolo, un colloquio con il presidente del Parlamento ungherese Laszlo Köver, terza carica ufficiale della Repubblica ungherese, pubblichiamo domande e risposte tratte dall’articolo di RI. Il tono è così estremo che si può pensare che l’Ungheria sia impegnata, o costretta dai suoi concetti sovrani, ad impegnarsi sempre più nella politica di rottura, in gran parte giustificata dalle enormi pressioni e interferenze degli USA. Le domande dovrebbero far chiedere come l’Ungheria possa rimanere nella NATO con tale posizione; come una prova di forza su qualsiasi pretesto non possa sorgere in un momento qualsiasi; come una situazione così tesa non possa avere gravi conseguenze nella NATO e naturalmente nell’UE. Certo, siamo nella Grande Guerra postmoderna attuata principalmente attraverso la comunicazione e che non disdegna di contrapporre tra loro degli alleati, ma tale percorso non impedisce diramazioni e finali improvvisi (Ucraina).

Domanda: “La pressione degli Stati Uniti aumenta mentre l’Unione europea sembra trattenersi e non ci attacca. Come interpreta questi eventi?”
Laszlo Köver: “Le recenti dichiarazioni della viceministra degli Esteri statunitense Sarah Sewall sono molto rivelatrici. Ha parlato apertamente e in modo netto di come gli Stati Uniti, in modo abbastanza ampio e particolareggiato, devolvino milioni di dollari nell’interesse della sicurezza nazionale per l’esecuzione di vari piani d’azione nei Paesi dell’Est europeo. Parte di questi sono sicuramente Stati membri dell’UE, e il resto aspiranti Stati membri, anche se Sewall ha menzionato solo la Repubblica Ceca. Finora sembra che non siamo i soli a “a fare da legna sul fuoco”, ma presumibilmente la Slovacchia, ma non possiamo escludere che i risultati delle elezioni presidenziali romene vi giochino un ruolo. Da ciò possiamo dedurre la definizione del potere che dal punto di vista della sicurezza nazionale non ci sia un centimetro quadrato di territorio che ricada al di fuori dei suoi interessi. Da questo ne consegue anche che, a parte loro nessun altro Paese può avere una sovranità. Gli eventi recenti non possono essere distinti dal controllo delle conversazioni della leader politica dell’alleanza europea occidentale, Angela Merkel. E’ un presupposto logico che tra gli alleati degli Stati Uniti, il campo delle attività possa essere qualificato non convenzionale non solo verso l’Ungheria, ma tutta l’Europa. Si vantavano dei milioni di dollari “investiti” nel cambio in Ucraina. Dobbiamo guardare ai problemi sul libero accordo commerciale e degli investimenti tra Unione e USA. Così è evidente che una lotta per il potere politico mondiale sia in corso, la cui posta in gioco è non solo il destino dell’Ungheria, ma di tutta l’Europa, per la sovranità degli Stati nazioni europei e la vera democrazia”.

Domanda: “Cosa possiamo fare in questa situazione? Possiamo fare qualcosa?”
Laszlo Köver: “Possiamo scrollarci di dosso l’obbligo morale di credere che la soluzione sia nelle nostre mani. E’ del tutto inutile, perché senza speranza, fare sforzi diplomatici nell’interesse degli statunitensi, recependo la vecchia fraseologia comunista per definire la nostra situazione attuale, non siamo deviazionisti revisionisti, e non è necessario inviare truppe nello spirito della dottrina Breznev per dominarci. Non siamo la posta in gioco. Sugli scacchi abbiamo solo il ruolo di pedoni. Ma ci muoviamo come una pedina che non vuole giocare secondo le regole degli statunitensi. Non siamo mai stati bravi in diplomazia. Non dobbiamo fare i modo che gli statunitensi ci amino neanche ora. Dobbiamo trovare alleati altrove. Quelli con cui “siamo nella stessa barca”, anche ai ponti inferiori come i Paesi dell’Europa orientale e centrale. Risolvere la questione ungherese in Slovacchia e Romania non dovrebbe essere la politica principale. Possiamo considerarla se condividono con noi le sfide ai principali problemi economici e sociali. Dopo aver ottenuto l’adesione (all’UE), non è forse nostro obiettivo comune emanciparci nel quadro dell’Unione europea? La diplomazia ungherese deve concentrarsi su ciò e sulla cooperazione strategica con la Germania”.

Domanda: “Gli statunitensi illustrano una logica bellica?”
Laszlo Köver: “Sembra che una logica totalmente irrazionale inizi ad operare nel mondo. Piccoli egoisti inadatti alla politica distorcono il destino di Paesi e popoli dal Nord Africa all’Europa centro-orientale, secondo ciò che appare come strategia a lungo termine, ma in realtà è solo basata su interessi momentanei. Abbiamo avuto alcuni anni di pace, quando era possibile credere che un sistema mondiale unipolare fosse emerso. Ma ora vediamo che non è così, e che gli Stati Uniti ancora combattono le potenze emergenti, già del terzo mondo e nuove rivali, e la Russia. Non vogliono subordinarsi, e nemmeno l’Europa. Così la Pax Americana, non è finita. I conflitti attuali derivano da ciò. Allo stesso modo gli statunitensi al momento della guerra in Iraq misero da parte i loro alleati, la NATO, il diritto internazionale e i diritti umani, che sfruttavano come club politico”.

