Eclisse della Politica o sua trasformazione?

massoneria parlamentoIl politico è finito, nel senso che non c’è classe, né frazione di una classe politica che possa attualmente contare sulla volontà popolare; per cui, non rappresentando di fatto nessuno, costoro si trovano in una situazione completamente falsa.
Jean Baudrillard [Lo showman politico nello spazio pubblicitario]
 
Parto da questa affermazione dello scomparso filosofo e sociologo francese Baudrillard, che risale agli anni ottanta ed è calata in quella realtà sociopolitica, di passaggio dal capitalismo del secondo millennio al neocapitalismo a vocazione finanziaria di oggi. Già allora cominciava a essere evidente la crisi della politica e della rappresentanza, in Europa e in occidente.
Attraversando i “futili”, ma problematici anni ottanta della morte delle ideologie e del riflusso nel privato – in verità trasformativi sopra e, soprattutto, sotto la superficie – ci si imbatteva nella questione della “morte della Politica”, quella con la p maiuscola, o quantomeno quella che aveva caratterizzato l’epoca precedente. In particolare, eravamo già consapevolmente distanti dalla celebre definizione di Politica, che si deve ad Aristotele, intesa come amministrazione della πόλις, non solo perché il sistema e il mondo culturale della polis erano defunti da lunghissima pezza, ma anche perché la crematistica tendeva a prevalere, in modo sempre più deciso, sulla buona amministrazione .
 
Per non dire di quella definizione (meno nota al grande pubblico) offerta dal celebrato politologo italiano Giovanni Sartori, che concepiva la politica come una sfera in cui avvengono le decisioni collettive. Ciò non toglie, però, che negli anni ottanta c’era ancora un contatto (destinato progressivamente a scomparire) fra l’agire politico e l’amministrazione della cosa pubblica, da un lato, e una quantomeno supposta volontà popolare, dall’altro lato, sia pur frammentata e rispondente a specifici interessi di classe.
Inoltre, non si poneva in modo così drammatico, come si pone oggi in un habitat compiutamente neocapitalistico, la questione dirimente, rispetto al problema dell’eclisse o della trasformazione della Politica, che riguarda la ”devoluzione” di sovranità dello stato nazionale, a partire dalla moneta.
Se dovessimo guardare a quello che sta accadendo oggi in Italia, in particolare all’interno dell’entità di governo chiamata Partito democratico, calandoci in una realtà sociopolitica completamente nuova rispetto agli ottanta, non potremmo che stigmatizzare l’errore di fondo di Jean Baudrillard, quando affermava che il politico non rappresenta più nessuno, avendo smarrito persino la sua specificità. Non abbiamo assistito, negli ultimi tre decenni, a un’abdicazione della Politica, con lo spazio pubblicitario che ha semplicemente sostituito quello pubblico, lasciando il campo sgombro al Libero Mercato. La sostanza della trasformazione è nell’appropriazione della decisione politica da parte di una nuova classe dominante globale, sopranazionale, che ha eclissato gli interessi vitali delle classi dominate, espellendoli dalla Politica stessa.
Questa classe, in sostituzione della vecchia borghesia proprietaria, ha costituito una rete di organismi sopranazionali che ha “svuotato” di competenze lo stato nazionale e ha occupato, per conto delle élite, lo spazio politico un tempo conteso, avocando a sé le decisioni strategiche, per evitare il fastidio di dover confrontarsi con la “volontà popolare”.
Nello specifico caso italiano, il Partito democratico – informe e variegata entità collaborazionista delle Aristocrazie del denaro e della finanza – qualcosa di certo rappresenta, anche se non è in relazione con la volontà popolare, come la intendeva, a suo tempo, Baudrillard. Non assistiamo a complessi fenomeni “transpolitici”, all’impossibilità assoluta di governare (sempre Baudrillard negli anni ottanta). Assistiamo impotenti, noi che viviamo questi anni “terminali”, a una completa ridefinizione della “sfera politica” di Sartori, in cui dovrebbero manifestarsi le decisioni collettive. Come ci è ormai evidente, l’unico nesso fra l’agire politico del Pd e la sua amministrazione della cosa pubblica è con gli interessi, imperiosamente imposti ai popoli e al fondo della piramide sociale, della classe dominante globale postborghese, a vocazione finanziaria.
Con il senno di poi, a giochi fatti, comprendiamo che gli interessi di classe elitisti e la sottrazione di sovranità allo stato nazionale sono i due aspetti predominanti della trasformazione della Politica, che diventa, per noi dominati, una politica con l’iniziale minuscola, completamente subordinata (come il Partito democratico) alla decisione strategica elitista – quella sì veramente Politica!
 
Ne consegue che lo psicodramma dell’entità Pd, in corso in questi giorni in Italia, avviene in una “sferetta” secondaria, o meglio terziaria, nella dimensione locale di uno stato nazionale sottomesso, in cui si attuano i programmi decisi da altri. Programmi che corrispondono ai desiderata e ai diktat della Global Class, internazionalizzata quanto i capitali finanziari che gestisce per assicurare la riproduzione sistemica.
Tornando al Sartori studioso di scienza della politica e alla sua “sfera” delle decisioni collettive, oggi le sfere politiche sono tre.
La più alta e importante corrisponderebbe alla Politica con l’iniziale maiuscola e, per la precisione, all’Empireo molto mondano in cui vivono le élite globali che confondono i loro interessi privati, di arricchimento e dominio, con gli interessi collettivi.
La seconda sfera è un riflesso importante del sistema di potere elitista, nello spazio sopranazionale riservato agli organi della mondializzazione neoliberista, in cui si elaborano le linee di politica strategica da applicare, successivamente, negli stati nazionali tributari e svuotati di potere decisionale (come L’Italia governata dall’entità Pd).
 
La terza sfera, la meno importante fra le tre dal punto di vista della Politica, è la dimensione nazionale, in cui collaborazionisti sub-politici delle élite, soggetti all’autorità degli organi della mondializzazione attraverso i vincoli dei trattati, traducono in norme e decreti specifici (legge Fornero, jobs-act, tentata riforma costituzionale, milleproroghe liberalizzanti, eccetera) le predette linee programmatiche, aderenti agli interessi privati elitisti.
La catena di trasmissione delle decisioni di politica strategica è perciò la seguente: Global class strategica che decide in base ai propri interessi, organismi sopranazionali che elaborano i programmi a livello alto, semi-stato neoliberista, retto da collaborazionisti, che applica pedissequo.
 
Oggi non vi è un’eclisse della Politica, quella di più alto livello che decide, ma una sua trasformazione che penalizza i popoli e le classi dominate, con un impianto di potere effettivo che li esclude dalla partecipazione alle decisioni che contano. Anche se sono rimaste in piedi le vecchie istituzioni dello stato liberale, mantenendo gli stessi nomi del passato – governo, parlamento, presidenza della repubblica, eccetera – la loro funzione risulta diminuita e anche la loro “rappresentatività” è cambiata.
La stessa “antipolitica” che si starebbe diffondendo a macchia d’olio nella società, secondo la narrazione mass-mediatica, non è che un riflesso di questo cambiamento, che non va nel senso ipotizzato da Baudrillard negli anni ottanta. Non vi è totale indifferenza politica dei cittadini verso le questioni pubbliche e una sorta di impossibilità dei rappresentanti politici di “veicolare veramente i problemi”, nonché la scomparsa della specificità della Politica. C’è semplicemente la percezione, più o meno vaga, ma sempre fondata, di non essere rappresentati nei propri interessi vitali.
Si hanno di fronte rappresentanti che rappresentano i soli interessi della classe dominante, agendo sempre più scopertamente contro il popolo. In verità, l’”antipolitica” di oggi nasce dall’esclusione completa dei dominati dalla decisione Politica, che neppure l’apparato mass-mediatico, ideologico e accademico asservito alle élite riesce più a nascondere, con le sue menzogne.
 
Non eclisse della Politica, quindi, ma trasformazione della stessa e soprattutto completo spostamento verso il culmine della (nuova) piramide sociale di ogni decisione strategica che ci riguarda. La Politica esisteva ai tempi di Aristotele, in quelli di Machiavelli, di Locke e continua ad esistere ai giorni nostri, perché è improbabile che un “animale sociale” come l’uomo possa farne a meno. Può, al contrario, sentirne la mancanza, come le masse che sarebbero attratte dall’”antipolitica”, proprio perché private di rappresentanza all’interno del sistema.
 
Si dovrebbe comprendere, come avvertiva il filosofo politico “nazista” Carl Schmitt nel definire il concetto e le categorie di ciò che è politico (Der Begriff des Politischen), che la distinzione fra amico e nemico è qui fondamentale. Riappropriarsi la “sfera” Politica, con l’iniziale maiuscola, implica la volontà di combattere il nemico che l’ha espropriata, dopo averlo chiaramente individuato.
di Eugenio Orso – 26/02/2017 Fonte: Pauperclass

Contro ogni probabilità

no trumpIl grasso faccione di Michael Moore appare sempre indecente, come i genitali di uno di mezza età. Quello sciatto ciccione farebbe marciare le vecchie babbione anche senza il “pussyhat” (cappello rosa con orecchie da gatto, simbolo della protesta contro Trump – ndt). Basta la sua faccia. Sembra proprio George Soros: la stessa oscena Femminuccia. Secondo me è la sua faccia che lo condanna: come diceva Oscar Wilde, “tutte le creature brutte sono anche immorali”.
 
Basta guardare Madeleine Albright, altra Femminuccia.   Ma se vi serve qualche altro elemento diciamo anche che il suo “Stupidi Uomini Bianchi” è il libro più esecrabile pubblicato negli Stati Uniti in questo secolo. In esso sostiene che se i passeggeri degli aerei del’11 settembre fossero stati neri il dirottamente non avrebbe avuto successo.
E ora Femminuccia scopre i piani nascosti di Putin e chiede “l’insediamento della Clinton perché Trump é una spia russa”. Anni fa ha parlato contro la guerra in Iraq: ora invoca l’Armageddon nucleare. Con simili nemici intorno, non dobbiamo rinunciare a Trump.
Trump è finito, urlano sia i suoi fan che i suoi detrattori. E’ sconfitto, a terra, non si rialzerà più. E’ un’anatra zoppa e presto sarà messo sotto accusa. Presto lo si vedrà sgattaiolare fuori dalla Casa Bianca per infilarsi di nuovo nella sua gabbia dorata. O, meglio, correrà dal suo caro amico Vlad Putin.
E invece no, cari amici e lettori, Trump sta combattendo, non sta scappando, ma le cose richiedono tempo. Non è facile cambiare il paradigma, e fin dai primi momenti tutte le probabilità erano contro di lui. E’ arrivato fino ad oggi e continuerà a tenere duro. Il ragazzo è testardo e perseverante. Giudici corrotti tentano di legargli le mani, CIA e NSA rivelano le sue mosse al New York Times, alla CNN, e a NBC; ma lui si rialza, pronto a lottare di nuovo contro i suoi nemici – e i nemici degli americani, l’idra con tante teste a tre lettere.
 
Ci sono quelli che hanno fretta, che vorrebbero subito una vittoria e si disperano alle prima battute d’arresto. Un giudice intossicato di potere apre le porte dell’America all’avanguardia delle truppe ISIS, annullando un ordine esecutivo moderato e ragionevole, ed eccoli che già rabbrividiscono. Terribile, ma che avrebbe dovuto fare Trump? Doveva forse non fare niente di fronte a un suo ordine contravvenuto? Ha dovuto agire, così la gente avrebbe visto e giudicato i giudici. Allinearli con le spalle al muro all’alba lungo il muro del confine con il Messico? Non può farlo ancora, anche se in fondo avrebbe un senso.
 
Flynn ha dovuto lasciare, ed eccoli che esclamano: “tutto è perduto”. Sarebbe stato un errore se non avesse detto o fatto niente, invece ha agito. A una conferenza stampa molto pubblica e di grande copertura mediatica insieme al primo ministro Netanyahu, Trump ha detto: “Michael Flynn, il Generale Flynn è un uomo meraviglioso. Sono convinto che sia stato trattato molto, molto ingiustamente dai media – quelli che io chiamo i falsi media. E ‘molto, molto ingiusto quello che è accaduto al generale Flynn, il modo in cui è stato trattato, i documenti e le carte che sono trapelate illegalmente. E lo sottolineo: trapelate illegalmente. Molto, molto ingiusto.” Queste sono parole di un uomo che combatte, che ha perso una delle battaglie, anzi, solo una scaramuccia, ma che continua la sua guerra.
 
Forse sarebbe meglio tenersi Flynn, ma la politica è l’arte del possibile. E comunque le parole di Trump a sostegno del Generale erano già fuori luogo.
Trump ha incontrato Netanyahu, ed ecco i ‘deboli-di-cuore’ che già si lamentano che il Presidente ha ceduto alla lobby nefasta. Tutto il contrario. L’ADL, il potente gruppo di pressione ebraico, lo ha attaccato per aver rifiutato di pronunciare la loro parola preferita, “antisemitismo”. Haaretz ha dichiarato: “Sì, Trump è un antisemita“; il New York Times in un suo editoriale ha spiegato i motivi per cui il Presidente non ha voluto condannare l’antisemitismo, come richiesto; i rabbini hanno definito  “terrificanti” e “anti-sioniste” le sue osservazioni poiché Trump si è rifiutato di risolvere l’impasse con l’opzione da tempo battuta della “soluzione dei due Stati”.
Tra l’altro, i palestinesi sostengono la soluzione dello Stato unico proposta da Trump e non credono in quella ormai mitica dei due stati: l’equivalente mediorientale della quadratura del cerchio. Trump ha applicato abilmente la sua arma preferita, sostenere Bibi Netanyahu; con quest’arma ben spianata Trump è riuscito ad azzittire i cacciatori di anti-semiti, senza fare quello che volevano.
 
