A1, variante di valico: dentro i tunnel che crollano e i paesi che sprofondano

 

Variante di Valico

Le montagne franano sull’opera. Il viadotto dell’Autosole all’altezza di Pian del Voglio si sposta (14 centimetri rispetto alla sua posizione originale) mentre nei centri abitati le case continuano a scivolare al ritmo di 4 millimetri al mese
di  | 23 marzo 2014
Nuove gallerie che collassano, pareti di montagna che franano, il terreno sotto ai piedi di due paesini che si sposta inesorabilmente e il pilone di un viadotto alto 40 metri che scivola oltre i limiti di sicurezza. Sembra uno scherzo, ma è la cronaca dei lavori di una grande opera nell’Italia 2014.

La Variante di Valico, monumentale progetto da dieci anni in costruzione, è una groviera e, almeno per adesso, invece di togliere traffico dalla vecchia Autosole mette a rischio la sicurezza della stessa, all’altezza dello svincolo di Pian del Voglio: le nuove gallerie si sbriciolano lentamente sotto il movimento franoso che si sta trascinando dietro 50 milioni di metri cubi di versante. Lo abbiamo verificato ieri entrando nel cantiere indisturbati nella pausa dei lavori del fine settimana. Si spostano due paesi, Ripoli eSparvo, e a essere gravemente a rischio è il viadotto, alto 40 metri, dell’attuale A1, l’Autosole, con un intero pilone che si è già mosso di 15 centimetri dal novembre del 2011. Già oltre i limiti indicati da Gennarino Tozzi, ex direttore generale per le nuove opere di Autostrade per l’Italia, che nel maggio 2012 disse davanti ai consiglieri regionali emiliani: “Anche se il movimento che oggi è di 2 centimetri e qualche cosa dovesse… fino a 13 centimetri abbiamo almeno trenta viadotti in Italia che hanno movimenti superiori e che gestiamo regolarmente; quindi fino ai 13-14 centimetri non c’è nessun problema”.

MA ALLA DATA 22 marzo 2014 il pilone alto quaranta metri del viadotto Rio Piazza, quello che sta sopra Ripoli – sopra la galleria Val di Sambro del nuovo tracciato – risulta dai rilevamenti ufficiali aver già superato i 14 centimetri di spostamento dalla posizione originaria del 1959, data di costruzione.

Tozzi, continuò l’audizione in Regione, cercando di rassicurare: “Dopo i 13-14 centimetri vanno fatte delle azioni che riposizionino, adesso non voglio scendere nel dettaglio, ma che sono già in corso, che iniziano in questi giorni proprio per poter superare anche i 13 centimetri, ma solo a fini precauzionali per tenere tranquilla la situazione sennò è sempre il discorso di prima: tutto quello che facciamo può essere visto con la bottiglia mezza piena o mezza vuota. Non siamo allarmati – concluse – cerchiamo di dare tranquillità”. 

Che cosa ha fatto Autostrade per l’Italia nel frattempo? Nell’estate 2012 ha letteralmente sollevato la strada, con dei particolari cric, per infilare tra i pilastri e le travi degli spessori in neoprene, chiamati baggioli, più larghi, così da far fronte allo spostamento delle travi rispetto ai piloni. “Amplieremo i baggioli del viadotto – spiegò ancora Tozzi – su cui appoggia l’impalcato, ovvero le travi e la piattaforma. Se il movimento del viadotto peggiorerà gli interventi preventivi che stiamo mettendo in campo oggi ci permetteranno di sollevare l’impalcato e di riposizionarlo più centrato”. Da quel momento, dopo sedici mesi, lo spostamento è stato di ulteriori dieci centimentri.

IL GEOMETRA Dino Ricci, portavoce del Comitato spontaneo che contesta questi lavori, ha messo su famiglia a Ripoli proprio perché ha lavorato per cinquant’anni alla costruzione di queste strade, compresa l’Autosole: “Quel viadotto non è sicuro. Hanno solo ampliato i piani di appoggio, ma là c’è una curva, quindi a un certo punto lo spazio finisce, andare oltre i 14 centimetri, che avevano indicato loro stessi, può essere pericolosissimo. Ma avete idea di quante auto passano al minuto su quel viadotto? Io mi sono fatto l’idea che quando apriranno la Variante al traffico, chiuderanno il viadotto, cioè il vecchio tracciato, per manifesta deficienza strutturale”.

La casa del geometra Ricci se ne va giù con il paese ai piedi del pilone e sopra le due gallerie, come quelle dei suoi trecento concittadini di Ripoli, stessa cosa che sta succedendo adesso agli abitanti di Sparvo. “Casa mia – dice ormai quasi rassegnato – è a 150 metri dall’asse della galleria. Si è spostata di sette centimetri, abbassandosi di tre centimetri. Con una velocità, ormai, di 4 millimetri al mese. È piena di crepe. Qui ci sono due chilometri quadrati di frana che si portano dietro 50 milioni di metri cubi di versante, non c’è opera ingegneristica che possa fermarla: prima o poi qui sarà il deserto”.

Le persone evacuate sono già decine, spesso con altre motivazioni ufficiali, per esempio la neve. Via Santa Maria Maddalena, a Ripoli, è ormai una strada fantasma. La chiesetta del Duecento è già da tempo a rischio inagibilità, una signora recentemente è morta lontano dalla casa dove era sempre vissuta e dalla quale era stata portata via per forza, “delocalizzata” secondo la terminologia ufficiale, alla comparsa di crepe di due centimetri nella sua abitazione. Sulla frana di Ripoli la procura di Bologna ha già aperto un’inchiesta, sempre rimasta contro ignoti, per disastro colposo: una perizia di centinaia di pagine ha certificato che l’enorme frana è stata riattivata dalla galleria Val di Sambro. I pm hanno scelto di chiedere l’archiviazione, ma la decisione del gip deve ancora arrivare.

di Giampiero Calapà e David Marceddu 

di  | 23 marzo 2014

Polveri sottili, Arpa smentisce Esposito e Ferrentino, la colpa non è dell’autostrada ma dei mezzi delle forze dell’ordine

 martedì, febbraio 2, 2016 

Trattati europei – parte III

Terza parte della storia dei Trattati Europei e delle implicazioni con la Costituzione Italiana a cura dell’avv Giuseppe Palma.

a cura dell’avv.  per Scenarieconomici.it

PARTE TERZA

“ IL RAPPORTO GERARCHICO NEL SISTEMA DELLE FONTI DEL DIRITTO: IL PRIMATO DEL DIRITTO DELL’UE RISPETTO AL DIRITTO INTERNO. GRAVI ASPETTI DI CRITICITA’ ”

Se non fosse per quanto sto per scrivere, tutto quello che ho argomentato nei precedenti due articoli (Parte I e II di questo speciale) non sarebbe eccessivamente preoccupante. E invece lo è.

Fatta salva la supremazia gerarchica della Costituzione nei confronti delle norme europee di qualunque fonte (supremazia meramente formale visto che le norme costituzionali sono state sostanzialmente superate dal contenuto dei Trattati), la produzione legislativa nazionale di rango ordinario (le leggi e gli atti aventi forza di legge) si colloca su un livello inferiore (rapporto gerarchico) rispetto alla produzione legislativa dell’UE, tant’è che, qualora una norma nazionale non fosse conforme ad una norma europea, il giudice nazionale (al quale i cittadini si rivolgono per ottenere giustizia) deve disapplicare la norma nazionale e applicare quella europea, anche se questa è antecedente alla norma interna. Non è uno scherzo, è proprio così.

