“Sul Tav umiliazione nazionale. Mattarella ci spieghi il perché”

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2019/12/08/sul-tav-umiliazione-nazionale-mattarella-ci-spieghi-il-perche/5601919/

“Sul Tav umiliazione nazionale. Mattarella ci spieghi il perché”

Di Croce al capo dello Stato: “Trattati violati, cessione di sovranità ai francesi, ripartizione dei costi ineguale”
Il Tav deve essere fermato non solo perché inutile, ma anche perché i primi cantieri ledono già i trattati fra Italia e Francia. Lo sostiene il professor Avernino Di Croce, sindaco di Venaus (Torino) – uno dei Comuni della Val di Susa interessati dall’opera

che in queste ore ha inviato una lettera al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al quale compete la ratifica dei trattati internazionali previa autorizzazione del Parlamento, per chiedere lo stop.

Alle ragioni dei No Tav, che peraltro protesteranno oggi in un corteo da Susa a Venaus, si aggiunge dunque una questione tecnica, come sottolinea il sindaco nella lettera: “L’articolo 16 del Trattato 2012 (uno degli accordi Italia-Francia, ndr) prevede che ‘La disponibilità del finanziamento sarà una condizione preliminare per l’avvio dei lavori delle varie fasi della parte comune italo-francese della sezione internazionale’”.

Prima il denaro, dunque, e poi i cantieri. Ma solo in teoria. Come spiega Di Croce, la parte comune italo-francese da Montmelian a Chiusa San Michele comprende anche i 58 chilometri della cosiddetta sezione transfrontaliera, quella da Saint-Jean-de- Maurienne a Susa-Bussoleno, per la quale dunque dovrebbe valere lo stesso principio.

E invece Telt, la società responsabile della sezione transfrontaliera, “ha iniziato a spedire raccomandate ai cittadini” della Valle “in vista di espropri di terreni che sarebbero utilizzati per impiantare o allargare cantieri”. Il tutto senza che siano arrivati i soldi né dall’Italia né dalla Francia: “L’avvio dei lavori della sola sezione transfrontaliera – scrive il sindaco – risulta essere sospensivamente condizionata alla provvista certa di risorse finanziaria tali da coprirne interamente il costo della parte comune italo-francese, ma al momento non risulta che tale provvista sia disponibile”.

Né, appunto, per quanto riguarda gli obblighi francesi, “in quanto non sono stati approvati atti formali che disciplinino l’entità e la modalità di copertura della quota di competenza”, stimata in 4,13 miliardi “di cui non c’è traccia nel bilancio dello Stato”; né per la parte italiana, “in quanto la spesa autorizzata dal Cipe con la delibera 67/2017, pari a 2,56 miliardi, non copre la nostra quota”, che corrisponde a 5,49 miliardi. Per questo, scrive il sindaco a Mattarella, “non sussistono le condizioni giuridiche ed economiche perché i lavori definitivi possano iniziare”.

E invece Telt per il momento tira dritto, causando non pochi imbarazzi ai sindaci della Valle, che devono giustificare ai propri cittadini danni ambientali e finanziari che per giunta violerebbero gli stessi accordi di costruzione dell’opera. “Il mio disagio nei confronti dei nostri concittadini e dello Stato – confessa Di Croce – si acuisce osservando che una società di diritto francese possa avviare sul suolo nazionale italiano procedure di esproprio di abitazioni, terreni ed edifici storici senza un coinvolgimento delle nostre istituzioni. Non so cosa rispondere quando mi chiedono di spiegare il senso e il perché di una tal delega di sovranità, che pare una sorta di umiliazione volontaria dell’Italia”.

L’imbarazzo del sindaco sulla questione degli espropri si unisce alle già note battaglie sull’impatto ambientale e sullo spreco di denaro.

La lettera a Mattarella è però nuova occasione per ribadire l’assurdità degli accordi: “Per completare il quadro del mio e nostro disagio – si legge – evidenziamo ancora una volta la ripartizione ineguale dei costi dell’opera a svantaggio dell’Italia: 42,1% a carico della Francia, 57,9% a carico del nostro Paese, pur trovandosi l’opera per quattro quinti in territorio francese”.

Senza dimenticare che “lo Stato francese ha previsto di valutare la realizzazione dei lavori di propria competenza non prima del 2038”. Alla faccia della sbandierata urgenza dell’opera. 

