Metà dell’Italia vive in crisi: 30 milioni di persone in difficoltà

Toh, il parlamento tanto solidale si è accorto del malessere. Sì, c’è voluta una “commissione” per scoprire questa amara verità. I nostri parlamentari, mica rubano lo stipendio (tra l’altro il più alto d’europa), devono “indagare” il disagio, talmente è lontano dalla loro dorata poltrona. Lo localizzano nelle periferie. Già, è solo questione del “dove” si trova una persona, mica del contesto economico generale del paese da loro amministrato con tanta sapienza, giustizia intelligenza e competenza, per questo sono tanto lautamente auto-retribuiti. Giusto per citare i successi del loro operato nel quale questo disagio “spunta” fuori all’improvviso:

– tasso di occupazione del 56% dal quale si deduce che il 44% non sia occupato e certo non perché sia più che benestante, o sicuramente non la maggior parte di tale quota

– tasso di occupazione che include anche chi ha lavorato una sola ora, nonché chi lavora per redditi ridicoli.

– pensioni che per il 39% sono sotto i mille euro

  • assenza di reddito di cittadinanza, che costringe chi è colpevole di non lavorare, (manco fossimo negli anni del boom economico) alla vita in strada o a mendicare nelle migliori delle ipotesi, al suicidio nella peggiore

Si sono accorti che il diritto ad una vita dignitosa, ad avere vitto ed alloggio non vale per gli autoctoni i quali se non pagano, che sia la banca, lo stato (tasse-Equitalia), o il locatario, c’è lo sfratto. PUNTO. Al massimo la Caritas, se ha abbastanza fondi per tutti gli incapienti. Questa regola vale anche per chi non abita in periferia, ma forse ci vorrà un’altro studio dedicato anche se qualche accenno viene fatto nel rapporto. E pensare che ci raccontano che gli italiani sono terrorizzati dalla presunta ondata fascista, come non crederci che sia il primo pensiero di ogni italiano quando si alza la mattina.

Ma a cosa si deve tanto improvviso interesse per questo disagio? Davvero è solo sincera preoccupazione per il tenore di vita delle persone? Davvero questo regime tanto parco e sollecito nel salvare le banche, improvvisamente spurga solidarietà verso chi soffre nelle periferie italiane e lo intende aiutare senza secondi fini?

Ecco che i nostri dotti sapienti cosa ti tirano fuori come strategia per abbattere il disagio:

  1. Fiscalità regionale per l’edilizia popolare, detto così, sembra nobile. Peccato che conosciamo fin troppo bene i nostri ladri. Traduzione: più tasse per la mafia del cemento e speculatori immobiliari.

2 Un ministero della periferia. Eh sì perché dicono che a causa della troppa burocrazia, “han perso la strada” per portare a termine cotanti progetti volti ad alleviare le sofferenze delle persone. Già, pare che quella burocrazia sia stata importata da Marte.

3. Delegare il “terzo settore”, la galassia di enti no profit di occuparsi degli “straccioni”, che magari sarà replicato il modello mafia capitale in scala patriottica.

Difficile da credere. In campagna elettorale, dopo le 80 euro di Renzi ai più ricchi (senza reddito niente 80 euro, peccato che chi non abbia un’entrata rappresenti proprio la fascia più povera) fa comodo promettere soldi per ungere un pò di mafia locale.

Ma chissà come ci siamo arrivati a questo dato, 30 milioni di italiani in difficoltà. Effetto meravigliosa democrazia, i suoi “danni collaterali”.

Volete mica che se le prenda tutte casa pound le periferie?

E norme contro le occupazioni abusive: perché le attuali le consentono??????


Metà dell’Italia vive in crisi: 30 milioni di persone in difficoltà
I dati della Commissione sulle periferie, geografiche ed economiche. Le proposte: fisco locale per rigenerare le aree e nuove norme contro le occupazioni abusive

Cos’è la «questione urbana»? È la sfida alla nostra convivenza democratica dei prossimi dieci anni e tocca o ferisce almeno trenta milioni di italiani. Passa, sì, per le periferie, ma non soltanto per i suburbi distanti dai centri storici: avviluppa nella sua crisi quotidiana lontananze sociali, economiche, umane. Perché questa foto del Paese è la prima evidenza prodotta dalla Commissione parlamentare d’inchiesta nella sua relazione conclusiva che oggi dovrà essere votata e approvata dopo un anno di missioni in nove città metropolitane e centinaia di audizioni: «Periferia è una condizione trasversale riscontrabile anche e diffusamente in aree urbane centrali e semicentrali». Periferia è marginalità non soltanto geografica, è piuttosto uno dei frutti avvelenati di quella cultura dello scarto stigmatizzata da papa Francesco.

Periferie sono dunque Corviale a Roma o lo Zen di Palermo, falansteri fuori controllo partoriti dall’urbanistica ideologica di qualche decennio fa; ma lo sono anche i mai bonificati Quartieri Spagnoli di Napoli, appena sopra piazza Plebiscito, o la centralissima Bolognina, dove la mafia nigeriana muove la droga subappaltata dalla ‘ndrangheta o, ancora, i Caruggi di Genova, dove diecimila migranti irregolari sono invisibili per l’anagrafe ma visibilissimi per i vari racket. Periferie romane sono le voragini nel nulla appena accanto alla Breccia di Porta Pia dove, sotto i nostri occhi, sopravvivono, agonizzano e talvolta muoiono decine di macchie umane.

La platea delle sofferenze
Nelle sole 14 città metropolitane, scrive la Commissione, circa 15 milioni di cittadini abitano in aree periferiche. Se ad essi si sommano i «residenti in zone urbane a vario titolo in difficoltà, la popolazione interessata a interventi significativi in questo campo costituisce la maggior parte degli italiani». A questi italiani soprattutto, alla platea dei trenta milioni di nostri connazionali che soffrono o trattengono il fiato per paura del peggio, si rivolge il lavoro dei parlamentari coordinati dal presidente forzista Andrea Causin e dal vicepresidente democratico Roberto Morassut.

Eccola, dunque, la bozza di relazione conclusiva, che non mancherà di sollevare polemiche, perché tocca il tema di una fiscalità regionale che serva a bonificare il patrimonio abitativo pubblico; perché affronta con coraggio la necessità di tipizzare una nuova fattispecie di reato per colpire le occupazioni abusive realizzate con i sistemi del racket (in Italia sono 49 mila gli alloggi occupati senza titolo e fioriscono gang di profittatori sotto bandiere di estrema destra o di estrema sinistra); perché, infine, suggerisce una revisione del codice penale in materia di reati urbani, ipotizzando sanzioni alternative che rendano effettiva la deterrenza prevista e non sempre realizzata dai Daspo del ministro Minniti.

Ritardi decennali
Ma soprattutto, dal punto di vista politico, la relazione conclusiva assume nei suoi passaggi chiave la cadenza dell’atto d’accusa: a ritardi decennali, a un Paese che non fa mai sistema, a burocrazie confliggenti, a inerzie decisionali. Auspicando che nella legislatura che verrà, la XVIII, nasca una Bicamerale «per le città e le periferie» per proseguire il loro lavoro, i commissari di oggi dicono chiaro che così non va, che bisogna «individuare una responsabilità univoca a livello governativo», qualcuno che si prenda la briga di indicare la direzione. Potrebbe essere, scrivono, un ministro, un sottosegretario o magari un’Agenzia pubblica (una ANaP, agenzia nazionale periferie, aggiungiamo per ipotesi, sul profilo dell’Anac cantoniana, dotata di strutture e poteri d’intervento).

