Tunnel Lione Torino fabbrica di polvere e smarino

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Salbetrand è un piccolo Comune della Valle di Susa che ha avuto la “fortuna” di essere stato indicato nei piani della TAV come unico centro atto ad ospitare il cantiere per la raccolta e lo smistamento delle terre da scavo prodotte durante la realizzazione del Tunnel Euralpin Lyon Turin (TELT).

Si stima che dal cantiere TAV di Chiomonte dovrebbero giungere a Salbertrand circa 6 milioni di tonnellate (3.600.000 metri cubi) di smarino.

LA FABBRICA DELLA POLVERE

In origine il progetto prevedeva che i lavori di scavo del tunnel si concludessero a Chiomonte partendo da Susa, dove era stata individuata un’ampia area per la raccolta dei materiali di scavo nei pressi dell’Autoporto.

Successivamente TELT ha deciso di invertire la direzione di scavo per proteggere i lavori dalla protesta e, data la mancanza di spazi adeguati a Chiomonte, si è posto il problema di dove collocare lo smarino. In questo contesto l’ex Sindaco pro tempore di Salbetrand si è fatto avanti candidando il Comune a sede dell’area industriale di supporto al tunnel.

L’ing. Poggio illustra il progetto del Cantiere si Salbetrand durante un’iniziativa NO TAV
Video Kotapa
L’ing. Poggio illustra il progetto del Cantiere durante un’iniziativa NO TAV

Lo spazio indicato da TELT per la costruzione del cantiere (124.000 mq) si trova a ridosso della ferrovia, tra la Dora Riparia e l’Autostrada, su un’area di oltre 12 ettari parzialmente esondabile concessa per l’uso in deroga.


L’area sulla Dora dove per 10-12 anni dovrebbe operare l’imponente cantiere di ferro macina detriti della Torino Lione – Video La Stampa

Per permettere il deflusso dell’acqua in caso di alluvione gli impianti e le utenze dei fabbricati saranno resi “trasparenti” mediante sopraelevamento di 1 metro rispetto alla quota prevista di esondazione senza preoccuparsi troppo del destino di quanto accumulato raso terra.
A tal proposito Poggio fa notare che nel progetto “non c’è una riga” dedicata ad illustrare l’uso di eventuali tecniche di aspirazione delle polveri.

Tutte le terre e le rocce da scavo non provenienti da tratte di rocce verdi (Cl3b) giungeranno qui su camion via Autostrada (percorso Chiomonte-Susa-Salbetrand/Salbertand-Susa-Chiomonte).

Stima in Mega tonnellate (1 Mt = 1.000.000 t) delle quantità massime e minime di terre e rocce da scavo che si prevede di estrarre durante i lavori del tunnel di interconnesione - Fonte Progetto di Variante TELT
Stima in Mega tonnellate (1 Mt = 1.000.000 t) delle quantità massime e minime di terre e rocce da scavo che si prevede di estrarre durante i lavori del tunnel di interconnesione – Fonte Progetto di Variante TELT

L’area industriale ospiterà l’impianto di caricamento su treno per la spedizione in cava dei materiali di risulta, l’impianto di frantumazione dello smarino, quello per la prefabbricazione dei conci in cemento armato destinati a rivestire il tunnel, oltre a spogliatoi e uffici per il personale.
L’accesso al ponte sulla Dora che porta al cantiere sarà presidiato da 2 postazioni delle forze dell’ordine e da cancelli di sicurezza.

Trasporto, manipolazione e macinazione delle terre da scavo daranno vita a quella che l’Ing. Poggio ha ben definito “la fabbrica della polvere”.


Video Kotapa
Luca Anselmo sull’ecosistema dell’area dove sorgerà il cantiere di Salbertrand

Oltre 1 Km di fabbricati in ferro alti 20-21m sorgeranno a meno di 100m dal Sito di Interesse Comunitario Parco Naturale del Gran Bosco Salbetrandin un ecosistema caratteristico che accoglie specie rare come la Sfinge dell’Olivello Spinoso.

LA MONTAGNA DEI SILENZI

rallentare la costruzione del cantiere di Salbertrand, e di conseguenza l’inizio dei lavori di scavo del tunnel, ironia della sorte (amianto blocca amianto), ci si sono messe 2 discariche di rifiuti da bonificare poste lungo 1/3 del terreno sulla Dora.

Deposito Gorlier e Itinera in zona Illes Neuves a Salbetrand
I 2 depositi in località Hilles Neuves sulla Dora Riparia – Google Maps
Nell’inverno 2018-19 il Comune di Salbertrand si è fatto carico dello spegnimento delle traversine ferroviarie (forse contaminate da creosoto) andate a fuoco nel deposito Gorlier

Un deposito di rifiuti edili e traversine ferroviarie (22.444 mq) non più attivo concesso alla ditta Gorlier, che in un primo momento lo ottenne in subappalto da Itinera, e un deposito di terre da scavo contenenti amianto (16.000 mq) concesso dal Comune in locazione sino al 2024 a Itinera Spa del Gruppo Gavio (Cociv).

Il deposito con terre contenti amianto nel settembre 2019 è stato posto sotto sequestro per la seconda volta.

il cumulo, formato da terre e rocce da scavo e materiale proveniente da operazioni di disalveo, sembrerebbe contenere al suo interno, dall’accertamento tecnico disposto dal Tribunale di Torino ed effettuato dall’Università di Torino – Centro “G. Scansetti” un quantitativo pari a circa 8.000 mc (in via cautelativa stimate in 10.000 mc) di rocce detritiche con contenuto naturale di amianto superiore alle Concentrazioni Soglia di Contaminazione (presenza di amianto > 1000 mg/kg) di cui alla tabella 1 dell’Allegato 5 alla Parte quarta del D.Lgs. 152/06.

Determina 30/2017 Servizio Tutela e Valutazioni Ambientali della Città Metropolitana di Torino


I teloni, a copertura sommaria delle terre contaminate da amianto, sono stati forati in più punti dalla crescita di vegetazione spontanea – Video La Stampa

LA DISCARICA ITINERA DI HILLES NEUVES

2006 Itinera diventa gestore del deposito di rifiuti non pericolosi.
2010 Primo sequestro del deposito con ordine di messa in sicurezza dei rifiuti pericolosi.
2011 Istanza di dissequestro al TAR del Piemonte.
2013 Indagini del Centro Scansetti per verificare tipologia e provenienza dei materiali stoccati.
2015 Ordine di dissequestro e immediata restituzione, previa messa in sicurezza e bonifica dei luoghi, del Tribunale di Torino.
Ottobre Ordinanza sindacale n°7 del Comune di Salbertrand impone a Itinera di presentare entro 30 giorni un dettagliato piano con le tempistiche e le modalità di bonifica del deposito.
  Itinera presenta progetto di bonifica che prevede la creazione di una pista di elisoccorso in località limitrofa utilizzando le terre del deposito non contaminate oltre soglia e lo stoccaggio di big bag contenenti le terre contaminate da amianto soglia nella piastra di fondazione della pista.
2017 Il Servizio pianificazione e gestione rifiuti della Cittá Metropolitana di Torino riqualifica il progetto da procedura di bonifica ad attività di recupero rifiuti.
Marzo Richiesta di assoggettamento a V.IA. del progetto “Attività di recupero rifiuti ex art. 208 del D. Lgs 152/2006 di terre e rocce da scavo con contenuti naturali di amianto presso area da adibire ad elisoccorso”.
Giugno Progetto assoggettato a V.I.A. al fine di approfondire le criticitá riscontrate nella versione preliminare in materia di gestione degli RCA.
  La variante di progetto per la Torino-Lione individua nel deposito di Hilles Neuves la sede del cantiere per la raccolta dello smarino di Chiomonte. Itinera conferma a Telt di voler provvedere alla bonifica del deposito ma non specifica tempi e durata dell’intervento.
2018 Avvio della fase di verifica della procedura di VIA del progetto elisoccorso.
Maggio Presentata Documentazione Integrativa del progetto.
2019 Secondo sequestro del deposito.
La discarica Itinera di Salbertrand
Il deposito Itinera con terre contaminate da amianto – Video La Stampa

In una video intervista rilasciata alla Stampa online il sindaco di Salbetrand ha quantificato i costi di bonifica dei depositi, teoricamente a carico dei gestori, in oltre 4 milioni di Euro e ha chiesto che i rischi a carico della popolazione non vengano più sottovalutati e taciuti.