Ma andiamo per gradi. Cosa vuol dire rapporto gerarchico? Vuol dire che un atto giuridico deve essere conforme ad un altro atto giuridico posto su un livello superiore nella scala gerarchica delle Fonti del diritto, cioè – ad esempio – un regolamento del Governo deve essere conforme alla legge ordinaria, questa deve essere conforme al Regolamento dell’UE (che ricordo al lettore è un atto giuridico che fa parte del diritto derivato dell’Unione) e quest’ultimo non deve essere in contrasto con i Principi Fondamentali dell’ordinamento costituzionale, con la Parte I della Costituzione e con la forma repubblicana (intesa nel suo significato più ampio). La conformità alla Costituzione è richiesta anche al diritto europeo originario (rappresentato dai Trattati dell’UE), e a tal riguardo va evidenziato – come si è già visto nella Parte II di questo speciale – che gli atti legislativi dell’Unione sono adottati attraverso le procedure stabilite dai Trattati che nulla hanno a che fare con le procedure democratiche dettagliatamente stabilite dalla Parte II della nostra Costituzione, la quale attribuisce la funzione legislativa esclusivamente ad un Parlamento eletto direttamente dal popolo (fatta eccezione per i casi del decreto legge e del decreto legislativo che sono invece di competenza del Governo, la cui funzione legislativa è comunque limitata al verificarsi di specifiche condizioni).

Ciò detto, i cittadini italiani sono soggetti a norme europee (che superano quelle nazionali) adottate attraverso procedure legislative meno garantiste e meno democratiche di quelle stabilite dalla Costituzione, le quali sono costate – lo ripeto per l’ennesima volta – milioni di morti. Capito adesso perché la Costituzione è stata – di fatto – esautorata sin dalle sue viscere? Come si fa a dire di essere europeisti di fronte a tali verità? Come si può accettare che la Commissione europea e il Consiglio dell’UE (quindi funzione esecutiva, iniziativa legislativa e funzione legislativa), deputati rispettivamente a proporre e ad emanare atti legislativi direttamente vincolanti e superiori alle leggi nazionali, siano composti da soggetti nominati (e quindi non eletti) che non ricevono neppure un voto di fiducia da parte del Parlamento, unico organismo europeo eletto direttamente dal popolo?

In pratica, se la Rivoluzione francese aveva strappato la funzione legislativa dalle mani del re (e del suo “Consilium Principis”) per attribuirla ad un’assemblea elettiva che rappresentasse ed esercitasse la sovranità popolare, l’UE ha annullato le conquiste rivoluzionarie attribuendo sostanzialmente la potestà legislativa dell’Unione (il cui frutto supera la produzione legislativa nazionale) ad un organismo – il Consiglio dell’UE – i cui componenti (al pari dei componenti della Commissione), non essendo eletti dai cittadini, rispondono unicamente a logiche di potere e di interesse del tutto contrapposte alle “naturali” esigenze dei popoli. Come si può essere europeisti senza provare un briciolo di vergogna o di imbarazzo?

§§§

Come ho già scritto nella Parte IIa di questo speciale, i  (da ultimo quello di Lisbona) prevedono che la funzione legislativa dell’UE sia esercitata congiuntamente da Parlamento europeo e Consiglio dell’UE, ma, come ho potuto argomentare nel precedente articolo, la potestà legislativa del Parlamento europeo è circoscritta al mero ruolo di “compartecipe” o di “notaio in differita”. Nella sostanza, gli atti giuridici dell’Unione sono adottati dal Consiglio e dalla Commissione, due organi non eletti dal popolo e che non rispondono a criteri democratici! La funzione legislativa dell’Unione mira esclusivamente alla tutela del capitale internazionale (anche attraverso l’Euro), al perseguimento degli scopi delle multinazionali e alla salvaguardia degli interessi dei mercati. Il rispetto della sovranità popolare e la tutela dei diritti fondamentali non fanno parte dell’agenda politica e legislativa dell’UE! Con buona pace dei falsi europeisti!

Ma entriamo nello specifico.

Nonostante quanto scriverò nella IVa ed  ultima Parte di questo speciale in merito alla palese manipolazione interpretativa dell’art. 11 Cost., la nostra Corte Costituzionale (le cui Sentenze sono considerate da un certo tipo di politica nostrana come espressione derivata del Vangelo), già nel 1964 affermava che le norme comunitarie sono da porre sul medesimo piano delle leggi ordinarie, e che un eventuale conflitto tra norma interna e norma comunitaria si sarebbe dovuto risolvere attraverso il criterio della successione delle leggi nel tempo (il c.d. principio lex posterior derogat priori), ossia che la norma successiva deroga (sostituisce) quella precedente (Sent. n. 14 del 7 marzo 1964 – Costa c. Enel). Successivamente, nel 1973, la Consulta si spinge addirittura oltre riconoscendo sia il primato del diritto comunitario sul diritto interno che l’efficacia diretta dei Regolamenti (Sent. n. 183 del 1973 – conosciuta come Sentenza Frontini). Forse toccata da un sussulto di indipendenza, nel 1975 la nostra Corte Costituzionale (con Sentenza n. 232/1975) enuncia il principio che, affinché potesse essere disapplicata, la norma nazionale doveva essere abrogata o dichiarata costituzionalmente illegittima dall’organo costituzionale competente, lasciando in tal modo allo Stato (attraverso se stessa) un minimo di controllo sull’efficacia della normativa comunitaria nell’ordinamento giuridico nazionale. Ma nel 1978 interviene un’importante Sentenza della Corte di Giustizia europea (causa Simmenthal – Sent. 9 marzo 1978) che risolve ogni empasse in favore della legislazione comunitaria: “il giudice nazionale, incaricato di applicare, nell’ambito della propria competenza, le disposizioni del diritto comunitario, ha l’obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere od ottenere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale”. Trascorrono circa sei anni durante i quali la Consulta mantiene sostanzialmente le proprie posizioni, ma nel 1984 il conflitto tra la giurisprudenza della Corte di Giustizia e quella della Corte Costituzionale viene definitivamente risolto da quest’ultima con l’emanazione della Sentenza n. 170 dell’8 giugno 1984 (causa Granital c. Ministero delle Finanze), con la quale la nostra Consulta si è allineata totalmente alla giurisprudenza della Corte di Giustizia, stabilendo che il giudice nazionale è tenuto a disapplicare addirittura anche la normativa nazionale posteriore confliggente con le disposizioni europee, superando in tal modo l’obbligo previsto nel 1975 di un preventivo giudizio di legittimità costituzionale. Successivamente, nel 1985 (Sent. del 23 aprile 1985 n. 113 – causa BECA S.p.A. e altri c. Amministrazione finanziaria dello Stato), la Consulta – oltre a ribadire quanto già affermato con Sentenza n. 170/1984 – chiarisce che la normativa europea entra e permane in vigore in Italia senza che i suoi effetti siano intaccati dalla legge ordinaria dello Stato, ogni qualvolta la normativa europea soddisfa il requisito dell’immediata applicabilità, quindi i Regolamenti UE e – per espressa previsione – le statuizioni risultanti dalle Sentenze interpretative della Corte di Giustizia.

Tuttavia, l’applicazione e l’efficacia diretta delle norme del diritto europeo incontrano un limite invalicabile (quanto meno da un punto di vista formale) rappresentato dai Principi Fondamentali dell’ordinamento costituzionale e dai diritti inalienabili della persona, infatti la stessa Corte Costituzionale – con Sentenza del 13 luglio 2007 n. 284 – afferma: “Ora, nel sistema dei rapporti tra ordinamento interno e ordinamento comunitario, quale risulta dalla giurisprudenza di questa Corte, consolidatasi, in forza dell’art. 11 della Costituzione, soprattutto a partire dalla sentenza n. 170 del 1984, le norme comunitarie provviste di efficacia diretta precludono al giudice comune l’applicazione di contrastanti disposizioni del diritto interno, quando egli non abbia dubbi – come si è verificato nella specie – in ordine all’esistenza del conflitto. La non applicazione deve essere evitata solo quando venga in rilievo il limite, sindacabile unicamente da questa Corte, del rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e dei diritti inalienabili della persona”. A tal proposito, Luciano Barra Caracciolo sostiene che tra i limiti che incontra la prevalenza del diritto europeo rispetto al diritto interno, anche in relazione all’interpretazione dell’art. 11 Cost., non vi sono solo quelli di parità con gli altri Stati o di promozione della pace e della giustizia fra le Nazioni, ma anche quello sancito dall’art. 139 Cost. (la forma repubblicana, intesa nella sua accezione più vasta) e quello del rispetto dei Principi Fondamentali dell’ordinamento costituzionale e dei diritti inalienabili della persona. Il novero di questi limiti (cosiddetti controlimiti), inoltre, non si ferma ai diritti inalienabili della persona, ma si estende – come si è visto –, oltre che ai Principi Fondamentali dell’ordinamento costituzionale, anche alle disposizioni di cui alla Parte I della Costituzione, le quali rappresentano (queste ultime) la proiezione programmatica dei Principi Fondamentali[1].