Dieci anni decisivi
Dai sei ai dieci anni dovrà durare, secondo i commissari, un «Programma strategico per le città italiane» che superi la logica finora seguita coi Bandi per le periferie: interventi lodevoli ma a pioggia, senza chance di invertire la tendenza al peggio. Serviranno fondi (almeno un miliardo l’anno) dall’Europa ma anche dai privati.

E dalle tasse, con la fiscalità locale «strumento di prelievo e redistribuzione sociale della rendita fondiaria» (si ricorda persino il principio costituzionale della funzione sociale della proprietà).
L’allarme è giustificato. Le principali metropoli europee si vanno allineando da anni all’Agenda Urbana dettata dall’Unione con il patto di Amsterdam del 30 maggio 2016, che prevede nelle periferie 12 assi di azione tra cui rigenerazione, infrastrutture, digitalizzazione, difesa idrogeologica, mobilità sostenibile.

Le nostre grandi città se ne allontanano. Perché dagli anni Novanta si spende troppo poco e perché la forbice della crisi ha fatto il resto. Parte della ricostruzione del Paese, scrivono i commissari, «agli albori della Repubblica fu proprio un grande programma destinato all’edilizia popolare». Sì, serve un pensiero lungo. E neppure basta. Perché oggi la rigenerazione passa anche per il ripristino della legalità, combattendo, per dire, nei campi rom roghi tossici e abbandono scolastico le cui prime vittime sono proprio i bambini rom. Nessuno può più girarsi dall’altra parte. Così la Commissione dedica un’ultima parola grata ai volontari, al terzo settore, all’universo «Re-Take». Nessuno si salva da solo. La questione urbana si risolverà coinvolgendo «l’intera opinione pubblica nazionale».

E i trenta milioni di italiani prigionieri dei loro «altrove» se la caveranno solo se avranno accanto gli altri trenta.

  di Goffredo Buccini  13 dicembre 2017 (modifica il 13 dicembre 2017 | 22:14)

http://www.corriere.it/cronache/17_dicembre_14/meta-paese-vive-crisi-90f7c086-e043-11e7-b8cc-37049f602793.shtml

Un laboratorio del Poli nel cantiere della Tav

16 dic 17 La Stampa :

Maurizio Tropeano

Il Politecnico di Torino, in collaborazione con Telt, la società incaricata della costruzione e gestione del tunnel di base della Torino-Lione, allestirà all’interno del cantiere della Maddalena di Chiomonte, un laboratorio dove studiare e sperimentare le innovazioni nel campo delle tecniche di costruzione, della sicurezza e dell’ambiente ma anche della messa a punto di un progetto per la valorizzazione dell’energia geotermica presente all’interno delle gallerie per «capire come beneficiare di queste fonti energetiche così come fanno in altri paesi», spiega Mario Virano, direttore generale di Telt.
In Svizzera, ad esempio, con le fonti di calore che arrivano dagli scavi del tunnel del Gottardo è stata messa a punto una serra tropicale e si allevano storioni e si produce caviale.

Si vedrà. Intanto Virano ha annunciato che il laboratorio sarà pronto nel 2019 quando dovrebbe essere completato l’ampliamento dell’attuale aria di cantiere alla Maddalena.

Ma già a gennaio 12 studenti, provenienti da sette paesi, del master in Tunneling e Tbm saliranno al cantiere di Saint Martin la Porte in Francia per una lezione sul campo su produzione di conci e la posa nella galleria geognostica da parte della tappa Tbm Federica. E il cantiere diventerà anche un set per la registrazione di video-lezioni.
La collaborazione tra Politecnico e Telt dura da alcuni anni ma ieri è stata trasformata in un’intesa valida per 5 anni che trasforma la tratta internazionale della Torino-Lione e il tunnel di base in oggetto di una partnership tecnico-scientifica tra Politecnico di Torino e Telt con progetti di ricerca, consulenze tecniche, master, dottorati e tesi di laurea in tutti i campi di attività relativi alla realizzazione dell’opera.
Secondo il rettore Marco Gilli «si tratta di un’importante occasione di formazione per i nostri studenti con la possibilità di progettare insieme percorsi formativi per dar vita a nuove competenze». L’Ateneo e Telt hanno intenzione di collaborare su specifici progetti di ricerca e di partecipazione congiunta a bandi e programmi in particolare europei. Secondo il professor Daniele Peila, direttore del master, avere «una palestra dove poter ascoltare la roccia» rappresenta un valore aggiunto per il master. 
La società e l’ateneo vogliono inoltre individuare azioni comuni per costituire un network di rapporti internazionali, a partire dalla Francia, per condividere le innovazioni a livello internazionale. E il vicerettore Bernardino Chiaia, referente del progetto, ha messo in luce come «cin sia un forte interesse cinese nei confronti della Torino-Lione».

Tav: accordo Telt e Politecnico

http://www.ansa.it/piemonte/notizie/2017/12/15/tav-accordo-telt-e-politecnico_eaba2153-a600-45eb-869a-6dec81a748e2.html

Lezioni con studenti e docenti nei cantieri Torino-Lione

GRAND JEU AU PROCHE-ORIENT: LES QUESTIONS GEOPOLITIQUES SUR LA ‘GUERRE FROIDE’ ENTRE L’ARABIE SAOUDITE ET L’IRAN

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Luc MICHEL pour EODE/

Quotidien géopolitique – Geopolitical Daily/

2017 12 16/

LM.GEOPOL - Questions iran saouds (2017 12 16) FR 4

La guerre médiatique incessante, doublée d’une guerre diplomatique et d’influence sans merci, entre l’Arabie saoudite et l’Iran reflète une rivalité croissante entre ces deux pays du Golfe. C’est la version proche-orientale du nouveau « Grand jeu ». Doublée d’une version proche-orientale de la « nouvelle Guerre froide 2.0 » entre deux blocs géopolitiques antagonistes : USA-Israël-Saouds vs Iran-Russie-Syrie-Chine. Mais estiment certains experts, « les risques d’un affrontement militaire direct entre Ryad et Téhéran restent à ce jour limités » …

QUESTION 1 :

POURQUOI CE REGAIN DE TENSION ?

L’Arabie saoudite, championne du wahhabisme, doctrine rigoriste de l’islam sunnite – qui est partagée par les monarchies du Golfe, les militaires fondamentalistes pakistanais et les djihadistes de Daech ou d’ al-Qaida -, et la République islamique d’Iran, chiite, ont rompu leurs relations diplomatiques en 2016 et, dans leur lutte d’influence, soutiennent des camps rivaux au Liban, en Irak, en Syrie et au Yémen (la seconde guerre du Proche-Orient).

Depuis le 4 novembre, la tension entre les deux pays a été ravivée par la valse-hésitation sur la démission du Premier ministre libanais Saad Hariri, soutenu par les Saouds, qui, de Ryad, a accusé l’Iran « d’ingérence au pays du Cèdre par le biais du Hezbollah », mouvement chiite soutenu par Téhéran et allié à la Syrie devenu le premier parti libanais.

Elle est encore montée d’un cran quand le prince héritier saoudien, Mohammed ben Salmane, a accusé l’Iran » d’avoir agressé son pays », en rendant Téhéran responsable d’un tir de missile des rebelles houthis au Yémen intercepté près de Ryad. Les USA de Trump s’étant emparé du dossier et tentant d’isoler l’Iran. Téhéran, niant toute implication, a appelé Ryad à ne pas jouer avec le feu et à se méfier de la “puissance” iranienne.

QUESTION 2 :

D’OU VIENT LA RIVALITE IRANO-SAOUDIENNE ?

GEOPOLITIQUE OU IDEOLOGIE RELIGIEUSE ?