Sarebbe meglio ignorare gli ebrei del tutto, ma non si può fare dal momento che possiedono tutti i falsi-media e il cuore della gente comune americana. Rifiutare di condannare ufficialmente l’antisemitismo per un politico americano è come voler camminare sulla terra in assenza di gravità.
Dopo questo preambolo, possiamo affermare che il primo mese del mandato presidenziale di Trump è stato tutto in salita. Speravamo nella ragionevolezza degli sconfitti che gli avrebbero consentito di attuare il suo programma, invece hanno continuato dalle retroguardie a portare avanti le loro battaglie. Il suo è un compito arduo: Trump sta tentando di seppellire il capitalismo globalizzante prima che questo seppellisca i lavoratori europei e americani. Senza Trump, America ed Europa sarebbero invase da milioni di persone senzatetto che fuggono dalle guerre R2P. Senza Trump, i lavoratori americani ed europei finirebbero a lavorare nei fast-food, mentre i finanzieri continuerebbero a spremerli come limoni. Una simile inversione di tendenza non poteva passare senza opposizioni.
 
Guardiamoci indietro e ricordiamo le persone che nella storia hanno conseguito cambiamenti radicali di tale portata.  Non voglio citare nomi per non farvi spaventare. Nessuno di loro aveva una personalità particolarmente piacevole, ma avevano il carisma, una volontà di ferro, una buona memoria, la visione e la perseveranza; erano maestri di tattica, cioè sapevano quando era il momento giusto per ritirarsi e quando avanzare. E forse anche Trump ha queste qualità. Ma oltre a questo, avevano dietro di loro un partito leale e solidale, o un esercito e dei servizi segreti a loro disposizione. Trump questi non li ha.
Questi strumenti aggiuntivi sono necessari per superare gli elementi antidemocratici e non eletti del governo. Negli Stati Uniti, la magistratura e i media, due “poteri” su quattro, sono profondamente non o addirittura anti-democratici. I media sono di proprietà dei Signori dei Media, solitamente ricchi ebrei che portano avanti la loro agenda. I giudici sono naturalmente anti-democratici: disprezzano la democrazia e l’opinione pubblica.
 
La magistratura è anche fortemente ebreicizzata: tre su nove (o quattro su nove) giudici della Corte Suprema sono ebrei. Il presidente Obama aveva tentato di inserire un ulteriore giudice ebreo: ora gli elementi filo-ebrei si batteranno per evitare che un non-ebreo si “rubi” quel posto. Sono tantissimi gli avvocati e gli insegnanti di legge ebrei, tanti da metter l’imprimatur su questa professione. Nessun cambiamento radicale potrà essere possibile finché non si porrà un limite a questi poteri.
Trump non ha dietro di sé alcun partito leale, nessun servizio segreto a lui fedele. Il processore Intel Unit è contro di lui, le spie sono contro di lui e ‘passano la merce’ ai suoi nemici politici. Il partito è sospettoso nei suoi riguardi. Ci sono in giro troppi repubblicani intenti ad affilare i coltelli e pronti a colpirlo alla schiena, a cominciare dal vecchio traditore, John McCain  Senatori e Rappresentanti hanno un debito enorme verso i loro generosi donatori (per lo più ebrei); e hanno bisogno del sostegno dei media per poter essere rieletti.
 
Trump dovrebbe stabilire il controllo sul suo partito, mettendoci dei suoi fedelissimi ed estirpando i suoi avversari dal partito, dal Senato e dal Congresso. Vorrei consigliargli di non esitare a stroncare, spodestare e umiliare un senatore repubblicano, anche a costo di dare il suo seggio a un democratico. Non è impossibile. Basta infondere un po’ di paura nei cuori miti.
 
Portare i servizi segreti sotto il suo controllo è relativamente semplice: dare inizio a una caccia alle streghe, individuando i traditori che fanno trapelare il contenuto di conversazioni telefoniche riservate ai media. Questo è alto tradimento; tante persone di dubbia fedeltà possono essere fermate anche solo in caso di sospetto. Un biglietto di sola andata a Guantanamo aiuterà a schiarire le idee a molti potenziali traditori. Devono essere trattati severamente come il povero Bradley Manning. E comunque, i servizi segreti sono esagerati: gli Stati Uniti non possono sostenere un milione di spie. L’ottanta per cento se ne dovrebbe andare. Dovrebbero entrare nel mercato del lavoro ed iniziare a rendersi utili. Quelli che rimangono saranno solo fedelissimi.
I media possono essere soggiogati con vari mezzi. Di solito le grandi società d’informazione non sono mai altamente redditizie e sono suscettibili di acquisizioni ostili; alcune aziende possono essere fermate con la legislazione anti-trust. I Signori dei Media ostili si possono colpire facilmente spulciando le loro dichiarazioni dei redditi. Nel caso del New York Times, il suo sistema di azioni multi-livello è chiaramente ingiusto e può essere attaccato dagli azionisti. La misura migliore e più radicale sarebbe separare la pubblicità dai contenuti vietando il contenuto politico in pubblicazioni di carattere pubblicitario, come ho già detto altrove, ma per questo sarebbe necessaria l’approvazione del Congresso.
I giudici sono umani; quei giudici ostili che pensano di essere al di sopra del Presidente e del Congresso possono essere sottoposti a indagini approfondite con qualche pregiudizio. E sia nei tribunali che nelle università si dovrebbe abolire il mandato a vita.
Il compito del Presidente Trump quindi è decisamente arduo ma non impossibile. Tagliare i servizi di sicurezza a misura di quello britannico o francese (ed è anche molto). Ricordiamoci che dopo la prima guerra mondiale, gli Stati Uniti non avevano alcun servizio segreto e hanno prosperato comunque.  Terrorizzare un Signore dei Media e un senatore repubblicano. Portare alla luce la corruzione dei giudici distrettuali. Scoperchiare il barattolo pieno di vermi della Fondazione Clinton. Denunciare alcuni neoconservatori per aver mentito al Congresso. Ristabilire un ponte con Bernie Sanders. Invitare i suoi sostenitori ad arruolarsi nel partito repubblicano e conquistare la maggioranza alle primarie. E sì, ci vorrà del tempo.
 
Ora comprendete perché le valutazioni pessimistiche dei nostri colleghi Paul Craig Roberts e The Saker sono alquanto premature. Di fronte all’ ostilità del vecchio regime, Trump avrà bisogno di almeno sei mesi solo per regolarizzare la situazione alla Casa Bianca. Proprio per fare un confronto: Putin ci ha messo quasi cinque anni a consolidare il suo potere, e altri cinque per consolidarlo, anche se lui ha goduto del pieno appoggio dei servizi di sicurezza russi e ha potuto contare su una Costituzione più autoritaria scritta dagli americani per il loro tirapiedi, Eltzin.
Putin se lo ricorda bene: ci vuole tempo. Per questo non è affatto preoccupato per il ritardo da parte di Trump nel regolarizzare i rapporti USA-Russia. Le false notizie circa il disincanto russo nei confronti di Trump sono proprio questo: notizie false. I Russi sono fiduciosi nello sviluppo positivo delle relazioni USA-Russia, e non trattengono il respiro.
Perché credo che alla fine Trump avrà la meglio? Gli Stati Uniti non sono un’isola, sono parte integrante dell’Occidente e l’Occidente sta vivendo un cambiamento del paradigma. Le Femminucce hanno perso e i Deplorevoli hanno vinto, e non per un semplice colpo di fortuna. Ricordiamolo: Trump non è stata la prima vittoria; la Brexit l’ha preceduta. Tra la vittoria della Brexit e l’elezione di Trump, il governo britannico ha esitato e ha rinviato qualsiasi azione. Gli inglesi non erano sicuri se quel voto fosse un segno di cambiamento o un semplice colpo di fortuna. Dopo la vittoria di Trump, gli inglesi si sono messi davvero in marcia.
I giudici britannici – corrotti tanto quanto quelli americani – hanno tentato di fermare la Brexit, insistendo sul fatto che il caso sarebbe stato rinviato al Parlamento e che questo avrebbe archiviato il caso, facendo restare il Regno Unito nell’U.E., come chiedevano a gran voce i media. Ma si sbagliavano. Anche se il pubblico britannico ha votato per la Brexit con 52% su 48%, i parlamentari britannici l’ hanno approvata con 83% su 17%. I deplorevoli hanno stravinto.
Ora attraversiamo la Manica. La Francia ha preferito François Fillon (di centro-destra, un repubblicano moderato, in termini americani) per ereditare la poltrona di presidente di Femminuccia Hollande. Ora, la vittoria di Fillon sembrava assicurata, ma mentre si preparava al passaggio all’Eliseo, ecco che viene rivelato un fatto spiacevole. Una modesta appropriazione indebita (rubato, in poche parole) di circa un milione di dollari dei contribuenti francesi, oltre ad aver fatto lavorare la propria moglie come assistente parlamentare.
 
Ora tutti lo scansano quasi fosse un lebbroso, e la probabilità che la Regina dei Deplorevoli, Marine Le Pen, vinca le elezioni di maggio al primo turno è diventata altamente plausibile. Dovrà vedersela solo con un morbido socialista Emmanuel Macron che non rappresenta minimamente una minaccia. La sua retorica nel definirla “aspra” e “nemica di liberté-égalité-fraternité”, poiché non è molto appassionata di immigrazione araba, probabilmente cadrà nel vuoto. E’ la gente che è aspra e non è più tanto sicura che gli arabi rientrino nel concetto di uguaglianza. Così Marine potrà vincere e la Francia diventerà un alleato dell’America di Trump.
Fillon ha accusato forze “oscure” di tentare di schiacciarlo e probabilmente non ha torto. Le rivelazioni sul suo conto sono avvenute al momento giusto, proprio come nel caso delle e-mail DNC. In entrambi i casi, il crimine, o almeno le azioni disoneste denunciate, era reale, e lui (o lei) meritavano la sconfitta. In entrambi i casi, dietro un tale perfetto tempismo nelle rivelazioni, ci può essere soltanto una vera e propria forza “oscura”. E non parliamo di Russia. La Russia ancora non partecipa a questo ‘campionato’.
Parliamo di una forza occidentale “ombra” che promuove il capitalismo nazionalista, contro la forza globalista liberale che “invita ad invadere”. E’ questa forza che ha permesso a Trump di raggiungere la Casa Bianca, che ha consentito la Brexit e ha fatto fuori Fillon per dare spazio a Le Pen. Probabilmente Frau Merkel perderà alle prossime elezioni, facendo crollare quel piano assurdo di Obama di fare della Germania la pietra angolare del mondo globalizzato liberale.
 
In tutto l’occidente i Signori del Discorso si ritrovano sconfitti. E le piccole battute di arresto di Trump di certo non fermeranno questa tendenza. Il capitalismo produttivo nazionalista è collegato ai finanziari, ai Signori dei Media, ai promotori delle minoranze, ai servizi igienici transgenici e agli studi sulle donne. La battaglia non è ancora finita, ma finora pare che i Deplorevoli stiano vincendo e le Femminucce perdendo.
Non sappiamo chi sostiene i Deplorevoli. Quando ha vinto la Brexit i Signori del Discorso hanno detto che è stato grazie ai pensionati, ai proletari e ai poveracci delle periferie. Ma poi, il Parlamento l’ha approvata. La Signora Clinton deplorava i deplorevoli, ma oggi Trump siede alla Casa Bianca. Con Francia e Germania che seguono a ruota, sta nascendo una nuova forza. E’ sostenuta dalle maggioranze native. Chi li guida? Industriali, gente di spirito o forse solo lo Spirito del Tempo, lo Zeitgeist? Chiunque e qualunque cosa sia, questa forza aiuterà Trump, se terrà duro.
 
 
Israel Shamir adam@israelshamir.net
Fonte: www.unz.com
Link: http://www.unz.com/ishamir/against-all-odds/
 
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SKONCERTATA63
Questo articolo è apparso originariamente su The Unz Review.

Le colombe armate dell’Europa

Ulteriori passi nel «rafforzamento dell’Alleanza» sono stati decisi dai ministri della Difesa della Nato, riuniti a Bruxelles nel Consiglio Nord Atlantico. Anzitutto sul NATO-Partnership-for-peace-countries-ES-1024x561fronte orientale, col dispiegamento di nuove «forze di deterrenza» in Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia, unito ad una accresciuta presenza Nato in tutta l’Europa orientale con esercitazioni terrestri e navali. A giugno saranno pienamente operativi quattro battaglioni multinazionali da schierare nella regione.
Sarà allo stesso tempo accresciuta la presenza navale Nato nel Mar Nero.
Viene inoltre avviata la creazione di un comando multinazionale delle forze speciali, formato inizialmente da quelle belghe, danesi e olandesi. Il Consiglio Nord Atlantico loda infine la Georgia per i progressi nel percorso che la farà entrare nella Alleanza, divenendo il terzo paese Nato (insieme a Estonia e Lettonia) direttamente al confine con la Russia.
Sul fronte meridionale, strettamente connesso a quello orientale in particolare attraverso il confronto Russia-Nato in Siria, il Consiglio Nord Atlantico annuncia una serie di misure per «contrastare le minacce provenienti dal Medioriente e Nordafrica e per proiettare stabilità oltre i nostri confini».
Presso il Comando della forza congiunta alleata a Napoli, viene costituito l’Hub per il Sud, con un personale di circa 100 militari. Esso avrà il compito di «valutare le minacce provenienti dalla regione e affrontarle insieme a nazioni e organizzazioni partner». Disporrà di aerei spia Awacs e di droni che diverranno presto operativi a Sigonella.
 
