«Salvezza dai nuovi barbari»?

  La “cosa” ha avuto un precedente disastroso e derisorio: dopo che i 5S (che hanno via via ceduto su tutti i “nodi” qualificanti, o realizzandoli al minimo strozzato, vedi «reddito» e «pensioni» di cittadinanza) hanno acconsentito al «sí» di Conte all’opera inutile e dannosa del Tav TO-Lione per evitare la crisi del governo, e per non “perdere la faccia” hanno imbastito la pantomima del «no» in parlamento al loro stesso governo, di scontata bocciatura … ebbene, hanno perso la faccia e hanno avuto la caduta del governo. Ben diverso sarebbe stato, in dignità e consensi, puntare i piedi nel governo di cui erano “soci di maggioranza” sui troppi impegni (con l’elettorato) disattesi o attuati al minimo, sfidando Salvini a rompere e accettando la crisi. Ma già il voto alla Von der Leyen (decisivo per l’elezione alla Commissione Ue dell’esponente della peggiore austerity liberal-capitalistica Ue, motivato con discorsi puerili: “ha promesso punti del nostro programma …”) era stato lo sbocco della loro integrazione nel “sistema” e politicantismo corrente, in coerenza con il “siamo nell’Ue, euro, Nato” del «contratto di governo»; dei viaggi in Usa di Di Maio, Conte, Salvini; del tatuaggio in fronte a Di Maio: “sto nell’euro”.

Ma Salvini ha rotto sul Tav? No, aveva già il «sí». Ha preso l’escamotage 5S come ultimo pretesto. Il segnale, sull’onda dei successi elettorali leghisti, veniva dallo sfascio della berlusconiana FI, con uscita di Toti (e afflusso di esponenti FI) e sua formazione di «Cambiamo». Berlusconi potrà solo affiancarsi a Salvini, la Meloni è sua alleata (né ha altre chances) e Toti & Co. sono la “ciliegina sulla torta”: si staglia la potenzialità della maggioranza di voti e seggi, e Salvini presidente del Consiglio. E Salvini ha deciso di non traccheggiare – se poi ha scelto bene i tempi resta da vedere.

Nello schiamazzo seguente sono evidenti i tentativi per ritardare nuove elezioni, con ridda di ipotesi sul governo intermedio (tecnico, di garanzia, elettorale) e con Grillo che invita i 5S a fare un governo perfino con il Pd come «salvezza dai nuovi barbari» (e mantenimento del posto a governanti ed eletti): ma non si erano accorti della «barbarie» quando erano insieme al governo? E va bene il Pd massima formazione di messa in atto delle sciagurate politiche respinte dalla maggioranza della popolazione e contro cui si è levato l’attacco annoso dei 5S? E vanno bene i renziani, con il codazzo della Bonino, LeU, SI? – ma il Pd di Renzi è spaccato da quello di Zingaretti, che non vuole tale accordo, e allora basterebbero i seggi? Comunque questo governo salverebbe il paese «dai nuovi barbari»? E in adesione totale ai dettami Ue e del capitale transnazionale non attuerebbe un’ulteriore barbarie? E un accordo del genere non sarebbe la fine dei 5S? Che gridano al tradimento, vogliono il taglio dei parlamentari – per votare l’estate prossima – e chiamano a stringersi: ma i sondaggi danno piú che dimezzati i voti del 4 marzo 2018 e già ora il discredito non è facilmente rimediabile.

A ogni modo il quadro della propaganda è questo: Salvini che vuole il governo per sé, senza impacci, denuncia “inciuci” e manovre, e attacca accordi 5S-Pd; Pd e “sinistrismo” levano appelli contro i «barbari», il “colpo di Stato”, l’avvento del neo-fascismo (leit motiv in corso da tempo). Intanto infuriano discorsi parziali quando non fuorvianti: “sono stati i poteri forti” (en passant: quali sono i “poteri deboli”?), “Salvini ha sbagliato i tempi”, “no li ha colti bene”; “è colpa di Salvini”, “è dei 5S”, etc. Il frastuono silenzia la sostanza della questione – come sempre, mai si va alle “radici”.

