LA TORINO-LIONE E’ UN DELITTO CLIMATICO

Comunicato Stampa

PresidioEuropa

Movimento No TAV

7 dicembre 2019

www.presidioeuropa.net/blog/?p=20833

LA TORINO-LIONE E’ UN DELITTO CLIMATICO

dic – 7 – 2019

L’Accordo della COP del 2015 di Parigi ha stabilito che per ottenere il contenimento dell’aumento di temperatura globale della Terra entro 2°C al 2100 i Paesi firmatari si impegnano a ridurre le emissioni globali a partire dal 2020. Qualsiasi strategia che si propone di ottenere una riduzione immediata dei consumi energetici (come ad esempio la riqualificazione energetica degli edifici e l’installazione di impianti per produrre energie rinnovabili) è da preferirsi

Qualsiasi strategia che si proponga di ottenere una riduzione immediata dei consumi energetici (come ad esempio la riqualificazione energetica degli edifici e l’installazione di impianti per produrre energie rinnovabili) è da preferirsi rispetto alle Grandi Opere come la Torino-Lione che già durante la fase di cantiere emettono gigantesche quantità di CO2 .

Non è sempre e a priori vero che una ferrovia dia luogo ad una minore emissione di CO2 di una strada: dipende dalle emissioni durante tutto il suo ciclo di via, quindi in fase di realizzazione, dai tempi di ritorno e dalle condizioni di esercizio, di manutenzione e del suo eventuale smantellamento.

Per il tunnel ferroviario di base della Torino-Lione – lungo 115 km e composto da due canne di 57,5 km cadauna – non è stato rilasciato dai proponenti alcun studio certificato di bilancio di carbonio che dimostri che l’opera possa ridurre effettivamente le emissioni climalteranti derivanti dal trasporto delle merci su tale nuova tratta come affermano i proponenti.

La dimensione del cantiere del tunnel di base (scavo totale di 42 milioni di m3 di materiali), l’elevata potenza dei treni, nonché i consumi energetici per il raffreddamento e la ventilazione del tunnel di base tra Italia e Francia in fase di esercizio (circa 190 GWh/anno, pari alla domanda di circa 70.000 famiglie) vanificherebbero ogni eventuale futuro risparmio di emissioni serra.

Tale obiettivo è peraltro già raggiungibile oggi utilizzando la linea esistente a doppio binario via tunnel del Fréjus.

Marcia NoTav, il presidente Banchieri: “Ha deciso la maggioranza dei sindaci, la giunta guarda oltre”

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5 dic 19 Lagenda 

Intanto continuano i lavori della TAV già al 18% della realizzazione

L’Unione Montana Valsusa parteciperà alla marcia No TAV organizzata sabato 8 dicembre.

Il presidente Pacifico Banchieri non è entusiasta delle polemiche delle ultime settimane e guarda oltre. Da una iniziale no ad un si il passo è stato complicato e non semplice da comprendere.

Lui, il presidente, minimizza. “Non è una cosa così tragica e non influisce sul corso dell’amministrazione dell’Ente. Rispetto la maggioranza dei sindaci del territorio. Anche noi a Caselette vedremo come partecipare, non so se sarò io o qualche delegato. Sono dell’idea che finita questa settimana si tornerà a parlare e fare ciò che è più necessario nell’Unione.” Insomma per Banchieri nulla è cambiato rispetto a qualche settima fa.

I LAVORI PROSEGUONO SENZA SOSTA

Certo è che una parte della giunta dell’Unione Montana Valsusa, e da sindaci della bassa, si attendevano un cambio di visione politica sulla TAV che non c’è stato.

Bisogna anche riflettere che comunque tutti si attendevano un “dopo” Plano certamente complicato, e così è.

Si andrà alla conta e domenica si vedrà quali sindaci saranno presenti e quali no.

Si potrà fare un bilancio del consenso NoTav degli amministratori.

C’è poi da capire davvero, ad oggi, su quale argomento si sostenga il no alla TAV.

Nella montagna nel frattempo sono attivi quattro cantieri: a Saint Martin La Port, a Saint Jean de Maurienne a Saint Julien de Montdenis e a Chiomonte.

I lavori oggi sono al 18% del totale, e proseguono.

Altre sette cantieri partiranno in seguito all’assegnazione delle gare d’appalto.

Marcia No Tav in Valsusa, il verbale “riservato” sulla posizione dei sindaci

https://www.valsusaoggi.it/marcia-no-tav-in-valsusa-il-verbale-riservato-sulla-posizione-dei-sindaci/

4 dic 19 Valsusa Oggi

di Fabio Tanzilli

BUSSOLENO – In che modo i sindaci della bassa Valsusa hanno deciso di aderire (o non aderire) alla marcia No Tav dell’8 dicembre?

ValsusaOggi ha potuto leggere il verbale riservato ai sindaci, che contiene la sintesi dei contenuti emersi nell’assemblea del 22 novembre. Il verbale a cui l’articolo fa riferimento è stato mandato ai sindaci dell’Unione per poter dare l’adesione alla marcia No Tav entro il 2 dicembre, e poter quindi essere inseriti nel manifesto ufficiale.

Il verbale è stato inviato il 29 novembre dall’Unione Montana ai sindaci (prot. N. 0003030).

Si tratta di un documento interessante, in quanto vari sindaci hanno espresso la loro posizione in merito, mentre alcuni amministratori erano assenti.

Alla fine dell’incontro, come già noto, quasi tutti i Comuni si sono detti favorevoli nel far partecipare alla manifestazione No Tav l’Unione Montana.

Gli unici amministratori che in riunione si sono detti contrari sono stati Susa (con il sindaco Piero Genovese) e Sant’Antonino di Susa (con il vicesindaco Rocco Franco). Anche Borgone Susa è contrario, ma il sindaco Diego Mele era assente all’assemblea.

I tre Comuni “contro” (Susa, Borgone e Sant’Antonino di Susa) sono gli unici che non compaiono sul manifesto istituzionale dell’Unione Montana dedicato alla marcia dell’8 dicembre. 

Tutti gli altri paesi sono stati messi nell’elenco, compresi Caselette e Condove, amministrati da sindaci del Pd.

E all’assemblea dei sindaci erano assenti proprio i due primi cittadini No Tav tesserati Partito Democratico: oltre a Banchieri, primo cittadino di Caselette e presidente dell’Unione Montana (che in un primo tempo aveva addirittura annunciato che l’Unione Montana non avrebbe partecipato alla marcia No Tav), mancava anche il primo cittadino di Condove Jacopo Suppo.

Caselette ha comunque partecipato all’assemblea con un proprio rappresentante, esprimendo posizione a favore della marcia. La stessa adesione è arrivata anche da Condove.

Assente anche il sindaco di Villar Dora Savino Moscia, che però ha delegato per l’incontro la collega di Almese Ombretta Bertolo, ribadendo l’adesione del Comune e dell’Unione Montana alla marcia No Tav.

Ma cosa hanno detto i sindaci e gli amministratori durante quell’incontro, secondo quanto riportato nel verbale? 

Si è parlato della scelta di partecipare al corteo No Tav con la fascia tricolore. Secondo quanto scritto nel verbale, si sono espressi a favore Avigliana, Almese, Caprie, Mompantero, Venaus, Mattie, Bussoleno, Villar Focchiardo, Bruzolo, San Didero, San Giorio, Vaie, Sant’Ambrogio, Novalesa e Villar Dora.

Sul tema Tav, ci sono stati poi vari interventi, riportati nel verbale dell’incontro.

Il sindaco di Caprie Andrea Torasso ha chiesto di creare un coordinamento dei sindaci per “riflettere sul tema Tav e che riferisca all’assemblea”.

Il consigliere comunale di Mompantero Davide Gastaldo ha invece ribadito che la partecipazione dell’Unione Montana ai cortei No Tav non dovrebbe essere messa in discussione, “in quanto la maggior parte dei Comuni hanno nel loro programma la contrarietà all’opera, così come ribadito nello stesso programma dell’Unione”.

Per Caselette, il consigliere Giorgio Martini ha spiegato che sarà la giunta a pronunciarsi su come il Comune intenderà partecipare alla marcia (se con fascia tricolore o meno).

