BULC: “AVANTI CON LA TORINO-LIONE. I RITARDI METTONO A RISCHIO I FONDI DELL’UNIONE EUROPEA”

La commissaria ai Trasporti: «In gioco 800 milioni di prestiti. Confido che Francia e Italia porteranno a termine il progetto»

Violeta Bulc, commissaria europea ai Trasporti

Pubblicato il 17/02/2018
MARCO BRESOLIN
INVIATO A BRUXELLES

Venerdì i 27 leader Ue si troveranno a Bruxelles per iniziare le trattative sul prossimo bilancio europeo post-2020. Con l’uscita del Regno Unito ci saranno meno soldi sul piatto e nuovi capitoli di spesa da finanziare. Alcuni andranno sacrificati. Violeta Bulc, commissario europeo ai Trasporti, lancia un appello per salvaguardare i finanziamenti destinati ai progetti infrastrutturali già avviati. Tra questi c’è anche la Torino-Lione. Per il tunnel di base servono in totale 8,6 miliardi di euro: l’Ue ha già fatto la sua parte nel primo lotto da 1,9 miliardi, con un finanziamento da 813 milioni di euro. Soldi a oggi “blindati”, ma a patto che le titubanze mostrate nei mesi scorsi sul versante francese non riemergano, causando ulteriori ritardi: in quel caso anche i fondi europei già stanziati potrebbero essere a rischio. 

La Commissione ha presentato le sue proposte per il prossimo bilancio e tra le vostre priorità c’è la Tav.  

«La Torino-Lione è il tipico progetto che sarebbe difficile da realizzare senza l’Ue. Non è solo un progetto transfrontaliero tra Francia e Ue, ma ha un’importanza decisiva per l’intero mercato unico europeo perché è parte del corridoio Mediterraneo, uno dei nove corridoi che connettono i Paesi Ue». 

Recentemente, però, sono emerse alcune perplessità, soprattutto a Parigi. Poi Macron ha corretto il tiro. Oggi qual è lo stato dell’arte?  

«Sono incoraggiata dagli ultimi impegni presi da Francia e Italia che hanno annunciato di voler proseguire con i lavori. Ho fiducia che entrambi i Paesi portino a temine il progetto». 

Altrimenti c’è il rischio di perdere parte degli 813 milioni di euro già stanziati? 

«Non è mia intenzione fare minacce perché non credo sia utile. Ma certamente ci sono delle regole e noi faremo una valutazione di tutti i progetti finanziati dalla Ue: all’inizio del prossimo anno, poi, proporremo eventuali modifiche nelle dinamiche di finanziamento. Voglio comunque ribadire che siamo pronti a sostenere il progetto a impegnarci con tutti gli attori in gioco per fare in modo che i lavori vengano eseguiti in tempi ragionevoli. A oggi non ho dubbi, ma staremo a vedere». 

Mai dare nulla per scontato?  

«Francia e Italia mi hanno assicurato che gli impegni, presi anche ai livelli più alti, saranno mantenuti. Ma non vuol dire che smetteremo di vigilare: non bisogna mai abbassare la guardia. Continueremo a monitorare la situazione da vicino».  

Resta l’opposizione di chi contesta la Tav e in particolare delle comunità locali: come giustifica davanti a loro la necessità di quest’opera?  

«Dicendo che è fatta con l’obiettivo di provocare il minor impatto ambientale. Poi li inviterei a vedere i benefici Ue: nessuna economia locale può avere successo se isolata dal resto. La connettività è un simbolo di forza. E c’è anche la questione inquinamento, destinato a diminuire con l’incremento del trasporto su ferro». 

Il prossimo bilancio dell’Ue rischia di essere più magro, serviranno tagli: quali rischi per la Tav?  

«Stiamo invitando gli Stati a riconoscere l’importanza dei nove corridoi e quindi a mantenere gli impegni. Per completare questa rete di infrastrutture servono 500 miliardi entro il 2030. Vogliamo che i progetti per le reti ferroviarie siano al centro del prossimo bilancio». 

Anche se c’è il rischio che vengano scavalcati da altre priorità…  

«Ci sono nuovi bisogni da finanziare, come la gestione dei flussi migratori, la sicurezza, la difesa. Abbiamo messo sul tavolo diverse opzioni, spetta agli Stati stabilire le priorità. Tenendo ben presenti le possibili conseguenze negative legate ai ritardi nelle discussioni. Per questo serve un bilancio in tempi rapidi, con obiettivi chiari». 

WHAT IS MEXICO TO RUSSIA? – LAVROV INTERVIEW TO THE MEXICAN NEWSPAPER EXCÉLSIOR AND SPANISH RT (THE MOSCOW – MEXICO RELATIONSHIP DEEPENS II)

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Luc MICHEL pour EODE/

Quotidien géopolitique – Geopolitical Daily/

2018 02 17/

LM.GEOPOL - Mexico russia relations II (2018 02 17) ENGL 1

We mentioned a week ago the arrival of Russia in Mexico and its geopolitical implications. Here we give the Russian point of view through a recent interview given by Russian Foreign Minister Lavrov to the Mexican newspaper ‘ Excélsior ‘ last November.

Russia formally established diplomatic relations with Mexico back in 1890. In August 1924, Mexico became the first country in the Americas to establish relations with the Soviet Union.