Le elezioni del 4 marzo hanno portato allo sbocco au sommet delle reattività della maggioranza della popolazione italiana alle politiche (su tutti i piani) del liberal-capitalismo globalizzato-globalizzante attuate dai suoi «organismi» come l’Ue/euro e gli Stati inglobati in tale contesto e «organismi». E hanno segnato l’emersione oggettiva di un fronte sociale: dai lavoratori, inoccupati, sottoccupati, disoccupati, soprattutto del Sud, ma non solo (anche al Centro e al Nord), al tessuto produttivo (medie, piccole, piccolissime imprese e artigianato residuo, e agro-alimentare) del Nord, ma non solo (anche il Centro è pervaso dall’incrocio delle due componenti); insomma, lavoratori e classi (comunque) subalterne, i due terzi e piú della popolazione, con voti raccolti da M5S e Lega: perciò il solo governo possibile era il loro.

Quale avrebbe dovuto essere l’asse primario del governo «giallo-verde»? Tradurre il fronte sociale in blocco sociale effettivo e anche soggettivo, consolidato con misure adeguate (da un piano ampio di investimenti il piú possibile auto-centrato, all’impegno agro-alimentare e ambientale, all’incastonamento del tessuto produttivo, alla messa sotto controllo dei capitali, fino agli accordi esteri, oltre che al blocco del flusso migratorio – unito all’azione nei paesi d’origine, sul principio del «diritto di stare a casa propria»). Il che va contro lo “stiamo nell’Ue, euro, Nato”, e richiede di agire per la ri-acquisizione di indipendenza e autonomia del nostro paese (è questa la «sovranità»), senza di che non si può costruire una reale democrazia né attuare le efficaci misure connesse.

Niente di tutto ciò era nella testa e nei piani della Lega. La sua linea è piuttosto chiara: gestire il paese in base a uno pseudo-nazionalismo (con sovranismo a chiacchiere, e neanche insistite) perché resta, certo “criticamente”, nell’Ue mentre subordina ancora piú l’Italia agli Usa (al versante “trumpiano”), e sempre in base a un indirizzo liberal-capitalista, con un’apertura piena al capitalismo (compreso quello grande, transnazionale) e ai suoi imperativi su tutti i piani (compreso l’afflusso “regolare” di forza-lavoro di pressione e di riserva), ma situando il tutto nell’alveo del “governo nazionale che vigila e decide” – e intanto attua tramite l’«autonomia differenziata» la “navigazione” del Nord nella «macro regione alpina» (franco-tedesca), con il Centro in rincorsa e il Sud sganciato. Insieme condito da un neo-bacchettonismo perbenistico (rosario e vangeli di Salvini, “grazie alla beata vergine Maria nel giorno della sua nascita” – questa figura inventata dai neo-esseni, alias cristiani, nel II sec. d. C. “è nata” il 5 agosto?), il che serve per contrastare la Chiesa di Bergoglio sparata sul «sí» a globalizzazione e immigrazione, ma ribadisce un “clima” di ipocrita conformismo.