Domanda: “Ma qual è il loro obiettivo?”
Laszlo Köver: “Sembra che non saranno soddisfatti da un altro governo al posto di quello attuale, ma pensano in termini di cambio dell’intera élite del governo e dell’opposizione. Fino alla sua scomparsa, il SZDSZ era il partito utile alle politiche degli Stati Uniti e loro avvocato in Ungheria. Quando cadde, gli statunitensi cercarono di portare in vita il LMP (il partito liberale parvenu “La politica può essere diversa”).

Domanda: “Ritiene che tali potenziali politici possano creare la prossima élite?”
Laszlo Köver: “Forse vogliono istigare scioperi dagli scopi dubbi con i loro maglioni dell’URSS, cappelli di Lenin e promuovendo la liberalizzazione delle droghe” […]

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

CHI E’ SABELLA , IL NEO ASSESSORE DELLA GIUNTA MARINO ?

 Renzi, Marino & complici, non si smentiscono mai

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 I media ce l’hanno venduta come la garanzia che si voleva ‘uscire’ da Mafia Capitale che aveva votato e fatto votare per Marino…con un super Magistrato IMMACOLATO, che , insieme al Prefetto di Roma (anch’egli indagato) diventava Garante dell’onesta amministrazione… ma nessuno media o partito ha dato spazio alle sacrosante proteste dei ‘Giuristi Democratici’. Leggendo il loro comunicato si comprende come ‘i cittadini al di sopra di ogni sospetto’ ..si sorreggano l’un l’altro. 

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 L’Associazione Giuristi Democratici di Roma esprime perplessità per la scelta del Sindaco di Roma Capitale, Ignazio Marino, di prendere in considerazione per l’incarico di assessore alla legalità il Dr. Alfonso Sabella. Ciò, nel ricordo dell’operato dello stesso nelle drammaticamente storiche giornate del G8 di Genova 2001. In quel contesto, ormai universalmente definito come la più grande sospensione dei diritti di democrazia in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale, il Dr. Sabella si trovò a operare quale coordinatore dell’organizzazione e del controllo su tutte le attività dell’amministrazione penitenziaria, che si svolsero anche nella caserma N. Bixio di Bolzaneto. I comportamenti illegali, i trattamenti inumani e degradanti inflitti agli ospiti di tale struttura ad opera di alcuni degli agenti ivi presenti sono ormai dato incontrovertibile. In quel quadro, «il comportamento del dott. Sabella non fu adeguato alle necessità del momento. Egli fu infatti negligente nell’adempiere al proprio obbligo di controllo, imprudente nell’organizzare il servizio (…) imperito nel porre rimedio alle difficoltà manifestatesi». Così afferma l’Ordinanza del Tribunale di Genova del 24.1.’07, la quale conclude testualmente sostenendo che«Alfonso Sabella non adempì con la dovuta scrupolosa diligenza al proprio dovere di controllo e che, pur trovandosi nella speciale posizione di “garante” (…), non impedì il verificarsi di eventi che sarebbe stato suo obbligo evitare».

Tutto ciò dimostra che, sebbene l’operato del Dr. Sabella non sia stato ritenuto illecito, lo stesso non è stato ritenuto in grado di svolgere i ruoli organizzativi e di controllo sulla commissione di reati affidatigli, avendo per di più creduto alle giustificazioni di chi fu poi condannato per quei fatti gravissimi, circa il trattenimento dei fermati in piedi, faccia al muro e mani in alto; e ancora avendo, fin da subito, affermato pubblicamente che «A Genova l’operato degli agenti penitenziari è stato esemplare».

Sicuramente, non è questo il viatico che può accompagnare chi si appresta a ricoprire un incarico quale quello per il quale il Dr. Sabella sarebbe stato prescelto.

 Roma, 19 dicembre 2014

 ASSOCIAZIONE GIURISTI DEMOCRATICI DI ROMA

Israele utilizza Gaza come un laboratorio per testare nuove armi

dicembre 31 2014

Il segretario generale dell’Iniziativa Nazionale di Palestina, Mustafa Barghouti, ha lanciato una grave accusa, la scorsa Domenica, contro Israele che utilizzerebbe i residenti della Striscia di Gaza come cavie per testare le sue nuove armi.

“Nel corso dell’ultima offensiva (dall’Inizio di Luglio fino alla fine di Agosto), il regime di Tel Aviv ha utilizzato armi proibite e di distruzione di massa contro i civili di questa regione assediata”, ha annunciato l’esponente palestinese nel corso di una conferenza stampa tenutasi a Ramala, nella zona occupata della Cisgiordania.

Dopo aver sottolineato che il regime israeliano è uno dei maggiori produttori di armi del mondo, il dirigente palestinese ha assicurato che ci sono documenti e prove che attestano l’impiego di armi proibite da parte del governo di Tel Aviv contro i palestinesi.