Lettera di Avernino Di Croce, sindaco di Venaus, al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella pubblicata su PresidioEuropa No TAV

Ci augurNuova immagine (4)iamo che Mattarella risponda con argomenti.

 

Venaus,  7 dicembre 2019

   Gentilissimo Signor Presidente della Repubblica,

nella mia carica istituzionale di Sindaco del Comune di Venaus, in Valcenischia, parte della più ampia Valle di Susa, mi rivolgo a Lei quale espressione costituzionale dell’Unità dello Stato e della Nazione tutta e, conseguentemente, quale garante della Costituzione e del corretto funzionamento delle Istituzioni, e ciò a tutela dei cittadini, della loro dignità e dell’interesse nazionale.

Con la presente voglio segnalarLe alcune circostanze, di fatto e di diritto, che, a mio avviso, ledono non solo l’interesse della nazione, la finanza pubblica ed il buon andamento della Pubblica Amministrazione, ma interferiscono pesantemente sulla pacifica convivenza delle Comunità delle nostre Valli, sull’ambiente dei nostri territori, inficiando, in tal modo, la dignità delle formazioni sociali presenti in Val di Susa e non solo.

In riferimento alle prerogative della Presidenza della Repubblica, Ella e i suoi predecessori sono stati autorizzati dal Parlamento alla ratifica di una serie di trattati bilaterali con la Francia.

In particolare mi richiamo ai trattati con la Francia del 2001, 2012, 2015 e 2016 (quest’ultimo denominato protocollo addizionale), riguardanti i reciproci impegni volti alla realizzazione di una nuova linea ferroviaria tra Torino e Lione, evidenziandoLe la sussistenza di un notevole numero di criticità ed inadempienze agli accordi sottoscritti.

Non voglio dilungarmi sulla mancanza del presupposto alla costruzione della nuova infrastruttura, quale indicato all’art. 1 del trattato del 2001, che ne condizionava l’avvio dei lavori alla prognosi, mai tecnicamente evidenziata, della saturazione della linea esistente. Le analisi dei tecnici hanno ormai esaurito l’argomento: non è prevedibile la saturazione della linea esistente nei prossimi 50 anni; osservazione recepita nel 2018 anche dall’Osservatorio per l’asse ferroviario Torino-Lione, organo costituito in seno alla Presidenza del Consiglio dei ministri, con la seguente frase: «Non c’è dubbio, infatti, che molte previsioni fatte quasi 10 anni fa, in assoluta buona fede, anche appoggiandosi a previsioni ufficiali dell’Unione Europea, siano state smentite dai fatti.».

Notevoli criticità sono state rilevate anche nel trattato del 2012[1], in particolare nelle parti del trattato che impongono una inaccettabile cessione di sovranità alla Francia di parte del territorio  italiano[2].

Sempre nel medesimo trattato del 2012 viene previsto, all’art. 4, che l’opera verrà realizzata in tre parti funzionali, rinviando l’inizio dei lavori per ciascuna tratta ad altri specifici accordi.

Attualmente solo la sezione transfrontaliera, segmento della più ampia parte comune italo francese – di responsabilità congiunta dei due contraenti – è stata oggetto del trattato del 24/02/2015, da Ella ratificato con Legge di autorizzazione 05/01/2017 n. 1.

Tuttavia sono ad evidenziare che l’art. 16 del Trattato del 2012 prevede che «La disponibilità del finanziamento sarà una condizione preliminare per l’avvio dei lavori delle varie fasi della parte comune italo-francese della sezione internazionale.».

Considerato che (cfr. art. 16 del Trattato del 2012) la «parte comune italo-francese», da Montmélian in Francia a Chiusa S. Michele in Italia, è più ampia della «sezione transfrontaliera» da Saint-Jean-de-Maurienne in Francia a Susa-Bussoleno in Italia (cfr. definizione art. 2 del Trattato del 2012), come da grafico riportato di seguito,

Nuova immagine (5)

risulta evidente, dal testo dell’art. 16 del trattato del 2012, che l’avvio dei lavori della sola sezione transfrontaliera (ripetiamo, sezione della più ampia parte comune italo-francese) risulta essere sospensivamente condizionata alla provvista certa di risorse finanziarie tali da coprirne interamente il costo della parte comune italo-francese da Montmélian in Francia a Chiusa S. Michele in Italia.