Per le operazioni militari è già pronta la «Forza di risposta» Nato di 40mila uomini, in particolare la sua «Forza di punta ad altissima prontezza operativa».
L’Hub per il Sud — spiega il segretario generale Stoltenberg — accrescerà la capacità della Nato di «prevedere e prevenire le crisi». In altre parole, una volta che esso avrà «previsto» una crisi in Medioriente, in Nordafrica o altrove, la Nato potrà effettuare un intervento militare «preventivo». L’Alleanza Atlantica al completo adotta, in tal modo, la dottrina del «falco» Bush sulla guerra «preventiva».
I primi a volere un rafforzamento della Nato, anzitutto in funzione anti-Russia, sono in questo momento i governi europei dell’Alleanza, quelli che in genere si presentano in veste di «colombe». Temono infatti di essere scavalcati o emarginati se l’amministrazione Trump aprisse un negoziato diretto con Mosca.
Particolarmente attivi i governi dell’Est. Varsavia, non accontentandosi della 3a Brigata corazzata inviata in Polonia dall’amministrazione Obama, chiede ora a Washington, per bocca dell’autorevole Kaczynski, di essere coperta dall’«ombrello nucleare» Usa, ossia di avere sul proprio suolo armi nucleari statunitensi puntate sulla Russia.
Kiev ha rilanciato l’offensiva nel Donbass contro i russi di Ucraina, sia attraverso pesanti bombardamenti, sia attraverso l’assassinio sistematico di capi della resistenza in attentati dietro cui vi sono anche servizi segreti occidentali. Contemporaneamente, il presidente Poroshenko ha annunciato un referendum per l’adesione dell’Ucraina alla Nato.
A dargli man forte è andato il premier greco Alexis Tsipras che, in visita ufficiale a Kiev l’8-9 febbraio, ha espresso al presidente Poroshenko «il fermo appoggio della Grecia alla sovranità, integrità territoriale e indipendenza dell’Ucraina» e, di conseguenza, il non-riconoscimento di quella che Kiev definisce «l’illegale annessione russa della Crimea». L’incontro, ha dichiarato Tsipras, gettando le basi per «anni di stretta cooperazione tra Grecia e Ucraina», contribuirà a «conseguire la pace nella regione».
di Manlio Dinucci – 23/02/2017 Fonte: Il Manifesto

Si parla ormai correntemente di deglobalizzazione. Bene!

La sinistra italiana è una solache “le sinistre” non menzionino il concetto di stato e nazioni (una volta invece ne proteggevano il ruolo fondamentale come regolatore dell’economia in funzione sociale, da decadi è una bestemmia pronunciare la parola nazione, infatti proprio le sinistre hanno abiurato e tradito questa politica economica) è meglio. Non sarebbero manco credibili se non per strumentalizzare e tentare di recuperare “punti”.
 

Molti di noi, mediamente, vivono immersi in un mondo di inconsapevolezze arredato per metà con la caverna di Platone e per l’altra dal migliore dei mondi possibili di Leibniz-Candide. Veniamo tenuti apposta in questo mondo estetico ed etico mentre le nostre élite operano costantemente nelle segrete, dove torturano la realtà coi più affilati strumenti e le tecniche più sofisticate. Sia torturare la realtà, sia tenercelo nascosto, viene fatto per il “nostro bene”, non reggeremmo allo shock e tutte le nostre sicurezze ne risentirebbero.

         (Pierluigi Fagan)
 
 
1. Il libro di Pierluigi Fagan Verso un mondo multipolare. Il gioco di tutti i giochi nell’era Trump (Fazi, 2017) parla di Stati e di nazioni. Concetti tabù per la sinistra radicale, da non menzionare nemmeno. Dal canto loro, i cultori di destra del Blut und Boden invano vi cercheranno un’esaltazione della Patria e del Re e i seguaci dell’establishment culturale di sinistra avranno il dispiacere di veder messi a nudo il cosmopolitismo progressista e la narrazione della “fine degli stati-nazione”, che verranno chiamati col loro nome proprio: imperialismo.
Sono secoli che la sinistra (tutta, in vari gradi e sfumature) ci ricasca – o ci ritenta. E viene sbugiardata.
Ai suoi tempi Marx criticò l’internazionalismo dei proudhoniani francesi ritenendolo un sostegno allo sciovinismo francese: «Lafargue, senza neppur rendersene conto, per negazione delle nazionalità intende, sembra, il loro assorbimento da parte della nazione francese modello».
 
Mettete “Stati Uniti” al posto di “Francia” e vedrete quante cose quadrano.
Ci volle il realismo di Lenin per criticare l’ostilità di due grandi rivoluzionari come Rosa Luxemburg e Karl Radek all’idea di “autodeterminazione delle nazioni”.
Infine, con l’approfondirsi della crisi sistemica, la sinistra politica e intellettuale – con pochissime eccezioni, che pur esistono grazie al cielo – si è nuovamente comportata come l’inesperto di navigazione che essendo scoppiata la tempesta ha cercato di rimanere vicino alla costa conosciuta andando così a sbattere contro gli scogli, invece di prendere il mare aperto anche senza una meta chiarissima.
Si percepisce dietro a queste difficoltà un errore d’approccio che nasconde varie cose, a volte correlate tra loro a volte no, che vanno dall’opportunismo al dogmatismo, passando attraverso un pregiudizio (ma a volte un paravento) metodologico trasversale che chiamerò “concettualismo accademico”.
 
Cercherò allora di mettere in evidenza il metodo usato da Pierluigi Fagan e il suo vantaggio rispetto al concettualismo accademico, specialmente di stampo marxista.
2. Si parla ormai correntemente di deglobalizzazione. Bene! Finalmente ci siete arrivati! mi verrebbe da dire[1]. Se prima non ci si credeva, grazie ai postumi dell’ubriacatura globalizzatrice, oggi la presidenza Trump ha dato la sveglia. Un caffè nero che provoca conati di vomito e feroci mal di testa. Sempre così dopo una brutta sbornia.
E quindi occorre rifare i conti coi concetti di “Stato” e di “nazione”. O, alternativamente, continuare a vivere nel mondo di Papalla.
Giovanni Arrighi nel suo capolavoro “Il lungo XX secolo. Denaro, potere e le origini del nostro tempo” (Il Saggiatore, 1996) asseriva che occorre «dipanare il nodo del rapporto fra lo sviluppo dell’Europa, centrato sul commercio estero, e quella superiorità militare che ha consentito per almeno tre secoli agli europei di appropriarsi dei crescenti benefici dell’integrazione dell’economia su scala mondiale».
Il punto sta proprio qui. Lo sviluppo capitalistico occidentale nasce imperialista. Si è svolto cioè attraverso un processo invertito che non è partito dallo sviluppo interno per poi espandersi all’esterno con l’occupazione di spazi, ma è andato nella direzione inversa. La sua storia è quindi una storia imperiale ab origine e, come ha osservato Samir Amin, «non esiste nessuna teoria del capitalismo distinta dalla sua storia»
Invece i marxisti moderni si baloccano molto coi concetti astratti. I loro libri e le loro conferenze sono sostanzialmente luoghi e occasioni di divertimento. Poco male, se poi non si guardasse con sufficienza e sospetto chi cerca di capire nella realtà dove va il mondo e che cosa possiamo fare.
E invece da sempre chi non la pensa in modo conformista o ortodosso è oggetto di accuse gravi. Lo sapeva benissimo Gramsci, si magna licet, che canzonava chi lo accusava di spiritualismo, bergsonismo e persino di “futurismo marinettiano”. Ancora oggi, ci sono sconsiderati che pensano che Lenin fosse un agente dell’imperialismo prussiano e persino che Marx fosse un agente del capitale finanziario newyorkese[2]. Per quanto riguarda invece gli affari correnti, fanno insistente capolino accuse di “filo-putinismo” o “filo-trumpismo”. Basta non essere clintoniani e clintonoidi, basta chiedersi “Cosa sta succedendo? Perché sta succedendo?”, senza accontentarsi delle spiegazioni mainstream, ed è tutto un filare pro questo o pro quello. Al cittadino moderno vengono richiesti sudditanza e continui atti di fede. Dubbi mai. Se recalcitrante, vengono prospettati Ministeri della Verità e si incomincia a mettere in serio dubbio che sulle cose “importanti” sia il caso di far votare il “popolo sovrano”. Un neo servaggio. Propugnato dalla destra? No dalla sinistra. Quella sinistra che poi sbraita contro il populismo.
Questo stato di cose rende sempre più evidente che se un intellettuale non è “organico” nel senso di Gramsci, ovvero disciplinato da un progetto politico che intende – come si dice – “superare lo stato presente delle cose”, esso viene quasi inevitabilmente catturato dal senso comune dell’avversario, da chi lo stato presente delle cose se lo vuol cambiare lo vuole fare alla Gattopardo o alla Vicerè. E viene sedotto dalla sicurezza e dal senso di appartenenza che da questa cattura deriva[3].
Gli intellettuali fedeli solo a se stessi – come voleva e sperava Costanzo Preve – sono molto rari e destinati alla marginalità.
Le idee dominanti sono in ogni epoca quelle che hanno i mezzi per essere veicolate, propagandate ed essere protette culturalmente, politicamente e con la forza.
 
3. Il metodo di analisi di Pierluigi Fagan è quello della teoria della complessità. Questo approccio e quello di derivazione marxiana non sono antitetici, come spesso si crede, ma si compendiano. Io il punto di convergenza l’ho trovato nella nozione di “sistema dissipativo”.
Il processo di accumulazione, in quanto privo di un fine sociale è anche privo di un fine qualsiasi e quindi è letteralmente senza (un) fine. E’ autoperpetuante. Questa caratteristica genera crisi in continuazione. Crisi di sovrapproduzione, di sovraccumulazione, nell’andamento del saggio di profitto e altri fenomeni analizzati da Marx.
Le crisi, nel loro complesso e dal punto di vista dei sistemi dissipativi, si possono descrivere come una produzione di entropia (frutto delle contraddizioni del processo di accumulazione) che deve essere scaricata all’esterno.
Quindi il rapporto interno-esterno è centrale nell’analisi delle concrete società capitalistiche.
In particolare, la nascita del termocapitalismo occidentale, cioè del capitalismo nato in Occidente e poggiante massicciamente sull’utilizzo di fonti di energia, è retroflessa, come già si è detto. In particolare il moderno capitalismo europeo ha avuto origine dall’estroversione, trainata dal commercio estero, di un centro (l’Inghilterra) verso lo spazio esterno, combinata con un processo di retroversione dal commercio estero allo sviluppo industriale e agricolo nazionale. Ma è l’intero processo che conduce al capitalismo occidentale che nasce da una necessità di estroversione: di piccole entità.
 
Una necessità dovuta alla limitatezza delle loro risorse territoriali in relazione alla capacità di accumulazione. Si pensi al percorso che va dalle città-stato italiane e arriva, per l’appunto, a una piccola isola galleggiante nei freddi mari del Nord chiamata “Inghilterra” che col solo 1,7% del PIL mondiale di allora andò alla conquista o alla soggezione di Paesi che assieme contavano per il 60% del PIL mondiale.
Io affermo sempre che il capitalismo occidentale è nato con la battaglia di Plassey, una città del Bengala, nel 1757. E l’ho sostenuto recentemente anche in India, di fronte a militanti della sinistra radicale di quell’immenso Paese (solitamente marxisti-leninisti, ma non solo), che mi guardavano sorpresi ma interessati. Con la rapina del Bengala gli Inglesi ripianarono i debiti coi banchieri olandesi e riuscirono a investire nelle invenzioni della prima rivoluzione industriale. Il gioco iniziò così.
Ora, la capacità di scaricare all’esterno l’entropia generata dal centro (la proiezione di potenza e di capitali “esuberanti”, così come le delocalizzazioni per contrastare la caduta del saggio di profitto, sono esempi di questo movimento) implica che ci sia un esterno, che esso sia libero e che sia popolato da persone disposte a ricevere questa “spazzatura termica” (ad esempio producendo profitto per un centro altro). Già questo implica a sua volta che la dinamica della crisi è direttamente condizionata dai rapporti tra Stati, ovvero dalla configurazione dello spazio geopolitico. E questo spazio è uno spazio di sistemi.
Come ricorda Fagan, l’1,7% di PIL mondiale inglese era un sistema. Per questo ebbe la meglio sul 60% combinato di Cina e India, che non facevano sistema o per lo meno un sistema complesso e soprattutto fortemente dinamico come quello inglese (come mise bene in rilievo Jawarharl Nehru in The discovery of India, scritto mentre giaceva proprio nelle galere britanniche). E coi mezzi militari di ausilio a questo dinamismo.
 