Nell’area non è stato fatto nulla e non può essere un piccolo comune come il nostro a sobbarcarsi i costi di una impresa simile. Si tratta di lavori molto complessi, che necessitano di una fase preliminare per comprendere cosa sia stoccato. Al momento perfino i carotaggi sono risultati difficili data la franosità dei cumuli. Sopra quella montagna di amianto era calata una spessa coltre di silenzio da troppo tempo: eppure io credo che i rischi per la popolazione non debbano essere sottovalutati, sopratutto un presenza di materiali dalla provenienza poco chiara.

Roberto Poupour, Sindaco di Salbertrand da Il Manifesto del 09/11/2019


Cartina sulla presenza media di gas Radon in Provincia di Torino – ARPA Piemonte, 2009

Parole sante se si pensa che in Val di Susa i rischi di origine antropica vanno a braccetto con quelli di origine naturale come la radioattivitá (a circa 1 Km di distanza dall’area del cantiere Telt c’é un giacimento di ossido di uranio colloidale) e gli affioramenti ofiolitici di rocce amiantifere.

SERPENTINO VALSUSINO

La Valle di Susa, insieme al Gruppo di Voltri e a Valle d’Aosta e Valli di Lanzo, é tra le aree dell’Arco Alpino Occidentale a piú alta concentrazione di serpentiniti (o pietre verdi), formazioni mineralogiche metamorfiche basiche e ultrabasiche associate alla presenza di amianto.


Mappatura Amianto Naturale ARPA Piemonte – Zoom sulla Valle di Susa

Come documentato dalla mappatura regionale dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente, in Valle di Susa é accertata la presenza di affioramenti e vene amiantifere in diverse località (campionamenti e coltivazioni).

I minerali fibrosi più diffusi sono l’antigorite, l’amianto crisotilo e gli amianti anfiboli della serie isomorfa tremolite-actinolite.

Mentre vene di crisotilo e magnetitite sono presenti sia in Alta che in Bassa Valle, gli anfiboli sembrano concentrarsi in piccole masse di serpentiniti interne ai calcescisti della Zona Piemontese.


Mappatura Amianto Naturale ARPA Piemonte – Elaborazione QGis dbamianto.it
TERRE E ROCCE DA SCAVO (TRS)

Dopo il campionamento e le analisi in laboratorio (caratterizzazione) terre e rocce da scavo, in base al DPR 13 giugno 2017 n.120 che ne regolamenta la gestione, devono essere classificate come:

– sottoprodotti riutilizzabili in luoghi diversi da quello di estrazione quando non contaminate e costituite da un 20% massimo di materiale antropico sul peso totale;

– rifiuti
a) non pericolosi quando la concentrazione di inquinanti non supera i singoli valori soglia di contaminazione stabiliti nell’Allegato V del Decreto Legislativo 152/2006;
b) pericolosi quando la concentrazione di inquinanti supera i valori soglia di contaminazione;

– materiali da riutilizzare esclusivamente in situ sotto stretto controllo delle autorità preposte quando la concentrazione di inquinanti oltre soglia è compatibile con il fondo naturale del territorio di escavazione (es. terre e rocce da scavo provenienti da affioramenti geologici naturali contenenti amianto);

– materiali prodotti in siti di bonifica sempre utilizzabili in situ se la concentrazione degli inquinanti non supera i valori soglia del fondo naturale o quelli previsti dalla destinazione d’uso; in caso di concentrazioni superiori a fondo e destinazione, ma inferiori alla soglia di rischio, utilizzabili previa autorizzazione dell’autorità competente a determinate condizioni.

TRS con amianto

Per essere considerato rifiuto speciale pericoloso un campione di 1 Kg di suolo o sottosuolo deve contenere una quantità di amianto superiore o uguale allo 0,1% del suo peso totale.
La soglia dello 0,1% corrisponde al valore minimo di amianto quantificabile con le tecniche analitiche della diffrattometria a raggi X e della I.R. Trasformata di Fourier.

IL PIANO DI GESTIONE DELLE TRS CON AMIANTO DEL TUNNEL ITALIANO

In ragione della potenziale presenza di serpentiniti nel settore di Mompantero il Progetto di Variante TELT ha predisposto un piano di gestione delle pietre verdi, in aggiunta al piano di gestione del rischio amianto, da estendere ad eventuali altri ritrovamenti.

L’area relativa alla zona di Mompantero, ove è previsto il portale est del Tunnel di Base, è caratterizzata dalla presenza di rocce ofiolitiche.
Per una tratta di 350m – 400m circa fino all’imbocco Est del TdB, il tunnel sarà scavato nelle prasiniti (OMB), litotipi potenzialmente asbestiformi, comprese nel gruppo delle “rocce verdi”.

Tratta di cogiunzione tra Gneis di Charboneel (GCC) e Prasiniti e Scisti prasinitici (OBM) - PDV TELT
Tratta di cogiunzione tra Gneiss di Charboneel (GCC) e
Prasiniti e Scisti prasinitici (OBM) – Fonte Progetto di Variante TELT

Gli 80.000 m3 di escavato del Portale Est del Tunnel di Base saranno tombati nelle aree non utilizzate delle gallerie Maddalena1, Maddalena bis e Maddalena 2.

Sezione di stoccaggio di Rifiuti Contenenti Amianto (RCA) nel tunnel Maddalena1 -  Fonte Progetto di Variante TELT
Sezione di stoccaggio di Rifiuti Contenenti Amianto (RCA) nel tunnel Maddalena1 – Fonte Progetto di Variante TELT

Gli altri litotipi soggetti al protocollo di gestione delle pietre verdi, sempre individuati mediante ricerche e studi basati sull’analisi di carotaggi, sono: i calcescisti di Charbonnel della Zona Piemontese, i micascisti quarzosi del complesso di Clarea, le rocce provenienti da zone di faglia, gli scisti carbonnatici filliadici e le cataclasiti carbonatiche del tunnel di base della Maddalena, i depositi alluvionali o di conoide alluvionale nel fondovalle Cenischia, i calcemicascisti e i paragneiss listati del tunnel di interconnessione.

FOCUS SUL CICLO DI VITA delle TRS CON AMIANTO e degli altri RCA
DELLA NUOVA TORINO LIONE

Origine Classificazione Gestione Destinazione
TRS provenienti da tratte di pietre verdi o altre mineralizzazioni asbestifere Rifiuto speciale
pericoloso
codice CER 150703
– Scavo con TBM;
– protocollo rischio amianto;
– confinamento dell’escavato in contenitori su back-up TBM;
– campionamento in fase di avanzamento ogni 50m;
– allestimento cantiere di decontaminazione per passaggio oltre fronte di scavo.
Raccolte in contenitori tombati e compattati con malta cementizia nelle gallerie non funzionali
Fibre raccolte da filtri assoluti e indumenti protettivi usati nel fronte di scavo Rifiuto speciale pericoloso
codice CER 150202
Con TRS pietre verdi Raccolte in contenitori tombati e compattati con malta cementizia nelle gallerie non funzionali
TRS con
CSC*< 0,1%
o, se destinato a trattamento, con CSC > 0,1% e
I.R** < 0,1
Sottoprodotto – Scavo in tradizionale;
– protocollo rischio amianto
– campionamento in galleria ogni 500m;
– caratterizzazione con SEM-EDS e valutazione I.R.;
– trasporto in big bag a Salbertrand;
– stoccaggio in silos a 3m dal livello di esondazione della Dora.
Riutilizzo per i lavori della Torino Lione o se in eccedenza inviate alle cave di Caprie e Torrazza
Cumuli di TRS che durante la caratterizzazione rivelano CSC >0,1% e I.R. > 0,1 e < 0,6 Rifiuto speciale
pericoloso
codice CER 150703
Smaltimento in discarica dedicata o monodedicata

* Concentrazioni Soglia di Contaminazione
* Indice di Rilascio

I sottoprodotti eccedenti (circa 2.400.000 tonnellate), non destinati alla produzione di aggregati e rilevati per il tunnel, saranno impiegati nell’opera di ripristino di 2 cave.

La cava di Caprie in area sottoposta a vincolo idrogeologico e paesaggistico– Google Maps
La cava di Caprie in area sottoposta a vincolo idrogeologico e paesaggistico– Google Maps

La cava di Caprie, gestita dalla Ing. Rotunno Srl in località Truc Le Mura, e la cava di Torrazza di proprietà della Co.GE.FA. Spa (controllata del Gruppo Gavio) in località Cascina Goretta.

Alla ex cava di serpentino di Caprie, che avrebbe dovuto chiudere entro il 2019, lo smarino arriverà con locomotore diesel, mentre a Torazza con locomotore elettrico.

