Tav, Frediani (M5s): “Tutti a casa”. Esultano i sì Tav, il fronte del no alza le barricate

https://www.lastampa.it/torino/2019/08/07/news/tav-frediani-m5s-tutti-a-casa-la-lega-ci-ha-trascinato-nel-suo-baratro-di-ignoranza-e-fascismo-1.37309040?fbclid=IwAR3iq-qK1kZJsIgicmQNV1KWi5YhVS1zPrKdRZL_Itx4rCobFF_4At39c2c

TORINO. La crisi tra i due partiti di governo, Lega e M5s, continua a crescere. Francesca Frediani, consigliera regionale M5s e valsusina, ha scritto oggi, mercoledì 7 agosto, sui suoi canali social: «La Lega ha violato platealmente il contratto di governo. Vi prego: tutti a casa e cerchiamo di recuperare il nostro meraviglioso progetto così com’era concepito. Il cambiamento culturale richiede tempo, abbiamo dimostrato di saper fare cose ottime per il Paese, ma la Lega ci ha trascinato nel suo baratro di ignoranza e fascismo. È l’ultima possibilità per dire basta e ripartire.#RidateciilM5S».

 «Se fossimo stati degli ingenui ci saremmo aspettati che, con il Si alla Tav, il M5S avrebbe sfiduciato, come peraltro annunciato, il governo Conte in Parlamento e il sindaco Appendino a Torino» ha detto dal canto suo Silvia Fregolent, deputata del Partito democratico, a proposito dei voti del Senato sulle mozioni relative alla Tav. «Purtroppo non sarà così perché gli interessi personali dei parlamentari e consiglieri comunali grillini prevalica il bene del paese. E infatti l’unica a prendere posizione in tal senso è il consigliere regionale del M5S Frediani, sicura in caso di elezioni anticipate nazionali e comunali a tenere salda la poltrona. Quello di cui siamo sicuri è che oggi, con la conferma della Tav, viene ribadita la posizione del Pd che è riuscita a far approvare un progetto capace di coniugare sviluppo e progresso con il rispetto dell’ambiente e delle comunità locali».

Dopo la bocciatura della mozione M5S in Senato sulla Torino-Lione c’è un Piemonte del ‘Sì’ che canta vittoria. «Con oggi – dice il governatore Alberto Cirio – cala definitivamente il sipario su un dibattito di cui avremmo fatto volentieri a meno. Ciò che conta, soprattutto, è che adesso la Tav è un’opera irreversibile». «Buona estate finalmente si’, Tav!» scrivono su twitter le madamine del comitato «Si’,Torino va avanti». «Il voto di oggi mette definitivamente fine alla discussione Sì Tav- No Tav. La linea ferroviaria ad alta velocità fra Torino e Lione si farà nel rispetto dei trattati internazionali e della volontà della grande maggioranza degli italiani. Volontà che è emersa chiaramente nelle tre grandi manifestazioni che abbiamo organizzato nel centro di Torino e che, grazie alla mobilitazione attiva di tanti cittadini, sono servite per dare la spinta decisiva al proseguimento dell’ opera».Ma ci sono anche i No Tav sul sentiero di guerra. Il primo atto della mobilitazione (salvo sorprese) sarà venerdì prossimo a Chiomonte, dove Cirio ha convocato una giunta per parlare della Torino-Lione. “Ci saremo – spiega la Dosio – per marcare con precisione che i nostri territori non si possono occupare”. I No Tav della Valsusa avevano smesso di illudersi da un pezzo: l’ultima mossa dei senatori pentastellati, peraltro, era considerata – nel più benevolo dei giudizi – semplicemente inutile. Ma con oggi la frattura con i pentastellati si trasforma da profonda a completa. Ed è un post al vetriolo di Beppe Grillo a mettere fine a qualsiasi tentativo di ricomposizione: è un attacco frontale ad Alberto Perino, settantatreenne leader carismatico degli oppositori della Torino-Lione, reo di avere parlato di “tradimento”. Nel messaggio, indirizzato al “Perinone”, Grillo alterna l’analisi politica («Non avere la forza numerica per bloccare l’inutile piramide non significa essersi schierati dalla parte di chi la sostiene») allo scoramento personale: «In Val di Susa ho rimediato un candelotto in faccia e 4 mesi di condanna, ma il peggio è essere stato al fianco di uno che oggi (solo per il fatto che questo è un paese democratico) mi dà del traditore. Questa è una delusione. I suoi sforzi per insultare me ed il movimento, con tarda pacatezza, esprimono la dinamicità di un fermacarte, incapace di farsi delle nuove domande, mentre l’avversario ha già cambiato pelle moltissime volte».

Mal di pancia in casa Cinque Stelle anche a Torino, dove gli occhi sono puntati sulla maggioranza che continua a sostenere Chiara Appendino. Tra i consiglieri comunali più oltranzisti spicca Viviana Ferrero: «Oggi non è giornata. Quando governi decidi e se fai accordi, e sei in maggioranza, li fai nel tuo interesse. Vado a camminare per smaltire la rabbia e pensare a cosa fare». «Un voto che conferma la predominanza dei poteri speculativi rispetto ai bisogni della gente», commenta invece Nilo Durbiano, ex sindaco di Venaus e promotore dell’ipotesi di mini-tav avanzata negli scorsi mesi. «Quando si parla di tanto denaro, non esistono destra e sinistra, ma esistono i soldi – continua – Pd e Lega hanno votato sotto braccio insieme a Meloni e Berlusconi. Ciò non nasconde l’incapacità politica del M5S che, con il 33% dei parlamentari e oltre un anno di tempo, non è stato in grado di costruire una soluzione politica, che pure esiste, al problema. L’unica istanza per una soluzione politica – aggiunge – è stata presentata dal territorio, nonostante l’assenza di dialogo e confronto con il governo. Auspichiamo che negli anni a venire i governi entrino nell’ottica di una soluzione politica e non a mezzo con l’esercito».

TAV. Niente di nuovo sul fronte (nord)occidentale

https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2019/08/07/tav-niente-di-nuovo-sul-fronte-nordoccidentale/?fbclid=IwAR0jNjHij-xUKnr6lWEC_KQKwFTMIXgp60EukKost2sQ0Z_RUgPiEqg2YPA

Ultimamente il tema della TAV (che non dovrebbe chiamarsi così, ma facciamocene una ragione) ha avuto un ritorno di fiamma a seguito delle dichiarazioni del presidente del consiglio (seguite dal dibattito parlamentare innescato dalla mozione M5S) che lo scorso 23 luglio ha di fatto sbloccato l’iter per la realizzazione del tunnel di base (a due canne) della nuova linea Torino-Lione perché, alla luce di una serie di nuovi fatti, fermare il TAV “costerebbe” all’Italia “molto più che completarlo”. Il presidente del consiglio non presenta dati, ma affermazioni. In questo non ci sono novità, in quanto l’osservazione empirica dice che in politica (non importa chi sia l’interlocutore del momento) il merito delle questioni tende ad essere marginale: le decisioni vengono per lo più assunte “per altri motivi” legati all’assetto sociale e all’opportunità; in ogni caso guardando a un orizzonte temporale vicinissimo, per non dire immediato. Ad ogni buon conto proviamo a ricapitolare la situazione.

1.