Sempre in merito ai rapporti tra ordinamento costituzionale italiano e prevalenza del diritto comunitario, Barra Caracciolo riporta un’illuminante argomentazione di uno dei più grandi giuristi italiani del XX Secolo, il calabrese Costantino Mortati: “Passando all’esame dei limiti, è da ritenere che essi debbano ritrovarsi in tutti i principi fondamentali, sia organizzativi che materiali, o scritti o impliciti, della Costituzione: sicché la sottrazione dell’esercizio di alcune competenze costituzionalmente spettanti al Parlamento, al Governo, alla giurisdizione,…dev’essere tale da non indurre alterazioni del nostro Stato come Stato di diritto democratico e sociale”, il che renderebbe fortemente dubbia – scrive Barra Caracciolo – la stessa ratificabilità del Trattato diMaastricht e poi di Lisbona[2].

Tutto ciò premesso, chiarita la subordinazione gerarchica del diritto europeo ai Principi Fondamentali dell’ordinamento costituzionale, alla Parte I della Costituzione e alla forma repubblicana (dove per “forma repubblicana” non si intende solo la forma di Stato opposta alla monarchia, ma anche quell’ampio spazio creativo del concetto di Repubblica necessariamente assunto come inscindibile da quello di democrazia[3] e di uguaglianza sostanziale), “non mi spiego” come sia stato possibile che si siano poste le basi per il superamento della legislazione nazionale a vantaggio di una legislazione sovranazionale adottata (secondo quanto previsto dai Trattati, quindi dal diritto europeo originario) attraverso meccanismi meno democratici e meno garantisti di quelli dettati dalla nostra Carta Costituzionale, cioè quelli sanciti nella Parte II. La nostra Costituzione, tutta, rappresenta la madre delle Fonti del diritto dell’ordinamento giuridico italiano, quindi è la Carta fondamentale dello Stato alla cui difesa deve provvedere (da un punto di vista giuridico) la Corte Costituzionale. Pertanto, considerato che la Consulta ha la funzione di sindacare sulla conformità delle leggi alla Costituzione, si può affermare che essa non è stata sufficientemente “vigile” nei confronti del diritto europeo originario (e, nello specifico, nei confronti delle leggi nazionali di autorizzazione alla ratifica dei Trattati), il quale, nonostante sia anch’esso posto nella scala gerarchica delle Fonti del diritto su un livello inferiore rispetto alla Costituzione, ha sostanzialmente sostituito le norme costituzionali che disciplinano la funzione legislativa e il procedimento di adozione delle leggi (contenute nella Parte II della nostra Costituzione) con norme meno garantiste che, anche da un punto di vista formale, tradiscono addirittura tutte quelle conquiste democratiche (costate milioni di morti) che sono l’essenza stessa dello Stato di Diritto[4]. Una su tutte quella dell’attribuzione della funzione legislativa unicamente ad un’assemblea eletta direttamente dal popolo, pilastro di civiltà costituzionale che l’Unione Europea (insieme ai Parlamenti nazionali che hanno approvato con larghe maggioranze le leggi di autorizzazione alla ratifica dei Trattati) ha palesemente tradito attribuendo la predetta funzione ad organismi sovranazionali non eletti e sostanzialmente immuni dai  elettorali.

[1] Luciano Barra Caracciolo, “Euro (o) democrazia costituzionale. La convivenza impossibile traCostituzione e Trattati europei”, Dike Giuridica Editrice, Roma 2013.

[2] Luciano Barra Caracciolo, opera citata.

[3] Luciano Barra Caracciolo, opera citata.

[4] Sull’argomento, chiarissime sono le conclusioni cui giungeva il giurista calabreseCostantino Mortati: “…la sottrazione dell’esercizio di alcune competenze costituzionalmente spettanti al Parlamento, al Governo, alla giurisdizione,…dev’essere tale da non indurre alterazioni del nostro Stato come Stato di diritto democratico e sociale. Ciò detto, dopo aver letto le procedure legislative di adozione degli atti giuridici dell’UE previste dal Trattato di Lisbona, pare dimostrato come queste provochino evidenti alterazioni al nostro Stato di Diritto e al principio democratico!

CLAMOROSO! IL M5S RISCHIA GROSSO. ECCO L’ULTIMO ATTO INFAME DEL PD DI RENZI

martedì 2 febbraio 2016

Riportiamo le parole del deputato 5 stelle Danilo Toninelli in cui denuncia la clamorosa proposta indegna del PD pur di andare contro il M5S:

“Per non ottenere i rimborsi elettorali saremo forse costretti a pagare 200mila euro, ecco l’ultima trappola dei partiti comminata al Movimento 5 Stelle contenuta in un emendamento al Milleproroghe che porta sempre la stessa firma: Boccadutri. I partiti si son dati ancora tempo, fino a giugno 2016 per depositare i documenti relativi al 2013 e 2014 alla commissione di controllo sui rendiconti dei partiti, nonostante abbiano fatto una leggina per non far controllare i loro bilanci e intascare integralmente il finanziamento pubblico. Il M5S ha rifiutato i 42 milioni di rimborsi elettorali spettanti e per questo nel 2013 non ha depositato documenti. Quindi i partiti per farci pagare questa rinuncia, si inventano una norma punitiva per il M5S”. Danilo Toninelli”

E LO CHIAMANO IL TRENO DI MARIA “ETRURIA” BOSCHI.

dago

2 FEB 2016 10:47

1. E LO CHIAMANO IL TRENO DI MARIA “ETRURIA” BOSCHI. DAL 15 DICEMBRE SCORSO IL CONVOGLIO CHE PERCORRE LA LINEA ALTA VELOCITÀ FIRENZE-MILANO HA AGGIUNTO UNA SOSTA IN PIÙ. ANZI, HA SPOSTATO LA PARTENZA: NON PIÙ DA FIRENZE, MA PIÙ A SUD, AD AREZZO. CHE PERÒ NON È SULLA LINEA AV. IL CHE FA PARTIRE IL TRENO DA FIRENZE IN PERENNE RITARDO
2. NON C’È ALCUNA PROVA CHE LA FATINA DI PALAZZO CHIGI ABBIA VOLUTO LA FERMATA NELLA SUA CITTÀ, MA TANTI INDIZI. A COMINCIARE DAL FATTO CHE LA BLASONATA PARMA VA CHIEDENDO DA TEMPO UNA FERMATA. INVANO. PER AREZZO È STATO FATTO UNO STRAPPO ALLA REGOLA
3. SI VEDE CHE IL NUOVO STRUMENTO DI POTERE È DIVENTATA LA ROTAIA. A REGGIO AD ESEMPIO SI VOCIFERA CHE IL FRECCIA DELLE 6.56 DESTINAZIONE ROMA SIA STATO VOLUTO DAL MINISTRO DEI TRASPORTI GRAZIANO DELRIO. UN DIRETTISSIMO REGGIO-ROMA SENZA FERMATE A BOLOGNA E FIRENZE PER ESSERE NELLA CAPITALE ALLE 9.10. DI SICURO, LE SOLITE MALIGNITÀ…

Andrea Zambrano peril Giornale”

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Infreddoliti sotto le bianche volte della stazione griffata Calatrava i pendolari del Reggio-Milano delle 7.52 guardano all’orizzonte in direzione est dove il mastodontico Frecciarossa 9500 mastica binari.