* See on LUC MICHEL’S GEOPOLITICAL DAILY/ THE MOSCOW – MEXICO RELATIONSHIP DEEPENS. OR HOW RUSSIA INVITES ITSELF INTO THE DISPUTE BETWEEN MEXICO AND THE USA OF TRUMP …

on http://www.lucmichel.net/2018/02/09/luc-michels-geopolitical-daily-the-moscow-mexico-relationship-deepens-or-how-russia-invites-itself-into-the-dispute-between-mexico-and-the-usa-of-trump/

* Résumé français :

Nous évoquions il y a une semaine l’arrivée de la Russie au Mexique et ses implications géopolitiques. Nous donnons ici le point de vue russe au travers d’une récente interview donnée par le Ministre russe des Affaires étrangères Lavrov au journal mexicain ‘Excélsior’ en novembre dernier. « Le développement constant de la coopération avec le Mexique fait partie intégrante de notre politique de renforcement de l’interaction avec les pays de l’ALC. Le président russe Vladimir Poutine et le président mexicain Enrique Peña Nieto ont discuté des possibilités de renforcer la coopération bilatérale dans différents domaines lors d’une réunion en marge du sommet des BRICS à Xiamen, en Chine, en septembre de cette année », précise Lavrov. La Russie a officiellement établi des relations diplomatiques avec le Mexique en 1890. En août 1924, le Mexique est devenu le premier pays des Amériques à établir des relations avec l’Union soviétique …

# LAVROV ON THE RUSSIA-MEXICO RELATION

Beside his interview with ‘Excélsior’, Minister Lavrov spoke too on this topic to RT. “Russia enjoys warm relations with Mexico including trade and high-tech investments, and even cooperation in the UN and G20. And all of this is without Moscow meddling in Mexican elections,”

Russia’s foreign minister joked.

Speaking to RT Espanol’s Aliana Nieves, Sergey Lavrov said “recent developments in Latin America, where some leftist governments were forced out or were defeated by right-wing parties, did not affect the region’s relations with Russia. Some countries have elections approaching, but Moscow again does not see much of a change there,” he said.

On the topic of ties with Mexico, which is set to hold general elections in 2018, Russia’s top diplomat adopted a less serious tone :

“Now, as far as Mexico is concerned, again, we don’t see any ‘Russian factor’ in the Mexican elections. Nobody accuses us of meddling in this country,” he said sarcastically, referring to the array of allegations that Russia played a role in the 2016 US elections, the

2017 German elections and a number of other votes.” Taking a more serious line, he added: “We have very good plans for developing our cooperation with Mexico, including trade, investments, civil aviation and a number of other high-tech industries.” Meanwhile, Moscow has “never seen any single fact from the governments which accuse us of meddling in their internal affairs,” Lavrov stressed.

Positive changes are underway in Venezuela, where the government and opposition have engaged in talks, the minister added. “If nobody intervenes in this process, I think they can work out an agreement… Some people start whispering things into the ears of the opposition, asking them, encouraging them to take a tougher stance [against the government],” according to the Russian diplomat.

# FOREIGN MINISTER SERGEY LAVROV’S INTERVIEW WITH THE MEXICAN NEWSPAPER EXCÉLSIOR (PUBLISHED 17 NOVEMBER 2017)

Excerpt on the Russia-Mexico relation …

Question:

What is Mexico to Russia? Are there plans for more ambitious bilateral economic and political relations? What are the possibilities for signing a trade agreement in the short or medium term?

Sergey Lavrov:

Mexico is Russia’s traditional partner in Latin America and the Caribbean (LAC), relations with which go centuries back. This year we will mark two dates, the 127th anniversary of our diplomatic relations together with 20 years since the signing of the Declaration on Principles for Relations and Cooperation between our states.

The consistent development of cooperation with Mexico is an integral part of our policy for strengthening interaction with the LAC countries. President of Russia Vladimir Putin and President of Mexico Enrique Peña Nieto discussed possibilities for building bilateral cooperation in various spheres during a meeting on the sidelines of the BRICS summit in Xiamen, China in September this year.

Our peoples are bound together by friendship, trust and sympathy, and our humanitarian and cultural ties include numerous contacts between our citizens. Back in the early 20th century, famous Russians, including ballet dancer Anna Pavlova, poet Vladimir Mayakovsky, film director Sergey Eisenstein as well as scientist Nikolai Vavilov visited Mexico. Russian ethnographer Yury Knorozov is famous for deciphering the Maya script. Russians love works by the unique Mexican Muralists Diego Rivera, Jose Clemente Orozco and David Alfaro Siqueiros.

Last year, Russian-Mexican trade amounted to $1.4 billion. We are implementing large investment and infrastructure projects. Mexico’s Interjet owns 22 Sukhoi Superjet 100 passenger liners. We have taken note of positive trends in our energy cooperation where the Russian parties are the state-owned Rosatom and the privately owned LUKOIL. We welcome the energetic work of our Mexican partners in Russia. In particular, Nemak opened an automobile components plant in the Ulyanovsk Region in September 2015, and Gruma International Food launched production in Russia in September 2017. Of course, our trade and investment ties have much more potential. The Russia-Mexico Mixed Commission on Economic, Commercial, Scientific-Technical Cooperation and Marine Navigation is contributing to their development. There are good cooperation prospects in aircraft manufacturing, shipbuilding, chemicals and pharmaceuticals, marine equipment, power generation, automobile manufacturing, railway equipment and agriculture.

Dialogue between our business quarters is very important. We would like Mexican representatives to be more active at the St Petersburg International Economic Forum, the Eastern Economic Forum in Vladivostok, the International Forum of Technological Development in Novosibirsk, the INNOPROM International Industrial Fair in Yekaterinburg, as well as the Russian Energy Week.

In October, Industry and Trade Minister Denis Manturov together with representatives from over 50 Russian companies attended the Mexican Business Summit in San Luis Potosi. We hope the contacts they have established there will produce practical results soon.

Work is ongoing on a long-term programme of trade, economic, scientific and technical cooperation. The draft of this programme has been forwarded to our Mexican partners for coordination. We hope to be able to sign this document in the near future. It is also obvious that broader business interaction can facilitate the signing of a visa free travel agreement in the interests of our people.

Russia and Mexico are actively cooperating on the international stage, including at the UN, the G20, APEC plus other international venues. We have been working consistently to promote international relations that are based on international law, non-interference in the internal affairs of sovereign states, as well as the exclusively political and diplomatic solution to crises and conflicts.

I hope that the upcoming visit to Russia by Foreign Secretary Luis Videgaray Caso between November 16-17 will help strengthen the multifaceted Russian-Mexican relations.

Question:

Mexico and Russia are both in the sights of Washington now, and both countries’ diplomatic relations with the United States have become strained. Can this be described as an opportunity to strengthen relations between Mexico and Russia?