“Nel corso degli ultimi anni, il regime di occupazione israeliano ha scatenato 4 guerre in cui ha utilizzato armi proibite, oltre ad utilizzare barili di esplosivo e bombe a grappolo”, ha affermato Barghouti.
“L’anno 2014 è stato il più sanguinoso per i palestinesi nel corso del quale il regime di Tel Aviv ha ucciso per lo meno 2.270 palestinesi mediante attacchi e bombardamenti che sono durati 51 giorni, oltre ad aver commesso crimini a Al-Quds e nella zona occupata dell Cisgiordania”.

Da ultimo, ha specificato che, nella sua offensiva contro Gaza, le forze israeliane hanno bombardato dalla terra, dal mare e dall’aria questa zona costiera utilizzando 21.000 tonnellate di materiali esplosivi il che equivale all’utilizzo di 2 bombe atomiche.

 Occorre segnalare che, nel periodo tra Dicembre 2008 e Gennaio 2009, nella precedente offensiva israeliana contro la striscia di Gaza, il medico norvegese, Mads Fredik Gilbert, aveva detto che l’enclave di Gaza veniva utilizzata come un laboratorio per provare nuove armi, dopo che aveva descritto i vari tipi di lesioni che aveva visto mentre lavorava nell’Ospedale di Shifa.     Vedi: Youtube.com/watch    Vedi: Doctor tells of Unconventional Weapons used in Gaza

I costanti attacchi aerei dell’Esercito Israeliano contro i civili palestinesi sono parte della vita giornaliera dei residenti di Gaza, che patiscono, dal 2007, un ferreo blocco imposto dal regime di Tel Aviv. che impedisce di esercitare i loro principali diritti e di ricevere rifornimenti di vario tipo incluso medicinali, generi di prima necessità, materiali per ricostruire le case distrutte, ecc..  Vedi: Porre fine alla punizione collettiva della popolazione civile della striscia di Gaza!

Da segnalare  la durissima la denuncia di quasi 400 docenti e difensori dei diritti umani da tutto il mondo (tra cui ex esperti indipendenti dell’ONU e Professori di diritto internazionale e di diritto penale di riconosciuto prestigio), uniti nel condannare le gravi violazioni e il “disprezzo dei più basilari principi del diritto internazionale” e “dei diritti fondamentali dell’intera popolazione Palestinese” che continuano a caratterizzare l’incessante offensiva Israeliana in corso nella striscia di Gaza.

La dichiarazione chiama la comunità internazionale, le Nazioni Unite, la Lega Araba, l’Unione Europea e gli Stati Uniti, a mettere in atto precisi ed efficaci meccanismi di accertamento delle responsabilità per i gravi illeciti oggetto della dichiarazione: “Le responsabilità non possono essere ancora una volta ignorate e obliterate per servire interessi politici: il nostro interesse deve essere quello della protezione dei civili e della pace”, afferma il Professor John Dugard, ex ‘Special Rapporteur’ delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei territori Palestinesi occupati sin dal 1967.

“Ancora una volta è la popolazione civile, l’insieme dei soggetti protetti dal diritto internazionale umanitario, ad essere al centro degli attacchi. La popolazione di Gaza è stata presa di mira in nome di un diritto all’autodifesa di Israele legalmente non giustificabile, nel mezzo di una escalation di violenza provocata di fronte a tutta la comunità internazionale”, afferma la dichiarazione.

E’ indiscutibile, secondo i docenti, la trasgressione di principi cardine del Diritto Internazionale Umanitario, tra cui il principio di distinzione, secondo il quale solo combattenti e obiettivi militari possono essere attaccati, e il principio di proporzionalità. Attacchi indiscriminati contro i civili, “da chiunque perpetrati, non soltanto violano il diritto internazionale, ma sono – aggiungono – moralmente inaccettabili”.

Gli esperti affermano: “Sono state uccise intere famiglie. Ospedali, cliniche e persino centri di riabilitazione per disabili sono stati attaccati e gravemente danneggiati Il numero di profughi interni ha superato la cifra di 240,000, molti dei quali rifugiati nelle scuole dell’agenzia Onu per i rifugiati Palestinesi – UNRWA, rivelatesi però tutt’altro che immuni agli attacchi israeliani, come dimostrato dai ripetuti attacchi alla scuola UNRWA di Beit Hanoun”, in cui avevano trovato rifugio centinaia di civili in fuga e il cui bombardamento ha causato la morte di almeno quindici persone e il ferimento di decine di donne e bambini. Nessun luogo è sicuro a Gaza.

Nonostante questa autorevole denuncia internazionale,  si deve constatare  che tutto è finito sotto una coltre di sabbia dei media occidentali che evitano accuratamente di parlare della situazione di Gaza per non urtare la suscettibilità del governo Israeliano, visti i suoi stretti rapporti esistenti con i governi occidentali.

Fonti:

Traduzione e sintesi: Luciano Lago per Controinformazione