4. La lettura del libro di Pierluigi Fagan induce una prima considerazione: non essere accademici permette di svincolarsi da quell’apparato o camicia di forza concettuale che è il solo ad essere ritenuto legittimo e riconosciuto dai pari. Fagan ha lavorato con le multinazionali, io ho lavorato con le multinazionali. Nessuno di noi due è propriamente un intellettuale col pedigree. Forse è per questo che lui, seguace della teoria della complessità e io, seguace di Marx, ci intendiamo. Non siamo dei “professionisti del concetto” e quindi non facciamo interminabili litigate sui concetti. Per dirla in termini popolari: andiamo al sodo.
I concetti, usati come strumenti, servono a dare un ordine alla realtà, di modo che sia intelligibile e agibile progettualmente. Il metodo di Marx della “risalita dall’astratto al concreto” fa proprio questo[4]. Occorre iniziare l’analisi da un piccolo nucleo di concetti “cellulari”, “elementari”, ma alla fine dell’analisi deve esserci la realtà, che è tale in quanto è “ricca di determinazioni”, come sostiene Marx. E questo è un riconoscimento della complessità del reale.
Ma il pensiero accademico molto spesso si ferma al culto devoto del concetto in sé. Questo è tipico degli intellettuali marxisti, affascinati dalla logica espositiva di Marx, o meglio del primo libro del Capitale, o meglio ancora dei primi tre capitoli del primo libro del Capitale. Ma questo culto del concetto è fustigato dallo stesso Marx, che nelle Glosse a Wagner ha affermato con un certo sarcasmo: «Prima di tutto, io non parto da “concetti, quindi neppure dal “concetto di valore”, e non devo perciò in alcun modo “dividere” questo concetto. Ciò da cui io parto è la forma sociale più semplice in cui si presenta il prodotto del lavoro nell’attuale società, il prodotto in quanto “merce”».
Non è lecito giocare con concetti astratti: «Alles das sind “Faseleien”», sono tutte “stupidaggini”, dice sbrigativamente Marx del filosofare degli economisti accademici tedeschi.
Questo difetto, queste “stupidaggini”, hanno avuto come conseguenza quella di disinnescare la carica rivoluzionaria del pensiero di Marx e di renderlo, per l’appunto, gradevole e gradito in ambito accademico. Era proprio il difetto di cui si era dovuto invece sbarazzare un marxista rivoluzionario come Lenin che contrapponeva gli eleganti schemi teorici di Bucharin (pur sempre ritenuto da Lenin come il miglior teorico del Partito) alla poco elegante natura della realtà: “Da questa disparità, da questa costruzione fatta con materiale difforme – per quanto spiacevole e poco armonico possa parere – non usciremo per un ben lungo periodo» [5].
La sfera culturale marxista è invece periodicamente percorsa dalla parola d’ordine del “ritorno a Marx”, proprio per recuperare i suoi puri “concetti”, mentre un “ritorno a Lenin” – e si capisce perché – sarebbe visto con orrore. E’ un fenomeno molto italiano ed europeo.
Nonostante alcune fiammate soggettivistiche e volontaristiche, il marxismo che da noi ha dominato a partire dal Sessantotto, una stagione che più o meno coincide con le prime avvisaglie della crisi sistemica attuale, si è configurato di fatto come una sorta di marxismo da II Internazionale, alla Kautsky o alla Bernstein, tutto rivolto a leggere nei fenomeni il concretizzarsi, finalmente, delle “condizioni” che preludono l’avvento del comunismo.
E come fece Kautsky con la sua idea di “superimperialismo”, si sono divinati i segnali di uno “spazio liscio” che prende il posto di uno “spazio striato”, increspato. Ovvero è stato annunciato un mondo unificato e appiattito dal capitalismo. Impero di Hardt e Negri è la sintesi più nota di questo annuncio. Ma al pari dell’ipotesi del “superimperialismo” di Kautsky, anche questo è stato un annuncio sfigato. Allora la confutazione a Kautsky fu il primo massacro interimperialistico, la risposta a Hardt e Negri sono stati l’11/9 e l’inizio delle guerre infinite. Di fatto, le due drammatiche confutazioni sono state in entrambi i casi contemporanee all’enunciazione della tesi.
5. L’analisi intellettuale riduce le coordinate e le variabili al minimo (putativamente coincidenti con le ipotesi minime dell’esposizione marxiana e dimenticandosi bellamente che la logica dell’esposizione non coincide mai con quella della scoperta – cosa che ogni scienziato dovrebbe sapere): scontro capitale-lavoro in un sistema omologante, teso allo smantellamento inevitabile di ogni differenza di etnia, di etica e di costumi, di religione, nazione, stato, casta considerati rimasugli pre-moderni e moderni.
E invece il mondo è un casino e così i bei concetti simmetrici ed elegantemente dispiegati non riescono a cogliere i fenomeni, per non parlare di ciò che sta sotto i fenomeni.
Sono troppo ingiusto, troppo critico, troppo grezzo, non capisco le raffinatezze dei ragionamenti? Ma non è che siamo invece un po’ troppo nella merda e qualcuno ancora non vuole capirlo per fedeltà identitaristiche? La reazione a questa incapacità analitico-politica, non è proprio il rifugiarsi in tutte quelle identità e fedeltà premoderne e moderne che si pensavano in via di dissoluzione? Il disastro della reazione non è un segnale di quello dell’azione?
Una reazione che, di certo, non incontra il favore né di Pierluigi Fagan né di chi scrive (e per questo siamo così critici; non per divertimento ma per confessata preoccupazione).
A quelle caratteristiche premoderne e moderne, alcuni associano valori (si veda il ritorno di istanze fasciste, xenofobe, razziste, nazionaliste, il culto per il Blut und Boden e il Medioevo). Non ci piace affatto, ma è inevitabile quando la sinistra perde il contatto con la realtà e si dedica a “utopie letali” come recita il titolo di un libro di Carlo Formenti che ha fatto arrabbiare molti.
Lo scontro di classe non avviene sulla Luna, ma in mezzo a dinamiche impregnate di etnie, religioni, nazioni, Stati, eccetera. Dinamiche con complesse motivazioni ideologiche, culturali, etiche, politiche e materiali. Dinamiche che hanno alle spalle una storia precedente e sono la causa di una storia seguente. E questa storia non si svolge nel vuoto interstellare, ma sulla Terra, su Gea, un ambiente fisico, geografico e materiale.
6. Il libro di Pierluigi Fagan è inevitabilmente anche un libro di Storia, nel senso che guarda gli ultimi decenni con distacco storico (che non vuol dire distacco morale). Lo riesce a fare perché il punto di vista sistemico gli consente di aumentare o diminuire la granularità dell’analisi e le maglie che connettono questi grani.
Se si osserva un quadro impressionista, come ad esempio il “Ponte giapponese” di Monet, se si va troppo vicino si vedranno piccole macchie di colore e null’altro. Occorre distanziarsi, e anche un bel po’, per distinguere il ponte. Allo stesso modo, se si va troppo vicino ai dettagli non correlati della realtà si dirà: “Chissà che cosa significa. E’ tutto un gran disordine”. La famosa “risalita dall’astratto al concreto” di Marx serve proprio a calibrare il livello di granularità dell’analisi della realtà per portarla alla coscienza del soggetto.
Ma quando finalmente si capisce che non bisogna avvicinare troppo il naso bensì distanziarsi un po’ per avere uno sguardo d’assieme che possa cogliere le correlazioni, far intuire pattern, bisogna stare molto attenti a non inforcare gli occhiali sbagliati e vedere quello che fa comodo vedere.
Perché la realtà è in movimento e il movimento spiazza e ciò che spiazza incomoda.
7. Quando la grana è grossa (Stati) i movimenti diventano geopolitici e geostorici. Nell’uso corretto di questi strumenti non c’è nessuna esaltazione della nozione di “potenza” né un interesse particolare per la lotta per il Lebensraum degli stati-nazione. C’è invece una riscoperta della materialità della Storia, della complessità del reale.
L’intellettualità accademica ha invece spesso dimenticato pressoché tutto ciò che costituisce il binomio “materialismo-Storia”. Ha dimenticato il materialismo perché ha espunto la materia, che appunto, nel nostro mondo si chiama Gea. Ha dimenticato la Storia perché l’ha ridotta alla formula per l’attesa delle “condizioni canoniche”, formula prelevata direttamente dalla caverna di Platone.
Una storia ridotta a formula, come a Marx non piaceva: «la “fatalità storica” di questo movimento è … espressamente ristretta ai paesi dell’Europa occidentale». Così Marx nella sua risposta a Vera Zasulič del 1881. Concetto che il rivoluzionario tedesco aveva già espresso in una lettera alla redazione della rivista russa Otečestvennye Zapiski del 1877 dove diceva:
«Nel capitolo sull’accumulazione originaria, io pretendo unicamente di indicare la via mediante la quale, nell’Occidente europeo, l’ordine economico capitalistico uscì dal grembo dell’ordine economico feudale [.]. Ecco tutto. Ma per il mio critico, è troppo poco. Egli sente l’irresistibile bisogno di metamorfosare il mio schizzo della genesi del capitalismo nell’Europa occidentale in una teoria storico-filosofica della marcia generale fatalmente imposta a tutti i popoli, in qualunque situazione storica si trovino, per giungere infine alla forma economica che, con la maggior somma di potere produttivo del lavoro sociale, assicura il più integrale sviluppo dell’uomo. Ma io gli chiedo scusa: è farmi insieme troppo onore e troppo torto».
8. L’intellettualità marxista blasonata ha inanellato un record di sconfitte materiali e di incomprensioni della realtà. Le ultime in ordine di tempo vanno dalle “primavere arabe” all’elezione di Trump[6]. Pur non essendo il tema principale del libro, Fagan utilizza il suo approccio per dare un senso alla “sorpresa” The Donald. E ora io cerco di sintetizzare questo senso dal mio punto di vista.
Se l’affollamento geopolitico del mondo e la sua complessità riducono agli USA (e in subordine all’Occidente) la possibilità di utilizzare l’esterno come spazio per la produzione materiale di ricchezza e potenza, questa produzione deve essere ricondotta e protetta là dove il potere della società capitalistica viene originariamente gestito: lo stato-nazione. Lì è il punto di avvio dell’espansione e lì è il punto di approdo della contrazione.
La lotta fra Trump e il vecchio ordine si svolge su questo sfondo del quale tutti i contendenti devono tener conto, volenti o nolenti. Assisteremo a colpi e contraccolpi, ma la direzione è segnata. In questo spazio affollato e quindi ristretto gli USA devono negoziare da una posizione di forza[7]. Ma questa forza, come si capisce usando un po’ di logica e buon senso, non può dipendere da circostanze esterne che non siano strettamente controllabili, altrimenti si entrerebbe in un giro vizioso. Il problema degli Stati Uniti – e la ragione dell’ostilità del “deep state” – è che essi sono invischiati fino al collo in circostanze esterne sempre meno controllabili, cioè nella globalizzazione e nella finanziarizzazione (che in realtà è il fattore principale). Globalizzazione e finanziarizzazione che hanno informato di sé proprio il “deep state” e il personale politico alleato che mostra infatti un’enorme fatica ad adattarsi al cambiamento persino quando gli gioverebbe (vedi le sanzioni alla Russia).
Questa è la realtà, il resto è rappresentazione. A meno che si pensi veramente che un miliardario americano si possa svegliare una bella mattina con l’idea di diventare presidente degli Stati Uniti, così solo perché gli garba.
La la land !
NOTE
[1] Si veda P. Pagliani, Al cuore della Terra e ritorno. Parte 2. La crisi che verrà: definanziarizzazione e deglobalizzazione. 2013 (scaricabile gratuitamente da http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=73540).
[2] Sarebbe stato meglio per Marx, così i suoi figli non sarebbero morti perché non poteva comprare il cibo e le medicine e non avrebbe dovuto a volte impegnare persino i calzoni per poter sopravvivere – l’agente dell’Alta Finanza peggio pagato del mondo!
[3] «[Il duca] deciso veramente a ritirarsi dalla vita pubblica, aveva un’ultima ambizione: quella d’essere nominato senatore; se, quindi, per finir bene dinanzi all’opinione pubblica, non gli conveniva abbandonar bruscamente il partito al quale, dopo il Settantasei, s’era legato ancora più stretto, non gli conveniva neppure muover guerra troppo aperta a quella sinistra da cui aspettava la seggiola a Palazzo Madama. Quindi aveva dato a Benedetto Giulente la presidenza della Costituzionale [l’associazione locale della Destra], contentandosi del posto di semplice gregario. Frattanto, contro questa società era sorta una Progressista, alla quale s’era fatto ascrivere Consalvo [nipote del duca e principe di Mirabella]. “Zio e nipote l’un contro l’altro armati? Il ragazzo che si ribella al vecchio?” dicevano in piazza; ma le eterne male lingue insinuavano che la cosa era fatta d’amore e d’accordo, che il duca era ben contento d’avere il nipote nel campo contrario, come il principino si giovava del credito dello zio tra i conservatori. Del resto, quantunque consocio dei progressisti, egli dichiarava a questi ultimi che la sinistra non aveva ancora “un finanziere della forza del Sella”, né “oratori eleganti come Minghetti”. Ma a quelli che non nascondevano i disinganni prodotti dal regime costituzionale non aveva nessuna difficoltà a dichiarare: “L’errore è stato di credere che potesse dare buoni frutti. Il gregge ha sempre avuto bisogno d’un pastore con relativi bastoni e cani di guardia…”». F. De Roberto, I Vicerè, pag. 258. Progetto Manuzio, http://www.classicistranieri.com/liberliber/De%20Roberto,%20Federico/i_vice_p.pdf
[4] Si veda K. Marx, Introduzione a Per la Critica dell’Economia Politica. Capitolo 3. Il metodo dell’economia politica.
[5] V. I. Lenin, Rapporto sul programma del partito, VIII congresso del PC(b)R, 19 marzo 1919.
[6] «Così qualche settimana dopo sono tornato a fargli visita [al Pentagono al generale del Joint Staff che aveva visto subito dopo l’11/9, NdA]. Stavamo già bombardando in Afghanistan. Chiesi: “Abbiamo ancora intenzione di fare la guerra all’Iraq?” E lui disse: “Oh, è molto peggio”. Raggiunse la sua scrivania. Prese un pezzo di carta e disse: “L’ho appena avuto da sopra – intendendo l’ufficio del Segretario della Difesa – oggi”. E disse: “Questa è una memo che descrive che stiamo per far fuori (take out) sette paesi in cinque anni, a iniziare dall’Iraq, e poi la Siria, il Libano, la Libia, la Somalia, il Sudan e per concludere, l’Iran.”. Chiesi: “E’ classificata?” Rispose: “Sì, signore”. Dissi: “Beh, allora non mostrarmela”». Generale Wesley Clark. Intervista alla rete TV “Democracy now”, 2007. Ecco la vera origine delle “primavere arabe”.
[7] Tra le cose su cui Trump sembra voler negoziare, per aver voce in capitolo, geopolitica e di business, ci sono le nuove “vie della seta” (OBOR: One Belt One Road).
di Piero Pagliani – 26/02/2017 Fonte: Megachip

La scissione dell’atomo. Riflessioni sulla sinistra più a destra del mondo

Un piccolo esempio dalle parole di un amico su FB:

E quindi,per arginare i “populismi” in Europa avete prima tifato prima un olandese che redarguiva il governo Monti perché ha creato pochi esodati, ne voleva qualche altro milioncino…

E oggi in Francia Macron ,iper eurocrate, che “consigliava ” all’Italia per contenere il debito un forte taglio alle pensioni e il prolungamento dell’età pensionabile (2012 ) Ma che belle persone..
Auguroni!


 
sotto segue art: Globalisti, sovranisti, nazionalistipopolo-sovrano
La scissione dell’atomo. Riflessioni sulla sinistra più a destra del mondo
 
Potrebbe sembrare un titolo provocatorio. Soprattutto considerata la matrice destrorsa di chi scrive. Ma così non è, dal momento che il sottoscritto si considera seguace della destra più a sinistra del mondo. Ricordo una frase di Almirante: «Se parliamo di Dio, Patria e Famiglia, non c’è nessuno più a destra di noi. Se parliamo di Stato Sociale, non c’è nessuno più a sinistra di noi.»
 
