E Fukushima? Il reattore 4 sta sprofondando…auguri

23 Novembre 2014
 
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di Angelo Jervolino –
 
La situazione precaria presso l’impianto nucleare di Fukushima Daiichi in Giappone continua solo a peggiorare, secondo un ufficiale giapponese di primo piano. Nel corso di una intervista, Mitsuhei Murata, l’ex ambasciatore giapponese in Svizzera e Senegal, ha spiegato che il terreno sotto l’unità 4 della centrale sta gradualmente affondando, e che l’intera struttura è molto probabile sull’orlo del collasso completo. L’ex premier giapponese Naoto Kan afferma che: sotto il grande deposito di combustibile atomico, il terreno è già sprofondato di circa 31 centimetri. Questo è molto preoccupante, in quanto l’unità 4 detiene attualmente 1.533 barre di combustibile nucleare, e 37 milioni di curie di radiazioni mortali che potrebbero rendere parte del mondo del tutto inabitabile. In pratica la vita di qualche miliardo di persone è a rischio, ma ovviamente nessuna televisione ne parla, le radiazioni potrebbero investire la Corea, la Cina e la costa occidentale del Nord America. 
 
I tecnici della Tepco con un gigantesco macchinario di sollevamento cercheranno di rimuovere le barre di combustibile esausto dalla vasca di stoccaggio del reattore numero 4 a una vasca comune più sicura, ben 1.533 contenitori: 1331 con barre di combustibile esausto che contengono Plutonio e 202 di combustibile “fresco” ossia non utilizzato. Si tratta di contenere radiazioni equivalenti a 14.000 volte la bomba atomica di Hiroshima. Se uno dei bacini crollasse o si incendiasse, questo potrebbe avere gravi effetti negativi non solo sul Giappone, ma sul resto del mondo. Se anche solo una delle piscine di stoccaggio dovesse crollare, avvertono l’esperto nucleare Arnie Gundersen e il medico Helen Caldicott, non resterebbe che «evacuare l’emisfero nord della Terra e spostarsi tutti a sud dell’equatore». Nel reattore 4, a differenza di quelli 1, 2 e 3, non c’è stata fusione nucleare in quanto era fermo per manutenzione ordinaria quando arrivò lo tsunami dell’11 marzo 2011; tuttavia nell’edificio si verificò una inquietante esplosione di idrogeno. Il nucleo del reattore nucleare di Fukushima il N°1, si è fuso, il nucleo è diventato così caldo che parte di esso si è sciolto attraverso il contenitore a pressione che lo conteneva. Parte del nocciolo di almeno un reattore colpito probabilmente era uscito dal suo contenitore a pressione in acciaio nella parte inferiore della struttura di contenimento. Il Radioattivo iodio -131 nell’acqua piovana campionata nei pressi di San Francisco è stato trovato essere più di 18.000 volte sopra gli standard dell’acqua potabile. Nell’Idaho, Minnesota, Ohio, Pennsylvania e Massachusetts, sono stati presi dei campioni di acqua piovana, ed hanno mostrato essere contaminati da Iodio-131 fino a 181 volte superiore al normale, e dovrebbe aumentare. 
 
Le radiazioni sono state rilevate anche nel latte, di conseguenza, a causa di questi rilevamenti, negli Stati Uniti, Obama ha fatto sospendere le misurazioni della radioattività. La contaminazione di Fukushima causerà minimo 420.000 nuovi casi di tumore. Gli isotopi radioattivi che hanno una lunga vita, con un decadimento di circa 150.000 anni, causeranno il caos ambientale e della salute umana senza precedenti. Il combustibile di Fukushima, ha 10 volte più cesio-137 radioattivo, di quello scaricato nell’atmosfera dalla tragedia nucleare di Chernobyl. Venticinque anni dopo Chernobyl il 40%dell’Europa è ancora radioattiva. Tokyo finalmente ammette che, da mesi, si sta inquinando il mare con sversamenti continui di acqua radioattiva, utilizzata per tentare di raffreddare l’impianto. 
 