La cava di Torrazza contigua al polo logisitco Amazon e vicina al Centro nucleare di Saluggia – Google Maps
La cava di Torrazza contigua al polo logisitco Amazon e vicina al Centro nucleare di Saluggia – Google Maps

Grattacielo della Regione Piemonte, il conto sale di altri 5 milioni

 

Nel bilancio dell’infinito grattacielo della Regione Piemonte bisogna aggiungere altri 5 milioni. Sono comparsi in un bando (scadenza 13 gennaio 2020) per eliminazione vizi e non conformità dei lavori già eseguiti. In pratica la sostituzione dei vetri difettosi, dei pavimenti rotti e di tutti quei lavori eseguiti che in questi anni si sono già deteriorati.

A segnalare l’esistenza del nuovo bando è Giulio Manfredi, dell’Associazione radicale Adelaide Aglietta:

Il conto del grattacielo si fa sempre più pesante e non si vede ancora la fine. I cittadini piemontesi saranno finalmente informati su chi è responsabile delle vetrate difettose, dei pavimenti rotti, delle altre inadeguatezze nei lavori? La Regione ha presentato entro il 30 settembre scorso il Piano Operativo di Bonifica (POB) della zona circostante il grattacielo al Comune di Torino? In caso affermativo, l’Assessore Tronzano puo’ rendere pubblico quel documento sulla pagina dedicata alla Sede Unica sul sito istituzionale della Regione Piemonte, che rischia di essere invasa dalle ragnatele. Oggi all’annuale “Giornata sulla Trasparenza” organizzata dalla Regione Piemonte sia il Presidente del Consiglio regionale del Piemonte, Stefano Allasia, sia l’Assessore regionale Roberto Rosso hanno pronunciato tante belle parole sull’importanza di avvicinare il Palazzo ai cittadini; sarebbe ora di passare dalle parole ai fatti, partendo dal “dossier grattacielo”.

Nessuno ne parla ma ieri il Parlamento Europeo ha approvato una mozione che equipara Comunismo e Nazifascismo

https://www.tpi.it/politica/comunismo-nazismo-equiparati-risoluzione-parlamento-ue-20190920452981/

“Importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa”, questo il titolo della risoluzione che mette sostanzialmente sullo stesso piano nazifascismo e comunismo

Di Maurizio Ribechini

Pubblicato il 20 Set. 2019 alle 23:01Aggiornato il 22 Set. 2019 alle 12:56
Immagine di copertina

Comunismo e nazismo equiparati per una risoluzione del parlamento Ue

Nella giornata di ieri, 19 settembre, il Parlamento europeo di Strasburgo ha approvato ad ampia maggioranza una risoluzione dal titolo “Importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa”, che oggi sta facendo molto discutere. Sono in diversi infatti ad accusare il testo approvato di attuare una sostanziale equiparazione fra il nazifascismo e il comunismo.

La risoluzione è stata votata con 535 voti a favore, 66 contro e 52 astenuti. Si sono espressi a favore in particolare il gruppo del PPE, di cui fa parte Forza Italia, il gruppo Identità e Democrazia a cui aderisce la Lega, il gruppo dei Conservatori e Riformisti di cui fa parte Fratelli d’Italia e anche quello dei Socialisti e Democratici di cui è membro il PD. Tutti i parlamentari italiani di tali gruppi presenti in aula ieri, risultano aver votato a favore.

Comunismo e nazismo: la risoluzione approvata dal Parlamento Ue

Il testo della risoluzione è piuttosto lungo e, fra i vari passaggi, recita che il “patto Molotov-Ribbentrop, e i suoi protocolli segreti, dividendo l’Europa e i territori di Stati indipendenti tra i due regimi totalitari e raggruppandoli in sfere di interesse, ha spianato la strada allo scoppio della Seconda guerra mondiale”.

Il testo parla di “riconoscimento del retaggio europeo comune dei crimini commessi dalla dittatura comunista, nazista e di altro tipo” e più avanti prosegue: “i regimi nazisti e comunisti hanno commesso omicidi di massa, genocidi e deportazioni, causando, nel corso del XX secolo, perdite di vite umane e di libertà di una portata inaudita nella storia dell’umanità”

La risoluzione poi “invita tutti gli Stati membri dell’Ue a formulare una valutazione chiara e fondata su principi riguardo ai crimini e agli atti di aggressione perpetrati dai regimi totalitari comunisti e dal regime nazista”.

Poi “sostiene che la Russia rimane la più grande vittima del totalitarismo comunista e che il suo sviluppo in uno Stato democratico continuerà a essere ostacolato fintantoché il governo, l’élite politica e la propaganda politica continueranno a insabbiare i crimini del regime comunista e ad esaltare il regime totalitario sovietico; invita pertanto la società russa a confrontarsi con il suo tragico passato”.

E ancora “esprime inquietudine per l’uso continuato di simboli di regimi totalitari nella sfera pubblica e a fini commerciali e ricorda che alcuni paesi europei hanno vietato l’uso di simboli sia nazisti che comunisti”.

Inoltre “osserva la permanenza, negli spazi pubblici di alcuni Stati membri, di monumenti e luoghi commemorativi (parchi, piazze, strade, ecc.) che esaltano regimi totalitari, il che spiana la strada alla distorsione dei fatti storici circa le conseguenze della Seconda guerra mondiale, nonché alla propagazione di regimi politici totalitari”.

Va precisato che la versione approvata della risoluzione è frutto di un compromesso fra i principali gruppi dell’Europarlamento: originariamente infatti esistevano quattro diversi testi sullo stesso tema, proposti appunto dai gruppi parlamentari principali, che contenevano versioni più o meno edulcorate e perentorie rispetto al testo poi approvato.

Le polemiche

Nel pomeriggio di questo venerdì 20 settembre, dopo che il testo della risoluzione è stato pubblicato in italiano sul sito del Parlamento Europeo, sono iniziate le prese di posizioni critiche e le polemiche. In particolare si sono espressi contro il Partito della Rifondazione Comunista, col segretario Maurizio Acerbo, ma anche il Partito Comunista di Marco Rizzo e il PCI di Mauro Alboresi.

Tutti contestano il fatto che questo voto dell’Europarlamento in sostanza equipara il comunismo al nazifascismo, operando un sostanziale revisionismo storico e politico. Sullo stesso tema, un paio di giorni fa, si era espresso criticamente anche il movimento di estrema destra Forza Nuova con il proprio segretario Roberto Fiore.

La razzia degli indiani: Mittal voleva solo spolpare l’Ilva per eliminare un concorrente strategico

https://www.tpi.it/cronaca/ilva-arcelor-mittal-razzia-indiani-acciaio-20191115497750/

Di Luca Telese

Pubblicato il 15 Nov. 2019 alle 15:28Aggiornato il 18 Nov. 2019 alle 16:31
Immagine di copertina
Illustrazione di Emanuele Fucecchi

Dice giustamente Andrea Orlando che in questo momento spegnere l’altoforno dell’Ilva “è una dichiarazione di guerra”. E se questa crudissima immagine è vera, la dichiarazione di guerra di Mittal all’Italia è stata consegnata ieri.

Il motivo è evidente: chiunque abbia a che fare con gli altoforni spiega che spegnere l’area a caldo di un impianto significa fermare la fabbrica per mesi, e creare un ostacolo economico alla sua riapertura.

Significa cioè uccidere il cuore produttivo dell’impianto, ipotecare a tempo indeterminato ogni possibile attività produttiva. Ma Mittal, è bene ricordarlo, non è proprietaria di Ilva, soltanto affittuaria, nel periodo – questo – che avrebbe dovuto precedere l’acquisto definitivo.

Non completa le opere di risanamento, non completa l’acquisto, dice che vuole mandare in ogni caso 5mila dipendenti (uno su due!) in cassa integrazione.

Appare sempre più evidente che la vicenda dello scudo (che è solo uno dei tre punti evocati nella lettera della società) è solo un facile pretesto per attuare un piano che era in programma da mesi, probabilmente da quando, prima dell’estate scorsa, Mittal aveva revocato unilateralmente il piano occupazionale concordato con il governo.

Sarebbe quindi come se l’inquilino che abita un appartamento altrui, prima di andarsene, distruggesse con una mazza ferrata gli impianti e arredi che per contratto è tenuto a riconsegnare integri.

Bisogna quindi spiegare che un altoforno non è come una normale caldaia, che si possa fermare e riavviare accendendo un fuoco o premendo un bottone. A Taranto spegnere un altoforno di quella portata significa far colare dentro il forno cosiddetta “salamandra”, forare il crogiuolo per svuotarlo dalla ghisa residua.