Ma lasciamo stare “quella” destra, e torniamo a “questa” sinistra, di cui oggi (scrivo queste note domenica mattina) si deciderà il destino. E – sia detto per inciso – insieme al destino del PD si deciderà il destino del sistema elettorale italiano: se si dovrà rimanere ancorati al sistema anglosassone dei grandi contenitori fungibili (centro-destra e centro-sinistra, repubblicani e democratici, conservatori e laburisti, eccetera); o se, invece, si dovrà prendere atto dell’anima pluralista (e proporzionalista) della democrazia italiana, muovendosi in direzione di aggregazioni omogenee e non di insalate miste, a sinistra come a destra.
Succeda quel che succeda, comunque, una cosa è certa: in quello che è il contenitore della pseudo-sinistra ufficiale, si è ormai raggiunto il limite massimo di sopportazione verso le politiche di estrema destra economica che hanno raggiunto l’acme con il Vispo Tereso: dall’abolizione dell’articolo 18 alle “tutele crescenti” del Jobs Act, dalla “buona scuola” alla gestione familistica delle crisi bancarie, dalla prosecuzione della funesta pratica delle privatizzazioni alle leggi elettorali liberticide, fino a quella assurda riforma costituzionale (strabocciata dagli elettori) che recepiva i “consigli” della J.P.Morgan e delle banche d’affari americane.
Certo, una parte non secondaria nell’esasperare la situazione l’ha anche avuta la presunzione, la prepotenza, la supponenza, l’arroganza, il padreternismo del ragazzo. È chiaro ed evidente che il Renzi ha gestito tutta la vicenda all’insegna del suo “Io” smisurato, da “Enrico stai sereno” in poi: le riforme scritte nel presupposto di essere sempre lui a vincere le elezioni, la promessa di lasciare tutto se fosse stato sconfitto al referendum, l’incredibile “abbiamo scherzato”, ed infine la pretesa di imporre la sua leadership al PD attraverso un congresso-lampo “cotto e mangiato”, anche a rischio di portare quel partito al tracollo elettorale.
 
Tutto questo ha di sicuro inciso sul redde rationem in atto. Ma – mi ripeto – a determinare la svolta drammatica di questi giorni è stato un altro fattore: la presa di coscienza che il partito erede del PCI persegue oggi una linea politico-economica che è oggettivamente di destra, di estrema destra. E non mi riferisco certo alla destra politica, quella che Almirante esaltava nella tutela dello Stato Sociale. Mi riferisco all’altra destra, alla destra economica, quella dei Rotschild e di Wall Street, quella della BCE e del Fondo Monetario Internazionale, quella del debito pubblico e della speculazione finanziaria, quella della globalizzazione e delle privatizzazioni, quella delle pensioni “contributive” e dell’addio al posto fisso, quella della riduzione della spesa pubblica e del massacro sociale.
Orbene, è a questa destra bieca, retrograda, antipopolare che la sinistra italiana si è sottomessa e allineata. Ma – a
ttenzione – questo è un processo che è iniziato ben prima di Matteo Renzi. Il ragazzotto toscano è soltanto il tragico punto d’arrivo di una abiura che viene da lontano: almeno dagli anni ’70, quando i “miglioristi” di Giorgio Napolitano teorizzavano la “moderazione salariale” in funzione anti-inflattiva, quando si buttavano al macero decenni di cultura gramsciana e li si sostituiva con l’intellettualismo radical-chic di “Repubblica” e della spocchia scalfariana.
Andazzo che aveva una brusca impennata con la caduta del muro di Berlino e la fine dell’Unione Sovietica, quando la classe dirigente del PCI si convinceva dell’ineluttabile trionfo del capitalismo anglosassone e si apprestava a montare sul carro del vincitore. Nel 1991 Achille Occhetto gestiva il congresso che segnava lo scioglimento del PCI e la nascita di un Partito Democratico della Sinistra che avrebbe dovuto «unificare le forze di progresso».
 
Ed eccole le forze di progresso, prodighe di smorfiette e pacche sulle spalle per quella “grande forza democratica” che si apriva alla modernità, alla moderazione e, in una parola, al mercato. I “progressisti” che facevano gli occhi dolci ai comunisti pentiti erano quelli delle ali sinistre di DC e PSI, quelli che, dopo aver tenuto a battesimo la privatizzazione del sistema bancario italiano (con Andreatta nel 1981 e con Amato nel 1990), volevano sbolognarsi adesso anche la grande, preziosa industria pubblica del nostro Paese. Il guru della alienazione dei beni pubblici era un giovane virgulto della loro serre: Romano Prodi, allievo prediletto di Beniamino Andreatta, che sarà il dominus incontrastato delle privatizzazioni nella sua qualità di Presidente dell’IRI (1982-89, poi 1993-94). Prodi aveva tutte le carte in regola per fare carriera in uno schieramento della più ortodossa destra economica: a parte i numerosi incarichi ministeriali, sarà consulente della Goldman Sachs (1990-93 e poi dopo il 1997), e financo amico di quello stramiliardario Georges Soros che, con un attacco speculativo mirato, aveva messo in ginocchio la lira italiana nel 1992. Quello stesso Soros – sia detto tra parentesi – a cui il prof. Prodi propizierà poi una laurea honoris causa dall’università di Bologna (1995).
 
Ebbene, era proprio a Romano Prodi che il PDS (di cui era frattanto divenuto segretario Massimo D’Alema) si rivolgeva nel 1995 per chiedergli di capitanare l’alleanza di tutte le sinistre contro l’odiato Berlusconi. Nasceva così l’Ulivo (PDS + Margherita democristiana) che andava a vincere le elezioni del 1996. Prodi diventava Presidente del Consiglio, con i brillanti risultati che si ricordano.
 
Ammaliato dalla travolgente esperienza politica dell’Ulivo, il PDS faceva un altro passo verso la socialdemocratizzazione: cambiava ancora nome, si trasformava in DS, Democratici di Sinistra, e si affidava alla guida illuminata di Walter Veltroni, il più “amerikano” dei compagni, quello del ”Yes we can” (1998).
 
Poi – tutti insieme appassionatamente – DS, Margherita e Ulivo si scioglievano e confluivano nell’ultima creatura: il PD, Partito Democratico, stesso nome del fratello maggiore americano (2007).
Il resto è storia recente, fino all’arrivo del Vispo Tereso (dicembre 2013) ed ai suoi trionfi. La Sinistra, intanto, è andata dispersa. Prossimamente – forse – se ne occuperà “Chi l’ha visto?”.
 
P.S. Per una singolare coincidenza, mentre il PD marcia – forse – verso la scissione, alla sua sinistra nasce un’altra formazione politica, Sinistra Italiana. Si tratta di una iniziativa “di nicchia”, ma certamente di una iniziativa seria. Non credo, invece, che altre proposte – come quella di Pisapia – abbiano molto da dire al “popolo della sinistra”.
 
 
di Michele Rallo – 26/02/2017
Fonte: Michele Rallo
Globalisti, sovranisti, nazionalisti
In realtà le cose per me sono piuttosto semplici, e passano per l’idea di uno Stato che intervenga nei processi economici a fini di giustizia sociale. Da una parte ci sono i globalisti, dall’ altra i sovranisti. Tra i globalisti possono annidarsi perfino dei nazionalisti, i quali possono sì cavalcare il tema del ritorno ad una maggiore sovranità nazionale degli stati con più o meno forza e declinare quello del protezionismo con diverse sfumature, ma fondamentalmente non sono contro l’ idea che il capitale possa (anzi, in qualche caso: debba, perfino) circolare liberamente (cosa che alla fine limita moltissimo la sovranità nazionale; basti pensare, solo per fare un esempio, al tema delle politiche fiscali) e, insomma: a loro della sovranità popolare e soprattutto della giustizia sociale non importa proprio un fico secco, perché il più delle volte si tratta solo di liberisti appena un po’ più moderati di quegli altri. Guai però a dire che lo Stato debba tornare a dirigere i processi economici (come nei Trenta gloriosi), per carità, vade retro! Per loro, lo Stato è sempre la Bestia da affamare, e il suo ruolo in economia è molto limitato: al massimo, potrà intervenire per «correggere le “disfunzionalità” dei mercati e la rigidità di strutture di prezzo troppo complicate che bloccherebbero la scelta del consumatore» (testuale da un discorso del primo ministro inglese May, che in un’altra occasione ha auspicato che dopo la Brexit il proprio paese diventi ancora più “globale”). Ordo-liberismo puro, o quasi (l’ideologia dell’UE senza l’UE).
I sovranisti, invece, sono contro la globalizzazione liberista “senza se e senza ma”; sono per limitare fortemente la libera circolazione di capitali, merci, servizi e forza lavoro, perché hanno a cuore la giustizia sociale. Sono autenticamente democratici, perché sanno molto bene che l’unico modo per legittimare il potere è quello di fare in modo che coincida con la sovranità popolare, e al tempo stesso hanno capito molto bene che la sovranità popolare non è possibile senza la sovranità nazionale; quindi, non sono nazionalisti ma patrioti.
di Luca Russi – 26/02/2017 Fonte: Appelloalpopolo

60 anni dei Trattati di Roma

ue filo spinatoil 25 marzo festeggeranno i 60 anni dei Trattati di Roma che contribuirono al’istituzione del regime totalitario denominato EUROPA. Ci saranno almeno 4 cortei, (due dei tirapiedi di Soros, quel movimento federalista europeo che vive di dollari americani)  di cui almeno un paio a contestare i trattati e parlano di infiltrazioni, terrorismo violenze e tutto il corollario di fregnacce di regime atte ad autorizzare la REPRESSIONE PREVENTIVA DEL DISSENSO di chi non ci sta a SUICIDARSI per il progetto di oligarchi senza scrupoli. Ci scapperà un false flag per CHIUDERE LA BOCCA  a tutti coloro che contestano questa dittatura tanto cara alla finanza? Tanto per capire che significa libertà di espressione per la tanto “civile” Ue nata per contrastare gli “oscurantismi”.

Il finanziere/ banchiere Visco è tanto preoccupato perché non siamo ancora troppo uniti come Europa ( esistono ancora i fastidiosi parlamenti, ormai insopportabili ed inutili per le elites anche se vi hanno collocato sempre i loro scagnozzi).

Per questo motivo la Ue non riesce a fare tanto bene ai popoli, come promesso dall’astuta quanto falsa propaganda dell’epoca,  perché è troppo “paralizzata” e poi quell’euroscetticismo che toglie il sonno ai Visco e Boldrini…


Sono quattro i cortei e due le manifestazioni statiche in programma sabato 25 marzo, in occasione dell’anniversario dei Trattati di Roma.  Alle 11 i partecipanti al corteo del Movimento federalista europeo si ritroveranno alla Bocca della Verità per poi raggiungere l’Arco di Costantino, al Colosseo; qui ci sarà il ricongiungimento con il corteo di Nostra Europa, partito sempre alle 11 da piazza Vittorio. Ai due cortei, secondo la questura, dovrebbero partecipare complessivamente circa 6.500 persone. Nel pomeriggio, alle 14 il corteo di Euro Stop partirà da piazza Porta San Paolo, percorrendo via Marmorata, via Luca della Robbia e lungotevere Aventino: tappa finale, Bocca della Verità. Il corteo di Euro Stop è quello che si annnuncia più folto, con circa 8 mila partecipanti. Un’ora più tardi, alle 15, partirà da piazza dell’Esquilino il corteo di Azione Nazionale5mila le persone attese – che terminerà in via dei Fori Imperiali. Le due manifestazioni statiche sono promosse da Fratelli d’Italia (dalle 10 alle 15 all’Auditorium Angelicun) e dal Partito comunista (dalle 15 in piazzale Tiburtino). Saranno due le zone di ‘massima sicurezza’ nella Capitale in occasione del 60° anniversario dei Trattati di Roma, il 25 marzo. La “zona blu”, una sorta di “eurozona”, dove graviteranno i leader politici e la “zona verde”, un’area ‘cuscinetto’ con 18 varchi di accesso per i controlli.

http://roma.repubblica.it/cronaca/2017/03/17/foto/anniversario_dei_trattati_di_roma_zone_di_sicurezza_cortei_e_sit_in_ecco_la_mappa-160781373/1/#1

Trattati Roma, rischio black bloc nei cortei: il 25 marzo centro storico blindato
Quattro cortei, due sit-in, 30mila persone in piazza, almeno 3mila uomini delle forze dell’ordine in campo. Dai numeri del 25 marzo, data clou delle celebrazioni del 60esimo anniversario dei Trattati di Roma, emergono una certezza e una paura. La certezza e’ che per romani e turisti, tra zone off limits, deviazioni di traffico e controlli rigorosissimi, sara’ l’ennesimo fine settimana di passione.
La paura e’ che la protesta targata ‘no Europe’ sia infiltrata dai professionisti degli scontri di piazza, magari d’importazione. A scongiurare quest’ultimo, preoccupante scenario lavorano da giorni i responsabili dell’ordine pubblico, che hanno cercato – e ottenuto – la collaborazione degli stessi promotori delle manifestazioni ufficiali. Numerose, e ravvicinate, le riunioni tecniche operative volute dal neo questore della citta’, Guido Marino.
 