Ogni giorno, vengono riversate in mare oltre 300 tonnellate di acqua contaminata. Equivalgono a minimo 300 milioni di litri negli oltre 950 giorni trascorsi dall’11 marzo 2011. Lo stesso ex ambasciatore giapponese in Svizzera, Mitsuhei Murata, ha inviato una lettera al presidente Usa Barack Obama in cui sottolinea l’urgenza di “costituire una task force internazionale per assistere il Giappone dispiegando ogni possibile mezzo per ridurre i rischi dell’imminente primo spostamento di combustibile esausto dal reattore 4″. Speriamo che tutto avvenga in modo corretto, e non capiti nessun incidente, in ogni caso voglio sottolineare che i mezzi di informazione dicono che è tutto apposto, tutto sta tornando alla normalità e i giornalisti di tutto il mondo sono stati invitati a visitare l’impianto addirittura senza mascherina perché la radioattività sta calando, e non si corre nessun rischio “che bravi”. Per ora parte del pianeta è stato contaminato per solo 150.000 anni, ovviamente per loro sta tutto apposto che dite ci crediamo?
 
La pericolosità del combustibile al plutonio:
 
 
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Fonti:
 
 
 
 
 
 
Altre informazioni:
 
 
 

Il favore di Padoan alle banche d’affari. Privilegiate in caso di default Italia

lunedì, novembre 24, 2014
 
 
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Adusbef e Federconsumatori, sulla base di un articolo di Gli Stati Generali, denunciano una clausola della legge di Stabilità che comporta il versamento di garanzie in soldoni alle grandi banche d’affari con cui il Paese ha sottoscritto derivati per 160 miliardi
 
Nella legge di Stabilità c’è una norma che potrebbe comportare l’obbligo per l’Italia di versare miliardi di euro su conti esteri come garanzia per le grandi banche d’affari con cui il Paese a metà anni novanta ha sottoscritto derivati per un valore di 160 miliardi di euro. A denunciarlo sono Adusbef e Federconsumatori, facendo riferimento a un articolo pubblicato dl portale Gli Stati Generali che ha rivelato le implicazioni di quanto previsto dall’articolo 33 del ddl ora all’esame della commissione Bilancio della Camera. Quell’articolo stabilisce infatti che il Tesoro sia autorizzato “a stipulare accordi di garanzia in relazione alle operazioni in strumenti derivati. La garanzia è costituita da titoli di Stato di Paesi dell’area dell’euro denominati in euro oppure da disponibilità liquide (…)”. Si tratta in pratica, spiegano Gli Stati Generali, di una clausola “che obbliga la parte su cui grava la perdita potenziale a garantire i pagamenti futuri sui contratti derivati attraverso un deposito di garanzia“. 
E oggi la parte “debitrice” è lo Stato italiano, perché il valore di mercato dei derivati, agli attuali tassi di interesse, è negativo per chi li ha in pancia. Morale: Roma, se la norma passasse, sarebbe tenuta a mettere sul piatto una somma a garanzia degli impegni presi con Morgan StanleyJp MorganDeutsche Bank e altre banche negli anni novanta. Quando il ministero dell’Economia, allora guidato da Carlo Azeglio Ciampi, ha fatto man bassa di derivati per portare il deficit all’interno dei severi parametri imposti ai Paesi che aspiravano a entrare nell’Eurozona.
 
Il “quantum” del deposito è difficile da calcolare, anche perché l’articolo della legge di Stabilità rimanda a un futuro decreto attuativo. Si parla comunque di una percentuale delle perdite potenziali. In un caso reso noto l’anno scorso da Repubblica e Financial Times, un pacchetto di otto contratti derivati dal valore nozionale di 31,7 miliardi presentava nel 2012, quando furono ristrutturati a caro prezzo, perdite potenziali per 8,1 miliardi. Un quarto del totale. Dopo quell’allarme, ricorda il comunicato diffuso mercoledì, le associazioni per i diritti dei consumatori hanno presentato esposti-denunce a 10 Procure della Repubblica chiedendo anche di “sequestrare i contratti derivati i quali, analogamente a Santorini e Alexandria del Monte dei Paschi di Siena, sono stati ristrutturati con perdite rilevanti per lo Stato”. 
 
La Procura di Roma “aprì un’inchiesta affidata al Pm Nello Rossi, di cui non si è saputo più nulla”.
 