La Salamadra rimane come ultima lingua di ghisa solidificata e – una volta tombato il sarcofago – per poter riavviare l’impianto bisogna ricostruirlo ex novo.

Il che significa prima di ogni altra cosa due elementi: tempo e soldi. Per avere un parametro basta ricordare che l’ Altoforno 5, il più grande d’ Europa (che fu spento nel 2015) era costato 400 milioni.

Ma non basta: per compiere questo piano annunciato ieri Mittal sta realizzando una vera e propria corsa contro il tempo: raccontano i sindacati che a Taranto anche una semplice fermata ad esempio per ragioni di sicurezza – ha bisogno di essere pianifica in tempi lunghi (anche un anno).

In questo caso il gruppo franco-indiano annuncia di volerne realizzare tre, praticamente in simultanea, e in trenta giorni. Eccola la dichiarazione di guerra: abbandonare la fabbrica dopo aver colpito a morte il suo cuore incandescente.

E a spiegare questo piano e questo calendario sono stati gli stessi dirigenti di Mittal. Ma siccome come abbiamo detto il gruppo franco indiano è solo affittuario, la parola dovrebbe passare alla proprietà, che è in amministrazione straordinaria, cioè ai commissari.

E perché questo accada occorre un passo del governo. D’altra parte anche tutte le altre notizie che arrivano da fonti informali e ufficiali confermano questo quadro: i fornitori non vengono pagati, le scorte di materie prime sono state esaurite.

L’incontro tra azienda e sindacati di oggi al Mise non è più una negoziazione ma una messa da requiem. Quindi, superato lo smarrimento bisogna chiedersi: si può consentire ad una multinazionale di chiudere un impianto non suo?

Aggiunge ancora il vicesegretario del Pd: “Si tratta di un tentativo di ArcelorMittal di distruggere la capacità produttiva dello stabilimento per rafforzare la propria posizione di mercato eliminando quote di produzione. È un attacco al paese”.

Ma non è finita: secondo le previsioni di Ubs, un’eventuale cambio di proprietà in Ilva e nello stabilimento British Steel di Scunthorpe comporterebbe una perdita di produzione europea di almeno 9 milioni di tonnellate, che si andrebbero ad aggiungere alla riduzione già stimata di 11 milioni di tonnellate.

Questo crollo, per un evidente meccanismo di domanda e offerta, produrrebbe un aumento dei prezzi a 40 euro per tonnellata per i laminati a caldo nei primi tre mesi del prossimo anno, conseguente anche a una ripresa delle scorte.

Spegnendo Ilva, in pratica, Mittal valorizza tutto l’acciaio che produce nel resto del mondo. Parigi val bene una messa.

Ilva Mittal Italia usa e getta: Taranto è la metafora perfetta del Meridione depredato dalle multinazionali (di Luca Telese)

L’accusa di Gm a Fiat Chrysler: “Marchionne corrompeva i sindacati”

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di Antonio Cardarelli

Presunta corruzione sistematica dei sindacati, Gm fa causa a Fca e accusa Marchionne. Titolo giù a Wall Street e dura replica dal Lingotto: “Tempistica sospetta”

Sindacati corrotti sistematicamente da Fca per ottenere contratti meno costosi. La pesante accusa arriva da General Motors, che ha fatto causa a Fiat Chrysler (Fca) sostenendo di essere stata danneggiata dalla condotta di diversi ex manager Fca, tra cui Sergio Marchionne.

ACCUSE A MARCHIONNE

Secondo la ricostruzione di Craig Glidden, responsabile legale di Gm, l’ex ad di Fca, deceduto nel 2018, sarebbe stato una “figura centrale” nello schema di tangenti che l’azienda avrebbe pagato al potente sindacato dei metalmeccanici Usa United Auto Workers. Mazzette che avrebbero oliato le trattative per il rinnovo dei contratti tra il 2009 e il 2015 comportando, di fatto, un costo del lavoro più alto per i concorrenti di General Motors.

Tre ex dirigenti Fca, negli anni scorsi, si sono già dichiarati colpevoli. Fra questi anche Alphons Iacobelli, condannato a 5 anni e mezzo di prigione per aver pagato mazzette per 4,4 milioni di dollari. Tuttavia, Fca ha sempre sostenuto di non essere a conoscenza di queste pratiche illegali. La causa intentata da Gm ha avuto ricadute immediate sul titolo Fca a Wall Street con una perdita del 3,7%.

LA REPLICA DI FCA

La replica di Fca non si è fatta attendere con il gruppo che si è detto stupito per contenuti e tempistica dell’azione legale. “Possiamo solo presumere che punti a fermare la proposta fusione con PSA e le trattative con il Uaw” spiega Fca, dicendosi intenzionata a difendersi “con tutte le forze dalla causa promossa ieri da General Motors”. In una nota Fca definisce le accuse “un tentativo senza basi di distogliere l’attenzione dalle sfide proprie di quella società”. L’azienda parla di “sconcertante manovra” che “viene in un momento in cui Fca sta dimostrando di essere un concorrente sempre più forte” con il piano di fusione con Psa.

Tangentopoli del Mose: tutte le accuse

http://m.espresso.repubblica.it/inchieste/2014/06/04/news/tangentopoli-del-mose-tutte-le-accuse-1.168223?fbclid=IwAR1ilAUQV7T6vpo8RGgU-3eXvA9VWeIZgmaDvnGhWicvPiDi4hREPm1D9Gg

Da Galan a Orsoni, dal Pdl al Pd, dalla Corte dei Conti ai ministeri, ecco i politici e alti funzionari che hanno intascato almeno 25 milioni di euro per riempire di miliardi le imprese del Mose

DI PAOLO BIONDANI

04 giugno 2014

 
Tutte le mazzette indagato per indagato: ecco il quadro completo delle accuse formulate dai magistrati veneti nell’ordinanza di custodia dei 35 arrestati (25 in carcere, 10 ai domiciliari) per la Tangentopoli del Mose, la grande opera emergenziale da 5 miliardi e 496 milioni di euro che dovrebbe salvare Venezia dall’acqua alta, ma dopo trent’anni non è ancora entrata in funzione.

GIANCARLO GALAN: parlamentare di Forza Italia, ex ministro, presidente della Regione Veneto dal 1995 al 2010. Secondo l’accusa l’ex governatore, per favorire le imprese del Consorzio Venezia Nuova, ha intascato svariati milioni di euro e in particolare:

  • uno stipendio fisso in nero di un milione di euro all’anno, quantomeno dal 2005 al 2011;
  • 900 mila euro in contanti nel 2006-2007;
  • altri 900 mila euro in contanti nel 2007-2008;
  • una quota del 7 per cento della società Adria Infrastutture, intestata a un suo prestanome, con conseguente partecipazione agli utili realizzati da quella impresa del Gruppo Mantovani con il discusso sistema del “project financing” all’italiana;
  • il 70 per cento delle quote della società pubblicitaria Nordest Media srl, intestate allo stesso prestanome;
  • 200 mila euro una tantum, consegnatigli all’hotel Santa Chiara di Venezia nel 2005 tramite la sua ex segretaria-factotum Claudia Minutillo;
  • la ristrutturazione gratuita della sua lussuosa villa di Cinto Euganeo, sui colli di Padova, con lavori costati un milione e cento mila euro e mascherati con fatture false.

RENATO CHISSO, politico di Forza Italia, assessore alle Infrastrutture e Grandi Opere nelle giunte Galan (incarico mantenuto anche con l’attuale governatore Luca Zaia, che però non risulta indagato), è accusato di aver incassato dalle grandi aziende del Mose:

  • uno stipendio in nero di 200 mila euro all’anno (con punte di 250 mila), versatogli a partire dalla fine degli anni Novanta fino al primi mesi del 2013;
  • il 5 per cento della società Adria Infrastrutture, formalmente intestato all’ex segretaria di Galan, Claudia Minutillo, che in realtà gli faceva da prestanome; quota rivenduta da Chisso nel 2011 alla Mantovani spa per due milioni di euro;
  • il 10 per cento della società pubblicitaria Nordest Media srl, intestata alla stessa prestanome;
  • 250 mila euro in contanti, consegnatigli dal manager Piergiorgio Baita della Mantovani nella primavera 2012 all’hotel Laguna Palace di Venezia;
  • altre centinaia di migliaia di euro all’anno (il totale non è ancora quantificato) in contanti;
  • consulenze e assunzioni di comodo per amici e prestanome;
  • appalti di favore a imprese amiche per i lavori stradali delle “Vie del mare” (superstrada Jesolo-Cavallino).