Le fondement n’est pas religieux, comme l’expliquent les occidentaux, rivé sur le concept opérationnel des USA, le « choc des civilisations » (de Samuel Hunttington). Une vision anti-historique et simpliste de l’Histoire, qui ne relève pas de la géopolitique. Mais qui favorise le « diviser pour régner » de Washington. Le fondement est géopolitique et recouvre une rivalité millénaire : les perses vs les arabes. L’Iran puisant ces racines géopolitiques dans son histoire impériale millénaire. Téhéran ancre aussi ses ambitions dans une vision géopolitique traditionnelle, historique, celle du conflit entre Persans et Arabes pour le contrôle de l’Islam après les Omeyyades.

Au-delà de l’antagonisme atavique entre Perses et Arabes, la concurrence entre Ryad et Téhéran a été exacerbée par la révolution iranienne de 1979 et l’avènement de la République islamique, porteuse d’un message révolutionnaire d’émancipation populaire et farouchement antiaméricain, perçu comme une menace par l’Arabie, monarchie conservatrice alliée des Etats-Unis.

Avec l’affaiblissement de l’Irak après la guerre entre l’Irak et l’Iran (1980-1988) et la 1ère guerre du Golfe (1991), l’Arabie saoudite et l’Iran deviennent “les deux principales puissances régionales” ; Pour Clément Therme, chercheur à l’International Institute for Strategic Studies (IISS), leur rivalité est d’abord “géostratégique”.

« Ryad voit comme une menace pour sa propre sécurité l’influence régionale grandissante de l’Iran avec les guerres en Irak et en Syrie, et la poursuite du programme balistique iranien ». Pour l’Iran, qui s’estime encerclé par des bases américaines et menacé par les arsenaux constitués par ses voisins auprès des Etats-Unis, les missiles qu’il développe sont « purement défensifs ».

QUESTION 3 :

QUELS FACTEURS CONJONCTURELS FAVORISENT LES TENSIONS ?

“La première cause des tensions actuelles est liée à l’affrontement par intermédiaires entre l’Iran et l’Arabie Saoudite”, estime C. Therme, en citant les théâtres de guerres en Irak, en Syrie et au Yémen. Pour Max Abrahms, professeur à l’université américaine Northeastern de Boston et spécialiste des questions de sécurité internationale, la rivalité “saoudo-iranienne est devenue encore plus marquée” avec l’affaiblissement récent du groupe jihadiste Etat islamique (EI) en Irak et en Syrie.

Cette concurrence “est devenue le principe organisateur des alliances au Moyen-Orient, rappelant en cela la Guerre froide, qui partageait les pays en deux camps”, dit-il à l’AFP.

QUESTION 4 :

QUEL ROLE JOUE LE CLIVAGE ENTRE CHIITES ET SUNNITES ?

Ces tensions religieuses “ont émergé comme un paramètre majeur de la rivalité irano-saoudienne” après l’invasion américaine de l’Irak en 2003, qui a fait émerger un pouvoir chiite à Bagdad, “mais surtout après les printemps arabes de 2011″, observe C. Therme.”Les Etats arabes sont apparus comme vulnérables et l’Iran a été alors défini comme la principale menace pour la stabilité régionale”, ajoute-t-il en référence au soutien affiché de Téhéran aux revendications des importantes minorités chiites dans les monarchies du Golfe.

Mais le clivage a été aggravé par les manipulations américaines sur le concept de « Croissant chiite » (1). Ce croissant ayant étant conçu par ses partisans américains, comme Zalmed Khalilzad (2), comme un outil puissant pour fragmenter le Monde arabe. C’est alors un concept opératif « croissant chiite versus arc sunnite ».

QUESTION 5 :

COMMENT LA CRISE RISQUE-T-ELLE D’EVOLUER?

“L’Arabie saoudite va essayer de se servir du dernier tir de missile (houthi) pour mobiliser des soutiens en faveur de sanctions supplémentaires contre le programme balistique iranien”, estime Graham Griffiths, analyste pour le cabinet de conseil Control Risk. Mais “l’éclatement d’un conflit régional plus large reste improbable”, affirme-t-il à l’AFP.

“Le risque d’escalade semble atténué par la peur d’une guerre”, estime aussi C. Therme, rappelant que “l’Iran a l’expérience” douloureuse “de la guerre avec l’Irak”. Quant à l’Arabie saoiudite, elle “est enlisée au Yémen”, où elle est engagée depuis mars 2015 à la tête d’une coalition militaire pour stopper l’avancée des rebelles houthis.

Pour la société de conseil en risque politique Eurasia Group, “la rhétorique saoudienne ne reflète pas nécessairement un intérêt pour la guerre”. Mais l’argument “nationaliste” contre l’Iran pourrait être instrumentalisé par le prince héritier –qui bouscule actuellement les codes dans le royaume ultra-conservateur– pour “consolider sa position”.

QUESTION 6 :

L’ARRIVEE AUX AFFAIRES DE TRUMP, AVEC SON TROPISME ANTI-IRANIEN, EST ELLE UN FACTEUR D’AGRAVATION ?

Pour C. Therme, “l’arrivée de Donald Trump à la présidence des Etats-Unis a libéré les énergies anti-iraniennes dans la péninsule arabique” car Washington “a pris fait et cause (…) pour son allié saoudien” et contre l’Iran. Une attitude américaine tranchant avec celle de l’administration de Barack Obama (2009-2017), marquée par la signature d’un accord historique sur le nucléaire iranien.

QUESTION 7 :

L’IRAN, DENOMINATEUR COMMUN ENTRE L’AXE WASHINGTON-RIYAD-TEL-AVIV ?

La chaîne d’information américaine Bloomberg, s’intéresse au triangle dangereux anti-iranien, Washington-Riyad-Israël. Selon la télévision américaine, il paraît que l’Iran, « dont l’influence ne cesse de grandir dans la région, est le dénominateur commun de ce trio ». Bloomberg évoque dans son rapport « la volonté de ce triangle anti-iranien de faire face à la montée en puissance régionale de l’Iran face à qui, Benjamin Netanyahou, Trump et Ben Salmane se serrent les coudes ». Une vision géopolitique évidemment « vue de Washington » …

Selon le rapport, « tous les trois se sont dits vivement paniqués et préoccupés par les victoires réalisées par le président syrien et son allié iranien dans la région face aux groupes terroristes ». Des résultats acquis dans des conditions où le départ du président syrien était la priorité des politiques étrangères américaines et saoudiennes, « mais Bachar al-Assad a su vaincre les terroristes et les groupes armés, actifs dans son pays et soutenus par Riyad et Washington ».

« Échouée dans leur projet syrien », la dangereuse alliance essaie maintenant de tenter sa chance au Liban et prend pour cible le mouvement de la résistance libanais, le Hezbollah, un autre allié de l’Iran, considérablement renforcé, elle aussi, dans la région et qui a réussi à éliminer les terroristes sur les frontières. Le triangle anti-iranien a placé sans surprise le Hezbollah sur sa liste des groupes terroristes. L’Arabie saoudite a donc convoqué, son inféodé Premier ministre libanais, Saad Hariri, pour lui transmettre un message clair concernant la détermination de Riyad à continuer de mettre la pression sur le Hezbollah.

Le Premier ministre libanais, qui a également une nationalité saoudienne et d’importants intérêts au Royaume, serait « victime d’une guerre froide » de l’axe dangereux anti-iranien qui « tente non seulement de réduire la puissance de Téhéran et de ses alliés dans la région; aussi bien intérieurement qu’extérieurement, mais aussi de les affronter avec force ».

QUESTION 8 :

QUEL ROLE ISRAEL VA-T-IL JOUER DANS CET AFFRONTEMENT ?