Sergey Lavrov:

Relations with any country are valuable to us, per se. We develop them regardless of changes in the political situation. This is fully applicable to our cooperation with Mexico. We hope that long-term Russian-Mexican ties will continue to develop on the basis of equality, mutual benefit and respect for each other’s interests. No matter what relations either country may have with the United States, Russia is always open to cooperation with Mexico on the above principles.

Question:

Are Mexican elections of interest to Russia? Does it matter to you who will assume the presidential office in Mexico next year?

Sergey Lavrov:

We are interested in strengthening cooperation with Mexico as an active and independent international player. We note with satisfaction that a strengthening of Russian-Mexican ties enjoys broad support among the Mexican public and in the country’s political circles. We hope to preserve and increase the accumulated capital of our fruitful partnership through concerted efforts.

As for elections, they are an internal affair for Mexico. We will develop relations with any elected president. This brings to mind a quote from your great political and state leader, the national hero of Mexico, Benito Juarez, who said: “The principle of non-intervention is one of the first obligations of governments; it boils down to respect for the freedom of peoples and for the rights of nations.” (El principio de no intervencion es una de las primeras obligaciones de los gobiernos, es el respeto debido a la libertad de los pueblos у a los derechos de las naciones). Russia has always been committed to this principle.

(Sources: Russian MFA – Excélsior – RT – EODE Think-Tank)

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LES BARBOUZERIES DE MACRON : VOICI LA ‘CELLULE DEMOLITION’ CONTRE FILLON !

# LUCMICHEL. NET/

 

Les ministres de Sarkozy sur écoutes

et la “cellule de démolition” de Fillon créée par Macron:

Laurent Wauquiez lance un pavé dans la mare !

Luc MICHEL/En Bref/

Avec AFP/ 2018 02 16/

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Descente dans les égouts de la politique française et du parlementarisme bourgeois. Vous avez-dit « démocratie » ?

Vous vous rappelez du « cabinet noir » de Hollande que dénonçait Fillon ?

Nicolas Sarkozy plaçait ses ministres sur écoutes, et Emmanuel Macron avait mis en place une “cellule de démolition” de François Fillon, affirme Laurent Wauquiez (leader des ‘Républicains’), selon un extrait sonore d’une conférence donnée à l’Ecole de management de Lyon, diffusé vendredi sur TMC.

LES BARBOUZERIES DE SARKOZY …

“Nicolas Sarkozy, il en était arrivé au point où il contrôlait les téléphones portables de ceux qui rentraient en Conseil des ministres.

Il les mettait sur écoutes pour pomper tous les mails, tous les textos, et vérifier ce que chacun de ses ministres disait au moment où on rentrait en Conseil des ministres”, relate Laurent Wauquiez dans cet enregistrement, réalisé à son insu, et dont des extraits ont été diffusés dans l’émission ‘Quotidien’.

Contacté par l’AFP, l’entourage de M. Wauquiez n’a pas souhaité faire de commentaires.

… ET LE « CABINET NOIR » DE MACRON

Quant à Emmanuel Macron, “objectivement, il a quand même eu un alignement de planètes assez inespéré. Que Fillon gagne la primaire et que derrière, il le démolisse… Je suis sûr et certain, qu’il l’a organisé, je pense qu’ils ont largement contribué à mettre en place la cellule de démolition”, affirme le président de la région Auvergne-Rhône-Alpes.

Wauquiez aborde également le cas de Gérald Darmanin, le ministre de l’Action et des Comptes publics, dont la plainte pour viol qui le visait vient d’être classée par le parquet de Paris, mais qui doit encore affronter une enquête pour abus de faiblesse. “Il sait très bien ce qu’il a fait”. “Il va tomber”, dit notamment le président des Républicains (LR), au cours de cette conférence réalisée avant l’annonce du classement sans suite de l’enquête. Pour lui, le ministre va devenir, dans le quinquennat Macron, “l’incarnation de ce qu’a été

(Jérôme) Cahuzac”. Wauquiez revient également sur l’appel à la démission lancé par son parti à l’encontre du ministre, ex-LR lui-même. “J’ai sorti ça, j’ai été en minorité à l’intérieur de mon parti. Moment très dur pour moi à gérer. J’ai eu toute une série de voix dissonantes qui ont dit ‘non mais nous on trouve que c’est bien, faut qu’il reste, présomption d’innocence’. En ayant eu une séance de débat autour de la table avec un certain nombre de responsables de notre famille politique… En les regardant dans les yeux, je me

demandais: il y en a combien qui se disent ‘pourvu que ça ne m’arrive pas'”.

“Diffamations, injures, vulgarité… Une conception particulière de l’enseignement… Les étudiants de EMLYON méritent mieux!”, a réagi sur Twitter Benjamin Griveaux, porte-parole du gouvernement. Une non-réponse tropfacile !

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RETOUR SUR LES GUERRES DE YOUGOSLAVIE: LE KOSOVO FRUIT VENIMEUX DE LA POLITIQUE AMERICAINE

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Luc MICHEL pour EODE/

Quotidien géopolitique – Geopolitical Daily/

2018 02 16/

LM.GEOPOL - Kosovo dix ans (2018 02 16) FR 2

Etat fantoche, « bantoustan » mafieux américano-atlantiste dans les Balkans, le Kosovo, qui célèbre demain samedi les dix ans de sa proclamation d’indépendance, est le fruit de l’éclatement de l’ex-Yougoslavie. Soutenue par Moscou, la Serbie ne le reconnaît toutefois pas.

LM.GEOPOL - Kosovo dix ans (2018 02 16) FR 5

De la mort de Tito en 1980 à l’indépendance du Kosovo en 2008, les principaux événements qui ont conduit à l’explosion sanglante de la Yougoslavie dans une série de conflits meurtriers dans les années 1990, sont l’œuvre planifiée de la politique américaine.  Les guerres de Yougoslavie – dites encore hypocritement « Guerre des Balkans » pour dissimuler leur but véritable – n’ont pas répondu à une fatalité (1). Mais bien à un plan géostratégique des USA, soutenu par leur vassaux de l’OTAN et de l’UE, qui continuait les plans ayant conduit à l’implosion de l’URSS et à la victoire occidentale dans la Guerre froide.

