Il ministero della Verità ha deciso: Pamela conta meno degli spari di Traini

Traini PamelaHanno talmente paura che MAFIA CAPITALE che alimenta un flusso di denaro impressionante sul quale è reato indagare o porre domande, sono soldi del contribuente, che volevano chiudere il caso come morte di overdose.
Vi ricordate le parole pronunciate a Macerata dal ministro Minniti solo poche giorni fa, in occasione dell’uccisione e dello smembramento di Pamela Mastropietro ad opera di un immigrato nigeriano? In effetti è impossibile: il ministro dell’Interno, infatti, ha ritenuto di non doversi recare sul luogo di un delitto tanto efferato, derubricandolo evidentemente a mero fatto di cronaca, crudo, sì, ma privo di “contesto”, senza agganci con qualcosa che stia accadendo nella realtà italiana. Non così dopo la folle scorribanda di Luca Traini, nella medesima città.
Un episodio che ha acceso i riflettori su Macerata, ha portato in città Minniti, e soprattutto ha attivato la ricerca affannosa dei “mandanti morali”, del contesto ideologico, del retroterra politico. La megamacchina mediatico-politica si è mossa, in grande stile. Non esiste una graduatoria dell’orrore e della follia, sarebbe di cattivo gusto anche stilarla, ma i custodi del pensiero unico hanno dimostrato di avere invece in testa gerarchie molto chiare: i pezzi di Pamela caricati in due valigie “pesano” meno degli spari di Macerata.
Pamela non conta, non stimola riflessioni, sono “c.ose che capitano”, tragiche fatalità, ha incontrato la persona sbagliata nel momento sbagliato. Il raid di Traini no, quello è solo la punta di un iceberg di intolleranza e odio. Da Traini deve partire un processo morale, se non addirittura penale, contro tutta un’area politica, contro chiunque, in qualsiasi modo, si opponga all’immigrazione incontrollata. Contro ogni residuo di identità, contro ogni volontà di rimanere se stessi. A dettare la linea è stato subito Roberto Saviano, che prima ha definito Matteo Salvini il “mandante morale” degli spari (e il mandante morale dell’omicidio di Pamela chi è? Saviano?), poi ha mandato un foglio d’ordini alla stampa: “Invito gli organi di informazione a definire i fatti di Macerata per quello che sono: un atto terroristico di matrice fascista. Ogni tentativo di edulcorare o rendere neutra la notizia è connivenza”. Dire la verità, e cioè che Traini era uno psicopatico, con ossessioni tratte dall’immaginario di estrema destra, certo, ma comunque un matto, diventa quindi complicità. Eppure è questo che emerge, dai frammenti di vita di Traini che si riescono a mettere insieme a posteriori
 
Sappiamo che, secondo un amico, l’uomo “era andato in cura da uno psichiatra, che a quanto diceva lo aveva giudicato ‘border line’. Lui quasi era orgoglioso, a dimostrazione di quanto fosse ignorante e scemo. Aveva una situazione familiare disastrosa: il padre se n’era andato quando era piccolo e la madre, anche lei con grossi problemi, lo aveva cacciato di recente. Luca viveva con la nonna. Ho provato tante volte ad aiutarlo, a riportarlo sulla retta via. Ha fatto dei lavoretti, ma duravano sempre poco. Di solito come manovale, ma anche come buttafuori. Ultimamente aveva perso un altro lavoro”. Sul Resto del Carlino spunta un altro particolare inquietante: A qualcuno aveva anche confidato di professarsi ‘rettiliano’, ovvero coloro che credono nell’esistenza di uomini rettili”.
Ecco, di questo personaggio non si può dire che fosse pazzo. Il nigeriano che ha fatto a pezzi Pamela, quello sì, poverino, aveva dei grossi problemi. Non fatevi domande, per carità, sulla mafia nigeriana, sui riti e le credenze di tipo magico che la innervano, né sull’opportunità di continuare a importare alienati in casa nostra, che poi qui si alienano ancora di più.
 
Non fatevi domande, su Pamela e la sua tragica fine, non c’è niente da sapere e niente da chiedersi. È capitato, punto. Come quando cammini per strada e ti cade un vaso di fiori in testa. Era destino. Non ci sono domande da porsi, non ci sono mandanti, non ci sono ideologie. Il ministero della Verità ha già deciso, l’udienza è tolta.
 
Adriano Scianca 4 febbraio 2018

Striscione di minacce a Salvini: “Occhio, stavolta spariamo noi”

minacce salvinima per un fotomontaggio si manda la Digos a casa dell’autore. Per le minacce a Salvini? Per il proiettile alla Susanna Ceccardi, immagino nessuna, condanna.

Sputi, insulti e lancio di bottiglie di plastica: Meloni contestata a Livorno

Tolleranza ed eguaglianza strabica, come al solito, solo sulla base di posizioni politiche diverse, così come la condanna e solidarietà alle donne vittime di atti vili, non sono atti vili se le donne in questione non sono “dalla parte giusta” della storia.

Striscione di minacce a Salvini: “Occhio, stavolta spariamo noi”
 
Il leader della Lega, Matteo Salvini, atteso di fronte alla moschea di Umbertide. Appeso uno striscione di minacce ad un cavalcavia
Giuseppe De LorenzoGio, 08/02/2018 –
Matteo Salvini stamattina sarà ad Umbertide per protestare contro la costruzione della nuova moschea in Umbria, una delle più grandi in Italia.
 
Fa parte della nuova offensiva leghista in campagna elettorale, partita con l’annuncio del leader del Carroccio di voler “chiudere tutti i centri islamici illegali in Italia”. Ebbene, nella notte, in attesa dell’arrivo dell’indesiderato ospite, qualcuno ha appeso un cartello di minacce ad un cavalcavia: “Occhio Salvini, stavolta spariamo noi”.
 
Il riferimento, appare ovvio, è alle vicende di Macerata e alla folle caccia all’immigrato messa in campo da Luca Traini. “Mentre a Foligno stavamo esponendo le nostre idee, i nostri progetti per il futuro, e preparando le nostre battaglie – spiega Riccardo Marchetti, coordinatore nazionale Umbria per la Lega e candidato alla Camera – ad Umbertide qualche democratico appendeva sul cavalcavia dell’E45 questo striscione. E poi i brutti e violenti siamo noi. Saremo ancora più numerosi, non abbiamo paura, le idee sono a prova di proiettile!”.
Non è ancora chiaro chi abbia esposto il telo di minacce. Ma è evidente che la presenza di Salvini susciti sentimenti contrapposti in terra umbra. I lavori per la moschea di Umbertide si erano interrotti a causa della mancanza di fondi. Ma sono ripartiti ad inizio anno e il luogo di culto islamico dovrebbe vedere la luce entro la fine di maggio. I fondi, secondo quanto dichiarato dall’imam, Chafiq El Oqayly, proverrebbero tutti dall’Italia e sarebbero “tracciabili”. “Abbiamo ricevuto questi soldi perché i nostri fedeli continuano a donare – ha detto l’imam ad Altotevereoggi – e abbiamo contatti con diverse moschee, per esempio Bologna e Milano. La struttura di Madonna del Moro torna a crescere. La costruzione è oramai quasi al completo ed entro maggio verrà aperta”. Salvini permettendo.

 

IL SUGGERITORE DI BERGOGLIO SUI MIGRANTI E’ UN BILDERBERG DI GOLDMAN SACHS

peter-sutherland21MAFIA CAPITALE UEBERALLES. Un banchiere alla Commissione migrazioni, oh quanto deve stargli a cuore la sorte degli ultimi e dei poveri…
L’Unione Europea deve fare del suo meglio per minare l’omogeneità dei suoi stati membri”, dettò nel giugno 2012
ah ma allora le migrazioni non sono volte a “salvare vite umane” ma ad attaccare “le omogeneità delle nazioni”. Pensavo che alla base della tolleranza ci fosse proprio il rispetto delle differenze….così raccontavano un tempo.
Dichiara ancora: E’ una dinamica cruciale per la crescita economica” ah quindi di nuovo, il fine a sostegno delle migrazioni selvagge non è quindi il “salvataggio” di vite umane?

Nei suoi discorsi ossessivi a favore dell’immigrazione senza limiti e il suo torvo, iracondo discorso di Natale  a difesa postuma dello Jus Soli, Bergoglio “sembra ispirarsi più a Soros che a Cristo”, ha commentato il filosofo Fusaro,  accusando El  Papa di mettersi sempre più al servizio della “mondializzazione e dello sradicamento capitalistico”.  Come mi ha ricordato un amico lettore, “Francesco” ha un ispiratore – o suggeritore o “gestore” –   più diretto di Soros. Un personaggio cui El Papa  ha dato in febbraio la presidenza della International Catholic Migration Commission,  e  che ha reso consigliere della Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA). Un filantropo umanitario dell’abolizione dei confini che è anche, come dubitarne?, un banchiere  d’affari. Ed è anche molto, molto di più.
S’introduca qui Peter Sutherland,  da almeno 20 anni presidente non (più) esecutivo di Goldman Sachs ma ultra-esecutivo del Bilderberg (sta nello “steering committee, ossia nella direzione che  del Gruppo elabora  l’agenda politica  e i fini da raggiungere); ebreo di madre, sionista, ex presidente  della BP (British Petroleum) e contemporaneamente Rappresentante Speciale dell’ONU per le Migrazioni, tutte cariche che non ha lasciato quando”Francesco” lo ha incoronato presidente della Catholic Migration Commission.
Ma è molto di più, Sutherland. E’ stato Commissario europeo alla Concorrenza quando presidente della Commissione era Delors;  è stato direttore del WTO, Organizzazione Mondiale del Commercio, ossia del tribunale mondiale del commercio globale senza confini né dazi, che praticamente ha creato da sé.
E’ capo del Global Forum on Migration and Development, da cui 160 paesi prendono le direttive sulla migrazione.
Insomma è il globalista totale e assoluto,  con le mani in pasta in tutte le entità sovrannazionali ad un tempo (ONU, WTO, UE,   forse la massima eminenza grigia della “mondializzazione   e  dello sradicamento capitalistico”  nell’interesse della finanza transnazionale.
Quasi dimenticavo: Sutherland è anche  presidente onorario  della Trilateral Commission e capo della London School of Economics, nonché  Cavaliere di Malta e membro dell’Opus Dei. Non si fa mancare nulla in posizioni di potere.
“La UE deve minare le omogeneità nazionali”, per Sutherland.
 