Salvini, che ha portato la Lega a consensi enormi (grazie a tentennamenti e cedimenti 5S), ha infine “fatto il suo” sul piano politico, per assumere “in proprio” il governo. Ha tradito? Sí. Che cosa? Lui e la Lega hanno tradito ciò che sarebbe stato necessario: la traduzione del fronte sociale in blocco sociale. E ora cancelleranno questa possibilità, posta “nelle cose”, riportando tutto nell’alveo “usuale” del “sistema”: destra che va al governo, sinistra all’opposizione, con modifiche (di maggiore, o minore, o minima entità) però volte alla perpetuazione del “sistema” stesso nella sua ricerca di mutamento di assetto: è l’«alternativa unica» di “sistema”. Ma che «barbarie» e neo-fascismo! È questa propaganda occhiuta di comparti di dominanti (pro fase presente della globalizzazione e suzzunzone totale all’Ue), buona per babbei frastornati. E le opposizioni, Pd & Co., sono le forze della reazione volta alla perpetuazione di questa fase, che è in crisi e rispetto a cui il capitalismo è in cerca di un diverso assetto (e non parlo dei vari “sinistri”, che arrivano magari a dire no Ue/euro/Nato, ma senza via praticabili e in contraddizione plateale con la loro accoglienza “senza se e senza ma” del flusso migratorio voluto dal capitalismo globalizzante della fase ancora attuale, e volto a colpire sia la condizione dei lavoratori e dipendenti, sia il residuo assetto sociale, culturale, urbano del nostro paese – e anche loro ancor piú scatenati sulla fantasmagoria del «barbaro» Salvini “neo-duce”).

E i 5S? Anche loro hanno tradito, come Salvini-Lega, e nei fatti, ciò era primario. Non era nella loro testa, né propositi, per mancanza di analisi, di progetto conseguente, di strategia e tattica adeguate. L’“impianto” resta quello loro consueto: con onestà (è solo un pre-requisito, mentre con le regole e con il loro rispetto va sempre insieme la tendenza alla violazione, organica all’oligarchia e alle regole liberali, né la «legge spazzacorrotti» impedisce di escogitare altre forme di violazione) porre correzioni o misure specifiche dove occorre, e cosí far “andare bene” le “cose”. Ma proprio questo è impossibile! Il “sistema” non è “neutro”, né l’apparato statual-burocratico è astratto: è funzionale alla perpetuazione dei rapporti di produzione e sociali vigenti (ossia al capitalismo), mantenendoli nelle sue fasi successive.

Tradimento, dunque, oggettivo: delle possibilità, delle potenzialità. Della Lega, del M5S, del governo giallo-verde – e dell’ulteriore interno gravame del cuneo inserito da Mattarella, Tria, Moavero e poi lo stesso Conte, a difesa del mantenimento della fase in crisi, ma sempre in atto, della globalizzazione. Esaminando gli “impianti” della Lega e del M5S, in fondo e infine era difficile attendersi esiti altri. Si può solo aggiungere che, mentre la Lega è sicuramente poco penetrabile da idee, analisi e prospettive di “altro” e “oltre” (è forza “di sistema” e di qualche mutamento, ma nel e per il “sistema”), cosí lo sono stati anche i 5S (con le lodevoli eccezioni di coloro che sono molto critici o perfino in rottura – bisognerà però vedere se, al momento opportuno, seguiranno o meno il richiamo a stringersi nella “casa comune”). E, nel loro “grosso” e nei loro esponenti, appaiono attestati su poche convinzioni parziali e, al piú, analisi settoriali – le idee dominanti sono quelle dei dominanti, nella generale penetrazione dell’ideologia dominante, il liberalismo (e i 5S non affermano “siamo non-ideologici e post-ideologici”? Come si vuole il liberalismo per escludere ogni visione e comprensione del mondo “altra”).

Anche se i 5S danno la colpa a Salvini, al “sistema”, etc. – e ci manca solo il «destino cinico baro -, l’iter della loro opera nel governo e la sua fine ingloriosa è una dimostrazione inconfutabile (ma già lo era la perdita delle gestioni comunali nella scadenza seguente all’averle conquistate) che intendere e dare a intendere che si possa attuare il «cambiamento» senza comprendere il “sistema” e mirare a romperlo significa solo illudere e auto-illudersi – e fallire. In questo contesto è avvenuto qualcosa di imperdonabile: invece di spingere avanti, formare una comprensione di massa della realtà e degli ostacoli da superare, potenziare il movimento popolare e costruire – appunto – un blocco sociale effettivo e soggettivo, si è determinato l’opposto, ossia lo scoraggiamento, il riflusso di quel movimento che, pur confusamente, si era levato, alimentando la convinzione che non si può fare niente di decisivo, che bisogna rassegnarsi e accettare “ciò che c’è”, al piú puntare sul “meno peggio” – che fa comunque parte del peggio.