Giovedi’ scorso, dal Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica, presieduto al Viminale dal ministro dell’Interno Marco Minniti, e’ arrivato l’input a “intensificare le attivita’ di controllo e di vigilanza a tutti gli obiettivi ritenuti sensibili” e a garantire “il massimo coordinamento tra tutte le componenti impegnate nelle attivita’  di prevenzione controllo”; venerdi’ dalla questura sono stati ufficializzati perimetri delle “zone di sicurezza” e divieti.
 
DUE LE ZONE DI SICUREZZA
 
Niente “zona rossa”, come previsto: l’area interdetta, ovvero riservata alle sole celebrazioni ufficiali, sara’ “blu” (in omaggio ai colori della bandiera europea) e includera’ piazza Venezia, piazza dell’Ara Coeli, piazza San Marco, via Petroselli fino a via delle Tre Pile per chiudersi attraverso i
 
Fori Imperiali e piazza Madonna di Loreto. Quest’area sarà’ presidiata sin dalle prime ore del 24 marzo, mentre dalla mezzanotte dello stesso giorno scatteranno le chiusure al traffico veicolare e pedonale per le bonifiche, concentrate nella notte prima del vertice. Ventuno i varchi di accesso. La “zona verde” comprendera’ invece via 4 novembre, largo Magnanapoli e via Nazionale, costeggera’ piazza delle
 
Repubblica e ridiscendera’ fino a via del Corso lungo tutta via del Tritone: l’area, operativa dalle 7 del 24 marzo, non sarà’ chiusa al traffico ma ciascuno dei 18 varchi di accesso sarà’ presidiato dalla polizia che potra’ procedere a identificazioni e controlli. All’interno dell’area verde non ci sara’ alcuna manifestazione. Centro impraticabile o quasi, insomma, ma altre vie saranno interessate da chiusure improvvise per il passaggio delle delegazioni dei 40 capi di Stato e di governo provenienti da tutta Europa. In campo anche tiratori scelti, cani anti esplosivi e artificieri; scontato il divieto di sorvolo.
 
RISCHIO BLACK BLOC
Due, sostanzialmente, i pericoli piu’ temuti: quello di attentati terroristici, con i quali peraltro l’Occidente ha imparato a convivere, e quello che le celebrazioni possano diventare la vetrina di black bloc e simili. Nell’ultima Relazione al Parlamento, sono stati proprio gli 007 ad evocare il rischio che gli effetti perduranti della crisi possano “favorire l’insorgere di una maggiore conflittualita’ sociale a sua volta alimentata e strumentalizzata da parte di componenti antagoniste”: fenomeni da monitorare con attenzione “tenuto anche conto del fatto che l’Italia ospitera’ numerosi eventi internazionali di rilievo, tra cui quelli legati alla Presidenza di turno del G7”. Roma come prove generali per
 
Taormina? La prospettiva non si puo’ escludere, e nessuna segnalazione viene ignorata: alle proteste si unira’ anche la destra, e un altro rischio da evitare e’ quello di contatti ravvicinati tra le opposte fazioni. I cortei autorizzati, come detto, sabato saranno quattro: alle 11 i partecipanti al corteo del Movimento federalista europeo si ritroveranno alla Bocca della Verita’ per poi raggiungere l’Arco di Costantino, al Colosseo; qui ci sara’ il ricongiungimento con il corteo di Nostra Europa, partito sempre alle 11 da piazza Vittorio. Ai due cortei, secondo la questura, dovrebbero partecipare complessivamente
circa 6.500 persone. Nel pomeriggio, alle 14 il corteo di ‘Euro Stop’ partira’ da piazza Porta San Paolo, percorrendo via Marmorata, via Luca della Robbia e lungotevere Aventino: tappa finale, Bocca della Verita’. Il corteo di Euro Stop e’ quello che si annuncia piu’ folto, con circa 8mila partecipanti. Ed e’
 
anche quello, secondo gli esperti, a maggior rischio di infiltrazioni: “Pensiamo che il 25 marzo non sia una giornata di festa ma debba divenire una giornata di lotta e mobilitazione contro il vertice”, scrivono i promotori nel loro appello anti euro, Ue e Nato, “per la democrazia e i diritti sociali”, raccolto tra gli altri dal sindacalismo di base, dal movimento no tav, dalla galassia dei centri sociali e dalla Rete dei comunisti. Un’ora piu’ tardi, alle 15, partira’ da piazza dell’Esquilino il corteo di Azione Nazionale – 5mila le persone attese – che terminera’ in via dei Fori Imperiali. Le due manifestazioni statiche sono promosse da Fratelli d’Italia (dalle 10 alle 15 all’Auditorium Angelicum) e dal Partito comunista (dalle 15 in piazzale Tiburtino).
 
NIENTE CASCHI E PETARDI – I partecipanti – prescrive la questura – dovranno “lasciare, prima delle manifestazioni, caschi e copricapi”; vietato l’utilizzo di “vestiario idoneo al travisamento o utile ad impedire l’identificazione”; non consentito “l’utilizzo di petardi o altro materiale esplodente”; “gli zaini e le borse saranno tutti controllati dagli agenti di polizia”; “ogni oggetto atto ad offendere sarà’ sequestrato”. Tali divieti saranno fatti rispettare, fin dall’ingresso in citta’, gia’ nei giorni precedenti il vertice: per singoli soggetti valutati pericolosi potra’ scattare il
foglio di via. Tutte le fasi dei cortei saranno filmate dalla scientifica e successivamente vagliate in caso di incidenti per risalire ai responsabili.
 
19 marzo 2017

 

Cosa c’è che non va nel globalismo?

globalismIn base a quello che sino ad ora ho capito, il globalismo è uno schema elaborato dalle elites per distruggere la classe operaia e quella media attraverso la finanza globale imperialista.
Ho anche il sospetto che il globalismo sia una trama ordita per eliminare le culture nazionali e le vere differenze umane sotto le ingannevoli spoglie del «multiculturalismo» e della «diversità».
E’ per questa ragione che mi confondo ogni volta mi capiti di sentire una persona dire di odiare «i ricchi», di essere opposta «all’imperialismo» e di supportare «la classe operaia», pur sostenendo incondizionatamente allo stesso tempo le frontiere aperte ed un governo globale.
Come il sogno irrealizzabile del Marxismo (un’inevitabile ed irreversibile dittatura del proletariato), la seduzione più pericolosa del globalismo consiste nell’idea della sua assoluta necessità storica. La tecnologia ci ha resi un pianeta sempre più interconnesso, per cui (così dicono) l’unica vera soluzione realmente logica e morale dovrebbe essere l’istituzione su scala globale di un’autorità governativa benevola, dotata dell’autorità di tassare, imprigionare, torturare ed abusare.
 
Ma il comunismo ci ha mostrato di essere tutt’altro che inevitabile. Dopo l’apogeo raggiunto il secolo scorso, è praticamente scomparso dalla faccia della terra. Vorrei tanto pensare la stessa cosa dei progetti di un governo monolitico mondiale sottesi a quanto viene amabilmente definito come «globalismo».
Suppongo che feticizzare una sciocca astrazione internazionalista della «classe operaia» globale permetta al globalismo stesso di adattarsi perfettamente alle vostre istanze emozionali e ai vostri complessi borghesi incentrati su un «senso di colpa da ricchi». Tuttavia, se si supporta concretamente la classe operaia statunitense (o ancora meglio: se si appartiene a questa classe), non si può non comprendere che il globalismo è il nostro peggior nemico. Chi ha passato la maggior parte della propria esistenza sotto la pressione di una scelta tanto semplice quanto triste (lavorare o morire di fame) avverte distintamente il disprezzo che le subdole élite globali provano non solo verso la sua persona, ma anche per la sua cultura, la sua umanità e la sua stessa esistenza.
Indipendentemente dai posti di lavoro che questi schizofrenici resi folli dall’avidità confezionino e spediscano all’estero, il loro sogno maggiore è ridurre drasticamente i salari negli stessi USA importando (per vie sia legali che illegali) «migranti» che non hanno niente in comune con la vostra cultura e sono stati istruiti a deridervi come uno scarto evolutivo se vi permettete di lamentarvi che le elites si stanno prendendo gioco di voi mentre distruggono le basi su cui si regge la vostra vita.
Il globalismo sostituisce operai del Mondo Sviluppato con operai provenienti dal Terzo Mondo e chiama i primi «razzisti» (l’equivalente moderno di «negri») se osano avanzare la minima protesta a riguardo. Quindi… se il globalismo può essere una manna dal cielo per le multinazionali e gli operai malesi, per quelli occidentali si è rivelato una botola da cui possono pendere impiccati in qualsiasi istante.
Per la classe operaia occidentale, il globalismo significa regresso, disfatta, dislocazione.  Dopo le elezioni di novembre, il maggiore stratega della Casa Bianca, Steve Bannon, ha descritto cosa è realmente successo: «I globalisti hanno distrutto la classe operaia statunitense ed hanno creato una classe media in Asia. Il problema principale ora consiste in come gli statunitensi possano evitare di essere definitivamente rovinati».
Ma come molti di noi stanno imparando, il semplice comprendere che si sta venendo rovinati (non dico cercare di evitarlo attivamente!) ci rende automaticamente dei nazisti, degli antisemiti, dei suprematisti bianchi e dei patetici provinciali che devono essere sostituiti nella linea di produzione da gente con più melanina e meno soldi.
 
 Quanto più le elites finanziarie perdono le proprie radici e si internazionalizzano, tanto meno fanno finta di trovare un legame comune con gli zotici e le bestie dei paesi che le ospitano. Al contrario, deridono ormai apertamente queste masse.
Ma con sommo orrore e sgomento di questi cosmopoliti ultra-arroganti, i provinciali dei paesi di transito finanziario si stanno svegliando ed hanno realizzato che, nel migliore dei casi, sono visti come un ostacolo al progresso. Nel peggiore dei casi, invece, realizzano che gli architetti globali non avrebbero problemi di sorta a schiacciarli con le asfaltatrici pur di tracciare la via maestra per la loro versione di «progresso».
Chi critica aspramente «i ricchi» pur accettando ingenuamente il globalismo e tutte le sciocchezze utopistiche piazzate in rete non comprende che, quasi senza eccezione, la finanza globale, i mezzi di informazione globali e la cultura accademica globale sono solidamente dietro questo idiota movimento monolitico che predica il commercio libero, le frontiere aperte e la psicopolizia informatica.
Fondazioni umanitarie, organismi o gruppi analitici apparentemente indipendenti e le ONG affermano di perseguire una missione che dovrebbe alleviare i problemi delle masse e mettere i ricchi sotto controllo, tuttavia pochissime persone sembrano dubitare della sincerità dei loro intenti. «I ricchi» infatti stanno appoggiando dei movimenti da cui vengono demonizzati solo superficialmente: in realtà, le strutture appena menzionate stanno rendendo «i ricchi» ancora più ricchi, ma chi dice qualcosa a riguardo viene subito tacciato di nazismo.
Ma a parte la sfrenata ipocrisia economica, l’aspetto più odioso del globalismo selvaggio è il disprezzo infestante che i suoi divulgatori mostrano per le culture nazionali, soprattutto per quelle europee. Nonostante il tributo convenzionale offerto ai cosiddetti diritti di uomini che ritengono di essere donne e quindi vogliono fare i loro bisognini nei bagni delle signore, questi divulgatori mostrano una disinvolta indifferenza verso il seguente fatto: le loro devastazioni finanziarie e culturali, che nessuno ostacola, stanno spazzando via intere culture sul pianeta e le stanno sostituendo con una cultura consumatrice piatta, sradicata, omologata, ideologicamente caotica e compiacente.
Tuttavia, nella loro folle tensione ad un livellamento globale, le forze mondialiste non potranno mai risolvere definitivamente i motivi di conflitto. Il globalismo può solo sostituire le guerre tra nazioni con guerre tra ex-nazioni, trasferendole dai confini, dove prima tali conflitti avevano luogo, alle strade delle città. E’ possibile che, invece di un’armonia globale, sia proprio questo lo scopo finale del globalismo: un conflitto interminabile ed insanabile.
 
C’è un lato tremendamente ironico in tutto questo. Non so se per caso o destino. Il globalismo spesso è un antidoto umano ed una forma di retribuzione karmica in atto contro il colonialismo europeo. Durante i vari dibattiti, il fatto che la Francia abbia colonizzato parti del Maghreb in maniera criminale viene utilizzato come una giustificazione morale dei magrebini che stanno colonizzando demograficamente e culturalmente la Francia. Apparentemente, nessuno ha mai insegnato a questi scaltri sofisti del globalismo che la somma di due mali non dà mai il bene, il risultato sarà piuttosto un inasprirsi dei conflitti e degli spargimenti di sangue.
Essendo io un anticollettivista per natura, trovo orrendo lo spettro di un governo globale retto da figure ufficiali non elette che non tengano in conto alcuno la volontà mia e quella della maggioranza degli esseri umani. Non ho assolutamente voglia di far controllare ogni microsecondo della mia esistenza a persone che si trovano a 5000 miglia lontano da me. Persone a cui non delegherei nemmeno il compito di scaccolarmi.
 
John Lennon può essere ritenuto a buon diritto la prima pop-star globalista, il suo candido «Imagine» del 1971 è venerato come un vero inno al globalismo. In questa canzone Lennon immagina un mondo senza nazioni, senza proprietà privata, senza omicidi, un mondo dove tutti gli uomini cooperano. Mentre immaginava tutto questo, un pazzo ha premuto il grilletto e lo ha ucciso. Lennon cantava che abbiamo bisogno solo d’amore. In realtà, il giorno del suo omicidio lui aveva bisogno solo di un’arma per difendersi.
di Tyler Durden – 01/03/2017 – Fonte: oltrelalinea
(di Tyler Durden, ZeroHedge – Traduzione a cura di Claudio Napoli)

L’allarme di Brzezinski sul risveglio sociale

ooh ma che guaio questo populismo e sti popoli con la fissa di voler decidere il proprio destino….Loro sono l’elités, sanno quello che è meglio per il popolo….perché mai sto popolo vorrebbe decidere….