L’indépendance du Kosovo en a été la dernière étape. Un abcès purulent au cœur des Balkans. Derrière lequel brûle toujours sous la cendre les feux d’un concept géopolitique opérationnel, agité périodiquement par les USA, la « Grande-Albanie » (2). Un dossier hélas pas clôturé pour le grand malheur des Balkans et de l’Europe  …

I / AU CŒUR DE LA GEOPOLITIQUE AMERICAINE :

POURQUOI ET COMMENT LES OCCIDENTAUX ONT CREE LE KOSOVO

Après la Seconde Guerre mondiale, le Kosovo, petit territoire enclavé des Balkans occidentaux, peuplé majoritairement d’Albanais musulmans (suite à l’occupation ottomane de la Serbie), mais berceau historique de la Nation serbe, est intégré à la Fédération de Yougoslavie du communiste Josip Broz Tito.

DESINTEGRATION DE LA YOUGOSLAVIE :

LE KOSOVO DE LA GUERRE A « L’INDEPENDANCE »

En 1974, il devient une “province autonome” de la Serbie, membre de la Fédération de Yougoslavie. Le Kosovo, qui abrite des monastères chrétiens orthodoxes historiques, est avec raison considéré par les Serbes comme le berceau de leur identité et de leur religion. En 1989, le nouveau président serbe Slobodan Milosevic réduit considérablement son autonomie, générant une contestation violemment réprimée. En 1990, les leaders albanais déclarent l’indépendance du Kosovo, rejetée par le gouvernement serbe. Ibrahim Rugova, “père de la nation” et agent occidental, installe une société parallèle.

Les guerres de Croatie (1991-95) et de Bosnie (1992-95) déclenchent le processus de désintégration de la Yougoslavie. Leur terme ne s’accompagne pas d’un apaisement au Kosovo, où les menées déstabilisatrices des USA, de l’OTAN et de l’Albanie américanisée obligent à la répression du gouvernement Slobodan Milosevic. Un processus qui s’accentue jusqu’à aboutir à un conflit ouvert.

Entre 1998 et 1999, la guerre du Kosovo entre séparatistes albanais (les terroristes maffieux de l’UCK organisés par l’OTAN et les maffias

albanaises) et forces serbes fait plus de 13.000 morts, Kosovars albanais et serbes (massacrés par l’UCK). Presqu’un million de réfugiés affluent en Albanie et en Macédoine, affolés par les bombardements de l’OTAN et aussi la propagande des médias de l’OTAN, qui vise à créer un prétexte d’intervention humanitaire.

Après le soi-didant « massacre de Racak » (une provocation médiatique occidentale), l’OTAN intervient au Kosovo avec une campagne de bombardements de 78 jours, visant des cibles militaires serbes. Mais selon l’organisation Human Rights Watch, 500 civils, serbes et kosovars albanais, ont été tués dans ces frappes, qui restent une humiliation et un traumatisme pour les Serbes. Les forces serbes se retirent du Kosovo le 10 juin 1999. L’ONU et l’Otan le placent « sous protection ». Comme le IIIe Reich nazi avait placé sous protection la Bohême-Moravie en 1938, après avoir disloqué la Tchéchoslovaquie après les « accords de Munich »…

Après la guerre, des tensions persistent entre la majorité albanaise kosovare et la minorité serbe, notamment dans la ville divisée de Mitrovica (nord). En 2004 des émeutes anti-serbes font 19 morts, avec des victimes dans les deux communautés.

QUELS ETAIENT LES BUTS DE GUERRE DES USA ET DE L’OTAN CONTRE LA YOUGOSLAVIE ?

La destruction de l’URSS, but ultime de la première Guerre froide (de

1945 à 1990), continué en opération de démembrement de la Fédération de Russie (de 1991 à nos jours), passait par le démembrement de la Yougoslavie, la IIe de Tito et la IIIe de Milosevic.

« De 1991 à 2008, une seule et même logique a animé les stratèges

américains: la destruction de la Serbie, afin que celle-ci soit la plus faible possible a l’avenir, au moment historique inévitable ou elle allait de nouveau se tourner vers la Russie. Bien sûr, il fallait dans le même temps une Russie également affaiblie au maximum. Si de

1991 à 2000 une guerre militaire et médiatique a été menée contre la Serbie de Milosevic en vue de son anéantissement, dans le même temps, c’est une guerre économique et morale qui était menée contre la Russie d’Eltsine », analyse un historien serbe.

« La croisade contre le monde communiste s’est transformée en croisade contre le monde orthodoxe, et contre son centre névralgique et politique le plus souverain : la Russie ». Le théoricien du « containment » russe en Eurasie, Zbigniew Brezinski, affirmait lui-même en 2007 que « Le principal ennemi de l’Amérique était désormais l’église orthodoxe russe ».

La création de la grande Albanie (2) peut sans doute être vue dans ce sens historique et géostratégique. « Elle est une nouvelle allumette jetée, une allumette qui pourrait créer une étincelle et déclencher un nouvel incendie dans le brasier balkanique. Cet incendie aurait pour conséquence d’affaiblir un peu plus l’Europe, mais aussi de déstabiliser un peu plus le monde orthodoxe (Macédoine, Grèce, Monténégro, Serbie…) et de freiner son rapprochement avec la Russie ».

Par ricochet, « c’est donc l’influence russe en Europe de l’Est qui serait remise en cause, et donc son rapprochement avec l’Europe de l’Ouest. Ce faisant, l’Amérique aurait atteint une nouvelle fois son objectif essentiel : éviter un rapprochement continental et européen entre les mondes catholiques et orthodoxes ». Avec à la clé la « Grande-Europe de Vladivostok à Reykjavik » qu’annonçaient Jean Thiriart et notre Ecole de Géopolitique « euro-soviétique » des Années ’80 (3) …

UNE INDEPENDANCE VIRTUELLE POUR UN ETAT FANTOCHE

Le 17 février 2008, le Parlement du Kosovo, sur les ordresde Washington et de l’OTAN, déclare « l’indépendance », immédiatement reconnue par les Etats-Unis et de nombreux pays européens. En revanche elle est rejetée par la Serbie, la Russie. Mais aussi d’autres pays comme l’Espagne, qui y voient un précédent inquiétant pour leurs propres régions aux velléités indépendantistes.