Innanzi tutto la sostanza (quella che non conta nulla): lungo la frontiera italo-francese, guardando i dati di traffico merci, in tutte le modalità, negli ultimi 25 anni (15 governi, di centro-destra, centro-sinistra, tecnici e, ora, giallo-verdi) si trova un andamento moderatamente decrescente (precipitosamente decrescente nel caso della ferrovia). Contemporaneamente si trovano andamenti crescenti attraverso le frontiere italo-svizzera e italo-austriaca, a prescindere dal tipo di infrastrutture presenti. Col linguaggio di chi si occupa di scienza diciamo poi che “è altamente improbabile” che questi andamenti si capovolgano in un ragionevole futuro, perché sono legati alla struttura dei mercati: le direttrici nord-sud sono, tramite i porti, connesse con l’estremo oriente dove i mercati non sono materialmente saturi, mentre gli assi est-ovest, per altro molto praticati, connettono mercati materialmente saturi, fatto che fa rabbrividire gli adoratori della “mano invisibile” (del mercato, s’intende) ma che cionondimeno non cessa di essere un fatto. Insomma, proprio niente di nuovo: il volume di traffico non è tale da giustificare investimenti di miliardi di denaro pubblico che non ritornerebbero. 
Restando sul versante materiale, val la pena di fare il punto anche riguardo a un aspetto richiamato da un certo numero di improbabili “ambientalisti” dell’ultima ora e amplificato (senza verifica) da gran parte dei mezzi di comunicazione: l’immissione di anidride carbonica in atmosfera. Dicono questi attori, che non hanno tempo di, né sono interessati a, fare verifiche, ma sono sempre in cerca di frasi che diano sostegno alle loro scelte a priori: la ferrovia (per chilometro e per tonnellata di merce – questa precisazione la faccio io) immette in atmosfera meno CO2dei camion e dunque meglio soddisfa l’esigenza di contenere il mutamento climatico in atto. Senza infilarci in una analisi dei costi, in termini di emissioni, della realizzazione di due gallerie affiancate di 57,5 km e poi del loro mantenimento in condizioni di efficienza e sicurezza, limitiamoci ad osservare che un risparmio nelle emissioni si avrebbe, in astratto, se il traffico globale restasse quello di oggi e però una quota rilevante di tale traffico (nei documenti dei proponenti, il 55%) si trasferisse dalla strada alla rotaia (cosa tutt’altro che automatica). Ma se il traffico totale restasse quello di oggi il gioco non varrebbe la candela (vedere il punto precedente), tanto è vero che i proponenti basano le proprie valutazioni sulla (improbabile) crescita dei flussi di merci, arrivando ad affermare che nel 2035 il volume che transiterà sarà addirittura tre volte quello del 2010. Se davvero il mondo fosse fatto così (ma non lo è) si scoprirebbe che anche col 55% delle merci sulla rotaia l’immissione di CO2 in atmosfera aumenterebbe: certo, aumenterebbe meno di quanto sarebbe aumentata con solo il 9% su rotaia, ma aumenterebbe, e l’IPCC (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico ci dice che per contenere i guai (ormai inevitabili) entro il 2030 dovremmo dimezzare le immissioni. Anche qui assolutamente niente di nuovo: c’è chi parla perché ha la lingua in bocca e le decisioni le prende a priori “per altri motivi”.

2.

Il Presidente del Consiglio però dei fatti nuovi li ha citati: riguardano i rapporti con la Francia e con l’Europa. Proviamo a dare un’occhiata da vicino. Il presidente Conte dice di aver avviato una interlocuzione col presidente francese Macron; non ci dice, logicamente, quale sia il contenuto di questa interlocuzione, ma noi proveremo a ragionare su quello che dovrebbe essere il contenuto. I rapporti Italia-Francia riguardo a quest’opera sono regolati da un accordo (a rigore una serie di accordi) che è divenuto un trattato con valore di legge dopo la ratifica dei rispettivi parlamenti. Questo trattato dice molte cose. Vediamo:
– vi si definisce (artt. 2 e 4) l’oggetto dell’accordo che riguarda una tratta di 112,5 km composta di una sezione transfrontaliera (il tunnel di base a due canne); una parte francese con 33 km per le due gallerie (a due canne) di Belledonne e di Glandon; una parte italiana con la galleria (due canne) dell’Orsiera per 19,5 km. Questa complessivamente è la parte definita “comune”, al di là della quale ci sono ancora dei tratti che non hanno tale qualifica e sono di competenza esclusiva di ciascun paese. Quello su cui concretamente si litiga è solo la tratta transfrontaliera, ma il trattato riguarda anche il resto. E resta fuori il completamento della linea verso Lione che comprende l’ulteriore galleria della Chartreuse;
– l’art. 16, poi dice che «La disponibilità del finanziamento sarà una condizione preliminare per l’avvio dei lavori delle varie fasi della parte comune italo francese della sezione internazionale». Sembra essere una clausola di assoluto buon senso… cui apparentemente nessuno (di coloro che dovrebbero avere delle “responsabilità” decisionali) fa caso. In concreto si dice che per cominciare i lavori di una qualunque fase occorre che siano disponibili (tecnicamente “disponibile” non vuol dire proclamato in un comizio ma stanziato) i fondi necessari: il 100% di quanto necessario. Ora, il tunnel di base non è sezionabile in lotti costruttivi (o si fa per intero o non si comincia nemmeno) e quindi per iniziarlo occorre che siano stanziati i circa 9,6 miliardi necessari (cifra aggiornata al 2017 dal nostro CIPE) da parte dei contraenti, cioè di Italia e Francia. Il terzo attore, l’Europa, interviene solo successivamente: i contraenti debbono quindi stanziare il 100% del fabbisogno, salvo poi recuperare quanto l’Europa a tempo debito assegnerà;
– a oggi lo Stato italiano, con delibera CIPE 18A00396 del 7 agosto 2017, ha stanziato la cifra di 2.565 milioni di euro circa suddivisi in una provvista annua (una specie di dotazione) tra il 2015 e il 2029: per l’anno in corso sono 243,540 milioni. La stessa delibera, in ottemperanza a quanto scritto nel punto precedente, fissa in 5.574 milioni e rotti il massimale di spesa, lato Italia, pari al 57,9% dei 9.600 del costo totale dell’opera;
– cosa ha stanziato a oggi lo Stato francese? Nulla. Dichiarazioni politiche molte e persino infastidite; documenti di programmazione che menzionano la Torino-Lione, sì; ma a bilancio nulla. È vero che l’ordinamento francese non ha un analogo del nostro CIPE, ma comprende un’agenzia speciale (AFITF) che deve provvedere al finanziamento delle opere pubbliche. Tale agenzia non ha né erogato né programmato alcunché per il tunnel di base della Torino-Lione. Tra l’altro è appena il caso di osservare che la Court des comptes francese ha criticato AFITF (istituita nel 2004) perché sostanzialmente priva di programmazione o margini di manovra [1]. Penso che oggi nemmeno più alla fiera del bue grasso di Carrù i contratti si possano siglare sputandosi nel palmo e poi stringendosi la mano tra contraenti. Da parte francese mancano 4.056 milioni e rotti e pare dunque che, a norma di trattato internazionale vigente, non ci siano le condizioni per avviare i lavori della tratta transfrontaliera.
Forse il presidente del consiglio Conte avrà parlato di queste cose col presidente Macron; chissà?

3.

Ma con la Francia non abbiamo finito.
Come si è intravisto al punto precedente, a norma dell’art. 18 del trattato tra i due paesi, il costo di realizzazione della tratta transfrontaliera (le gallerie di base) grava per il 57,9% sull’Italia (sul cui territorio le gallerie insistono per circa 12 km) e per il 42,1% sulla Francia (sul cui territorio l’opera insiste per i restanti 45 km). Questo evidente squilibrio è motivato, se non giustificato, dal fatto che la tratta francese della parte comune definita dal trattato, che comprende due addizionali doppie gallerie, è decisamente più onerosa della tratta Italiana che ne comprende una sola, più breve.
Sennonché…. Un organo ufficiale dello stato francese, il COI (Conseil d’orientation des infrastructures) ha rilevato che al momento non ci sono le condizioni di traffico e potenziale saturazione della linea tali da preoccuparsi, nonché di realizzare, di avviare gli studi per la tratta di adduzione al tunnel di base dal lato francese, i quali, nella migliore delle ipotesi dovranno essere intrapresi dopo il 2038[2]. Chissà se gli indaffaratissimi fautori istituzionali della nuova linea si sono mai chiesti come sia possibile che non sussistano le condizioni per fare la nuova linea di adduzione francese e invece ci siano quelle per fare il doppio tunnel di base (che è la cosa più costosa). Ma non importa: il progresso richiede questo e altro. Qui però importa rilevare che se la parte di competenza solo francese oggetto del trattato non si sa né quando né se si realizzerà, perché mai l’Italia dovrebbe, fin da subito pagare il 57,9% delle spese della sezione transfrontaliera? Forse questo dettaglio è sfuggito ai sovranisti nostrani? Oppure la sintonia con Confindustria val bene un regalo alla Francia?
Alla luce di quanto sopra e senza voler vestire i panni di Machiavelli posso osservare che, se una delle due parti (la Francia) non ritiene ci siano le condizioni concrete per realizzare la linea prima di una ventina d’anni, non c’è bisogno di invocare rotture unilaterali di un trattato con passaggi parlamentari, improbabili mozioni, dibattiti recitati, vesti stracciate e così via. Il trattato resta in vigore e verrà applicato quando entrambe le parti giudicheranno che ci siano le condizioni per procedere sull’intera linea. In effetti non dovrebbe essere difficile capire, anche senza una laurea in ingegneria, che se di un condotto allargo la tratta centrale e lascio invariate le adduzioni la portata dell’intero condotto resta quella di prima.