GIORGIO ORSONI, sindaco del Pd di Venezia, è ai domiciliari per finanziamenti politici illeciti, con l’accusa di aver ricevuto dalle imprese del Mose queste somme:

  • 110 mila euro, materialmente incassati dal suo tesoriere-mandatario, per la campagna elettorale del 2010, come candidato sindaco del centro-sinistra a Venezia;
  • altri 450 mila euro, sempre nei primi mesi del 2010, di cui almeno 50 mila versatigli personalmente dai manager Mazzacurati e Sutto del Consorzio Venezia Nuova.

GIAMPIETRO MARCHESE, consigliere regionale veneto del Pd, ora in carcere, è accusato di aver intascato dalla cordata di imprese private del Mose:

  • 58 mila euro per le elezioni regionali del 2010
  • 15 mila euro al trimestre, a partire dall’autunno 2009 fino all’inizio del 2013, per un totale compreso tra 400 e 500 mila euro;
  • un contratto di lavoro fittizio da 35 mila euro.

AMALIA detta LIA SARTORI, europarlamentare di Forza Italia, non rieletta nel 2014, è indagata con l’accusa di aver ricevuto dalle imprese del Mose due finanziamenti illeciti:

  • almeno 25 mila euro per la campagna elettorale alle europee del 2009;
  • altri 200 mila euro dal 2006 al 2012, di cui 50 mila intascati personalmente il 6 maggio 2010 in un incontro con il manager Mazzacurati.

MARCO MILANESE, braccio destro dell’ex ministro Tremonti ed ex parlamentare di Forza Italia, è solo indagato (ha evitato l’arresto collaborando con i magistrati) come destinatario di una tangente pagata dalle aziende del Consorzio Venezia Nuova, in particolare per aver intascato personalmente mezzo milione di euro, tra aprile e giugno 2010, per spingere il ministero dell’Economia ad autorizzare una nuova ondata di finanziamenti pubblici a favore del Mose.

EMILIO SPAZIANTE, ex numero due della Guardia di Finanza, in pensione dall’autunno scorso, è in carcere con l’accusa di aver intascato buste di denaro contante per spiare le indagini veneziane approfittando del suo grado, e in particolare per aver ricevuto dai massimi dirigenti del Consorzio Venezia Nuova:

  • mezzo milione di euro, in più rate, recapitategli tra giugno 2010 e febbraio 2011 a Roma e a Venezia;
  • la promessa di altri due milioni di euro, concordati con l’onorevole Milanese e il finanziere veneto Roberto Meneguzzo (Gruppo Palladio), soldi poi non versati proprio a causa della scoperta che erano in corso le indagini, in teoria ancora segrete.

Tra gli arrestati per corruzione compaiono anche un magistrato della Corte dei Conti, accusato di aver intascato almeno un milione di euro tra il 2000 e il 2008, e due alti funzionari del ministero delle Infrastrutture, che avrebbero incassato uno stipendio in nero di 400 mila euro all’anno, quantomeno dal 2007 al 2012, per addomesticare i controlli e non denunciare i problemi tecnici del sistema Mose.

Daniela Carrasco, i dubbi sulla morte del volto delle proteste in Cile: “El Mimo catturata dalle forze militari, torturata e impiccata”

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/11/21/daniela-carrasco-i-dubbi-sulla-morte-del-volto-delle-proteste-in-cile-el-mimo-catturata-dalle-forze-militari-torturata-e-impiccata/5574409/?fbclid=IwAR14QHhaENhpj3OMPofdfW6Y_Ic33XXh4mGSO9aC0pq8GyjaXTorgTQ4GHE

Daniela Carrasco, i dubbi sulla morte del volto delle proteste in Cile: “El Mimo catturata dalle forze militari, torturata e impiccata”

Trentasei anni, Carrasco è stata trovata morta il 20 ottobre scorso, impiccata a un recinto nel comune di Pedro Aguirre Cerda nella città metropolitana di Santiago. I risultati dell’autopsia sono stati consegnati alla famiglia un mese dopo: soffocamento per impiccagione. Escluso ogni intervento di terzi. Ma la rete di attiviste e le attrici cilene lanciano accuse e chiedono chiarimenti sulla sua morte

Ufficialmente Daniela Carrasco si è suicidata. Ma dietro la morte di El Mimo, come la donna era conosciuta tra i manifestanti che da ottobre prendono parte ai cortei in Cile contro il caro dei servizi pubblici, c’è chi insiste che ci sia una storia torbida di torture e violenze perpetrate dai carabineros.

Trentasei anni, Carrasco è stata trovata morta il 20 ottobre scorso, impiccata a un recinto nel comune di Pedro Aguirre Cerda nella città metropolitana di Santiago. I risultati dell’autopsia sono stati consegnati alla famiglia un mese dopo: soffocamento per impiccagione. Escluso ogni intervento di terzi.

Ma come scrive Bio Bio Chile, la procura ha ora aperto un’inchiesta sul decesso. Mentre il coordinamento cileno di Ni Una menos ha lanciato gravi accuse attraverso i social media: “Daniela è stata violentatatorturata, violentata al punto da toglierle la vita”, hanno scritto. E anche la Rete di attrici cilene accusa: “È stata rapita dalle forze militari nella protesta del 19 ottobre”. Sul caso è intervenuto anche il deputato di Sinistra Italiana-Leu, Nicola Fratoianni, denunciando che “il silenzio della comunità internazionale è insopportabile”

DA HONG KONG A LA PAZ, TEHRAN, BAGDAD —– I RAZZISTI DELL’ANTIRAZZISMO, I FASCISTI DELL’ANTIFASCISMO, GLI ODIATORI DELL’ANTI-ODIO

https://fulviogrimaldi.blogspot.com/2019/11/da-hong-kong-la-paz-tehran-bagdad-i.htmlMONDOCANE

MERCOLEDÌ 20 NOVEMBRE 2019

 

Enrico Mentana, informato, logorroico, a volte spiritoso mio collega in Rai degli ’80-’90 e ora, da tempo, a La7 come direttore del tg, passa per essere tra i pochi giornalisti cui andrebbe tributata la qualità di obiettivo e corretto. E’ il riconoscimento che ci si illude possa essere attribuito a quelli che, anziché ratti di fogna, sono topini di dispensa: sempre al formaggio sono attaccati. Altra metafora vede gli uni come McDonalds e gli altri come Nouvelle Cuisine, sempre di discutibile alimentazione si tratta.

Specialisti tv dell’odio anti-odio

Mentana sta in un’emittente, quella di Urbano Cairo, patron del Torino di colpo assurto a notorietà e potere con l’acquisto del Corriere della Sera. La sua rete tv si era guadagnata un certo credito tra i disperati e frustrati delle tv di regime per quella scapigliatura e quell’anticonformismo che si esprimeva in trasmissioni come quelle di Sabina Guzzanti (addirittura) e di Gianluigi Paragone (doppio addirittura). Non è più così e se oggi c’è una tv di propaganda del pensiero unico, tanto disciplinato quanto assoluto, è La7.

Pensate all’ininterrotta gragnuola di colpi con cui i bombaroli di Cairo, tutti usciti da una virtuale “Scuola delle Americhe” per giornalisti, con Master negli istituti di alta formazione a Tel Aviv, radono al suolo chi sta con i 5 Stelle (quelli di un tempo), chi non lubrifica gli scivoli per migranti, chi esprime perplessità su quanto si va facendo a Libia, Siria, Venezuela o Bolivia. Sono i Navy Seals di Cairo e dell’establishment: Gruber con l’elmetto a punta del Kaiser, Formigli alto sacerdote delle Ong, il sadico Floris con la stella fissa Fornero, il più multicolore “difensore civico” Giletti, il ridanciano, ma respingente, Diego Bianchi “Zoro”, con Marco da Milano, del fu-L’Espresso, una specie di Lilli Gruber al maschile e alla matriciana…

Un non-più mitraglietta a salve

Qualcuno diceva che il non più giovane, ma sempre riccioluto, Mentana, già “mitraglietta” e ora esitante ripetitore di intercalari da smarrimento di concentrazione – eee… eee… eee…- per imparzialità e multilateralismo si elevasse sopra questa muta di odianti denunciatori di odio. Se non altro per educazione e apparente equilibrio. L’altra sera, abbandonati gli ossessivi richiami a un antisemitismo che non c’è, ma che maschera efficacemente le malefatte di un certo Stato, e di cui si occuperà a larghissimo raggio la neo-Commissione Segrè, finalizzata a riunire nel Lager tutti gli odiatori, siano antisemiti, razzisti, xenofobi, omofobi, intolleranti, novax, laziali, o complottisti, si è esibito in un tip tap di indignazione alternata a riprovazione da far vibrare gli schermi. Era mai possibile, esclamava con espressione di chi assiste a una danza del ventre di Salvini con mojito mentre pretende i pieni poteri, che l’intera stampa e diplomazia mondiale, tv e giornali e pulpiti, taccia i crimini che la Cina va commettendo contro i “ragazzi” di Hong Kong? Un silenzio tombale, delittuoso e osceno quanto quei crimini, sospirava.