Le sue idee:
L’Unione Europea deve fare del suo meglio per minare l’omogeneità dei suoi stati membri”, dettò nel giugno 2012.  Parlava in qualità di presidente del Global Forum on Migration davanti alla sottocommissione inglese dei Lords, che stava indagando sull’aggravarsi improvviso delle ondate migratorie.
 
La risposta essenziale all’invecchiamento delle popolazioni in Germania o nei paesi del Sud Europa è, “ed esito a dirlo perché il concetto è stato attaccato, lo sviluppo di stati multiculturali”.  Il problema,   ha spiegato, sono le popolazioni, che “ancora  coltivano un senso della loro omogeneità   e differenza dagli altri. Ed è precisamente questo che l’Unione Europea, a mio parere, deve fare di tutto per  erodere”. In  nome di cosa?
 
“Della futura prosperità”, rispose. “ Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda sono  società  di migranti e quindi si adattano più prontamente a chi viene da un diverso mondo culturale.  E’ una dinamica cruciale per la crescita economica”.
 
Disse anche, Sutherland, che “si è passati dagli stati che scelgono i migranti, ai migranti che scelgono gli stati”,  per cui la capacità della UE  di “competere a livello globale” è a rischio…ma  d’altra parte, ha ingiunto: la UE deve smettere di selezionare solo migranti “altamente qualificati”   perche  “alla base di tutto, gli individui devono avere libertà di scelta” di dove muoversi.
(Qui per l’articolo della BBC , EU should ‘undermine national homogeneity’ says UN migration chief  http://www.bbc.com/news/uk-politics-18519395
Come si vede,   è proprio l’ideologia di “Francesco”, confusione e contraddittorietà compresa;  l’ideologia delle Bonino e Boldrini e  dei Manconi, del circo mediatico progressista.
Da qui si vede bene come ad ispirarle sia il capitalismo mondializzato finanziario; per il  quale le “omogeneità” , ossia le identità storiche e culturali che fanno i popoli vari e diversi, sono un ostacolo  e un intoppo, una pretesa odiosa, perché il consumatore globale tipo dev’essere letteralmente “senza identità”,  senza comunità,  “aperto” alle “esperienze”, cosmopolita, nomade e senza “tabù”, senza “pregiudizi” (e senza scrupoli),  di sesso variabile.  Nella esortazione di Sutherland che la UE  eroda,  mini,  indebolisca le “omogeneità” c’è   il disprezzo per la cultura  – ciò che fa à degli uomini esseri umani – come di sovrastruttura inutile e dannosa alla libertà di consumo.
 
Allo stesso modo papa Francesco, giorni  fa, ha sproloquiato: “Gli europei non sono una razza nata qui, hanno radici migranti”, evocando una  condizione anteriore alla civiltà e alla cultura – anche per lui, come per il presidente di Goldman Sachs,  la “omogeneità” culturale (quel che fa di ungheresi degli ungheresi,  la coesione di una comunità  e identità comune    saldata dalla storia, dalla lingua, persino dalle sue specifiche arti)  un fastidioso orpello che “resiste” alla “integrazione” senza limiti, una “mancanza di carità” contro la “accoglienza” – che oltretutto, completa il guru  Bilderberg  di El Papa, ci rende “meno competitivi sui mercati mondiali”.
Ora El Papa ha affidato la Commissione Cattolica sulla Migrazioni al banchiere d’affari  e al Bilderberg  –   ostile alle “omogeneità” culturali, e che si adopererà quanto può per “indebolirle”  (il verbo che ha usato è “undermine”), scalzarle, come se già non fossero abbastanza minate.  Per i papisti cattolici ingenui, quindi,  la questione da ideologica può venire fraintesa come morale: una questione di bene e di male.
 
Nella confusione etica che lo stesso Bergoglio ha sparso a piene mani, la “omogeneità” nazionale di un popolo  è equiparata al male morale, e male sarà volerla salvaguardare.   Spero che almeno si possa chiedere questo: se l’omogeneità è un male, perché Sutherland   auspica che venga scalzata in Europa, ma non la impone ad Israele, stato che difende con l’apartheid la  propria  identità, che  si  rifiuta di estendere la cittadinanza ai palestinesi perché questo snaturerebbe il “carattere ebraico  di Israele”, ossia la  propria omogeneità?   E’ strano che tutto ciò di cui i noachici debbono liberarsi perché  vizio deplorevole, sia invece pregiato, bello e giusto per i talmudici. Maurizio Blondet 27 dicembre 2017

Zizek e Chomsky scaricano l’antifascismo: “Un feticcio”

zizek chomskyZizek e Chomsky contro l’isteria antifascista. La paranoia degli ultimi tempi imposta dall’opinione pubblica liberal sta segnando il dibattito politico, dagli Stati Uniti al Vecchio Continente, Italia compresa.

Dalle polemiche sui monumenti fascisti alla recente manifestazione di Como, anche il nostro Paese è impantanato in una discussione surreale e artificiosa sugli spettri del ventennio e dei suoi eredi. Ma esiste davvero il pericolo di un ritorno del fascismo oppure si tratta di un’isteria montata ad arte? Se i progressisti sono sordi ad ogni tipo di critica mossa da destra, ora sono due importanti intellettuali di riferimento della sinistra mondiale come il filosofo sloveno Slavoj Zizek e il grande linguista americano Noam Chomsky a scaricare gli antifascisti, con due articoli usciti a pochi giorni di distanza sul quotidiano britannico The Independent.

“Antifascismo l’oppio dei popoli”
Per Zizek, il nuovo “oppio dei popoli” di marxiana memoria non è più la religione ma l’antifascismo militante. “Un nuovo spettro sta perseguitando la politica progressista in Europa e negli Stati Uniti, lo spettro del fascismo. Trump negli Stati Uniti, Le Pen in Francia, Orban in Ungheria – sono tutti dipinti come il nuovo male verso il quale dovremmo unire tutte le nostre forza. Ogni minimo dubbio e riserva è immediatamente additato come segnale di collaborazione segreta con il fascismo”, osserva il filosofo marxista. L’antifascismo dunque non è altro che un feticcio agitato in maniera strumentale per incanalare i consensi contro il nemico: “L’immagine demoniaca di una minaccia fascista serve chiaramente come nuovo feticcio politico; feticcio nel senso freudiano del termine, ovvero di un’immagine affascinante la cui funzione è quella di offuscare il vero antagonismo”, afferma il Zizek.

Il filoso Zizek: “Il panico antifascista uccide la speranza

Secondo il filosofo sloveno, infatti, la “figura del fascista” è funzionale “a nascondere le situazioni di stallo alla base della nostra crisi”. Una strategia mirata a compattare il fronte progressista:

“Quando ho richiamato l’attenzione su come parti dell’alt-right stavano mobilitando le questioni della classe lavoratrice trascurate dalla sinistra liberale, sono stato, come previsto, immediatamente accusato di invocare una coalizione tra sinistra radicale e destra fascista, cosa che non ho mai fatto”, rileva il filosofo. La triste prospettiva che ci attende, secondo Zizek, “è quella di un futuro in cui, ogni quattro anni, saremo gettati nel panico, spaventati da una qualche forma di pericolo neofascista, e in questo modo ricattati a esprimere il nostro voto per il candidato civilizzato in elezioni prive di significato. […]

L’ oscenità della situazione è da mozzare il fiato: il capitalismo globale ora si presenta come l’ultima protezione contro il fascismo, e se cerchi di farlo notare sei accusato di complicità. Il panico antifascista di oggi non porta speranza, la uccide”.

Chomsky: “Il fascismo non c’entra nulla con la destra di oggi”
La critica mossa da Naom Chomsky contro gli antifascisti è ugualmente potente. Il professore emerito del Massachusetts Institute of Technology sostiene che il movimento antifascista odierno non può essere paragonato a quelli del passato. Insomma, guai a confondere lo stato attuale dell’alt-right negli Stati Uniti con la crescita del fascismo in Europa all’inizio del XX secolo. “Le differenze sono radicali”, dice Chomsky, “negli anni ’30, i nazisti governavano la Germania, il fascismo si era stato stabilito per anni in Italia e vi erano potenti movimenti fascisti altrove. Oggi ci sono molti sviluppi minacciosi, ma nulla di paragonabile. In particolare, negli Stati Uniti non è certo un caso che la classe lavoratrice si sia avvicinata all’estrema destra”. Per il professore, “gli antifa sono un dono all’estrema destra e alla repressione dello stato americano”.

di Roberto Vivaldelli – 13/12/2017  Fonte: Il Giornale

https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=59896

L’antifascismo psichiatrico pre-elettorale del cane di Pavlov

cani pavlovChi trova un nemico trova un tesoro. Rovesciando il detto popolare, questo ci sembra il commento più adatto all’ondata di antifascismo di ritorno che sta pervadendo l’Italia ufficiale.

Colti di sorpresa da qualche inatteso successo elettorale “nemico”, nudi di fronte al loro fallimento politico, lorcompagni e l’esercito ausiliario progressista hanno trovato la soluzione, la solita: antifascismo, ancora antifascismo, ogni giorno di più, a dosi omeopatiche. E’ diventata una dipendenza e, come per gli alcolisti irrecuperabili, basta un solo bicchiere per ubriacarsi. In qualche caso, è sufficiente l’odore del vino. Il neo- antifascismo è ormai giunto a questo stadio penoso.