Zbigniew-BrzezinskiLa presa di consapevolezza collettiva e i social network sono una minaccia per lo sviluppo dell’agenda globale… Durante un recente discorso in Polonia, l’ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale Zbigniew Brzezinski e massimo guru del “Nuovo Ordine Mondiale” e della necessità di “drogare i popoli con il tittainment” (succhiare latte dalle mammelle), una versione moderna della massima imperiale romana “ludi et circenses” per soffocare le istanze dei popoli -ha avvertito i colleghi elitisti che un movimento mondiale di “resistenza” al “controllo esterno” guidata da “attivismo populista” sta minacciando di far deragliare la transizione verso un nuovo ordine mondiale.
Definendo l’idea che il 21 ° secolo è il secolo americano “una disillusione condivisa”, Brzezinski ha dichiarato che il dominio americano non è più possibile a causa dell’accelerazione del cambiamento sociale guidato da “comunicazioni di massa istantanee come la radio, la televisione e Internet”, che hanno stimolato un crescente “risveglio universale della coscienza politica di massa.”
L’ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti ha aggiunto che questo “aumento in tutto il mondo dell’attivismo populista sta dimostrando ostile alla dominazione esterna del tipo che ha prevalso nell’età del colonialismo e dell’imperialismo.”
Brzezinski ha concluso che “la resistenza populista persistente e fortemente motivata di coscienza politica e dei popoli risvegliati e storicamente avversi al controllo esterno ha dimostrato di essere sempre più difficile da eliminare.”
Anche se Brzezinski ha commentato in tono neutro, il contesto in cui ha parlato, unitamente alle sue precedenti dichiarazioni, indicherebbe che questa non è una celebrazione della “resistenza populista”, ma una perplessità per l’impatto che questo sta avendo sul tipo di “controllo esterno” che Brzezinski ha sostenuto più volte.
Queste considerazioni sono state effettuate a un evento per il Forum europeo per le nuove idee (EFNI), un’organizzazione che sosterrebbe la trasformazione dell’Unione europea in un anti-democratico federale superstato, il tipo stesso di “controllo esterno” a cui messa in pericolo è stata sottolineata da Brzezinski durante il suo speech.
In questo ambito, bisogna comprendere che l’argomentazione di Brzezinski sulla “resistenza populista” di notevole ostacolo per l’imposizione di un nuovo ordine mondiale è da interpretare più come un avvertimento che come riconoscimento/celebrazione.
Tieni anche in considerazione ciò che Brzezinski ha scritto nel suo libro Between Two Ages: il ruolo dell’America nell’era tecno-digitale, in cui ha sostenuto il controllo delle popolazioni da parte di una classe politica tramite la manipolazione digitale.
“L’era digitale comporta la comparsa graduale di una società più controllata. Una tale società sarebbe dominata da una élite, libera da valori tradizionali. Presto sarà possibile esercitare una sorveglianza quasi continua su tutti i cittadini e mantenere file completi ed aggiornati che contengono anche le informazioni più personali di ogni cittadino. Questi file potranno essere accessibili in realtime da parte delle autorità “, ha scritto Brzezinski.
 
“Nella società digitale la tendenza sembra essere verso l’aggregazione dei supporti individuali di milioni di cittadini non coordinati, facilmente alla portata di personalità magnetiche ed attraenti che sfruttano le più recenti tecniche di comunicazione per manipolare le emozioni e controllare le decisioni”, ha scritto nello stesso libro. La preoccupazione improvvisa di Brzezinski per l’impatto di una popolazione politicamente risvegliata globale non è figlia dell’idea che Brzezinski si identifichi con la stessa causa. Brzezinski è il fondatore della potente Commissione Trilaterale, un luminare del Council on Foreign Relations ed un partecipante regolare del Bilderberg. Una volta è stato descritto dal presidente Barack Obama come “uno dei nostri pensatori più importanti”. Questa non è affatto la prima volta che Brzezinski ha lamentato la crescita di una opposizione populista alla dominazione da parte di una piccola elite.
Era stato nel corso di un meeting del CFR del 2010 che Brzezinski aveva avvertito i colleghi globalisti colleghi che un “risveglio politico globale”, in combinazione con lotte interne tra le élite, minacciava di far deragliare la transizione verso un governo mondiale.
Nota caprina: e noi, allora, ne avevamo parlato. Perchè quando Brzezinki parla, è sempre opportuno ascoltare con attenzione.
di Felica Capretta – 19/02/2017
Fonte: controinformazione

Soros è alle corde

soros rebelsAnche se il multi-miliardario magnate degli hedge fund e politico agitatore internazionale George Soros ha perso alla grande con l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti e la vittoria del referendum Brexit nel Regno Unito, rischia di perdere altro terreno politico e finanziario, mentre i venti del cambiamento politico spazzano il mondo. Soros, che s’immagina padrone delle opzioni azionarie a breve scadenza, racimolando miliardi di dollari dal crollo dei titoli azionari, ha subito un paio di colpi finanziari. Recentemente, il regolatore del mercato dei titoli olandese AFM ha “accidentalmente” rivelato le compravendite a breve termine di Soros dal 2012, rivelate sul sito web dall’AFM e rimosse dopo aver compreso l’“errore”. Tuttavia, i dati erano già stati raccolti automaticamente dai software delle agenzie d’intelligence e delle società d’intermediazione che abitualmente perlustrano Internet alla ricerca di questi “errori”. Tra i titoli bancari presi di mira da Soros vi era l’Ing Groep NV, grande istituzione e importante elemento dell’economia olandese. Dopo la campagna contro la Brexit, Soros scommette contro lo stock di Deutsche Bank AG, che credeva avrebbe preso valore dopo che la Gran Bretagna votò l’abbandono dell’UE. I titoli di Deutsche Bank sono scesi del 14 per cento e Soros gli ha ripuliti. Ma la vittoria di Soros era temporanea. Con l’elezione di Trump, Soros ha perso 1 miliardo di stock speculativo. Circondato dai suoi compari d’aggiotaggio, Soros ha spiegato tali perdite mentre frequentava il World Economic Forum di Davos in Svizzera. I compari mega-ricchi di Soros scommisero contro le piccole aziende olandesi, come Ordina, società d’informatica, Advanced Metallurgical Group e il gruppo immobiliare Wereldhave NV.
Attenzione alle idi di marzo
La diffusione dei dati di Soros giunge in un momento particolarmente delicato per la politica olandese. Il governo di centro-destra del primo ministro Mark Rutte è alle corde nel tentativo di respingere, con un’elezione programmata il 15 marzo, la seria sfida del partito nazionalista per la libertà (PVV) della destra anti-migranti del leader anti-Unione europea Geert Wilders. Alleato di Donald Trump, Wilders rischia di fare il pieno grazie a Soros, campione delle frontiere aperte dell’Europa e delle migrazioni di massa, che scommette contro le banche olandesi. Le idi di marzo guardano con favore alla vittoria di Wilders, un evento che batterà un altro chiodo nella bara dell’Unione europea e nel sogno di Soros su migrazioni di massa e frontiere aperte. I Paesi Bassi non sono particolarmente amichevoli verso Soros e i suoi obiettivi. Nel novembre 2016, Open Society Foundations e due gruppi finanziati da Soros, la Rete europea contro il razzismo e Gender Concerns International, pubblicizzavano l’assunzione di giovani “di età compresa tra 17-26” immigrati musulmani o figli e nipoti di immigrati musulmani, per fare campagna contro i partiti di Wilders e Rutte.
Il primo ministro Rutte ha recentemente avvertito i migranti che si rifiutano di assimilarsi nella società olandese. Naturalmente, Rutte non si riferiva alle migliaia di migranti dalle ex-colonie delle Indie orientali e occidentali olandesi, che non avevano alcun problema ad adottare cultura, religione e costumi sociali olandesi. Rutte, che ha affronta un vantaggio di 9 punti del PVV di Wilders, ha avuto parole dure verso i migranti musulmani. In un’intervista ad “Algemeen Dagblad”, Rutte, in quello che avrebbe potuto essere un intervento di Wilders, ha dichiarato: “Dico a tutti. Se non vi piace qui, questo Paese, andatevene! Questa è la scelta che avete. Se si vive in un Paese in cui i modi di trattare il prossimo v’infastidiscono, potete andarvene. Non è necessario rimanere”. Rutte ha espresso in particolare disprezzo per chi “non vuole adattarsi… chi attacca omosessuali, donne in minigonna o definisce i comuni cittadini olandesi razzisti”. Rutte ha lasciato pochi dubbi a chi si riferisse, ai migranti musulmani appena arrivati, “Ci sono sempre state persone propense a un comportamento deviante. Ma qualcosa è accaduto l’ultimo anno, a cui noi, come società, dovremmo rispondere. Con l’arrivo di grandi masse di rifugiati, la domanda sorge spontanea: i Paesi Bassi resteranno Paesi Bassi”? Venendo da un noto euro-atlantista sostenitore di NATO, UE e Banca Mondiale, le parole di Rutte sui migranti avranno scioccato Soros e i suoi servi.
La rivelazione della manipolazione finanziaria di Soros dell’economia olandese sicuramente farà infuriare i cittadini olandesi già stanchi di migranti e diktat dall’Unione Europea. Nell’aprile 2016, i cittadini olandesi respinsero con nettezza il trattato UE-Ucraina che invocava legami più stretti tra UE e il regime di Kiev. Il risultato fece infuriare Soros, uno dei principali burattinai del regime di Kiev.
Il “Babbo Natale” delle ONG troverà molte porte chiuse
L’Europa una volta elogiava Soros come sorta di benevolo “Babbo Natale” che distribuiva milioni per “buone azioni” ai sostenitori del governo mondiale e di altri utopisti dagli occhi sbrilluccicanti. Tuttavia, la patina di Soros va esaurendosi. La Russia fu la prima a cacciare Soros per le interferenze nella politica russa.
Il piano di Soros per destabilizzare la Russia, soprannominato “Progetto Russia” di Open Society Institute e Fondazione di Soros, prevedeva lo scoppio di una “Majdan al quadrato” nelle città della Russia. Nel novembre 2015, l’ufficio del procuratore generale russo annunciò il divieto delle attività di Open Society Institute e Istituto di assistenza della Fondazione Open Society, per minaccia all’ordine costituzionale e alla sicurezza nazionale della Russia. Il Primo Ministro ungherese Viktor Orban guida ora l’ondata anti-Soros in Europa. L’ottica di Orban, divenuto il primo leader dell’Unione europea ad opporsi alle operazioni di destabilizzazione di Soros, di origine ungherese, non è sfuggita ad altri leader europei, come in Polonia e Repubblica Ceca. Orban ha accusato Soros di essere la mente dell’invasione dei migranti dell’Europa. In rappresaglia a queste e altre mosse di Soros, Orban avvertiva che le varie organizzazioni non governative (ONG) sostenute da Soros rischiano l’espulsione dall’Europa. Orban è stato affiancato nello sfogo di rabbia su Soros dall’ex-primo ministro macedone Nikola Gruevskij, dimissionario e costretto alle elezioni anticipate dalle manifestazioni ispirate da Soros nel suo Paese nel pieno del massiccio afflusso di migranti musulmani dalla Grecia. Facendo riferimento alle operazioni politiche globali di Soros, l’ex-primo ministro macedone ha detto in un’intervista, “non lo fa solo in Macedonia, ma nei Balcani, in tutta l’Europa orientale, ed ora, ultimamente, negli Stati Uniti. Inoltre, da ciò che ho letto, in alcuni Paesi lo fa per ragioni materiali e finanziarie, per guadagnare molti soldi, mentre in altri per motivi ideologici”.
In Polonia, dove Soros fu molto influente, una parlamentare del Partito della Giustizia (PiS) di destra al governo, Krystyna Paw?owicz, ha recentemente chiesto che Soros sia privato della massima onorificenza della Polonia per gli stranieri, Comandante dell’ordine della Stella al Merito della Repubblica di Polonia. Paw?owicz considera le operazioni di Soros in Polonia illegali e ritiene inoltre che le organizzazioni di Soros “finanzino elementi antidemocratici e anti-polacchi per combattere la sovranità polacca e la locale cultura cristiana.
Il presidente ceco Milos Zeman ha detto, in un’intervista del 2016, “alcune sue attività (di Soros) sono almeno sospette e sorprendentemente ricordano le interferenze estere negli affari interni del Paese. L’organizzazione di ciò che sono note come rivoluzioni colorate nei singoli Paesi è un hobby interessante, ma crea più danni che benefici ai Paesi interessati”. Zeman sosteneva che Soros progetta una rivoluzione colorata nella Repubblica Ceca.
Aivars Lemberg, sindaco di Ventspils in Lettonia e leader dell’Unione dei verdi e dei contadini, vuole che Soros e le sue ONG siano vietate in Lettonia. Lemberg sostiene che due pubblicazioni di Soros in Lettonia, Delna e Providus, fanno propaganda a favore dell’accoglienza in Lettonia dei migranti musulmani. Lemberg vede i migranti e il loro sostegno di Soros come un pericolo per la sicurezza dello Stato lettone. Il sindaco ritiene che “George Soros va bandito dalla Lettonia. Gli va vietato l’ingresso nel Paese”. Nella vicina Lituania, il partito laburista ha anche messo in dubbio le attività di Soros. Il partito e i suoi alleati parlamentari hanno chiesto ai servizi di sicurezza della Lituania d’indagare su “schemi finanziari e reti” di Soros per via della minaccia che rappresentano per la sicurezza nazionale. I partiti lituani sostengono che i gruppi di Soros sono specializzati “non a consolidare, ma a dividere la società”.
 
