LETTERA APERTA A FRATE SARDINA

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MONDOCANE

LUNEDÌ 16 DICEMBRE 2019

“Le sardine sono persone che riempiono spazi con i loro corpi e le loro idee. Oggi qui facciamo politica”. (Mattia Santori, caposardina e sostenitore di Renzi per lo Sblocca Italia e le trivelle petrolifere)

Caro Alex Zanotelli,

ti saluto in quanto frate missionario, frate giornalista, frate che fa gli appelli e, visto l’approvazione che hai concesso al nuovo movimento ittico, frate Sardina.

Ti scrivo in questo periodo del Santo Natale – o, se mi permetti – del santo ritorno della luce dopo il solstizio, festeggiato dai nostri avi pagani – in cui tutti dovremmo essere, oltre che più consumatori, anche più buoni e più disponibili verso il prossimo. Mi permetto di sottoporti alcune narrazioni alternative a quelle di cui ti dici con evangelica sicurezza convinto. Ultimamente il pneumadiscorso delle Sardine.

In quanto missionario, cioè incaricato di evangelizzazione, che per sua natura  qualche irrecuperabile anticolonialista afferma essere prevaricatrice e alienante, diffido di te come di tutti tuoi simili, avendo avuto esperienza diretta e indiretta, tra i popoli che tu e io conosciamo, delle sciagure che hanno causato tutti gli invasori, religiosi, militari ed economici. Ingerenze e interferenze religiose giustificate nel nome dell’”unica vera fede” e dell’”unico vero dio” e che, secondo certi critici forse blasfemi, aprirebbero la strada al saccheggio, alla manipolazione, all’oppressione. Costoro prendono a esempio, quasi fosse un destino ineluttabile di ogni evangelizzazione, quanto missionari e relativo seguito (Vaticano, Usa, Israele) hanno combinato provocando con accanimento la secessione del cattolico Sud Sudan. Tu, comboniano, lo conosci bene e sai anche come da allora sia immerso in un lago di sangue in cui nuotano coloro che se ne contendono il petrolio. Anche qualche prete.

Dimentico di aver forse sbagliato tutto su Sarajevo e la Serbia, adottando la vulgata degli aggressori,ti sei lanciato, qualche mese fà, in uno dei tuoi gravi e appassionati appelli. Quella volta era a tutti i giornalisti italiani perché bombardassero i regimi africani, verbalmente s’intende, visto che tu le armi le detesti, specialmente quelle dei “dittatori” ostili agli Usa. In quanto giornalista, con maggiore anzianità addirittura di te, mi sono un po’ risentito del fatto che imprecavi contro la “dittatura eritrea”, come un Bolton qualsiasi, enumerando fattacci di solito dal neocolonialismo occidentale attribuiti a quell’unico paese che non ospita basi né Usa né israeliane e perciò sta sotto sanzioni da trent’anni, e che io sapevo del tutto falsi per aver percorso e ripercorso l’Eritrea in lotta contro chi la voleva e vuole far fuori, dal 1971 a oggi. E per frequentare anche tutta la diaspora eritrea in Italia ed Europa.

Nessun dubbio che la tua coscienza è immacolata grazie a queste tue invettive contro le armi, il loro commercio, i loro trafficanti. Ma, se mi consenti, hai mai pensato di unire a codesti anatemi anche uno contro coloro – i nomi li trovi negli annuari dei capi statunitensi, britannici, Nato e israeliani – che tali armi usano per aggredire, devastare, uccidere in nome dell’Occidente, della democrazia, del dollaro e del suo unico vero dio? Posso suggerire a te e al tuo vicario in Terra qualche nome? Tipo Bush, Obama, Trump, Ben Gurion, Begin, Netaniahu, Stoltenberg…? La maggior parte dei tuoi confratelli e delle tue consorelle in Siria, sapendo da che parte sta la verità e la giustizia, in otto anni di carneficine inflitte a quel popolo dalla civiltà cristiana occidentale e dai suoi mercenari jihadisti, hanno innumerevoli volte fatto sentire la loro denuncia degli aggressori e la loro solidarietà con lo Stato siriano, rispettoso di religioni ed etnie, pluralista e laico, aggredito ed eroico nella sua difesa. Capisco quanto hai da fare a Forcella e per lanciare appelli, ma le hai mai ascoltate?

Hai fatto bene a protestare contro la definizione di “martiri” dei soldati italiani caduti a Nassiriya. Ma forse non hai fatto altrettanto bene a bilanciare tale affermazione di verità, associandoti ai peana per le milizie curde che, uscendo dal loro territorio storico, si sono poste al servizio dei nemici della Siria e hanno dato il loro contributo, con l’occupazione di territori e risorse che non gli spettavano e pulizie etniche dei titolari arabi di quelle terre, allo squartamento di un paese in cui tutti avevano saputo convivere. Un paese che aveva accolto migliaia di profughi curdi dalla Turchia, compreso il loro leader, Ocalan.  Un paese sistematicamente aggredito, mai aggressore. Pensa che grande occasione ti si offrirebbe a impegnarti per evitare altri nostri “martiri” da occupazione e combattimento, in giro per il mondo, nelle 34 missioni militari in 23 paesi, al servizio della NATO, dall’Afghanistan al Niger, tipo quei soldati delle Forze Speciali feriti in Iraq, che combattevano non si capisce bene perché e per chi?

Qualche volta, fin dai tempi in cui eri il direttore di “Nigrizia”, mi ritrovavo colpevole di nutrire dubbi che a volte riguardavano la tua vista, a volte la tua buonafede. Dubbi, ahimè, confermati quando ti ho visto sostenere, insieme ai più cinici emissari del colonialismo e dello sfruttamento capitalista, i trafficanti lontani e i traffichini vicini di esseri umani. Agenti dello sradicamento di popoli, spesso finanziati dal brigante della speculazione e dei colpi di Stato in paesi disobbedienti, George Soros, che tu, pure, da amico di ogni indigeno sotto lamiere e nei campi di pomodori, avresti dovuto capire essere il nuovo strumento del colonialismo teso a svuotare il Sud del mondo, quello della povertà dei viventi e della ricchezza della terra. Svuotarlo questo Sud per il profitto di schiavisti spietati, il Sud così ricco e così povero, svuotarlo dei suoi titolari millenari per fare spazio alle multinazionali della rapina e, al tempo stesso, offrire ai padroni del nord un esercito industriale e agricolo di riserva, da nuova lamiera e da due euro l’ora, finalizzato all’annientamento dei diritti, sia di quelli che arrivano, che di quelli che ricevono.

Continui a ricevere il plauso dei nemici dell’umanità. Che poi ne sono i padroni e vorrebbero esserlo sempre di più. Tutti ti vorrebbero santo subito. E non è detto che Bergoglio non ci pensi. Hanno fatto santo perfino Padre Pio e ne hanno trascinato il cadavere per le strade di Roma. Reliquie redditizie, come ai tempi delle indulgenze…. Non lo trovi un po’ imbarazzante? Ne condividi con trasporto degno, secondo me che sono indegno, di molto migliore causa, le più efferate strategie disumane. Quelle che vogliono che tutti gli esseri umani siano uguali, mangino le stesse porcherie, abitino nelle stesse orrende case, si vestano alla stessa maniera, parlino la stessa lingua, a dispetto di culture proprie e stupendamente distinte (pensa a Palmira, Niniveh, Timbuctu) di radici profonde, di storie lontanissime. Che donne e uomini possano essere tranquillamente spostati di qua e di là, mescolati, livellati, possibilmente tutti devoti a quel tuo unico vero dio. Quelle strategie che, spostando le naturali lotte verticali del dominato al dominante, verso lotte orizzontali indotte, donne contro uomini, adolescenti contro le generazioni che li hanno preceduti, migranti contro autoctoni, cristiani contro musulmani, sardine contro cosiddetti fascioleghisti, populisti, sovranisti. A proposito, chi più sovranista del Vaticano e del suo monarca assoluto e infallibile in dottrina (dottrina, si sa, che vuole governare tutto di noi, dal concepimento alla morte), non credi?

 Alex, non ti vengono mai sospetti sul tuo ruolo? Solidarizzi e ti entusiasmi per le sardine cui vengono tributati onori ed elogi dagli stessi ambienti che celebrano te. La loro conclamata umanità antipopulista e il loro veemente antifascismo (contro un fascismo in forma di cartonato), individuato nella Lega e sue appendici, forse ci deve far dimenticare come i padroni abbiano preso i detriti del primo fascismo per ricomporli e integrarli in un fascismo evoluto, finanzacapitalista, tecnologico, multinazionale, globalista, multibellico, colonialista e schiavista, molto più letalmente pervasivo. Forse chiamarlo democratico e per i “diritti umani”, soprattutto contro l’ODIO, deve liberarci dal senso di colpa, magari inconsapevole, per tutti i crimini di guerra e contro l’umanità di cui siamo complici, già soltanto perché non diciamo mai Nato, mai Usa, mai UE, mai Mattarella, mai Woytila e la sua guerra alla Jugoslavia o i suoi soldi investiti nel petrolio in Africa, mai Bergoglio e i suoi generali argentini, mai Trump o Obama o Clinton o Netaniahu? E quando senti quell’ininterrotto rullìo di mille tamburi santi e perbene sul razzismo che imperversa, ti è mai venuto in mente che il razzismo che s’intende sta a quello di chi strappa le genti da casa sua, o le bombarda, o con le sanzioni le priva di cibo e medicine, o ne abbatte i governi per metterci i guardaspalle suoi, o cerca di convertirle, come il picchio sull’albero sta al deforestatore dell’Amazzonia?

 Hai sentito il programma redatto e proclamato dalla Sardina n°1, Mattia Santori? Sembra il discorso della domenica del parroco, o quello del papa all’Angelus. Tante belle parole, da sorriso e da lacrime, da sentimenti buoni. L’unica concretezza: nelle Sardine, l’invettiva contro Salvini, l’odio, l’antifascismo; nel papa, la reprimenda per la tragedia siriana al solo Assad, in sintonia e in sincrono con Cia, Amnesty International e Stato Islamico. Per il resto, contenuti e proposte che assomigliano all’interno di un pallone aerostatico. E non ti pare che anche questo sia un depistaggio dai delitti che la Sardina n°1 sosteneva con altrettanto vigore: Renzi e il suo Sblocca Italia (e tutte le Grandi Opere che pensano di fare le scarpe perfino alla Grande Opera del tuo Buon Dio), le trivelle petrolifere per terra e per mare, ovviamente il Jobs Act a maggior gloria del lavoro e di chi lo da, o non da (non di chi lo prende, lo cerca, lo perde)?

Non ti pare che tutti questi, Sardine, papa, tuonino contro il clima cambiato, ma non nominano mai chi personalmente l’ha cambiato? E non ti insospettisce il fatto che i mercanti vengano lasciati liberi a mercanteggiare nel tempio? Purchè magari lo tinteggino di verde? Certo, ti può consolare la bella compagnia con cui ti ritrovi nel banco di Sardine: un sacco di PD, Zingaretti, parecchia Italia Viva, Nichi Vendola (quello dell’utero in affitto di chi non si sa), Michele Santoro, Flores d’Arcais, Laura Boldrini (e chissenò), Martina, Gentiloni, la Furlan, Erri De Luca (e chissenò), la Pascale con Dudù, fidanzati di Berlusconi, Mimmo Lucano, che promette di votare per il plurinquisito presidente della Calabria, Oliverio, schifato pure dal PD. And last, but not least, anche Norma Rangeri, direttrice del “quotidiano comunista”, che è tanto comunista quanto Hulk è bello, ma con la quale arriviamo all’estasi di Santa Teresa. E giù contumelie “comuniste” contro sessisti, omofobi, xenofobi, fascioleghisti, odiatori (padroni e guerrafondai non fanno più tendenza), per poi sollevarsi all’apoteosi per aver trovato finalmente in piazza una massa critica che ne condivide “la sveglia a sinistra”… 

E poi i megafoni della “comunità internazionale”: dal Pais che vorrebbe morto Maduro, al Guardian che ha seppellito Assange sotto calunnie a fake news, alla BBC che condivide col papa la rampogna ad Assad e con Washington tutte le guerre, a Mediapart, un consorzio di giornalisti devoti all’atlantismo, Insomma, caro frate, ti ritrovi tra la crème de la crème, quella del ricco obolo alla messa cantata di mezzogiorno la domenica.

Caro Zanotelli, il giorno che avrai il plauso di Bashar el Assad e del popolo che da 8 anni, sotto la sua guida, resiste alla malvagità genocida di mezzo mondo, o di Evo Morales, il cui popolo è massacrato dai golpisti amerikofascisti, degli iraniani, degli afghani, dei venezuelani di Maduro, del popolo No Tav, No Muos, No Tap, il giorno in cui rimpiangerai Gheddafi e il suo popolo libero e prospero, non sarai più popolare tra quelli che ti elogiano ora. Ma sicuramente non si potrà più temere che tu non sia in buonafede.

 Anzi, permettimi di suggerirti uno dei tuoi appelli per i diritti umani, la solidarietà, la vita. Sai niente di Julian Assange? E’ un collega tuo e mio, di tutti noi giornalisti del mondo. Forse non ne sai niente poiché le famose organizzazioni internazionali e nazionali che si piccano di difendere giornalisti e libertà di stampa non ne hanno fatto menzione, pur essendo prontissimi a stracciarsi le vesti per ogni giornalista russo di cui dalle nostre parti si dice che sia stato arrestato, o censurato, o imbavagliato. Neanche il sindacato dei giornalisti italiani, ai quali ti sei rivolto perché s’impegnasse a satanizzare il governo eritreo da trent’anni sotto sanzioni americane, quella FNSI così pronta a scendere in piazza per Giulio Regeni che lavorava con manigoldi, assassini e spie a Oxford Analytica, si è mai curato di spendere una parola per Julian Assange. Un giornalista libero, perseguitato da dieci anni, recluso nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra per otto, prima come ospite di un presidente onesto che gli aveva concesso l’asilo politico, poi come prigioniero di un presidente fellone, che lo ha tenuto lontano dalla luce del giorno e poi lo ha venduto agli americani e ai britannici in cambio di un prestito FMI da 1,5 miliardi di dollari.

Ne sai nulla? Sapessi quanto avrebbe bisogno della tua vibrante voce per i diritti umani il governo britannico. Che grande occasione per te! Assange, nostro collega e combattente per la libertà di stampa, da noi già così deperita, è in un carcere di massima sicurezza, in isolamento e sottoposto a uno omicidio strisciante. Gli sono negati i più elementari diritti della difesa, incontri con legali o testimoni, lo studio di documenti. Il responsabile ONU per i diritti umani ha definito tortura il trattamento inflitto ad Assange. Quando è apparso in una prima udienza in tribunale, era ridotto in condizioni psicofisiche spaventose: non ricordava bene il suo nome, né la data di nascita. Paga per gravissimi delitti, caro Alex Zanotelli. Ha rivelato al mondo, con la sua testata Wikileaks, i crimini, le atrocità, le menzogne, dei governi Usa e suoi alleati, con particolare dovizia di particolari agghiaccianti in Iraq e Afghanistan. Chi gli ha fornito molte notizie è Chelsea Manning, già soldato Usa, imprigionata per sette anni e quattro mesi e di nuovo in carcere dall’8 marzo 2019, a tempo indeterminato, perché si rifiuta di testimoniare contro Assange davanti a una giuria segreta. Anche lei trattata in carcere alla maniera di Assange, Forse sarebbe meritevole di uno di quei tuoi appelli. E visto che è una transgender, non si capisce come mai “il manifesto” non la celebri. Tardivamente, qualcuno dei tuoi fratelli ha deprecato i crimini delle Crociate. Su questi crimini tutto ancora tace.

Chelsea Manning

Alex Zanotelli, a proposito di qualche mio dubbio sulla tua buonafede, se tieni conto di una voce altra come questa, vorrà dire che mi sono sbagliato. Mi fermo, anche perché nell’immagine dell’imperialismo qui in fondo è già detto tutto.

Se mi hai ascoltato, ti ringrazio. Buone feste.