Al momento non risulta che tale provvista sia disponibile:

–       non lo è in riferimento a quanto di competenza del lato francese in quanto, pur scontando le differenze istituzionali tra Italia e Francia, non sono stati approvati atti formali che disciplinino l’entità e le modalità di copertura della quota di competenza della Francia. Facendo riferimento alla valutazione ufficiale del costo dell’opera, indicato in 8.609,68 milioni di euro (valuta gennaio 2012), rivalutato dal nostro CIPE, a norma del Protocollo aggiuntivo tra i due stati dell’8 marzo 2016, in 9.630,25 milioni di euro (valuta agosto 2017; delibera CIPE n. 67/2017), nonché alle quote di ripartizione previste dall’art. 18 del Trattato del 2012 e poi dall’art. 2.3 del Protocollo aggiuntivo dell’8 marzo 2016, la quota (chiave nel testo, pari al 42,1%) di spettanza francese risulta essere: 4.134,96 milioni di euro[3], di cui non vi è traccia nel bilancio dello stato francese;

–       Non lo è neppure dal lato italiano, in quanto la spesa autorizzata dal CIPE con la delibera CIPE n. 67/2017, pari a 2.564,76 milioni di euro non copre la nostra quota (pari al 57,9% per i soli 17 Km sul suolo italiano – vedi grafico) che, a norma dell’art. 18 del Trattato 2012 e del protocollo aggiuntivo 2016 già citati, corrisponde a 5.495,29 milioni di euro (anche qui la cifra è inferiore di quella riportata nella delibera CIPE – vedere nota (3)).

Nelle cifre precedenti non si fa conto del contributo europeo. Il quale non è al momento né definito nel quantum né deliberato dalla Commissione Europea. Quando il contributo fosse effettivamente stanziato, esso verrebbe dedotto dagli impegni dei due Stati.

In conclusione ai sensi dell’art. 1 dell’accordo del 2001 nonché, funzionalmente, a norma del citato art. 16 del Trattato del 2012, in un’ottica costituzionale di buon andamento della Pubblica Amministrazione, non sussistono le condizioni giuridiche ed economiche perché i lavori definitivi possano iniziare.

Ciononostante il promotore pubblico TELT, società francese a tutti gli effetti di diritto, ha iniziato a spedire raccomandate ai cittadini nostri amministrati in vista di espropri di terreni che sarebbero utilizzati per impiantare o allargare cantieri e così via.

Ragionevolmente, l’avvio delle procedure di esproprio da parte di una società francese in vista di un’opera per la quale non sussistono i minimi presupposti giuridici (art. 1 del Trattato del 2001) ed economici (art. 16 del Trattato del 2012) per l’avvio dei lavori sembra essere, quanto meno, contrario all’interesse di questa Nazione anche in considerazione degli immani sforzi per far quadrare la contabilità pubblica.

Il mio disagio nei confronti tanto dei nostri concittadini quanto dello Stato, di cui siamo organi istituzionali, si acuisce ulteriormente osservando che, come già indicato, una società di diritto francese, su delega dello Stato Italiano, possa avviare sul suolo nazionale italiano procedure di esproprio di abitazioni, terreni ed edifici storici di cittadini italiani e ciò senza un coinvolgimento delle nostre istituzioni, se non in funzione strumentale.

C’è da aggiungere, peraltro, che TELT, che, ricordo, è una società di diritto francese, già delegata (con il DM 35 del 16.02.2016, ai sensi dell’art.6 del DPR 327/2001) ad «emanare tutti gli atti del procedimento espropriativo e ad espletare tutte le attività previste, al riguardo, dal medesimo decreto n. 327/2001», ha pubblicato in data 29/11/2019 un Avviso di gara – Procedura negoziata (GU/S S231 – 567790 – 2019 – IT) volta ad appaltare, secondo il diritto francese, a operatori privati le «prestazioni di assistenza tecnica, amministrativa e giuridica per le procedure di occupazione, acquisizione ed esproprio (… …) delle aree necessarie alla realizzazione della nuova linea ferroviaria lato ITALIA». Tali prestazioni sono composte da diverse attività, e – fra le altre – in particolare:

–  «Elaborazione dei progetti di tutte le comunicazioni e/o notifiche previste tramite decreto del presidente della Repubblica italiana n. 327/2001»;

«determinazione, per ciascun titolare, di diritti reali interessati dalla procedura di esproprio, dell’importo dell’indennità di espropriazione da offrire». 