Non è più facile essere un multimiliardario intrigante che rovescia i governi con lo schiocco delle dita. Soros non solo s’è alienato il Presidente della Russia e la Prima Ministra del Regno Unito, ma ora anche il Presidente degli Stati Uniti. Soros è anche il nemico numero uno dei leader della Cina. Con tale varietà di nemici, Soros è dubbio abbia altri successi politici come in Ucraina o Georgia. Con tutti i suoi miliardi, Soros ora comanda solo un’ “esercito di bambole di carta”.
 
La ripubblicazione è gradita in riferimento alla rivista on-line Strategic Culture Foundation.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
Wayne Madsen Strategic Culture Foundation 29/01/2017

GIUSTO PER RICORDARE A “CHI” OBBEDISCONO I MAINSTREAM MEDIA

mass-mediaChi governa, restando, dietro le quinte?
Rimettiamoci con Pierre Virion – una delle massime autorità cattoliche nel campo del mondialismo 2 – a uno dei più autorevoli e preparati studiosi del fenomeno massonico, a Mons. Ernest Jouin (1844-1932), con cui il Virion collaborò per anni alla redazione della celebre e documentatissima Revue Internationale des Sociétés Secrètes, fondata a Parigi nel 1912: «Io non ammetto da parte mia l’azione diretta del demonio nel governo massonico: ma comprendo che lo studio delle iniziazioni inclini lo spirito verso questa soluzione mistica, alla quale le gesta della Massoneria moderna recano un’apparente conferma. lo oppongo semplicemente a questa soluzione l’ordine provvidenziale in base al quale tutto a questo mondo è di competenza di un potere umano: e, come Cristo, capo invisibile della Chiesa cattolica, è rappresentato visibilmente quaggiù dal Papa. Parimenti, ritengo che Satana, capo invisibile dell’armata del male, non comandi ai suoi soldati che attraverso uomini, suoi accoliti, sue anime dannate, sempre liberi nel frattempo di sottrarsi ai suoi ordini e alle sue ispirazioni. Quanto a questo potere, più o meno occulto, della Massoneria e delle Società Segrete che perseguono lo stesso scopo, esso esiste per la semplice ragione che non si dà un corpo senza testa, società senza governo, esercito senza generale, popolo senza pubblico potere. L’assioma romano “tolle unum est turba: adde unum est populus”, ha qui la sua piena giustificazione: senza potere direzionale, la Massoneria sarebbe una massa più o meno smarrita in qualche idea sovversiva, ma che si decomporrebbe da sé in luogo di essere la dominatrice del mondo» 3. La citazione, pur rispondendo a criteri di buona logica, potrebbe tutta via apparire a qualcuno piuttosto di parte: ecco allora le voci di altri autorevoli protagonisti, non certo sospetti di antimassonismo:
  • 1844Benjamin Disraeli (1804-1881), più noto come Sir Beaconsfield, figlio di ebrei ferraresi e ministro inglese, menzionato come massone da Eugen Lennhoff nel Dizionario Massonico francese, scriveva nel suo romanzo Coningsby (1844): «Il mondo è governato da tuttaltri personaggi che neppure immaginano coloro il cui occhio non giunge dietro le quinte» 4. E in un discorso tenuto ad Aylesbury il 20 novembre 1876: «I governi di questo secolo non sono in relazione solamente con governi. imperatori, re e ministri, ma anche con le società segrete, elementi di cui si deve tener conto e che all’ultimo momento possono annullare qualsiasi accordo, che possiedono agenti ovunque, agenti senza scrupoli che spingono all’assassinio, in grado, se necessario, di provocare un massacro» 5.
  • 1906Walther Rathenau (1867-1922), uomo politico israelita, Ministro per la Ricostruzione e dal 31 gennaio 1922, Ministro per gli Affari Esteri della Repubblica di Weimar fino al 24 giugno, il giorno del suo assassinio. Gran capitalista, alla testa di oltre cento Società, strettamente legato all’Alta Finanza di Wall Street: «Trecento uomini, di cui ciascuno conosce tutti gli altri, governano i destini del continente europeo e scelgono i loro successori nel loro entourage» 6.
  • 1920Winston Churchill (1874-1965) 7, il celebre statista inglese, in un articolo sulla rivoluzione russa apparso sull’Illustraled Sunday Herald, del 18 febbraio 1920, scriveva: «Dai giorni di Spartacus-Weißhaupt fino a Karl Marx, Trotsky (Russia), Bela Kuhn (Ungheria), Rosa Luxemburg (Germania) ed Emma Goldmann (USA) 8, questo complotto mondiale per la distruzione della civiltà e per la ricostituzione della società sulla base dell’arresto del progresso, del malanimo invidioso e dell’impossibile uguaglianza si è potentemente sviluppato. Esso ha giocato un ruolo chiaramente riconoscibile nella tragedia della Ri-voluzione Francese. Esso ha servito da motore a tutti i movimenti sovversivi del secolo XIX; e ora, infine, questo gruppo di straordinarie personalità del mondo sotterraneo delle grandi città d’Europa e d’America ha afferrato per i capelli il popolo russo ed è divenuto praticamente il dominatore incontrastato di questo enorme impero».
  • 1950 James Paul Warburg (1896-1969), uomo di punta dell’Alta Finanza cosmopolita ebraica, amministratore della banca Kuhn & Loeb, grande finanziatrice della Rivoluzione Russa, membro del Council on Foreign Relations (l’Istituto per gli Affari Internazionali americano, vero governo-ombra degli Stati Uniti), e del mondialista Bilderberg Group (sorta di superparlamento allargato alle due sponde dell’Atlantico), rivolgendosi al Senato americano il 17 febbraio 1953: «Noi avremo un Governo Mondiale che ci piaccia o no. La sola questione è di sapere se sarà creato per conquista o per consenso».1930KadmiCohen, in L’abomination américaine 9 «Ai crocevia-chiave della Storia, un Kahal misterioso spinge l’uomo “ispirato”, talora scelto con molto anticipo a divenire lo strumento della “Grande Opera”. Egli può allora sconvolgere uno Stato, rovesciare corso degli eventi, sfidare le opposizioni, ingannare i popoli con capovolgimenti spettacolari e drammatici, con stupore delle folle che ignorano la preparazione delle sue vie effettuata da altre mani e dai sostegni occulti che lo fanno durare fino al giorno stabilito della sua caduta, una volta assolta la sua missione, o allorquando le sue pretese oltrepassano la misura che gli è stata assegnata».
  • 1935Sir Stanley Baldwin (1867-1947), Ministro britannico. constatava: «Gli Stati, colonne della corona d’Inghilterra, non sono più arbitri del loro destino. Delle potenze che ci sfuggono fanno giocare nei miei Paesi come altrove degli interessi particolari e un idealismo aberrante» 10.
  • 1941James Burnham (1905-1987), membro dell’alta Massoneria riservata ai soli ebrei del B’nai B’rith e della Pilgrims Society 11, riferendosi ai quadri direttivi: «I dirigenti nominali: presidenti, re, congressisti. deputati, generali, non sono i veri dirigenti» 12. E, in piena guerra, nel suo libro L’era degli organizzatori, trattando dell’esistenza di una cospirazione che manipolava il nazismo altrettanto bene delle altre ideologie o Stati, aggiungeva: «La guerra, le guerre future sono in realtà un episodio della Rivoluzione» 13.
  • 1946Charles Riandey, Sovrano Gran Commendatore del Supremo Consiglio (dei 33º del Rito Scozzese Antico Accettato. N.d.R.) di Francia, annunciava: «La necessità di un’organizzazione totalitaria del mondo, dalla quale verrà esclusa ogni nozione di primato di una nazione nondimeno sussiste. Essa si realizzerà ineluttabilmente alla sua ora, ora che non è ancora giunta e che a nulla gioverà volerla anticipare, dal momento che vanno raccolti soltanto i frutti maturi […]. Questo passaggio (dal particolare al collettivo) […] non sarà definitivamente compiuto che allorquando il mondo intero avrà riconosciuto l’autorità di un agente unico, regolatore e coordinatore universale. Con quale mezzo si imporrà questo agente? Probabilmente con la guerra, una terza e – speriamolo – ultima convulsione mondiale, perché l’umanità è condannata come tutto ciò che è vivente, a partorire nel dolore e nel sangue» 14.
  • 1949 – Giuseppe Antonio Borgese (1882-1952) – marito di Elisabeth Mann, figlia di Thomas Mann – professore all’università di Chicago e segretario generale del Comitato per l’elaborazione di una Costituzione Mondiale, nel 1953 dà alle stampe Foundations of the World Republic («Fondamenti della Repubblica Mondiale»). Vi si dice: «Il Governo Mondiale è inevitabile. Nascerà in uno dei seguenti modi. O come Impero Mondiale, con schiavitù di massa imposta dalla vittoria di una Terza Guerra Mondiale, o può prendere la forma di Repubblica Federale Mondiale, instaurata attraverso un’integrazione graduale nelle Nazioni Unite» 15.
  • 1968 – Harold Wilson (1916-1995), uomo politico inglese, membro del potente Royal Institute of International Affairs (R.I.I.A.), l’Istituto Affari Internazionali britannico, e della Fabian Society, circolo superiore dell’area del Potere e centro mondiale di irradiazione, fin dal 1884, del socialismo: «I conservatori danno l’illusione di governare, allorché le vere decisioni sono prese al di fuori del Parlamento, dai Clore, dai Lazard e dai Warburg» (finanzieri israeliti, N.d.R.) 16.

 

  • 1975 – Saul Mendlowitz , ebreo, direttore del Progetto di Modello per un Ordine Mondiale e membro del Council on Foreign Relations (C.F.R.). il politburo del capitalismo con sede a New York: «La domanda se ci sarà o non ci sarà un Governo Mondiale entro il 2000 non si pone più. A mio avviso le domande che dobbiamo (invece) porci sono: come questo si verificherà, se attraverso un cataclisma, un movimento, un disegno più o meno razionale e se sarà a carattere totalitario, benevolmente élitista o partecipativo» 17.
  • 1981Thierry de Montbrial, membro della Commissione Trilaterale, presidente dell’I.F.R.I., l’Istituto Affari Internazionali francese, e membro del Club massonico Le Siècle: «Ad un dato momento, il contenuto e lo stile della politica internazionale vengono influenzati da quanto pensa e dice un relativamente piccolo numero di esperti. E questo nel mondo intero. Si tratta di una pura constatazione che non è dettata da nessuna dottrina élitista. Per fare un esempio, negli Stati Uniti un centinaio di persone giocano un ruolo preponderante in seno agli Istituti di Ricerca e nei circoli giornalistici, e la loro influenza è considerevole […]. A Mosca, gli Istituti di Studi Internazionali, che sono nostri omologhi e nostri interlocutori, partecipano all’elaborazione della politica sovietica» 18.
  • 1985Louis Pauwels (1920-1997), massone, occultista, discepolo del mago nero Georges Ivanovi? Gurdjieff (1872-1949), già direttore di riviste esoteriche e del Figaro Magazine, che ama proclamare la sua conversione al cristianesimo: «C’è un complotto mondiale di forze anticristiane che mirano a indebolire (e se possibile a dissolvere in un umanesimo di belle parole, ma impotente) la fede dei cattolici a dividere la Chiesa, ad arrivare ad uno scisma» 19.
Il presente articolo è stato estratto da un’edizione piuttosto datata dell’opera di Epiphanius Massoneria e sette segrete: la faccia occulta della storia. Nel maggio del 2008, è stata pubblicata un’edizione accresciuta (pagg. 989 contro le 659 dell’edizione precedente) della stessa opera di cui consigliamo caldamente la lettura.
Note
1 Estratto dall’opera Massoneria e sètte segrete: la faccia occulta della Storia, Editrice Icthys, Albano Laziale s.d., pagg. 10-15.
2 Morto a Parigi nel 1988 all’età di novant’anni.
3 Cfr. P. Virion, Bientôt un gouvernement mondial? («Ben presto un Governo Mondiale»?), Ed. Téqui, 1967. pagg. 217-18.
4 Cfr. B. Disraeli, Coningsby, Parigi 1884, pagg. 183, 184.
5 Cfr. Y. Moncomble. L’irrésistible expansion du mondialisme («L’irresistibile espansione del mondialismo»), Parigi 1981, pag. 212.
6 Cfr. Wiener Freie Presse, del 24 dicembre 1912.
7 La carriera politica di Churchill ricevette l’appoggio della Massoneria come lo prova la rivista The Freemason, del 25 maggio 1929, Londra, pag. 919.
8 Rivoluzionaria ebrea lituana (1869-1940) una delle maggiori figure della storia dell’anarchismo, editrice di Mother Earth («Terra Madre», tema caro alle campagne ecologiste di oggi), influente giornale anarchico e pioniere dei metodi per il controllo delle nascite).
9 Cfr. P. Virion, op. cit., pag. 211.
10 Cfr. Y. Moncomble, op. cit., pag. 212.
11 Lord Burnham in realtà si chiamava Levy-Lawson (cfr. Y. Moncomble, Les professionnels de l’anti-racisme, Ed. Y. Moncomble, Parigi 1987, pag. 255).
12 Cfr. P. Virion, op. cit., pag. 83.
13 Cfr. P. Faillant de Villemarest, La lettre d’information («Lettera di informazione»), nº 10/1987.
14 Cfr. Le Temple («Il Tempio»), pagg. 50-51; cit. in P. Virion,  op. cit., pag. 255. Le Temple è una rivista massonica.
15 Cfr. W. F. Jasper, Global Tyranny… Step by Step («Tirannia globale… passo dopo passo»), Ed. Western Islands, Appleton 1992, pag. 88.
16 Cfr. Y. Moncomble, La Trilatérale et les secrets du mondialisme («La Trilaterale e i segreti del mondialismo»), Parigi 1980, pag. 235.
17 Cfr. W. F. Jasper, op. cit., pag. 83.
18 Cfr. Le Figaro, del 16 gennaio 1981.
19 Cfr. V. Messori, Inchiesta sul cristianesimo, SEI Editrice, 1987, pag. 151-152
posted by Redazione febbraio 10, 2017