Fulvio Grimaldi

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 16:08

Tunnel sotto il Baltico: la Cina prenota il tesoro dell’Artico

https://www.libreidee.org/2019/08/tunnel-sotto-il-baltico-la-cina-prenota-il-tesoro-dellartico/?fbclid=IwAR2kadI9C8pNtX-uPRQiH_ql7lqurXgPJ5eKCWBqPmB3-MhyqdzKqReJUtU

Scritto il 15/8/19

L’Artico si scioglie e la Cina è già lì: per il grande affare. Lo spiegano, sul “Corriere della Sera”, Milena Gabanelli e Luigi Offeddu. «Le prime prenotazioni on line, 50 euro l’una, sono state vendute subito dopo l’annuncio ufficiale: il più lungo tunnel sottomarino del mondo (100 km) sarà scavato dal 2020 sul fondo del Mar Baltico, fra la capitale estone Tallinn e quella finlandese, Helsinki. Lo scaveranno e pagheranno quasi tutto i cinesi: 15 miliardi di euro, più 100 milioni offerti da un’impresa saudita». Il colossale investimento, a oltre 6.300 chilometri da Pechino, non è lontano dalla loro “Via della Seta marittimo-terrestre”, che dovrebbe collegare circa 60 paesi di tre continenti. Uno dei suoi tratti vitali sarà la “Via Polare della Seta”, che sfrutterà i mari artici sempre più liberi dai ghiacci grazie al riscaldamento del clima. Oggi, per viaggiare da Shangai a Rotterdam attraverso la rotta tradizionale del canale di Suez, bisogna navigare per 48-50 giorni. Con la Via Polare si scende a 33 giorni. La nuova tratta «accorcerà di una settimana anche il viaggio che unisce Atlantico e Pacifico costeggiando Groenlandia, Canada e Alaska, rispetto al passaggio attraverso il canale di Panama». Tutto pronto: «Navi cinesi hanno già collaudato entrambe le rotte. A fine maggio, il vice primo ministro russo Maxim Akimov ha annunciato che anche Mosca potrebbe unirsi al progetto di Pechino».
La Cina è pronta a fare il suo gioco, raccontano Gabanelli e Offeddu: da una parte, marcare la sua presenza commerciale, politica e militare nel mondo, e dall’altra sfruttare il sottosuolo dell’Artico. «Parliamo del 20% di tutte le riserve del pianeta: fra cui petrolio, gas, uranio, oro, platino e zinco». Pechino ha già commissionato i rompighiaccio, fra cui – gara appena chiusa – uno atomico da 152 metri con 90 persone di equipaggio (costo previsto: 140 milioni di euro). Sarà il più grande rompighiaccio al mondo e potrà spaccare uno strato ghiacciato spesso un metro e mezzo. La Cina ha iniziato anche i test per “l’Aquila delle nevi”, un aereo progettato per i voli polari, e sta studiando l’impiego di sommergibili in grado di emergere dai ghiacci. Spiega il “Giornale cinese di ricerca navale”, subito monitorato dagli analisti occidentali: «Sebbene il ghiaccio spesso dell’Artico provveda una protezione naturale per i sottomarini, tuttavia costituisce anche un rischio per loro durante il processo di emersione». Segue uno studio dettagliato sulle manovre da eseguire. «Tutte le superpotenze compiono queste ricerche, però la Cina non è uno Stato artico come la Russia o gli Usa». Eppure, aggiungono Gabanelli e Offeddu, nel 2018 si è autodefinita uno “Stato quasi-artico”, irritando il segretario di Stato americano Mike Pompeo, secondo cui «ci sono solo Stati artici e non artici, una terza categoria non esiste».
Ma Pechino “tira dritto”, e lo fa soprattutto in Groenlandia, «portaerei naturale di fronte agli Usa e al Canada, dove il riscaldamento del clima sta sciogliendo 280 miliardi di tonnellate di ghiaccio all’anno: un dramma mondiale, che però agevola l’estrazione di ciò che sta sotto». Per questo, osservano Milena Gabanelli e Luigi Offeddu, con le sue compagnie di Stato la Cina ha acquistato o gestisce i 4 più importanti giacimenti minerari della Groenlandia. «All’estremo Nord, nel fiordo di Cjtronen, c’è quello di zinco, gestito al 70% dalla cinese Nfc, considerato il più ricco della Terra. È strategico perché si trova di fronte all’ipotetica “Via Polare della Seta”, quella del passaggio verso Canada e Usa, e perché potrebbe placare la domanda di zinco della Cina, salita del 122% dal 2005 al 2015». Poi c’è il giacimento di rame di Carlsberg, proprietà della Jangxi Copper, colosso di Stato considerato il massimo produttore cinese di rame nel mondo (il suo ex-presidente, intanto, è stato appena condannato a 18 anni per corruzione). Pechino ha inoltre in mano la miniera di ferro di Isua (della General Nice di Hong Kong) e infine Kvanefjeld, nell’estremo Sud: una riserva mai sfruttata di uranio e “terre rare”, cioè i metalli usati per costruire missili, smartphone, batterie e hard-disk.
Kvanefjeld, accessibile solo via mare, è proprietà della compagnia australiana Greenland Minerals Energy e al 12,5% della compagnia di Stato cinese Shenghe Resources, considerata la maggiore fornitrice di “terre rare” sui mercati internazionali. Con un investimento da 1,3 miliardi di dollari, documenta il reportage sul “Corriere”, il giacimento potrà fornire una delle più alte produzioni al mondo di “terre rare”. «La quota azionaria della Shenghe è limitata, ma il suo ruolo nel progetto no», spiegano Gabanelli e Offeddu, «perché il prodotto estratto da Kvanefjeld sarà un concentrato di “terre rare” e uranio, i cui elementi dovranno essere processati e separati». E questo «accadrà soprattutto a Xinfeng, in Cina, dove gli stabilimenti sono già in costruzione». Nel progetto c’è anche un nuovo porto, nella baia accanto al giacimento. «La Cina possiede già oltre il 90% di tutte le “terre rare” del mondo, dunque ne controlla i prezzi». E ora, «con quel che arriverà da Kvanefjeld, chiuderà quasi il cerchio». Nei lavori del porto è coinvolto anche il colosso di Stato cinese Cccc, «già messo sulla lista nera della Banca Mondiale per una presunta frode nelle Filippine». I dirigenti della Shenghe, nel gennaio di quest’anno, «hanno formato una joint-venture con compagnie sussidiarie della China National Nuclear Corporation».
La sigla del colosso edilizio Cccc, continuano Gabanelli e Offeddu, è riemersa nella gara d’appalto lanciata dal governo groenlandese per tre nuovi aeroporti intercontinentali (a Nuuk, Ilulissat e Qaqortoq) che dovrebbero assicurare all’isola collegamenti diretti con gli Usa e l’Europa. Nel 2018 sei imprese sono state ammesse: l’unica non europea era la Cccc. «Ma la sua offerta ha preoccupato gli Usa (nell’isola c’è la base americana di Thule, che può intercettare i missili in arrivo su Washington) e la Danimarca (che ha un diritto di veto sulle questioni che toccano la sicurezza)». Così, i danesi hanno lanciato all’ultimo momento un’offerta d’oro, «rilevando un terzo della compagnia groenlandese che appaltava la gara», e così la Cccc è stata esclusa. «Ma lo scorso 5 aprile è stata annunciata una nuova gara per il “completamento” delle piste e dei terminal a Nuuk e Ilulissat, altro affare milionario, e i cinesi hanno tentato di rientrare grazie a joint-venture formate con imprese olandesi, canadesi e danesi». Tutto procede: i lavori inizieranno a settembre.
Secondo Gabanelli e Offeddu, Pechino ha messo a segno un altro successo nordico, questa volta a Karholl, in Islanda: si tratta dell’osservatorio meteo-astronomico battezzato “Ciao”, acronimo di China-Iceland Joint Arctic Science Observatory, interamente finanziato dai cinesi. Alto tre piani ed esteso su 760 metri quadrati, controlla i cambiamenti climatici, le aurore boreali, i percorsi dei satelliti. E, per inciso, anche lo spazio aereo della Nato. Non è di poco conto, infatti, il risvolto strategico-militare della nuova geopolitica cinese nell’Artico: il vice responsabile del nuovissimo osservatorio è Halldor Johannson, che in Islanda è anche portavoce di Huang Nubo, «il miliardario imprenditore ed ex dirigente del Partito comunista cinese che nel 2012 tentò di comprare per circa 7 milioni di euro 300 chilometri di foreste islandesi, dichiarando di volerne fare un parco naturale e turistico». Anche su quelle foreste – annotano Gabanelli e Offeddu – passavano (e passano) le rotte della Nato, su cui ora “vigilerà” l’indesiderata superpotenza cinese.

L’Artico si scioglie e la Cina è già lì: per il grande affare. Lo spiegano, sul “Corriere della Sera”, Milena Gabanelli e Luigi Offeddu. «Le prime prenotazioni on line, 50 euro l’una, sono state vendute subito dopo l’annuncio ufficiale: il più lungo tunnel sottomarino del mondo (100 km) sarà scavato dal 2020 sul fondo del Mar Baltico, fra la capitale estone Tallinn e quella finlandese, Helsinki. Lo scaveranno e pagheranno quasi tutto i cinesi: 15 miliardi di euro, più 100 milioni offerti da un’impresa saudita». Il colossale investimento, a oltre 6.300 chilometri da Pechino, non è lontano dalla loro “Via della Seta marittimo-terrestre”, che dovrebbe collegare circa 60 paesi di tre continenti. Uno dei suoi tratti vitali sarà la “Via Polare della Seta”, che sfrutterà i mari artici sempre più liberi dai ghiacci grazie al riscaldamento del clima. Oggi, per viaggiare da Shangai a Rotterdam attraverso la rotta tradizionale del canale di Suez, bisogna navigare per 48-50 giorni. Con la Via Polare si scende a 33 giorni. La nuova tratta «accorcerà di una settimana anche il viaggio che unisce Atlantico e Pacifico costeggiando Groenlandia, Canada e Alaska, rispetto al passaggio attraverso il canale di Panama». Tutto pronto: «Navi cinesi hanno già collaudato entrambe le rotte. A fine maggio, il vice primo ministro russo Maxim Akimov ha annunciato che anche Mosca potrebbe unirsi al progetto di Pechino».

La Cina è pronta a fare il suo gioco, raccontano Gabanelli e Offeddu: da una parte, marcare la sua presenza commerciale, politica e militare nel mondo, e dall’altra sfruttare il sottosuolo dell’Artico. «Parliamo del 20% di tutte le riserve del pianeta:Orsi polarifra cui petrolio, gas, uranio, oro, platino e zinco». Pechino ha già commissionato i rompighiaccio, fra cui – gara appena chiusa – uno atomico da 152 metri con 90 persone di equipaggio (costo previsto: 140 milioni di euro). Sarà il più grande rompighiaccio al mondo e potrà spaccare uno strato ghiacciato spesso un metro e mezzo. La Cina ha iniziato anche i test per “l’Aquila delle nevi”, un aereo progettato per i voli polari, e sta studiando l’impiego di sommergibili in grado di emergere dai ghiacci. Spiega il “Giornale cinese di ricerca navale”, subito monitorato dagli analisti occidentali: «Sebbene il ghiaccio spesso dell’Artico provveda una protezione naturale per i sottomarini, tuttavia costituisce anche un rischio per loro durante il processo di emersione». Segue uno studio dettagliato sulle manovre da eseguire. «Tutte le superpotenze compiono queste ricerche, però la Cina non è uno Stato artico come la Russia o gli Usa». Eppure, aggiungono Gabanelli e Offeddu, nel 2018 si è autodefinita uno “Stato quasi-artico”, irritando il segretario di Stato americano Mike Pompeo, secondo cui «ci sono solo Stati artici e non artici, una terza categoria non esiste».

Ma Pechino “tira dritto”, e lo fa soprattutto in Groenlandia, «portaerei naturale di fronte agli Usa e al Canada, dove il riscaldamento del clima sta sciogliendo 280 miliardi di tonnellate di ghiaccio all’anno: un dramma mondiale, che però agevola l’estrazione di ciò che sta sotto». Per questo, osservano Milena Gabanelli e Luigi Offeddu, con le sue compagnie di Stato la Cina ha acquistato o gestisce i 4 più importanti giacimenti minerari della Groenlandia. «All’estremo Nord, nel fiordo di Cjtronen, c’è quello di zinco, gestito al 70% dalla cinese Nfc, considerato il più ricco della Terra. È strategico perché si trova di fronte all’ipotetica “Via Polare della Seta”, quella del passaggio verso Canada e Usa, e perché potrebbe placare la domanda di zinco della Cina, salita del 122% dal 2005 al 2015». Poi c’è il giacimento di rame di Carlsberg, proprietà della Jangxi Copper, colosso di Stato considerato il massimo produttore cinese di rame nel mondo (il suo ex-presidente, intanto, è stato appena Il tunnel sotto il Baltico tra Estonia e Finlandiacondannato a 18 anni per corruzione). Pechino ha inoltre in mano la miniera di ferro di Isua (della General Nice di Hong Kong) e infine Kvanefjeld, nell’estremo Sud: una riserva mai sfruttata di uranio e “terre rare”, cioè i metalli usati per costruire missili, smartphone, batterie e hard-disk.

Kvanefjeld, accessibile solo via mare, è proprietà della compagnia australiana Greenland Minerals Energy e al 12,5% della compagnia di Stato cinese Shenghe Resources, considerata la maggiore fornitrice di “terre rare” sui mercati internazionali. Con un investimento da 1,3 miliardi di dollari, documenta il reportage sul “Corriere”, il giacimento potrà fornire una delle più alte produzioni al mondo di “terre rare”. «La quota azionaria della Shenghe è limitata, ma il suo ruolo nel progetto no», spiegano Gabanelli e Offeddu, «perché il prodotto estratto da Kvanefjeld sarà un concentrato di “terre rare” e uranio, i cui elementi dovranno essere processati e separati». E questo «accadrà soprattutto a Xinfeng, in Cina, dove gli stabilimenti sono già in costruzione». Nel progetto c’è anche un nuovo porto, nella baia accanto al giacimento. «La Cina possiede già oltre il 90% di tutte le “terre rare” del mondo, dunque ne controlla i prezzi». E ora, «con quel che arriverà da Kvanefjeld, chiuderà quasi il cerchio». Nei lavori del porto è coinvolto anche il colosso di Stato cinese Cccc, «già messo sulla lista nera della Banca Mondiale per una presunta frode nelle Filippine». I dirigenti della Shenghe, nel gennaio di quest’anno, «hanno formato una joint-venture con compagnie sussidiarie della China National Nuclear Corporation».

La sigla del colosso edilizio Cccc, continuano Gabanelli e Offeddu, è riemersa nella gara d’appalto lanciata dal governo groenlandese per tre nuovi aeroporti intercontinentali (a Nuuk, Ilulissat e Qaqortoq) che dovrebbero assicurare all’isola collegamenti diretti con gli Usa e l’Europa. Nel 2018 sei imprese sono state ammesse: l’unica non europea era la Cccc. «Ma la sua offerta ha preoccupato gli Usa (nell’isola c’è la base americana di Thule, che può intercettare i missili in arrivo su Washington) e la Danimarca (che ha un diritto di veto sulle questioni che toccano la sicurezza)». Così, i danesi hanno lanciato all’ultimo momento un’offerta d’oro, «rilevando un terzo della compagnia groenlandese che appaltava la gara», e così la Cccc è La Via Polare della Setastata esclusa. «Ma lo scorso 5 aprile è stata annunciata una nuova gara per il “completamento” delle piste e dei terminal a Nuuk e Ilulissat, altro affare milionario, e i cinesi hanno tentato di rientrare grazie a joint-venture formate con imprese olandesi, canadesi e danesi». Tutto procede: i lavori inizieranno a settembre.

Secondo Gabanelli e Offeddu, Pechino ha messo a segno un altro successo nordico, questa volta a Karholl, in Islanda: si tratta dell’osservatorio meteo-astronomico battezzato “Ciao”, acronimo di China-Iceland Joint Arctic Science Observatory, interamente finanziato dai cinesi. Alto tre piani ed esteso su 760 metri quadrati, controlla i cambiamenti climatici, le aurore boreali, i percorsi dei satelliti. E, per inciso, anche lo spazio aereo della Nato. Non è di poco conto, infatti, il risvolto strategico-militare della nuova geopolitica cinese nell’Artico: il vice responsabile del nuovissimo osservatorio è Halldor Johannson, che in Islanda è anche portavoce di Huang Nubo, «il miliardario imprenditore ed ex dirigente del Partito comunista cinese che nel 2012 tentò di comprare per circa 7 milioni di euro 300 chilometri di foreste islandesi, dichiarando di volerne fare un parco naturale e turistico». Anche su quelle foreste – annotano Gabanelli e Offeddu – passavano (e passano) le rotte della Nato, su cui ora “vigilerà” l’indesiderata superpotenza cinese.