Francamente, Signor Presidente, sono a disagio e non so che cosa rispondere ai miei concittadini quando mi chiedono di spiegar loro il senso e il perché di una tale cessione di sovranità, che a loro pare (e anche a me, in verità) una sorta di umiliazione volontaria dell’Italia.

Per completare il quadro del mio e nostro disagio evidenziamo ancora una volta che l’art. 18 del Trattato del 2012 indica una ripartizione ineguale dei costi dell’opera a svantaggio dell’Italia: 42,1% a carico della Francia, 57,9% a carico dell’Italia, pur trovandosi l’opera per 4/5 in territorio francese (solo 17 km in territorio italiano della complessiva sezione transfrontaliera pari a 58 km – vedi grafico). Questa disuguaglianza, non ufficialmente motivata nei documenti approvati, poggia sulla constatazione che, considerando la tratta comune definita nell’art. 2 e poi descritta nell’art. 4 del trattato del 2012, la parte francese dovrebbe comprendere opere (due tunnel a due canne per complessivi 33 km circa) più onerose di quelle in territorio italiano.

Senonché lo Stato francese, per il tramite del suo Conseil d’Orientation des Infrastructures (COI, 30/01/2018), ha previsto di valutare la realizzazione dei lavori di competenza francese (da Lyon all’imbocco ovest del tunnel di base) non prima del 2038.

In concreto, gli interventi francesi per la nuova linea di adduzione alla parte comune italo francese nonché alla stesso tunnel (c.d. tunnel di base) della sezione transfrontaliera sono dilazionati sine die.

Signor Presidente, come pensa che valuterebbe, un osservatore terzo, la posizione di un’Italia che accetta una ripartizione ineguale dei costi per un’opera da realizzare a breve, a fronte di maggiori spese francesi rinviate ad un futuro indefinito ed indistinto ?

Il nostro disagio istituzionale non è certo attenuato quando leggiamo all’art. 7 e 8 del Trattato del 2012 che i decisori e i responsabili della Commissione dei Contratti del promotore dell’opera e i loro controllori sono di nomina francese.

Signor Presidente, siamo consapevoli del fatto che la presente si inserisce in un profondo solco di interessi in conflitto a cui è partecipe, obtorto collo, la popolazione valsusina e migliaia di italiani che hanno compreso, studiando ed informandosi, le criticità da noi espresse e delle quali sono responsabili i decisori politici passati. Questo è un appello alla funzione da Ella rappresentata affinché voglia considerare quanto da noi evidenziato. Saremmo particolarmente grati se volesse darci una risposta nel merito spiegandoci quello che a noi (e ai molti che non hanno interessi economici o politici riguardo l’opera citata) pare incomprensibile e non giustificabile nei riguardi dei nostri amministrati e dell’intera Nazione.

La Convenzione di Vienna sui trattati ben potrà essere confrontata con i palesi errori di fatto contenuti nei trattati citati e con le ripetute inadempienze ai medesimi, alcune delle quali segnalate nella presente; peraltro, l’art. 3 della Legge 5 gennaio 2017 n. 1[4] ben potrà tranquillizzarLa sull’assenza di penali risarcitorie nell’ambito dei contratti ad oggi stipulati.

Deferenti ossequi.

Prof. Avernino Di Croce, Sindaco di Venaus

_______________________________

[1]  Legge di autorizzazione alla ratifica n. 71 del 23 aprile 2014.

[2] Cessioni di sovranità previste dal Trattato del 2012:

  • inapplicabilità della normativa italiana alle gare e appalti di attribuzione dei lavori – anche in tema antimafia –  art. 6.5, 2° paragrafo del Trattato,
  • inapplicabilità della normativa italiana in tema di risarcimento danni nell’esecuzione della costruzione ed esercizio della nuova linea ferroviaria: art. 10.1 del Trattato,
  • inapplicabilità della normativa italiana in tema di condizioni di lavoro e di occupazione del personale: art. 10.2 del Trattato,
  • inapplicabilità della normativa fiscale italiana: art. 10.3 del Trattato.

[3]  Non 4.056,04 milioni di euro come riportato nella delibera CIPE n. 67/2017 in quanto, secondo la procedura prevista dagli accordi, si tratta del 42,1% di 8.609,68 milioni di euro cui aggiungere il 50% degli ulteriori 1.020,57 milioni di euro della rivalutazione al 2017.