E, come non bastasse tanta riprovazione, ha chiamato a rinforzare lo sdegno la nota Gabanelli, ora impegnata in un “Data Room” che però non disdegna il soccorso ai bisognosi, in questo caso al Mentana Furioso. E a tutti coloro che detestano la Cina comunista al punto da vagheggiarne la fine già inflitta al Celeste Impero, corredata di una nuova strage di 20 milioni tra cittadini e soldati, come quella  riuscita ai britannici nelle due guerre per l’oppio. Il racconto della venerata signora del giornalismo coraggioso era talmente preciso che quasi quasi pareva fosse in mezzo alla turbolenza. Sgherri trucidi e sanguinari contro bimbetti sognanti che sui bruti non facevano che lanciare fiori. Li vedete nelle immagini, dopo aver fatto a pezzi il parlamento, l’aeroporto, la metropolitana, negozi filocinesi, banche cinesi, poliziotti honkonghesi.

Hong Kong, lanciatore di frecce e colpito da freccia

Fenomenale davvero. Non so se l’equilibrato, o equilibrista, Mentana – che al contempo non ha saputo dire niente sul golpe fascio-statunitense in Bolivia e relativi eccidi di resistenti indios e impunità assicurata dalla Guaidò locale agli assassini in divisa – s’informa solo su “Topolino” o “Settimana Enigmistica” (peraltro leggermente più professionale dei main stream). Perché raramente una copertura mediatica è stata più tonitruante e unanimistica di quella dei bravi nostalgici della regina Vittoria e delle sue guerre di sterminio a favore dell’oppio. I lanciatori di frecce d’acciaio, di massi da catapulta, di ordigni incendiari, che linciano chi li rimprovera di sabotare l’isola e la sua economia, hanno avuto un coro tipo “cavalcata delle Walkirie”.

Al confronto, i Gilet gialli, al 53° evento in un anno, si sono dovuti accontentare di un rantolo svociato alla Loredana Bertè di oggi. Ci hanno assordato di peana agli eroici democratici con bandiera britannica e americana e di anatemi a poliziotti che, senza aver fatto feriti in mesi e mesi di teppismo devastatore dell’intera città, se non un manifestante che si avventava con mazza da baseball su un agente, si fossero trovati a Los Angeles (1992) vestiti da Guardia Nazionale, avrebbero già fatto 63 morti, 2.383 feriti e 12.000 arresti.

Torti e ragioni sulla bilancia tarata dai bottegai di Washington

Ma non si tratta solo di quantità. La qualità è esplicitata dalla distribuzione di torti e ragioni secondo gli standard di valutazione che vengono indicati dagli editori locali, a loro volta imbeccati dagli azionisti di maggioranza in Nato e servizi segreti. Ce lo ha insegnato, con temerarietà poi pagata duramente, il giornalista tedesco Udo Ulfkotte, documentando due giornalisti europei su tre assoldati dalla Cia (ucciso nel 2017 “da un infarto”, a 56 anni e in perfetta salute, due anni dopo la pubblicazione del suo libro “Giornalisti comprati”, mai uscito negli Usa).

Non è difficile indovinare che i torti sono di pochi. Essenzialmente dei facinorosi indios boliviani, sostenitori di un caudillo indio che voleva darsi a un lusso sfrenato sfruttando, in proprio e in cooperazione con russi, cinesi e svizzeri, il più vasto giacimento di litio del mondo (cellulari, macchine elettriche, elettronica di ogni tipo). Il litio è il minerale senza il quale la quarta rivoluzione industriale, quella tecnologica, con cui i potenti pensano di sbarazzarsi definitivamente delle plebi del mondo, o almeno dei loro cervelli, fa semplicemente puff. Perché non servisse a riempire di diamanti e ville le cortigiane che affollavano i festini del corrotto Morales, per il bene del popolo l’incaricato d’affari Usa a La Paz, Bruce Williamson, aveva consegnato un milione di dollari ai capi delle varie armi e mezzo milione ai dirigenti della polizia.

Torti enormi anche e soprattutto dei Gilet Gialli, a loro volta con 11 morti, 2.448 feriti, 23 accecati e 5 mutilati, 10.000 arrestati, 3.100 condannati, 600 in galera (roba da far vergognare i poliziotti di Hong Kong), in esattamente un anno di lotta contro il buongoverno del co-imperatore europeo Macron e dei suoi predecessori.

Le ragioni, invece, sono di tanti, quasi tutte da riconoscere ai manifestanti contro “regimi” (mai “governi”) anacronistici nel loro rifiuto di globalizzazione e Usa. Ragioni equamente distribuite tra coloro che protestano contro chi non si adegua ai valori civili, politici, economici e sociali che hanno reso felice, sereno e pacifico l’Occidente democratico-liberale. E parliamo oggi di Hong Kong, Iraq, Libano, Iran, ieri di Algeria, Egitto, Sudan, Nicaragua, Venezuela. Ci proviamo un po’ affannosamente, ma con la migliore buona volontà, con la Russia basta un fuoriditesta sulla Piazza Rossa per annunciare l’imminente fine dello “zar” Putin. Finiamo con l’esaltarci di Extinction Ribellion, fomentatori semiviolenti della New Green Economy, sacrosanti teppisti nelle patrie della democrazia e dei diritti umani e perciò messi in piedi e finanziati da protettori del clima e della salute planetaria. Ci sono tutti i trilionari del mondo: George Soros, Ted Turner, Rockefeller, Bloomberg, Getty, Kennedy, Buffet, e la Global Business Coalition finanziata da Bill Gates, più molti altri paperoni comodamente alloggiati nella parte alta della classifica “Fortune” dei miliardari.

A fiancheggiare questa nuova e più grande primavera dei colorati, o stagione arcobaleno, non può mancare il pifferaio nostrano che guida quel che resta dell’armata Brancaleone pseudo-sinistra. Va ammesso che sulla Bolivia il “manifesto” esce dal seminato ammettendo colpo di Stato e repressione, ma ci rientra subito, compensando tale audacia con gli attacchi delle femministe boliviane a un Morales diversamente fascista. La vocina del Deep State è costretta a camminare sul filo del cerchiobottismo, avendo già perso una barca di elettori per aver detto sul Nicaragua le stesse cose della Cia e dei preti che, sotto l’occhio benevolo di Bergoglio, incendiavano commissariati, poliziotti e sedi istituzionali.

Il contributo delle femministe al golpe in Bolivia

Una bella pagina del “manifesto”

Ho sott’occhio un paginone del “manifesto” del 19 novembre. Una pagina che, dalla prima all’ultima riga, non può non provocare, giubilo, brindisi e stelle filanti negli ambienti che curano le stagioni arcobaleno. E’ la sublimazione del ruolo del giornale nel farsi carico di tutte le campagne xenofobe e d’odio che il Deep State persegue, a cominciare da Russia, Cina e altri riottosi. Parte Amnesty International, Agenzia PR del Dipartimento di Stato e grande guida della claque umanitarista negli spettacoli dell’odio globalista. Dopo aver lanciato l’offensiva contro un Assad vincente con un “report” che gli attribuisce 13mila morti ammazzati nelle sue prigioni, di sua mano o quasi, al solito senza documenti e con tanto di testimoni anonimi, e uno altrettanto fasullo sul Venezuela, ora a Tehran incalza, attribuendo 106 manifestanti uccisi in 21 città e tre giorni, garantiti da testimonianze oculari di chi però sta a migliaia di chilometri dall’Iran, al sicuro nelle marche dell’Impero. Per “il manifesto” è tutto credibile, quanto lo è “l’imparziale” BBC, sostenitrice di tutte le guerre Usa-Nato, ma unica a far sapere agli iraniani cosa succede nel loro paese.