« Israël est prêt à partager des informations en matière de renseignement avec l’Arabie saoudite car les deux pays ont en commun de vouloir s’opposer à l’Iran sur la scène régionale », a déclaré le chef d’état-major de l’armée israélienne. L’interview avec le chef de l’armée israélienne, dit Etaph, a été effectuée dans son bureau à Tel Aviv par un journaliste arabe israélien. Dans un entretien accordé à la publication en ligne saoudienne Etaph, le 16 novembre dernier, sa première interview semble-t-il avec un organe de presse arabe, le général Gadi Eizenkot déclare « qu’Israël n’a pas l’intention d’attaquer la milice chiite du Hezbollah au Liban ». Mais, dit-il à propos de l’Arabie saoudite, « nous sommes prêts à partager des informations, si cela est nécessaire. Nous avons beaucoup d’intérêts en commun ».

« L’élection de Donald Trump à la présidence des Etats-Unis et la pression renouvelée que Washington exerce sur l’Iran ont rebattu les cartes dans la région » (comme je l’annonçais dès les premiers jours de la Présidence Trump), ajoute-t-il, et « permettent à de nouvelles alliances, jadis improbables, d’apparaître ». « Il faut mettre en place un plan majeur et général pour stopper le danger que représente l’Iran », souligne le général israélien. « Nous sommes disposés, face à l’Iran, à partager notre expertise avec des Etats arabes modérés et à échanger de l’information en matière de renseignement ».

Le ministre saoudien des Affaires étrangères, Adel Joubeïr, a assuré jeudi que « l’Arabie saoudite se trouvait contrainte depuis des semaines de répondre à  l’agression de l’Iran et estimé que cette situation devait cesser ».

LES EMISSIONS QUI COMPLETENT L’ANALYSE :

* Voir sur PCN-TV/

IRAN VS SAOUD (1):

YEMEN. L’AUTRE GUERRE DU PROCHE-ORIENT

(LUC MICHEL, AFRIQUE MEDIA)

sur https://vimeo.com/151359346

* Voir sur PCN-TV/

IRAN VS SAOUD (2) :

LE CHOC TEHERAN-RIYAD

(LUC MICHEL SUR AFRIQUE MEDIA)

sur https://vimeo.com/151359475

NOTES :

(1) Notion extrêmement polémique, niée par certains analystes, mal comprise par d’autres. Il y a souvent en effet une incompréhension de ce concept géopolitique vu du point de vue américain. Certains croyant y voir la définition d’un adversaire, notamment au travers des déclarations de dirigeants sunnites. C’est exactement l’inverse, ce croissant étant à l’origine conçu par ses partisans américains, comme Zalmed Khalilzad, comme un outil puissant pour fragmenter le Monde arabe. C’est alors un concept opératif « croissant chiite versus arc sunnite ».

La géographie du chiisme permet, sans aucun doute, de dessiner une sorte de « croissant chiite », allant de l’Iran au Liban, en passant par l’Irak et les alaouite de Syrie. « Mais il importe en réalité d’étudier l’ensemble de la géographie du chiisme au Moyen-Orient et dans la partie centre-occidentale de l’Asie centrale du Sud. L’analyse géopolitique des populations actuelles comme la recherche prospective permettent d’en tirer d’importants enseignements géopolitiques, en prenant la juste mesure du poids de l’Iran et de la répartition religieuse dans la région ». Comme précisé ci-dessus, le « croissant chiite » concerne donc, stricto sensu, l’Iran, l’Irak, et le Liban via la Syrie. Mais, en réalité, et les déclarations inquiètes à ce sujet de dirigeants arabes sunnites comme le Roi Abdallah de Jordanie en 2004 ou Moubarak en 2006, l’ont alors montré, la question portait sur les populations chiites « de tous les pays ». Il importe donc « de prendre la mesure réelle du Chiisme, tout particulièrement dans l’ensemble régional formé des pays limitrophes ou proches de l’Iran, et qui inclut le Moyen-Orient et la partie orientale de l’Asie centrale du Sud ».

(2) Ce concept-projet est celui d’un des hommes-clé des USA dans la région, l’ambassadeur afghan Khalilzad – un chiite d’origine afghane et ce n’est pas un hasard – qui fut notamment le proconsul américain au Proche-Orient après l’invasion de l’Irak, en tant que super-ambassadeur de Bush pour la région. Proche de Brezinski, il illustre combien la politique étrangère américaine est définie par des non-Américains de naissance (Kissinger, Brezinski, Albright, Khalilzad…). Conseiller de Donald Rumsfeld, Khalilzad voyait  notamment à l’origine dans les Talibans – création de l’ISI pakistanaise et de la CIA – « une force de stabilité pour le pays et d’équilibre avec l’Iran ».

(Sources : AFP – Press TV – Bloomberg TV – EODE Think-Tank)

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE

* PAGE SPECIALE Luc MICHEL’s Geopolitical Daily https://www.facebook.com/LucMICHELgeopoliticalDaily/

________________

* Luc MICHEL (Люк МИШЕЛЬ) :

WEBSITE http://www.lucmichel.net/

PAGE OFFICIELLE III – GEOPOLITIQUE

https://www.facebook.com/Pcn.luc.Michel.3.Geopolitique/

TWITTER https://twitter.com/LucMichelPCN

* EODE :

EODE-TV https://vimeo.com/eodetv

WEBSITE http://www.eode.org/

BUJUMBURA AU CŒUR DU PANAFRICANISME ET DE LA RÉSISTANCE AFRICAINE

 

PANAFRICOM-TV/

LE ‘ZOOM AFRIQUE’ DE PRESS TV (IRAN)

– EDITION DU 15 DEC. 2017 –

AVEC LUC MICHEL: BUJUMBURA AU CŒUR DU PANAFRICANISME ET DE LA RÉSISTANCE AFRICAINE (PRESS AFRIQUE)

sur https://vimeo.com/247514186

LM.PRESS TV - ZOOM AFRO burundi (2017 12 15)

Dans cette édition du 15 décembre 2017 :

* BUJUMBURA AU CŒUR DU PANAFRICANISME ET DE LA RÉSISTANCE AFRICAINE

Le Burundi entend auto-financer ses prochaines élections. Quels enjeux ?

Pourquoi est-ce un modèle pour toute l’Afrique ?

Que dit PRESS TV :

« Au Burundi, le président Pierre Nkurunziza a lancé il y a un peu plus d’un mois une campagne en vue de mobiliser les Burundais à financer eux-mêmes, grâce à leurs dons, les élections de 2020. Le président a voulu susciter un élan national en prêchant par l’exemple, ce lundi, dans la province de Ngozi dans le nord du pays. Le geste est symbolique : le président Nkurunziza en survêtement de sport (c’est un grand sportif, footballeur émérite) s’est rendu à un guichet de la banque centrale de sa province natale où il a déposé sur un compte dédié au financement des élections de 2020 des liasses de billets neufs, près de deux mille cinq cents euros. Il a ensuite expliqué à la presse la signification de son geste : « C’est un geste patriotique. Nous avons voulu prêcher, par exemple, et nous avons attendu donc un mois pour que puisse se mobiliser dans notre famille une somme de 5 millions. Jusqu’en 2020, nous comptons dans notre famille contribuer de trois à quatre reprises avant les élections de 2020. » Le président burundais appelle toute la population à suivre son exemple. L’objectif est de financer les élections de 2020 pour éviter de dépendre encore une fois des bailleurs de fonds de l’UE, et singulièrement de l’ex mandataire colonial belge (qui a repris au Rwanda-Urundi colonial les délires racistes de l’Anthropologie allemande du XIXe siècle et implanté dans les esprits la querelle létale Hutus-Tutsi), responsable des malheurs du pays, qui n’avaient pas hésité à suspendre leur aide électorale en 2015 » …

Luc MICHEL explique pourquoi Bujumbura est au cœur du panafricanisme et de la résistance africaine.