Ora, invece, spunta una norma che non solo porterebbe miliardi nelle casse delle banche di investimento, ma attribuirebbe loro anche un privilegio del tutto inedito: gli istituti diventano creditori privilegiati dello Stato italiano, con la possibilità di rivalersi sui depositi di garanzia nel caso di un default sovrano. Mentre gli altri creditori, come tutti i piccoli risparmiatori italiani e le banche italiane che possiedono Btp, dovrebbero mettersi in fila. Il Regolamento europeo sui derivati entrato in vigore nel 2012, peraltro, esclude che una clausola del genere (in gergo Double way credit support annex) si possa applicare a contratti sottoscritti da Stati sovrani. Nella relazione illustrativa, spiega ancora Gli Stati Generali, il Tesoro scrive che “tale pratica operativa è già stata adottata da altri emittenti sovrani: ad esempio, è già attiva da tempo in Svezia, Portogallo e Danimarca ed è stata di recente introdotta dalla Bank of England”. Ma sono casi ben diversi: per Lisbona è stata una resa in una situazione di grave crisi, per Svezia e Danimarca un modo per risparmiare sugli oneri finanziari. Al contrario per l’Italia, oberata da un debito che l’anno prossimo toccherà il 133,8% del pil, equivarrebbe a dare un pessimo segnale sulla propria affidabilità creditizia.
 
Secondo Gli Stati Generali, però, quell’articolo (comparso quasi uguale anche nel collegato alla Stabilità 2014, ma poi stralciato) è caldeggiato dallo stesso Tesoro e in particolare dalla responsabile della direzione Debito pubblico Maria Cannata, che in via XX Settembre lavora fin dagli anni Novanta. Cioè l’epoca della sottoscrizione dei derivati. Le argomentazioni tecniche riportate nella Relazione fanno riferimento alle nuove regole di Basilea che obbligano le banche a considerare nei requisiti di capitale “le esposizioni creditizie generate da posizioni in strumenti derivati”. Una norma che “potrebbe tradursi in un disincentivo nell’acquisto di titoli pubblici italiani con un impatto negativo sulla domanda che a sua volta può generare incrementi nei tassi”. In più sulle somme in deposito “sarà possibile negoziare con ogni controparte uno spread sui tassi monetari e, in caso questi ultimi siano negativi, un floor a zero”. Per cui “è verosimile pensare che possa esserci saldo positivo per lo Stato”. Peccato che per ottenerlo bisognerà dare in pegno la liquidità del Tesoro.
 
Fonte: Il Fatto Quotidiano
 

VITTIMISMO PETROLIFERO

Di comidad del 20/11/2014
Il Decreto “Sblocca-Italia” si caratterizza già per l’arroganza del suo nome, uno slogan che manifesta le pretese messianiche di tutta la comunicazione del governo Renzi. Come se il mondo non avesse aspettato altro che lui, Matteo Renzi si spaccia come un novello redentore che ordina all’Italia paralitica di alzarsi e di camminare. Ciò è in linea con le attuali tendenze del “management”, sia pubblico che privato, in cui ogni nuovo dirigente si presenta come colui che è destinato alla missione di guarire le piaghe causate dalle gestioni precedenti. Ma l’arroganza pubblicitaria degli slogan ovviamente è solo la copertura di un’arroganza lobbistica, perciò il sedicente “Sblocca-Italia” si sta rivelando come uno sblocca-multinazionali. In questi giorni è arrivato agli onori delle cronache il caso della multinazionale americana GlobalMed che ha riscosso agevolmente dal governo la concessione per ricerche petrolifere nel Salento, con tutte le prospettive di devastazione ambientale che ciò comporta.
Al di là della retorica ufficiale sui benefici mirabolanti derivanti dagli “investimenti esteri”, gli effetti della calata delle multinazionali su un territorio sono invariabilmente quelli del saccheggio indiscriminato delle risorse locali. La distruzione non è un semplice effetto collaterale, ma un approccio brutale che tende a disarmare materialmente e psicologicamente un Paese. Una nazione ricca di risorse minerarie come la Nigeria, è oggi ridotta allo stremo dall’invadenza ed ingerenza delle grandi multinazionali del petrolio. La propaganda dei media occidentali scarica tutte le colpe del disastro nigeriano sulla “corruzione” locale, e dietro questo alibi anche l’Agip fa la sua parte nel “saccheggia e distruggi”.
Il calo del prezzo del petrolio non sta determinando un corrispondente calo della produzione, ma una crescente attività estrattiva per continuare ad aumentare in qualsiasi modo i profitti. La caduta del prezzo delle materie prime è trattata dai media con i consueti toni catastrofici, come se un petrolio al di sotto dei cento dollari al barile non continuasse a coprire di un centinaio di volte l’effettivo costo di produzione del petrolio stesso. Vittimismo ed emergenzialismo rappresentano infatti la linea comunicativa obbligata in qualsiasi questione in cui siano in gioco gli interessi delle multinazionali, poiché terrorizzando ed avvilendo l’opinione pubblica si può far passare come stato di necessità qualsiasi provvedimento a favore del business.
Dalla famosa messinscena delle domeniche di “austerity” dell’inverno del 1973/1974, tutto ciò che concerne il petrolio è stato fatto vivere sotto la cappa dell’emergenza. In quel caso la colpa fu scaricata sulla protervia degli sceicchi e dell’OPEC, ma rimane il dato storico di una colossale mistificazione politico-mediatica a livello europeo, poiché un semplice aumento dei prezzi fu presentato addirittura come un blocco delle forniture.
L’ultimo decennio è stato caratterizzato dall’allarme crescente sull’esaurimento delle risorse petrolifere del pianeta; così il petrolio si è avvalso narrativamente anche dell’alone romantico del moribondo. Oggi l’allarme si concentra invece sull’eccesso di produzione dovuto alle nuove tecniche estrattive, con tutti i rischi di riscaldamento globale e di caduta dei prezzi che ciò comporta. Da un’emergenza a quella opposta, ed all’opinione pubblica spetta invariabilmente di inchinarsi e di credere.
A fronte del vittimismo occidentale, la Russia di Putin sembra aver adottato invece un atteggiamento più “virile”. Putin infatti si dichiara pronto a gestire la crisi dei prezzi dell’energia, e contestualmente inasprisce la polemica contro gli USA, accusati di boicottare tutte quelle decisioni del G-20 che mettano in forse il predominio statunitense sugli organismi sovranazionali come il Fondo Monetario Internazionale. Se da un lato Putin ha buon gioco nel mettere in evidenza la storica inaffidabilità statunitense, dall’altro lato egli continua a dar credito a quel “mondialismo” che costituisce il migliore veicolo dell’invadenza delle multinazionali.