E ora? Io non intervengo oltre su ciò che ho scritto e detto in vari interventi, ribadendo solo che è necessario ostacolare il riflusso, costruire il movimento democratico popolare diretto a riprendere in mano il paese, perciò mirante a riacquisire indipendenza e autonomia, il che può procedere solo in intreccio con comprensione e la messa in atto, volta all’imposizione, della vera democrazia. Certo, questo è ancora piú arduo nelle condizioni presenti, perché ha di fronte davvero tanti, troppi ostacoli. Ma dovrebbe essere ancora tentato. Nonostante quanto non vuol capire o fuorvia, o nega, e blocca.

Mario Monforte

I No Tav bruciano i fogli di via

Serata dei pintoni attivi
 Serata dei pintoni attivi

A seguito delle manifestazioni No Tav delle scorse settimane sono state denunciate 82 persone dalla Digos, mentre 28 “fogli di via” sono partiti dalla Questura di Torino. Questi ultimi hanno raggiunto anche alcuni appartenenti allo storico, e molto noto, gruppo dei “Pintoni attivi”: uomini e donne anche non più giovani ma molto determinate, che si danno appuntamento da anni, con qualsiasi condizione climatica, fuori dal cantiere di Chiomonte per un rituale aperitivo-cena molesto e dissacratorio.

I fogli di via della durata tre anni con divieto di soggiorno e transito nei comuni di Chiomonte e Giaglione sono stati emessi «a causa della pericolosità sociale espressa e per le oggettive azioni di turbativa dell’ordine pubblico ed alla sicurezza pubblica».

Venerdì sera i fogli di via sono stati portati da alcuni No Tav presso il cancello del cantiere di Chiomonte, dove era in corso l’usuale aperitivo-cena, e lì sono stati inceneriti dalle fiamme.

“In Parlamento dovrai guardarmi in faccia e poi votarmi contro”

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Il giorno dopo – Ecco il racconto di una fine prematura. Conte si prepara a un discorso parlamentare che non risparmierà nulla

“In Parlamento tu ci dovrai essere, non come hai fatto sulla Russia, mi dovrai passare davanti, guardare in faccia e votare contro”.

Quando dice in faccia a Matteo Salvini queste parole, con il suo solito stile pacato, Giuseppe Conte sa che la sfida al leader leghista è lanciata. Che possa trasferirsi in una contesa elettorale è cosa che il presidente del Consiglio non dice a nessuno. Nessuno sa se potrà essere lui il candidato premier del M5S né se sia realizzabile l’idea di una lista civica a suo nome da far correre accanto a una lista 5 Stelle.

Quello che appare chiaro nella ricostruzione dei due incontri che il premier ha avuto con Salvini è l’irresponsabilità spensierata del secondo e il tentativo del primo di farlo ragionare e di evitare in tutti i modi l’epilogo che ora appare segnato.

“Matteo, pensaci bene, non hai consiglieri?”

Gli incontri sono stati due. Il primo, il giorno del voto sulla mozione Tav, avviene di pomeriggio, a Palazzo Chigi. Salvini non parla di rimpasti anche se si lamenta dei vari ministri e Conte lo incalza subito: “Ti avevo già detto dopo le Europee che volendo saremmo potuti andare al voto anche il giorno dopo. Tra l’altro avevi il pretesto degli attacchi ricevuti dal M5S in campagna elettorale. Ma tu hai detto no, perché oggi vuoi le elezioni?”.

Le giustificazioni di Salvini sembrano fragili: parla di “casini interni” del bisogno di una “campagna elettorale per compattare la Legasai c’è anche chi vuol farmi fuori, ora non si può più rinviare”.