La sindaca di Bussoleno Bruna Consolini ha rimarcato durante la riunione “la necessità di diffondere un comunicato stampa sull’adesione dell’Unione Montana al corteo”. Inoltre ha chiesto all’assemblea dei sindaci “di partecipare in modo unitario”.

Per il Comune di Chianocco, il sindaco Mauro Russo ha detto che deciderà in seguito se partecipare o meno con la fascia tricolore alla marcia, ribadendo che la maggioranza consigliare è libera di partecipare come singoli componenti.

Il sindaco di Chiusa San Michele Fabrizio Borgesa ha invece espresso delle critiche sulle “fughe in avanti” fatte dal presidente Banchieri, probabilmente riferendosi al suo annuncio di non voler far partecipare alla marcia l’Unione Montana. Borgesa ha fatto presente che si tratta di “un metodo sbagliato”, visto che sulle questioni politiche c’è bisogno di “un confronto preventivo” tra i sindaci. “Non è che se bisogna gestire un’opera, che magari si inizierà a realizzare (il Tav ndR), non si possa continuare a dire no all’opera stessa” ha spiegato in assemblea.

Dello stesso avviso il sindaco di Vaie Enzo Merini, ha rimarcato “la necessità  di fare un passaggio preventivo con l’assemblea dei sindaci, cosa che non c’è stata prima di alcune dichiarazioni del presidente Banchieri”.

COSA HANNO DETTO I COMUNI CONTRO LA PARTECIPAZIONE DELL’UNIONE ALLA MARCIA NO TAV

Gli unici due amministratori che all’assemblea si sono espressi contro sono il sindaco Piero Genovese (Susa) e Rocco Franco (Sant’Antonino di Susa). Il primo cittadino di Susa ha detto che “se l’Unione Montana partecipa, deve comunque garantire anche le posizioni dei contrari. Il Comune di Susa non parteciperà alla marcia, in quanto ritiene non utile il mantenimento della posizione di contrarietà al Tav, in una fase in cui sono previsti progetti definitivi, avvii di cantieri e perché in contrasto con quanto richiesto nel documento di incontro sui contenuti richiesto ai Ministeri delle Infrastrutture e dell’Ambiente”.

Per Sant’Antonino di Susa, il vicesindaco Rocco Franco ha invece detto che è necessario “un cambiamento dell’approccio”. Ritiene che “non sia utile partecipare semplicemente per ricordare quello che è stato (l’anniversario dell’8 dicembre ndR)”.

LA POSIZIONE INTERMEDIA DI VENAUS

Secondo quanto riportato sul verbale (pubblicato qui sotto integralmente), pur ribadendo l’adesione alla marcia No Tav con gonfalone e fascia tricolore, il sindaco di Venaus Avernino Di Croce ha chiesto all’Unione Montana di partecipare al corteo dell’8 dicembre “non tanto come contrarietà all’opera, ma al suo approccio”.

Secondo il sindaco di Venaus sulla questione Tav “c’è un disorientamento piuttosto diffuso”. E ancora: “La data della manifestazione è simbolica per ricordare che l’opera viene imposta dall’alto e che testimonia un approccio sbagliato”.

IL TESTO INTEGRALE DEL VERBALE DELL’ASSEMBLEA DEL 22 NOVEMBRE (2 pagine)

L’IMPUNITÀ DI CLASSE AL TEMPO DEL MES E DELLA PRESCRIZIONE —– ACHTUNG BANDITEN ! —– MEDIA FALSARI PER OMISSIONE

https://fulviogrimaldi.blogspot.com/2019/12/limpunita-di-classe-al-tempo-del-mes-e.html

VENERDÌ 6 DICEMBRE 2019

 

Metabolizzata l’affettuosa gelosia di quella Francia che, dagli illuministi e dal 1789, passando per la Comune e arrivando a un anno e passa di fenomenali lotte dei Gilet Gialli, pur decimati, tra morti e mutilati, dalle emergenze fascistoidi di Macron, fino agli scioperi di milioni e di giorni, di ogni categoria, che stanno paralizzando la Francia e riducendo, nel confronto, a nanetti da giardino nel parco dei signori i vari Landini, Furlan e Barbagallo, torniamo alle nostre miserie. Che nessuno esplicita con minore pudore di quanto ci riesca il giornalismo dei nostri media.

Coloro che leggono queste note, tra epicurei che ne godono e stoici che le soffrono, sanno quanto mi sono strappato i capelli per le inversioni di rotta e gli arretramenti dei Cinquestelle (riferendomi sempre a quelli che ne sono responsabili, s’intende) e quanto me li sono inceneriti per essermi troppo a lungo ostinato a fidarmi di loro. Ho scritto anche un titolo “dal bene maggiore al male minore”. C’è chi, a questo proposito, lapalissianamente osserva che il meno peggio è comunque un peggio. Io rispondo con la stessa logica elementare, ma inoppugnabile: è quanto passa il convento. E allora cosa vogliamo fare? Chiudere il convento? Magari come Napoleone, che tanto bene fece in questo?

Cinque Stelle, il male minore. Quanto male, quanto minore?

E qui mi viene da pensare che i nostri Cinquestelle stanno a quanto noi avremmo voluto che fossero, come i mangiapreti Mazzini e Garibaldi stavano al Bonaparte che liquidava monasteri e sparava sugli altari. Ma tant’è: oggi siamo alla guerra tra onesti e farabutti e a quella tra chi la nostra sovranità vuole, se non recuperarla, difenderne l’ombra e coloro che, in cambio di due buffetti e quattro talleri, la vendono ai briganti di passo, i noti europassatori, cortesi o meno. E’ chiaro che parlo delle leggi del ministro Bonafede (non mi fate dire “grillino”, perché ormai quella qualifica fa riferimento a un delirante senile), mai viste e nemmeno subodorate in Italia, la Spazzacorrotti e la Prescrizione bloccata dal primo giudizio. La prima, mandando in galera evasori che agli italiani, per amore o per forza dabbene, rubano sui 110 miliardi all’anno, tagliando le unghie ai migliori amici di tutti gli altri partiti, nonché della cosca e dei suoi eunuchi installati a Bruxelles; la seconda impedisce agli stessi e ai loro affini di restare, a forza di prescrizione, lo 0,5% della popolazione carceraria italiana, a fronte del 13, 6% della Germania. E qui la guerra è contro un’architettura sociale che, grazie al concorso di avvocati e stampa (tutta “garantista”), blinda lo Stato nella sua storica consociazione politica e malaffare più o meno organizzato.

MES e svenditori neoprodiani

E parlo del MES. Si chiama “meccanismo di stabilità europeo”, perché, come già il Frankenstein suo predecessore, detto Fiscal Compact, stabilizza l’impero carolingio grazie a una moneta privatizzata che nei debiti e crediti pesa quanto viene deciso da una manica di banditi impadronitisi del continente. Con questo “meccanismo” hanno fatto sprofondare in mare la Grecia e, insieme alla Cina, hanno raccolto quanto ne è rimasto spiaggiato. Ora tocca all’Italia, Fortezza Bastiani sotto assedio dei Tartari (vedi Dino Buzzati), nella quale si è infiltrato il cavallo di Troia a tre teste: Conte, Tria, Gualtieri, con partiti sguatteri al seguito. Il quale neoprodiano Gualtieri, con padrino Mattarella e madrina Von der Leyen, ha l‘improntitudine di sancire che l’accordo, concluso di nascosto come tutte le porcate (TTIP, CETA, interventi militari), non è emendabile, è chiuso. Senza neanche che il parlamento ne abbia avuto sentore. Ci sarebbe da mandarlo in un campo di rieducazione. Per ora i Cinquestelle hanno ottenuto un rinvio a gennaio. Che non vada a finire come col TAV o con gli F35!