Dal 15 dicembre scorso è in ritardo mentre prima era sempre di una puntualità svizzera. Da quella data il convoglio che percorre la linea Alta Velocità Firenze-Milano ha aggiunto una sosta in più. Anzi, ha spostato la partenza: non più dal capoluogo toscano, ma più a sud, ad Arezzo. Che però non è sulla linea AV.

maria elena boschi

MARIA ELENA BOSCHI

Il che fa partire il treno da Firenze in perenne ritardo. Il risultato è che i pendolari arrivano tardi in ufficio sotto la Madonnina, con grave scorno degli equilibri aziendali. Un ritardo così non lo si era mai visto da quando è stata inaugurata la stazione mediopadana, che ambiva a far diventare Reggio l’ estrema periferia di Milano. Ormai quel treno viene chiamato il treno Boschi, dal nome della potente ministra della provincia di Arezzo. Un privilegium aretinum tanto curioso quanto sospetto.

Freccia Rossa

FRECCIA ROSSA

Non c’è alcuna prova che il ministro abbia voluto la fermata nella sua città, ma tanti indizi. A cominciare dal fatto che la blasonata Parma, che tra l’ altro è sulla linea dell’ alta velocità, va chiedendo da tempo una fermata. Invano. Invece per Arezzo è stato fatto uno strappo alla regola. Anche perché vuoi mettere presentarsi di fronte ai propri elettori vantando di aver fatto fermare il treno delle meraviglie laddove nessuno l’ aveva previsto.

boschi renzi delrio

BOSCHI RENZI DELRIO

Possibile? I pendolari ne sono convinti e si chiedono: da Arezzo quanti saranno mai i lavoratori che devono timbrare a Milano alle 9, partendo alle 6.15? Sulla tratta di ritorno, partendo da Milano Garibaldi alle 18.15, si arriva ad Arezzo alle 21.30. Non certo una vita da pendolare. Il sospetto è che la trentina di aretini che alle 6.15 sale sull’ AV 9500 scenda per la maggior parte a Firenze, utilizzando dunque il supertreno come super regionale. Non proprio la sua vocazione. Ma fa consenso.

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A lamentarsi, però, sono in tanti. A cominciare dai 154 che hanno firmato una petizione a Trenitalia, la quale fino a ieri non aveva ancora risposto per giustificare il ritardo. Come in ogni vicenda che riguarda disagi e servizi, si scopre che c’ entra sempre la politica. Diversamente l’ assessore regionale ai Trasporti Vincenzo Ceccarelli non avrebbe difeso il treno aretino dalle critiche, giustificandone l’ utilità ma senza fornire numeri sul reale utilizzo.

E soprattutto non avrebbe rovesciato addosso alla giunonica ministra per le Riforme la responsabilità: «Ormai alla Boschi si dà la colpa di tutto», ha dichiarato al quotidiano Prima Pagina Reggio che lo aveva contattato per chiedere ragguagli sulla reale necessità di mercato di quel treno.

GRAZIANO DELRIO

GRAZIANO DELRIO

Frase sibillina che, nel tentativo di difendere la collega e compaesana, di fatto le ha scaricato il tutto addosso. Anche perché la giunta regionale guidata da Enrico Rossi non è proprio dell’ ortodossia renziana. E dato che sul disservizio sono già piombati i grillini in Regione Emilia Romagna con un’ interpellanza, non si sa mai.

Ma la Boschi potrà consolarsi con quel treno che difficilmente verrà soppresso. Si vede che il nuovo strumento di potere è diventata la rotaia. A Reggio ad esempio si vocifera che il Freccia delle 6.56 destinazione Roma sia stato voluto dal ministro dei Trasporti Graziano Delrio.

Un direttissimo Reggio-Roma senza fermate a Bologna e Firenze per essere nella capitale alle 9.10. Malignità, di sicuro. E chi deve andare a Bologna o Firenze? Per quello c’ è il Frecciarossa successivo. Parte alle 7.03. Appena sette minuti dopo.

Freccia Rossa

FRECCIA ROSSA

 2. CURVA FANFANI E VARIANTE LEONE: QUELLE GRANDI OPERE AD PERSONAM

Paolo Bracalini per “il Giornale”

La «curva Fanfani». Arezzo, prima che fosse la città dei Boschi, è stata la città del potente Dc (suo nipote Giuseppe è l’ ex sindaco Pd, ora al Csm). La leggenda narra che fu proprio l’ allora presidente del consiglio Dc, l’ aretino Amintore Fanfani, a disegnare di suo pugno con la matita rossa sulla mappa, la deviazione della autostrada del Sole verso Arezzo.

FRECCIAROSSA

FRECCIAROSSA

Due piccioni con una fava: premiare il feudo elettorale aretino e dare un colpo all’ altra città che aspirava al passaggio della A1, Siena, «città che – come racconta Enrico Menduni nel suo istruttivo L’ Autostrada del Sole – dava al Pci la maggioranza assoluta dei voti ma non aveva abbastanza santi in paradiso per far passare l’ autostrada sotto le sue torri».

I santi, per le opere pubbliche, stanno più spesso in Parlamento o al governo. Così nel 2008 il ministro (di Imperia) Claudio Scajola fece arrivare 1 milione di euro per finanziare la riapertura dei voli civili nel piccolo aeroporto di Albenga (30 chilometri da Imperia), in particolare il volo diretto Albenga-Roma Fiumicino, già aperto e chiuso due volte in precedenza per mancanza di passeggeri.

BOSCHI FAMILY

BOSCHI FAMILY

La tratta è stata poi di nuovo sospesa, e le quote dello scalo del Ponente Ligure, senza più santi in Parlamento, messe in vendita. Mentre si era battuto come un leone Tòtò Cuffaro, agrigentino governatore della Sicilia, per far nascere un aeroporto ad Agrigento. Prima che l’ Enac bloccasse tutto di fronte ai 90 milioni di euro di costi progettuali. E prima che Cuffaro finisse a Rebibbia.

I treni, poi. Una mattina di luglio del 1994 alla stazione di Forte dei Marmi si presenta l’ allora presidente del Senato Carlo Scognamiglio, pantaloni bianchi camicia azzurra e scarpe da skipper, con prole al seguito. Attende l’ intercity Livorno-Torino, diretto a Santa Margherita Ligure, sua destinazione. Piccolo dettaglio: il treno non ferma a Forte dei Marmi.

boschi

BOSCHI

E invece, visto l’ illustre passeggero, l’ intercity non solo si ferma, ma i solerti ferrovieri aggiungono, dietro il locomotore, uno speciale vagone lussuoso per accogliere la famiglia del presidente del Senato e portarlo in Liguria. Più spesso però l’ intervento politico modella strade e autostrade. La A31, che da Rovigo corre verso il Trentino passando per Vicenza, ha preso il nome di «PiRuBi» dai tre ministri democristiani che a tutti i costi la vollero, e cioè Flaminio Piccoli, Mariano Rumor e Antonio Bisaglia, guardacaso originari di Trento, Vicenza e Rovigo.

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DELRIO

Della Cassia bis, costruita negli anni Settanta per ridurre il traffico sulla vecchia Cassia, si disse che fu fatta per la comodità personale di Giovanni Leone, il presidente della Repubblica che proprio sulla Cassia aveva una immensa villa. Memorabile, poi, lo scontro a colpi di casello tra i democristiani abruzzesi Remo Gaspari e Lorenzo Natali, per portare l’ autostrada verso i rispettivi collegi elettorali: rispettivamente Chieti e L’ Aquila.