Conte invita il suo vicepremier a “pensarci bene”. E comunque mette le mani avanti: “Sappi che comunque si va in Parlamento, io sono una persona corretta, non vado in aula a cercare altre maggioranze” e poi, non dismettendo gli abiti del professore, gli fa anche una piccola lezione di diritto parlamentare. “La via maestra è tornare dove ho ricevuto la fiducia, cominciando dal Senato. In passato le crisi si facevano nei corridoi di Palazzo o nelle riunioni riservate delle segreterie dei partiti, io voglio fare tutto alla luce del sole”.

E qui lancia la freccia in pieno volto dell’alleato-avversario: “Tu ci dovrai essere, al contrario del dibattito sulla Russia e dovrai spiegare, guardandomi negli occhi, il motivo per cui ritiri la fiducia. Dovrai andare a votare passandomi davanti, guardandomi in faccia e poi votandomi contro”.

Salvini, in un sussurro, dice “va bene” e se ne va. A quel punto Conte inizia a riflettere sul quel che è successo alla ricerca di una spiegazione logica. Salvini ha parlato di problemi interni alla Lega, forse con Giancarlo Giorgetti, forse, soprattutto, con i governatori leghisti, tutti molto preoccupati per l’impossibilità di approvare una legge hard sulle Autonomie.

“C’è chi mi vuole fare fuori, devo farlo”

Ma ha fatto riferimento anche alle proteste dei propri parlamentari contrari al taglio dei seggi che sarà approvato in via definitiva il 9 settembre.

E sembra che si accorga solo ora che quella legge costituzionale si porta dietro l’obbligo di ridisegnare i collegi elettorali e anche la necessità di una nuova legge elettorale.

In modo tale che prima di sei mesi sarebbe impossibile andare al voto.

Tempo che dilata anche lo spazio in cui Salvini rischia di essere esposto a possibili inchieste: quella su Savoini e il Metropol russo, del resto, è ancora lì che pende.

Ma, riflette Conte, nell’ultimo periodo si è visto anche un certo attivismo di quel partito degli affari che lo ha eletto come nuovo idolo: l’intervista dell’ex ad dell’Eni Paolo Scaroni sul Foglio, la prontezza con cui Confindustria si è recata ai vertici sociali del Viminale, l’insistenza a completare le grandi opere inutili, tutti segnali di interessi in cerca di una solida sponda e di insofferenza per gli ostacoli frapposti dal M5S. Infine, tra i motivi che potrebbero aver consigliato la fretta elettorale, anche la sensazione che una campagna elettorale infinita potesse iniziare a stancare. Meglio raccogliere i frutti . “Capitalizzare il consenso” come lo stesso Salvini ha detto al premier.

“Andiamo alle elezioni, facciamo in fretta”

Poi c’è il secondo incontro, giovedì 8 agosto, dopo che Conte torna dal faccia a faccia con Sergio Mattarella.

Salvini a questo punto non ha dubbi: “Andiamo alle elezioni, basta, facciamo in fretta”.

Conte risponde ancora con la sua consueta calma: “Scusami, pensi davvero che si vada a votare domani? La finestra elettorale di settembre te la sei giocata, ora i tempi tecnici dicono che si arriva a fine ottobre e, se ti va bene, riuscirai a formare un governo non prima di dicembre. Cioè addio legge di bilancio in tempo per fine anno, cioè esercizio provvisorio”.

Poi l’accusa: “Sei un ingenuo o uno sprovveduto anche perché mica decidi tu la data delle elezioni”. Conte ne approfitta per difendere orgogliosamente l’operato suo e del governo: “Questo non è il governo dei no, lunedì scorso con la fiducia al decreto Sicurezza ne hai avuto la conferma: non ci provare a screditare il lavoro mio e dei miei ministri”.