Le finte rivoluzioni del 2019: la previsione di Carotenuto

https://www.libreidee.org/2019/12/le-finte-rivoluzioni-del-2019-la-previsione-di-carotenuto/?fbclid=IwAR25Csqjw5fcWDbGvDPN9WvRyhImdOpbWpJHxtt-9_o5Bve3KIaQyiPocPQ

«Cari amici, nel 2019 aspettiamoci altre finte rivoluzioni». Era il 29 dicembre dell’anno “gialloverde”, quello in cui gli italiani si erano illusi di poter avere un governo a 5 Stelle, deciso a farsi rispettare in Europa e a restituire giustizia sociale in Italia. Dodici mesi dopo, eccoci qua: alle prese con Greta e con le Sardine. Seppellito da Grillo il famoso “uno vale uno”, archiviato l’inguardabile Salvini vestito da poliziotto. Il copione è cambiato: piazze sempre piene, ma per lo sciopero climatico o i flash-mob contro “il fascismo”. Animi sempre accesi, naturalmente: contro qualcosa, o qualcuno, che (esattamente come prima) non è mai chi comanda, davvero. Autore della “profezia” sul 2019, Fausto Carotenuto, già analista politico dell’intelligence Nato. Previsioni peraltro già formulate a partire dal 2015: «La guida occulta mondiale rimarrà saldamente nelle mani della piramide gesuita-massonica, anche se il superiore gioco del divide et impera comincerà a creare fratture competitive anche in questo fronte». Nel 2018, la messa a fuoco si è fatta progressiva: il caos sulla Brexit, la presidenza Trump, il ruolo dei sovranisti «solo apparentemente anti-sistema». E poi le manifeste debolezze del quadro intereuropeo, i fallimenti e le spaccature del Pd, il risorgere delle destre “parafasciste”, le voci di dissenso a Papa Francesco nelle gerarchie cattoliche.
«Questi e numerosi altri segnali mostrano con evidenza che il blocco granitico di potere gesuita-massonico ha ormai delle forti incrinature. Foriere di forti tempeste, di feroci scontri», scriveva Carotenuto su “Coscienze in Rete”, esattamente un anno fa. «Come già per Matteo Salvini in uniforme da poliziotto lo scorso anno, la presidenza Trump appare come un elemento di forte rottura degli equilibri precedenti, e continuerà ad avere certamente un ruolo destabilizzante – come dimostrano le prese di posizione filo-sioniste su Gerusalemme, l’attiva campagna industrialista e antiecologista, le guerre commerciali al resto del mondo e l’aperto sostegno ai peggiori ambienti economici americani». Da una parte, scriveva Carotenuto, «sarà il più forte ostacolo ai disegni di dominazione del gruppo gesuita-massonico», ma dall’altra «anche un elemento amplificatore di forme-pensiero degradanti, aggressive, violente, antiumane». Secondo l’analista, «una modalità molto diversa da quella “gesuitica”, fredda e apparentemente “buona”, ma sempre per fini manipolatori. Che tuttavia già da qualche anno non stava dando i risultati sperati di “seduzione” ampia ed efficace dell’opinione pubblica».
I gruppi di manipolazione mondialisti, scriveva sempre Carotenuto, «hanno ormai chiaramente deciso di puntare su un periodo di emergenze e di spaccature, che prepari il terreno in modo forzoso ad una nuova, successiva spinta alla centralizzazione, e ad una ulteriore perdita di libertà e sovranità locali». Temi che, manco a dirlo, non sono neppure sfiorati né dai “gretini” né dalle Sardine: i baby-ecologisti non menzionano nessuna delle minacce reali, a partire dal 5G, mentre gli odiatori di Salvini ignorano del tutto il primo problema italiano, l’Unione Europea. Tutto questo accade, anche, dopo il crollo del governo gialloverde: la Lega all’opposizione, e i 5 Stelle (dimentichi di ogni promessa) aggrappati alle poltrone del Conte-bis. «Avevamo scritto che avremmo probabilmente visto un Cinquestelle chiaramente indirizzato a cercare di agguantare le poltrone di comando di Palazzo Chigi. E avevamo anticipato che, qualora questo fosse avvenuto, la dirigenza M5S avrebbe svelato il proprio vero volto di strumento del potere, di nuovi camuffamenti manipolatori delle solite vecchie congreghe. Una presidenza del Consiglio e altri incarichi di governo nelle mani di uomini chiaramente vicini ai gesuiti, e le stupefacenti virate in senso filo-americano, filo-Nato, filo-euro, filo-Unione Europea, filofinanza internazionale, filo-vaccini, filo-spese militari, filo-Tap e altro, la dicono lunga su chi veramente si cela dietro gli impulsi sani di tanti bravi ragazzi».
Bravi idealisti, «illusi per anni dalle seduttive parole di una maschera Grillo ormai ridotta al silenzio». Sono e saranno i primi, scriveva Carotenuto, «a soffrire per i brutali “tradimenti”, che vedremo crescere e farsi evidenti nel 2019». L’analista intravedeva «un nuovo teatro di finta alternanza democratica, nel quale la Lega si porrà come nuova destra egoica e  conservatrice, e il M5S come nuova sinistra fintamente progressista». Dietro le quinte, «i soliti poteri occulti» continuano «a gestire e manipolare la struttura istituzionale politica, economica, scientifica e culturale». Oggi, a un anno di distanza, Carotenuto è estremamente preoccupato dal Conte-bis: lo vede come un terminale pericoloso del potere centralista. Grazie alla sua debolezza politica (lo zombie Zingaretti, il defunto M5S) l’esecutivo giallorosso guidato da Conte, «espresso dal medesimo network di potere vaticano che gestiva Andreotti», è perfetto per infliggere all’Italia un’overdose di rigore: guerra al contante e inasprimento fiscale, fino all’incubo del Mes. E nelle piazze, “gretini” e Sardine, a cantare Bella Ciao. «Anche nel 2019 – scriveva Carotenuto – ogni crisi verrà fomentata o usata per controllarci meglio, per spingerci infine verso formazioni centralizzate mondialiste o premondialiste. Faranno tutto questo, come nel 2018 e negli anni precedenti, solamente per bloccare il più grande fenomeno dei nostri tempi: il risveglio delle coscienze».

«Cari amici, nel 2019 aspettiamoci altre finte rivoluzioni». Era il 29 dicembre dell’anno “gialloverde”, quello in cui gli italiani si erano illusi di poter avere un governo a 5 Stelle, deciso a farsi rispettare in Europa e a restituire giustizia sociale in Italia. Dodici mesi dopo, eccoci qua: alle prese con Greta e con le Sardine. Seppellito da Grillo il famoso “uno vale uno”, archiviato l’inguardabile Salvini vestito da poliziotto. Il copione è cambiato: piazze sempre piene, ma per lo sciopero climatico o i flash-mob contro “il fascismo”. Animi sempre accesi, naturalmente: contro qualcosa, o qualcuno, che (esattamente come prima) non è mai chi comanda, davvero. Autore della “profezia” sul 2019, Fausto Carotenuto, già analista politico dell’intelligence Nato. Previsioni peraltro già formulate a partire dal 2015: «La guida occulta mondiale rimarrà saldamente nelle mani della piramide gesuita-massonica, anche se il superiore gioco del divide et impera comincerà a creare fratture competitive anche in questo fronte». Nel 2018, la messa a fuoco si è fatta progressiva: il caos sulla Brexit, la presidenza Trump, il ruolo dei sovranisti «solo apparentemente anti-sistema». E poi le manifeste debolezze del quadro intereuropeo, i fallimenti e le spaccature del Pd, il risorgere delle destre “parafasciste”, le voci di dissenso a Papa Francesco nelle gerarchie cattoliche.

«Questi e numerosi altri segnali mostrano con evidenza che il blocco granitico di potere gesuita-massonico ha ormai delle forti incrinature. Foriere di forti tempeste, di feroci scontri», scriveva Carotenuto su “Coscienze in Rete“, esattamente un anno fa. Sardine a Milano«Come già per Matteo Salvini in uniforme da poliziotto lo scorso anno, la presidenza Trump appare come un elemento di forte rottura degli equilibri precedenti, e continuerà ad avere certamente un ruolo destabilizzante – come dimostrano le prese di posizione filo-sioniste su Gerusalemme, l’attiva campagna industrialista e antiecologista, le guerre commerciali al resto del mondo e l’aperto sostegno ai peggiori ambienti economici americani». Da una parte, scriveva Carotenuto, «sarà il più forte ostacolo ai disegni di dominazione del gruppo gesuita-massonico», ma dall’altra «anche un elemento amplificatore di forme-pensiero degradanti, aggressive, violente, antiumane». Secondo l’analista, «una modalità molto diversa da quella “gesuitica”, fredda e apparentemente “buona”, ma sempre per fini manipolatori. Che tuttavia già da qualche anno non stava dando i risultati sperati di “seduzione” ampia ed efficace dell’opinione pubblica».

I gruppi di manipolazione mondialisti, scriveva sempre Carotenuto, «hanno ormai chiaramente deciso di puntare su un periodo di emergenze e di spaccature, che prepari il terreno in modo forzoso ad una nuova, successiva spinta alla centralizzazione, e ad una ulteriore perdita di libertà e sovranità locali». Temi che, manco a dirlo, non sono neppure sfiorati né dai “gretini” né dalle Sardine: i baby-ecologisti non menzionano nessuna delle minacce reali, a partire dal 5G, mentre gli odiatori di Salvini ignorano del tutto il primo problema italiano, l’Unione Europea. Tutto questo accade, anche, dopo il crollo del governo gialloverde: la Lega all’opposizione, e i 5 Stelle (dimentichi di ogni promessa) aggrappati alle poltrone del Conte-bis. «Avevamo scritto che avremmo probabilmente visto un Cinquestelle chiaramente indirizzato a cercare di agguantare le poltrone di comando di Palazzo Chigi. E avevamo anticipato che, qualora questo fosse avvenuto, la dirigenza M5S avrebbe svelato il proprio vero volto di strumento del potere, di nuovi camuffamenti manipolatori delle solite vecchie congreghe. Una Gretapresidenza del Consiglio e altri incarichi di governo nelle mani di uomini chiaramente vicini ai gesuiti, e le stupefacenti virate in senso filo-americano, filo-Nato, filo-euro, filo-Unione Europea, filo-finanza internazionale, filo-vaccini, filo-spese militari, filo-Tap e altro, la dicono lunga su chi veramente si cela dietro gli impulsi sani di tanti bravi ragazzi».

Idealisti, «illusi per anni dalle seduttive parole di una maschera Grillo ormai ridotta al silenzio». Sono e saranno i primi, scriveva Carotenuto, «a soffrire per i brutali “tradimenti”, che vedremo crescere e farsi evidenti nel 2019». L’analista intravedeva «un nuovo teatro di finta alternanza democratica, nel quale la Lega si porrà come nuova destra egoica e  conservatrice, e il M5S come nuova sinistra fintamente progressista». Dietro le quinte, «i soliti poteri occulti» continuano «a gestire e manipolare la struttura istituzionale politica, economica, scientifica e culturale». Oggi, a un anno di distanza, Carotenuto è estremamente preoccupato dal Conte-bis: lo vede come un terminale pericoloso del potere centralista. Grazie alla sua debolezza politica (lo zombie Zingaretti, il defunto M5S) l’esecutivo giallorosso guidato da Conte, «espresso dal medesimo network di potere vaticano che gestiva Andreotti», è perfetto per infliggere all’Italia un’overdose di rigore: guerra al contante e inasprimento fiscale, fino all’incubo del Mes. E nelle piazze, “gretini” e Sardine, a cantare Bella Ciao. «Anche nel 2019 – scriveva Carotenuto – ogni crisi verrà fomentata o usata per controllarci meglio, per spingerci infine verso formazioni centralizzate mondialiste o premondialiste. Faranno tutto questo, come nel 2018 e negli anni precedenti, solamente per bloccare il più grande fenomeno dei nostri tempi: il risveglio delle coscienze».

Sapelli: il Mes è una tragedia, solo la Consulta può fermarlo

https://www.libreidee.org/2019/12/sapelli-il-mes-e-una-tragedia-solo-la-consulta-puo-fermarlo/?fbclid=IwAR3oh1U4oZRpriulBKlNeB3qIffyA78YK7YP5O6NrwEQ0alp4Y1MbUjomk0

Scritto il 11/12/19 •

 
Solo Alessandro Mangia, proprio sul “Sussidiario”, e lo spagnolo Agustin José Menendez hanno evidenziato una cosa che nessuno dice: con sottile astuzia il Mes non deriva da un Trattato europeo. È un trattato internazionale che passa per i rapporti diretti tra gli Stati, da cui deriva un veicolo finanziario gestito come se fosse sottoposto al diritto commerciale o al diritto dei mercati. L’astuzia sta nel fatto che, così facendo, questo trattato internazionale può essere firmato in Europa in modo quasi inavvertito, perché non deve passare dal Parlamento Europeo. Ma questa astuzia si rivela un grave pericolo per la stessa Europa. Il Mes nasce nel 2011, ma già nel 2012 in Germania ci sono stati centinaia di ricorsi contro il Mes alla Corte Costituzionale tedesca, quasi tutti indotti dalle banche tedesche. E la Corte di Karlsruhe ha dichiarato che il Mes è ineffettivo se non viene approvato dal Parlamento tedesco, e che garante di questo trattato è il presidente della Repubblica federale tedesca. Se solo qualche politico italiano se ne accorgesse e facesse ricorso alla Consulta, verrebbe giù tutto, perché il Mes diventerebbe inapplicabile. Non se ne sono ancora accorti, non hanno le competenze tecniche. E i politici italiani fanno le battaglie contro i mulini a vento.
Dovrebbero fare una cosa sola: presentare ricorso alla Corte Costituzionale. Questo renderebbe difficile per il gruppo di comando nella Commissione Ue poter prendere delle misure con il Mes. Il cuore del Mes è la ponderazione dei titoli di Stato. Ma un anno fa – ed è stupefacente che non l’abbia ricordato nessuno – tutti i banchieri centrali del mondo, riuniti alla Bri, hanno rilasciato una dichiarazione comune, ribadendo che i titoli di Stato di tutti i paesi del mondo non devono essere ponderati. Perché l’unica al mondo a mettere in piedi questo marchingegno complicatissimo dovrebbe essere lUe? C’è qualcosa che non va. Qual è la ratio che può aver ispirato il Mes? Nessuna ratio, sono completamente impazziti. La burocrazia europea – che è una tecnocrazia mista, tecnici di nomina politica che non hanno vinto alcun concorso e che vengono spartiti in base a un manuale Cencelli a doppia entrata, Stati e partiti – funziona come tutte le burocrazie: pletorica, disinformata, arrogante e che talvolta fa piccoli colpi di Stato. Anche ai francesi il Mes non va bene, come dimostrano molte parole d’ordine delle manifestazioni di Parigi e di Digione. Non credo che lo vogliano, soprattutto se lo si applica per salvare le banche tedesche. Ma se l’immagina la reazione dei correntisti francesi, che non sono certo come quelli italiani, nel subire misure come il 2 per mille?
All’Italia è stato concesso un po’ di tempo prima della firma del Mes. Come dovremmo utilizzarlo? Si dovrebbe creare una Union Sacrée, da Fratelli d’Italia a LeU, tutti uniti per riformare il trattato europeo. Se fossimo un paese normale, dovremmo aver chiaro che il Mes è un pericolo, come ha detto il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, quando ha parlato di «enormi rischi». Poi ha fatto marcia indietro. Perché? Ci sono state delle pressioni. Infatti nessuno ha notato il silenzio della Bce, a cui credo non piaccia il Mes. Tace perché rende evidente che non è la Bce il prestatore di ultima istanza. Bisogna stare alla larga dal Mes, non fa tutto quello che dicono i quadrumviri della subordinazione intellettuale: Gualtieri, Gentiloni, Amendola e Sassoli. Lo ripeto: dovremmo fare ricorso alla Corte Costituzionale come i tedeschi e chiedere che qualsivoglia decisione si prenda per equilibri di potenza nel governatorato del Mes debba prima essere approvata dal Parlamento. Poi, sappiamo bene che per modificare un trattato internazionale deve muoversi il presidente della Repubblica. E questo rende il tutto molto delicato. Ecco perché la modifica deve essere chiesta da tutti i partiti politici, non da una parte sola, perché altrimenti si mette il Capo dello Stato in un gravissimo imbarazzo. Ed è bene che ciò non avvenga. Va assolutamente evitato.
(Giulio Sapelli, dichiarazioni rilasciate a Marco Biscella per l’intervista “Solo un patto da Meloni a Leu può scongiurare il nuovo ’92″, pubblicata dal “Sussidiario” il 7 dicembre 2019).