Le géopoliticien analyse la question centrale des élections africaines : organiser leur auto-financement et les interdire aux manipulatons occidentales des USA (NDI et cie) et de l’UE (missions déstabilisa   trices sous prétexte « d’observation électorale). Il examine les exemples du Burundi et de l’Angola …

AVEC AUSSI L’ACTU AFRICAINE DU JOUR :

* les Européens complices des tortures subies par les migrants en Libye.

* France : quand les militaires français prennent la main sur la diplomatie française en Afrique. Et comment Macron devient le « sherif de l’Afrique » au nom des américains … _______________

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DES CRISES POST-ELECTORALES IMPORTEES EN AFRIQUE. L’EXEMPLE DU KENYA

PANAFRICOM-TV/
LE ‘ZOOM AFRIQUE’ DE PRESS TV (IRAN)
– EDITION DU 14 DEC. 2017 –
AVEC LUC MICHEL: DES CRISES POST-ELECTORALES IMPORTEES EN AFRIQUE PAR LES OCCIDENTAUX. L’EXEMPLE DU KENYA (PRESS AFRIQUE)

sur https://vimeo.com/247496356
LM.PRESS TV - ZOOM AFRO kenya (2017 12 14)
Dans cette édition du 14 décembre 2017 :

* CRISES POST-ELECTORALES :

L’exemple du Kenya ou les fruits amers du« Printemps africain » … Luc MICHEL analyse le dessous des cartes de la contestation post-électorale de Raila Odinga, le candidat malheureux à la présidentielle du Kenya …

Avec aussi l’actu africaine du jour :

* SOMMET DE PARIS SUR LE G5 SAHEL …

L’Arabie saoudite et les Émirats arabes unis, deux nouveaux contributeurs financiers de la force conjointe G5 Sahel, ont préféré boycotter le sommet de l’OCI tenu à Istanbul – qui s’est focalisé sur la question de Qods – pour venir en aide à Emmanuel Macron pour financer son G5. Le G5 Sahel est un groupe intergouvernemental de coopération régionale en matière de développement et de sécurité, créé lors d’un sommet en février 2014 par cinq États du Sahel : Burkina Faso, Mauritanie, Mali, Niger et Tchad. Il a été mis sous captation de Paris et Berlin, avec l’aval de l’Africom … Que penser de la participation douteuse de Riyad et d’Abou Dhabi au déploiement de la Force G5 Sahel ?
Un sommet réunissant les dirigeants et les représentants d’une vingtaine de pays a donc eu lieu ce mercredi à La Celle-Saint-Cloud près de Paris pour accélérer le déploiement de la force G5 Sahel. Cette réunion se tenait à l’initiative d’Emmanuel Macron, qui estime qu’il est « urgent de renverser la tendance » au Sahel, où les terroristes ont « enregistré des victoires militaires et symboliques », selon le président français cité par l’AFP, d’autant plus que la présence d’éléments de Daech dans la région a été rapportée ces derniers mois. La France, qui a déployé déjà près de 4 000 soldats au Sahel, estime que les groupes terroristes y gagnent du terrain, mais les pays du G5 ont d’énormes problèmes pour assurer le financement de leurs opérations.
Dans les capitales des grandes puissances occidentales, qui dit argent, dit Arabie saoudite et Émirats arabes unis. C’est pourquoi la partie française a invité au sommet du G5 Sahel les représentants des deux États qui ont soutenu plus que tout autre les organisations terroristes comme Daech pendant ces dernières années au Moyen-Orient. L’Arabie saoudite et les Émirats arabes unis étaient donc présents au niveau ministériel. Le président Macron discute avec eux en espérant que Riyad officialisera à cette occasion un financement de 100 millions de dollars. Jusqu’à présent, les 4 000 soldats français, les forces spéciales américaines et les forces onusiennes de maintien de la paix n’ont pas pu contrôler la montée de la violence au Sahel et la vague d’attentats des groupes extrémistes. Selon une source française, ces derniers mois, les groupes terroristes ont accentué leurs activités et ont infligé de grands dégâts aux armées des pays du Sahel L’argent que les Saoudiens et les Émiratis ont dépensé en vain pour soutenir Daech en Syrie et en Irak, pourra-t-il être plus utile pour financer le G5 Sahel contre Daech ?
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LA POLITIQUE CYNIQUE DES USA VIS-A-VIS DES KURDES : WASHINGTON VA-T-IL LACHER SES ‘ALLIES’ KURDES ?

 

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Luc MICHEL pour EODE/

Quotidien géopolitique – Geopolitical Daily/

2017 12 15/

LM.GEOPOL - USA kurdes ankara (2017 12 15) FR 2

Chez les Kurdes de Syrie, la peur est latente d’être lâchés par Washington !

Washington a en effet annoncé un futur « ajustement » du soutien aux forces kurdes après l’effondrement de l’EI et le rapatriement de 400 Marines déployés en Syrie …

La guerre en Syrie a offert aux kurdes de Syrie une semi-autonomie et la lutte contre les jihadistes les a transformés en enfants chéris des autorités américaines. Mais aujourd’hui, les Kurdes syriens sentent le vent tourner. Et le spectre des alliés abandonnés par Washington en Asie, au Vietnam notamment, hante ces kurdes.

LM.GEOPOL - USA kurdes ankara (2017 12 15) FR 3

LE DESENGAGEMENT DES AMERICAINS ET LA MENACE TURQUE

Washington a annoncé un futur « ajustement » du soutien aux forces kurdes après l’effondrement du groupe jihadiste Etat islamique et le rapatriement de 400 Marines déployés en Syrie. Avec un risque de désengagement, une offensive de la Turquie voisine est à craindre selon des analystes et des habitants kurdes, la montée en puissance des Kurdes pendant le conflit ayant provoqué l’ire d’Ankara.

« Nous avons peur que les Etats-Unis nous lâchent après la fin des combats contre l’EI », confie à l’AFP Nada Abbas, professeure d’anglais de 30 ans dans la ville de Qamichli, grande ville à majorité kurde du nord-est syrien. « Ce sera un cadeau pour la Turquie car elle n’accepte pas que les Kurdes aient leur propre force ; elle nous attaquera », craint-elle.

Estimés à 15 % de la population syrienne, les Kurdes ont profité de la guerre civile importée d’Occident en 2011 pour établir une autonomie de facto dans les territoires qu’ils contrôlent, dans le nord et le nord-est du pays. En 2016, ils ont auto-proclamé une « région fédérale » et organisent désormais des élections locales. Ils ont introduit la langue kurde longtemps bannie dans les écoles et ont créé leurs propres forces de sécurité et surtout leur propre milice, les Unités de protection du peuple kurde (YPG). Le tout sous le commandemant du PKK de Turquie.

‘UTILISES COMME UNE CARTE’, JETES APRES USAGE ?

Considérées comme un groupe « terroriste » par Ankara, les YPG ont été la colonne vertébrale de la lutte occidentale contre l’EI et pensaient avoir en Washington un partenaire indéfectible, alors que les Etats-Unis ont mis sur pied une coalition internationale anti-jihadistes. « La menace de l’EI est toujours présente, l’EI n’est pas fini », martèle Nesrine Abdullah, porte-parole des Unités de protection de la Femme (YPJ), force kurde exclusivement féminine, se référant aux cellules dormantes et attaques sporadiques des jihadistes.

« La Turquie est aussi une menace pour le peuple kurde », poursuit-elle.

« Les forces de la coalition doivent rester pour garantir la sécurité et la stabilité », plaide la responsable.

Mais, à présent, les jihadistes en déroute ne contrôlent plus que quelques portions du territoire syrien et la donne pourrait changer. « Nous avons peur des Etats-Unis », affirme Rafee Ismaïl, vendeur ambulant d’accessoires à Qamichli. « Depuis longtemps, ils nous utilisent comme carte entre leurs mains. Quand nous ne leur serons plus utiles, ils nous oublieront », estime cet homme âgé de 37 ans. Pour lui, « après ce qui s’est passé en Irak, nous nous sommes rendus compte que nous (les Kurdes) étions encore faibles ».