Il premier cerca di rendere evidente anche il quadro europeo, la figura che farà l’Italia e il nodo del Commissario ancora non indicato per i veti di Salvini: “Guarda che così ti giochi anche quel nome. Se fai cadere il governo avrò le mani libere e finalmente potrò indicare un nome che vada bene all’Italia e non solo alla Lega”.

Conte pensa di poter riuscire ancora a strappare il dicastero della Concorrenza, anche se, per adattare la nomina a un profilo indicato dalla Lega, stava orientandosi a richiedere il Commercio: “Ho un buon rapporto con Ursula Von der Leyen e, dopo il dibattito parlamentare, proporrò un nome di alto profilo e di competenza per cercare di avere la Concorrenza”.

Ma a Salvini sembra non importare, fa spallucce. Si limita a giustificarsi con il premier: “Non pensare che per me non sia difficile, sono due notti che non dormo, non lo so se faccio bene, ma devo farlo”.

“Pensaci molto bene” prova ancora a convincerlo Conte: “La speculazione di agosto è quella più insidiosa, ma non hai economisti che ti consiglino bene? Fatti ragguagliare sulle conseguenze, sull’esercizio provvisorio, sul rischio dell’aumento dell’Iva. E poi, come farai a discutere con la Commissione europea, senza di me, l’ennesima procedura d infrazione? Senza interlocutori quelli ti massacrano e ci va di mezzo l’Italia. Pensaci davvero, stai rischiando di portare il Paese al disastro”.

Salvini uscendo da palazzo Chigi sembra perplesso, fa finta di prendere tempo: “D’accordo, faccio ancora qualche telefonata”. Ma pochi minuti dopo viene diramata la nota della Lega che chiede le elezioni e in serata il vicepremier lancia le sparate sul governo dei no e del non fare e sui parlamentari che devono tornare di corsa dalle vacanze, a lavorare come “fanno milioni di italiani”.

“Lui se ne sta in spiaggia, noi qui lavoriamo”

Conte a quel punto perde il suo aplomb e inizia a preparare il discorso che farà la sera: “Proprio lui che se ne sta in spiaggia da giorni tratta gli altri come degli ‘scioperati’? Io non sto in spiaggia, sto qui a lavorare”. Il discorso che farà in Parlamento inizia a delinearsi. Lo metterà a punto nel week-end, quando cercherà di staccare un po’. Dovrebbe pronunciarlo nella settimana successiva a Ferragosto, nonostante gli evidenti tentativi di Salvini di accelerare i tempi.

Quanto al futuro, per ora Conte non fa trapelare nulla. È preoccupato anche lui, come il Quirinale, del fatto che Salvini possa gestire la campagna elettorale da ministro dell’Interno. Del resto, il leghista, anche durante la campagna europea non ha dato prova di affidabilità, con i viaggi elettorali su voli di Stato col pretesto di incontri nelle prefetture. Conte pensa che occorrerà sorvegliare anche questo aspetto.

Quanto al proprio futuro politico le cose sono ancora molto incerte. Il premier è rimasto colpito dalle manifestazioni di solidarietà e affetto ricevute via social dopo il suo discorso dell’altra sera e si è anche accorto che sulla bacheca di Salvini, invece, fioccano gli insulti.

Non ha ancora idee su cosa fare del proprio futuro politico. È grato ai 5 Stelle, ma non è un uomo del Movimento, ci tiene a ribadire la propria terzietà.

Se potrà capeggiare, da candidato premier, una lista del M5S oppure, come si dice da più parti, essere il leader di una lista civica, è questione che al momento non viene considerata.

Conte ripete ai suoi di essere una figura terza, istituzionale, non adatta a campagne elettorali di parte. E di adorare il lavoro di avvocato.

Ma, spesso, la forza delle cose, e dei consensi, finisce col prevalere sulle migliori intenzioni. Si vedrà. La sfida con Salvini è già nelle cose. Quella non potrà essere evitata.