Ricorda assai il povero cane di Pavlov. Per dimostrare le sue teorie sui riflessi condizionati, lo scienziato russo del primo Novecento Ivan Pavlov realizzò un esperimento in cui ad un cane era offerto un succulento boccone di carne mentre un campanello veniva fatto suonare. Dopo varie ripetizioni, Pavlov dimostrò che il cane iniziava a produrre saliva già al trillo del campanello, prima cioè della comparsa del cibo. Lo stimolo condizionava, producendola, la risposta del cane, ovvero la salivazione che anticipava il piacere del boccone di carne. Siamo esattamente allo stesso punto: opportunamente attivate le aree neuronali dell’antifascista tipo, la risposta è immediata e scontata. Si manifesta attraverso l’immediato corrugamento della fronte, il linguaggio non verbale dell’indignazione a comando, poi in lunghe intemerate sul tema della democrazia violata, per sfociare in manifestazioni di moralismo politico da operetta, interrogazioni parlamentari, “spontanee” adunate di piazza, richiesta di “pene esemplari”, intimazione di escludere i reprobi dal consorzio umano.

Potremmo cavarcela affermando che si tratta di convulsioni, rigurgiti uguali e contrari a quelli di coloro che davvero pensassero di resuscitare il fascismo attraverso bandiere, simboli trapassati, abbigliamento o parole d’ordine del tipo di quelle di Catenacci, la macchietta neofascista di Alto Gradimento o di Fascisti su Marte di Corrado Guzzanti. Potremmo anche liquidare tutto come un caso di ubriachezza molesta di gruppo (ricordate il “botellòn”, la riunione del sabato in piazza dei giovani spagnoli per bere e sballare in branco?).

Temiamo che le cose stiano diversamente e che non regga del tutto neppure la spiegazione psicanalitica secondo cui l’antifascismo rappresenta la coperta di Linus (l’unica, l’autentica) delle sinistre. Per il personaggio di Peanuts, la coperta è un oggetto transizionale, ovvero quella cosa prediletta ed insostituibile scelta come sostituto simbolico della mamma. Linus recupera la sua serenità soltanto accanto all’amata coperta. In parte è così’, poiché il popolo progressista (qualunque cosa significhi il termine) perplesso, disilluso e scoraggiato si rianima ed insorge come un sol uomo alla semplice parola fascismo, anzi, all’apparire o balenare di qualunque cosa, simbolo, persona, allusione che richiami l’odiato, ma sepolto regime. Non serve neppure il suono del campanello perché scatti il riflesso, ma la sua semplice vista o evocazione. Pavlov aveva ragione e i cuochi del ristorante di sinistra lo sanno bene, apparecchiando la solita rancida minestra e trovando ancora commensali.

Ecco dunque le giornate intere a deprecare, le paginate di giornali, le pensose tirate televisive contro un gruppetto di stupidi ragazzini tifosi della Lazio (uno ha solo tredici anni, un bambino) che hanno travestito da romanista l’immagine di Anna Frank. Cretini insensati, figli di questo tempo senza ritegno, poiché la morte ingiusta di una ragazza di 16 anni non può essere oggetto di sfottò, lazzi o insulti tra tifoserie. Ma da qui a farne oggetto di terribili revival ideologici ce ne corre. Specialmente se passano inosservate le blasfemie quotidiane, l’ostentazione sfrontata di qualunque porcheria spacciata per liberazione, la bestemmia, l’esibizione di ogni vizio in nome della libertà.

Poi abbiamo avuto lo sdegno telecomandato per “l’irruzione” di un gruppo di giovani in un centro di aiuto agli immigrati. Meglio se avessero fatto altro, ma sono entrati da una porta aperta, hanno letto un loro documento, non hanno torto un capello a nessuno, né hanno danneggiato o asportato beni o suppellettili, quindi se ne sono andati. Esattamente come i gentili esponenti dei centri sociali, anzi i “ragazzi”, quando svolgono le loro attività ludiche, consistenti in genere in devastazioni, imbrattatura di muri, intimidazioni, insulti e cariche alle forze dell’ordine. Loro non fanno irruzione, bensì usano spazi dialettici di libertà.

L’ultima prodezza del cane di Pavlov è la segnalazione (la delazione, il dito accusatore puntato restano marchi di fabbrica indelebili di lorcompagni) di una bandiera nazista in una caserma dei Carabinieri. Si è mosso persino il ministro della Difesa, disinteressato a difendere le frontiere dalle invasioni di clandestini che arrivano dal mare e non solo. Donna Roberta Pinotti, ex girl scout di Genova Sampierdarena, ha promesso pene esemplari per il ventenne carabiniere, i telegiornali hanno aperto le loro edizioni con il terribile episodio (in Italia non succede mai nulla, non c’è corruzione, delinquenza, disoccupazione, degrado), convocando alla bisogna persino un superstite partigiano fiorentino, che ha definito “infame” l’accaduto.

Il problema è che quella bandiera è solo l’insegna di guerra della marina dell’Impero tedesco, detto anche Secondo Reich, anno 1871. Non sapevamo che Bismarck e l’imperatore Guglielmo II fossero vietati, ma evidentemente i nervi sono scossi e la cultura (di cui pure sono depositari esclusivi) non li soccorre.

Un ultimo episodio tra i tanti: la richiesta di un consigliere municipale della Spezia di vietare e rimuovere ciò che riguarda la Decima Mas dal Museo Navale della città. Peccato che la Decima flottiglia abbia fatto parte della marina nazionale, che il museo sia dedicato ad una medaglia d’oro al valore militare, Mario Arillo, un ufficiale che si rifiutò di consegnare ai tedeschi il sommergibile che comandava ed ebbe un ruolo centrale nel convincere gli stessi, nel 1945, a non far esplodere le mine che avrebbero distrutto il porto di Genova, come gli riconobbe pubblicamente un giovane monsignore che sarebbe diventato il grande cardinale Siri. Ma tant’è, l’odore, anzi il fumo del fascismo avvolge tutto in un’atmosfera da incubi notturni: lavoro per il dottor Freud.

Ecco perché occorre porsi qualche domanda in più rispetto ad un fenomeno anacronistico, alimentato ad arte e con aspetti tragicomici. A noi sembra che il sistema di potere abbia bisogno, come in tutti i momenti di crisi, di un capro espiatorio. Il fascismo ed i neofascisti, veri o presunti fa lo stesso, rispondono egregiamente alla bisogna. Sono il nemico assoluto, i malvagi per definizione ufficiale ed indottrinamento coatto, sono pochi, deboli e dispersi. Splendide condizioni per fungere da nemico pubblico e ricompattare la folla dei buoni e dei giusti, i membri del gruppo.

Ne parlò con grande acutezza René Girard, antropologo e filosofo francese scomparso nel 2015, autore de La violenza e il sacro. Il capro espiatorio ha la funzione di restituire la comunità a se stessa: la folla si raccoglie unanime attorno alla vittima designata e la distrugge. L’eliminazione fa sfogare la violenza e la frenesia che era stata indotta ed ha un enorme impatto emotivo sulla comunità, il gruppo lacerato. La vittima è insieme responsabile della crisi ed insieme causa del miracolo della concordia ritrovata. La coazione a ripetere evoca la speranza che ogni volta si riproducano i taumaturgici effetti di sutura delle ferite sociali, e comunque sotto lo strato sottile della lotta contro il Male serve a suscitare e sublimare i più bassi sentimenti di violenza o vendetta della massa congregata.

Questa sembra essere il ruolo assegnato al fascismo fantasmatico da alcune menti pensanti (oggi si dice influencer) che lottano per riconquistare l’egemonia perduta sul pensiero comune.

Sono ingegni finissimi a cui tuttavia è sfuggito di mano il presente.

Essi sanno di aver perduto l’esclusiva, di non essere più in sintonia con lo spirito del popolo, temono di essere sorpassati dalla realtà.

Fascista è per loro qualunque idea, persona, attitudine, discorso, sentimento che non coincida con la loro visione del mondo.

Il fondo totalitario e poliziesco dell’animo loro si manifesta nell’imposizione del linguaggio politicamente corretto come nell’esigere leggi e sanzioni penali per chi non sia d’accordo con la vulgata “sinistra” sui temi che contano, con particolare riguardo alle questioni morali, etiche, identitarie, politiche e, innanzitutto sui due temi tabù della nuova narrazione: la santificazione dell’immigrazione e la promozione dell’omosessualismo.

I loro argomenti sono screditati e la gente comune – non a caso tacciata di “populismo” nonché di ignoranza – non li segue, nonostante l’immenso spiegamento di risorse mediatiche ed economiche. Serve un nemico, uno spauracchio, come ci vuole pane per gli affamati: niente di meglio dell’Uomo Nero, il cattivo ideale, valido per tutte le stagioni.

Hanno potere, fanno leggi sempre più repressive ma hanno bisogno di testarne l’esito a partire da quelle destinate a colpire il Capro Espiatorio più facile ed immediato. Di qui il tentativo (vedi legge Fiano) di proibire persino i calendari del deprecato ventennio, le immagini, ogni iconografia anche detenuta in privato. Se funziona, andranno avanti, e la repressione colpirà tanti altri soggetti, giacché il neo antifascismo psicanalitico e pavloviano non è che una “false flag”, un’operazione sotto falsa bandiera dietro la quale si nascondono operazioni di normalizzazione e divieto del dissenso assai più serie.