Ancora un democristiano, il ministro dei Trasporti Fiorentino Sullo, fece imporre ai progettisti dell’ A16 che il tracciato passasse da Avellino e non da Benevento, con grande complicazione ingegneristica viste le enormi pendenze da superare. Il fatto che Sullo fosse avellinese non è affatto una coincidenza.

boschi 3

BOSCHI 3

Così come cosentini furono i due ministri artefici della Salerno Reggio Calabria, il socialista Giacomo Mancini e il dc Riccardo Misasi, protagonisti nel convincere l’ Anas a spostare il percorso verso le montagne, cioè verso Cosenza, invece che sulla costa lungo il Tirreno.

Mentre l’ A26, che da Genova arriva fino a Gravellona Toce in Piemonte, potrebbe chiamarsi la Nicolazzi, dal nome del ministro dei Lavori pubblici e segretario Psdi, originario di Gattico, uno dei caselli proprio della A26. E non per caso.

L’uomo che deve fuggire dal sole. «Sulla pelle porto i segni della strage di Viareggio»

LE STRAGI DEL PD si devono insabbiare.. Guai pensare alle vittime, guai manifestare per le vittime.
Sarebbe scorrect. 
 
 Poche parole, pesanti come il piombo.

FONTE: http://www.corriere.it/cronache/16_febbraio_01/uomo-che-fugge-sole-sopravvissuto-strage-viareggio-ebf4673c-c867-11e5-9fb9-4bea8694431b.shtmlMarco Piagentini: l’uomo che deve fuggire dal sole.   «Sulla pelle porto i segni della strage di Viareggio, mi resta un figlio, da sei anni aspetto giustizia».
viareggio

Marco Piagentini, sopravvissuto alla strage di Viareggio

«Ogni 29 del mese il treno delle 23.48 passa fischiando. I macchinisti se ne ricordano sempre, è il loro saluto, il loro gesto di rispetto per le vittime di questa strage dimenticata da tutti». Il treno fischia, racconta Marco Piagentini. E ogni volta lui è lì, come un soldato sull’attenti davanti ai ricordi. Classe 1968, quest’uomo ha addosso più ferite che anni. Dalla vita ha preso più pugni di quanti potrà mai restituirne eppure alla domanda più banale: come va? risponde che «io vado avanti e non mi arrendo, lo devo a mio figlio che è qui con me e al resto della famiglia che non ho più». Era il 29 giugno del 2009, ore 23.48. Un treno carico di Gpl deragliò arrivando alla stazione di Viareggio. Nell’urto una delle 14 cisterne si squarciò e il gas Gpl, a contatto con l’ossigeno e con chissà quale scintilla d’innesco, incendiò un quartiere intero, incenerì cose e persone, si arrampicò lungo i muri delle case. La sua era lungo una delle due strade più esposte alle fiamme.

Il fuoco che brucia la pelle

«Io lo so bene che cos’è il fuoco che ti brucia la pelle» racconta adesso Marco. «Mio figlio Luca aveva quattro anni ed è arso vivo dentro una macchina. Lorenzo aveva due anni e quando le fiamme gli sono arrivate addosso era in braccio a mia moglie Stefania… Mi resta Leonardo che oggi ha 14 anni e che quella notte rimase sotto le macerie per ore a chiedere aiuto. Io vivo per lui». «So bene cos’è il fuoco», dice Marco. E se anche non parlasse lo direbbero le sue ferite per lui: sessanta interventi chirurgici per rimediare a ustioni gravi sul 90% del corpo, cicatrici ovunque e una vita vissuta all’ombra perché «il sole è il mio nemico peggiore». «D’estate è sempre un tormento, devo girare coperto da capo a piedi, devo assolutamente proteggermi perché la mia pelle è ipersensibile, sento il calore anche se passo vicino a un muretto intiepidito dal sole. Se esco in scooter mi devo bardare come un terrorista e spesso uso l’ombrello sotto il cielo blu. A volte qualcuno mi chiede che cosa faccio nella vita. L’ustionato, rispondo. Io faccio l’ustionato, ho perduto il mio vecchio lavoro, la mia casa, gran parte della mia famiglia e adesso la mia vita è quel che mi è successo, è mio figlio Leonardo ed è la ricerca della verità e della giustizia. Per la mia famiglia e per quelle di tutte le altre vittime».

Il rischio prescrizione

Trentadue morti, anni di indagini e il processo di primo grado in corso per 33 imputati e nove società. Dopo sei anni e mezzo ancora nessuna sentenza e un rischio che, a questo punto, assomiglia a una certezza: la prescrizione (a fine 2016) per i reati di incendio e lesioni colpose. «Non c’è da ragionare o da capire. La sola ipotesi è semplicemente inaccettabile, indecente. Non posso tollerare che un giorno qualcuno mi venga a dire: ci spiace tanto ma l’incendio colposo e le lesioni colpose sono prescritti. Proprio l’incendio, poi… Le parole hanno un significato anche simbolico. A un ustionato come me dicono che dell’incendio basta: non si parla più… E allora i miei bambini e mia moglie di cosa sono morti? E come vogliamo chiamarle tutte queste ferite sulla mia pelle?». Marco Piagentini ce l’ha con «la giustizia ingiusta» che vede avvicinarsi sempre più. «Vorrei che fosse chiaro, però. Se tutto questo succederà davvero le famiglie delle vittime di Viareggio potrebbero non rispondere più delle loro azioni. E lo dico come presidente della nostra associazione («Il mondo che vorrei», ndr). Sarebbe un’offesa profonda, una nuova ferita gravissima. Dobbiamo già fare i conti col fatto che ci hanno dimenticati… Quando qualcuno ci chiede: “Cosa possiamo fare per voi?” la nostra risposta è sempre quella: fateci sentire la vostra presenza, non giratevi dall’altra parte, segnatevi la data del 29 giugno sulla vostra agenda e venite a commemorare i nostri morti a Viareggio».

Sempre presente

Lui c’è sempre. Alle commemorazioni, alle udienze ogni mercoledì (a Lucca), all’appuntamento delle famiglie delle vittime il 29 di ogni mese. Si ritrovano tutti dove un tempo c’erano le loro case e le loro vite. Adesso ci sono 32 alberi, un monumento con i nomi dei morti, il fischio del treno e la «casina dei ricordi». «È di legno, piccola» spiega Marco. «Dentro ci sono oggetti strappati al fuoco. Pupazzi, disegni, cose appartenute ai bambini».Ogni volta che dice «bambini» la sua voce esita, si abbassa di tono. I suoi bambini…«Luca l’avevo portato in macchina credendolo al sicuro. Ricordo che si è svegliato, mi ha guardato e si è riaddormentato subito. Si sentiva tranquillo fra le braccia del suo papà. Se ci penso…». La voce adesso si arrende. Le parole non servono. 

PAESE CHE VAI. ILVA CHE TROVI…

Come Don Chisciotte
 ilva
DI ALBERTO BAGNAI
 
 
Caro Alberto,
 
sono venuto a conoscenza di una storia che mi ricorda l’Ilva di Taranto, ma come al solito in UE 28 pesi (non paesi) e 2 misure.
 
Brevemente: vicino Marsiglia, la fabbrica americana Alteo (a Gardanne), primo produttore mondiale di allumina, riversa nel Parco Nazionale delle Calanques (7 km di distanza dalla costa) 270 mc/ora di fanghi altamente tossici (il volume di un appartamento di 100 mq ogni ora). Per non licenziare 1000 dipendenti “subito” dopo COP 21 il governo gli ha concesso una deroga di 6 anni (14.191.200 mc = 2.365 palazzine di 5 piani). La fabbrica esiste dal 1966 e nel dicembre 2015 avrebbe dovuto interrompere qualsiasi riversamento in mare.
 