4.

Non voglio però farmi prendere la mano e accumulare troppe considerazioni; torniamo dunque alle dichiarazioni del Presidente del Consiglio e osserviamo che fin qui manca un attore: l’Europa. 
Cosa non si è detto e scritto al riguardo (senza verificare, ben inteso)! In sostanza se non si fosse sbloccato l’iter dell’opera si sarebbero “persi i finanziamenti europei”: quali e perché?
Dal 2001 ad oggi per la Nuova Linea Torino Lione (così si chiama) si sono spesi o formalmente impegnati in complesso 1.840 milioni, di cui materialmente liquidati circa 1.200 milioni, in massima parte per studi e lavori preliminari (i “cunicoli” geognostici, tra cui quello in fase di completamento in Francia). Sulla carta questa spesa avrebbe dovuto essere per metà a carico dell’Unione Europea, e il resto suddiviso in parti uguali tra Italia e Francia. In realtà l’Unione Europea è intervenuta con vari stanziamenti, prima del settennato 2014-2020, per un totale di più di 500 milioni di cui una novantina sono andati persi (senza che nessuno si stracciasse le vesti), perché LTF (predecessore di TELT) non ha rispettato i tempi previsti. Per il settennato 2014-2020 lo stanziamento europeo è stato di circa 814 milioni[3] di cui una parte destinata a opere preparatorie dello scavo principale. Tali fondi, in base alla delibera di assegnazione, dovrebbero essere spesi entro il 31 dicembre 2019, ma TELT ha accumulato ritardi (che non c’entrano con le vicende italiane) tali per cui risulta comunque impossibile spendere tutta la somma entro la scadenza, sicché, in base alle norme europee, ciò che non viene speso entro il termine viene “perso”. Si tratterebbe all’incirca di 300 milioni. Questi sono i famosi fondi europei “da non perdere” e per non perderli, sempre in base alle regole europee, si può chiedere, in maniera motivata, una proroga dei termini che può essere concessa fino a 24 mesi. 
Di questo si trattava, ma certo le dichiarazioni del Presidente del Consiglio (e quelle degli attori politici e giornalistici che evitano di informarsi perché per i loro fini non ce n’è bisogno) non l’hanno chiarito. Non si tratta del finanziamento europeo per le gallerie principali, che non è stato ancora deliberato e che ovviamente se non si facesse l’opera non verrebbe erogato. Fin qui, una volta di più, assolutamente niente di nuovo.
Negli ultimi mesi però varie fonti europee hanno dichiarato che il contributo europeo per le gallerie di base potrebbe salire dal previsto 40% al 50% e al 55% (ci sono di mezzo delle sottigliezze riguardo a quest’ultimo passaggio che non è il caso di approfondire). In concreto, siccome il riferimento europeo è al costo ufficiale dell’opera in valuta 2012, senza rivalutazione, cioè a circa 8.600 milioni, si tratterebbe di un contributo massimo che potrebbe arrivare a 4.730 milioni di euro. Questo contributo però dovrebbe essere deliberato dai nuovi organi europei per il settennato 2020-2027 nell’ambito delle disponibilità complessive di bilancio e tenendo conto di altre opere da finanziare sulla stessa voce. Al momento di stanziato non c’è nulla, per cui, a norma dell’art. 16 del trattato Italia-Francia i due Stati, come già detto, se vogliono partire, debbono congiuntamente assicurare la copertura iniziale del 100% del costo dell’opera e la Francia (con cui interloquisce il premier Conte) non ha formalmente stanziato nulla. E siamo punto e daccapo.

5.

Ma il Presidente del Consiglio ha introdotto un’altra novità: la possibilità, ventilata a livello di dichiarazioni e non di atti formali (che non potrebbero nemmeno essere adottati, al momento), che l’Europa intervenga contribuendo anche alle tratte nazionali della linea, e qui il presidente parla di un costo totale di 1,7 miliardi: per fare che?
Se dovesse trattarsi del tunnel dell’Orsiera (previsto dal trattato) sembrano piuttosto pochini e poi il ministro dei trasporti del precedente Governo non l’aveva lasciato cadere? È vero peraltro che anche in quel caso documenti diversi dalle chiacchiere non ce ne sono… Si tratta forse del nodo di Torino? Ma la cifra da dove sbuca? E poi il nodo di Torino non fa parte della tratta comune di competenza italiana prevista dal trattato; sarebbe un po’ come parlare del tunnel francese della Chartreuse… Potrebbe trattarsi del costo della messa a (nuova) norma di sicurezza europea del tunnel esistente e delle altre gallerie della linea storica: lì la cifra sembra più congrua e dovrebbe essere erogata comunque, a prescindere dalla realizzazione del nuovo tunnel. Ma che c’entra?
Ancora. Dice il Presidente Conte: non fare l’opera ci costerebbe di più che farla. Avvocato, però lei si dimentica di citare le motivazioni e le argomentazioni a supporto. Accenna al fatto che fermandosi ci sarebbe da pensare ai costi derivanti dalla rottura dell’accordo con la Francia; cioè? Il trattato e i diversi accordi non prevedono mai nulla di simile a compensazioni o rimborsi e anzi si premurano sempre di tutelare ciascuna parte nel caso di abbandono unilaterale dell’opera. Si riferisce forse alla messa in sicurezza del tunnel geognostico della Maddalena? Non trova che quel costo sarebbe una frazione del costo sostenuto per scavarlo? E quindi sarebbe nell’ordine delle decine di milioni.
Dice ancora il Presidente che i fondi europei destinati all’opera non potrebbero essere utilizzati per altre finalità. Ovvio, tanto più che non sono ancora stati stanziati e rientrerebbero nel bilancio dell’Unione cui accedono tutti i paesi, Italia inclusa. Viceversa i soldi stanziati dal CIPE per l’opera, quelli sì che potrebbero essere destinati ad altre opere decisamente più utili e sostenibili.

Insomma, la commedia, passaggi parlamentari inclusi, continua senza che nulla in realtà cambi: l’opera ha, per chi non ha un interesse diretto, una valenza ideologica e coincide con la difesa a spada tratta di un modello economico incompatibile coi vincoli ambientali (oltre che di bilancio, per un paese indebitato in maniera molto pesante) e che genera, mantiene e fa crescere le diseguaglianze sociali. Per chi ha interessi diretti l’utilità e sostenibilità dell’opera non hanno importanza; l’importante è fare qualsiasi cosa che converta a breve termine denaro pubblico in utili privati.

NOTE

[1] « Comme elle l’a déjà fait dans son rapport public annuel de 2009, la Cour constate l’absence de plus-value apportée par l’AFITF, opérateur de l’État sans feuille de route ni marge de manœuvre. Elle insiste, indépendamment de la question du devenir de cet opérateur, sur la nécessité d’une maîtrise de la trajectoire de financement des infrastructures de transport»: Cour des Comptes Publications 29.08.2016.
[2] « Il semble peu probable qu’avant dix ans il y ait matière à poursuivre les études relatives à ces travaux qui au mieux seront à engager après 2038», p. 78 rapporto COI 2018.02.01.
[3] Grant agreement INEA/CEF/TRAN/M2014/1057372 del 31 luglio 201

La bufala grillina sui «#notav che votano Lega», la «mozione No Tav» del #M5S e altre storie di disonestà intellettuale

https://www.wumingfoundation.com/giap/2019/08/la-bufala-grillina-sui-notav-che-votano-lega/?fbclid=IwAR0VOG1h12BLvyEK1ooG_olar98rKelhZ_RUQknaUS0IVCxo9mM13zyYj2k

Pubblicato il 6 ore ago 

di Davide Gastaldo * e Wu Ming 1

Sono nuovamente momenti caldi per i No Tav. Gli attacchi e la demonizzazione del movimento sono ripresi, come sempre accade in concomitanza di eventi significativi – in questo caso il Festival Alta Felicità e alcune scadenze legate ad appalti per l’opera. Torna in auge la «violenza No Tav», cosa ampiamente pronosticata da uno di noi nell’intervento «Fuori dalle secche», risalente al marzo scorso.

Quest’anno però la campagna denigratoria si è arricchita di un’accusa, nuova per forma e sostanza: quella di essere «leghisti» e «traditori del movimento 5 stelle».

Ma andiamo per gradi.

Alla vigilia dell’appena citato Festival, giunto alla quarta edizione, il presidente del consiglio Giuseppe Conte ha annunciato solennemente – solennemente via Facebook, ma soprassediamo – il «sì definitivo» all’opera.