[4] Articolo 3 Legge di autorizzazione alla ratifica dell’Accordo del 2015 e del protocollo addizionale del 2016 che richiama l’articolo 2, comma 232 lettera c) legge 191 del 2009 (Finanziaria italiana 2010) stabilisce che: «il contraente o l’affidatario dei lavori deve assumere l’impegno di rinunciare a qualunque pretesa risarcitoria eventualmente sorta in relazione alle opere individuate con i decreti del presidente del Consiglio nonché a qualunque pretesa, anche futura, connessa al mancato o ritardato finanziamento dell’intera opera o di lotti successivi».

FINO A QUANDO?

 https://claudiogiorno.wordpress.com/2019/12/09/fino-a-quando/?fbclid=IwAR1kU7yk3WIyisdWljJC0HYPD2RtleWyHbI3Lrw-7UPBispJ4dK6V8KGzLQ

dicembre 9, 2019

_DSC0772rtgDOPO (anzi, forse durante) la grandiosa partecipazione alla manifestazione NO TAV dell’8 dicembre 2019 era lecito aspettarsi editoriali e servizi speciali da tutti i giornali di proprietà di finanzieri & palazzinari riuniti scritti con cartucce riempite di fiele: il 90% dei quotidiani è notoriamente mantenuto in vita con accanimento terapeutico (finanziato, a loro insaputa, dalla maggior parte dei cittadini che pagano ancora le tasse). Si è trattato di una vera e propria “mission” delle testate recentemente svendute dai rampolli della tessera numero uno del PD – Carlodebenedetti – dopo una saga familiare degna di un serial a cavallo tra Dallas e Billion.

Sia chiaro: io non credo affatto che “anche i ricchi piangano”, ma certamente fanno ridere. E ha fatto particolarmente ridere leggere, nelle scorse settimane, dell’”ingegnere” che voleva salvare “Repubblica”per il bene della democrazia (o di quel che resta del partito democratico) difendere dagli infedeli quella vera e propria reliquia (in vita) di Eugenioscalfari, mentre i figli se ne volevano disfare… uno spettacolo che è stato quasi più esilarante di una intera puntata di Fratelli di Crozza! Tanto più che la svendita è poi avvenuta (approfittando del fresco far cassa – mercì Peugeot – del ramo cadetto della Famigliagnelli, che le saghe tra madri e figli è tradizione le consumi in tribunale).

DSC_0340

Già, ma cosa c’entrano le “vecchie & nuove” proprietà editoriali col Tav? Era già una consolidata tradizione delle due case quella di propagandare l’opera fin dal primo vagito: chi non ricorda l’epica tenzone per la meglio narrazione-si-tav tra  Tropeano/Lastampa vs Griseri/Repubblica, incubatori a loro insaputa di 40mila madamine in fila per sette col resto di due? In un “paese normale” le concentrazioni editoriali verrebbero impugnate dal governo, in una “redazione normale” ci si preoccuperebbe quantomeno del futuro dei posti di lavoro (anche se si sa fin dai tempi di Luigibarzini che fare il giornalista è sempre meglio che lavorare). Ma una penisola inutilmente protesa nel Mediterraneo che deve affidarsi ai pochi banchi di sardine sopravvissute alla pesca a strascico per difendersi dal Califfo del Papete non è un  paese normale… Figuriamoci occuparsi criticamente della più inutile delle Grandi Opere madri dell’ormai tragicamente conclamato cambiamento climatico…

Per stroncare una lotta che nonostante (o grazie a?!) loro dura da 30anni le hanno provate tutte, compresa la collaudata tecnica (mutuata dalla security) di “giornalista buono contro giornalista cattivo”: sublimata all’indomani della manifestazione (che, più che commemorare, ricordava il 2005 sia per partecipazione che per determinazione) con un pezzo a doppia firma affidato a Ludovico Poletto e Irene Famà.