Washington a dénoncé le référendum sur l’indépendance organisé le 25 septembre dernier dans la région autonome du Kurdistan irakien (Erbil étant la capitale de la région autonome du Kurdistan irakien). La consultation a été rejetée par le pouvoir central à Bagdad, dont les troupes se sont ensuite emparées des territoires disputés.

* Voir sur PCN-TV/

FABRICE BEAUR & LUC MICHEL SUR PRESS TV (IRAN)/ DANS ‘LE DEBAT’ (18.10.2017):

GEOPOLITIQUE. KIRKOUK & LA QUESTION DU KURDISTAN

sur https://vimeo.com/238967613

POUTINE, « NOUVEAU TSAR DE L’ORIENT » DEPLACE SES pIONS :

UNE PROTECTION RUSSE POUR LES KURDES SYRIENS ?

Les kurdes pèsent peu face au maintien des relations entre Washington et Ankara, pays de très grand poids dans l’Otan. Qui mène une diplomatie opportuniste, un grand poker menteur entre Trump et poutine au cœur du grand jeu oriental.

* Voir sur PCN-TV/

LUC MICHEL : CHRONIQUES GEOPOLITIQUES II (4)/ COUP DE POKER GEOPOLITIQUE D’ERDOGAN EN SYRIE CONTRE LES KURDES ET DAMAS

sur https://www.youtube.com/watch?v=hXuCP3BgGug

Analyse géopolitique de fond de Luc MICHEL, qui analyse le coup de poker géopolitique d’Erdogan en Syrie.

L’armée turque est entrée en Syrie appuyée au sol sur les soi-disants « rebelles » de l’ASL (en fait les djihadistes pro-américains de « l’Armée de la reconquête », ex Jabat al-Nosra, c’est à dire al-Qaida en Syrie) et par l’aviation de la Coalition (USA et cie). Sa cible apparente : Daech, sa cible véritable : le PYDD/PKK kurde.

Moscou « gravement préocuppée », Damas « furieuse ».

Fin des supputations sur un hypothétique « rapprochement turco-russe » (sic) …

FILME PAR EODE-TV A BRUXELLES

POUR LE MULTIPLEX AVEC AFRIQUE MEDIA.

EXTRAIT DU

‘MERITE PANAFRICAIN’ DU 19 AOUT 2016

SUR AFRIQUE MEDIA

PLUS

* Voir sur EODE THINK TANK/ GEOPOLITIQUE/ QUEL SOI-DISANT ‘RAPPROCHEMENT TURCO-RUSSE’ ? ERDOGAN REUSSIT SON COUP DE POKER OPPORTUNISTE !

sur http://www.lucmichel.net/2016/08/24/eode-think-tank-geopolitique-quel-soi-disant-rapprochement-turco-russe-erdogan-reussit-son-coup-de-poker-opportuniste/

* Et sur LUC MICHEL’S GEOPOLITICAL DAILY/ DUPLICITE TURQUE EN SYRIE (II) : LA PRESSE D’ETAT IRANIENNE S’INTERROGE SUR LE ‘GRAND JEU SYRIEN’ D’ERDOGAN

sur http://www.lucmichel.net/2017/10/17/luc-michels-geopolitical-daily-duplicite-turque-en-syrie-ii-la-presse-detat-iranienne-sinterroge-sur-le-grand-jeu-syrien-derdogan/

En 2016, la Turquie a lancé une offensive en Syrie contre l’EI mais aussi surtout contre les YPG. Alliée à la soi-disant ‘Armée Syrienne Libre’, dont les forces sont en majeure partie djihadistes (dont les avatars du Jabbat al-Nosra, al-Qeida en Syrie). « La principale menace pour les Kurdes en Syrie, c’est la Turquie », confirme Nicholas Heras, expert du Center for a New American Security à Washington. Le président turc Recep Tayyip Erdogan « a été très clair à ce sujet, dès que les Américains ne seront plus là, il prévoit d’écraser les Kurdes de Syrie », avance-t-il.

Une perspective qui pourrait jeter les Kurdes dans les bras de la Russie, grand rival des Américains dans la guerre complexe qui ensanglante la Syrie. Moscou, un allié du gouvernement syrien de Bashar al-Assad, a montré des signes de soutien à cette minorité, affirmant notamment que son aviation avait effectué des dizaines de missions de soutien aux milices kurdes dans la lutte anti-EI, notamment dans l’est.

« Les rapports entre les YPG et l’armée russe deviennent très spéciaux, souligne M. Heras. La Russie, c’est une assurance pour les Kurdes de Syrie si les Etats-Unis venaient à les abandonner. » Dans la région kurde syrienne d’Afrine (nord), frontalière de la Turquie et où l’EI n’a aucune présence, les Kurdes ont bénéficié de formations militaires russes.

« Pour une protection face à toute offensive ou occupation turque, Afrine peut compter uniquement sur les Russes, pas sur les Américains », conclut M. Heras. Là aussi, Moscou bouscule toutes les lignes géopolitiques …

L’EQUATION TURQUIE-USA AU CŒUR DE LA QUESTION KURDE

Entre la Turquie et les USA, proches complices dans le soi-disant « printemps arabe », : Gülen (l’ex allié islamiste d’Erdogan, qui a rompu avec lui) et les Kurdes sont les principaux points de discorde …

La Turquie et les Etats-Unis, bien qu’alliés historiques au sein de l’Otan, ont connu plusieurs désaccords, mais les divergences sur le prédicateur Fethullah Gülen et surtout la question des milices kurdes syriennes empoisonnent actuellement leurs relations.

En septembre 2011, six mois après le début de la révolution de couleur made in USA contre le gouvernement syrien, Ankara, encouragé par les Etats-Unis, lâche Bachar al-Assad et soutient la rébellion. En 2013, l’Otan déploie des batteries antimissiles Patriot dans le sud de la Turquie pour protéger le pays d’éventuels tirs de missiles de Syrie. Mais après la montée en puissance de groupes jihadistes, et l’émergence du « califat » de Daech, les dirigeants turcs sont accusés avec raison « de fermer les yeux sur les combattants étrangers qui franchissent la frontière turque pour gagner la Syrie ».

En 2015, la Turquie est rattrapée par le conflit en Syrie, avec, en juillet, un attentat meurtrier attribué au groupe Etat islamique (EI). Elle rejoint la coalition antijihadistes dirigée par les Etats-Unis et met à disposition sa base aérienne d’Incirlik (sud). C’est le début pour la Turquie d’une “guerre contre le terrorisme” officiellement dirigée contre les jihadistes et la rébellion kurde, mais qui vise en fait surtout le Parti des travailleurs du Kurdistan (PKK), en guerre contre Ankara depuis 1984.

En août 2016, la Turquie lance ainsi une opération militaire dans le nord de la Syrie, visant à lutter contre l’EI, mais aussi à combattre les milices kurdes YPG (Unités de protection du peuple kurde). Les YPG, qu’Ankara considère comme l’extension du PKK, sont la principale composante de l’alliance kurdo-arabe combattant l’EI en Syrie et soutenue par les Etats-Unis. Fin avril 2017, la Turquie irrite Washington en bombardant en Syrie un QG des milices kurdes YPG. Le 9 mai, Washington décide de fournir des armes aux YPG, ce que la Turquie juge “inacceptable”.