[En passant: siamo ormai alla quindicesima «conferma definitiva» in vent’anni, tra trattati, firme di progetti ecc. e ogni volta i media la definiscono «svolta epocale».

En passant 2: il «sì» a quale opera?
Pare una domanda sciocca: – È il sì all’Alta Velocità Torino Lione, a cosa sennò?!

E invece no. Questo è il «sì» a una tratta di velocità medio–alta ad «alta capacità», in gran parte consistente in un tunnel da Susa a Saint Jean de Maurienne, in tutto 65 km sugli oltre 260 che separano Torino da Lione. Il tunnel transfrontaliero, con relativi raccordi alla ferrovia già esistente, è l’unica parte del progetto in fase pre-esecutiva e per cui si stiano stanziando denari e preparando gare. Tutto il resto, tra progetti preliminari mai scritti e revisioni di quelli scritti, è nel regno delle nebbie e della fuffa, e dal primo annuncio sono già passati ventotto anni.]

Subito! Ora o mai più!

Il movimento No Tav, tra le altre cose, ha subito rimarcato come questo sblocco dell’opera giunga mentre è al governo – per la prima volta – un partito che prima si dichiarava contrario al progetto e che ha fatto campagna elettorale portando avanti istanze No Tav.

Immediatamente, e in maniera così copiosa e strutturata da sembrare organizzata, si è assistito a veri e propri diluvi di pesantissimi insulti e accuse al movimento del treno crociato, lanciati da «giornalisti», sedicenti attivisti 5s e «persone comuni™».

Questo screenshot riprende un commento particolarmente ignorante: la percentuale dell’85% di voti alla Lega in valle è chiaramente impresentabile come dato reale, non è nemmeno propinabile come fake news; poi ci sono i «vecchi No Tav» – categoria a sé, evidentemente, un club a parte – aderenti a un complotto contro i 5stelle; infine un gentile invito a morire.

Commento imbarazzante e ridicolo, però…

Però il succo è lo stesso di centinaia e centinaia di altri scritti che hanno riempito la rete e alcuni giornali negli ultimi tempi; il sunto dei “ragionamenti” è sempre più o meno lo stesso: «la valle, che era roccaforte dei 5 stelle, ha voltato le spalle ai grillini, votando in massa la Lega e ora – addirittura – se la prende col mo(V)imento che essa stessa ha tradito! Che si faccia La Tav dunque, e muoiano pure tutti!»

In alcuni scambi, in cui l’estensore del post si sente particolarmente acculturato, vengono allegati prospetti e tabelle, come questa:

Dei quattordici Comuni citati, tredici non sono in Valsusa. Uno, Carema, è addirittura al confine con la Val d’Aosta; un altro, Arignano, è al confine col Monferrato; Ingria, in Val Soana, e Locana, in Val d’Orco, distano entrambi due ore di auto da Susa. L’unico comune della lista che rientra in parte in Valsusa è Sestriere, un piccolo centro tra Alta Valsusa e Val Chisone, da sempre sìTav.

Escono poi articoli nel torinese, come questo, in cui si fa confusione tra Alta e Bassa Valle, si sostiene che il festival Alta Felicità sia a Giaglione invece che a Venaus e altre castronerie, a certificare che chi scrive non ha la minima idea dell’argomento che sta trattando. Altre serie di dati confondono i numeri delle regionali con quelli delle europee… Addirittura alcuni eletti rispondono così quando si fa loro notare che non sanno di che parlano:

Si arriva perfino a dire che i No Tav avrebbero votato la Lega perché Salvini era un tempo contro il progetto, e gli stolti valligiani non si sarebbero accorti del cambio di fronte del Capitano.

La prova che Matteo fosse notav? Una foto ritoccata. Una bufala.

Quest’ultima è poi una manipolazione particolarmente fastidiosa: l’immagine di Salvini con la maglietta No Tav è falsa – così come una sua qualche passata ostilità al progetto–, ma un tempo, per un breve periodo, la Lega Nord del Piemonte avversò realmente il Tav in Valsusa, poi entrò in attrito con quella nazionale, si aprì una contraddizione e alcuni esponenti locali, come Dario Catti  leggere l’interessante intervista qui – furono sospesi e infine espulsi dal partito perché No Tav.

Per assurdo, dunque, l’immagine falsa diviene così strumentale a chi volesse negare un passato «No Tav» della Lega:
– Guarda, Salvini aveva la maglietta No Tav, la Lega una volta era contro!
– No l’immagine è falsa, quindi pure il resto!
E invece, questo è un reale manifesto leghista che girava in valle più di vent’anni fa.

Cosa dicono davvero i dati?

Una delle tabelle più usate online per dire che «i No Tav hanno votato Lega» è la seguente:

Clicca per ingrandire.

Di primo acchito è impressionante, si leggono percentuali al di sopra del 50%, ma proviamo a guardarla meglio, premettendo alcune cose.

1. Innanzitutto, prima di entrare nei dettagli leviamoci il dente: sì, in Valle purtroppo la Lega alle ultime elezioni – regionali e europee – ha preso moltissimi voti; ciò non toglie che l’eco mediatica che ne è seguita sia totalmente sproporzionata: per la Lega si tratta di un risultato in media con quello del resto d’Italia, anzi più basso, come vedremo tra poco.

2. Quando si parla di «Valle No Tav» si intendono solitamente i 22 Comuni aderenti allUnione Montana Bassa Valle Susa più tre o quattro piccoli paesi dell’Alta Valle variamente toccati dal progetto, Alta Valle che per il resto a livello istituzionale è sempre stata neutrale o più spesso favorevole all’opera.

3. Non volendo pensare alla malafede, la confusione nel leggere i dati qui sopra può dipendere dal fatto che in molti comuni piccoli il Carroccio ha preso moltissimi voti, mentre in quelli più grandi ne ha presi decisamente meno. Facendo un semplice elenco di comuni e percentuali – e non conoscendo la valle – può sembrare che il dato sia molto spostato a favore di Salvini. Questo, ripetiamo, non volendo pensare alla malafede.

Clicca per ingrandire.

Questa qui sopra è la tabella di prima, debitamente chiosata. Abbiamo segnalato i comuni dell’Alta Valle – esclusi quelli toccati dall’opera – e quelli che con la Valsusa non c’entrano nulla. Come si vede, è stata inserita molta «roba» estranea ai territori dove è radicata la lotta No Tav.

Anche mondata dagli “intrusi”, la tabella potrebbe comunque far dire a qualcuno: – Beh, quanti voti a Salvini! Avete proprio sposato la Lega…
Solo che una tabella del genere non tiene conto che ci sono Comuni molto differenti come popolazione – dagli oltre 12.000 abitanti di Avigliana ai poco più di 500 di San Didero – né valuta l’astensione.

Proviamo a guardare i dati in maniera meno dozzinale.

Europee 2019: voto dei Comuni dell’Unione Montana Bassa Valle di Susa.

Questa tabella computa i singoli voti, senza raggruppare in percentuali divise per comune. Da essa evinciamo che:

1. Il 20,83% degli aventi diritto ha votato il partito del Capitone, ossia in Valle quattro persone su cinque non hanno votato Lega;

2. L’astensione/non espressione è superiore al 33%, e in alcuni comuni-simbolo della lotta No Tav va anche oltre, con punte ad Avigliana del 38,37%, a Borgone del 39,28% e a Mompantero addirittura del 42,33%.

3. Il risultato totale sui voti validi per la Lega è di quasi due punti e mezzo al di sotto del dato nazionale. Nelle urne la Valle è stata comunque decisamente meno salviniana della media del resto di Italia.

«Ma come, in Valsusa ci sono i leghisti?»

Blasting news! In Valsusa la maggior parte degli abitanti non sono attivisti No Tav!

Fa quasi imbarazzo doverlo rimarcare, perché è una cosa più che fisiologica. In nessun luogo del pianeta la maggior parte della popolazione di una comunità è composta da attivisti: magari segue, partecipa a cortei o iniziative, ma tendenzialmente la maggioranza non è parte attiva dei movimenti.

È vero che la valle è teatro di una mobilitazione popolare con pochissimi eguali, per tenuta nel tempo, per numeri, per tenacia, per risultati conseguiti, e che su diversi temi – uno su tutti quello dei migranti – ha saputo distinguersi positivamente, ma non è un paradiso in terra: la maggior parte delle persone, come altrove, pensa in primo luogo a se stessa, ai mutui, al lavoro, ai figli… I più sono contrari al Tav, ma giocoforza la quotidianità ha spesso il sopravvento, inoltre come altrove molti guardano e credono ai TG e seguono le pagine FB che aizzano contro gli stranieri… La valle è parte dell’Italia, con tutte le problematiche e le controversie che ne derivano.