DSC_0559

Ora non voglia il buondio consentirmi di conoscere i nuovigiornalisti, perché dopo aver conosciuto i nuovipolitici mi sono scoperto a rimpiangere i vecchi! Ma io mi ricordo di un Poletto che tentava (pur con tutti i vincoli di spazio e linea editoriale) di approfondire le ragioni del no, persino le ragioni e i torti delle violenze che in quegli anni – lontani ma vicini – furono assai più subite che “perpetrate” da cittadini inermi nei confronti dei battaglioni antisommossa inviati “nelle Gallie a spegnere i focolai di rivolta popolare”

DSC_0437

Ma testo e titolo (più titolo che testo visto che è risaputo che noi siamo tra i pochi che vanno oltre le “parole scritte grandi”) narrano di una “svolta ecologista” del movimento No Tav: “quest’opera ruberà il futuro ai nostri figli”. Non me ne voglia la giovane Irene, (anche nelle vallate alpine è arrivata internet e dalla foto visibile sul sito del giornale che l’ha inviata nel profondo nordovest si desume che non sia della generazione di Orianafallaci); perché è col suo attempato collega che me la prendo: ma come fa uno che ci segue da decenni e che ci ha spesso intervistato “mettendoci la faccia” (ma chiedendo altrettanto all’interlocutore di turno) ad affermare che ci sarebbe stata una svolta in direzione di Greta in un movimento popolare nato dallo storico ambientalismo valsusino di Mario Cavargna (che fondava Pro Natura quando Legambiente e WWF non esistevano ed Ermeterealacci & Chiccotesta non erano neanche nati, né se ne sentiva la mancanza)… Quando a “svelarci” che il partito del tondino e del cemento stava (quello si) svoltando dai trafori autostradali ai megatunnel ferroviari (verniciati di verde) fu un certo Alex Langer a Trento a settembre del 1989, giusto 30anni fa?! Ma le fonti, vivaddio, le fonti: non ha niente da dire Anna Masera, la garante dei lettori del quotidiano fondato da Alfredo Frassati: non c’era bisogno di leggersi le centinaia di titoli di autorevoli, documentati e disinteressati studiosi che hanno scritto di noi in tre decenni.

DSC_0350Bastava rovistare  nelle pagine social No Tav sotto il logo de Il Grande CortileAmbiente ValsusaPresidio EuropaDemocrazia-km0 per “scoprire” che abbiamo appena rievocato l’intuizione del grande eco pacifista sudtirolese in difesa dell’ecosistema alpino da ogni sorta di tunnel e dal folle traffico di transito; e che lo abbiamo fatto grazie a chi gli subentrò  nell’europarlamento e ne prosegue tuttora la missione nella fondazione: il prof. Gianni Tamino, docente di Biologia Generale e di fondamenti di Diritto Ambientale e del corso di specializzazione in bioetica all’Università di Padova e membro del Comitato Nazionale sui rischi biologici presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri 

https://www.facebook.com/notes/il-grande-cortile-no-tav/alex-langer/2448271395421142/ : come si deduce dai suoi titoli Tamino si occupava – scientificamente – di ambiente quando ancora non si tentava di strumentalizzarlo a scopo di business come fanno adesso molti vecchi arnesi della politica e giovani affaristi che cercano – loro si – di afferrare le treccine di Greta Thumberg per strumentalizzarne la straordinaria determinazione oltre che la “tendenza” che suo malgrado le ruota attorno.

_DSC1103

Eppure solo il giorno prima Luigi La Spina, storico editorialista del quotidiano sabaudo, mai tenero (anzi) col popolo No Tav, si era lasciato andare a scrivere un po’ di righe francamente inaspettate dato l’abituale livore: “sarebbe una falsità e ingiustizia identificare il movimento che a da oltre 30 anni si batte contro l’alta velocità ferroviaria Torino Lione con le frange violente che purtroppo lo hanno strumentalizzato fino al punto di egemonizzarlo nella immagine mediatica nazionale. Anche i più convinti fautori dell’opera dovranno ammettere che la partecipazione popolare dei valsusini a tanti cortei che si sono svolti in questi anni è stata ampia (…) e caratterizzata da connotazioni ambientaliste con un anticipo temporale significativo rispetto alla consapevolezza attuale(…)

_DSC1051

Certo, una specie di “onore delle armi, a bandi banditi”, accontentandosi (bontà sua) che si appaltino (infischiandosene del “fine lavori) i 57km (su 270) del tunnel di base di interesse francese come lo è la società TELT) pagato con soldi prevalentemente italiani ed europei… Un riconoscimento della “utilità” della protesta e degli studi indipendenti per il “miglioramento” del progetto (che denota tra l’altro come la costante di tanti editorialisti sia la non conoscenza (si spera in buona fede)  del peggioramento che ogni soluzione progettuale ha portato con se dagli anni ‘90 a oggi! (E dei tanti soldi pubblici impiegati nell’oneroso adeguamento della linea esistente).