Non ditemi che non si tratta di battaglie epocali che, se portate fino in fondo e non compromesse da accordi al ribasso con il fronte – economico, politico, sindacale, clericale, istituzionale – che campa grazie a quella consociazione, prometterebbero un minimo di palingenesi nelle nostre condizioni di vita. E hai voglia a ridacchiare sui bambinoni che invocavano “onestà, onestà”, come fossero una fissazione frullata in capo a gente mai uscita dal luna park. Come hai voglia a cacciare nel raccoglitore della carta straccia la legge sul reddito di cittadinanza che ha osato l’inverosimile nella repubblica obliosa, non tanto dei crimini nazifascisti (ottima copertura a quelli attuali), quanto di una Costituzione nata dalla Resistenza e che formula il diritto al lavoro e a una vita dignitosa (Articolo 36. Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa). Capirai quanto ne possono essere rimasti entusiasti quelli dell’euro, della “lenzuolata” delle deregolarizzazioni, del Jobs Act, della legge sulle pensioni, degli esodati del MOSE e mangiatoie varie.

Fate la guerra, non il reddito di cittadinanza

Reddito, ridicolizzato e odiato più di tutti dal “manifesto”, quotidiano “comunista”, che ha fatto fare, per la misura che vale, un’inversione a U al processo fisiologico del capitalismo di succhiamento verso l’alto delle ricchezze in basso e, nei suoi primi otto mesi, ha ridotto alla metà i 5 milioni di poveri assoluti, con una media di 570 euro ad assegnazione e la riduzione dell’1,5% di una diseguaglianza in crescita da decine d’anni. Dicono, con espressione di chi ha ingurgitato un bicchiere di aceto, che non si è ancora passati dal reddito al posto di lavoro. Ma siamo ai primi 8 mesi e, intanto, vi fa schifo che ci sia gente che mangia? Al “manifesto” sembra di sì. Vi disturba che il precariato sia stato attaccato e ridotto, che i vitalizi non ci siano più? Che i corrotti vadano in galera? Allora andate in piazza con le sardine e urlate all’antifascismo, antipopulismo, antisovranismo.

Detto questo, non mi resta che ribadire il disastro che è stato e continua ad essere il combinato Grillo-Di Maio e loro annessi, sconnessi come loro dagli amorosi sensi di chi aveva portato il M5S al 33% e ora lo punisce dimezzandolo e ridimezzandolo. A partire dall’ambiente e certe Grandi Opere, alla faccia dell’ottimo ministro Costa, e a finire con UE, euro e Nato (F35!), all’interno della garrota atlantico-sionista.

Stampa, cane di guardia per chi?

Di tutto questo come si occupa il meglio del nostro giornalismo, specchio deformante della realtà quanto e addirittura più di quello occidentale che, con standard aurei dal peso di New York Times, BBC, CNN, Der Spiegel, Le Monde, The Guardian, El Pais, ci fornisce le regole d’ingaggio?

Quando si parla di prescrizione, non ce n’è uno che non lamenti, in coro con la muta della Camera Penale inorridita dalla perdita della greppia assicurata da anni di rinvii, l’offesa al garantismo costituita da processi interminabili. Che invece lo sono per chi ha interesse ad arrivare a una prescrizione lunga lunga, come quella del premier mafioso Andreotti, o del killer svizzero all’amianto Schmidheiny. E tutta la bella compagnia di indagati, processati, condannati, prescritti che costituiscono il nerbo dei tradizionali partiti di governo e di opposizione. Questo, in positivo. In negativo abbiamo invece il dato, del tutto taciuto, che per le vittime di reati il provvedimento è salvifico, dopo decenni di beffe a chi era stato colpito da reati e si è visto sfuggire, non solo il risarcimento materiale e morale, ma la giustizia tutta intera. Pensate a Ilaria Cucchi, ai suoi genitori, se non ci fosse stato un carabiniere, uno solo, a dire la verità sugli assassini di Stefano.

Achtung Banditen anche nell’OPAC

Passo di palo in frasca. Ricordate l’attacco al gas cloro a Douma in Siria, 7 aprile 2018, mentre le truppe siriane, con gli alleati, stavano spazzando via il mercenariato Isis di Usa e Nato?  Ricordate che istantaneamente fu attribuito ad Assad e giustificò il rilancio dell’”Assad sanguinario dittatore” e conseguenti tremendi bombardamenti sulla popolazione civile? Ricordate poi l’OPAC, l’organismo per la proibizione delle armi chimiche, che intervenne sul posto e, dopo mesi e in contrasto con quanto affermato da testimoni oculari e giornalisti sul posto che avevano visto solo una sceneggiata di bambini lavati con l’acqua fredda, dichiarò esserci stato quell’attacco?

Attacco al cloro a Douma: un modello

Adesso Wikileaks, tuttora operativo nonostante Julian Assange sia rinchiuso illegalmente nel carcere di Londra e sottoposto a torture psicofisiche (nel silenzio dei colleghi giornalisti e dei loro organi sindacali, FNSI in testa), ha dimostrato che è stata tutta una vergognosa operazione di chi doveva scoprire una montatura, messa in atto dai famigerati Elmetti Bianchi, “servizio civile” dell’ISIS, e invece l’avallò. Due dei più qualificati tecnici dell’OPAC hanno fornito documenti che evidenziano come le loro conclusioni sul campo confutassero la micidiale menzogna dei vertici dell’organizzazione e di tutta la stampa occidentale. Conclusioni prima incluse e poi cancellate dal rapporto finale. Nessuno le ha potuto smentire. Notizia colossale, indice di come si fabbricano eventi che portano a smisurate tragedie. Altre ne seguiranno, ha detto Wikileaks. Il criminale imbroglio è stato recentemente ammesso dalla sola BBC, arresasi ai documenti. Ne avete trovato traccia nei vostri giornali e tv? Una correzione di quanto passivamente, colpevolmente, condiviso? Scuse, in primo luogo alla Siria?  Qualcuno ne ha parlato, ma ha attribuito la rivelazione a un “disinformatore putiniano”.

Naturalmente anche in questo caso, i social media che ne riferiscono sono quelli di tutte le fake news, di tutti i complottisti. Badate che i media cosiddetti “main stream”, ufficiali, mentono per la gola, la borsa, l’inclusione, la carriera, la pubblicità, la benevolenza di Bilderberg e similaria. Mentono non solo inventando e accreditando balle. Mentono soprattutto per omissione. E’ la manipolazione più insidiosa. Ne ho avuto prova soprattutto nei miei 16 anni in RAI. Questo dillo, questo meglio di no. Si tratta di una tenaglia tra la disinformazione prodotta da quanto si afferma sia accaduto e quella che nasce dall’affermazione che una cosa non avvenuta ci sia invece stata.

Giornalismo di omissione: il più efficace

Il falso da omissione è la tattica propagandistica più efficace nel distorcere la percezione della gente su quanto sta avvenendo nel mondo quando si tratta di notizie sconvenienti per l’establishment. Il vantaggio grande è che, mentre puoi essere chiamato a rispondere di notizie false e devi rimediare con imbarazzanti smentite o correzioni, non lo sarai mai per notizie omesse. Per cui l’inganno preferito dai media è questo, l’omissione. C’è una candidata democratica alla presidenza che si chiama Tulsi Gabbard. Senatrice delle Hawai, Militare della Guardia Nazionale, in missione in Iraq ha constatato cosa sono le guerre degli Usa. E’ presente in tutti i dibattiti televisivi dei vari candidati. E’ contro tutte le guerre, le sanzioni, i regime change, i colpi di Stato, le rivoluzioni colorate e altri strumenti delle aggressioni Usa. le sanzioni. Ha condannato il golpe Usa-fascisti in Bolivia. Ha incontrato Assad, ha negato che sia un mostro e ha detto che Douma era una bufala. Un fenomeno senza uguali e senza precedenti. Altro che Sanders o Warren, che sparano su Maduro quanto Trump. Tutto l’establishment la odia. L’avete mai sentita menzionare? Il “manifesto” preferisce Hillary.