Eppure, ciò viene spesso rimosso, e soprattutto nella narrazione tossica di questi giorni «Valsusa» coincide sic et simpliciter con «No Tav». Se qualcuno ha votato Lega, devono essere stati i No Tav, per forza!

Va rimarcato che ciò accade anche perché la minoranza di attivisti sa, quando è necessario, far pesare le proprie istanze e chiamare a sé la popolazione, come certificano le decine di manifestazioni di questi anni, o le elezioni locali che esprimono da decenni maggioranze No Tav… ma questo peso va proporzionato e contestualizzato.

«Ma i No Tav prima non erano grillini?»

Smentita la sentenza «i No Tav hanno votato in massa per Salvini», resta da esaminare la seconda parte del falso assioma, quella del «tradimento», ossia il fatto che i No Tav prima fossero grillini.

È un dato di fatto che negli anni passati una parte molto visibile del movimento No Tav abbia pensato, per svariate ragioni, di dare fiducia, o addirittura una delega, al Movimento 5 stelle, e che ciò abbia contribuito ad un risultato elettorale ottimo per i grillini sul territorio. Ma anche in questo caso, se andiamo oltre ai titoli e ai disegnini con la valle colorata tutta di giallo, possiamo notare che:

1. Sebbene ciò venga sistematicamente taciuto in Valsusa non c’è, né c’è mai stato un sindaco o una sindaca del movimento 5 stelle, sono praticamente tutti di liste civiche.

[E stupirà, ma molti sono anche vicini o tesserati al PD: nel voto locale più che agli astratti programmi dei partiti si guarda alle persone, e a ciò che hanno fatto per il territorio; molti dei primi cittadini si spendono e si sono spesi per la causa No Tav, alcuni di quelli ancora in carica parteciparono ad esempio alla Battaglia del Seghino o alla liberazione di Venaus tre lustri fa. Per alcuni di loro i pasdaran sìTav del PD torinese hanno più volte proposto l’espulsione dal partito, che però per molte ragioni sarebbe controproducente, e quindi la contraddizione è rimasta aperta, la spina è ancora nel fianco.]

2. Alle politiche del 2018 il M5S è stato indubbiamente il primo partito in Valsusa (parliamo sempre della Bassa Valle, ma in questo caso, stranamente, nessuno ha mescolato Bassa ed Alta valle, in cui i 5S non han sfondato), ma sono i comuni più piccoli ad avergli dato le percentuali più alte; nei centri più grossi è quasi sempre stato un testa a testa col centrodestra, ad Avigliana – il comune più popoloso della Valle – i grillini si sono ad esempio classificati secondi, a Susa hanno vinto ma di appena 2 punti e mezzo. Nell’uninominale sono stati eletti sia al senato sia alla camera i candidati del centrodestra e non quelli a 5 stelle. Una «vittoria grillina in Valle», sì, ma ai punti.

E adesso?

In quest’ultima fase pare che per buona parte del movimento No Tav sia finalmente evaporata l’idea di poter delegare la lotta.

Non interessa qui dire se i 5 stelle abbiano «tradito», se invece siano stati incapaci o se ancora sia impossibile, stretti tra i celeberrimi «poteri forti», ottenere un no all’opera per via istituzionale. Interessa piuttosto constatare che in un modo o nell’altro la scelta della delega – che in questo caso ha comportato per chi l’ha sottoscritta l’accettare in termini compromissori alleanze parafasciste, decreti inumani verso i migranti, repressione sociale, voltafaccia su Tap, Terzo valico, Passante di Bologna e altre grandi opere – non ha funzionato, nemmeno nelle chiave delle rivendicazioni territoriali del movimento No Tav.

Da qui, per tantissima parte degli attivisti, la rinuncia alla delega, il che si trasforma nei dati elettorali in un astensionismo molto forte e – per chi comunque ancora va a votare – nel ritorno al voto «normale», personale, spesso «di pancia», seguendo – per fortuna in maniera attenuata – le dinamiche del resto del paese.

Ma, ormai è un dato di fatto conclamato, le dinamiche della Valsusa sono costantemente sotto una lente di ingrandimento – una lente che deforma, piega, gira, ribalta, a seconda delle necessità del timoniere di turno. Il movimento No Tav se ne è fatto una ragione e continua per la propria strada, pervicace, conscio di aver talvolta sbagliato e talvolta fatto cose grandissime.

Il trucco è insistere, continuare a lottare, il più collettivamente possibile.

Mentre finiamo di scrivere questo pezzo, il senato mette ai voti, assieme ad altre cinque di opposta direzione, una «mozione No Tav» del Movimento 5 stelle; ennesimo – ma particolarmente grottesco – patetico tentativo dei grillini di salvare le apparenze con una parte del proprio elettorato, dopo aver aperto porte e portoni al proseguimento dell’opera; non sappiamo se la cosa avrà ripercussioni sull’alleanza di governo, ma siamo sicuri che per la questione Tav non sarà di alcun peso. C’è da augurarsi almeno che questa pantomima, che vede i grillini impegnati a recitare la parte di chi lotta contro l’opera ma «nulla può», allontani anche gli ultimi No Tav dalle fatue promesse pentastellate.

In questi ultimi giorni sono però accadute due altre cose che interessano, e non poco, la Valle.

■ Il «Decreto Sicurezza bis» è passato con 56 voti della Lega, 102 del Movimento 5 Stelle, più qualche libero battitore. È una legge indegna, liberticida, antimigranti, che dà poteri smisurati sui confini al ministro dell’interno. Ha avuto meno eco il fatto che alcune norme paiano cucite addosso al movimento No Tav: già nel primo decreto sicurezza si reintroduceva il reato di blocco stradale e ferroviario (da 1 a 6 anni di carcere), ora si aggiungono la rilevanza penale dell’avere con sé in manifestazione protezioni passive (tipo una mascherina, da 2 a 3 anni di carcere) e il reato di esplosione di fuochi d’artificio (da 1 a 4 anni di carcere), tutte pratiche storicamente adottate dai No Tav. L’impressione è quella di un accanimento mirato contro il movimento.

■ Il presidente della Regione Piemonte, Cirio, ha convocato un «incontro aperto della Giunta per discutere di Tav» per venerdì prossimo a Chiomonte, a due passi dal dormiente cantiere; vi ha invitato le «madamine» [sì, ad un consesso formale, saranno addirittura relatrici], nonché diciassette Comuni interessati dal progetto To-Ly.


La cosa gravissima è questa: nell’invito Cirio scrive – e i giornali fedelmente riprendono – che questi Comuni han firmato il «Patto per il Territorio», un testo che di fatto accetta l’opera e alcune compensazioni. Il documento, come si può leggere in originale qui, non è stato firmato da nessun comune, riporta solo le sigle di Chiamparino, Foietta (Osservatorio istituzionale sul Tav) e Virano (Telt, la ditta incaricata di eseguire l’opera).

In un contesto politico normale un falso del genere non potrebbe passare in cavalleria, ma sull’argomento tav, lo sappiamo da tempo, vale tutto. Comunque venerdì i Comuni convocati – fatti salvi quei due o tre siTav che certo saranno in prima fila pronti a lanciarsi su ogni briciola che verrà loro lanciata – diserteranno la provocatoria riunione. La Valle ci sarà, fuori dal palazzo, in strada, a difendere ancora una volta il proprio territorio.

Davide Gastaldo è consigliere comunale a Mompantero, dove – come nella grande maggioranza dei comuni valsusini – c’è un’amministrazione No Tav. È autore dei libri Pantren. Schegge di tremila anni di storia incastrate nelle pietre di Mompantero (Il Graffio, 2019) e, con Mariano Tomatis e Filo Sottile, Il codice Dell’Oro. Sulle tracce del tesoro del Rocciamelone (Tabor, 2018). Segui Davide su Twitter.

Wu Ming 1 è autore di svariati reportages dal cuore della lotta No Tav, usciti su Internazionale e Nuova Rivista Letteraria, e del libro Un viaggio che non promettiamo breve. Venticinque anni di lotte No Tav (Einaudi, 2016).