Solo Alessandro Mangia, proprio sul “Sussidiario”, e lo spagnolo Agustin José Menendez hanno evidenziato una cosa che nessuno dice: con sottile astuzia il Mes non deriva da un Trattato europeo. È un trattato internazionale che passa per i rapporti diretti tra gli Stati, da cui deriva un veicolo finanziario gestito come se fosse sottoposto al diritto commerciale o al diritto dei mercati. L’astuzia sta nel fatto che, così facendo, questo trattato internazionale può essere firmato in Europa in modo quasi inavvertito, perché non deve passare dal Parlamento Europeo. Ma questa astuzia si rivela un grave pericolo per la stessa Europa. Il Mes nasce nel 2011, ma già nel 2012 in Germania ci sono stati centinaia di ricorsi contro il Mes alla Corte Costituzionale tedesca, quasi tutti indotti dalle banche tedesche. E la Corte di Karlsruhe ha dichiarato che il Mes è ineffettivo se non viene approvato dal Parlamento tedesco, e che garante di questo trattato è il presidente della Repubblica federale tedesca. Se solo qualche politico italiano se ne accorgesse e facesse ricorso alla Consulta, verrebbe giù tutto, perché il Mes diventerebbe inapplicabile. Non se ne sono ancora accorti, non hanno le competenze tecniche. E i politici italiani fanno le battaglie contro i mulini a vento.

Dovrebbero fare una cosa sola: presentare ricorso alla Corte Costituzionale. Questo renderebbe difficile per il gruppo di comando nella Commissione Ue poter prendere delle misure con il Mes. Il cuore del Mes è la ponderazione dei titoli di Stato. Corte CostituzionaleMa un anno fa – ed è stupefacente che non l’abbia ricordato nessuno – tutti i banchieri centrali del mondo, riuniti alla Bri, hanno rilasciato una dichiarazione comune, ribadendo che i titoli di Stato di tutti i paesi del mondo non devono essere ponderati. Perché l’unica al mondo a mettere in piedi questo marchingegno complicatissimo dovrebbe essere l’Ue? C’è qualcosa che non va. Qual è la ratio che può aver ispirato il Mes? Nessuna ratio, sono completamente impazziti. La burocrazia europea – che è una tecnocrazia mista, tecnici di nomina politica che non hanno vinto alcun concorso e che vengono spartiti in base a un manuale Cencelli a doppia entrata, Stati e partiti – funziona come tutte le burocrazie: pletorica, disinformata, arrogante e che talvolta fa piccoli colpi di Stato. Anche ai francesi il Mes non va bene, come dimostrano molte parole d’ordine delle manifestazioni di Parigi e di Digione. Non credo che lo vogliano, soprattutto se lo si applica per salvare le banche tedesche. Ma se l’immagina la reazione dei correntisti francesi, che non sono certo come quelli italiani, nel subire misure come il 2 per mille?

All’Italia è stato concesso un po’ di tempo prima della firma del Mes. Come dovremmo utilizzarlo? Si dovrebbe creare una Union Sacrée, da Fratelli d’Italia a LeU, tutti uniti per riformare il trattato europeo. Se fossimo un paese normale, dovremmo Sapelliaver chiaro che il Mes è un pericolo, come ha detto il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, quando ha parlato di «enormi rischi». Poi ha fatto marcia indietro. Perché? Ci sono state delle pressioni. Infatti nessuno ha notato il silenzio della Bce, a cui credo non piaccia il Mes. Tace perché rende evidente che non è la Bce il prestatore di ultima istanza. Bisogna stare alla larga dal Mes, non fa tutto quello che dicono i quadrumviri della subordinazione intellettuale: Gualtieri, Gentiloni, Amendola e Sassoli. Lo ripeto: dovremmo fare ricorso alla Corte Costituzionale come i tedeschi e chiedere che qualsivoglia decisione si prenda per equilibri di potenza nel governatorato del Mes debba prima essere approvata dal Parlamento. Poi, sappiamo bene che per modificare un trattato internazionale deve muoversi il presidente della Repubblica. E questo rende il tutto molto delicato. Ecco perché la modifica deve essere chiesta da tutti i partiti politici, non da una parte sola, perché altrimenti si mette il Capo dello Stato in un gravissimo imbarazzo. Ed è bene che ciò non avvenga. Va assolutamente evitato.

(Giulio Sapelli, dichiarazioni rilasciate a Marco Biscella per l’intervista “Solo un patto da Meloni a Leu può scongiurare il nuovo ’92″, pubblicata dalSussidiario” il 7 dicembre 2019).

In Italia la più alta densità di poliziotti per abitante. Siamo una “società caserma”?

http://contropiano.org/news/politica-news/2019/12/14/in-italia-la-piu-alta-densita-di-poliziotti-per-abitante-siamo-una-societa-caserma-0121963?fbclid=IwAR3ugQqbwrw6NsbsUz9fAHqHhr5RFEJ0zUD9myOBCp0Uwnbcjs03dxIaw8k

I reati sono in diminuzione, i crimini anche, eppure la realtà ci dice che in Italia siamo quelli che somigliano più di altri ad uno stato di polizia. Difficile da credere? No, al contrario.

Il decreto ministeriale del 4 settembre 2019 ha infatti previsto l’assunzione a tempo indeterminato di nuovi organici da inserire nelle forze dell’ordine nel nostro paese.  Ma oltre alle nuove assunzioni dovute al naturale turnover, si è andati ben oltre. Si prevede infatti l’assunzione complessiva di 11.192 unità (4.538 per l’Arma dei Carabinieri, 3.314 per la Polizia di Stato, 1.900 per la Guardia di Finanza, 1.440 per la Polizia Penitenziaria).

Eppure dal 2008 al 2018 i reati sono diminuiti: -39,8% gli omicidi; -33,3% le rapine; -8,5% i furti domestici, ma la “percezione” del 78% della popolazione è che la criminalità sia aumentata negli ultimi cinque anni. E’ avvenuto invece l’esatto contrario. Di sicuro,piuttosto, è aumentata l’informazione condotta in modo criminale, con i Tg che ormai sembrano dedicarsi solo alla cronaca nera quando ogni giorno ci sarebbero almeno dieci notizie più importanti da dare e da far conoscere.

E’ una realtà talmente palese che anche osservatori non certo prevenuti si domandano se sia davvero giustificato un aumento delle forze di polizia oltre al naturale turnover, In Italia fino al 2015 esistevano 5 principali forze dell’ordine a livello nazionale, caso unico nei paesi avanzati, ognuna dipendente da un ministero diverso: la Polizia di Stato dipende dal Ministero dell’Interno, i Carabinieri dal Ministero della Difesa, la Polizia Penitenziaria dal Ministero della Giustizia, la Guardia di Finanza dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Corpo Forestale dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali. Quest’ultimo però, con una decisione che ha suscitato molte  perplessità, è stato però incorporato nei Carabinieri.

Nel 2017 i quattro restanti corpi di polizia occupavano complessivamente circa 306mila unità (contro le circa 312mila del 2015, anno della riforma Madia), di cui 96.891 nella Polizia di Stato, 110.779 nei Carabinieri, 38.136 nella Polizia Penitenziaria e 60.069 nella Guardia di Finanza. In questo conteggio di uomini e donne in divisa, non sono state considerate però le Polizia municipali e provinciali (che dipendono dai Comuni e dalle Province sopravvissute a quello che doveva essere lo scioglimento) e la Guardia costiera (quest’ultima alle dipendenze sia del Ministero della Difesa, sia del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti).

In compenso, anzi per sciagura, in Italia ci sono in servizio solo 28.820 Vigili del Fuoco (e ne servirebbero almeno 40mila).

Nel 2016 (ultimo dato per cui sono disponibili confronti internazionali) il rapporto tra personale delle forze dell’ordine e popolazione in Italia era il più alto tra gli Stati fondatori in Europa. Se si allarga la sfera a tutti i paesi europei e non solo a quelli aderenti all’Unione Europea, su 35 Paesi considerati, l’Italia occupa l’ottava posizione, con 453 unità di polizia ogni 100mila abitanti contro una media europea di 355. La densità di divise procapite è più altra dell’Italia solo in Montenegro, Cipro, Grecia, Croazia, Malta, Macedonia, Lettonia. I principali Paesi europei paragonabili all’Italia presentano numero nettamente più bassi: il Regno Unito era a 211, la Francia a 320, la Spagna a 361 e  la Germania a 297.

Tutto questo ha anche un peso notevole sulla spesa pubblica. Infatti la spesa per “servizi di polizia” era di circa 22,6 miliardi di euro nel 2017 (circa 1,3 punti percentuali di Pil), ben al di sopra della media europea (0,9 per cento del Pil). Tra i maggiori paesi europei, solo la Spagna presentava nel 2017 un valore di spesa simile all’Italia (1,2 per cento di Pil).

Insomma viene da chiedersi. Ma se i reati diminuiscono, a cosa servono tutti questi agenti, carabinieri, vigili urbani etc etc? Non è che servono a salvaguardare solo la tranquillità dei ricchi e dei potenti? Deve essere così, visto che tre due governi sono riusciti a varare tre ben decreti sicurezza in soli tre anni (uno Minniti e due Salvini). E’ il liberismo che conforma una società come una caserma ma la chiama legalità, la loro.

14 Dicembre 2019 – © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: 14 Dicembre 2019, ore 7:13

Altro che clima: Greta Thunberg vale 100 trilioni di dollari

https://www.libreidee.org/2019/12/altro-che-clima-greta-thunberg-vale-100-trilioni-di-dollari/?fbclid=IwAR1Mv2SzdjJx1KpU7hKEFxrPheslVj6oKJP8Lg9sQbkZlh-u9UHjsqHlbHQ

Seriamente: Greta Thunberg vale 100 trilioni di dollari. Lo afferma William Engdahl, analista geopolitico e docente di rischio strategico. Laureatosi a Princeton, Engdahl è autore di bestseller su temi come le guerre del petrolio, e scrive in esclusiva “New Eastern Outlook”. Su “Global Research”, il newsmagazine dell’economista canadese Michel Chossudovsky, Engdahl aggiorna la mappa del mostruoso business planetario che sta dietro alla ragazzina svedese, usata per creare allarmismo attorno al surriscaldamento climatico, “venduto” come prodotto umano. Passo successivo: innescare il business del secolo, il cosiddetto Green New Deal, pilotato dal gotha finanza mondiale. Il piano: riversare trilioni di dollari «verso investimenti in società “climatiche” spesso senza valore». Nel 2013, dopo anni di attenta preparazione, una società immobiliare svedese, Vasakronan, ha emesso il primo “Green Bond” aziendale. Ne sono seguiti altri, promossi da Apple, Sncf e la  principale banca francese, Crédit Agricole. Nel novembre 2013 la Tesla Energy ha emesso il primo sistema di sicurezza “solare”. «Oggi, secondo una cosa chiamata Climate Bonds Initiative, oltre 500 miliardi di dollari in quelle obbligazioni verdi sono eccezionali. I creatori dell’idea obbligazionaria – scrive Engdahl – affermano che il loro obiettivo è quello di conquistare una quota importante dei 45 trilioni di dollari di attività gestite a livello globale che hanno preso l’impegno nominale di investire in progetti “climatici”».
Bonnie Prince Charles, futuro “monarca” del Regno Unito, insieme a Bank of England e City of London ha promosso “strumenti finanziari verdi”, guidati da Green Bonds, «per reindirizzare piani pensionistici e fondi comuni di investimento verso progetti verdi». Un attore chiave nel collegamento delle istituzioni finanziarie mondiali con l’agenda verde è Mark Carney, capo uscente della Banca d’Inghilterra. Nel dicembre 2015, il Financial Stability Board della Bank for International Settlements, presieduto poi da Carney, ha creato la task force sulla divulgazione finanziaria legata al clima (Tcfd), per consigliare «investitori, finanziatori e assicurazioni sui rischi legati al clima». Nel 2016, continua Engdahl, il Tcfd (insieme alla City of London Corporation e al governo del Regno Unito) ha avviato la Green Finance Initiative, con l’obiettivo di incanalare trilioni di dollari in investimenti “verdi”. I banchieri centrali dell’Fsb hanno nominato 31 persone per formare il Tcfd. Presieduta dal miliardario Michael Bloomberg, la cabina di regia include le persone chiave dei maggiori operatori finanziari del pianeta. Ci sono tutti: da Jp Morgan a BlackRock, uno dei più grandi gestori patrimoniali al mondo.
Nell’elenco giganteggiano Barclays e Hsbc, la banca Londra-Hong Kong (multata ripetutamente per riciclaggio di droga e altri fondi neri), Swiss Re (la seconda assicurazione più grande al mondo), la banca cinese Icvc, Tata Steel, Eni, Dow Chemical, il gigante minerario Bhp Billington e David Blood di Al Gore’s Generation Investment. «In effetti sembra che le volpi stiano scrivendo le regole per il nuovo Green Hen House», annota Engdahl. «Carney, della Bank of England, è stato anche un attore chiave negli sforzi per rendere la City di Londra il centro finanziario della Green Finance globale». Philip Hammond, già cancelliere britannico, nel luglio 2019 ha pubblicato un Libro bianco, “Strategia di finanza verde: trasformare la finanza per un futuro più verde”. Il documento afferma: «Una delle iniziative più influenti da far emergere è il Financial Stability Board Task Force del settore privato sulle comunicazioni finanziarie legate al clima (Tcfd), supportato da Mark Carney e presieduto da Michael Bloomberg. Ciò è stato approvato dalle istituzioni che rappresentano 118 trilioni di attività a livello globale». Il piano, spiega Engdahl, consiste nella finanziarizzazione dell’intera economia mondiale «usando la paura di uno scenario da fine del mondo per raggiungere obiettivi arbitrari come “emissioni zero di gas serra”».
L’onnipresente regina di Wall Street, Goldman Sachs, che ha generato tra gli altri Mario Draghi e lo stesso Carney, ha appena svelato il primo indice globale di titoli ambientali di alto livello, fatto insieme al Cdp con sede a Londra, finanziato insieme a investitori come Hsbc, Jp Morgan, Bank of America, Merrill Lynch, American International Group e il fondo State Street. Il nuovo indice borsistico, denominato Cdp Environment Ew e Cdp Eurozone Ew, «mira ad attirare fondi di investimento, sistemi pensionistici statali come Calpers (il sistema pensionistico dei dipendenti pubblici della California) e Calstrs (il sistema pensionistico degli insegnanti dello Stato della California) con un combinato di 600 miliardi di attività, da investire in obiettivi scelti con cura. Le società più votate nell’indice includono Alphabet, che possiede Google, Microsoft, Ing Group, Diageo, Philips, Danone e la stessa Goldman Sachs. «A questo punto – continua Engdahl – gli eventi assumono una svolta cinica quando ci troviamo di fronte ad attivisti climatici molto popolari e fortemente promossi come la svedese Greta Thunberg o la 29enne Alexandria Ocasio-Cortez di New York e il loro Green New Deal. Per quanto sinceri possano essere questi attivisti, c’è una macchina finanziaria ben oliata dietro la loro promozione a scopo di lucro».
Greta Thunberg, continua Engdahl, «fa parte di una rete ben collegata legata all’organizzazione di Al Gore», che viene «commercializzata in modo cinico e professionale e utilizzata da agenzie come le Nazioni Unite, la Commissione Europea e gli interessi finanziari dietro l’attuale agenda sul clima». Ricercatrice e attivista climatica canadese, Cory Morningstar documenta come in azione «una rete ben collegata ad Al Gore», definito «investitore e profittatore del clima enormemente ricco», presidente del gruppo Generation Investment. Il partner di Gore, David Blood, ex funzionario di Goldman Sachs, è membro del Tcfd creato dalla Banca dei Regolamenti Internazionali. «Greta Thunberg, insieme alla sua amica diciassettenne americana Jamie Margolin, è stata elencata come “consulente speciale per giovani e fiduciario” della Ong svedese “We Don’t Have Time”, fondata dal suo Ceo Ingmar Rentzhog». Rentzhog è membro dei leader dell’Organizzazione per la Realtà Climatica di Al Gore, e fa parte della task force per la politica climatica europea. È stato “addestrato” nel marzo 2017 da Al Gore a Denver e di nuovo nel giugno 2018 a Berlino. Il Progetto per la Realtà Climatica di Al Gore è partner di “We Don’t Have Time”.
«I legami tra i più grandi gruppi finanziari del mondo, le banche centrali e le società globali all’attuale spinta a una strategia climatica radicale per abbandonare l’economia dei combustibili fossili a favore di uneconomia verde vaga e inspiegabile, a quanto pare, valgono assai più della genuina preoccupazione di rendere il nostro pianeta un ambiente pulito e sano in cui vivere». Piuttosto, scrive Engdahl, quello degli “amici” di Greta è un programma di business intimamente legato all’Agenda 2030 dell’Onu, vocata all’economia “sostenibile” («e allo sviluppo letteralmente di trilioni di dollari di nuova ricchezza per le banche globali e i giganti finanziari»). Nel febbraio 2019, Jean-Claude Juncker accolse Greta alla Commissione Europea, fingendo di impegnarsi per il clima sulla scorta della denuncia della ragazzina. In realtà, spiega Engdahl, le «centinaia di miliardi di euro per combattere i cambiamenti climatici nei prossimi 10 anni» erano già in cantiere: decisione presa in collaborazione con la Banca Mondiale un anno prima, il 26 settembre 2018, al vertice di One Planet con le fondazioni di Bloomberg. Greta serviva solo come paravento etico per il business finanziario che usa il “green” per rastrellare fondi e lanciare prodotti speculativi.
Il 17 ottobre 2018, aggiunge Engdahl, Juncker ha firmato un memorandum d’intesa con Breakthrough Energy-Europe, in cui i partner «avranno accesso preferenziale a qualsiasi finanziamento». Nel club figurano Richard Branson di Virgin Air, Bill Gates, Jack Ma di Alibaba, Mark Zuckerberg di Facebook, Ray Dalio di Bridgewater. Ancora: Julian Robertson (Tiger Management) e poi David Rubenstein (Carlyle Group), nonché George Soros e il giapponese Masayoshi Son (Softbank). Avverte Engdahl: «Quando le multinazionali più influenti, i maggiori investitori istituzionali del mondo tra cui BlackRock e Goldman Sachs, le Nazioni Unite, la Banca Mondiale, la Banca d’Inghilterra e altre banche centrali della Bri si schierano dietro il finanziamento di una cosiddetta “agenda verde”, è tempo di guardare dietro la superficie delle campagne degli attivisti del clima». Quello che emerge è il tentativo di riorganizzare la finanza mondiale usando il clima come pretesto. Allarme: vogliono «cercare di convincere la gente comune a compiere sacrifici indicibili per “salvare il pianeta”». Già nel 2010, il capo dell’Ipcc, il gruppo intergovernativo dell’Onu sui cambiamenti climatici, Otmar Edenhofer, ammetteva: «Bisogna dire chiaramente che ridistribuiamo di fatto la ricchezza del mondo in base alla politica climatica». Parole esplicite: «Bisogna liberarsi dall’illusione che la politica internazionale sul clima sia una politica ambientale. Questo non ha quasi più nulla a che fare con la politica ambientale, con problemi come la deforestazione o il buco dell’ozono». Soldi, prima di tutto. Capito, gretini?