Adesso tocca ai fascisti, nessuno si lamenterà, anzi molti applaudiranno. Domani andranno a cercare altri non conformi. Abbiamo capito, però, e “benché il parlar sia indarno” rispondiamo ai cani di Pavlov rammentando loro un brano che dovrebbero apprezzare, pronunciato da un pastore protestante al tempo della Repubblica di Weimar ed attribuito erroneamente ad uno dei loro venerati maestri, Bertolt Brecht.

“Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare. “

Meditate, democratici, progressisti e cani di Pavlov, meditate. Con un po’ di impegno, potete farcela, passata la sbornia, esaurita la salivazione, scesi dal lettino dello psicanalista e pagata la parcella

di Roberto Pecchioli – 06/12/2017  Fonte: Ereticamente

https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=59855

L’algoritmo verità dei padroni della menzogna

algoritmo veritàNon si sa se ridere o piangere. Purtroppo, è una cosa seria, se il termine si può applicare alle questioni riguardanti il governo italiano. “Stiamo lavorando con uno scienziato di fama internazionale alla creazione di un algoritmo verità che, tramite l’intelligenza artificiale, riesca a capire se una notizia è falsa”. Non si tratta di una battuta o della fanfaronata di qualche dottor Stranamore, bensì delle parole di Marco Carrai, potente esponente del cosiddetto giglio magico, l’accolita degli intimi di Matteo Renzi, considerato tra i massimi esperti italiani di cybersicurezza. Imprenditore del ramo, fu a un passo dalla nomina ai vertici dei servizi di sicurezza informatica del governo del Rottamatore fiorentino.

Il giornale Il Fatto Quotidiano adombra una sua vicinanza ai servizi segreti israeliani. Un brano di un’intervista del marzo scorso è illuminante, con la descrizione di una cena presso l’ambasciatore dello Stato ebraico in Italia, che presentò così Carrai ai suoi commensali romani: “Non sapete neanche il suo nome, ma vi assicuro che è tra gli uomini più importanti del vostro Paese.

Apparve lei. Quali interessi ha in Israele, perché viene accostato al Mossad?” Risposta: “Sono molto legato a Israele e mi riconosco nella sua storia e identità. È un luogo sempre sull’orlo di una guerra, dove però si riesce a creare innovazione come solo in California. Le mie società trovano lì larga parte del loro sapere. Non sono purtroppo il primo né sarò l’ultimo che, essendo vicino a Israele, viene dipinto come vicino al Mossad. Preferisco essere accostato impropriamente al Mossad piuttosto che al Ku Klux Klan. E quindi me ne faccio una ragione.”

ansa – renzi – Matteo Renzi partecipa al tradizionale scoppio del carro Con Marco Carrai (sx) 20 aprile 2014 ANSA/MAURIZIO DEGL INNOCENTI

Valuti il lettore se prestar fede ai dubbi del giornale di Travaglio e Padellaro o all’imprenditore renziano originario del Chianti. Fatto sta da qualche giorno, rilanciata addirittura dal New York Times, è esplosa una polemica che accusa di diffusione di bugie, false notizie (adesso è obbligatorio chiamarle fake news) piattaforme informatiche e siti di informazione legati – guarda caso – all’opposizione italiana, Lega e Movimento 5 Stelle. Nel frattempo, qualcuno, con ammirevole tempismo – honni soi qui mal y pense (sia punito chi fa cattivi pensieri, è il motto dell’Ordine della Giarrettiera) – ha presentato in Senato un disegno di legge volto a colpire con pesanti multe e gravi peni detentive i propalatori “di notizie false che suscitano allarme sociale, spesso immesse nel circuito dei social network per condizionare l’opinione pubblica di un Paese”. Obiettivo dei proponenti, i benemeriti senatori democratici Luigi Zanda, antico collaboratore di Cossiga, ergo stretto conoscitore del mondo dei “servizi” e delle barbe finte, e Rosanna Filippin, avvocato di Bassano del Grappa prestata al servizio della Patria, è sanzionare chi commette questo tipo di delitti contro la Repubblica.

Il bue dà del cornuto all’asino: il potere, nella sua versione politica, così come i suoi rappresentanti nel sistema informativo, tecnologico, finanziario e multinazionale, è infatti il maggior fornitore di notizie false al mondo. Poiché la grande rete Internet ha dimostrato la capacità di aprire spazi di libertà, dibattito, diffusione di notizie non filtrate dagli interessi del potere, attitudine a offrire visioni dei fatti diverse, spesso divergenti dalla verità ufficiale, basta libertà, occorre chiudere la porta ad ogni sorta di opposizione al sistema. La verità non deve essere più ricercata né indagata: si torna alla Pravda di sovietica memoria – che significa appunto verità- e si passa alle maniere forti, poiché verità è menzogna, libertà è schiavitù e ignoranza è forza. Principi invertiti, scolpite nel marmo della sede del Partito al potere nella distopia di Orwell, che fanno il paio con un’altra intuizione dello scrittore inglese, nella Fattoria degli animali: in tempi di menzogna universale, dire la verità è un atto rivoluzionario. E sempre più pericoloso, aggiungiamo noi.

La cosiddetta e sedicente democrazia è diventata feroce quanto e più delle dittature classiche, allorché si tratta di reprimere chi si discosta dalla Verità/PravdaIl filosofo Diego Fusaro ha scritto che l’ordine dominante non reprime il dissenso, ma opera affinché esso non si costituisca. Fa in modo che il pluralismo del villaggio globale si risolva in un monologo di massa. (Pensare altrimenti). Evidentemente, siamo entrati in una fase ulteriore, di vera e propria proibizione, mascherata, ovviamente, da buone intenzioni, virtuose profferte di protezione dei cittadini dai nuovi cattivi, ovvero i diffusori di falsità, “fake news”.

Strano davvero che i proprietari, divulgatori, controllori dell’intero sistema tecnologico, informativo e di intrattenimento generale sentano il bisogno di sprangare le poche porte aperte al dissenso. Da un lato, è un fatto positivo, il segno che nel mondo non tutto è sotto il controllo dell’Impero, e che la controinformazione ha centrato i suoi obiettivi, ha colto alcuni bersagli. La reazione è pesante, e non resta che sperare, come Holderlin, che “dove cresce il pericolo, cresce anche ciò che salva”.

Facciamo qualche esempio pratico. Uno dei cavalli di battaglia dell’aggressiva campagna contro le “fake news” è il ruolo della Russia. L’ossessione americana contro il Cremlino, la Russia e Vladimir Putin ha raggiunto estremi che, se non fossero frutto di un preciso, criminoso, cinico disegno geopolitico, dovrebbero essere affidati alla psichiatria. La Russia avrebbe determinato, attraverso false notizie, l’elezione di Donald Trump, la Russia è dietro la Brexit, valanghe di “trolls”, ossia messaggi informatici pirata provenienti dalla steppa volti a disturbare o fomentare gli animi invadono la rete in Inghilterra, Putin è il suggeritore del separatista catalano Puigdemont e via delirando.

Premesso che i russi sono effettivamente ottimi conoscitori dei segreti delle reti tecnologiche, come sanno milioni di utenti dei loro antivirus, l’attacco mosso dall’Occidente agli interessi politici, strategici, economici e nazionali della Russia da quando, dopo oltre un decennio di sottomissione seguita alla dissoluzione dell’Unione Sovietica , l’Orso moscovita si è svegliato dal letargo, non conosce soste, non si ferma davanti a nulla – tanto meno dinanzi alla verità- ed è oggettivamente il più grave elemento di rischio per la pace mondiale. Nulla da stupirsi, dunque, se da Mosca usano le armi che hanno per fare controinformazione, e sono diventati così bravi che la galassia multilingue Russia Today ha superato, per utenti e credibilità, i grandi canali informativi sedicenti indipendenti d’ oltre atlantico, come la CNN. Per il resto, devono essere davvero dei geni, in riva al Volga e al placido Don, per decidere l’esito delle elezioni presidenziali della capitale dell’Impero, gettare fuori dall’Unione Europea l’ex potenza egemone del passato, l’Inghilterra, ed essere i registi occulti e direttori d’orchestra di tutto ciò che non piace dalle parti di New York (e Tel Aviv).

E’ sin troppo ovvio ricordare le pesanti intromissioni statunitensi, dirette sfacciate e di lunga durata nella politica, nell’ economia e nelle contese elettorali di mezzo mondo, sino all’organizzazione di colpi di Stato, utilizzo delle reti sociali per fomentare le primavere arabe, le rivoluzioni arancione nell’area ex sovietica, il finanziamento provato ad organizzazioni islamiste. Agli immemori, dovremmo rammentare la fake news più grande, cioè la bugia sfacciata con tanto di polverina mostrata al mondo intero, relativa alle armi di distruzione di massa di Saddam che hanno giustificato una guerra le cui devastazioni sono ancora vive sulla pelle di quanto resta dell’Irak.

Da anni, dominano la scena delle informazioni ed operazioni riservate le Organizzazioni Non Governative, quasi tutte americane, finanziate senza risparmio da ambienti economici e finanziari globalisti o direttamente da fondi riservati delle agenzie spionistiche occidentali. La loro capacità di influenzare le opinioni pubbliche del mondo, orientare il taglio delle notizie, costruire verità di comodo sono risapute. Lavorano per loro ben retribuiti gruppi di pressione con al vertice i migliori cervelli del pianeta, i famosi pensatoi o “think tank”.

In uno di essi ci siamo imbattuti cercando notizie di prima mano su eventi internazionali. Si chiama European Values, Valori Europei, ha come simbolo un cavallo rampante ed ha sede nella Repubblica Ceca. Il Pegaso praghese riconosce di ricevere sovvenzioni da donatori privati (oh!) e di essere proclive alla politica degli Stati Uniti. Il suo compito (“un duro lavoro, ma qualcuno deve pur farlo”, dicevano i Blue Brothers) consiste nello svelare le mene del Cremlino contro l’Europa. Periodicamente, gli imparziali studiosi cechi, sempre a caccia di “fake news”, anzi trattandosi di questioni russe, di disinformacija, conferiscono un polemico premio Putin al politico o intellettuale preso di mira, definito, alla sovietica d’antan, utile idiota.