Tav, bocciata la mozione M5s. Ok a tutte quelle per il Sì all’opera

http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2019/08/07/tav-senato-governo-lega-m5s-pd_03333ca9-c918-4aed-a586-f6e13d053f40.html

Quella di Forza Italia ottiene un voto in più

La Tav spacca il governo: le mozioni sulla Torino-Lione arrivano nell’Aula del Senato per il voto. Bocciata la mozione dei Cinquestelle No Tavpassano tutte le altre mozioni a favore dell’opera: il Senato ha approvato quella del Pd con 180 sì, 109 contrari e un astenuto. La mozione Bonino ha ottenuto 181 sì, 107 no e un astenuto. Quella di FdI è passata con 181 sì, 109 no e un astenuto. Infine quella di FI ha preso un voto in più ottenendo 182 voti favorevoli, 109 no e 2 astenuti. Il ministro Toninelli all’ANSA: ‘Ho votato No, avanti sereno’.

La mozione del M5s contraria alla Tav è stata bocciata dal Senato con 181 no, mentre i voti favorevoli sono stati 110.

Governo diviso su Tav in Senato, la maggioranza si spacca

SCHEDA – Trenta anni di storia Tav, tra stop e battaglie

Al Senato era presente il vicepremier Matteo Salvini che ha cancellato l’iniziativa politica a Sabaudia (Latina) prevista in mattinata, prima tappa del suo tour agostano nel centrosud e il comizo ad Anzio (Roma) nel pomeriggio, sarebbe confermato invece l’evento a Sabaudia in serata. Anche il vicepremier Luigi Di Maio era presente in Aula. Si è seduto accanto ai ministri 5s Riccardo Fraccaro e Danilo Toninelli. Al momento dell’ingresso in Aula di Di Maio, l’altro vicepremier, era fuori. Al rientro, fra i due vicepremier non c’è stato alcun cenno di saluto.

La seduta del Senato ha dimostrato in maniera assolutamente evidente che il governo non ha più una maggioranza – ha scritto in una nota il segretario nazionale del Pd Nicola Zingaretti –. Il presidente Conte si rechi immediatamente al Quirinale dal presidente Mattarella per riferire della situazione di crisi che si è creata. L’Italia ha bisogno di lavoro, sviluppo, investimenti e ha bisogno di un governo che si dedichi a questo e non ai giochi estivi di Salvini e Di Maio contro gli italiani”.

“Sono a favore della Tav ma ho votato per disciplina del gruppo, perché politicamente sarebbe stato molto più utile uscire dall’Aula“, ha detto il senatore del Pd Luigi Zanda, esprimendo dissenso sulla linea scelta dal gruppo in Aula. “Uscire poteva aiutare a fare emergere con più forza l’incompatibilità ormai conclamata tra Lega e M5s: c’erano ministri della Lega da una parte e M5s dall’altra. Ma sarebbe stato utile uscire dall’Aula anche per noi perché non mi è piaciuto vedere il voto Pd accostato a Lega, Fi e Fdi”.

E Beppe Grillo replica, via Facebook, al leader No Tav: “La pacatezza ostentata non cambia il senso alle parole che ha usato: tradimento. Il MoVimento vi ha tradito, ha tradito la Val di Susa, i No Tav e sopratutto Alberto Perino. Tradire significa qualcosa come passare dalla parte dell’avversario. La sua è una pacatezza ipocrita che fa l’occhiolino a chi si è dimenticato cosa significhi quella parola. Non avere la forza numerica per bloccare l’inutile piramide non significa essersi schierati dalla parte di chi la sostiene”. E’ stata convocata, già prima dell’inizio della seduta del Senato sulle mozioni Tav, un’assemblea dei senatori M5S questo pomeriggio. La riunione precede l’assemblea congiunta che si terrà alle 21, con il capo politico Luigi Di Maio. “Oggi in assemblea congiunta non si discuterà della tenuta del governo ma verranno affrontati altri punti in vista della riorganizzazione avviata”. Lo sottolineano fonti parlamentari M5S in vista della riunione.

LA CRONACA DELLA GIORNATA DALL’AULA DI PALAZZO MADAMA

Il governo è diviso in Aula: nel momento in cui la presidente del Senato, Elisabetta Casellati, dà la parola al governo per esprimere i pareri sulle mozioni sull’Alta velocità Torino-Lione, prima di passare alle dichiarazioni di voto, per primo interviene Massimo Garavaglia, leghista e viceministro al Mef, che dà parere favorevole alle mozioni che dicono sì alla Tav, mentre il sottosegretario Vincenzo Santangelo (M5S) si rimette all’Aula. “La mia – precisa Garavaglia – è una replica in cui ho dato il parere del governo dalla parte nostra”.

Tav: governo diviso, esprime pareri opposti in Aula

“Abbiamo portato il Tav in Parlamento e sono venuti allo scoperto! Ma la cosa più ridicola è che la Lega li sostiene dopo che il Pd ha presentato una mozione di sfiducia su Salvini. L’inciucio è servito! Aprite gli occhi!”, aveva scritto su Facebook in mattinata il Movimento 5 stelle, commentando l’annuncio del capogruppo leghista Massimiliano Romeo del sì a favore di tutte le mozioni pro-Tav inclusa quella del Pd.

“Gli insulti di Renzi, della Boschi e del PD mi divertono, gli attacchi quotidiani dei 5Stelle mi dispiacciono. Come si fa a lavorare così?”, aveva detto su Twitter Matteo Salvini commentando un’intervista in cui Danilo Toninelli lo definisce “un nano sulle spalle di giganti che lavorano”.

“La posizione della Lega è nota sulla Tav da tempo, invitiamo a votare a favore di tutte le mozioni che dicono sì alla Tav, e contro chi blocca il Paese”, così intervenendo in Aula al Senato il viceministro all’Economia Massimo Garavaglia cui è stata data la parola a nome del governo ma che poi ha espresso la posizione del suo partito.

“Il governo si rimette alla decisione dell’Aula”, ha detto il senatore e sottosegretario alla presidenza del Consiglio ai rapporti col Parlamento, Vincenzo Santangelo (M5s).

“Il M5S sta deflagrando e sta andando in mille pezzi – scrive in una nota la vicesegretaria del Pd Paola De Micheli –. Oggi voteranno in Senato contro il loro governo e contro il loro premier. Di Battista lo dice chiaramente: la mozione contro la Tav presentata da Di Maio e dal M5S è stata presentata per aprire la crisi di governo. Sono ridicoli e in confusione mentale. In tutto questo il premier Conte si rifugia in un silenzio assordante che ci auguriamo finisca un minuto dopo il voto al Senato presentandosi al Quirinale”.

La mozione M5s impegna il parlamento e non il governo, ma la questione politica resta. Se fate parte del governo dovete essere a favore della Tav”, ha spiegato in Aula il senatore leghista Massimiliano Romeo. “Potremmo condividere la questione identitaria ma se fate parte del governo e il presidente del Consiglio ha detto sì dovete essere a favore della Tav, non ci sono alternative”. “Su un tema così importante avere due partiti di maggioranza, uno che vota in un modo e l’altro in un altro, pone sul tavolo una questione politica chiara e evidente: chi vota no alla Tav si prenderà la responsabilità politica delle scelte che seguiranno nei prossimi giorni e mesi”.

“Ci sono troppi ostacoli che impediscono a questo governo di crescere. Noi vogliamo andare avanti, non indietro”, ha detto il senatore della Lega Massimiliano Romeo.

“La cosa surreale è dimenticarsi che questa è una repubblica parlamentare e non un premierato“, ha detto il senatore Stefano Patuanelli del M5s durante le dichiarazioni di voto sulla Tav.

Breve nota su votazione in senato mozione Tav

http://www.notav.info/post/breve-nota-su-votazione-in-senato-mozione-tav/?fbclid=IwAR0hFQoTNPODGHtl7G1hwClX9svBArFZ9xbxlfixE006jx6jdO-Aug36EVQ

notav.info

post7 Agosto 2019 at 13:41

La votazione in Senato sulle diverse mozioni Tav presentate quest’oggi si è conclusa da poco. Quelle dei 5 stelle, contrarie all’opera, sono state bocciate. Approvate, invece, quelle a favore del partito del tondino e del cemento, che ha ricevuto un quanto mai scontato appoggio bipartisan.

Di questa sceneggiata ne avremo fatto volentieri a meno, lo abbiamo dichiarato giorni fa, poiché l’esito era scontato e non ci interessa francamente spenderci troppo parole. Giochi di palazzo e poltrone, equilibrismi e fanatismi li lasciamo volentieri ad altri. La storia, lo sappiamo, relegherà ognuno al posto che merita.