Tulsi Gabbard

Ci rompono h24 sull’ impeachment senza basi di Trump. I corrotti veri, di cui non si dice, sono Joe Biden, candidato democratico alla Casa Bianca e il figlio Hunter, inquisito con la sua impresa di malfattori ucraini per tangenti e schifezze varie di tutto il giro di Obama. Biden ha chiesto che venisse rimosso il PM che accusava il figlio, altrimenti niente miliardo e mezzo di aiuti. Le versioni ufficiali sull’11/9 e la strage di 8000 a Srebrenica sono state smontate da migliaia di esperti e testimoni. Sentito parlarne? Grande indignazione per il muro di Trump tra Usa e Messico e per il blocco dei migranti. Obama ha espulso più immigrati di qualsiasi presidente Usa, 1,5 milioni. Ve l’hanno fatto sapere? Il “manifesto” si straccia ogni giorno le vesti per migranti e razzismo. Ha mai scritto una riga sulla mafia nigeriana che gestisce prostituzione e spaccio in tutta Italia? Potremmo riempire di queste prodezze la piramide di Cheope.

Un buon mentitore non mente sempre. Mente quando è necessario e inevitabile. Ciò che fa è più perfido e vile: distorce, dice mezze verità, enfatizza dettagli insignificanti e marginalizza quelli decisivi, riferisce acriticamente versioni ufficiali, fa dello spinning, fila frottole. Ho sott’occhi un pezzo di Alberto Negri sul “manifesto”, giornalista apprezzato anche a sinistra. Il titolo attrae, è sul vertice Nato, ma la sostanza devia. E’un ininterrotta esaltazione dei curdi siriani “vincitori dell’Isis”, scelleratamente abbandonati. Il loro ruolo da mercenari Usa nell’occupazione della Siria araba, la loro pulizia etnica della popolazione non curda? Zitto. Falsità per omissione.

Ci sono anche trucchi di occultamento meno appariscenti. Far sparire notizie sgradevoli in pagine lontane, o riducendole a tagli bassi e trafiletti. Sospendendone la pubblicazione fino a quando non si presenti una notiziona opportuna che possa oscurare quell’altra. O dando più voce e spazio alla versione opportuna rispetto a quella sconveniente. Nessuno dirà che hai censurato. Lo si è visto alla grande nello scandalo Renzi-Fondazione Open.

E’ la stampa, bellezza. Teniamolo sempre presente. Soprattutto quando questi soloni da angiporto si permettono di demonizzare i social. Pazzi o brutti che siano, vi troviamo più verità in quelli che in qualsiasi testata di prestigio.

Il Mediterraneo visto dall’ISPI, attraverso le lenti Deep State

https://med.ispionline.it/med-2019-day-1-in-60-seconds/

Un’ultima cosa. In questi giorni a Roma grande kermesse allestita dall’ISPI, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, in collaborazione con il Ministero degli esteri, retto da Luigi Di Maio. Da settimane l’ISPI ci bombarda con roboanti annunci del grande evento, l’elenco interminabile di illustrissimi ospiti dall’universo mondo, la rassegna di temi cruciali per l’umanità intera. L’evento si chiama “MED 2019” e si propone di sviscerare, alla mano di esperti ineguagliabili, tutte le problematiche che riguardano il Mediterraneo. A partire, ovviamente, da quelle strategiche.

Il direttore dell’ISPI è quel personaggio che si presenta frequentemente in tv quando questa ritiene che il volgo e l’inclita debbano essere informati – ed educati – su quanto avviene nel mondo. L’ISPI è il consolato italiano che rappresenta l’empireo della buona geopolitica. Quella statunitense, quella Nato, quella contro la Cina, la Russia e contro tutti quelli che non apprezzano, condividono e si assoggettano alla civiltà che da queste entità viene diffusa. La sua è la versione vernacolare di quanto emana da bocche della verità come l’Atlantic Council, la Freedom House, La National Endowment for Democracy (NED). In altre parole, l’eccellenza dei Think Tank e dell’intelligence dei Deep State anglosassoni. Achtung Banditen!

Ma Di Maio non era quello che la sovranità… la Nato….……

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 20:49

Il Tav non s’ha da fare parola di economista

https://www.tgvallesusa.it/il-tav-non-sha-da-fare-parola-di-economista/?fbclid=IwAR02pdZ32p_NWsMycBSnLVRuBLhvDq6ZeQr-9Ddjse14aD3zuAUHWlweCHc

Tgvallesusa

Nel marzo scorso l’economista Nicoletta Forchieri esortava, con questo articolo, il governo gialloverde a non proseguire il Tav, argomentando questioni sugli accordi con la Francia e ponendo domande sullo sviluppo di FS.

Manifestazione No Tav 8 dic 18 – crediti Notav.info
di  (dal suo blog).

Ci sembra importante portare a conoscenza dei lettori questo articolo del 7 marzo 2918 scritto dal’economista Nicoletta Forcheri, che esamina la questione  dal punto di vista degli accordi con la Francia, e pone dubbi sullo sviluppo delle Ferrovie Italiane. Il testo è stato scritto nel periodo del governo gialloverde. Buona lettura.


Scrivo questo breve articolo per supplicare il governo di rifiutare la TAV. In tutti questi anni non me ne sono interessata veramente, ma ho sempre sentito che non ce la raccontavano mai né tutta né giusta. Anche in queste ore concitate che è sul tavolo dei ministri, e che tutti ne parlano, non si capiscono bene i termini del problema, semplicemente perché ce li nascondono, eppure questa sera Travaglio a Otto e Mezzo ha detto due dati finanziari che mi hanno lasciata perplessa e cioè, la quota spettante all’Italia per costruire il “buco” è già stata messa a disposizione, la quota francese no, la quota dell’UE ancora di meno perché è prevista a fine opera.

Allora sono andata a vedere la TELT, la società di gestione dei lavori: e già qua la prima brutta sorpresa. Ditemi voi il senso di costituire una società 50/50 naturalmente con SEDE LEGALE a PARIGI, composta dallo STATO FRANCESE per parte francese e da una società per azioni partecipata dal ministero delle Finanze, capoholding di una galassia di partecipate anche miste pubblico privato, Ferrovie dello Stato italiano SpA, per parte italiana? Cioè con una società “privatizzanda”?

Ma è possibile che gli italiani siano sempre così supini? Così distratti? Così ingenui? Questo significa semplicemente che è in atto un piano per far fallire FS e prendersela la Francia, perché se lo Stato francese non può mai fallire, almeno al momento, FS invece essendo una SpA può fallire, soprattutto se si espone a opere e acquisti folli e in particolare se nella sua galassia ci sono soggetti privati che dal di dentro creano flussi finanziari distrattivi tali da prosciugarla, come è sempre successo per indebolire una chicca di stato e prendercela.

C’è una differenza ONTOLOGICA ESSENZIALE tra uno Stato, soprattutto come la Francia, e una società per azioni sia pur partecipata da uno Stato ! Non capirlo o continuare a non averlo capito è da criminali stolti, ed è la stessa differenza che corre tra una banca centrale di diritto pubblico e una banca centrale direttamente controllata dal governo e dal ministero delle Finanze il cui capitale, per statuto, appartenga allo Stato, come è il caso della Banque de France. Nel primo caso abbiamo una banca centrale che pur dovendo fare i nostri interessi fa quelli dei suoi azionisti, come abbiamo visto continuamente in Italia, nel secondo caso invece abbiamo una banca centrale che deve fare gli interessi che le dettano i governanti controllati dal parlamento rappresentanti il popolo, se la democrazia funzionasse come dovrebbe. E sappiamo che nell’eurozona non funziona, ma almeno uno ci prova.

Quindi costituire una società “paritetica” di diritto FRANCESE con sede legale in FRANCIA con lo Stato francese non è, a propriamente parlare, un affare equilibrato e simmetrico. Anzi, significa semplicemente mettersi nella bocca del lupo. Soprattutto sapendo come ci trattano gli ambienti di affari e di Stato francesi che hanno deferito alla Commissione europea il caso dell’accordo di acquisto di Cantieri Navali da parte di Fincantieri allorquando la Commissione stessa ha comunicato che le dimensioni della transazione non sarebbero tali da giustificare l’esame del caso, che ciononostante sta effettuando. Stracciare un accordo già preso, e la Francia non solo non subisce alcuna penale ma quasi quasi la Commissione le da ragione pur essendo in plateale violazione delle sue regole di concorrenza!! Quanto sopra dovrebbe essere sufficiente per lo Stato italiano, o la sua partecipata, di NON entrare in affari con uno Stato che sappiamo essere ancora sfacciatamente colonialista, in modo così asimmetrico, in una cosa così delicata come un “buco” sotto le montagne di confine. E in caso di minaccia di “sanzioni” da parte dell’UE, dobbiamo semplicemente ribellarci. Perché alla Francia nessuna penale e noi sempre pagare ??? Ma non lo sentite l’odor di bruciato? Quand’è che decidete di dire di NO e basta?