En 2009 le Kosovo, parrainé par les USA, devient membre du FMI et de la Banque mondiale. En 2010, la Cour internationale de justice considère son indépendance « conforme au droit international » (on s’en souviendra à Moscou en Crimée en 2014). La Serbie ne la reconnaît toujours pas, mais participe à partir de 2011 à des discussions sous le parrainage de Bruxelles, alors que le Kosovo et la Serbie veulent adhérer à l’Union européenne. Leurs Premiers ministres se rencontrent pour la première fois. Depuis environ deux ans, les discussions de normalisation entre Belgrade et Pristina sont au point mort. Comédie insincère organisée sous la pression de l’UE ! Et leurs relations connaissent des épisodes de tensions récurrents.

« Bantoustan » américano-atlantiste, le Kosovo, qui n’a pas d’armée, reste sous « protection » de l’OTAN.

DIX ANS APRES LE KOSOVO EST TOUJOURS UN ETAT MAFFIEUX VIRTUEL

Le Kosovo, qui « fête » samedi les dix ans de sa proclamation d’indépendance, a une « souveraineté toujours en construction » (dixit

l’AFP) et obstinément rejetée par sa minorité serbe et Belgrade. Ils sont désormais quelque 115 pays à reconnaître le Kosovo indépendant, dont 23 des 28 membres de l’Union européenne, ainsi que les Etats-Unis, indéfectibles soutiens de Pristina Pas de fête dans les secteurs où vit la minorité serbe dont l’allégeance va toujours à Belgrade même si elle a désormais des députés au Parlement et compte des ministres au gouvernement kosovar.

Avec le soutien de la Russie, la Serbie mène une guérilla diplomatique, légitime, parvenant à fermer à son ancienne province albanaise la porte des Nations unies et de nombreuses institutions internationales, comme l’Unesco ou Interpol.

Au cœur de la question kosovare, le rejet d’une autonomie serbe ! Ce rejet sans appel « limite de facto l’exercice de la souveraineté kosovare dans des secteurs entiers du Kosovo ». C’est le cas dans le nord du Kosovo, notamment à Mitrovica, ville toujours divisée près de deux décennies après la guerre entre forces serbes et rebelles indépendantistes kosovars albanais de l’Armée de libération du Kosovo (UCK). Un accord dit « de normalisation des relations », prévoit un statut pour les municipalités où vit la minorité serbe. Il n’a toujours pas été dessiné, Pristina rejetant avec force toute autonomie, projet caressé par Belgrade. Les Serbes représenteraient 120.000 du 1,8 million d’habitants, une estimation puisqu’ils ont refusé de prendre part au dernier recensement de 2011.

“L’intégrité territoriale du Kosovo est intangible, indivisible, et reconnue internationalement”, les a prévenus cette semaine le président Hashim Thaçi. Un des chefs maffieux de l’UCK, lié au crime transnational. Dans un récent entretien avec l’AFP, l’homme fort du pays, ancien chef politique de la guérilla terroriste indépendantiste, a toutefois souhaité la conclusion en 2018 d’un “accord historique”, “seul chemin possible pour que le Kosovo et la Serbie aillent de l’avant”. S’il devait être conclu, “la communauté internationale devra accepter” cet accord, avait-il ajouté.

Les relations entre Pristina et ses alliés occidentaux se sont tendues depuis un an. Sa volonté de doter unilatéralement le Kosovo d’une armée a d’abord été accueillie froidement par les chancelleries. La sécurité du Kosovo est toujours assurée par une force internationale menée par l’OTAN.

II : LES SYMPTOMES DE LA FAILLITE DU NON-ETAT KOSOVAR

S’ils reconnaissent celle-ci, les Occidentaux insistent sur les progrès qui restent à accomplir. Selon le « Rapport de 2016 de l’UE sur le Kosovo », la corruption “prévaut toujours dans de nombreux secteurs et continue d’être un grave problème”.

L’ECHEC POLITIQUE ET ECONOMIQUE D’UN ETAT FANTOCHE CORROMPU ET NON VIABLE

La réaction a été encore plus vive quand des députés kosovars ont en vain tenté en décembre d’abroger le Tribunal international notamment chargé de juger les crimes de guerre imputés à l’UCK maffieuse, dont les anciens commandants restent aux commandes du pays. Pour beaucoup d’élus, cette instance, composée de magistrats étrangers et installée à La Haye, « viole la souveraineté de ce pays ».

Avec le règlement d’un litige frontalier avec le Monténégro, l’établissement d’un Etat de droit répondant à ses critères, est une condition fixée par l’UE à la libéralisation des visas. On est fort loin ! Pour les Kosovars, ce serait pourtant une priorité. Près d’un tiers de la population (700.000, selon les estimations) vit déjà à l’étranger, apportant des devises précieuses à un pays qui reste un des plus pauvres d’Europe. Beaucoup d’autres aspirent au départ d’un pays où le chômage touche un tiers de la population active (30,6%), la moitié des moins de 24 ans (50,9%), selon les chiffres officiels.

D’après l’agence nationale des statistiques, un Kosovar sur six (17,6%), vit sous le seuil de pauvreté.

La diaspora a son ministère. Ils sont 700.000 Kosovars albanais à l’étranger, surtout en Allemagne et en Suisse, pour environ 1,8 million d’habitants. Elle joue un rôle économique majeur. Durant les dix premiers mois de 2017, elle a apporté quelque 620 millions d’euros de devises.

UNE SOUVERAINETE VIRTUELLE SUR LEQUEL PESE L’ULTRA-NATIONALISME DE LA « GRANDE-ALBANIE » ET LA DOMINATION AMERICAINE

« Le Kosovo, qui fête samedi les dix ans de son indépendance, a un drapeau dont peu se préoccupent, quatre codes téléphoniques », explique l’AFP. « Les Kosovars sont convaincus que le drapeau du Kosovo – son territoire et six étoiles jaunes sur fond bleu -, surnommé “la serviette” (sic), a surtout été adopté pour satisfaire les Occidentaux ».