Les questions qui fâchent Erdogan : le sort de Gülen, la question arménienne et les droits de l’homme …

* Dans la nuit du 15 au 16 juillet 2016, une tentative de coup d’Etat par une faction de l’armée (près de 250 morts) bouleverse la situation politique en Turquie, ainsi que ses relations extérieures. Menée par des forces laïques kémalistes, lle est imputée à tord au prédicateur islamiste Fethullah Gülen, installé aux Etats-Unis. Occasion de se débarrasser définitivement d’un ex-allié devenu encombrant pour le régime autoritaire d’Ankara. La Turquie lance des purges sans précédent dans l’administration turque pour chasser les sympathisants de Gülen, qui nie pour sa part toute implication dans le coup de force. Le président Erdogan appelle, en vain, Washington à extrader le prédicateur.

* En avril 2017, Donald Trump qualifie le massacre des Arméniens en 1915 d'”une des pires atrocités de masse du XXe siècle”, tout en se gardant d’employer le terme de “génocide”. Colère de la Turquie, qui dénonce la “désinformation” et les “mauvaises définitions” de Donald Trump. Lorsqu’il faisait campagne pour la Maison Blanche en 2008, Barack Obama s’était engagé à reconnaître le génocide, un terme qu’il n’a cependant jamais employé en tant que président.

* En avril 2016, Barack Obama avait dénoncé “le chemin très inquiétant” pris par Recep Tayyip Erdogan en matière de liberté de la presse en Turquie, au lendemain de sa rencontre avec son homologue turc à Washington. Les autorités turques sont accusées de dérive autoritaire et de répression contre des médias et opposants turcs.

Au milieu de tout cela et de l’action habile de Moscou, il est douteux que Washington sacrifie l’alliance turque, qui couvre les frontières orientales de l’OTAN, pour des kurdes qui ont cessé d’être utiles …

* Voir aussi LUC MICHEL’S GEOPOLITICAL DAILY/ GEOPOLITIQUES ANTAGONISTES : SOUTIEN AU KURDISTAN OU ALLIANCE TURQUE, LA QUADRATURE DU CERCLE GEOPOLITIQUE POUR WHASHINTON

sur http://www.eode.org/luc-michels-geopolitical-daily-geopolitiques-antagonistes-soutien-au-kurdistan-ou-alliance-turque-la-quadrature-du-cercle-geopolitique-pour-whashinton/

Photos :

Affiche de propagande du PYD-PKK,

Affiche pour le referendum du 25 septembre dernier au kurdistan irakien.

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE

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FRENCH OFFICIALS ACCUSED OF ‘COMPLICITY’ IN RWANDA GENOCIDE

# PANAFRICOM-NEWS/

PANAFRICOM/ 2017 12 15/

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French officials were complicit in the 1994 genocide of Rwanda’s Tutsi minority, and obstructed justice in subsequent investigations, according to a new report!

The “Muse Report” written by Washington DC-based law firm Cunningham Levy Muse was commissioned by the government of Rwanda as part of its investigation into the role of French officials in the genocide, in which around 800,000 people were killed. The 52-page document draws on wide-ranging sources including diplomatic cables and witness testimonies to make a series of allegations.

‘AIDING THE GENOCIDAIRES’

The report claims that French officials supplied weapons to government forces and militias implicated in massacres of Tutsis, despite having knowledge of these atrocities. French officials are also alleged to have provided support and shelter for Rwanda’s interim government, whose leaders were subsequently convicted of genocide charges.

The report further accuses the French government of obstructing justice after the genocide by failing to release vital documents, and failing to extradite or prosecute suspected war criminals living in France. “Senior French officials were aware of and aided the actions and goals of both the Habyarimana government (before the genocide) and the génocidaires who seized power,” the report concludes.

“A complete investigation into the full extent of the knowledge, conduct and complicity of French officials is warranted…There is no doubt that French archives are filled with documents and materials without which the full history of this era will never be known.”

The Foreign Minister of Rwanda Louise Mushikiwabo called on the French government to provide transparency and accountability. “The Muse Report exposes a damning summary of conduct by French officials in Rwanda during the 1990s and thereafter, and we agree with the report recommendation that a full investigation into the role of French officials in the genocide is warranted,” she said. “This is also an opportunity for French authorities to collaborate better with Rwanda in the pursuit of truth, justice and accountability regarding the genocide against the Tutsi.”

A RECKONING?

The French government has not responded to a CNN request for comment, but at the outset of Rwanda’s investigation into French culpability, the then Defense Minister Jean-Yves Le Drian said: “To say that the French army took part in genocide is a despicable lie that I will not tolerate.”

Relations have often been tense between the two countries since the genocide. France has no ambassador in Kigali, and Rwanda recently withdrew its envoy from Paris. The Rwandan government has previously accused French officials of complicity, and French soldiers of rape and assassinations. The French government denied these claims, although former President Nicolas Sarkozy acknowledged “mistakes” in 2010. Prospects for the release of classified documents pertaining to Rwanda received a setback in September, as France’s Constitutional Council ruled they should remain secret.

‘THE REPORT IS ONE-SIDED’

Human Rights Watch Central Africa Director Ida Sawyer welcomed the call for clarity over French involvement, although she suggests the Muse Report is undermined by omitting criticism of the Tutsi Rwandan Patriotic Front (RPF), the party of President Paul Kagame, which took power after the genocide. “While the report is one-sided as it does not address abuses committed by the RPF, it rightly calls for a reckoning regarding France’s role before and during the genocide,” says Sawyer.

Human Rights Watch documented arms transfers from France to the Rwandan government in July 1994, she adds, “after it was widely accepted that these actions supported a force recognized as having committed genocide.”

(From : CNN – PCN-SPO)

Photos:

France’s former President Nicolas Sarkozy visits the Memorial of the Rwandan genocide in Kigali on February 25, 2010.

Hutus welcoming a French marines detachment as they drive through a refugee camp, some 4kms outside Butare, in July 1994.

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EX-YOUGOSLAVIE: L’ABSENCE DU LEADER SERBE SESELJ A SON PROCES, NOUVELLE GIFLE POUR LA SOI-DISANT ‘JUSTICE INTERNATIONALE’ AUTO-ROCLAMEE

Luc MICHEL/En Bref/ 2017 12 14/

LM.NET - Seselj gifle tpiy (2017 12 14) FR

Ex-Yougoslavie: l’absence du Parti Radical Serbe (SRS) Seselj, l’ex vice-président de la IIIe Yougoslavie de Seselj, à son procès, nouvelle gifle pour la soi-disant ‘justice internationale’ auto-roclamée. Celle du TPIY, un des clones de la CPI, qui a inspiré ce tribunal fantoche de La Haye, comme lui une arme politico-judiciaire aux mains des USA et de l’OTAN …

La Haye – Le procès en appel (à la requête du Procureur-général) de l’ultranationaliste serbe Vojislav Seselj, acquitté à la surprise générale en première instance de crimes de guerre, s’ouvrait ce mercredi, en son absence …

L’EXPRESS crache la rage du clan occidental :
« L’accusation tentera de renverser l’acquittement de cet homme devenu député qui refuse de venir depuis Belgrade pour assister à son propre procès, première audience dans ce bâtiment de La Haye depuis le suicide fin novembre en direct d’un accusé, Slobodan Praljak (…)Une semaine avant le suicide de Praljak, l’ex-chef militaire des Serbes de Bosnie Ratko Mladic avait été évacué de la salle d’audience après s’être lévé et avoir crié aux juges qu’ils mentaient lors de l’énoncé de son verdict. Condamné à la perpétuité, il a annoncé dans la foulée qu’il ferait appel.
Le jugement de Vojislav Seselj devrait être rendu au premier semestre 2018. Son procès en appel est l’une des premières affaires devant le Mécanisme pour les tribunaux pénaux internationaux (MTPI), compétent pour reprendre toute affaire du TPIY (…) Homme massif à la mèche argentée peignée sur le côté, Seselj avait accueilli triomphalement cet acquittement “honorable et juste” rendu par un tribunal que ce maître provocateur avait autrefois accusé d’exercer des “rites sataniques”. »

Seselj dit n’avoir “plus rien à faire avec (ce) tribunal” :
“J’ai passé douze ans à La Haye à attendre que le tribunal prouve les accusations qui pèsent contre moi”, a déclaré à l’AFP Vojislav Seselj, joint par téléphone. “Puisque j’ai été acquitté en première instance, je ne vois pas ce qu’il reste pour ce Mécanisme, ce qu’il peut faire avec mon verdict.”