Poi vado a vedere FS: è una società florida il cui risultato netto è un po’ frenato nel 2017 ma che continua a fare acquisti di società, una galassia (cfr. https://www.fsitaliane.it/content/fsitaliane/it/investor-relations/nuove-acquisizioni.html ), che ha un rating BBB di due agenzie di rating e con OUTLOOK NEGATIVO. Una ragione ulteriore per non entrare in questa impresa!

La società FS SpA, che ora è la capoholding – nasce nell’ambito delle privatizzazioni delle aziende pubbliche volute dalle famigerate leggi sulle privatizzazioni degli anni 92 e 93. Pochi lo sanno ma la concessione per l’esercizio del servizio ferroviario di trasporto pubblico ha una durata di 60 anni (era di 70 anni ma è stata ridotta successivamente) dal novembre 1993 (quindi fino al 2053!!). Prodi e D’Alema hanno completato la divisione tra Trenitalia e la gestione dell’infrastruttura RFI spa, che ha appena svenduto tutto il commercio in franchising di Grandi Stazioni spa a una società francoitaliana con sede in Lussemburgo. FS, che dovrebbe essere di Stato, continua a fare acquisti di società all’estero svendendo gioielli di famiglia e invece di permettere ai normali cittadini italiani di aprire bar e ristoranti nelle stazioni, offrendo loro opportunità di lavoro dignitoso, cede tutto d’un pezzo il “retail” a una società, offrendo quindi lavori da schiavi in una catena: in barba alle norme sulla concorrenza UE!

Tra le società partecipate in misto pubblico privato ci sono ad esempio grandi patrimoni dello Stato che dovrebbero essere inalienabili come Grandi Stazioni SpA che comprende le maggiori stazioni monumentali del paese, già controllate da FS ed Eurostazioni SPA quest’ultima controllata dalle società di Caltagirone, Benetton, Pirelli e dalla Società nazionale delle Ferrovie FRANCESE ! Cioè abbiamo le nostre Stazioni patrimonio immobiliare controllate dai soliti prestanome scorrirotelle e dall’azienda delle ferrovie pubblica FRANCESE!! Anche il retail di Centostazioni spa è appena stato ceduto ad una società privata, giusto per peggiorare la situazione dei piccoli imprenditori italiani della ristorazione. Ma quand’è che direte NO a tutto questo scempio?

La chicca è che vige per tale gruppo, esattamente come per la Banca d’Italia, il principio di indipendenza patrimoniale, gestionale e contabile dallo Stato. Quindi una società indipendente dallo Stato entra in affari con il grande Stato francese il quale ha persino dei ministeri che agiscono direttamente da banca, come il Tesoro che funge da Banca centrale dei dom tom e della Françafrique, o l’Agence française de développement, un ente pubblico detto EPIC (entreprise publique de l’industrie et du commerce) che non può mai fallire perchè ha la garanzia dello Stato francese che è nel contempo una banca!!

Ferrovie dello Stato SpA è una società sulla quale pende sempre come una spada di Damocle la privatizzazione visto che nel 2015 il governo aveva anche “scelto” come “consigliori” per privatizzare FS società come McKinsey & Company, con Ernst & Young Financial Business Advisors Spa e che le letterine ossessive di Bruxelles ce lo ricordano costantemente: quand’è che privatizzate il resto? ci scrivono, “le privatizzazioni non sono state sufficienti” e così via dicendo (cfr. https://scenarieconomici.it/il-paradosso-del-doppio-legame-ue/)

Insomma quanto sopra dovrebbe bastare e avanzare per stracciare gli accordi e non procedere se ci vogliamo tenere le nostre stazioni e la nostra ferrovia, visto che ha tutta l’aria di essere una mossa per indebitare FS e poi privatizzarla. Ai soliti francesi. E vale la pena di sfidare apertamente le istituzioni europee per le eventuali sanzioni che ostenteranno per ricattarci e farci fare il “buco”, e aprirci da nord a sud (ONG e TAP) come “scatolette di tonno”.

Non solo, ma consiglierei ai vertici di FS di dismettere le società all’estero e di concentrarsi su tutte le carenze, che sono tante, in Italia: binari chiusi, o binari unici, treni fatiscenti e sporchi, riduzione delle frequenze e così via dicendo.

Meno internazionalizzazione e più servizio pubblico locale!

Nforcheri 6/3/2019

http://www.telt-sas.com/wp-content/uploads/2016/10/TELT_STATUTO_agg010716.pdf

http://www.telt-sas.com/it/atti-accordi-codice/http://www.telt-sas.com/it/atti-accordi-codice/

SARDINE: NON ABBOCCARE, NON ACCREDITARE, SMASCHERARE

https://fulviogrimaldi.blogspot.com/2019/12/sardine-non-abboccare-non-accreditare.html

MERCOLEDÌ 4 DICEMBRE 2019

Pubblico parte di un contributo dell’amico Piotr al dibattito se convenga o meno, interpretando Gramsci e altri in modo non omogeneo a seconda degli interlocutori, provare a inserirsi nel movimento di piazza delle cosiddette sardine. Fenomeno non spontaneo, ormai inconfutabilmente dimostratosi fiancheggiatore di un establishment domestico e internazionale rappresentato da oligarchie neoliberali (da noi PD, IV e annessi) parademocratiche, atlantiste, pro-UE, guerrafondaie. Le stesse che, tentando di coprire le proprie responsabilità per il deterioramento di tutte le condizioni sociali, economiche, ambientali, culturali, si definiscono antipopuliste, antirazziste, anti-xenofobe, antisovraniste, antifasciste, pur nel proseguimento accelerato di un processo di fascistizzazione imperialcapitalista. Un biototalitarismo del Terzo Millennio portato avanti con sempre più feroci meccanismi di trasferimento della ricchezza dai dominati ai dominanti, di sradicamento, mescolamento e livellamento di popoli, cancellazione di identità e della relativa coscienza-conoscenza di passato e presente, giusto e ingiusto, di falsi scopi, compressione di libertà e diritti nella società della manipolazione, falsificazione, sorveglianza, controllo e censura (definita dai fakenewsisti di regime “lotta alle fake news”).

Smascherare le operazioni alla “sardina”, dello stesso filone di tutte le rivoluzioni colorate e dei movimenti di distrazione di massa dai crimini del Sistema e dalle contraddizioni reali, dovrebbe essere l’impegno della fase.

Fulvio

Italia

Non ritenevo e non ritengo possibile “dialogare” con le Sardine?

Per due motivi, argomentavo.

Il primo motivo è che è un movimento blindato dai suoi leader, dai suoi sponsor, dai media, ed è blindato nelle modalità (anche tecniche) di convocazione. E’ un movimento che se solo mostrasse crepe nella blindatura verrebbe immediatamente dismesso.

Il secondo motivo, legato al primo, è che la piattaforma di convocazione del movimento delle Sardine è stata congegnata in modo da escludere la discussione e il contraddittorio. E’ una piattaforma escludente perché è basata su sentimenti politici vaghi che non devono assolutamente essere approfonditi razionalmente. Una piattaforma che si basa non su argomenti ma su insulti (“populista”, “razzista”, “nazionalista”, “sovranista”, “rossobruno”).

E’ una piattaforma basata sui dogmi e sull’esorcismo. Una piattaforma religiosa, non politica.

Tuttavia facevo i miei sinceri auguri agli ardimentosi che volevano cimentarsi col dialogo.

Ed ecco i primi risultati.

A Firenze domenica scorsa una persona che si era intrufolata nel mare delle sardine con una bandiera rossa con tanto di falce e martello, è stata allontanata dalla folla.