Non sono in grado di comparare i danni causati dall’Ilva e dall’Alteo ma avendo vissuto tanti anni fa a Roma un caso di discarica a cielo aperto di fanghi tossici sono convinto che ciò che sta accadendo in Francia è un disastro ambientale e solo più tardi scopriremo che sarà stata la causa di malformazioni e di decessi.
Guarda caso cercando su google.it si parla poco e nulla dell’Alteo, mentre è facile trovare notizie dell’Ilva su google.fr.
Non se questa segnalazione possa essere utile ma visto che ormai trattate argomenti sempre più vasti, ci provo. Magari vis-à-vis del prossimo europino di turno.
Buon lavoro
Un altro de passaggio.
(…due considerazioni, o forse tre. Evidentemente, oltre alla corruzione percepita, della quale abbiamo parlato qui, in Europa esiste anche l’inquinamento percepito. E notate la finezza, nel link a Libé: la magistratura voleva aprire un’indagine, ma ha rinunciato e ha chiesto “studi complementari” su richiesta del Ministero dell’Ecologia. Quando ero in Francia ho appreso in televisione che la loro Costituzione non ha qualcosa di simile al nostro art. 112. Lì per lì non capivo cosa significasse, ma questo esempio mi sembra sufficientemente esplicativo. Significa, ad esempio, che magari lì il governo può intervenire – within reason – per tutelare l’interesse economico nazionale, mentre qui gli è oggettivamente più complesso farlo. Del resto, abbiamo già chiarito che la bassa percezione della corruzione in molti paesi del Nord è anche, in parte, favorita da un discreto insabbiamento da parte dei rispettivi governi delle inchieste più scomode. Quindi, in effetti, tout se tient. Ah, ovviamente io non sono un giurista, quindi…)
Alberto Bagnai
27.01.2016

Udine: Ospedale senza infermieri, mancano 55 dipendenti. Turni massacranti

sono altri i problemi seri della società civile che decide chi e per cosa la gente si deve mobilitare,solo i moralmente superiori hanno questo diritto in esclusiva, se obietti sei “fascista”. Chissà perché non ha mosso un dito contro il Job Act

 
«Caro direttore, per il bene dell’azienda lei e tutto il suo staff dovete dimettervi». L’affondo rivolto a Giovanni Pilati, direttore generale dell’Azienda sanitaria 2 Bassa Friulana–Isontina, arriva dalla direzione del Sindacato delle professioni infermieristiche.
La richiesta è stata messa nero su bianco dai vertici del Nursind e sarà recapitata oggi sulla scrivania del direttore. L’iniziativa fa seguito ai numerosi reclami sollevati nei mesi scorsi dal sindacato in relazione alle ormai croniche carenze di personale dei presidi sanitari della Bassa friulana.
«Ormai la situazione dell’assistenza infermieristica nell’azienda, tanto a Latisana quanto a Palmanova – tuona il segretario amministrativo del Nursind Afrim Caslli –, è diventata insostenibile. Nonostante gli sforzi e lo spirito di abnegazione dimostrati da molti operatori che quotidianamente operano in un contesto lavorativo pervaso da gravi disfunzioni organizzative, strutturali, tecnologiche e con macroscopiche carenze di organici, l’azienda Bassa Friulana–Isontino, se non cambia rotta, è drammaticamente destinata al fallimento annuncia il segretario amministrativo –. La politica dei tagli non ha portato un euro di risparmio, ma ha ulteriormente aumentato i disagi». Devono essere effettuate altre assunzioni e immediatamente – esorta Caslli –: solo per tappare i buchi, e non sappiamo se basteranno, servono 55 infermieri nella Bassa friulana. Ricordiamo alla direzione che la nostra categoria è composta per di più dalle donne, non si tratta solo di infermiere ma anche di madri che devono accudire i propri figli e spesso anche genitori anziani e ammalati. In realtà sono loro a sacrificarsi per tenere in piedi l’azienda. In questa situazione allarmante e di fronte a una categoria mortificata e calpestata, gli errori sono dietro l’angolo, con la conseguenza che a pagare sono cittadini e operatori che possono sbagliare per il sovraccarico di lavoro, con i turni massacranti, lo straordinario, reperibilità che arrivano fino a 13 – 15 al mese.(…)
 
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NEL SUO ANNO AL GOVERNO SYRIZA HA VENDUTO L’ANIMA AL POTERE

“Syriza è il primo esempio di un governo, autodescriventesi come di sinistra,” come al solito, a tradimento avvenuto, si finge non fosse sinistra….dato che è sistematica questa patetica litania per giustificare tale servilismo nei confronti dei poteri forti, è difficile non pensare che la sinistra sia proprio questo, solo uno strumento di potere del capitale. Quando farà qualcosa di contrario……quando, ancora non è avvenuto da decadi
Postato il Venerdì, 29 gennaio
siriza
 
Oggi è esattamente un anno dall’elezione di un governo di “estrema sinistra” in Grecia; il suo giovane e dinamico Primo Ministro, Alexis Tsipras, promise una reazione decisiva contro l’austerità. Yanis Varoufakis, il non convenzionale Ministro dell’economia arrivò poco dopo a Londra provocando sensazione nei media. Era stato eletto un Governo che disprezzava le convenzioni borghesi e cercava lo scontro. Le attese erano alte.
 
Un anno dopo, il partito Syriza sta fedelmente e pedissequamente le politiche di austerità che dichiarava di condannare. E’stato purgato della sua ala sinistra e Tsipras ha rinnegato il suo radicalismo pur di soggiornare al potere a tutti i costi. La Grecia ha il morale a terra.
 
Come mai è andata a finire così? Una leggenda propagata in alcuni circoli mediatici narra che i radicali sono stati fermati da un colpo silenzioso orchestrato da politici conservatori e gerarchi della UE, determinati ad eliminare ogni “rischio di contagio”. Syriza è stato conquistato dai mostri del neoliberalismo e del privilegio. Ad ogni modo, ha provato a combattere la giusta battaglia, forse pure seminato i semi della rivolta.
 
La realtà è parecchio diversa. Una anno fa la leadership di Syriza era convinta che se avesse rifiutato un nuovo bailout, i prestatori Europei si sarebbero piegati di fronte alla sommossa politica e finanziaria generalizzata. I rischi per l’eurozona, credevano, erano maggiori dei rischi per la Grecia. Se Syriza avesse negoziato con determinazione, avrebbe raggiunto un “onorevole compromesso” che avrebbe rilassato l’austerità e rilassato il debito nazionale. La mente della strategia era Varoufakis, ma fu subito adottata avidamente da Tsipras e dalla gran parte della leadership di Syriza.
 
Critici qualificati hanno ripetutamente fatto notare che l’euro è composto da una rigida cornice di istituzioni con le loro proprie logiche interne che avrebbero semplicemente respinto ogni domanda di alleggerimento delle austerità e cancellazione del debito. Inoltre, la Banca centrale Europea ridusse immediatamente la fornitura di liquidità alle banche Greche, scuotendo l’economia, e il Governo di Syriza di conseguenza. La Grecia non poteva negoziare efficacemente senza possedere un piano alternativo pronto, che includesse la possibilità di evadere dall’unione monetaria, dal momento che creare una propria valuta era l’unico modo di innestare liquidità aggirando il blocco imposto dalla BCE. Chiaramente non sarebbe stata una mossa semplice, ma almeno avrebbe offerto la possibilità di opporre una vera resistenza alle catastrofiche strategie di bailout dei prestatori di capitali. Sfortunatamente, la leadership di Syriza non ha voluto saperne.
 
La risposta dei politici UE a Syriza è stata di sorpresa, frustrazione ed escalation di ostilità.
 
La natura disastrosa della strategia di Syriza divenne chiara sin dal 20 Febbraio 2015. I politici UE forzarono il neo-eletto governo Ellenico di acconsentire agli avanzi di bilancio prospettati, a implementare le solite “riforme”, onorare tutte le obbligazioni debitorie in pieno e desistere dall’usare i fondi di bailout esistenti per qualsiasi altra ragione diversa dal sostenere le banche. La UE chiuse il rubinetto di liquidità presso la Banca centrale Europea e si rifiutò di sborsare un centesimo di supporto finanziario fin quando la Grecia non si fosse piegata alle imposizioni.
 