Stavolta è toccato al catalano Puigdemont, che, nella scala elaborata dai “debunkers” cechi (debunker è colui che smaschera le bugie dei cattivi) ha ottenuto ben 4,25 punti su un massimo di 5. Insomma, anch’egli è un agente al soldo dei torvi moscoviti nemici dei “valori europei”. Al contrario, in un passato recente, sono giunti pubblici segnali assai condiscendenti verso il separatismo catalano da parte israeliana; gli interessi di alcune monarchie arabe del Golfo sono fortissimi nella regione di Barcellona; recentissima è stata la pubblica celebrazione, nella Generalitat catalana, dei trecento anni dalla fondazione della massoneria. La presidente Forcadell, nel corso della cerimonia solenne, ha esaltato il debito dell’indipendentismo locale nei confronti della libera muratoria regionale, la più influente della Spagna, tra i cui esponenti figurano i massimi dirigenti politici e finanziari della Catalogna.

Valori Europei monitora attentamente la catena informativa Russia Today e segnala ben 2.000 politici americani ed europei che vi sono stati ospitati. Indica l’attore Steven Seagal, letteralmente, come “fantoccio del Cremlino”. Dopo avere svelato le trame di Putin in Inghilterra, Austria, Ungheria e Repubblica Ceca, il sito pubblica una corposa guida dell’influenza russa con capitoli per ciascuno stato dell’Unione Europea. L’Italia non ne esce bene, in quanto “Kremlin friendly”, ma si cita con sollievo la presenza di alcuni istituti geopolitici attivi sul versante occidentalista, si deplora l’esito negativo del referendum costituzionale del 2016, perduto da Renzi. La presidente della Camera Laura Boldrini è vista di buon occhio in quanto punta di lancia nella lotta contro le false notizie.

La parte più interessante della guida – forse adottata come livre de chevet dagli incliti senatori Zanda e Filippin, difensori della Verità Ufficiale ed Imperiale e corrieri dello Zar democratico, riguarda la risposta dei paesi europei all’” aggressione russa in Ucraina”, la necessità, da parte degli Stati e della società civile di mobilitarsi per contrastare l’influenza ostile del Cremlino e “proteggere il processo elettorale democratico”. Ovviamente, si insiste sulla necessità di “contrarrestare il discorso di odio e le notizie false nelle piattaforme online”. E’ interessante osservare che una semplice ricerca in rete presenta European Values accanto ad organizzazioni come la potentissima Open Society, la struttura promossa da un noto cavaliere senza macchia della Democrazia, della Libertà e della Verità come George Soros, che recentemente vi ha fatto confluire gran parte del suo immenso patrimonio.

Insomma, è in pieno svolgimento una sistematica operazione di discredito, criminalizzazione del dissenso con annessa repressione penale e finanziaria di chiunque osi mettere in dubbio, criticare, sottoporre a verifica indipendente qualunque aspetto della “narrazione” ufficiale del sistema globalista di mercato fattosi impero. Nel mondo invertito, le vittime diventano carnefici, i padroni di tutto vengono presentati come i difensori del Bene, del Giusto e del Vero, impegnati in una lotta all’ultimo sangue contro un’improbabile Spectre planetaria che fabbrica e diffonde h. 24 menzogne per manipolare i gonzi contro il benevolo regime mondialista. Siamo dinanzi ad un totalitarismo inedito, soffice, avvolgente, apparentemente leggero come una piuma, ma diversamente spietato contro chi resiste.

Alla politica non è più assegnato neppure l’antico ruolo di cameriere di chi comanda davvero, ma solo quello di sgherro, poliziotto cattivo, giusto repressore non di un semplice dissenso, ma di un attentato alla verità, il cui unico depositario, alla faccia della libertà, della democrazia e del libero pensiero, è il Potere. Non pensarla come è prescritto si converte in delitto di odio, poiché il potere ha sempre la necessità di indicare un nemico assoluto, qualcuno cui revocare d’imperio e tra gli applausi del pubblico la qualifica di essere umano. Parole illuminanti, al riguardo, restano quelle di Carl Schmitt sul nemico assoluto nella Teoria del Partigiano. Un potere che, per restare nella metafora russa, dovremmo chiamare con affetto e deferenza batjuska, piccolo padre, premuroso, provvidente, pensa per noi e conosce ciò che è bene per tutti.

In Italia la marcia inarrestabile delle leggi penali contro il libero pensiero prosegue, coadiuvata dalla psico polizia del mondo accademico, giornalistico e dello spettacolo. Dopo la legge Mancino, dopo le norme che colpiscono le convinzioni legate alle inversioni sessuali ribattezzate omofobia, e naturalmente la legge Fiano che castigherà calendari e immagini di un regime finito tre quarti di secolo fa, arriva l’algoritmo verità!

La scienza schierata sulla trincea del bene: un sollievo. Un modello matematico preconfezionato da qualcuno su indicazione di qualcun altro identificherà la verità, la separerà dalla menzogna come il grano dal loglio. Utilizzeranno l’intelligenza artificiale, ovvero la disciplina che studia fondamenti, metodologie e tecniche atte a riprodurre i processi mentali umani. Viene voglia di cavarcela con una battuta, e concludere che c’è bisogno di un’intelligenza artificiale per inventare bugie sempre nuove e magari per fornire, in perfetta neolingua orwelliana, la definizione scientificamente inconfutabile e postmoderna della verità: ciò che conviene al potere!

In Germania, come sempre, sono arrivati prima di noi: infatti un giornalista è stato condannato a sei mesi di carcere per aver pubblicato una verità del passato. Ha postato in rete la fotografia – reale- del Gran Muftì di Gerusalemme durante il suo incontro con i gerarchi nazisti nel 1941. E’ un fatto storico, ma, dicono i giuristi tedeschi, indegni successori di Savigny e della scuola storica del diritto, è delitto di odio, giacché mette in cattiva luce i mussulmani. E’, dunque, una fake news sui generis, da reprimere penalmente. Questo non è il futuro che ci aspetta: è già il presente.

Del resto, anche in Italia le multe pesantissime previste dal duo Zanda-Filippin funzioneranno egregiamente da autocensura. Nessuno rischierà la rovina economica propria, della famiglia e della sua azienda per sfidare il Bene ed il Vero costituiti in pubblica accusa, tribunale, ufficiale giudiziario. Due minuti di odio obbligatorio a reti unificate verso i nemici di Lorsignori, i nuovi Emmanuel Goldstein avversi al Partito Liberale Universale dell’Impero della Verità, rassicureranno quotidianamente il Popolo Consumatore.

Tempi ancora più bui dei presenti si avvicinano a grandi passi, nell’indifferenza del gran ballo Excelsior di ciò che rimane di popoli che hanno fatto la scienza, la storia, la cultura, in una parola la civiltà. Ridotti a prestar fede all’algoritmo-verità dei padroni della menzogna, prigionieri dell’intelligenza artificiale, dopo aver gaiamente rinunciato a quella ricevuta dal Creatore, con la politica serva e complice ridotta a negare la verità di ieri per proclamare la menzogna di domani. Homo sapiens…

di Roberto Pecchioli – 01/12/2017  Fonte: Ereticamente

https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=59821

La polizia tedesca ordina: non dite la verità sul terrorismo islamico

Il Corriere del Ticino, principale testata del gruppo che dirigo, ha pubblicato questa mattina un documento riservato del Bundeskriminalamt (BKA) la Polizia criminale tedesca. Si intitola «Come agire in presenza di attacchi terroristici” e contiene le linee guida sulle informazioni da trasmettere alla stampa in queste circostanze. L’intenzione è lodevole: evitare il diffondere di allarmismi, ma le conseguenze pratiche sono sorprendenti. E inquietanti.
 
La premessa dà già il tono:
“Nell’anno elettorale 2017 non ci sarà alcun attentato, almeno se si sarà in grado di evitarlo. Ciò significa che, non importa quanto siano sicuri dei fatti i funzionari in campo, davanti alla stampa e all’opinione pubblica, per cominciare, si deve negare sempre tutto. Lo staff di consulenza del Governo ha bisogno di tempo per illustrare l’accaduto e per mettere insieme un racconto credibile agli occhi dell’opinione pubblica».
Capito? E ancora:
«Le lettere di rivendicazione devono essere citate solo se necessario, ma senza fornire particolari. In caso di dubbio, escludere l’attacco terroristico. Divulgare la teoria dell’autore singolo, come pure quella della persona psichicamente disturbata. In aggiunta: evitare sempre, per cominciare, di parlare di IS (Stato islamico, n.d.r.) o di Islam».
L’autore dello scoop, Stefan Müller, cita un esempio concreto: l’attentato di Dortmund dell’11 aprile contro il bus dell’omonima squadra di calcio. La polizia, dopo una decina di giorni, annunciò che era stato compiuto da Sergej W. (28.enne russo-tedesco nel frattempo arrestato a Tubinga), che aveva ordito l’attentato per speculare in Borsa. Versione, che all’epoca aveva suscitato non poche perplessità. Dal documento scoperto dal Corriere del Ticino si scopre che era giunta una rivendicazione dell’Isis, mai però comunicata ai media. Inevitabile chiedersi adesso: Chi è stato davvero? Sergei o un fanatico del Califfo?
 