Le drapeau qui flotte partout, c’est celui de l’Albanie: l’aigle bicéphale noir sur fond rouge. Pour les Kosovars albanais, il ne faudrait pas y voir un rêve de “Grande Albanie” (sic), juste l’attachement à la nation albanaise (resic), au concept d’« albanité » (4).

« Un autre drapeau à la cote: la bannière étoilée s’affiche jusque dans les bâtiments officiels » avoue l’AFP. « Reconnaissants du soutien de Washington dans la lutte pour l’indépendance, les Kosovars se décrivent comme le peuple le plus pro-américain du monde ». Une statue de Bill Clinton s’élève à Pristina, des rues sont baptisées aux noms de George W. Bush, Hillary Clinton ou Madeleine Albright.

Rien de tel dans les zones où vit la minorité serbe: à Mitrovica ou à Gracanica, ce sont les couleurs serbes qui flottent.

Résultat de la guérilla diplomatique menée par la Serbie pour s’opposer à toute reconnaissance internationale de son ex-province, le Kosovo a trois codes internationaux en usage (+381, +377 et +386).

Aucun n’est celui officiellement attribué au Kosovo (+383) … Le +381 est le code de la Serbie. Le +377 et le +386 sont les codes… de Monaco et de la Slovénie que les opérateurs du Kosovo utilisent (contre paiement).

MITROVICA « CITE DE L’ANGOISSE » (AFP) ET SYMBOLE DE L’ECHEC DU KOSOVO

« Dix ans après l’indépendance du Kosovo, Albanais kosovars et Serbes de la ville divisée de Mitrovica gardent la peur en partage, renforcée par le récent assassinat d’un politicien serbe modéré », explique l’AFP. Quelque 70.000 Kosovars albanais vivent là, pour la plupart au sud de la rivière Ibar. Au nord, 12.000 membres de la minorité serbe refusent cette indépendance célébrée samedi.

Les deux communautés se toisent plus qu’elles ne se côtoient. “Vous trouverez des jeunes qui n’ont jamais vu un Serbe ou un Albanais…”, dit Besim Hoti, un Albanais, chef-adjoint de la police du nord du Kosovo (majoritairement serbe) depuis la création en 2013 d’une force de police intégrée. Ceux qui parlent la langue de l’autre sont de plus en plus rares, dit-il. Pour faire se rencontrer des jeunes, Afërdita Sylaj-Shehu, de l’ONG Community Mitrovica Building (liée aux USA), raconte qu’elle les appâte avec un “outil”: des cours d’anglais pour qu’ils se comprennent. Elle-même répugne à passer le pont qui relie nord et sud, où sont disposés des blocs de béton. Surveillé par les forces internationales, l’ouvrage reste symbole de division. S’ils ne sont plus accueillis par des pierres, les piétons l’empruntant restent peu nombreux.

Côté serbe, les drapeaux rouge-bleu-blanc flottent face à une statue monumentale érigée en 2016: le roi Lazar, incarnation de la geste nationaliste serbe, pointe un doigt impérieux vers le sud. “Le Kosovo c’est la Serbie”, lit-on sur un mur proche. En face, Kalachnikov dans le dos, un bronze d’un guérillero de l’Armée de libération du Kosovo (UCK), Shemsi Ahmeti, monte la garde près de la mosquée. A chaque communauté son vieux cimetière, situé dans le camp d’en face: peu s’y risquent seuls.

Mitrovica est divisée depuis la guerre entre forces serbes et rébellion indépendantiste de l’UCK, qui avait fait plus de 13.000 morts, dont 11.000 Albanais (1998-99). L’ère des émeutes comme celles de 2004 et 2008 semble révolue. Mais “quand on vient ici, il y a toujours la peur de quelque chose de mauvais et d’inattendu”, dit Hamdi Pllana. Décrivant une angoisse semblable à celle ressentie face à “une meute de chiens errants”, ce retraité albanais de 61 ans traverse une passerelle enjambant l’Ibar pour rendre visite à sa fille dans le quartier des “Trois tours”, rare poche mixte de Mitrovica-nord. “Tu vas au lit la peur au ventre, tu te réveilles la peur au ventre. Les Albanais vont-ils attaquer? Ou certains des nôtres?”, dit Natalija, 28 ans, qui refuse de donner son nom.

Mitrovica “vit sous le régime du cessez-le-feu, pas de la paix”, dit-elle.

“La situation est meilleure, mais ça peut basculer en une nuit”, dit sa soeur Elmaz Hasani qui a emménagé en 2012: son propriétaire albanais avait fui après la mort d’un homme, tué chez lui par une grenade jetée par des inconnus. Seul son loyer modeste de 130 euros la retient. Comme tout le monde à Mitrovica-Nord, elle ne paye ni impôts, ni électricité, les institutions kosovares renonçant à recouvrer ces sommes. Mais pour ses courses, elle évite le marché serbe proche et emprunte la passerelle sur l’Ibar.

III / LE VRAI BUT DE GUERRE DES USA AU KOSOVO :

LE ‘CAMP BONDSTEEL’, 2e PLUS GRANDE BASE U.S. D’EUROPE

La deuxième plus grande base américaine d’Europe, le Camp Bondsteel (du nom d’un vétéran de la guerre d’agression contre le Vietnam), a été construite au Kosovo immédiatement après la fin des bombardements de la Yougoslavie, à l’époque où le Kosovo a été placé sous contrôle international. Soit dit en passant, les Américains ont choisi pour leur base un endroit peu peuplé que les avions de l’Otan n’avaient pratiquement pas bombardé et dont le sol n’était pas, par conséquent, contaminé par les armes à uranium appauvri (largement utilisé lors des guerres deYougoslavie par l’OTAN).

« En moins de trois ans, un camp de tentes a été transformé en un centre de commandement hautement technologique doté des systèmes de surveillance et de protection les plus modernes. Sa superficie est de 360.000 mètres carrés. La base est divisée en secteurs. On y circule comme dans une petite ville, la vitesse autorisée variant entre 30 et 50 km/h en fonction des secteurs », explique une journaliste bulgare.