Seriamente: Greta Thunberg vale 100 trilioni di dollari. Lo afferma William Engdahl, analista geopolitico e docente di rischio strategico. Laureatosi a Princeton, Engdahl è autore di bestseller su temi come le guerre del petrolio, e scrive in esclusiva su “New Eastern Outlook”. Su “Global Research“, il newsmagazine dell’economista canadese Michel Chossudovsky, Engdahl aggiorna la mappa del mostruoso business planetario che sta dietro alla ragazzina svedese, usata per creare allarmismo attorno al surriscaldamento climatico, “venduto” come prodotto umano. Passo successivo: innescare il business del secolo, il cosiddetto Green New Deal, pilotato dal gotha finanza mondiale. Il piano: riversare trilioni di dollari «verso investimenti in società “climatiche” spesso senza valore». Nel 2013, dopo anni di attenta preparazione, una società immobiliare svedese, Vasakronan, ha emesso il primo “Green Bond” aziendale. Ne sono seguiti altri, promossi da Apple, Sncf e la  principale banca francese, Crédit Agricole. Nel novembre 2013 la Tesla Energy ha emesso il primo sistema di sicurezza “solare”. «Oggi, secondo una cosa chiamata Climate Bonds Initiative, oltre 500 miliardi di dollari in quelle obbligazioni verdi sono eccezionali. I creatori dell’idea obbligazionaria – scrive Engdahl – affermano che il loro obiettivo è quello di conquistare una quota importante dei 45 trilioni di dollari di attività gestite a livello globale che hanno preso l’impegno nominale di investire in progetti “climatici”».

Bonnie Prince Charles, futuro “monarca” del Regno Unito, insieme a Bank of England e City of London ha promosso “strumenti finanziari verdi”, guidati da Green Bonds, «per reindirizzare piani pensionistici e fondi comuni di investimento Greta Thunbergverso progetti verdi». Un attore chiave nel collegamento delle istituzioni finanziarie mondiali con l’agenda verde è Mark Carney, capo uscente della Banca d’Inghilterra. Nel dicembre 2015, il Financial Stability Board della Bank for International Settlements, presieduto poi da Carney, ha creato la task force sulla divulgazione finanziaria legata al clima (Tcfd), per consigliare «investitori, finanziatori e assicurazioni sui rischi legati al clima». Nel 2016, continua Engdahl, il Tcfd (insieme alla City of London Corporation e al governo del Regno Unito) ha avviato la Green Finance Initiative, con l’obiettivo di incanalare trilioni di dollari in investimenti “verdi”. I banchieri centrali dell’Fsb hanno nominato 31 persone per formare il Tcfd. Presieduta dal miliardario Michael Bloomberg, la cabina di regia include le persone chiave dei maggiori operatori finanziari del pianeta. Ci sono tutti: da Jp Morgan a BlackRock, uno dei più grandi gestori patrimoniali al mondo.

Nell’elenco giganteggiano Barclays e Hsbc, la banca Londra-Hong Kong (multata ripetutamente per riciclaggio di droga e altri fondi neri), Swiss Re (la seconda assicurazione più grande al mondo), la banca cinese Icvc, Tata Steel, Eni, Dow Chemical, il gigante minerario Bhp Billington e David Blood di Al Gore’s Generation Investment. «In effetti sembra che le volpi stiano scrivendo le regole per il nuovo Green Hen House», annota Engdahl. «Carney, della Bank of England, è stato anche un attore chiave negli sforzi per rendere la City di Londra il centro finanziario della Green Finance globale». Philip Hammond, già cancelliere britannico, nel luglio 2019 ha pubblicato un Libro bianco, “Strategia di finanza verde: trasformare la finanza per un futuro più verde”. Il documento afferma: «Una delle iniziative più influenti da far emergere è il Financial Stability Board Task Force del settore privato sulle comunicazioni finanziarie legate al clima (Tcfd), supportato da Mark Carney e presieduto da Michael Bloomberg. Ciò è stato approvato dalle istituzioni che rappresentano 118 trilioni di attività a livello globale». Il piano, Mark Carneyspiega Engdahl, consiste nella finanziarizzazione dell’intera economia mondiale «usando la paura di uno scenario da fine del mondo per raggiungere obiettivi arbitrari come “emissioni zero di gas serra”».

L’onnipresente regina di Wall Street, Goldman Sachs, che ha generato tra gli altri Mario Draghi e lo stesso Carney, ha appena svelato il primo indice globale di titoli ambientali di alto livello, fatto insieme al Cdp con sede a Londra, finanziato insieme a investitori come Hsbc, Jp Morgan, Bank of America, Merrill Lynch, American International Group e il fondo State Street. Il nuovo indice borsistico, denominato Cdp Environment Ew e Cdp Eurozone Ew, «mira ad attirare fondi di investimento, sistemi pensionistici statali come Calpers (il sistema pensionistico dei dipendenti pubblici della California) e Calstrs (il sistema pensionistico degli insegnanti dello Stato della California) con un combinato di 600 miliardi di attività, da investire in obiettivi scelti con cura. Le società più votate nell’indice includono Alphabet, che possiede Google, Microsoft, Ing Group, Diageo, Philips, Danone e la stessa Goldman Sachs. «A questo punto – continua Engdahl – gli eventi assumono una svolta cinica quando ci troviamo di fronte ad attivisti climatici molto popolari e fortemente promossi come la svedese Greta Thunberg o la 29enne Alexandria Ocasio-Cortez di New York e il loro Green New Deal. Per quanto sinceri possano essere questi attivisti, c’è una macchina finanziaria ben oliata dietro la loro promozione a scopo di lucro».

Greta Thunberg, continua Engdahl, «fa parte di una rete ben collegata legata all’organizzazione di Al Gore», che viene «commercializzata in modo cinico e professionale e utilizzata da agenzie come le Nazioni Unite, la Commissione Europea e gli interessi finanziari dietro l’attuale agenda sul clima». Ricercatrice e attivista climatica canadese, Cory Morningstar documenta come in azione «una rete ben collegata ad Al Gore», definito «investitore e profittatore del clima enormemente ricco», presidente del gruppo Generation Investment. Il partner di Gore, David Blood, ex funzionario di Goldman Sachs, è membro del Tcfd creato dalla Banca dei Regolamenti Internazionali. «Greta Thunberg, insieme alla sua amica diciassettenne americana Jamie Margolin, è stata elencata come “consulente speciale per giovani e fiduciario” della Ong svedese “We Don’t Have Time”, fondata dal suo Ceo Ingmar Rentzhog». Rentzhog è membro dei leader dell’Organizzazione per la Realtà Climatica di Al Gore, Al Goree fa parte della task force per la politica climatica europea. È stato “addestrato” nel marzo 2017 da Al Gore a Denver e di nuovo nel giugno 2018 a Berlino. Il Progetto per la Realtà Climatica di Al Gore è partner di “We Don’t Have Time”.

«I legami tra i più grandi gruppi finanziari del mondo, le banche centrali e le società globali all’attuale spinta a una strategia climatica radicale per abbandonare l’economia dei combustibili fossili a favore di un’economia verde vaga e inspiegabile, a quanto pare, valgono assai più della genuina preoccupazione di rendere il nostro pianeta un ambiente pulito e sano in cui vivere». Piuttosto, scrive Engdahl, quello degli “amici” di Greta è un programma di business intimamente legato all’Agenda 2030 dell’Onu, vocata all’economia “sostenibile” («e allo sviluppo letteralmente di trilioni di dollari di nuova ricchezza per le banche globali e i giganti finanziari»). Nel febbraio 2019, Jean-Claude Juncker accolse Greta alla Commissione Europea, fingendo di impegnarsi per il clima sulla scorta della denuncia della ragazzina. In realtà, spiega Engdahl, le «centinaia di miliardi di euro per combattere i cambiamenti climatici nei prossimi 10 anni» erano già in cantiere: decisione presa in collaborazione con la Banca Mondiale un anno prima, il 26 settembre 2018, al vertice di One Planet con le William Engdahlfondazioni di Bloomberg. Greta serviva solo come paravento etico per il business finanziario che usa il “green” per rastrellare fondi e lanciare prodotti speculativi.

Il 17 ottobre 2018, aggiunge Engdahl, Juncker ha firmato un memorandum d’intesa con Breakthrough Energy-Europe, in cui i partner «avranno accesso preferenziale a qualsiasi finanziamento». Nel club figurano Richard Branson di Virgin Air, Bill Gates, Jack Ma di Alibaba, Mark Zuckerberg di Facebook, Ray Dalio di Bridgewater. Ancora: Julian Robertson (Tiger Management) e poi David Rubenstein (Carlyle Group), nonché George Soros e il giapponese Masayoshi Son (Softbank). Avverte Engdahl: «Quando le multinazionali più influenti, i maggiori investitori istituzionali del mondo tra cui BlackRock e Goldman Sachs, le Nazioni Unite, la Banca Mondiale, la Banca d’Inghilterra e altre banche centrali della Bri si schierano dietro il finanziamento di una cosiddetta “agenda verde”, è tempo di guardare dietro la superficie delle campagne degli attivisti del clima». Quello che emerge è il tentativo di riorganizzare la finanza mondiale usando il clima come pretesto. Allarme: vogliono «cercare di convincere la gente comune a compiere sacrifici indicibili per “salvare il pianeta”». Già nel 2010, il capo dell’Ipcc, il gruppo intergovernativo dell’Onu sui cambiamenti climatici, Otmar Edenhofer, ammetteva: «Bisogna dire chiaramente che ridistribuiamo di fatto la ricchezza del mondo in base alla politica climatica». Parole esplicite: «Bisogna liberarsi dall’illusione che la politica internazionale sul clima sia una politica ambientale. Questo non ha quasi più nulla a che fare con la politica ambientale, con problemi come la deforestazione o il buco dell’ozono». Soldi, prima di tutto. Capito, gretini?

PERCHÉ NON VOLEVANO FAR PARLARE BASHAR EL ASSAD —- DI STRAGE IN STRAGE. E’ IL CAPITALISMO, BELLEZZA!

https://fulviogrimaldi.blogspot.com/2019/12/perche-non-volevano-far-parlare-bashar.html

MONDOCANE

GIOVEDÌ 12 DICEMBRE 2019

 

La sciagura a cinque stelle si chiama Di Maio-Grillo

Visto che dell’angustiante tema ci siamo tutti occupati intensamente, ma che non è l’oggetto del pezzo di oggi, premetto subito al resto, che il voto pro MES (il nuovo e peggiore cappio salva-Germania e ammazza-Stati del Sud) con l’impudico rinvio a ulteriori “pacchetti” bancari, è l’ennesima dimostrazione della sciagura Di Maio-Grillo e poltronari scombinati vari. Ma non è sciagura Cinquestelle. Per cui ringrazio i quattro parlamentari che hanno votato NO e insisto a trarne auspicio per un ritorno in orbita delle cinque stelle, una volta presa larga, larghissima coscienza, in alto e soprattutto in basso, della sciagura di cui sopra. Per aspera ad astra, mai vero come oggi.

A Byoblu su Rai e Assad

Nella tavola rotonda di giorni fa messa in onda da Byoblu, il canale web di Claudio Messora, che costituisce una delle migliori presenze audiovisive dell’intero panorama mediatico nazionale, si discuteva dell’incredibile traccheggiamento della Rai sull’intervista di Monica Maggioni al presidente siriano Bashar el Assad. Per comprensibili ragioni di pluralistico giro d’orizzonte, erano stati invitati, oltre a me, anche altri tre colleghi, di cui due dichiaratamente “ortodossi” (e ci capiamo). Figuratevi, uno era Fausto Biloslavo e non dico di più, se no finisce come quella volta che un fascista mi querelò (per poi essere mandato per fratte dal giudice) per come avevo trattato le sue balle sulla Libia. Un altro, invece, fece spallucce quando imputai il comportamento della Rai a occultamento per ragioni politiche, di censura politica. Difensore dell’illibatezza della categoria, provò a ridicolizzare l’argomento definendolo “arcaico”. Intendeva che l’omettere una notizia sarebbe pratica di tempi remoti (ridete pure). Dell’omissione come principale tecnica di disinformazione, la più facile, efficace e incontestabile, ho scritto nel post “Achtung Banditen!” Su Assad e occultamenti torno dopo.