 
Due pagine del documento della BKABKA docu
Molto interessante anche la parte del documento in cui, rilevando un netto aumento dei fenomeni terroristici in Europa, si osserva che il quadro è andato peggiorando con «l’apertura delle frontiere da parte di Merkel». Ovvero la Polizia criminale tedesca avvalora l’equazione che le sinistre tendono a liquidare come un pregiudizio o un teorema populista: più immigrati fuori controllo, più terrorismo. La BKA parla di un traffico di passaporti rubati usati dagli attivisti dell’Isis in Europa.
«Dieci milioni di visitatori stranieri all’anno entrano in Germania con passaporti falsi o rubati. In tal senso è possibile correlare la quantità di passaporti rubati con Al Qaeda (IS) e le attività terroristiche islamiste».
 
Sono menzognere anche le cifre sull’immigrazione clandestina, almeno quelle comunicate in Germania. Leggete questo passaggio del rapporto:
«La percentuale degli ingressi illegali è cresciuta del 70%. I colleghi italiani prevedono l’arrivo di circa 350 mila, fino a 400 mila migranti dall’Africa nell’anno 2017. Verso l’esterno, alla stampa e ad altri media, indichiamo una cifra di 250 mila unità».
E lo stesso vale per i crimini ordinari commessi dagli immigrati. Nel 2015 erano 309 mila, nel 2016 sono saliti a 465 mila. Queste cifre, peraltro, non contengono reati contro l’asilo e la socialità.
Ma “ai media – si legge nel rapporto – si parla rispettivamente di 209 mila reati e di 295 mila». Ben 170 mila in meno.
Decisamente esplosivo questo passaggio del rapporto:
«Mai parlare di migranti economici. La sollecitazione giunge direttamente dal ministro della Cancelleria e dal portavoce del Governo. Queste indicazioni sono tassative, per chi non le rispetta sono previste sanzioni severe, procedure disciplinari e il licenziamento dalla polizia».
Sia chiaro: le autorità, da sempre, si riservano una certa discrezionalità nel diffondere le notizie più sensibili o per proteggere agenti infiltrati. Non dicono mai tutta la verità, com’è ovvio. Ma il quadro che emerge da questo rapporto va oltre i normali confini dell’intelligence.
 
Quando si modificano sistematicamente le statistiche, quando si tenta di dissimulare gli attentati fino a dare istruzioni per fabbricare versioni credibili agli occhi dell’opinione pubblica, quando un governo vieta di parlare di “migranti economici” si è in presenza di un metodo per la creazione di Post Verità governative o, se preferite, di una manipolazione sistematica delle informazioni.
E tutto questo al fine di non turbare il processo elettorale, dunque di non intralciare la campagna elettorale della cancelliera Merkel.
Cose che capitano nella democratica Germania.
di Marcello Foa – 20/06/2017 Fonte: Marcello Foa

Inquisizione Psicanalitica

marcelloPsicologi, psicanalisti e psichiatri sono, ahinoi, tra le categorie professionali che più hanno aiutato le dittature a consolidarsi, basti pensare al loro fondamentale contributo nel regime sovietico a classificare come pazzi o alienati sociali tutti quei dissidenti e avversari del partito e dello Stato, soprattutto intellettuali, riempiendo così i manicomi. E questo anche a ragione della concomitante affermarsi, come hanno riconosciuto filosofi e intellettuali di estrazioni le più diverse, psicanalisi e sociologia entrambe dedite alla misurazione quantitativa dell’uomo: della sua interiorità e del suo contesto sociale. Ma misurare ti induce anche a manipolare: da cui gli “ingegneri sociali” sempre in URSS o i “persuasori occulti” in USA denunciai da Vance Packard.

Le dittature assumono col tempo aspetti diversi, diventano sempre più sofisticate al tempo di Internet, e ormai non sono soltanto quelle che instaurano un esplicito regime di tipo esplicitamente poliziesco. A esempio, anche il “politicamente corretto” nelle sue molteplici e ossessive versioni si presenta come dittatura delle parole e dell’agire quando vuole imporre a suon di pseudo regole calate dall’alto il Pensiero Unico denunciando e condannando coloro i quali non si conformano ad esso. Ne sono responsabili non solo i politici in quanto tali, dunque, ma anche coloro i quali hanno un’influenza sull’opinione pubblica in un società come l’attuale dominata dalla informazione e dalla persuasione: gli intellettuali, dunque, i giornalisti e, ancora una volta, gli… psicologi.

Questa considerazione, che qualcuno considererà esagerata, è legittimamente provocata da due recentissimi episodi che hanno visto protagoniste due associali italiane di psicologi.

Il collegio dell’’Ordine degli Psicologi della Lombardia ha aperto un provvedimento disciplinare nei confronti del dottor Giancarlo Ricci “per aver posto in essere, peraltro un contesti pubblico in cui rappresentava la professione, un comportamento contrario al decoro, alla dignità e al corretto esercizio della stessa; per aver operato discriminazioni tra soggetti in base al loro orientamento sessuale; per aver utilizzati metodi, comunque, aver collaborato a iniziative lesive della dignità e del rispetto delle persone omosessuali; per non aver mantenuto un livello adeguato di preparazione e aggiornamento professionale con riguardo ai settori in cui opera e non aver riconosciuti i limiti della propria competenza”.

L’Ordine lombardo si è mosso su denuncia di una associazione LGBT (lesbiche, omosessuali, bisessuali, transessuali & C.) spalleggiata da cinque colleghi del dottor Ricci. Quale la sua intollerabile colpa? Di aver pronunciato durante una trasmissione televisiva del 21 gennaio 2016 dove era stato invitato in qualità appunto di psicologo, alcune opinioni considerate dalle associazione in questione, e quel che è peggio dell’Ordine professionale, come sconvenienti e offensive, diciamo anche “scientificamente” errate, una delle quali è la seguente: “La funzione di padre e di madre è essenziale e costitutiva del percorso di crescita”, e poi: “L’ideologia gender (…) secondo cui l’omosessualità viene equiparata ad una sessualità naturale, all’eterosessualità (…) in termini psichici non è affatto così”.

Chi è dunque questo psicologo sprovveduto, non aggiornato professionalmente, che non conosce le ultime frontiere scientifiche della psicologia, che fa sfigurare una intera categoria? Il dottor Ricci è un lacaniano, un freudiano e un autore che ha al suo attivo numerosissimi libri editi da Mondadori, Jaca Book, San Paolo e Marsilio, non l’ultimo arrivato, eppure deve difendersi da accuse che riguardano la propria opinione di specialista fondata su anni di studi ed esperienze dirette. Il suo Ordine lo accusa proprio di questo: di non adeguarsi supinamente a quelle che dovrebbero essere le teorie “psicologicamente corrette” che si vogliono imporre senza alcuna discussione seria e libera e che tutti dovrebbero supinamente accettare pena il deferimento all’ordine professionale da cui potrebbero essere addirittura radiati… Pensate: radiati perché non si ritiene valida la teoria del gender e si sostiene che per un bambino è meglio avere un padre ed una madre invece che due padri o due madri… Teoria del gender oggi tutt’altro che ben definita e unitaria e che al contrario comprende correnti diverse e in netto contrasto fra loro, moderate e radicali.

Incredibile ma vero: tesi e teorie che restano appunto tali e quindi su cui si può discutere e che invece vengono ritenute “scientifiche” e indiscutibili come se si trattasse di scienze positive esatte, e che invece sono imposte dalle pressioni delle lobby dei LGBT che, grazie anche al conformismo generale, sono diventati da poveri perseguitati ed emarginati, come amano presentarsi, intransigenti persecutori e spietati emarginatori di chi non la pensa obbligatoriamente come loro. E questo solo fatto di avere una idea diversa viene considerata una “colpa”, una “offesa”, una “discriminazione”, una “lesione della dignità” (basti pensare alle scomposte e assurde reazioni al “Family Day” che è stato un prodromo di quanto sta accadendo adesso). La “teoria del gender” diventa dunque una specie di legge dello Stato e il non esserne d’accordo comporta sanzioni.

E’ nelle dittature che una teoria diventa una legge per tutti, come nella Germania di Hitler divennero leggi per tutti le teorie di Rosenberg. Stiamo imboccando una pessima china, e nessuno se ne vuole accorgere.

Non diversa da quella imboccata dal CIPA, il Centro Italiano di Psicologia Analitica, che ha protestato pubblicamente con una “lettera aperta” che ha ricevuto molte adesioni, per un caso diverso, addirittura peggiore del precedente. Essendosi resi conto che al Festival di Taormina dopo una loro conferenza sul mito avrebbe dovuto parlare Marcello Veneziani presentando il suo ultimo libro appunto sul mito oggi, se ne è sentita indignata e offesa affermando che mai e poi mai avrebbe dovuto intervenire un “intellettuale di estrema destra” (sic!) che in passato si è occupato, tra le sue mille cose, anche di… Julius Evola, cioè del diavolo in persona, ormai!

Il caso è peggiore del precedente in quanto ci troviamo di fronte ad una censura preventiva: tu devi tacere soltanto perché sei definito un “intellettuale di estrema destra” (se fossi stato un “intellettuale di estrema sinistra” non avresti avuto problemi, vedi ad esempio Toni Negri) ed hai avuto interessi “politicamente scorretti”, perché non puoi avere curiosità o interessi o compiuto studi su un pensatore che alcuni mettono al bando, così facendo un atto profondamente illiberale e antidemocratico che per fortuna alcuni (come Umberto Galimberti e Renato Cattaneo) hanno stigmatizzato ma che però, il che la dice lunga sula condizione morale della nostra stampa, è stato del tutto ignorato dai “grandi giornali” che viceversa avrebbero fatto fuoco e fiamme se il censurato fosse stato de sinistra…

Ai bei tomi del CIPA si sarebbero dovute ricordare un paio di cose: è proprio Jung, loro nume tutelare, e che anni fa venne definito “il profeta ariano” razzista, pagano, antisemita e anticristiano, che nel suo Psicologia e alchimia del 1944 cita positivamente il libro di Evola La Tradizione ermetica del 1931, unico autore italiano preso in considerazione. Che facciano signori del CIPA, scriviamo una “lettera aperta” prendendo le distanze da Jung per esserci contaminato con Evola? Forse è veramente il caso di essere seri.