A Taranto un gruppetto che oltre a Bella ciao si è messo a cantare Bandiera rossa è stato azzittito dalla folla. Notevole, se si pensa che ai miei tempi Bella ciao e Bandiera rossa andavano sempre in tandem! Tempi geologici differenti, evidentemente.

I media filosardineschi hanno motivato questi due spiacevoli episodi all’unisono: “Le Sardine non vogliono essere caratterizzate politicamente”.

Una grande, enorme cazzata che vuole nascondere la realtà.

Già, perché le Sardine sono molto caratterizzate politicamente. E caratterizzate molto male.

Quando gettano “un ponte ideale” tra loro “e chi manifesta a Hong Kong e in Iran” e non gettano invece nessun ponte ideale tra loro e chi manifesta in Bolivia contro il golpe fascista, in Cile contro il campo di concentramento neo-liberista messo in piedi dai tempi di Pinochet con l’ausilio dei Chicago boys, o con chi resiste in Venezuela alle squadracce dedite alle guarimbas, cioè alle violenze squadriste, o con la sinistra perseguitata in Ucraina e in Lettonia, se le Sardine scelgono di gettare quei due specifici ponti ma non gli altri, allora lo schieramento politico è certo e sicuro, come una madre rispetto a un padre.

Perché?

Perché il PD, assieme a Boldrini, Meloni e Salvini, sostiene il golpista fascistoide venezuelano Guaidó e si è rifiutato di incontrare i parenti delle vittime delle guarimbas.

Perché il PD, come Boldrini, Meloni e Salvini, non dice assolutamente nulla sul golpe fascista e razzista in Bolivia. Anzi, la sua (del PD) Mogherini ha definito “legittima” l’autoproclamata presidentessa.

Perché il PD ha sostenuto fin da subito i nazisti ucraini, tanto da far infuriare la sua stessa base.

Perché il PD, assieme ancora alla Meloni, sostiene Joshua Wong, il candidato para-golpista di Hong Kong frequentatore del capo ufficio PR di al-Qaida.

Perché il PD ha detto che sulle cose importanti non bisogna far votare la gente: il “popolo sovrano” se ne deve star zitto.

Perché il PD segue quel che dicono gli USA e oggi la principale parola d’ordine di Trump è: “Contro la Cina e contro l’Iran!”. E le Sardine fan da cassa di risonanza.

Perché siamo arrivati ad essere l’11° Paese al mondo per spese militari e non contento il neo-governo di neo-centrosinistra ha deciso di comprare 90 F35 a suon di miliardi di euro (con un inqualificabile voltafaccia sia del M5Stelle che del PD). Altro che scuola, lavoro e sanità.

Perché abbiamo uomini e mezzi militari in decine di Paesi stranieri e nemmeno sappiamo cosa stanno facendo (militari uccisi nel Kurdistan iracheno dove non dovevano esserci, nostri droni abbattuti in Libia dove nessuno sapeva che ci dovessero andare, …).

Perché il PD segue pedissequamente una potenza che ha fatto piani per una possibile guerra d’aggressione (contro i suoi competitors) dove sono tranquillamente previsti  centinaia di milioni di morti, che le “alcune migliaia di morti” per sedersi al tavoli delle trattative di Mussolini sono in confronto una ingenua bambinata. E non storcete il naso se dico questo, per favore, perché dopo che gli “psicopatici di Washington” (credit: Paul Craig Roberts, ex sottosegretario al tesoro di Reagan, uno che Washington la conosce bene) hanno stracciato unilaterlamente i trattati con la Russia sulle armi atomiche di medio raggio, dato che nel medio raggio ci siamo noi, quei morti potrebbero essere i nostri figli e le nostre figlie, i nostri e le nostre nipoti. Non fate gli struzzi.

Ecco il perché. Perché questo è il totale, la “bottom line”, il “grand total” della lista precedente: se proprio si vuole usare questa categoria, il PD è un partito fascista. Sì, anche lui. Non pensiate che noi si sia in una situazione così differente da quella del Bengala Occidentale. Non illudetevi.

Io ragiono con altre categorie, ma se proprio vi piace questa, occhio allora a dove sta il fascismo, attenti da dove proviene l’ondata.

Perché, abbiate pazienza, se un partito così “antipopulista”, “antiodiatore”, “antimachista” e “antisovranista” come il PD esegue gli ordini di un recordman mondiale del populismo, dell’odio, del machismo e della sovranità (o sovranismità) come Donald Trump, altro che Capo Horn. Il caos non può essere più completo.

Buona fortuna e buona navigazione.

Piotr

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 18:09

No Tav: marcia Susa-Venaus l’8 dicembre, aderisce anche Legambiente

http://www.greenreport.it/news/mobilita/no-tav-marcia-susa-venaus-l8-dicembre-aderisce-anche-legambiente/?fbclid=IwAR0_Dylh7d14scrzgrjBqVFKBbm83M4rbvD6FNb8zhrQXZ50FuyXrXcFIP8

«Ci sono altre priorità, il Governo si confronti sulle vere opere pubbliche che servono al Paese a partire dalle politiche di adattamento alla crisi climatica»

[6 Dicembre 2019]

Il movimento NO Tav ha convocato per l’8 dicembre una nuova marcia Susa-Venaus e in un appello sottoscritto da diversi attivisti sottolinea: «Continuiamo a scrivere le pagine di questa lunga storia, che ci vede protagonisti insieme a migliaia di persone in tutta Italia di una battaglia quasi trentennale a difesa del nostro territorio e per il futuro di tutte e tutti. Tra cricche di poteri, pubblici ministeri persecutori dei No Tav che vengono indagati, nemici dei No Tav che fanno affari con la mafia, tonnellate di amianto abbandonate sui siti di interesse dei futuri lavori, c’è ancora chi continua a sostenere la credibilità di quest’opera. La forza di governo maggioritaria alle ultime elezioni ha dichiarato che quest’opera è da fare, nonostante anni di campagna elettorale contraria ed un’analisi costi benefici che ha dimostrato che ciò che abbiamo sempre detto è vero, il Tav è un enorme spreco di denaro pubblico. Oggi, contrastare queste opere inutili e devastanti significa difendere un pianeta a rischio sopravvivenza. I cambiamenti climatici stanno condannando l’uomo e la natura all’estinzione a causa di uno sfruttamento delle risorse di un sistema fuori controllo. Tutto ciò non è più sostenibile e dobbiamo agire ora».

Alla manifestazione ha annunciato la sua adesione anche Legambiente «per ribadire il proprio no alla linea ad alta velocità Torino Lione, una grande opera inutile, costosa e che rischia di produrre danni irreversibili all’ambiente».

In una dichiarazione congiunta, il presidente nazionale del Cigno Verde, Stefano Ciafani, e Giorgio Prino, neo-residente di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta, evidenziano che «Le ferite dei nostri dei nostri territori ci dimostrano ancora una volta che la crisi climatica impone dei cambiamenti urgenti nelle priorità non solo dell’agenda politica internazionale, e la Conferenza sul clima (COP25) in corso a Madrid è un importante banco di prova su questi temi, ma anche di quella nazionale e locale.  Le opere che davvero servono all’Italia e al Piemonte sono altre, non certamente la Tav la cui utilità, dopo decenni di discussione, resta ancora tutta da dimostrare. Insistere sulla Tav significa non tenere conto delle opere pubbliche che servono davvero al Paese, a cominciare dalla riqualificazione di un territorio fragile e delicato, dove troppo spesso il rischio idrogeologico causa vittime e danni. Senza dimenticare più in generale quelle opere che permetterebbero di ridurre le emissioni in atmosfera di gas serra e inquinanti, di ridurre lo scarico dei reflui fognari nell’ambiente per cui stiamo pagando multe salate, di affrontare il tema della gestione dei rifiuti o, ancora, affrontare la sfida legata alla mobilità urbana, ferroviaria e pendolare».