Questo teatrino costruito sulla nostra pelle si svolge mentre decine di fogli di via vengono notificati ancora in questi minuti da carabinieri e polizia a tanti della valle che quotidianamente si spendono nelle iniziative di contrasto all’opera devastatrice.

Continuiamo da noi.  Da un cantiere di fatto fermo da oltre 400 giorni grazie alla nostra opera costante di presidio ed iniziativa, da dei lavori di allargamento che sfidiamo Salvini a far partire, così da poter toccare con mano cosa significa cantierizzare un territorio ostile.

La nostra storia, sui sentieri e nelle piazze, nei presidi e nelle assemblea, nei mercati e tra la gente la scriviamo noi.

Ci vediamo nella valle che Resiste!

Ven 9/8, la banda del buco a Chiomonte. Noi ci saremo!

agendapost — 7 Agosto 2019 at 00:22

Venerdì la banda del buco verrà a Chiomonte, lo ha annunciato il neo presidente della regione Cirio che cerca di ritagliarsi qualche spazio di notorietà in un film visto e rivisto.

La pellicola de “La banda del buco” racconta infatti dei tanti politicanti che in questi decenni hanno provato ad usare la nostra valle e le nostre vite come trampolino per mediocri carriere politiche, paghi di servire il leader di turno o il fenomeno mediatico del momento.

Una giunta regionale allargata, a cui sono invitati i sindaci del “patto del territorio”, alla quale si uniranno le Madamine dell’Onda (infranta mestamente sugli scogli terminate le sponsorizzazioni giornalistiche) e Mino Giachino reduce da una cocente delusione elettorale. Attesi anche Foietta e Virano, personaggi legati a doppio filo a tutto il sistema del Tav e dei suoi interessi.

Fa quasi tenerezza il teatrino messo in campo, il cui costo graverà sulle tasche dei cittadini che lavorano per arrivare a fine mese, poiché questa sciocca provocazione avverrà in un contesto di militarizzazione, l’ennesima, del nostro territorio.

Noi, come sempre, ci saremo!

Appuntamento ore 12,30 in Piazza a Chiomonte.

Tav, il tunnel ad alta velocità (nel nulla)

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2019/08/07/tav-il-tunnel-ad-alta-velocita-nel-nulla/5373019/?fbclid=IwAR09dicXv5_AMS7-3kg4yEaNQcKtQ_u-xUwJPnryHg0oTiKNFXr4G2rccts

di  | 7 AGOSTO 2019

I francesi chiamano in maniera corretta Tgv il treno ad alta velocità e Lgv le linee che il medesimo può percorrere sfruttando le sue potenzialità. Il primo acronimo sta infatti per Train à Grande Vitesse e il secondo per Lignes à Grande Vitesse. In Italia potremmo tranquillamente convertire i due acronimi in Tav e Lav invece usiamo Tav per identificare il progetto Torino-Lione che è una linea anziché un treno, non è ad alta velocità e non è pensata prioritariamente per i passeggeri bensì per le merci che come tutti sanno non han bisogno di viaggiare ad alta velocità e le poche che ne han bisogno non sono in grado di riempire treni. In Francia infatti, Paese di arrivo della Torino-Lione, le linee ad alta velocità sono state pensate esclusivamente per i passeggeri e i treni merci non vi hanno mai circolato. Ma in realtà quella di cui si sta parlando in questi giorni e che sarà oggetto di dibattito parlamentare nella settimana entrante non è neppure una linea ma solo un suo frammento limitato anche se costosissimo da realizzare: il tunnel sotto le Alpi di 57 km tra Bussoleno in Italia e St. Jean de Maurienne in Francia che è gran parte della tratta transfrontaliera assegnata in concessione di costruzione ed esercizio alla società pubblica binazionale Telt. Tutto ciò che viene prima dal lato italiano e soprattutto quello che viene dopo dal lato francese è totalmente al di fuori del dibattito corrente.

Non stiamo dunque parlando dell’intera linea tra Torino e Lione, che al momento misura 300 km di lunghezza, ma di un tunnel che ne rappresenta solo un quinto. Siamo di fronte a una sorta di sineddoche edilizia: la parte viene usata e dibattuta come se si trattasse del tutto, tuttavia nascondendo all’opinione pubblica che i costi della parte sono solo una frazione dei costi del tutto e propagandando i vantaggi sovrastimati del tutto senza precisare che si realizzeranno solo in quota molto ridotta con la costruzione della singola parte. È come se si volesse far credere che disporre di una cover equivale a disporre di uno smartphone perfettamente funzionante. Se a praticare questo giochino non fossero forze politiche ma imprese commerciali interverrebbe subito l’Antitrust ad applicare le sanzioni per pubblicità ingannevole.

Al fine di rimuovere per quanto possibile i rischi della disinformazione ai danni dell’opinione pubblica conviene pertanto far due conti molto semplici sui costi e sui benefici della parte. Quanto costa la tratta transfrontaliera? Per i lavori di costruzione si parte da una stima ufficiale di 8,6 miliardi, rivalutata dal nostro Cipe in 9,6 miliardi. Essa non comprende i costi sinora sostenuti per studi, progettazione e lavori preliminari pari almeno a 1,4 miliardi, pertanto arriviamo a un totale di 11. Si tratta di stime ex ante che vanno prese con beneficio d’inventario considerando che nessuna grande opera nota, a livello sia italiano che internazionale, ha mai rispettato le previsioni. Poiché lo scarto ha mediamente sfiorato il +50%, è ragionevole prevedere un costo finale di 16 miliardi. Ed esso è riferito non all’intera linea Torino-Lione ma solo al Tunnel ad Alta Velocità (ecco scoperto cosa vuol dire Tav…) sotto le Alpi? Quali vantaggi vi saranno in cambio? Per i passeggeri da Milano e Torino verso Lione e Parigi una riduzione dei tempi di percorrenza stimabili in 20-30 minuti, solo la metà del risparmio che si potrebbe ottenere già ora a costo zero se i Tgv dell’azienda francese Sncf, l’unica a coprire il collegamento, utilizzassero tra Milano e Torino la linea italiana ad alta velocità anziché quella tradizionale. Se per ipotesi la concessione venisse tolta a Telt e affidata a Mago Merlino e per magia domattina vi fosse non solo il tunnel ma tutta la Torino-Lione ad alta velocità perfettamente in funzione non vi sarebbe alcun treno ad alta velocità in grado di percorrerla in quanto quelli francesi non sono omologati in Italia e quelli italiani non sono omologati in Francia. Dovrebbero pertanto continuare a usare le linee vecchie. Evidentemente i treni ad alta velocità non hanno per i decisori pubblici altrettanta rilevanza delle linee infrastrutturali che essi dovrebbero usare.

Per i treni merci il risparmio di tempo, più piccolo perché non vanno alla stessa velocità dei passeggeri, sarebbe comunque irrilevante, tuttavia avrebbero il vantaggio dell’eliminazione dell’attuale pendenza e del non dover far ricorso alla doppia o tripla trazione se superiori a un certo peso. Ma stiamo comunque parlando di dieci treni attuali al giorno per direzione, uno in media ogni circa due ora e mezza. Per ottenerne di più bisognerà comperare più prodotti francesi e vendere ai francesi più prodotti italiani oppure sottrarre traffico ai trafori stradali. Ma per quali ragioni le merci dovrebbero spostarsi spontaneamente al ferro dalla gomma, assai più flessibile organizzativamente? Questo i sostenitori del tunnel non hanno ancora saputo spiegarlo.

di Ugo Arrigo

Dal Vajont alla Val di Susa: quando l’interesse sacrifica l’uomo

http://www.mardeisargassi.it/dal-vajont-alla-val-di-susa-quando-linteresse-sacrifica-luomo/?fbclid=IwAR2VwbzqCOwM57oC0zstzChhysTasUFN3w5kxO1eyZ8PmFER5atT8OyCxo0

Val di Susa

È da giorni ormai che i tg, i giornali, le radio, il web e persino qualche piccione viaggiatore portano notizie di scontri, denunce e arresti avvenuti a danno di attivisti NO TAV in Val di Susa: turbano l’ordine pubblico ma, forse, soprattutto il sonno di qualche comitato d’affari che vede nella realizzazione dell’opera l’opportunità speculativa di far gonfiare a dismisura le proprie tasche a danno di un’intera popolazione, quella che vive in valle, che invece sente l’opera sulla sua pelle come una profonda ferita inferta al paesaggio, nonché alla propria salute come a quella delle future generazioni che in quei luoghi vorranno continuare a vivere o arrivare.