Questa Inquisizione Psicanalitica è inquietante e allarmante. Se gli studiosi dell’animo e del profondo si schierano contro la libertà di pensiero e di parola è un gravissimo segno dei tempi in cui viviamo. Se gli psicologi/psichiatri/psicanalisti si presentano come custodi di una pseudo ortodossia e si schierano contro le opinioni che oggi – e solo oggi – vanno controcorrente si dovrebbe aver paura dei successivi sviluppi di cui questi due episodi sono i primi sintomi. Proprio come gli omosessuali che da perseguitati si sono trasformati in inquisitori di chi non la pensa come loro, lo stesso vale per essi: quando la psicanalisi nacque era considerata sovversiva, vista con sospetto, accusata di essere scorretta, criticata per la sua immoralità, ostacolata, mentre ora che impazza ed è onnipresente è lei a mettere al bando chi non si conforma e la pensa diversamente sule nuove frontiere psicologiche, nemmeno fosse una scienza esatta.

Romanzi distopici su un futuro in cui è vietato pensare in modo differente da quanto impone un regime ce ne sono a bizzeffe a cominciare da 1984 di Orwell e ancor prima da Noi di Zamjatin, e la realtà dell’URSS stalinista ricordato inizialmente ne è l’applicazione pratica e storica. Non è molto difficile immaginare altri che, affiancati dal solerti strizzacervelli chiamati come esperti della Corte che giudica, condannino coloro i quali sono trascinati a processo da semplici privati, o dalle lobby LGBT, e condannino il poveraccio caduto in trappola magari su denuncia anonima, come un disgraziato malato di mente, un pericoloso asociale, oltre che non aggiornato sulle nuove dottrine della sessualità o della politica. All’orizzonte pare attenerci la Psicopolizia che mantiene l’ordine pubblico e mentale… E magari anche condanne preventive di chi ha solo la tendenza a questo tipo di delitti, come avviene in certi romanzi e racconti di Philip K. Dick…

Che di tutto questo non si rendano pienamente conto uomini di cultura e importanti giornalisti che dedicano le loro rubriche quotidiane alle più inenarrabili e inutili scempiaggini, tutti sacerdoti della libertà di pensiero, è un evidente sintomo della deriva che sta prendendo la società occidentale in genere e quella italiana in particolare.

Gianfranco de Turris

Ps. Dopo questo articolo aspetto di essere deferito da qualcuno all’Ordine dei Giornalisti.
Pubblicato da Ereticamente il 31 maggio 2017
http://www.ereticamente.net/2017/05/inquisizione-psicanalitica-gianfranco-de-turris.html

Intervistare Assad è sacrosanto, alla faccia dei maestrini del giornalismo

Com’era previsto, l’intervista a Bashar al-Assad pubblicata da Il Fatto Quotidiano e, per quanto mi riguarda, da Avvenire, e trasmessa in parte anche dal Tg1 e dai canali Mediaset, ha attirato gli strali di alcuni maestrini di morale e giornalismo. Non si intervista un dittatore (criminale, macellaio, torturatore, eccetera, a piacere), non ci si presta alla sua propaganda, non si diventa suoi complici. Questo, per sommi capi, l’argomento più usato.
 
Vorrei chiarire subito la mia convinzione in merito: si incontra e si intervista chiunque. Se sapessi che interessa ai lettori, intervisterei anche il diavolo. L’idea che intervistare una persona o un personaggio significhi piegarsi ai suoi interessi e ai suoi scopi è patetica. Ho lavorato per tanti anni a Famiglia Cristiana e ricordo l’uscita di interviste, per citarne solo qualcuna, con Felice Maniero (il capo pluriomicida della cosiddetta “banda del Brenta”), Graziano Mesina, il generale Aidid (che tra centinaia di altre avrebbe avuto sulla coscienza anche la morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin) e persino Pol Pot. Nessuno pensò mai, e tanto meno scrisse, che “parlare con loro” volesse dire “stare con loro”, sposare le loro tesi. Anche se ovviamente Maniero, Mesina, Aidid e Pol Pot sostenevano la loro “verità”.
Ma veniamo ad Assad. Presso il ministero dell’Informazione della Repubblica di Siria giace una lista lunga un metro di richieste di intervista al Presidente. Comprende tutte le maggiori testate del mondo. Dal punto di vista dei giornalisti, quindi, la questione è presto risolta. Chi non intervisterebbe il cattivo (criminale, macellaio eccetera) Assad forse ha sbagliato mestiere. Dovrebbe farne un altro, magari anche più nobile di quello del giornalista: l’attivista per i diritti umani, il funzionario Onu, il politico. Una delle attività che permettono di far sparire dalla faccia della terra tutti quelli come Assad. Ma non il giornalista.
 
«Noi quattro giornalisti italiani che abbiamo realizzato l’intervista ad Assad ci siamo accordati per fare domande diverse, ad ampio spettro, su temi scomodi per il regime. Non ci è stato chiesto di evitare questo o quell’argomento, né l’avremmo fatto. I lettori ce ne saranno grati»
E aggiungo: d’accordo, non intervistiamo Assad l’assassino. Ma il generale Al Sisi, quello dell’Egitto, del caso Regeni e di centinaia di altri desaparecidos, invece sì? E il re dell’Arabia Saudita e l’emiro del Qatar, oppressori dei loro popoli, finanziatori dell’Isis e assassini di civili nello Yemen? L’ayatollah Alì Khamanei, guida suprema dell’Iran? Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah in Libano? Erdogan mamma li turchi? Il generale Haftar, che fu sgherro di Gheddafi e collaboratore della Cia ma oggi ha in mano le carte decisive in Libia, lo lasciamo perdere e quindi stronchiamo il Corriere della Sera che lo ha fatto parlare?
Posso aggiungere? Perché Tony Blair, che insieme con George Bush mentì al mondo per scatenare l’invasione dell’Iraq e fu così causa di centinaia di migliaia di morti, ha parlato con tutti i giornali per anni, anche dopo che le sue responsabilità erano diventate evidenti? Voi neo-moralisti l’avete mai intervistato? Avreste rifiutato, rifiutereste di incontrarlo? Volete un altro esempio? Eccolo: Aung San Suu Kyi. Ebbe il Premio Nobel per la Pace nel 1991, oggi fa il primo ministro della Birmania e applica una politica di feroce discriminazione, ai limiti della pulizia etnica, nei confronti della minoranza musulmana dei rohynga, più di 800 mila persone. Già vi vediamo rifiutare, sdegnati, un’intervista con l’ex eroina.
Il moralismo un tanto al chilo è la morte dell’informazione. L’intervista con Bashar al-Assad ha avuto tutti i limiti che è possibile immaginare in una situazione come la Siria di oggi. Ma per essere onesti, ho avuto limiti peggiori, in passato, in certi incontri con politici italiani. Inoltre, noi quattro giornalisti italiani che l’abbiamo realizzata ci siamo accordati per fare domande diverse, ad ampio spettro, su temi scomodi per il regime, in modo da ottenere il materiale più ampio possibile. Ci avevano detto una domanda a testa, ovviamente ne abbiamo fatte di più. Non ci è stato chiesto di evitare questo o quell’argomento, né l’avremmo fatto. I lettori ce ne saranno grati. Quelli che si sono investiti del ruolo di agit prop del bene forse no, ma non importa.
 