« A l’entrée, les visiteurs sont scannés comme dans un aéroport, tous les objets sont inspectés et les portables retirés. Sur le territoire, le visiteur est partout accompagné par deux militaires ».

« Le camp Bondsteel évoque un croisement entre scènes de films de guerre américains et petite ville des USA: c’est 25 km de routes bitumées, environ 300 ouvrages et 11 miradors », explique-t-elle encore. « La rotation des effectifs a lieu tous les trois ou six mois, en fonction de la situation. Dans le camp Bondsteel, comme dans toutes les autres bases militaires des Etats-Unis, le sexe, l’alcool et les armes chargées sont interdits ». Hypocrisie typiquement américaine, car la base américaine a été impliquée dans divers trafics, dont des réseaux de traite des femmes et de pédophilie. Les soldats américains et les « contractuels » (mercenaires) y bénéficient d’une immunité judiciaire.

« Les militaires suivent même des cours d’histoire du Kosovo, car pour la majorité ils ont une idée très vague du pays dans lequel ils se trouvent. Les enseignants sont des Albanais et on comprend bien quelle version de l’histoire ils exposent ».

AU CENTRE DU « TRIANGLE MILITAIRE DES BALKANS-APENNINS »

Base centrale des USA en Méditerranée, au cœur de la logistique de leur déploiement, Camp Bondsteel s’occupe du traitement des données provenant des Balkans, mais aussi du Proche et du Moyen-Orient. Elle est dotée des systèmes de communication les plus modernes. Une unité spéciale est responsable des “guerres électroniques”, elle est composée de spécialistes du renseignement ayant l’expérience de l’Afghanistan et de l’Irak.

Le camp Bondsteel est apparemment le polygone américain le plus puissant d’Europe grâce à sa situation stratégique: le contingent américain en Macédoine et en Bosnie et les bases d’Italie sont tout proches. Il est en quelque sorte au centre du soi-disant « triangle militaire des Balkans-Apennins ».

UNE ZONE DE NON-DROIT AU CŒUR DE L’EUROPE :

CAMP BONDSTEEL UNE “VERSION REDUITE DE GUANTANAMO”

L’armée des États-Unis a été critiquée pour l’utilisation de la base de Camp Bondsteel comme centre de détention, et pour les conditions de détention. En novembre 2005, Alvaro Gil-Robles, l’envoyé spécial des droits de l’homme du Conseil de l’Europe, a décrit le camp comme une “version réduite de Guantánamo” à la suite d’une visite surprise « L’endroit ressemblait à une reconstitution de Guantánamo, en plus petit », a déclaré Alvaro Gil-Robles au journal français ‘Le Monde’

daté du 26/27 novembre 2005. Les prisonniers du camp portent des combinaisons orange, à l’instar de Guantánamo et de nombreux autres sites de détention. Autre similitude avec Guantánamo, les prisonniers du camp Bondsteel n’ont pas accès à un avocat.

En réponse, l’armée américaine a déclaré « qu’il n’y avait pas de centre de détention secret dans le camp aujourd’hui » (sic). « Bien qu’il y ait un centre de détention sur le camp de Bondsteel, qui a été utilisé par le passé pour recevoir les détenus de la guerre en Irak et pour la guerre d’Afghanistan ».

Le camp Bondsteel n’est pas ouvert aux inspections du ‘Comité contre la Torture du Conseil de l’Europe’ (CPT), qui a pourtant le droit d’inspecter tous les lieux de détention dans les États parties à la Convention européenne contre la torture. Les négociations avec la KFOR étaient en cours, mais depuis l’indépendance unilatérale du Kosovo, elles n’ont plus lieu d’être car le Kosovo n’est pas reconnu par le Conseil de l’Europe, il est donc hors législation. Le camp restera donc fort opportunément hors d’accès des inspecteurs.

Le gouvernement de Serbie a souligné « l’importance de ce camp dans le soutien des troupes américaines pour leurs guerres en Afghanistan et en Irak » et affirme que « les États-Unis ont reconnu l’indépendance du Kosovo dans le but de le préserver dans l’avenir ».

NOTES :

(1) Sur les « guerres de Yougoslavie », cfr. :

sur LUC MICHEL’S GEOPOLITICAL DAILY/

GEOPOLITIQUE RETROSPECTIVE : LES GUERRES DE YOUGOSLAVIE (I)

Sur http://www.lucmichel.net/2017/11/24/luc-michels-geopolitical-daily-geopolitique-retrospective-les-guerres-de-yougoslavie-i/

LE DEFI DE LA YOUGOSLAVIE DE MILOSEVIC (LES GUERRES DE YOUGOSLAVIE II)

Sur http://www.panafricom-tv.com/2017/11/25/luc-michels-geopolitical-daily-geopolitique-retrospective-le-defi-de-la-yougoslavie-de-milosevic-les-guerres-de-yougoslavie-ii/

Et sur :

LES GUERRES DES USA SONT DES GUERRES CONTRE LA ‘GRANDE-EUROPE’ ET POUR LA DOMINATION DE L’EURASIE AU XXIe SIECLE. OU COMMENT LES POLITICIENS DE L’UE ET DE L’OTAN FONT CES GUERRES CONTRE LES INTERETS VITAUX DE LEURS PEUPLES … (LES GUERRES DE YOUGOSLAVIE III) Sur http://www.lucmichel.net/2017/11/26/luc-michels-geopolitical-daily-geopolitique-retrospective-les-guerres-des-usa-sont-des-guerres-contre-la-grande-europe-et-pour-la-domination-de-leurasie-au-xxi/

(2) Le terme de « Grande-Albanie » (ou « d’Albanie ethnique ») est un concept irrédentiste faisant référence à un territoire rassemblant l’ensemble des régions considérées par ses partisans comme albanaises, sur des critères linguistiques et historiques, mais ne tenant pas compte des autres populations présentes dans ces zones. Il s’étend donc en dehors des frontières actuelles de la République d’Albanie, et se heurte aux aspirations irrédentistes des pays voisins (Serbie, Grèce, Bulgarie). Les territoires revendiqués furent attribués aux pays voisins pendant la période des guerres balkaniques, au moment de l’indépendance du pays (1912), à la suite de la conférence de Londres.