Stragi di Stato e di padroni

E’ la ricorrenza dell’invenzione degli attentati terroristici in Italia, nostra prerogativa di sicari, grande tradizione di mandanti Usa. Sui giornali si citano e si mostrano una serie di libri su Piazza Fontana. Non c’è “La strage di Stato”, che ne fu il primo. Quello che alcuni bravi compagni, tra cui Marco Ligini, Edgardo Pellegrini e Marco Ventura, assistiti da tutta Lotta Continua, a dispetto di trucchi e sgambetti dei servizi responsabili, compilarono a proprio rischio e pericolo in pochi mesi dopo la strage. Un documento volutamente accantonato, perché incontestabile circa le responsabilità, la manovra Valpreda-anarchici, il volo dalla Questura di Calabresi dell’anarchico Pinelli, gli americani, come sempre. Da lì sono partiti tanti capitoli, arrivati fino a oggi, con protagonisti sempre uguali, sempre gli Usa e il suo baluardo nel Vicino Oriente, con l’ingresso in campo alla grande della mafia, vecchia consociata DC e Usa, a partire dal rapimento Moro e a finire ieri, con Borsellino.

Come Pasolini e con Dante abbiamo imparato che il padrone, qualsiasi forma assuma, da Erode a Obama, ha una coscienza potenzialmente tanto nera da essere disposto a qualsiasi atrocità, strage, genocidio, se pensa che solo una briciola della sua capacità di sottomettere, sfruttare, rubare viene messa in discussione. Il sindaco Sala ha chiesto scusa ai figli di Pinelli. E Mario Calabresi, figlio del commissario, no? Antico laboratorio, sempre operativo, l’Italia, nel Mediterraneo, cuore del mondo.

Con Milosevic come con Assad

Rivado a un ricordo già evocato. 2001, gli squadristi Otpor di Soros e della Cia imperversano contro Milosevic, per completare il regime change lanciato con le bombe da Bush, Nato, Gerhard Schroeder (SPD!), Woytila, D’Alema. Inviato di “Liberazione” a Belgrado, dalle bombe del 1999 alla caduta della Serbia libera e socialista, torno a Roma tutto contento per una fantastica intervista a Slobodan Milosevic, a casa sua, con intorno la famiglia, una specie di testamento morale e politico, un quadro del presente e del futuro della Serbia e del mondo da far entusiasmare e rabbrividire. L’ultima mai data da l presidente Jugoslavo. Rina Gagliardi, PRC, vicedirettrice con i baffi e le zanne, me la rifiuta e così Salvatore Cannavò, caporedattore, che già mi aveva cestinato di nascosto alcuni reportage. “Ci appiattiremmo troppo su Milosevic” fu la spiegazione di questi finti giornalisti che già avevano sentito il vento che tirava. Poi la pubblicò, tagliata, Il Corriere della Sera. Con la stessa scusa avevano tolto la parola a me e al politico sgradito ai potenti, altri due per i quali lavoravo da Belgrado (gratis): Scaramucci di Radio Popolare e il vignettista specializzato a prendersela con i bersagli sgraditi alla generalità, Stefano Disegni, oggi al Fatto Quotidiano e ieri direttore di una rivista comica.

Libertà di stampa all’Occidentale

La pratica di cucire bocche per non farne uscire parole sconvenienti o imbarazzanti vede gareggiare sinistra e destra per il primato. La voce dell’altro, quella che rompe lo specchio deformante davanti al quale pongono gli eventi tutti i MSM, main stream media, la grande stampa d’Occidente, è il nemico mortale. Potrebbe essere la quinta colonna all’interno del campo occidentale. Difforme dalla narrazione a noi servita, rischia di aprire squarci di verità (ci salviamo grazie a gente come Byoblu, ai russi e a strepitosi siti nord- e sudamericani).

 Baghdad, Belgrado

Ero a Belgrado e hanno subito raso al suolo il palazzo della TV, con 13 persone dentro. Non hanno sfiorato Radio B92, quella di Soros, cara a Casarini quanto lo sono tutte le creature del bandito speculatore. Ero a Bagdad e nel secondo giorno di bombardamenti, dalla mia finestra al Mansour Hotel, ho visto esplodere in fiamme il palazzo delle Poste e la torre di trasmissione tv e, un attimo dopo, il Ministero dell’Informazione, adiacente all’albergo. Ero a Damasco e indovinate cosa hanno polverizzato nelle prime ore. E a Tripoli, guarda le coincidenze, m’è capitato di vedere la stessa cosa. La voce dell’altro non deve essere sentita. La parola dell’altro è come il soffio su un castello di carte. E la consorteria della libera stampa tutta zitta. Come su Assange, l’ultimo martire della libertà di stampa come concepita nel nostro emisfero.

Assad: Censura solo politica

Veniamo a noi, che stiamo con Bashar dal primo giorno e durasse la guerra per altri vent’anni. Sappiamo che né lui, né il suo eroico popolo che da otto anni resistono a mezzo mondo e ai suoi strumenti più turpi, cederanno mai. Li chiamano i prussiani del Medioriente, nel senso migliore del termine. Mentre altri interlocutori a Byoblu cercavano di salvare la tremenda figuraccia dei vari caudilli Rai, riducendola a peccatucci, come il groviglio della burocrazia, gelosie interne, disamore per la Maggioni, incompetenza della stessa in quanto non responsabile di testata giornalistica e simili sciocchezzuole depistanti, mi permettevo di opporre la ragione politica. Nella nostra deprimente condizione, la ragione di Stato. Nel senso di PD, FI, IV, FdI, SI, PaP, Radicali vari, un po’ di M5S, Quirinale e Vaticano. E UE, e Washington e Nato.

L’intervista intera ce l’avete nei link, in inglese. Forse gira già, o girerà una traduzione italiana. Purtroppo, con un occhio solo a seguito di intervento per cataratta, faccio già abbastanza fatica con questo papiro qua.

https://youtu.be/qSIjcYTByKI    intervista Assad video

https://www.analisidifesa.it/2019/12/lintervista-a-bashar-assad-che-la-rai-autocensura-video/     intervista scritta

L’intervista è formidabile. Punto a favore di Assad e a sfavore della pubblicazione. Merito ne va anche a Monica Maggioni, che da presidente Rai ha fatto quel che ha fatto, ma qui ha fatto la giornalista. Quei colleghi (?) a Byoblu hanno anche detto che Rai News 24, Di Bella, e altri avrebbero fatto storie perché la Maggioni gli è sgradita. Risatona. Maggioni è vicepresidente della Trilateral di Kissinger e Rockefeller e membro di Bilderberg, cioè della cosiddetta Cupola globale. Le basta schioccare le dita per far uscire quello che vuole lei, o la Cupola (in questo caso Cupola convinta che bisogna riappropriarsi di Assad, il vincitore netto, troppo prezioso per lasciarlo a un elefante nella cristalleria come Erdogan, o a un rivale grande e grosso come Putin). Lo stesso discorso vale per il “groviglio burocratico” che, davanti a un’autrice come quella e a uno scoop di tale portata, verrebbe tagliato meglio che il nodo gordiano da Alessandro Magno.

Tutte grullaggini, cialtronaggini, scuse. La casta della categoria (quasi tutta, tranne alcuni in rete e molti precari frustrati) doveva salvare la faccia. Sapeva che perfino il New York Times, la Cupola dei falsari di prima classe, avrebbe pubblicato l’intervista, anche se poi l’avrebbe soffocata nei miasmi di editoriali proni a Netaniahu. Non avrebbe potuto trattarla come ha trattato la candidata alle primarie democratiche, Tulsi Gabbard, (soppressa dal “manifesto” perchè da Hillary subito classificata “agente di Putin” per aver denunciato le guerre Usa e aver incontrato Assad), perchè la Maggioni è la Maggioni. E’della casata giusta..

Basta leggere l’intervista per capire come i servitori pubblici Rai si siano dimenati come epilettici per evitare che, stavolta, la “voce dell’altro” fosse udita. Alla fine hanno chiuso la voragine professionale mettendola in onda su un canale di scherzetti e dolcetti, Rai Play, e un’ora dopo Damasco. Una toppa che pare il grembiule di un monatto del ‘600.

Una voce a sgretolare tutte le voci

Assad richiama l’ignominia di un OPAC (Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche) che, per avallare la bufala di un attacco chimico siriano a Douma, mai avvenuto, cancella la relazione di due suoi esperti. In Italia sull’enorme scandalo, pur filtrato in rete e che include anche le stragi dei bombardamenti “punitivi” Usa, tutti hanno messo una pietra tombale. Adesso Assad la tira via: stampa italiana e bombe Usa svergognate, Siria riabilitata. Inaccettabile.

Dal “manifesto” con i pupazzetti della cosiddetta sinistra radicale, attraverso il PD, fino ai detriti su cui galleggia il vecchietto di Arcore, con appresso i media di complemento, tutte vocine e vocione del Dipartimento di Stato, relative Ong e piazze sardinate, una volta esaurita la satanizzazione di Assad, davanti all’evidenza di 8 anni di efferatezze Nato e del mercenariato jihadista, o curdo, si salvavano l’anima dietro il paravento europeo. Europa che, dopotutto, non lanciava missili su città siriane, né reclutava e pagava terroristi, come invece Usa e Israele.

Europa terrorista?

Invece da Assad il ruolo assassino dell’Europa è venuto fuori in tutta la sua ipocrisia e nefandezza. Intanto per la partecipazione nella Nato di britannici, francesi, italiani, tedeschi e, per un po’, spagnoli, oltrechè degli Stati criptonazisti del Baltico. Poi la russofobia, sinofobia, iranofobia, hezbollahfobia di tutti quanti, a sostegno della belluina propaganda di guerra occidentale. Infine l’alleanza politica, sentimentale, armaiola con la peggiore feccia dispotico-fondamentalista del Golfo. E, a coronare il tutto, un papa che ha l’impudenza di ignorare il carnefice e indirizzare alla vittima, sotto forma di lettera al presidente, la prece di “smetterla con la violenza e di maltrattare i prigionieri”!. Ce n’era per spaventare a morte i Foa, i Salini, i Di Bella, suor Paterniti e tutto il cucuzzaro dell’informazione Rai.

Infine, l’indicibile detto da Assad è anche il ruolo, il sacrificio e la vittoria dell’Esercito Arabo Siriano in otto anni di guerra contro quanto messo in campo dal democratico Occidente, tra gangsterismo bombarolo e necrofagia jihadista e turca. Vittoria possibile soltanto grazie al supporto del popolo per i suoi soldati e il loro comandante supremo. La valente stampa italiana di ogni indirizzo, per spiegare la sconfitta dei jihadisti, aveva dovuto rifugiarsi tra i curdi, preferibili perchè al servizio dei nostri alleati Usa. Tacendo ovviamente che costoro erano usciti dalla loro enclave storica in quanto manovalanza per la costruzione delle basi Usa e per fare pulizia etnica di un terzo della Siria araba. Allora diventa difficile per la libera e valente stampa italiana sentire il capo dello Stato siriano illustrare, alla mano di fatti incontrovertibili, che la sconfitta dei briganti Al Qaida e Isis in tutta la Siria, tranne nelle parti occupate da Erdogan, era merito anche degli amici libanesi e iraniani, ma in misura decisiva dell’esercito nazionale siriano che, a dispetto dell’immane potenza del nemico, dell’immane sangue versato, del veleno mediatico versatogli addosso, di quasi 6 milioni di esuli o sradicati, esiste, resiste, avanza e vince. Nella Storia è difficile trovare qualcosa di simile.

Non solo Kobane. Asma Assad con soldatesse siriane

La Rai s’era tappata le orecchie e la vista e aveva voluto tapparli anche a noi tutti. Assad gli ha strappato le mani dalla nostra faccia. Fausto Biroslavo ha tentato la fortuna deviando il discorso sul tema-ciambella di salvataggio: “Il dittatore Assad, ha insanguinato per anni la Siria”. Il bravo inviato di tutte le testate Rai, non s’era accorto che Assad era stato eletto e rieletto in libere elezioni, attestate da osservatori ONU. Però c’era, in effetti, un po’ di sangue siriano sparso, quasi un oceano dal deserto al mare, estratto da mercenari e succhiato da signori che sui nostri schermi non sfigurano mai. Ma camminandovi con gli stivali da acqua alta, il bravo inviato RAI non se n’è accorto. E i suoi colleghi avevano altro cui pensare. Tipo, le traversate in yacht di lusso di Greta, le allegre sardine di Saviano, Revelli e Pascale, o i perseguitati incendiari di Hong Kong.

Nibal Madhat Badr, generale dell’Esercito Arabo Siriano

 

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 20:54

SOMMET DE PAU REPORTE : MALI, NIGER, LES 2 GIFLES RECUES PAR MACRON

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Luc MICHEL pour EODE/

Quotidien géopolitique – Geopolitical Daily/

2019 12 12/

VIDEO.FLASH.GEOPOL - Pau reporté - amtv (2019 12 12) FR (2)

Emmanuel Macron a conditionné, ce mercredi 4 décembre 2019, le maintien de l’opération Barkhane à une clarification des pays de G5 Sahel, concernant la présence militaire de la France dans la région, sur fond de “mouvements anti-français”. Ainsi il a convoqué les dirigeants africains à Pau en France. Boycotté par les dirigeants africains, le président Macron s’est trouvé dans l’obligation de reporter ce sommet sous prétexte de manifester « son soutien et sa solidarité » à son homologue nigérien suite à l’attaque de la garnison à Inates.

J’ai analysé pour LIGNE ROUGE, la matinale d’AFRIQUE MEDIA de ce vendredi 13 décembre les véritables raisons de l’échec de Macron :

* Voir sur LUC-MICHEL-TV/

LIGNE ROUGE DU 2019 12 13.

LES RAISONS DE L’ANNULATION DU SOMMET DE PAU

sur https://vimeo.com/379151927

* 1er Thème de l’émission :

SAHEL: LA FRANCE REPORTE LE SOMMET DE PAU « SUITE À L’ATTAQUE JIHADISTE À INATES »

J’y explique le dessous des cartes de l’annulation du Sommet de Pau par Macron. D’une part la révolte des chefs d’Etat africain et d’autre part l’expulsion du Mali du chef du bureau de la Minusma à Kidal Christophe Sivillon, de nationalité française, sont les véritables raisons de l’échec de Macron …

L’ACTU DEBATTUE :

1- SAHEL:

LA FRANCE REPORTE LE SOMMET DE PAU SUITE À L’ATTAQUE JIHADISTE À INATES (RFI)

L’Élysée a annoncé qu’en raison de l’attaque jihadiste mardi au Niger, le président français Emmanuel Macron, en accord avec son homologue nigérien Mahamadou Issoufou, a décidé de reporter à début 2020 le sommet avec les dirigeants des cinq pays du Sahel prévu en France le 16 décembre (…)

Polémique sur l’invitation :

L’annonce de ce sommet avait suscité de nombreuses critiques, l’invitation du chef de l’État français ayant été perçue par certains comme une convocation. Pourtant, quelques heures avant, la présidence française avait indiqué que tous les chefs d’État du G5 avaient « confirmé » leur présence au sommet de Pau samedi. Une annonce contredite dans la soirée par le président burkinabè. Au cours d’un entretien télévisé Roch Marc Christian Kaboré a en effet annoncé que les chefs d’État du G5 Sahel allaient d’abord se concerter pour adopter une position commune, ajoutant que le ton et la forme de l’invitation avaient manqué de tact, et engendré un tollé au sein de l’opinion africaine. « Le partenariat doit être respectueux des uns et des autres, a précisé le président burkinabè. J’estime que le ton et les termes employés avant l’invite posent problème parce que c’est le contenu des débats qu’on doit avoir ensemble. Cela signifie que nous devons avoir des rapports de respect mutuel. »

2- MINUSMA:

LE MALI DÉCLARE LE CHEF DU BUREAU DE LA MINUSMA À KIDAL PERSONA NON GRATA (AFP)

Le chef du bureau de la Minusma à Kidal a été démis de ses fonctions et déclaré persona non grata par Bamako, suite à des propos polémiques sur la ville de Kidal début décembre.