Tutto questo anche perché, ricorda Legambiente, «La Tav non sposterà un solo tir dalla strada, visto che resterà più economico e facile far “girare” le merci su gomma». Invece, secondo l’associazione ambientalista, «Il Governo deve avere il coraggio di ridurre la quota di trasporto merci che oggi viaggia su gomma disincentivando questo trasporto attraverso leve fiscali e tariffarie, promuovendo la mobilità urbana sostenibile, rafforzando e rendendo più competitivo il trasporto ferroviario pendolare e urbano per offrire una valida alternativa all’auto. Quello della mobilità è un problema che anche in Piemonte resta una priorità: nel 2017 sono state in media 166.445 le persone che ogni giorno hanno preso un treno pendolare, in diminuzione rispetto al 2016 quando si attestavano a 167.556 mila. Un’emorragia di pendolari che, per tornare almeno livelli del con 175.400 viaggiatori, necessiterebbe di sempre maggiori investimenti. Oggi, invece, gli stanziamenti per il servizio ferroviario si attestano a 5,51 milioni di euro l’anno, appena lo 0,05% del bilancio regionale. E la Torino-Lione non farà altro che drenare ulteriori risorse a scapito dei pendolari. Così come è sempre più evidente la necessità di allocare maggiori risorse per fronteggiare le conseguenze della crisi climatica, con un’accelerazione delle politiche di mitigazione del clima per preparare i territori, le aree agricole e le città a impatti che si stanno dimostrando sempre più devastanti. Nella sola regione Piemonte sono 1131 i comuni con aree a rischio frana o alluvione: praticamente il 93% del totale, con punte superiori al 99% nelle province di Cuneo e Asti».

8 dicembre No Tav: il Pd di valle contro l’adesione dell’Unione montana

http://www.lunanuova.it/valli/2019/12/03/news/8-dicembre-no-tav-il-pd-contro-l-adesione-dell-unione-montana-505145/?fbclid=IwAR0EVHiXoj5xnruLCCPuhmABLp2b0zdZsdo24ZWb6p1hSkOP6Q1lCDNafI8&refresh_ce

Presa di posizione del coordinamento Susa-Sangone, ma 19 comuni su 22 sono pronti a sfilare

03 Dicembre 2019 – 15:30

8 dicembre No Tav: il Pd contro l'adesione dell'Unione montana

Il Partito Democratico valligiano si oppone, per la prima volta in forma ufficiale, all’adesione dell’Unione montana Valle Susa alla manifestazione No Tav Susa-Venaus di domenica 8 dicembre, sconfessando di fatto, aspetto non marginale, il presidente Pacifico Banchieri, iscritto al Pd. La decisione è stata assunta ieri sera, lunedì 2 dicembre, durante una riunione del coordinamento Pd valle di Susa-val Sangone tenutasi a Villardora: in un comunicato stampa firmato dal coordinatore valligiano Antonello Mario Mulas, si esprime la contrarietà alla decisione «assunta a maggioranza dall’assemblea dei sindaci dell’Unione dei comuni montani bassa valle Susa di partecipare alla manifestazione indetta dai comitati No Tav con fascia e gonfalone rappresentanti le loro comunità. In questa circostanza il coordinamento Pd di valle, nel ribadire il valore delle azioni condotte per cambiare radicalmente il progetto iniziale della nuova linea Torino-Lione, a cui hanno partecipato anche amministratori e militanti del Pd, ritiene che si debba aprire una nuova fase politica e amministrativa basata sul riconoscimento istituzionale dell’opera non solo a livello europeo e nazionale, ma anche a livello locale. In questo quadro si deve ripensare all’ubicazione della stazione internazionale di Susa, la cui necessità intendiamo inquadrare in un nuovo progetto di sviluppo. Il coordinamento Pd di valle ha già avviato un lavoro mirato a produrre un documento alla cui elaborazione e stesura s’intende coinvolgere attori e specialisti del territorio, non necessariamente impegnati nelle istituzioni. Tale lavoro sarà presentato pubblicamente entro 90 giorni. Il coordinamento Pd di valle, nel pieno rispetto delle future scelte di ciascuno, invita i sindaci con le loro comunità a riflettere sulla motivazione da noi posta». Sono però 19 su 22 i comuni (tutti tranne Susa, Borgone e Sant’Antonino, compreso Caselette di cui Banchieri è sindaco) che hanno aderito alla manifestazione, alcuni dei quali non iscritti ma politicamente vicini al Pd.

Servizio completo su Luna Nuova di venerdì 6 dicembre 2019

Chi applaude Greta e vuole il TAV non la racconta giusta

https://volerelaluna.it/tav/2019/12/03/chi-applaude-greta-e-vuole-il-tav-non-la-racconta-giusta/?fbclid=IwAR08zAA_0FaL85RAj3G_D17ex3ET_icYhH46KrQWxXewzB6soJL2gX4R5HU

03-12-2019 – di: 

La corsa all’accaparramento di Greta Thumberg registra ogni giorno nuove sospette adesioni; e si fa asfissiante (quasi più dell’effetto-serra) il corteggiamento del Movimento FFF, nato per lo stimolo potente, la coraggiosa intransigenza e la determinazione sorprendenti di una ragazzina che ha avuto il coraggio di denunciare i tanti re nudi che ci circondano e senza che nessuno li indicasse prima alla pubblica disapprovazione.

Visto dalla Valle di Susa questo vero e proprio tentativo di abbraccio mortale rivela particolari addirittura grotteschi: se c’è un luogo dove in 30 anni si sono adoperati tutti i vecchi arnesi oggi raggruppabili nello slogan “ecocompatibilità” è il nostro. “Ecocompatibile” per antonomasia (prima ancora che divenisse d’uso comune lo stesso termine ecologia) fu la realizzazione a scopo idroelettrico di uno dei più grandi bacini d’alta quota (2 mila metri s.l.m.): il lago del Moncenisio, un invaso lungo circa 6 Km ottenuto sbarrando il pendio italiano del valico ceduto alla Francia come “bottino di guerra” ma dove di comune accordo EDF & ENEL (del resto partner anche sul nucleare) realizzarono, decapitando una montagna, una della più grandi dighe in terra d’Europa! Sommergendo per sempre la strada napoleonica, lo storico ospizio, il paese con la sua chiesetta e il piccolo cimitero sotto oltre 300 milioni di metri cubi d’acqua che alimentano le sottostanti centrali idroelettriche in caverna (quella “nostra” è a Venaus): un movimento terra da leccarsi i baffi, per i mafiosi mandati al confino… Poi, più di mezzo secolo dopo, si sbarra, questa volta con calcestruzzo e paratoie metalliche, l’altro versante (quello della Dora Riparia), che viene semi-prosciugato per alimentare un nuovo e moderno sistema idroelettrico marchiato IREN, che dell’ecocompatibilità ha fatto la sua mission, soprattutto grazie alla catena di termovalorizzatori pubblicamente sovvenzionati, a corredo di vecchie e nuove centrali idroelettriche o policombustibile. Nello spazio dei 50 anni racchiusi nell’arco voltaico alla valle viene fatto dono – negli anni ’80 – del raddoppio (quasi completamente in galleria) del binario unico sul tratto più acclive e tortuoso (Bussoleno-Salbetrand) della ferrovia che collega Italia e Francia fin da quando il tutto ancora si chiamava Savoia. Per venire ai giorni nostri agli impegnativi e onerosi lavori di risagomatura del traforo ferroviario del Frejus. Un ampliamento destinato a rendere più scorrevole il trasporto di camion su treno sul tratto a cavallo del confine, da Bardonecchia a Modane. Poco meno di un miliardo di euro di denaro pubblico interamente speso, ma che viene “svalutato” dagli stessi amministratori delegati che adesso siedono ai vertici di TELT (il nuovo logo scelto per quel che resta del TAV Lyon-Turin, vale a dire il tunnel Bussoleno-St.Jean): gente che, prima della folgorante conversione sulla via del ferro, adorava la dea gomma e sedeva sulla poltrona SITAF (traforo & autostrada del Frejus); gli stessi personaggi che hanno spinto per la realizzazione di un tunnel e di un’autostrada (quasi tutta in galleria) e che (come aperitivo al buco per l’eco-treno) hanno scavato il raddoppio del tunnel stradale per i futuri eco-Tir (del resto chi vende camion li dichiara sempre più ecocompatibili, prossimamente elettrici): la quadratura del cerchio tra SITAF, IREN, ENEL & TAV…