_DSC1183Ma evidentemente (a numeri noti dell’adesione all’ultima manifestazione) è prevalsa la paura:i No Tav son tornati (non siamo mai andati via, ma han finito per crederlo loro stessi a forza di aderire alla loro narrazione commissionata dai poteri forti che di ogni governo han fatto l’uso che si fa del maiale: non se ne butta niente, va bene Forzitalia (fin che è Viva col trapianto di Renzi), ma perché no il Califfo del Papete con l’elmetto giallo nel buco di Chiomonte, ma anche Toninelli, Dimaio & Conte che son riusciti a disinnescare persino l’unica analisi costo-benefici indipendente realizzata in 30anni, prima che esplodesse seppellendo per sempre anche il moncherino del Tav.

E infatti tutti i giornaloni, di destra estrema, centrodestra (di sinistra non ce ne sono più, perché non c’è più la stessa area di riferimento ) ammoniscono …GAME OVER i Bandi son banditi, toglietevi dalla testa che il ritorno della gente nelle piazze  (o la permanenza nelle strade di una vallata alpina) possa cambiar le cose nei palazzi, dove si ratificano le scelte della finanza internazionale…

_DSC1308

Già, ma fino a quando? Fino a che di Venezia resterà fuori solo i l campanile dei san Marco? (Anche grazie al soccorso green promesso di una ex ministra delle guerra  salita al soglio di Strasburgo)?

Borgone Susa, 9 dicembre 2019 – Claudio Giorno

Le belle fotografie della manifestazione sono di Diego Fulcheri e Luca Perino

Oltre 10mila No Tav in marcia per l’otto dicembre

https://www.infoaut.org/no-tavbeni-comuni/oltre-10mila-no-tav-in-marcia-per-l-otto-dicembre?fbclid=IwAR10wBDSoglC7P-SuimePYUv81zzRvLdDGoMLMbx0lz7XjWbB2xr6uH4WcQ

logoinfoaut

08 DICEMBRE 2019 |

“C’eravamo, ci siamo e ci saremo”. Una promessa e una certezza sullo striscione che apre la marcia No Tav tra Susa e Venaus in occasione dell’8 dicembre.

Oltre 10mila No Tav in marcia per l’otto dicembre
 

La certezza è data dalla generosa presenza di oltre 10mila No Tav, dimostrazione che il movimento è vivo e vegeto e che nonostante i trent’anni di resistenza alle spalle ha ancora tutta la sua attualità. La promessa è rappresentata dai volti dei tantissimi giovani che hanno attraversato la manifestazione con consapevolezza e determinazione. Al di là della celebrazione della giornata storica del 2005 il popolo No Tav si confronta e si aggiorna con le nuove sfide che propone il futuro. Prima tra tutte quella del contrasto al cambiamento climatico, ma anche in maniera molto più contingente i tentativi di questura e tribunale di disarticolare e intimidire il movimento con processi, misure cautelari e denunce marchiate dalla continua eccezione dalla legge e discrezionalità che porteranno presto alcuni ed alcune attivisti no tav a scontare condanne definitive come d’altronde sta succedendo già a Luca Abbà.

Il Tav, il modello di sviluppo a cui appartiene, la sua palese insostenibilità rappresentano un ecocidio (quello che sta succedendo a Salbertrand è paradigmatico in questo senso). E il contrasto a questa follia è il volano in cui si connettono le istanze delle diverse generazioni in piazza.

Notevole la presenza degli studenti di Fridays for Future – Valsusa e dei giovani No Tav che nei loro interventi sottolineano la correlazione tra cambiamento climatico e dissesto idrogeologico come dimostrano i recenti disastri.

La marcia dopo aver attraversato il centro di Susa ha imboccato la statale verso Venaus si è fermato al bivio dei “passeggeri” per ricordare la giornata di lotta che nel 2005 proprio in quel luogo vide il popolo No Tav sfidare il dispositivo di polizia e riuscire a sfondare il cordone per smontare il cantiere. Lì dove doveva sorgere il Tav oggi vi è l’arena dove si tiene ogni anno il Festival Alta Felicità: immagine semplice che descrive quale sia l’idea valsusina di abitare e prendersi cura del territorio.

Il corteo si conclude in borgata 8 dicembre con la consapevolezza che il popolo No Tav ha ancora tanta storia da scrivere e che in molti sono pronti a legarsi gli scarponi per resistere fino alla fine.