Sottotono o del tutto assenti, qui e nel resto dei nostri vangeli di verità, il riferimento alle sanzioni Usa, cui tutti a loro spese si piegano, con cui da decenni si prova a radere al suolo una società nella speranza che si ribelli ai suoi governanti. Già sotto Ahmadinejad, il migliore presidente che il paese abbia avuto e perciò rabbiosamente inviso al “manifesto”. ho visto gli iraniani decimati dalle sanzioni di Obama, gente che moriva per il bando Usa ai farmaci salvavita e oncologici, sanzioni poi decuplicate in ferocia dopo che Trump aveva disdetto l’accordo infausto inflitto da Obama a Rouhani, che privava l’Iran del diritto alla ricerca nucleare a fini pacifici. Quindi, con chi sta il giornale anticomunista?

Sta con la solita torma di manifestanti addestrati e pagati da NED, Soros e USAID, che ogni due per tre invadono qualche piazza iraniana, per poi spegnersi nel giro di qualche settimana. Sta con Pompeo, l’erede di coloro che nel 1953, con un golpe Cia, si sbarazzarono di Mossadeq, il nazionalizzatore del petrolio iraniano. Anche lui, seguendo la nobile usanza dell’ingerenza negli affari interni altrui, ha giurato ai dimostranti “per la democrazia” che gli “Usa sono con voi”. L’innesco della “rivolta”? Come in Iraq, in Siria, in Libano, in Bolivia. Stavolta un aumento del carburante di ben 11 centesimi rispetto ai precedenti 10, prezzo più basso del mondo, e la riduzione del consumo personale da 250 a 60 litri al mese. Il provvedimento, imposto dalle sanzioni che hanno ridotto la produzione iraniana da 2,4 milioni di barili al giorno a 300mila e i cui proventi servono per sussidi ai più colpiti dalle sanzioni, salvaguarda il basso consumo delle famiglie, mentre danneggia i grandi trasportatori.

Iraq. Il più odiato, l’esperimento di genocidio più insistito. 

La bella paginona del “manifesto” si affianca al segretario di Stato Usa anche per quanto riguarda altre due performance imperiali che meritano una claque vasta e qualificata. Hong Kong, un pezzo di quella Cina, sulla quale si esercita con non contenuta avversione il suo sinofobo di prima classe, e Iraq. Sull’equilibrio con cui Mentana e altri illustri paladini dell’indipendenza mediatica si commuovono per i pacifici dimostranti di Hong Kong, all’ombra della benevolenza dei rispettivi “editori democratici di riferimento”, s’è già detto. A me preme in particolare l’Iraq, paese a me più vicino, del cui destino insistono ad occuparsi i migliori globalisti antinazionalisti (in altri termini, colonialisti) fin da quando Churchill lo bombardò con gas venefici nel 1922.

Quello che non è mai stato perdonato all’Iraq è quel che è diventato dalle rivoluzioni anticoloniali degli anni ’60 fino alla presa del potere di Saddam Hussein. Un paese che, quanto a ricchezza (da petrolio) diffusa equamente, modernizzazione dell’apparato produttivo, infrastrutture, diritti sociali (scuola, sanità, pensioni, maternità), emancipazione delle donne, numero di studenti mandati con borse di studio a formarsi all’estero, ricchezza culturale, creatività artistica, protezione dell’immane patrimonio storico risalente ai sumeri, sostegno politico ed economico ai palestinesi e all’unità araba, difesa e promozione delle varie confessioni, cristiana in testa, autostima e orgoglio, primeggiava tra tutti i paesi della regione e superava le condizioni di parecchi del primo mondo, detti sviluppati.

Per i razzisti, xenofobi, antisemiti (ricordando che semiti sono 450 milioni di arabi), cioè per tutti gli odiatori che si sono fatti protagonisti del colonialismo d’antan, come di quello di ritorno oggi, era intollerabile che una nazione si emancipasse a tal punto da mettere in ombra nientepopòdimeno che la nostra imperfettibile civiltà. Ed è stata guerra, di tutti i generi, di diffamazione-satanizzazione, bombe, sanzioni invasione, occupazione, depredazione, genocidio da uranio. Per prima cosa l’invasore Usa ha depredato il museo nazionale, bruciato la Biblioteca Nazionale e raso al suolo con i cingoli Babilonia e altri siti millennari.  Fino al complotto imperialista estremo: l’Isis.

Quattromila anni di civiltà da bruciare viva.

Ci sono arrivato, da inviato di “The Middle East”, nel 1978, e ci sono tornato molte volte, riuscendo a conoscerlo tutto abbastanza bene, da Mosul e Niniveh, da Ur a Bassora. Ho fatto il corrispondente da Roma per il quotidiano arabo “Al Thaura”, con un grande direttore, il palestinese Nasif Awad, e del giornale in lingua inglese “Baghdad Observer”, diretto da un amico, Naji al Hadithi, conosciuto quando era il direttore del Centro Culturale iracheno a Londra, poi ultimo ministro degli Esteri con Saddam. Da Iraq, Siria e Libia, mi sono arrivati doni di consolazione per la sofferenza condivisa con i palestinesi. Ho visto il popolo e la sua dirigenza resistere in maniera eroica allo strangolamento tra le due guerre d’aggressione, 1991 e 2003: sanzioni micidiali e bombe di Clinton su tutto quanto permetteva la vita. 1,5 milioni di morti, di cui i 500mila bambini, rivendicati dalla neocon clintoniana Madeleine Albright. Poi l’Iraq, contro il sabotaggio dei prezzi del petrolio ordinato all’emiro dagli Usa per strangolare l’Iraq, Saddam si è ripreso il Kuweit, provincia che i britannici avevano separato dalla grande Nazione per garantirsi, con un satrapo fantoccio, uno dei più vasti giacimenti di petrolio del mondo.

 Bagdad ieri e l’altro ieri

Ai tre milioni di morti, il 15% della popolazione, Usa e Nato arrivano con la guerra di conquista del 2003. Dalla mia finestra al Mansour Hotel, poi dal Palestine, sempre per un pelo scampato ai missili con gli altri colleghi, a noi che secondo Bush non dovevamo stare lì, poi girando la città, ho filmato gli accecanti bagliori, i tremendi impatti, poi le macerie, il fosforo su Fallujah, i pianti di un paese in stracci ma in piedi, che l’invasore non riusciva a sottomettere. La forza di resistere per anni. Doveva subito essere squartato in tre pezzi, scita, sunnita, iracheno. Non ci sono riusciti. L’Iran poteva prendersi il suo pezzo scita, ha dato una mano in difesa dell’unità, a dispetto del collaborazionismo dei contrabbandieri e narcotrafficanti curdi sostenuti da Cia e Israele.

Un Iraq che, a forza di proconsoli e vicerè Usa, di distruzione di ogni struttura statale e del disfacimento dell’esercito, della pugnalata alle spalle dei turchi che gli hanno tagliato il Tigri e l’Eufrate, della rapina del suo massimo bene, gli idrocarburi, miracolosamente era riuscito a contrastare l’assalto dello Stato islamico, inventato e scatenato dai nemici di sempre. Perfino ha sconfitto la sua presa del territorio, grazie anche all’enorme valore delle milizie popolari, “Unità di Mobilitazione”, di cui gli amanti del mercenariato Usa attribuiscono il merito ai peshmerga curdi, interessati unicamente a strappare agli arabi Kirkuk e il suo petrolio. Resta, come in Siria, la strategia del terrorismo, anche quella sempre della stessa matrice, per impedire ogni normalizzazione. Il ricordo dell’Iraq di prima, la paura che suscita ancora la coesione, l’irriducibilità, la vitalità di un popolo martirizzato come nessun altro, alimentano anche questa nuova congiura anti-irachena. La si attribuisce al malgoverno, alla corruzione. Certamente vera per i fantocci installati dagli occupanti negli anni passati. Ma si occulta spudoratamente la demolizione sistematica, da trent’anni, di una nazione. Senza i proventi di un petrolio rubato dalle multinazionali, non c’è ricostruzione. Le reti idrica, fognaria ed elettrica, l’apparato industriale, agroindustriale, sanitario (un tempo tra i più efficienti del mondo), dell’istruzione, restano a pezzi. Due generazioni sono state distrutte.

Nimrud quando l’ho visitata io, Nimrud quando l’hanno visitata gli americani

Facile dare del corrotto al premier Abdul Mahdi. Facile dire, con il Fatto Quotidiano, giornale assolutamente impresentabile per la sua poltiica esteera, quanto “il manifesto”, che l’Iran tiene in ostaggio l’Iraq. Facile incolpare Baghdad di affidarsi alle sue milizie Ashd al Shabi, al mitico generale dei Pasdaran Qassem Soleimani che le ha guidate e ne ha accompagnato la vittoria. L’Iraq deve ancora pagare. Perché c’era Saddam (senza il quale non ci sarebbe stato quell’Iraq). Perché c’è la malapianta Iran (senza la quale non ci sarebbe nemmeno l’Iraq di oggi).