Le condizioni di vita nel paese intanto diventavano sempre più disperate mentre il Governo finiva le riserve di liquidità, le banche si asciugavano e l’economia proseguiva boccheggiando. A Giugno la Grecia è stata forzata a inserire controlli sui capitali e dichiarare un giorno di chiusura di tutte le banche. In Luglio Syriza tentò un ultimo tiro di dado indicendo il referendum sulla imposizione di nuove, dure, austerità. Sorprendentemente, e con considerevole coraggio, il 62% dei Greci votanti votò per rifiutare il bailout. Tsipras aveva appoggiato il voto per rifiutare le misure ma quando si ottenne il risultato comprese che, in pratica, ciò poteva significare solo una uscita dall’euro, per la quale il suo governo non aveva compiuto nessuna necessaria preparazione. Senz’altro vi erano piani non di dominio pubblico per una valuta parallela, un sistema bancario parallelo, ma tali idee semi amatoriali non erano di aiuto ad un minuto alla mezzanotte. Inoltre, il popolo Greco non era stato preparato a ciò e Syriza come partito politico era a malapena funzionante. Soprattutto, Tsipras e la sua cerchia erano personalmente impegnati al mantenimento dell’euro. Confrontato con i risultati catastrofici della sua strategia, si arrese incondizionatamente ai creditori.
 
Da allora ha applicato sistematicamente una dura politica di inseguimento del surplus di bilancio, aumenti delle imposte, svendita delle banche Greche ai fondi speculativi, privatizzato porti ed aereoporti, e si sta apprestando a decurtare severamente le già magre pensioni. Il nuovo bailout ha condannato una Grecia già sommersa nella palude della recessione ad un declino di lungo termine: le prospettive di crescita sono infime, i giovani, specialmente istruiti e qualificati, emigrano in massa e il debito nazionale pesa come un macigno.
 
Syriza è il primo esempio di un governo, autodescriventesi come di sinistra, che non soltanto ha fallito nel mantenimento delle sue promesse, ma quel che è peggio ha praticamente adottato all’ingrosso il programma dell’opposizione. Il suo fallimento ha rafforzato la percezione, in giro per l’Europa, che l’austerità sia l’unica realtà possibile e non cambierà mai nemmeno una virgola. Le implicazioni sono pesanti specialmente per determinati paesi, tra cui la Spagna, dove Podemos è alle soglie del potere.
 
Syriza non ha fallito perché la dottrina dell’austerità è invincibile, non perché un cambiamento radicale sia impossibile, ma poiché, disastrosamente, ha mancato la volontà e la preparazione di sfidare a viso aperto l’euro. Un cambiamento radicale e l’abbandono dell’austerità in Europa richiedono uno scontro diretto con l’unione monetaria in sé e per sé. Per i paesi più piccoli ciò significa tenersi sempre pronti ad uscirne, per i paesi centrali ciò significa aprirsi alla mentalità di riconoscere la necessità di apportare cambiamenti urgenti ad accordi monetari palesemente disfunzionali. Questa è la missione della sinistra Europea, nonché l’unica lezione positiva che si può apprendere alla luce della debacle di Syriza.
 
 
 
 
25.01.2016
 
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CONZI

Suicidi, licenziamenti, furti per sopravvivere questa è l’Italia tanto cara alla società civile

Susseguono nell’indifferenza mediatica, nel disprezzo dei moralmente superiori le persone che si tolgono la vita o commettono stragi familiari perché disoccupati da lungo tempo, pensionati costretti a rubare un tozzo di pane, licenziati che perdono casa e famiglia, donne licenziate perché incinta, si sa, la famiglia da proprio sui nervi nella società civile devota al capitalismo ed ai bimbi-merce.