Christophe Sivillon, de nationalité française, avait déjà été relevé de ses fonctions de chef du bureau de la Minusma à Kidal par sa hiérarchie avant la décision du Mali de le déclarer persona non grata. Le diplomate onusien a désormais 24h pour quitter le territoire national. Il était, ce mardi 10 décembre, dans un avion en partance de Kidal vers Bamako lorsque le ministre malien des Affaires étrangères a fait sa déclaration officielle. « Le Premier ministre et le gouvernement ont décidé de déclarer persona non grata le chef du bureau régional de la Minusma à Kidal pour les propos qu’il a tenus la semaine dernière », a déclaré Tiébilé Dramé devant la presse. Un autre fonctionnaire de l’ONU à Kidal a été nommé pour assurer l’intérim du poste.

« Des délégations venues du Mali » :

Lors de l’ouverture du congrès du mouvement armé indépendantiste MNLA (Mouvement national de libération de l’Azawad), qui s’est tenu à Kidal – ville malienne sous contrôle de l’ex-rébellion – celui qui était alors encore le numéro 1 local de la Minusma avait souhaité la bienvenue aux « invités et membres des délégations venues du Mali et de l’étranger ». Des propos aussitôt condamnés avec fermeté par la société civile et le gouvernement malien, estimant que cette déclaration pouvait laisser penser que Kidal ne relevait pas de la souveraineté malienne. Dès lors, le sort de Christophe Sivillon était scellé. L’ONU voulait, semble-t-il, un départ sans fracas. Bamako, très remonté, était visiblement partisan de la manière forte. Selon un observateur – cette phrase qui a circulé sur les réseaux sociaux et provoqué une levée de bouclier – a été sortie de son contexte et tronqué.

(Sources : Le Figaro – AFP – Afrique Média – EODE Think Tank)

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE

* Avec le Géopoliticien de l’Axe Eurasie-Afrique :

Géopolitique – Géoéconomie – Géoidéologie – Géohistoire –

Géopolitismes – Néoeurasisme – Néopanafricanisme

(Vu de Moscou et Malabo) :

PAGE SPECIALE Luc MICHEL’s Geopolitical Daily

https://www.facebook.com/LucMICHELgeopoliticalDaily/

________________

* Luc MICHEL (Люк МИШЕЛЬ) :

WEBSITE http://www.lucmichel.net/

PAGE OFFICIELLE III – GEOPOLITIQUE

https://www.facebook.com/Pcn.luc.Michel.3.Geopolitique/

TWITTER https://twitter.com/LucMichelPCN

LUC-MICHEL-TV https://vimeo.com/lucmicheltv

* EODE :

EODE-TV https://vimeo.com/eodetv

WEBSITE http://www.eode.org/

LINKEDIN https://www.linkedin.com/in/luc-michel-eode-600661163/

NO TAV: la nostra lotta per la giustizia ambientale e climatica

https://www.notav.info/post/no-tav-la-nostra-lotta-per-la-giustizia-ambientale-e-climatica/

notav.info

14 Dicembre 2019 at 21:00

 Pubblichiamo qui di seguito la lettera e il dossier che è stato consegnato a Greta

NO TAV: la nostra lotta per la giustizia ambientale e climatica

Sappiamo che la lotta al cambiamento climatico è un argomento talmente ampio e complesso che non può essere ridotto solamente alla lotta contro le grandi opere, ma siamo altrettanto consapevoli che: “pensare globale, agire locale” non deve essere solo uno slogan, ma l’unico modo con cui ognuno di può cambiare realmente le cose: modificando il proprio stile di vita, sostenere le lotte locali e prendersi cura del proprio territorio e lottare contro il tav significa salvare un territorio dalla devastazione.

Il solo inizio dei lavori ha già causa ha già causato milioni di tonnellate di anidride carbonica oltre all’abbattimento di circa 5500 alberi e la quasi estinzione di alcune piccole specie animali presenti solo in pochi metri di quel territorio, che ora, sarà quasi totalmente cementificato, devierà le falde acquifere sotterranee e diffonderà amianto e polveri dannose nell’aria aumentando le malattie cardio vascolari.

I miliardi che quest’opera richiederebbe dovrebbero essere spesi nella diffusione di energie rinnovabili, nel trasporto pubblico e nella messa in sicurezza del territorio e per opere locali.

Noi Fridays for future Val Susa sosteniamo la lotta no tav perché significa costruire una società migliore più giusta, sostenibile e più egualitaria.

Firmatari:

Fridays for future Val Susa Fridays for future Val Sangone Movimento No Tav

Festival Alta Felicità Comitato Giovani No Tav

Eng version

NO TAV: our ght for environmental and climate justice

We know that climate change is such a complex topic, and fighting it cannot be done by only focusing on major infrastructure projects, but we believe that “think global, act local” is not just a slogan: this is the only way we can change reality. We must support local needs and look after our territory.

Fighting against TAV means saving our land from devastation.

Just starting the construction of the building site caused millions of tons of carbon dioxide emissions, hundreds of trees were destroyed and some very rare animal species whose habitat corresponds with the area of the building site could go extinct.

This part of the land will be completely concreted over and asbestos and fine dust will be spread into the air. The enormous amount of money that would be requested for this major infrastructure project should be  used to increase renewable energy production, to boost and upgrade public transportation, to secure the territory and local workplaces.

We as Fridays for Future Val Susa support the fight against TAV in order to build a more sustainable, fair and equal society.

Signatories:

Fridays for future Val Susa

Fridays for future Val Sangone

Movimento No Tav

Festival Alta Felicità

Comitato Giovani No Tav

DOSSIER TAV.onepage_ITALIAN VERSION

DOSSIER TAV.onepage_EN VERSION

REVUE DE PRESSE : ‘AU MOMENT DU SOMMET RUSSIE-AFRIQUE A SOTCHI, QUELLE EST LA GEOPOLITIQUE AFRICAINE ?’ (NHM MAGAZINE)

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Luc MICHEL pour EODE/

Complément pour le Quotidien géopolitique – Geopolitical Daily/

2019 12 13/

RP LM.GEOPOL - NHM géopol africaine sotchi lm (2019 12 13) FR (1)

Mes analyses géopolitiques quotidiennes sont de plus en plus reprise sur des sites alternatifs, certains sur une base régulières : NHM au Cameroun, SITA à Beyrouth, PALESTINE-SOLIDARITE à Paris, GENERAL RUSSO en Italie, ou encore nos confrères des ‘7 DU QUEBEC’.

Précisément NOUVEAUX HORIZONS MAGAZINE, un hedo imprimé à l’ancienne vient de publier à DOUALA ce 28 novembre 2019 l a grande analyse géopolitique du géopoliticien Luc MICHEL sur «la Géopolitique africaine». Ou comment il faut penser la Géopolitique africaine en cette fin 2019 à l’heure du 1er Sommet Russie-Afrique à Sotchi …

# LUC MICHEL/

COMPRENDRE LES TOURNANTS DE LA GEOPOLITIQUE AFRICAINE AU XXIE SIECLE :

AU MOMENT DU SOMMET RUSSIE-AFRIQUE A SOTCHI, QUELLE EST LA GEOPOLITIQUE AFRICAINE ?

Texte complet :

Au moment du Sommet Russie-Afrique à Sotchi, quelle est la géopolitique africaine ?

Comment les USA entendent recoloniser directement l’afrique sous prétexte du « printemps africain » (août 2014), la version noire du « printemps arabe » (2010), aujourd’hui appelée « nouvelle politique africaine de Trump » (décembre 2018)…

Comment s’est redéployée la Francafrique 2.0 et s’est faite la vassalisation de la France aux USA en Afrique, où Washington a proclamé Paris « nouveau Shérif de l’Afrique », comme en Eurasie ?

# PARTIE I-

QUELLE EST MA THESE ?

LE PANAFRICANISME DOIT REGARDER VERS L’AVENIR. LA GEOPOLITIQUE AFRICAINE DE 2019 N’EST PLUS CELLE DES ANNEES 1960-2007 …

RP LM.GEOPOL - NHM géopol africaine sotchi lm (2019 12 13) FR (2)

En jeu la Recolonisation de l’Afrique par les USA (la mainmise militaire de l’AFRICOM et de l’US Army sur le Continent noir) et le redéploiement de la « nouvelle Françafrique 2.0 » de Macron (qui veut lui donner une nouvelle vie) …

Mes analyses géopolitiques ont renouvelé le regard  sur cette recolonisation de l’Afrique par les USA, sous prétexte du soi-disant « Printemps africain » (qui est la menace principale en Afrique aujourd’hui). Paris et la Françafrique étant devenu les auxilliaires militaires de l’AFRICOM, la nouvelle « infanterie sénégalaise du Pentagone », « le nouveau sherif de l’Afrique » comme l’a dit le Général US Mattis, chef du Pentagone sous Trump en 2017-18, en avril 2017 sur la base française de Djibouti …

La « Nouvelle Politique Africaine » de Trump et de Bolton (neocon, hérité du Régime Bush II) radicalise et militarise encore plus cette recolonisation. Début 2019, Washington désigne comme cibles six pays africains, dont le Cameroun, la RDC et le Burundi …

IL Y A UN ARRIÈRE-PLAN GÉOPOLITIQUE AU SOI-DISANT « PRINTEMPS AFRICAIN » DE 2014-2018 …

Ma thèse, c’est que cet arrière-plan a changé depuis 2007-2008, que 2007-2008 a été un tournant géopolitique en Afrique …

« Beaucoup de panafricanistes ont une vision du passé, un logiciel bloqué il y a 10, 20 ou 50 ans. La haine justifiée de la Françafrique leur occulte la réalité de LA RECOLONISATION DE L’AFRIQUE PAR LES USA. Le retour de la France dans l’OTAN organisé par Sarkozy en 2007, la création de l’AFRICOM, le commandement unifié de l’US Army pour l’Afrique, par Bush II et Obama en 2007-2008, sont les marques de naissance d’une nouvelle donne géopolitique en Afrique.

LES CONTRADICTIONS INTERNES DU BLOC AMERICANO-ATLANTISTE EN AFRIQUE COMME EN EUROPE

Comme dans l’OTAN, la collaboration militaire et politique franco-américaine se double d’une « CONTRADICTION INTERNE », qui est caractéristique du Bloc américano-occidental: l’allié militaire français est aussi le concurrent économique des USA, qu’il faut évincer des marchés africains. Alliés politico-militaires dans l’OTAN, les pays de l’UE sont opposés aux USA depuis les Années ’80 par la guerre économique USA vs UE et la guerre financière Dollar vs Euro.

Autrement dit Paris tire les marrons du feu pour Washington en Afrique ! Mais Paris et ses multinationales, comme Total (ex Elf) pilier de la Françafrique depuis les Années 1960, a aussi son propre agenda, en particulier économique.

LA GENESE DU « PRINTEMPS AFRICAIN »

Lors du « sommet USA-African Leaders » de Washington début août 2014, Obama a annoncé une vague de changements de régime sur le continent, par les méthodes habituelles des USA (révolution de couleur ou soi-disant « printemps arabe » -sic-, cloné en « printemps africain » -resic-). En parallèle, cynisme absolu d’Obama et Kerry, se tenait dans les locaux du Congrès US, à quelques centaines de mètres de la Maison Blanche, un sommet « alternatif » de la NED, une des « vitrines légales de la CIA, chargée de lancer une vague de « révolutions de couleur » africaines.

De nombreux pays ont ensuite été secoués par les vents mauvais de ce « printemps africain » venu de Washington. De 15 à 20 pays sont concernés dès 2014. Notamment Le Brurundi, où la révolution de couleur a échoué et a fait place au terrorisme. La RDC qui est la cible principale (le « pivot géopolitique » de l’Afrique) et le Cameroun (qui est le pivot du Golfe de Guinée), où des scénarios de révolution de couleur rampantes sont en cours.

Depuis 2013, d’anciennes puissances coloniales sont de retour en Afrique aux côtés des USA : l’Allemagne (avec sa Bundeswehr et ses fondations politiques) ou l’Italie (soi-disant « anti-système » sous Salvini mais mais en réalité pro Trump et pro OTAN). Habilement, jouant sur les nostalgies coloniales et géopolitique, Washington met les uns en concurrence contre les autres, en particulier contre la Françafrique sur le déclin.

# PARTIE 2-

COMMENT MOSCOU EST DE RETOUR EN AFRIQUE « SUR LES CHAMPS DE BATAILLE DE LA GUERRE FROIDE » …

RP LM.GEOPOL - NHM géopol africaine sotchi lm (2019 12 13) FR (3)

la recolonisation de l’Afrique par les USA, sous prétexte du soi-disant « Printemps africain » (qui est la menace principale en Afrique aujourd’hui) vise à chasser les Chinois d’Afrique. Et a conduit au retour de Moscou, allié de Pékin, en Afrique (d’où Moscou était partie brutalement et sans gloire au début des Années 1990, à la disparition de l’URSS) …

« LE GRAND RETOUR DE MOSCOU EN AFRIQUE …

LA « GUERRE FROIDE 2.0 » EST EN ROUTE EN AFRIQUE !»

Je place le grand retour de Moscou en Afrique, dans le cadre de l’extension mondiale de la « nouvelle Guerre froide 2.0 ». La « Russie retrouve les champs de bataille de la Guerre froide des Années 1960-1989 entre Soviétiques et Américano-occidentaux ». La guerre froide – la nouvelle « Guerre froide 2.0″ – est de retour en Afrique !

Le Think-Tank STRATFOR (proche du Pentagone et du Lobby militaro-industriel US) consacrait début 2017 une intéressante analyse au retour de la Russie sur les champs de bataille de la confrontation entre les USA et les soviétiques. Une analyse qui révélait (déjà …) les inquiétudes de Washington sur le grand retour de Moscou en Afrique. En commençant par l’Afrique sub-saharienne : « Des décennies après avoir rivalisé d’influence sur le continent avec les Etats-Unis et leurs alliés, la Russie connait un regain d’intérêt pour l’Afrique. Moscou occupe une place importante dans l’histoire de la guerre froide en Afrique subsaharienne, a commenté ‘Stratfor’. Sur l’ensemble du continent, l’Union soviétique a rivalisé avec les États-Unis et ses alliés occidentaux pour influencer une série de batailles interminables de longue durée. L’intérêt de la Russie pour l’Afrique subsaharienne s’est toutefois estompé après l’effondrement de l’Union soviétique en 1991. La région a peut-être perdu beaucoup de son importance géopolitique dans l’intervalle, mais le Kremlin affirme son influence dans de plus en plus de conflits à l’étranger. L’Afrique saharienne offre à la Russie une autre opportunité d’étendre sa dimension mondiale – si elle le souhaite. »

Le poisson-pilote de Moscou en Afrique, comme en Syrie ou au Donbass, est le Groupe de sécurité militaire russe Wagner et ses homologues (la réponse de l’Etat-major russe à la « privatisation de la Guerre » par les occidentaux et à l’utilisation extensive par le Bloc américano-occidental des « contractuels » occidentaux (MPRI, Black Waters et cie).

LE PIVOT CENTRAFRICAIN

Dès le début 2017, des rapports se STRATFOR suggèrent » que Moscou «  pourrait bientôt se tourner vers la République centrafricaine » (ce qui sera le cas quelques semaines plus tard). « Les nouvelles selon lesquelles l’entreprise déploiera un contingent en République centrafricaine correspondent à la politique étrangère de Moscou, de plus en plus ambitieuse ».

« La Russie a longtemps utilisé son industrie de l’armement et ses prouesses militaires comme un outil pour renforcer son influence dans le monde. Moscou a ainsi a fait pression sur le Conseil de sécurité de l’ONU pour qu’il envoie trois cargaisons d’armes légères et de munitions à l’armée centrafricaine malgré un embargo sur les armes qui a été mis en place depuis 2013. Peu important sur le plan géostratégique jusqu’à l’arrivée des russes, le pays africain comptait sur son ancien possesseur colonial, la France, pour un soutien externe. Avec « peu de concurrence sur le terrain, la Russie est en train de gagner de plus grandes opportunités d’affaires et peut-être même d’accroître son influence dans la région environnante en y faisant des incursions ».