Nel quale si è andata accendendo una “primavera araba” dei soliti colori nel preciso momento in cui il parlamento, non smentito dal primo ministro, ha chiesto agli Usa di ritirare i suoi militari, le milizie popolari hanno denunciato e documentato le complicità Usa-Isis e la massima autorità spirituale del paese, l’Ayatollah Al Sistani, ha protestato contro le  responsabilità “di certi paesi” per i mali dell’Iraq. Forse il titolo del mio ultimo documentario sull’Iraq non era sbagliato.

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 21:36

Calenda: l’esperto di soluzioni ai problemi che crea lui

https://infosannio.wordpress.com/2019/11/20/calenda-lesperto-di-soluzioni-ai-problemi-che-crea-lui/

Apri Twitter e spunta Calenda. L’esperto di soluzioni ai problemi che crea lui. L’ex ministro vende sui Social ricette e rimedi per tutto. Ma prima dov’era?

CARLO CALENDA POLITICO

(di Laura Tecce – lanotiziagiornale.it) – A volte ritornano. E lo fanno pure in fretta, che resistere più di qualche ora senza esternare al mondo il proprio pensiero sui social deve essere un supplizio. Non stiamo parlando di millenials in fissa con Instagram e Tik Tok o di nerd solitari malati di nuove tecnologie. Stiamo parlando del twittatore compulsivo Carlo Calenda. In attesa di lanciare domani mattina alle 11 a Roma la sua creatura politica “Azione”, che ci auguriamo lo assorba più di quanto non lo facciano le grigie aule di Bruxelles e Strasburgo, l’europarlamentare di Siamo Europei ma eletto (anche) coi voti del Partito Democratico che lo ha candidato capolista nella circoscrizione nord-est, nel giro di 48 ore ha postato ben due video.

Opere fondamentali in cui il nostro campione spiega a noi poveri mortali, nella migliore delle ipotesi disinformati, nella peggiore (e crediamo condivisa dall’ex ragazzo dei Parioli pupillo di Luca Cordero di Montezemolo) analfabeti funzionali, la “verità” sul caso dello stabilimento ex Ilva. Perché lui ovviamente la verità ce l’ha in tasca. “Io sono io e voi non siete un…” come direbbe il Marchese Onofrio Del Grillo. Il tono è quello, già. Perché i “Bignami” di Calenda “contro le baggianate dei tuttologi” sprizzano saccenza da tutti i pori – e questa non è una novità – , salvo poi rispondere a tutti, troll e tuttologi del web compresi, come se non ci fosse un domani.

Dando un’occhiata al suo profilo Twitter, è infatti questo quello che balza agi occhi: come Calenda abbia una “parola buona per tutti”, con un certo stile e una certa ironia, va detto. Non manda bacioni ma anch’egli, come un altro ben noto leader politico fissato con i social, non resiste alle provocazioni. E tra una frecciatina a D’Alema, “E a grande richiesta tra le attrazioni del Circo Barnum Ilva arriva anche Massimo D’Alema. Esperto di acciaio di livello mondiale e da ultimo anche conoscitore dell’economia circolare”, e i soliti insulti agli “incapaci” al Governo e a Matteo Renzi, di cui ormai abbiamo perso il conto, non risparmia neppure tal “Il banchiere Bruno” apostrofato “delinquentello anonimo” o tal “Il signor Ernesto”. ci manca la famigerata casalinga di Voghera e poi siamo tutti.

Ndo cojo cojo. Che poi è il gentile commento che Carlo ha riservato all’annuncio da parte del leader di Italia Viva di voler aprire a tutti, destra, sinistra e Forza Italia. Ma tornado alle dotte disquisizioni su contratti, commissari, scudi penali e inchieste della magistratura a Taranto, possiamo dormire sonni tranquilli: l’immarcescibile ex ministro dello Sviluppo Economico – voluto da Renzi, sempre bene ribadirlo – prenderà in mano la situazione e come il Titano Atlante che portava sulle spalle la volta celeste, si caricherà e incaricherà di portare avanti le magnifiche sorti e progressive nientedimeno della politica industriale del nostro Paese. “Sono 18 mesi che non parlo con i Mittal. Oggi li chiamo. Perché tra le follie della Morselli e quelle del Governo qui stiamo distruggendo la capacità industriale del paese”. Così esternava su Twitter – dove sennò – qualche giorno fa. Chissà se alla fine una telefonata al signor Lakshmi Mittal l’avrà fatta. Se Non Ora Quando?

É reato scrivere Stato di merda su Facebook

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14 Agosto 2019 | Autore: 

Il reato di vilipendio delle istituzioni della Repubblica può essere commesso anche sui social come Facebook. É punito più severamente se è commesso da militari.

 

Attenti a ciò che si scrive sui social: uno sfogo in un momento di rabbia o per leggerezza può costare caro. A volte, può venire l’impulso di commentare una notizia con una frase del tipo “ma guarda in che paese viviamo” con un’espressione più forte e così qualcuno, per essere efficace e rendere meglio l’idea potrebbe scrivere «che Stato di merda» su Facebook. Ma un comportamento del genere è reato: lo ha detto la Cassazione con una sentenza depositata proprio ieri [1].

Si trattava di un ufficiale della Marina militare che, a proposito della vicenda dei marò arrestati in India, aveva scritto su Facebook questa infelice espressione ed era stato processato per il reato di vilipendio [2]: questo reato appartiene alla categoria dei cosiddetti “reati di opinione” e punisce chi usa espressioni di disprezzo, offesa o svilimento della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle Forze armate, con la pena della multa da 1.000 a 5.000 euro. Per i militari, il vilipendio è punito molto più severamente da una norma specifica [3], con la reclusione da due a sette anni.

L’ufficiale aveva scritto su Facebook, tra le altre cose, la frase «Stato di merda» e, per questo, è stato condannato con sentenza definitiva confermata in Cassazione, alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione militare. La sentenza ha riconosciuto che «l’espressione offensiva rivolta allo Stato era riferibile al grande disappunto da parte del militare per la vicenda dell’arresto dei nostri marò da parte della polizia indiana» e questo è valso a concedergli le attenuanti, ma non a farlo assolvere. «Gli appartenenti alle forze armate possono commentare vicende politiche e di attualità, ma senza travalicare i limiti della continenza», si legge nella sentenza.

I giudici non hanno riconosciuto che in questo caso vi fosse la scriminante dell’esercizio di una libera critica politica, perché l’espressione di forte disprezzo superava ampiamente questa libertà di espressione (la figura di reato serve a tutelare il prestigio delle istituzioni): «il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero trova un limite non superabile nell’esigenza di tutela del decoro e del prestigio delle istituzioni» ed hanno anche ritenuto che il disprezzo fosse stato manifestato pubblicamente  e non in forma privata (il reato di vilipendio per realizzarsi richiede la pubblicità) per il solo fatto che era stato postato sulla pagina Facebook del militare ed era senza dubbio riconducibile al suo profilo. Per la Cassazione non rileva neppure il numero di visualizzazioni raggiunte dal post perché «è sufficiente la mera diffusione del messaggio sul social network».

C’è anche da dire che il comune cittadino che si sfoga in pubblico con un’espressione analoga, ad esempio dicendo “Italia paese di merda” oppure “schifo di Italia di merda” commette un altro reato, che non è quello di vilipendio dello Stato, ma quello di vilipendio della Nazione [4]. Qual è la differenza? Il vilipendio della Nazione protegge lo “Stato comunità” di persone accomunate da lingua, storia cultura e tradizioni, quindi l’Italia intesa come paese nel suo complesso; il vilipendio dello Stato tutela lo “Stato apparato”, dunque le sue principali istituzioni. A livello sanzionatorio, il vilipendio alla Nazione è sanzionato per le persone comuni con la stessa pena del vilipendio alle istituzioni della Repubblica (multa da 1.000 a 5.000 euro), mentre per i militari [5] la pena è più bassa (massimo 5 anni anzichè 7).

note

 

[1] Cass. sent. n.35988/19 del 13 agosto 2019.

[2] Art. 290 Cod. pen.

[3] Art. 81 Cod. pen. militare di pace.

[4] Art. 291 Cod. pen.

[5] Art. 82 Cod. pen. militare di pace.

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