PER LORO DIRITTI NON CE NE SONO, NESSUNO MARCIA PER IL REDDITO DI CITTADINANZA, NESSUNO PER PENSIONI DIGNITOSE.
I diritti li decide la società civile quali sono, che provvede anche a distrarre le masse dirottandole sulla caccia alle streghe di gruppi che non sono loro allineati rei di non adeguarsi al pensiero unico da loro imposto
Genova: Riceve due cartelle Equitalia, 50enne si suicida lanciandosi da un ponte
feb 2, 2016
Tragico episodio nel levante genovese, dove un uomo si è ucciso dopo aver ricevuto due cartelle delle tasse. La vittima è un ex tappezziere di 50 anni, disoccupato, che si è gettato nel vuoto dopo aver ricevuto due cartelle esattoriali di Equitalia da diverse migliaia di euro.
Ieri pomeriggio intorno alle 15 l’uomo ha parcheggiato la sua auto sul ponte di corso Europa sul il torrente Sturla e si è lanciato nel vuoto. Alcuni passanti hanno dato l’allarme. Sul posto sono intervenuti i carabinieri, il 118 e i vigili del fuoco.
La vittima lascia la moglie e una figlia di 9 anni. I carabinieri si occupano delle indagini: in base alle prime ricostruzioni il 50enne avrebbe accumulato il debito negli anni a causa delle difficoltà incontrate sul lavoro a causa di una malattia invalidante. La goccia che ha fatto traboccare il vaso sono state le cartelle esattoriali, arrivate pare in base agli studi di settore, secondo cui il tappezziere avrebbe dovuto guadagnare molto di più di quanto dichiarava.
Nel 2012 si era verificato un caso analogo a Rivarolo.
Dolianova: Sotto sfratto, bracciante agricolo 52enne si suicida con un colpo di fucile
Dramma della disperazione a Dolianova. Ettore Corda, 52 anni, bracciante agricolo, ha deciso di togliersi la vita sparandosi al volto con un fucile da caccia. Si ipotizza che la causa del gesto possa essere legata a motivazioni familiari. L’uomo si era separato da poco dalla convivente e pare fosse sotto sfratto. Corda lascia un figlio appena maggiorenne. Sono in corso le indagini da parte dei Carabinieri.
Fabriano: Imprenditore si suicida in garage con i gas di scarico
Si è tolto la vita nel garage di sua proprietà in via Brodolini intossicato dal monossido di carbonio.
Prima di suicidarsi avrebbe chiuso la porta d’ingresso e acceso la macchina: i familiari lo hanno ritrovato nel garage ormai primo di vita. Se ne è andato così un uomo di 75 anni, imprenditore fabrianese conosciuto da molti in città. Il gesto estremo oggi pomeriggio intorno alle ore 18.
Sul posto i sanitari del 118 che hanno cercato a lungo di rianimarlo e una pattuglia dei carabinieri della compagnia di Fabriano che indagano.
Pavia: Ausiliaria incinta licenziata all’ospedale dopo 10 anni di precariato
E’ incinta e viene licenziata dopo dieci anni da precaria all’ospedale di Voghera, senza alcuna spiegazione nè da parte dall’azienda (ora Asst), nè dalla cooperativa Oasi Lavoro che l’aveva assunta. Al centro del caso, un’operatrice socio-sanitaria di quarant’anni, alla prima gravidanza: la Cgil, il sindacato a cui la donna è iscritta e delegata di base (circostanza che alimenta ulteriori sospetti), considera «gravissima» la vicenda e ha già impugnato il licenziamento, avviando la causa destinata a concludersi in tribunale se non subentrerà prima un accordo bonario tra le parti. «Abbiamo chiesto sia all’azienda che alla coop di motivare il provvedimento, ma finora non abbiamo ottenuto risposte», spiega Lorena Bini, la sindacalista che segue la vertenza dei precari con il collega Oreste Negrini. «Siamo di fronte a un vero e proprio licenziamento in bianco – attacca Negrini – una misura ingiustificata e ingiustificabile presa nei confronti di una persona che opera da un decennio in uno dei reparti più importanti dell’ospedale civile, che ha accumulato notevole esperienza ed è benvoluta da tutti». Oltre alla 40enne in dolce attesa, anche un’ausiliaria dell’ospedale di Varzi ha perso il lavoro: i loro nomi non figurano nell’elenco dei 120 precari i cui contratti (che scadevano proprio oggi) sono stati prolungati di alcuni mesi. Ma anche su questo fronte le organizzazioni sindacali non ci vedono chiaro. Nel mirino le diverse scadenze contrattuali: per 13 operatori la proroga arriva fino al 30 giugno, per gli altri a fine agosto. «Non si capiscono le ragioni di questa diversità di trattamento – sottolinea Negrini – sembra quasi che ci siano precari di serie A e precari di serie B. In queste condizioni di totale incertezza sul futuro, mi chiedo come si possa pretendere dai lavoratori che agiscano con serenità». Il ricorso a una proroga dopo l’altra è legato anche al braccio di ferro sull’appalto tra Oasi e Temporary, l’agenzia che si è rivolta al Tar dopo avere perso la gara per la gestione del lavoro interinale negli ospedali: la causa si è conclusa a metà dicembre ma la sentenza ancora non è stata resa nota e quindi si continua a guadagnare tempo.
Mira: Alla Zeolite scattano 38 licenziamenti
Licenziamento collettivo per tutti e 38 i dipendenti della Zeolite srl di Mira. Si è conclusa nel peggiore dei modi ieri pomeriggio la vertenza Zeolite negli ex uffici della Provincia di Venezia. Gli operai per protesta fuori dalla sede in via Forte Marghera hanno organizzato dei picchetti dimostrativi che però non sono serviti. L’azienda si trova all’interno dell’area Benckiser e produce zeolite (un alluminio silicato cristallino, polimeri e silicati solubili) e si trova all’interno dell’area Benckiser. La situazione quest’anno si è complicata a causa di un contenzioso con la Reckitt sulla gestione delle utenze comuni.
Ora per ripartire i 38 lavoratori che erano in organico, in cassa integrazione straordinaria, speravano che venisse accolto il piano di separazione delle acque, piano che la stessa Zeolite si diceva disponibile ad illustrare al Ministero dello Sviluppo economico entro qualche settimana. Un piano però hanno fatto capire alla Reckitt Benckiser, che l’azienda non aveva mai comunicato ufficialmente.
Ieri di fatto all’ex Provincia la richiesta di avvio della di mobilità.
«L’azienda- spiega Davide Stoppa per la Filctem Cgil – pur non avendo smentito l’ intenzione di tentare il percorso per riaprire le attività industriali, ha chiesto alle organizzazioni sindacali di aprire la procedura di licenziamento collettivo per tutti, facendo capire di non credere al progetto che potrebbe ridare speranza ai lavoratori. È chiaro come questa richiesta vada in netto contrasto con le affermazioni fatte da Zeolite relative alla volontà di riaprire l’attività. Ricordiamo che i costi dei servizi comuni sono stati la causa delle vertenze che ancora oggi vi sono tra le due società e che l’autonomia di Zeolite da Reckitt Benckiser darebbe la soluzione alla vertenza. Abbiamo sottolineato come sia inaccettabile non aver rispettato gli accordi presi a settembre sull’apertura della mobilità volontaria, unico strumento per aiutare i lavoratori a trovare aziende interessate ad assumerle per beneficiare degli sgravi».
Ma non solo: «Abbiamo chiesto in modo forte – spiega la Filctem – che l’azienda non continui a dare false speranze ma ad essere chiara nei confronti del futuro dei 38 dipendenti oggi a casa in cassa integrazione e da settembre licenziati». L’incontro si è chiuso con la decisione aziendale di aprire una procedura di mobilità sia volontaria che di licenziamento collettivo. La Cgil però non perde la speranza anche se ormai è ridotta al lumicino. «Come Cgil – conclude Stoppa – riteniamo fondamentale perseguire tutti i percorsi anche attraverso nuovi incontri istituzionali nazionali per salvare i posti di lavoro prima di arrivare ad accordi sui licenziamenti».
Alessandro Abbadir
Fonte nuovavenezia
Bolzano: Clochard-operaio morto di freddo sotto i cartoni, aveva perso il lavoro e la famiglia
Da solo, coperto solo dai cartoni che utilizzava come rifugio di fortuna. È morto così Cesare Murroni, 57 anni, ritrovato ieri mattina in via Alto Adige nell’angolo che una volta ospitava l’ingresso alla zona ristorante dell’Hotel Alpi. Ed è stato proprio un operatore della mensa Clab – dove Cesare lavorava da cinque anni come tuttofare – a trovare il suo corpo privo di vita. Il senzatetto era immobile a terra da diverse ore. La prima analisi medica ha escluso qualsiasi tipo di violenza. Il decesso sarebbe legato a un malore e alle precarie condizioni di vita di Murroni. Non si può escludere che tra le cause scatenanti ci sia il freddo notturno che è andato ad aggravare alcuni mali di cui soffriva la vittima. Cesare nato nel 1959, era originario della Sardegna, lavorava alla mensa Clab da cinque anni, ma non aveva fissa dimora. Molti anni fa aveva perso il lavoro da operaio, e la sua vita aveva preso una brutta china che lo aveva portato ad allontanarsi dalla famiglia. I servizi sociali stavano cercando di trovargli una sistemazione, proprio in settimana avrebbe appuntamento per vedere un alloggio. Era un grande lavoratore – dice Sante Giandon, presidente della mensa Clab, dove Cesare lavorava da 5 anni – era stato assunto e guadagnava anche bene, faceva anche gli straordinari». Nemmeno il giorno di Natale si era fermato Cesare Murroni. Aveva consegnato i pranzo di Natale ai centri profughi e poi forse lo aveva passato da solo. Perché così viveva, solo, anche se una famiglia ce l’aveva ma se ne era separato, forse a causa di difficoltà economiche. I figli, però, di tanto in tanto continuava a vederli, venivano a trovarlo a lavoro: «Venivano dei ragazzi – ricorda Giandon – ma del suo privato lui non parlava, era riservato, e anche con gli altri era silenzioso e rispettoso, mai una parola fuori posto, era una persona intelligente, anche se viveva, si capiva, un momento di difficoltà: aveva il problema del bere e non si adattava a vivere e dormire con altre persone, forse per questo si era ritrovato a dormire per strada. So che per lui si erano attivati i servizi sociali e che ogni tanto andava a vedere con loro qualche sistemazione ma per qualche ragione non andava bene. Proprio questa settimana avrebbe dovuto vedere un alloggio, ma non ha fatto in tempo».
A trovarlo ieri mattina proprio un collega, con cui Cesare faceva il servizio. «L’ho visto – dice Giandon – sotto a due cartoni, è stato bruttissimo, un vero colpo per tutti noi». Alla mensa Clab, punto di riferimento per tanti anziani che vivono situazioni di solitudine e in alcuni casi anche di indigenza, Cesare era di casa: «Domenica non era venuto, pensavamo che stesse poco bene, ogni tanto mi diceva che non si sentiva bene e allora lo spostavo, cercavo di fargli fare dei lavori poco pesanti. Forse a pensarci bene, era già morto, qualcuno dice di aver notato il suo corpo privo di vita già dal pomeriggio di due giorni fa». Adesso nei prossimi giorni, sarà fatta luce sulle cause del decesso, ma una cosa è certa, Cesare non aveva mollato, voleva rimettersi in sella, lavorava e aiutava gli altri, forse a lasciarlo solo ci si è messa anche la sua salute, intaccata dai patimenti e le difficoltà.
Fonte altoadige
Padova: 80enne ruba generi alimentari da un supermarket, denunciato
Ha rubato alcuni prodotti alimentari dal supermercato Prix di via Chiesanuova probabilmente per fame: a essere trovato con le mani nel sacco un anziano 80enne nato ad Adria. L’uomo sabato mattina, verso mezzogiorno, stava guadagnando l’uscita con alcuni generi alimentari non pagati quando è stato notato e fermato. Una volta avvertite le forze dell’ordine, gli agenti sono arrivati sul posto e, raccolta la denuncia, lo hanno deferito in stato di libertà.