* Lire sur : https://www.lexpress.fr/actualites/1/actualite/ex-yougoslavie-l-absence-du-serbe-seselj-a-son-proces-nouvelle-brimade-pour-la-justice_1968570.html

(attention Média de l’OTAN ! Lire avec esprit critique …)

* Lire aussi sur SUR LUC MICHEL’S GEOPOLITICAL DAILY/ ANALYSE COMPLETE DES ‘GUERRES DE YOUGOSLAVIE’ ET DE LA DESTRUCTION DES IIe ET IIIe FEDERATIONS YOUGOSLAVES PAR LE BLOC AMERICANO OCCIDENTAL

sur http://www.lucmichel.net/2017/11/28/sur-luc-michels-geopolitical-daily-analyse-complete-des-guerres-de-yougoslavie-et-de-la-destruction-des-iie-et-iiie-federations-yougoslaves-par-le-bloc-americano-occident/

LUC MICHEL/ ЛЮК МИШЕЛЬ/

Photo :

Belgrade, 1999. Seselj (à droite) brûle avec la foule les drapeaux des USA et de leurs fantoches de l’Union dite « européenne ».  Pour la première fois depuis 1945, une capitale européenne est bombardée par les atlantistes …

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YOU MAY NOT BE ANTI-IMPERIALIST IF YOU ARE NOT ANTICAPITALIST?

Bibeau.robert@videotron.ca    Éditeur.   http://www.les7duquebec.com

 13.12.2017

THE ARTICLE IS AVAILABLE ON THE WEBMAGAZINE:

http://www.les7duquebec.com/7-au-front/on-ne-peut-etre-anti-imperialiste-si-on-est-pas-anticapitaliste/

The remorse of the criminal back to the scene of the crime.

On November 28, during his visit to Burkina Faso, the French President Emmanuel Macron spoke to students at the University of Ouagadougou with his counterpart from Burkina Faso, Roch Christian Kaboré. In his speech, the President of the Republic announced that all documents related to the assassination of Thomas Sankara would be declassified. The former president of Burkina Faso was assassinated in 1987, but shady areas surround his death, including the role of the French Embassy in Ouagadougou (1).

A revolutionary and anti-imperialist program affirms the literary hacks.

In 1983, at only 33 years old, Thomas Sankara, an officer in the French neocolonial army of Upper Volta, seized the puppet government power by a military coup d’état, succeeding the previous ones, embezzlement opposed to the peasant popular and revolutionary working mobilization (2).

In 1984, he renamed the country Burkina Faso which means “country of honest men“. The country of upright men is then and still remains one of the ten poorest countries with a human development index of 0,402 (2015), Madagascar, another country under the leftist boot being the last of the list. From then on, he set up some reforms with the help of his friend and right-hand man Captain Blaise Compaore, who will be his Brutus after a few years to plot (3). Sankara and Compaore pretend to moralize the capitalist political life in a quasi-feudal country not yet industrialized;

he wants to achieve the food self-sufficiency and build new diplomatic and economic relations with neocolonialist France, while retaining the emerging capitalist mode of production, and remaining a member of the Franc-CFA community administered by the Bank of France, a little like Robert Mugabe in Zimbabwe against the British imperialist Commonwealth (4).

Like Mugabe, Castro, Guevara, Ho Chi Minh, Kim Il Sung and how many other “leftist revolutionaries” Sankara and Compaore were supposedly defending an anti-colonial and anti-imperialist program, but keeping their country under the capitalist mode of production just like all the other “third-world revolutionaries” from that time to today, which includes MaoEnver Hodja and Mandela, heroes of the contemporary go-left (5).

In order to demonstrate his willingness to break with Franco-African diplomacy that he considered “neocolonial”, Sankara boycotted the summits France-Africa. This was particularly the case of Vittel in 1983 and that of Bujumbura (Burundi) in 1984, but he never closed the French and US embassies in Ouagadougou … what we admit would not have prevented what he was bound to achieve.

In the mid-1980s, the Third World countries, particularly the African countries, were shaken by a new sovereign debt crisis. In 1987, at the Summit of the Organization of African Unity in Addis Ababa (Ethiopia), Thomas Sankara called on African countries to join him in refusing to pay the sovereign debt to Western banks (this is a first revolutionary proposal radical): “If Burkina Faso, alone, refuses to pay the debt, I will not be here at the next conference”; premonitory projection since Thomas Sankara was to be murdered a few months later. Proof was that even without being anti-capitalist, the simple fact of threatening not to pay the debt (the imperial ransom) is enough to be condemned and executed by his “revolutionary anti-imperialist” right-hand man (sic), the Captain Compaore sicarian of plenipotentiary powers. Years later the Colonel Kadafi was assassinated for such a “crime” of lese-majesty of bankers (6).

What is to be understood from this tragic example?

If a “revolutionary” hero is so well-intentioned, Marxist in addition (sic), can not take the place of the armed revolutionary proletariat, launch massively the conquest of all economic power first, then political. The other forms of power (military, legal, police, diplomatic, social, trade union, etc.) will also fall to him. The tactics of the oligarchic military coup d’etat are not part of the revolutionary proletarian panoply and, as history shows, it only leads to failure even in Bolshevik Russia. We must also conclude from this tragic example, which succeeds dozens of other identical, that for the revolutionary uprising to occur the objective, materialistic, economic conditions must be met. The capitalist mode of production must be on the verge of collapse worldwide, beginning with the advanced imperialist countries and the underdeveloped countries. The world revolution will not be the work of the hungry, ragged persons which will constitute a reinforcing force in support of the advanced and arming proletariat. Finally, last observation, beware comrades who proclaims himself a Marxist – Marxist-Leninist – communist, leftist or avant-garde of any kind.

Marx, protect us from “the vanguard,” our enemies take care of it (7).

NOTES

  1. http://www.les7duquebec.com/7-dailleurs-2-2/qui-est-thomas-sankara-licone-anticolonialiste/
  1. https://fr.wikipedia.org/wiki/Burkina_Faso
  1. https://fr.wikipedia.org/wiki/Burkina_Faso
  1. http://www.les7duquebec.com/7-au-front/robert-mugabe-dernier-gauchiste-despote-et-imposteur/
  1. http://www.les7duquebec.com/7-de-garde-2/le-quebec-maillon-faible-de-letat-imperialiste-canadien/
  1. http://www.agoravox.fr/actualites/international/article/le-parricide-la-guerre-civile-en-89871

And http://www.les7duquebec.com/7-dors-invites/libye-very-in-the-best-of-the-european/

  1. Robert Bibeau (2017)  National questionENGLISH BOOK FREE  (HERE)  http://www.les7duquebec.com/wp-content/uploads/2017/05/bon-NATIONAL-QUESTION-AND-PROLETARIAN-REVOLUTION-UNDER-THE-MODERN-IMPERIALISM-revision.docx ET ITALIAN BOOK  (ICI)  GRATUITEMENT EN TÉLÉCHARGEMENT.

Traduction   by  Claudio Buttinelli.  Roma

 

 

 

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Éditeur du webmagazine  http://www.les7duquebec.com