Chi ha avuto la pazienza di seguirmi sin qui si sarà fatto un’idea di quante infrastrutture sono state messe a dimora negli ultimi 50 anni in Val di Susa, ma forse non tutti sanno che il fondovalle “utile” è largo mediamente poco più di un Km. Le due grandi centrali elettriche di Venaus, ad esempio, trasportano l’energia a grandi distanze con imponenti elettrodotti che determinano pesanti servitù di passaggio; e il più recente – che collega la rete elettrica italiana a quella francese – sta venendo interrato sotto la rete stradale. Abbiamo sempre affermato senza mai essere smentiti che, sia per metri quadri di “territorio utile” che per metri cubi di calcestruzzo pro capite, siamo una delle vallate alpine a più alta concentrazione di infrastrutture (e di denaro pubblico in esse riversato in luogo di una sempre più necessaria politica di prevenzione idrogeologica, resa drammaticamente urgente proprio dal cambiamento climatico). E le grandi infrastrutture proteggono solo se stesse, e neanche sempre: Genova, tragicamente, insegna.

Ora, per la sua caratteristica di lotta popolare straordinariamente longeva, con momenti di vera e propria ribellione di popolo come nel dicembre 2005, ci siamo (ci hanno?) caricati addosso aspetti simbolici che vanno anche ben al di la della posta in gioco, per cui la propaganda a tappeto dei giornali di “proprietà finanziario-palazzinara” ha svolto il suo istituzionale ruolo di disinformazione con un accanimento particolare (ampiamente e approfonditamente documentato nei lavori del Controsservatorio Val Susa). Ai No TAV non solo non la si può dar vinta, ma per poter costruire indisturbati la fabbrica dei conci di galleria (in zona esondabile!) si è deciso di mettere mano alla costruzione di una nuova “fabbrica del consenso” che, nel fritto misto di fake news di regime, ha posto l’accento proprio sulla pretesa ecocompatibilità della Grandeopera, sulla sua taumaturgica azione virtuosa contro il cambiamento climatico, ottenuta grazie al trasferimento modale gomma/ferro.

In 30 anni di studi, dopo decine di libri di autorevolissimi (e disinteressati) esperti è stata prodotta una documentazione mai smentita, anzi confermata dai dati reali e addirittura rivelata dai dati progettuali dei proponenti. Dati sui quali, peraltro, ci siamo sempre rigorosamente basati citandoli nelle nostre controdeduzioni. C’è in rete una montagna di gigabyte di argomentazioni che nessuna talpa riuscirebbe mai a perforare… Ma per confutare la propaganda di coloro che tentano di usare Greta e il movimento giovanile che da lei ha preso vita basta dire che nei documenti ufficiali di Italia, Francia e UE non vi è traccia della fu Torino Lione (oltre 300 km desaparecidos) e che i francesi sono sì favorevolissimi allo scavo della galleria di valico, ma solo perché la pagano gli italiani e l”Europa” e hanno formalmente deciso che prima del 2035 non intendono rimettere mano neanche alle carte progettuali delle cinque gallerie (ben più complesse e onerose di quella di valico) tra St. Jean e Chambery (nonostante le solenni promesse delle prime e ormai storiche brochure di propaganda). Anzi, l’attuale governo transalpino per il traffico merci ha optato per l’uso della ferrovia esistente Torino-Digione (in luogo di una nuova Torino-Lione)! Ma soprattutto va evidenziato che scavare le gallerie di una intera ferrovia ex novo aumenterebbe le emissioni di CO2 fino al 2038 (dati del Quaderno 8 dell’Osservatorio del Governo italiano). E a patto che (con un tocco di bacchetta magica?) sparisca più della metà dei camion e le merci salgano spintaneamente in carrozza!

Se davvero l’obiettivo perseguito fosse quello di mettere le merci (possibilmente utili) sui treni e non le mani su una montagna di denaro pubblico a favore di lobby private, si potrebbe lavorare da subito al riempimento dei binari esistenti, oggi ben al di sotto di un quinto delle loro potenzialità: chi sa se nel 2038 ci sarà ancora un solo ghiacciaio sulle Alpi, nel frattempo ridotte a una groviera dalla banda dei buchi che ha rubato l’adolescenza di Greta?

Auto e batterie elettriche, l’insostenibile costo ambientale e sociale delle materie prime

http://europa.today.it/ambiente/auto-elettriche-materieprime.html?fbclid=IwAR1AHuy6ty2dlMXRCpO9qpHAL0MCPzme1apn90pxLNZ4F4Ip-QvcAmXBTxM

Un rapporto di Transport & Environment punta il dito contro “l’accertato sfruttamento minorile nelle miniere del Congo” e “i problemi ambientali legati all’estrazione del litio in Sud America”. Proposto un piano di regolamentazione per rendere sostenibile l’intera filiera

“Spostare le emissioni”

L’estrazione mineraria delle materie prime delle batterie e il processo di trasformazione finale “richiedono quantità significative di energia che potrebbero generare emissioni di gas serra così elevate da ridurre i benefici climatici marginali derivanti dall’uso di veicoli elettrici anziché di quelli con motore a combustione”. In altre parole, “le emissioni vengono spostate da una ‘conduttura’ all’altra”, creando una filiera che “richiederebbe nuove normative”. 

Le variabili in gioco

Il rapporto analizza quindi in precedenti studi scientifici in materia di misurazione di tale impatto ambientale, soffermandosi sulle varie difficoltà di calcolo dovute a troppe variabili, quali le tecniche di lavorazione, il luogo di produzione e persino i metodi di trasporto delle batterie. Un capitolo a parte è dedicato anche all’utilizzo della batteria, alla sua vita media, al numero di ricariche e allo smaltimento delle celle, che a sua volta apre nuove problematiche legate al riciclo. 

Il problema delle materie prime

Ma in mezzo a tante complessità, emerge un punto fermo sull’estrazione delle materie prime. La produzione di batterie agli ioni di litio si avvale infatti “dell’attività estrattiva artigianale nella Repubblica Democratica del Congo” e “in alcune aree del Sud America”. Il rapporto fa quindi riferimento ad altre due ricerche che hanno rivelato “lo sfruttamento di manodopera, anche minorile” nei siti minerari africani e “problemi ambientali” legati all’attività estrattiva in Cile.

Le miniere che sfruttano i bambini

Lo studio sulle miniere congolesi fa luce sullo sfruttamento della manodopera minorile per l’estrazione di cobalto, che viene compiuta, come denuncia una videoinchiesta del Wall Street Journal, senza rispetto delle più elementari norme di sicurezza. Un’altra inchiesta giornalistica pubblicata dal Guardian rivela che sarebbero 35mila i bambini “dai sei anni in su” impiegati nelle attività estrattive, su una forza lavoro totale del comparto che impiega 255mila persone. 

La riserva naturale in pericolo

L’altro studio citato mette in relazione l’estrazione del litio in Cile con l’impatto ambientale nel lago salino Salar de Atacama, nella parte settentrionale del Paese. “Abbiamo identificato le attività di estrazione del litio come uno dei principali fattori di stress per il degrado ambientale locale”, scrivono gli autori dello studio, che punta il dito contro il comparto minerario locale, responsabile “del declino della vegetazione, dell’aumento delle temperature diurne, di una tendenza al calo dell’umidità del suolo e all’aumento delle condizioni di siccità nelle aree di riserva nazionale”.

L’appello

T&E fa dunque notare come non esista “una legislazione attuale a livello Ue che regolamenti l’uso del lavoro forzato o minorile nei prodotti venduti in Europa” e “tantomeno esiste una legislazione che regoli il danno ambientale al di fuori dell’Ue”. L’organizzazione chiede quindi un intervento del legislatore europeo al fine di assicurare la tracciabilità delle materie prime ed il rispetto dei valori etici ambientali nella filiera che si appresta a rimpiazzare quella dei motori a combustibili fossili.