« Ces incursions au Soudan et en République centrafricaine ne présagent pas d’un déploiement militaire russe à grande échelle en Afrique, ajoutait le think tank US. Mais « même ainsi, la présence potentielle d’une compagnie militaire privée soutenue par le Kremlin dans deux pays d’Afrique subsaharienne pourrait ouvrir la voie à une participation russe plus forte ailleurs dans la région ». La prévision était bonne !

Dans quel contexte géopolitique s’inscrit l’arrivée de la Russie en Centrafrique et sans doute au Sahel ?

Depuis fin janvier 2017, la Russe forme et équipe les FACA, les Forces armées centrafricaines, pour la libération de leur pays des bandes armées qui menace l’existence même de l’Etat. En décembre 2017, après de longues négociations avec le Conseil de sécurité de l’ONU, la Russie avait été autorisée à donner un stock d’armement conséquent à la République centrafricaine. Moscou avait également reçu l’autorisation des Nations Unies d’entraîner les militaires centrafricains à l’utilisation de ces armes. Puis les instructeurs sont arrivés à Bangui et un camp d’entraînement militaire a été installé à Berengo, dans le sud-ouest du pays.

La Russie est préoccupée par la situation sécuritaire dans le Sahel, qui visiblement «ne s’améliore pas», et se pose des questions sur «le sérieux des forces étrangères», déployées dans la région, pour la lutte contre le terrorisme, a déclaré l’ambassadeur de Russie à Alger, Igor Beliaev, dans un entretien accordé au quotidien El Khabar, publié début 2018.

LA GUERRE FROIDE POUR LE CONTRÔLE DE LA RÉPUBLIQUE CENTRAFRICAINE ENTRE LA FRANCE ET LA RUSSIE

La guerre entre Paris et Moscou pour le contrôle de la Centrafrique est une réalité.

Quels sont ses caractéristiques, Quelles en sont les questions essentielles :

* Premier joueur sur l’échiquier africain et centrafricain, la Russie.

La Russie est de retour sur les champs de bataille de l’ancienne guerre froide en Afrique, après l’éclipse des Années 1991-2015. Moscou a surgit en RCA, bousculant les projets franco-américains.

* Second joueur, la France.

Celle de la « nouvelle Françafrique 2.0 » des Macron-Zinsou-Le Drian, « nouveau shérif de l’Afrique » désigné par le Pentagone.

* Troisième joueur, celui qui domine actuellement l’échiquier africain, les USA.

Washington, qui s’est réintéressé à l’Afrique après le tournant géopolitique américain en Afrique de 2007-2008 et la création de l’Africom , navigue et intrigue entre « Printemps africain » et « diagonale stratéqique Djibouti-Dakar ».

* La Centrafrique est devenue l’épicentre du « nouveau grand jeu géopolitique africain ».

LA STATEGIE DES ETATS-TREMPLIN

Si le « printemps arabo-africain » utilise la « stratégie des dominos », celle l’Indochine retournée par les américains, Moscou utilise la tactique des « Etats-tremplin ».

Ainsi la Russie est retournée en Afrique de l’Est. Les lignes géopolitiques bougent en Afrique de l’Est avec le nouveau président éthiopien Abiy Ahmed … Et la Russie, qui reprend pied en Erythrée, au port d’Assab, revient par là même en Ethiopie, son grand allié des Années ’80 sous « Brejnev l’Africain » (dixit Mme Hélène Carrère d’Encausse, la grande historienne franco-russe) ! Décidément, comme l’analysait le Think Tank US ‘Stratfor’ au début de cette année, « la Russie est de retour sur les champs de bataille de la Guerre froide » …

Fin septembre 2018, la Russie discutait avec l’Erythrée de la création d’un centre logistique commun dans un port du petit pays de la corne de l’Afrique, avait alors déclaré le ministre russe des Affaires étrangères Sergueï Lavrov, cité par l’agence Ria. Un port accessible aux navires de guerre russes offrirait à Moscou une position stratégique à l’entrée de la mer Rouge et le moyen de rivaliser dans la région avec les Etats-Unis, la France ou la Chine, qui disposent de bases à Djibouti. Selon Ria, Sergueï Lavrov avait indiqué que le centre logistique permettrait à la Russie et à l’Erythrée de développer leur commerce bilatéral. Moscou entretient déjà dans la région des relations étroites avec l’Ethiopie, voisine et ancienne ennemie de l’Erythrée avec laquelle elle a opéré un rapprochement spectaculaire.

COMMENT LA RUSSIE DISPUTE L’ANGOLA AUX USA !?

Angola: Pour une Russie qui s’apprête à organiser un premier forum avec l’Afrique, c’est une décision stratégique: le président angolais Joao Lourenço est arrivé à Moscou où il a rencontré, le 4 avril 2019, Vladimir Poutine. Il s’agit de son premier voyage en Russie en tant que chef d’État après son élection il y a un an et demi, mais ce n’est pas sa première rencontre avec Vladimir Poutine. Les deux présidents s’étaient rencontrés l’an dernier en Afrique du Sud, où le chef de l’État russe s’était rendu pour assister au sommet des Brics. Les Angolais, qui ont réussi à défendre leur indépendance en grande partie grâce à l’aide russe, veulent renforcer les relations avec Moscou, écrit la presse russe.

En effet, l’Angola est aujourd’hui un allié solide des États-Unis et d’Israël et le fait que la Russie s’y intéresse ne passe pas inaperçu. Aux États-Unis, le président congolais Tshisekedi a plaidé non seulement en faveur des coopérations militaires approfondies avec les USA, mais aussi d’une présence permanente militaire US en RDC et d’un retour du FMI. Il faut noter qu’un basculement de la stratégique RDC dans l’escarcelle US serait une perte considérable.

Le quotidien en ligne Vzgliad dit que “tout au long de l’année 2018 on a parlé de la Centrafrique, où avaient été trouvés plusieurs dizaines de conseillers russes. Récemment a été évoqué le cas de Madagascar où des consultants politiques russes auraient travaillé lors de la présidentielle. Et voilà le troisième pays: l’Angola”. L’article du journal russe évoque “la perspective des coopérations économiques entre les deux pays, l’annulation de la dette angolaise par la Russie et le fait que les Angolais appellent ouvertement les Russes en leur disant « venez et travaillez ». La Russie possède des positions fortes dans l’industrie du diamant et du pétrole (l’Angola est le deuxième producteur pétrolier d’Afrique). Mais elle est absente d’autres secteurs comme ceux de l’or, du poisson”, ajoute l’article.

Mais à tout ceci s’ajoute peut-être la position stratégique de l’Angola.

Le pays est voisin de Tomé-et-Principe, l’un des plus petits pays d’Afrique qui occupe un archipel de l’Atlantique Sud et qui est situé dans le golfe de Guinée, à 239 km (São Tomé) des côtes du Gabon et 216 km (Principe) de la Guinée équatoriale, localité qui attire toutes les convoitises américaines et est très importante pour l’Angola, parce qu’elle représente le premier nœud d’une Chaîne lusophone de lignes de communication (SLOC) de l’Afrique de l’Ouest vers les États-Unis et l’UE, tous à des degrés divers sous l’influence de Luanda. Tout ceci, la Russie ne pourrait pas y être indifférent « les positions de la Chine sont très fortes en Angola, et les Portugais y sont revenus en force. Toutefois, avec le temps, l’ancienne métropole risque de se transformer en une sorte d’appendice économique de sa colonie si l’Angola maintient et augmente sa croissance, dit le journal, preuve que la Russie se tient présente pour faire contrepoids aux USA et à l’UE”.

LE CONTINENT AFRICAIN SE TOURNE VERS LA RUSSIE DE POUTINE

PRESS TV me citait récemment comme « le créateur d’un puissant Lobby pro-russe en Europe depuis trois décennies (il est « omniprésent dans la russosphère européenne » dit l’hebdo L’Express de Paris), mais aussi en Afrique (où il a été un précurseur) depuis les années 2013 (…)  un travail de Lobbying a mené à la création d’une Russosphère africaine, qui influence la psychologie des masses populaires africaines et marginalise les élites compradores pro-occidentales » …

Quelles sont les stratégies russes contre les USA en afrique ? »

Le think tank Stratfor, proche du Pentagone et du lobby militaro-industriel US, évoquait comment la Russie est en train de choisir ses alliés et comment elle dessine son champ de bataille contre les USA.

# PARTIE 3-

LE CONCEPT GEOPOLITIQUE DE « L’AXE EURASIE-AFRIQUE »

Tout cela va dans le sens de ma vision d’un monde multipolaire constitué de grand Blocs géopolitiques. Le rôle central joué par le dialogue des cultures et des civilisations (notamment la défense de l’héritage de Kadhafi, que j’assume moi aussi) est bien oublié et nous assistons au retour en Méditerranée et en Afrique des thèses belligènes du « choc des civilisations ».

Je vais essayer de vous résumer ce nouveau concept géopolitique, révolutionnaire, – « L’AXE EURASIE-AFRIQUE » -, que j’ai théorisé en 2014 et qui émerge au niveau des panafricanistes. Car il a été conçu au départ pour l’Afrique. Ce sont des positions géopolitiques novatrices. L’alternative géopolitique du futur, l’Axe Eurasie-Afrique, est centré sur le triangle Moscou-Malabo-Téhéran et basé sur les concepts « dimension – puissance – indépendance » et des « blocs continentaux autocentrés ».

L’Axe Eurasie-Afrique doit s’appuyer sur les pivots que sont ces trois capitales : Moscou, Malabo et Téhéran. En 2050, il y aura certainement un gros bloc nord-américain qui englobera le Canada et le Mexique, peut-être plus loin encore, et à côté de ça, une grande puissance chinoise avec certainement entre 1,5 et 2 milliards d’habitants. La dimension, c’est aussi la population. Face à ça, comment rester acteurs de l’histoire ? Il faut un bloc géopolitique qui puisse faire le contrepoids. Ce n’est pas l’Afrique seule, pas même l’Eurasie, qui le fera, c’est l’axe Eurasie-Afrique. Un bloc continental ayant pour pivots trois capitales : Moscou, Malabo – Pourquoi Malabo ? Parce qu’il n’y a qu’ici qu’on essaie de renouveler la pensée panafricaniste dans la ligne du colonel Kadhafi – et Téhéran, puisque l’Iran est la grande puissance qui émerge au Moyen-Orient en ce moment. Ce doit être un bloc égalitaire, avec des relations égalitaires entre l’Afrique et l’Eurasie. Si nous ne faisons pas cela, nous ne serons plus des acteurs de l’histoire

Je considère que l’Afrique est un des territoires-clé géopolitique du futur. C’est ici que se déroule un des grands affrontements qui devra déterminer le sort du monde. Et je pense que, même sans être d’origine africaine, on peut défendre le panafricanisme, il y a eu de grandes figures : Che Guevara qui n’était pas Africain et qui est venu se battre au Congo en 1965, ou des gens comme Nasser et Kadhafi, qui à l’origine sont des Arabes ou des panarabistes, qui ont été attirés comme moi par le sort du Continent noir. Kadhafi pensait en terme de géopolitique des continents. Il voulait une Afrique unie, et j’ajouterais, puisque je suis sur cette même ligne, pensait que le Panafricanisme et le Paneuropéisme (ou Néoeurasisme) doivent s’unir pour se dégager de la domination étasunienne. La Méditerranée doit redevenir le point de rencontre, la mer commune, la « Mare nostrum » des Romains.

ON DOIT COMPRENDRE QUELQUE CHOSE, CE QU’ON APPELLE ACTUELLEMENT L’OCCIDENT, C’EST LE BLOC AMÉRICAIN.

Et dans ce bloc l’UE est la plus grande des colonies étasuniennes depuis 1944. Qu’est-ce qui fait la puissance américaine depuis 1945 ? C’est le contrôle de la seconde économie la plus puissante au monde qui est l’économie de l’Europe occidentale. Qu’est-ce qui permet aux Américains d’être une superpuissance ? C’est non seulement la puissance nord-américaine elle-même, mais (aussi) le contrôle de la puissance de l’Union européenne. Si voulez, pour prendre (l’exemple d’) un corps humain, l’Union européenne est le deuxième poumon des Américains. Cela s’exprime depuis 1944 au travers d’un système de domination coloniale en Europe. Il faut comprendre qu’en 1945 l’Europe est passée du statut de puissance coloniale au statut de colonie, c’est une colonie américaine. Ma position est assez simple, je ne me définis pas comme Occidental, je me définis comme un Européen et comme un décolonisateur et quelqu’un qui combat le colonialisme. En Europe, en Eurasie et en Afrique !

La Russie allié naturel de l’Afrique, une évidence en cette fin 2019 … Mais pas en ce printemps 2014 où je proposais ce concept géopolitique aux africains ! « La Géopolitique avant l’économie », dans une vision quadricontinentale de l’anti-colonialisme …

LUC MICHEL/

NOUVEAUX HORIZONS MAGAZINE

# ALLER PLUS LOIN …

* REVOIR SUR EODE-TV (YOUTUBE) :

L’AXE GÉOPOLITIQUE ‘EURASIE-AFRIQUE’

(PAR LUC MICHEL EN 2014 !)

* sur https://www.youtube.com/watch?v=R4h-rDNk-oM

* # EODE-TV/ LUC MICHEL :

L’AXE RUSSIE-AFRIQUE CLE DU MONDE MULTIPOLAIRE ET SEULE VOIE POUR LA LIBERATION DE L’AFRIQUE

Sur https://vimeo.com/190530641

# EN SAVOIR PLUS SUR

LUC MICHEL’S GEOPOLITICAL DAILY :

* GEOPOLITIQUE AFRICAINE:

COMMENT LA ‘RUSSIE REVISITE LES ANCIENS CHAMPS DE BATAILLE DE LA GUERRE FROIDE’ (VU DES USA)

Sur http://www.lucmichel.net/2018/06/21/luc-michels-geopolitical-daily-geopolitique-africaine-comment-la-russie-revisite-les-anciens-champs-de-bataille-de-la-guerre-froide-vu-des-usa/

* LA RUSSIE EST DE RETOUR EN AFRIQUE :

LES CONSEQUENCES GEOPOLITIQUES ET LE NOUVEAU ‘GRAND JEU’ AFRICAIN…

Sur http://www.lucmichel.net/2018/06/17/luc-michels-geopolitical-daily-la-russie-est-de-retour-en-afrique-les-consequences-geopolitique-et-le-nouveau-grand-jeu-africain

# EN SAVOIR PLUS :

* Voir sur LUC MICHEL’S GEOPOLITICAL DAILY/

LUC MICHEL DECRYPTE LA NOUVELLE FRANCAFRIQUE 2.0 :

MACRON, LA FRANCAFRIQUE ET LA NOUVELLE ARMEE FRANCAISE

Sur http://www.panafricom-tv.com/2018/09/13/luc-michels-geopolitical-daily-luc-michel-decrypte-la-nouvelle-francafrique-2-0-macron-la-francafrique-et-la-nouvelle-armee-francaise/

# PODCASTS ET VIDEOS :

* La Françafrique c’est quoi :

Voir sur PCN-TV – YOUTUBE (I) :

Podcast de RADIO MOSCOU (2015)/

LUC MICHEL.

FRANCAFRIQUE ET NÉOCOLONIALISME EN AFRIQUE

on https://www.youtube.com/watch?v=az6agXStSuM

* Voir sur EODE-TV/

LUC MICHEL:

ANALYSE STRUCTURELLE ET GEOPOLITIQUE DE LA ‘NOUVELLE FRANCAFRIQUE 2.0’ (BILANS 2018)

on https://vimeo.com/309936061

Complément pour le Quotidien géopolitique – Geopolitical Daily de

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE

* Avec le Géopoliticien de l’Axe Eurasie-Afrique :

Géopolitique – Géoéconomie – Géoidéologie – Géohistoire –

Géopolitismes – Néoeurasisme – Néopanafricanisme

(Vu de Moscou et Malabo) :

PAGE SPECIALE Luc MICHEL’s Geopolitical Daily

https://www.facebook.com/LucMICHELgeopoliticalDaily/

________________

* Luc MICHEL (Люк МИШЕЛЬ) :

WEBSITE http://www.lucmichel.net/

PAGE OFFICIELLE III – GEOPOLITIQUE

https://www.facebook.com/Pcn.luc.Michel.3.Geopolitique/

LUC-MICHEL-TV https://vimeo.com/lucmicheltv