di Fulvio Scaglione – 16/03/2017 Fonte: linkiesta

Non vogliono evitare bufale, vogliono il controllo del dissenso

UN-internet-censorshipIl professore di Informatica giuridica all’Università degli Studi di Milano commenta il disegno di legge presentato al Senato. Un “testo confuso che non stabilisce neanche con quali criteri definire una falsa notizia”
Un testo confuso, che punta ad attaccare il libero dissenso in rete e confonde fake news e pedopornografia. In più, Internet non è il far west, ma un luogo già “iper regolamentato” dove non deve essere un legislatore o un provider “sceriffo” a censurare le informazioni. Giovanni Ziccardi, professore di Informatica giuridica all’Università degli Studi di Milano, commenta il ddl contro le fake news presentato nei giorni scorsi al Senato (qui il testo). Una proposta “liberticida” che vuole imporre nuove regole a siti e forum, applicando anche l’aggravante della diffusione a mezzo stampa.
Da esperto di diritto delle nuove tecnologie, cosa pensa del ddl?
Credo sia inopportuno, pericoloso e censorio. Nasconde le sue reali intenzioni di controllo del dissenso. Lo trovo soprattutto impreciso, sia dal punto di vista tecnico che giuridico. Punta a soffocare il dibattito in rete caricando di responsabilità, burocrazia e sanzioni gli utenti e i provider. Dall’altra parte “salva”, per molti versi, i due principali vettori di odio, notizie false e disinformazione di oggi, cioè molti grandi media e politici. Ed equipara fenomeni eterogenei tra loro che richiedono, invece, regolamentazioni specifiche. Infatti nella relazione introduttiva si fa riferimento a “fake news”, a espressioni che istigano all’odio e alla pedopornografia. Tre universi molto diversi tra loro.
Quali sono i punti più critici?Partiamo dalle pagine della Relazione introduttiva, dove si spiegano le motivazioni del provvedimento: sono molto chiare, fanno capire bene quale sia l’intento. Già nel titolo, s’individuano tre scopi eterogenei tra loro: prevenire la manipolazione dell’informazione online, garantire la trasparenza sul web e incentivare l’alfabetizzazione mediatica. Tutti temi con esigenze differenti e che richiedono approcci originali e ben calibrati.
Il testo nasconde le sue reali intenzioni di controllo del dissenso. Ed è impreciso, sia dal punto di vista tecnico che giuridico
Nelle stesse pagine vengono elencati anche i pregi di Internet, sottolineando quanto sia importante per la democrazia.
Sì, per poi passare a giustificare una regolamentazione, per occuparsi del “lato più oscuro”. Bisogna sempre diffidare di chi tratta la regolamentazione della rete elencandone, prima, i pregi, a partire dalla sua natura di grande strumento di libertà. Di solito a questo segue la scure della regolamentazione selvaggia.
Di fatto, già dopo poche righe leggiamo la parola “controllo”.
Sì, come in questo passaggio: “La libertà di espressione non può trasformarsi semplicemente in un sinonimo di totale mancanza di controllo, laddove controllo, nell’ambito dell’informazione, vuol dire fornire una notizia corretta a tutela degli utenti”.
Non si capisce, però, chi debba stabilire quali notizie siano o meno corrette.
Si parla di notizie sbagliate e distorte o, peggio, manipolate, che non sarebbero “mai circolate alla velocità con cui circolano oggi”. Di un’informazione che diventa disinformazione a fini di propaganda e influenza l’opinione pubblica, di una Rete contaminata da notizie inesatte e infondate. Viene disegnato un quadro terrificante. Ma si dimentica che non sono solo gli utenti, oggi, a far circolare simili notizie, ma anche organi di stampa e politica. Da tempo sostengo che l’odio e le fake news si siano “istituzionalizzate”. Provengono, in sintesi, dai soggetti che, al contrario, dovrebbero dare l’esempio. In particolare media e politica: hanno scoperto che possono essere usate come “valuta” per guadagnare consenso, voti, click e lettori.
Nel ddl non ci sono soltanto le fake news. Si parla anche di istigazione all’odio, cyberbullismo e pedopornografia.
Tutti temi che non c’entrano nulla con la manipolazione delle notizie, ma che sono suggestivi e vengono aggiunti per disegnare un quadro ancora più fosco dove è necessaria, dunque, una regolamentazione. Il testo carica di responsabilità i provider con obblighi di monitoraggio e di rimozione dei contenuti falsi e chiede loro di utilizzare non meglio identificati “selettori software” per rimuovere i contenuti falsi, pedopornografici o violenti. Anche in questo provvedimento si intravede la crociata contro il Web e Facebook e la domanda di sanzioni nei confronti dei gestori di piattaforme.
Al di là della relazione introduttiva, cosa prevedono gli articoli del provvedimento?
Viene punito chi pubblica o diffonde notizie false, esagerate o tendenziose che riguardino dati o fatti manifestamente infondati o non veritieri attraverso social media o altri siti che non siano espressione di giornalismo online. Già questa distinzione è significativa: non si vuole toccare il giornalismo online con l’assunto che sia maggiormente garantita una qualità dell’informazione. Cosa che non è sempre vera. Si vogliono evitare allarmi infondati e, in caso di diffamazione, la vittima potrebbe chiedere anche una somma a titolo di riparazione in base al grado di diffusione della notizia. Si applicherebbe, poi, l’aggravante della diffusione a mezzo stampa, cosa che sinora non è mai stata fatta e che è concettualmente sbagliata. L’attenzione è rivolta anche alla diffusione di notizie false che possano destare pubblico allarme o fuorviare settori dell’opinione pubblica. O che hanno come oggetto campagne volte a minare il processo democratico, quindi esplicitamente connesse all’opinione delle persone.
Vuole introdurre per siti e forum l’aggravante della diffusione a mezzo stampa, cosa che sinora non è mai stata fatta e che è concettualmente sbagliata
La novità riguarda anche chi vuole aprire un sito o un forum.
L’amministratore dovrebbe comunicare via posta certificata entro 15 giorni i dati alla sezione per la stampa e l’informazione del tribunale per aumentare la trasparenza e contrastare l’anonimato, garantendo così la tracciabilità. Un registro, in sintesi, di tutti coloro che scrivono. Se a questo si aggiunge un diritto di replica e di rettifica entro due giorni dalla richiesta, un processo di rimozione dei contenuti (diritto all’oblio) e un programma di alfabetizzazione mediatica con l’ingresso del “buon giornalismo” nelle scuole al fine di creare piccoli giornalisti ben attenti alla verità, il quadro di controllo è completo. Su tutto, ovviamente, la responsabilità dei provider, tenuti a effettuare un costante monitoraggio e un’azione di rimozione anche per i commenti degli utenti e per le frasi offensive che diventano di tendenza.
Viene citato anche il whistleblowing.
Sì, ma a sproposito, perché non c’entra nulla con le procedure di segnalazione degli utenti all’interno di una piattaforma.
In tutto questo, c’è qualche punto di forza nel testo, anche se da riformulare?
No, nessuno. Il testo nasce sbagliato, con un approccio liberticida. Intervenire nella circolazione delle idee in rete è un processo che può solo fare danni. L’approccio al diritto deve essere equilibrato, non costruito attorno a sanzioni e responsabilità quasi oggettive, istituzione di registri e allargamento delle ipotesi penali, e deve sempre essere coordinato con un’azione tecnologica rispettosa del dna della rete.
Intervenire nella circolazione delle idee in rete è un processo che può solo fare danni E rimane un’incognita anche come intervenire a fronte di una “fake news”.
È facile individuare bufale o notizie false clamorose, ma c’è un’area grigia difficilissima da disciplinare e che rientra nell’ambito dell’interpretazione soggettiva. In base a quali criteri stabilire che è una fake news? In che rapporto starebbe, ad esempio, con la satira? E chi dovrebbe stabilire cosa è falso o no? Il governo?
Nel complesso il testo è scritto da persone competenti?
Non lo so. Noto solo molta confusione nell’affiancare temi molto diversi tra loro e che richiedono approcci ad hoc (notizie false, espressioni d’odio, pedopornografia), il solito disvalore nei confronti dell’anonimato, il provider “sceriffo” al centro del sistema di responsabilità. E poi l’equiparazione alla stampa con un’estensione della ipotesi di diffamazione aggravata a mezzo stampa – procedimento non corretto – e la creazione di un elenco di siti tenuto in tribunale per individuare chi scrive e per evitare l’anonimato. Non mi sembra certo un approccio moderno, rispettoso del mezzo tecnologico e consapevole dei pregi della rete.
Il testo chiede a chi vuole aprire un sito di comunicare con posta elettronica certificata – ed entro 15 giorni – cognome e nome, domicilio, codice fiscale alla Sezione per la stampa e l’informazione del Tribunale competente. L’obiettivo, come dichiarato dalla Gambaro, prima firmataria, è che così si può “accrescere la trasparenza e contrastare l’anonimato” e “agevolare chi ha bisogno di rettifiche”. Sarebbe utile in questo senso?
Non credo. Già in rete, oggi, l’identificazione è estremamente semplice. E questi obblighi sarebbero facilmente aggirabili utilizzando strumenti che permettono di aprire siti o blog su provider esteri in servizi nascosti, o utilizzando strumenti per il vero anonimato. La registrazione di tutti coloro che scrivono in rete è già operata in alcuni regimi “non democratici”, ma si è dimostrata facilmente aggirabile.
 
La registrazione di tutti coloro che scrivono in rete è già operata in alcuni regimi “non democratici”, ma si è dimostrata facilmente aggirabile
Chi diffama e offende da anonimo non è individuabile?
Il vero anonimato è estremamente complesso da raggiungere ed è estremamente difficile da portare avanti per un lungo periodo. Oggi, spesso, chi diffama o chi odia lo fa con nome e cognome, come vediamo scorrendo i social network. La polizia postale, oggi, è in grado di individuare i soggetti che scrivono o commentano con toni violenti.
Perché la lotta all’anonimato è sempre stata un chiodo fisso in tutte le proposte di leggi in Italia?
Perché si pensa che l’esposizione delle reali identità possa portare a cambiare i comportamenti, ma non è corretto. Oggi gran parte dell’odio viene veicolato con nome e cognome. In più perseguire chi diffama richiede l’avvio di un complesso percorso giudiziario. Che spesso i personaggi pubblici non vogliono portare avanti per motivi di immagine, per non apparire come un “Davide contro Golia” che se la prende con i più deboli.
In rete ci sono davvero profili “anonimi”?
Ci sono strumenti per l’anonimato, ma non sono quelli comunemente utilizzati nelle discussioni su larga scala, nei gruppi, sui social e nei commenti in coda agli articoli.
Il legislatore non dovrebbe intervenire. Mi sembra più un tentativo di soffocare il dissenso, di reagire alle critiche, di cercare di uniformare il pensiero
Dal punto di vista legislativo, dovrebbero essere messi a punto nuovi strumenti e norme per ostacolare la diffusione di fake news?
Ci sono già strumenti che intervengono se una notizia falsa risulti diffamatoria o possa generare danni nel contesto sociale. Non mi sembra ci sia bisogno di altre leggi. Internet è già regolamentato. Viene presentato come un Far West ma, in realtà, è disciplinato in ogni suo aspetto.
E soprattutto: è un legislatore che deve pensare a come sanzionare chi diffonde false informazioni?
No, secondo me il legislatore non dovrebbe intervenire. Mi sembra più un tentativo di soffocare il dissenso, di reagire alle critiche, di cercare di uniformare il pensiero. È un disegno di legge che alterna approcci di controllo orwelliani – come il registro di chi scrive – a strumenti kafkiani – la burocratizzazione dell’attività dei provider – per controllare la qualità dell’informazione che circola. Ma in tutto questo non si specificano i criteri da adottare. Lasciando così a chi governa il compito di decidere cosa sia verità e cosa non lo sia.
di Giovanni Ziccardi – Eleonora Bianchini – 26/02/2017 Fonte: Il Fatto Quotidiano