Di fronte a tutto questo, però, il governo italiano ha gettato la spugna e, rimettendo il proprio giudizio a quello di un Parlamento a dichiarata trazione SI TAV, ha candidamente rinunciato a difendere quelle volontà umane di cui è pur sempre in parte espressione, facendosi di contro portatore di interessi estranei a quelli di chi oggi è stato nuovamente lasciato solo a difendersi e a difendere tutti noi da forme di invasione tanto apparentemente disarmata quanto disarmante.

La Val di Susa è da sempre territorio di scontri e passaggi: da Annibale e i suoi leggendari elefanti ai Germani, ai Longobardi, ai Franchi, ai Cimbri che scesero fino ai Campi Raudii, nei pressi di Vercelli, per poi essere cacciati via dai Romani che li spinsero lungo tutta la Pianura Padana fin sulla linea del Piave dove, trovata una valle stretta, quella del Vajont, decisero di stabilirsi, iniziando così a viverci per generazioni, fino al tragico evento risalente al 9 ottobre del 1963 in cui una frana di proporzioni colossali scaricò nel lago artificiale ivi costruito 263 milioni di mᶟ di roccia facendo esondare, oltre il ciglio della diga, realizzata a regola d’arte e ancora oggi perfettamente in piedi, un volume pari a circa 50 milioni di mᶟ d’acqua che spazzarono via per sempre dalla faccia della Terra 2mila anime volate via nel firmamento insieme ai cherubini e tutta la teoria celeste. Ma cosa c’entra la vicenda del Vajont con le questioni tuttora aperte, legate alla costruzione o meno di una grande opera come il TAV Torino-Lione?

Oggi come allora, siamo in una valle evidentemente chiamata a far fronte a un’invasione, nello specifico a un’invasione di campo della tecnica (economico-finanziaria) a danno della democrazia. Lo aveva ben compreso a suo tempo la grande Tina Merlin che denunciò tale pericolo in relazione alla costruzione della diga sul torrente Vajont, appunto, attraverso le pagine del giornale per cui scriveva, l’Unità, quello fondato da Antonio Gramsci e distrutto dal PD. Per aver mosso suddetta denuncia, la Merlin fu accusata da parte della SADE (Società Adriatica di Elettricità) di aver pubblicato notizie false e tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico. I fatti però, a seguito del processo lampo tenutosi a Milano, diedero ragione alla giornalista partigiana che trovò purtroppo confermate le sue preoccupazioni nell’apocalisse che segnò quei territori, ma non la memoria dell’intero Paese a discapito o a presunto beneficio del quale i media, come i libri di storia, non raccontarono praticamente nulla fino a quando un uomo di teatro, Marco Paolini, non costrinse tutti, con il suo magistrale Racconto del Vajont, a buttar giù la maschera e a toglierci il cappello in segno di rispetto per quei morti, vittime di un’autentica strage causata dall’azione criminale dovuta agli interessi privati di soggetti grandi ed economicamente forti al punto tale da configurarsi come un vero e proprio Stato nello Stato. Ecco, dunque, il punto di contatto tra ieri e oggi: quella che si sta esercitando contro la costruzione del TAV è, infatti, una vera Resistenza di popolo, quello di una valle che non vuol vedersi espropriare sotto il naso, esattamente come i contadini del Vajont, il proprio diritto a restare, adesso come in futuro, opponendosi a un invasore che non si chiama di certo SADE né ENEL, ma UE. Il senso di un tale parallelismo è presto dimostrato.

All’epoca, la minaccia era rappresentata dall’esigenza di rispondere a impellenti processi di nazionalizzazione della produzione energia, consentendo a una moltitudine di soggetti privati (come il Conte Volpi di Misurata, proprietario della SADE e fascista fino all’8 settembre del ’43) di dismettere i propri gioielli industriali e dislocare le proprie rendite in giro per il mondo, segnatamente in Svizzera, attraverso forme di vendita a uno Stato foraggiato ad arte tramite programmi di erogazione controllata di risorse, passate successivamente alla storia con il nome di Piano MarshallOggi, l’impellenza dei processi di ammodernamento del Paese è invece di natura internazionale. Il super-Stato investito del ruolo di compratore d’ultima istanza di qualunque grande innovazione tecnico-infrastrutturale realizzata da parte di soggetti privati (organizzazioni criminali incluse, dal momento che pecunia non olet) si chiama Unione Europea, là dove l’erogazione controllata di risorse, drenate direttamente dalle tasche dei cittadini e fatta passare attraverso un sistema bancario indipendente dal controllo delle istituzioni democratiche, si chiama Programmazione Economico-Finanziaria, tutta calibrata intorno alle strategie dei condomini più forti (tra cui la Francia) del falansterio fourierista che condividiamo con altri 27 vicini, non sempre facili da mettere d’accordo gli uni con gli altri.

Mutatis mutandis, dunque, il meccanismo speculativo è il medesimo benché il livello sia stato elevato dalla scala nazionale a quella internazionale e le risorse derivino non più da improbabili Piani Marshall, ma direttamente dai bilanci degli Stati membri. Per quanto sia cambiato il pelo, allora, il vizio e l’appetito del lupo sono quanto mai antichi e in costante attesa di essere soddisfatti a danno delle stesse prede, ovvero i cittadini, che un tempo venivano conquistati, oggi invece semplicemente tassati, precarizzati e, se possibile, sradicati.

Sic stantibus rebus, ciò che resta da fare a un popolo che vuole continuare a conservare la propria dignità e il sacrosanto diritto a scongiurare la perdita in via definitiva di qualunque forma di sovranità, è agire in termini di boicottaggio (di qualunque orpello, prodotto o servizio – inclusa la grande distribuzione – provenga d’Oltralpe), come il poeta e scrittore napoletano Erri De Luca ci ha insegnato, quale forma di difesa non violenta contro l’attacco esercitato da forze esterne che hanno come obiettivo quello di turbare non semplicemente l’ordine pubblico, bensì l’ordine naturale di tutte quelle cose riscontrabili nella storia, nella lingua, nella cultura, nelle consuetudini di persone che abitano quel territorio costituendosi in comunità da sempre capaci di comprendere i luoghi in cui vivono e che per tale ragione oggi recriminano un ascolto negato loro, esattamente come accadde ai 2mila morti travolti dall’onda anomala generata dalla frana del Vajont quel maledetto 9 ottobre 1963.

Insomma, poter produrre autonomamente energia, così come potenziare le reti di comunicazione e trasporto – magari soprattutto al Sud, dove ancora oggi in alcune regioni ci vogliono 9 ore e 40 minuti per percorrere 200 km – di un Paese che aderisce a modelli di sviluppo fondati su logiche e dinamiche di libero mercato è strategico e dunque imprescindibile, ma questo non può essere frutto dell’ipocrisia di speculazioni private che operano deliberatamente a danno dell’interesse generale per spedire merci, in senso per lo più unidirezionale Francia-Italia, a velocità ancor più alte rispetto a quelle già sufficientemente elevate con cui normalmente ci inondano di servizi e beni e(s)tero-prodotti. Prima ancora che l’analisi costi-benefici del Prof. Ponti, è la nostra Costituzione a ricordarcelo all’articolo 41L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. 

Questo è ciò che da sempre esigono le popolazioni della Val Susa, non solo per mezzo di azioni riconducibili a gesti eclatanti come il taglio delle reti presso i cantieri di Chiomonte, dei cavi dell’alta tensione o tramite l’opposizione fisica, sempre raccontata come guerriglia passivamente esercitata contro la presenza delle forze dell’ordine, ma anche attraverso l’organizzazione di eventi come tornei di rugby a sostegno della valle, Festival ad Alta Felicità o semplici marce pacifiche, capaci di generare coinvolgimento e condivisione delle motivazioni che spingono i valligiani a lottare da vent’anni, senza arretrare di un solo millimetro dalle loro posizioni.

E poco importa se sul TAV cadrà l’ennesimo governo di un Paese completamente impiccato a logiche da pareggio di bilancio, quel che non deve mai cadere è la democrazia e i principi su cui si fonda, come ad esempio il rispetto delle minoranze, costitutive insieme alle maggioranze di un corpo sociale unico, che quando viene ferito genera un dolore duro da sopportare in egual misura per tutti. Sfregiare la Val Susa vuol dire sfregiare il volto dell’Italia intera. 

È piuttosto nota quella poesia, attribuita a Bertholt Brecht, che recita: Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare. Non dimentichiamolo, altrimenti si che a sarà düra… per tutti!