MODENA: BEFFA AI TERREMOTATI, PIOGGIA DI CARTELLE, PURE L’IMU SULLE CASE INAGIBILI

vuoi mettere che costruire e dare case ai terremotati?? E’ un abominio, vedi l’Aquila. I terremotati senza casa devono stare, lo ha messo in decreto pure Monti, il liberatore santo dal satrapo cattivo

22 novembre 2014

Al portellone della roulotte bussa il postino: è l’avviso di pagamento della Tari, la tassa rifiuti. Dal 2012 vivi su quattro ruote, perché la casa è crollata col terremoto insieme a tutta l’azienda agricola? Non importa paga e taci (e Tari). Il bollettino arrivato a Denis Zavatti sta arrivando ad altre centinaia di terremotati emiliani in questi giorni. Tasi, Tari, Imu sulle case inagibili, cartelle Inps per mancati versamenti di aziende nel frattempo ferme, imposte sulla pubblicità per i negozi, cartelle Equitalia con arretrati e interessi. Scaduto il periodo di sospensione dei tributi, concesso per dare un po’ di ossigeno agli emiliani terremotati, il fisco si è gettato a capofitto sulle famiglie non più al riparo dalla sua morsa. Solo a Mirandola, uno dei comuni più danneggiati, ancora più di trecento famiglie vivono nei container di lamiera, bollenti d’estate e gelidi d’inverno, per cui pagano bollette anche di 2mila euro per riscaldarli o raffreddarli. Anche a loro, inquilini di container, sta arrivando la richiesta di pagamento della Tari. Ad altri arriva l’Imu sulla casa che non abitano perchè pericolante. Cancellare le cartelle-salasso per i terremotati? Impossibile per il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, che al question time alla Camera mercoledì ha risposto di no all’interrogante Guido Guidesi, deputato della Lega, perché la cancellazione delle cartelle metterebbe a rischio «i vincoli derivanti rispetto al saldo di finanza pubblica». Dunque, si paghi. Elisabetta Aldrovandi, portavoce del Comitato No Tax Area, prova da due anni a chiedere l’esenzione per lavoratori, imprenditori e pensionati delle zone colpite in Emilia Romagna, ma niente da fare. «La ragione è semplice – spiega la Aldrovandi, avvocato -. La quarantina di comuni terremotati valgono il 2% del Pil nazionale e 6 miliardi di tasse». Una preda troppo ghiotta per lo Stato per farsela sfuggire. «Conosco decine di imprenditori qui che hanno fatto dei mutui per poter pagare le tasse, perché le aziende sono ferme e i soldi che avevano li hanno usati per provare a ripartire. Si indebitano per star dietro alle tasse».(…)

http://www.crisitaly.org/notizie/modena-beffa-ai-terremotati-pioggia-di-cartelle-pure-limu-sulle-case-inagibili/