Lors de la guerre des Balkans en 1913, les serbes constituent encore la majorité de la population. En 1941, le Kosovo est rattaché à la Grande Albanie (déjà) sous protectorat fasciste italien. Après la guerre, le maréchal Tito interdira l’immigration albanaise car « la Yougoslavie ne pouvait selon lui être forte qu’avec une Serbie la plus faible possible ». En 1974, c’est du reste lui qui attribue au Kosovo le statut de province autonome, statut qui sera supprimé par Slobodan Milosevic en 1989, alors que les Serbes ne représentent déjà plus que

15 % de la population.

(Voir les cartes 3 et 4)

(3) Au début des années 80, avec Jean THIRIART, nous lancions l’ « Ecole Euro-soviétique », qui prônait l’unification – contre les USA et l’OTAN – de la Grande-Europe d’Est en Ouest, ’URSS devenant le Piémont d’un « Empire Euro-soviétique », une thèse qui a fait depuis beaucoup de chemin à l’Est.

Notre soutien à Moscou, Piémont de l’Autre Europe, est l’adaptation de cette thèse fondamentale aux conditions géopolitiques du nouveau Siècle. Aujourd’hui la Russie, comme jadis l’URSS, est la seule puissance européenne réellement indépendante de Washington, la seule à mener une politique indépendante, réellement eurasienne et non pas atlantiste.

(4) Lorsqu’en 2008 le Kosovo « se déclare indépendant », près d’une décennie après l’intervention militaire occidentale, peu de commentateurs mettent le doigt sur « l’Albanité » dominante de ce nouveau petit état virtuel. Au sein de la plupart des pays Occidentaux et de l’Union Européenne, la reconnaissance est instantanée, sans que ne se pose la question du traitement de la minorité serbe et de l’avenir qui lui était réservé, malgré le terrible précédent de 2004, lorsque les chrétiens avaient été victimes de pogroms, les églises brûlées, et les droits humains les plus élémentaires bafoués. Il aura donc fallu seulement quatre ans pour que la farce de l’indépendance du Kosovo apparaisse enfin publiquement. Seulement quatre ans pour que le Premier ministre albanais donne raison aux nationalistes serbes qui ont eux toujours affirmé affronter non pas les Kosovars (les habitants de la région du Kosovo étant des serbes islamisés sous les Ottomans) mais bel et bien des « Shqiptars », dans un nouvel épisode du conflit ancestral qui oppose depuis prés de 6 siècles dans les Balkans les Slaves orthodoxes aux fils de convertis de l’empire Ottoman.

(Voir les cartes 3 et 4)

(Sources : AFP – Interfax – EODE Think-Tank)

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE

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PUTSCH MANQUE ET REPRESSION AVEUGLE EN TURQUIE: PRISON A VIE POUR TROIS JOURNALISTES RENOMMES

PCN-NAKP/ 2018 02 16/

Avec AFP/

CarlosLatuff

Un tribunal turc a condamné vendredi à la prison à vie trois journalistes de renom accusés de liens avec la tentative de coup d’Etat du 15 juillet 2016, a rapporté l’agence de presse étatique Anadolu. Les frères Ahmet et Mehmet Altan et la journaliste Nazli Ilicak, qui nient toute implication dans le putsch avorté, ont été condamnés avec trois autres co-accusés à la prison à perpétuité dans le cadre de ce procès critiqué par les défenseurs de la liberté de la presse, a indiqué Anadolu.

Les six accusés ont été reconnus coupables notamment de “tentative de renversement de l’ordre constitutionnel”, en référence à la tentative de putsch qui a secoué la Turquie dans la nuit du 15 au 16 juillet 2016, a précisé Anadolu.

  1. Altan et Mme Ilicak ont toujours clamé leur innocence dans cette affaire, rejetant des accusations “absurdes”. Ils étaient notamment accusés d’avoir envoyé des “messages subliminaux” (sic) lors d’une émission retransmise en direct à la télévision à la veille du putsch manqué. Le mois dernier, un tribunal turc avait refusé de libérer Mehmet Altan malgré un arrêt de la Cour constitutionnelle estimant que son incarcération était une “violation” de ses droits.

Agé de 65 ans, Mehmet Altan est l’auteur de plusieurs ouvrages sur la politique. Il a été arrêté en septembre 2016 avec son frère Ahmet, un romancier et journaliste âgé de 67 ans qui a notamment fondé le journal d’opposition Taraf. Mme Ilicak, journaliste et écrivaine de 73 ans qui a travaillé jusqu’en 2013 pour le grand quotidien pro-gouvernemental Sabah, est en détention depuis fin juillet 2016.

Les trois autres personnes condamnées vendredi sont l’ancien directeur du marketing du quotidien Zaman, Yakup Simsek, l’instructeur de l’académie de police Sükrü Tugrul Özsengül et le graphiste de Zaman Fevzi Yazici.

La tentative de coup d’Etat a été imputée par Ankara au prédicateur Fethullah Gülen, installé aux Etats-Unis et qui dément toute implication. Nos sources indiquent plutôt un geste désespéré des officiers kémalistes (*).

Depuis, le gouvernement a lancé des purges sans précédent qui, au-delà des partisans présumés de M. Gülen, ont touché des opposants politiques du président Recep Tayyip Erdogan et des médias. Plus de 50.000 personnes ont été arrêtées et plus de 140.000 limogées ou suspendues.

(*) Voir Luc MICHEL, Les 3.000 Justes de Turquie : qui sont les auteurs kémalistes du coup d’état manqué ?,

sur http://www.palestine-solidarite.org/analyses.luc_michel.170716.htm

PCN-NAKP – PCN TURQUIE

Neo Avrasyali Komunotarist Partisi

https://www.facebook.com/PCN.NAKP/

* PCN-NAKP RESMI GRUBUNA KATILIN HALKLARIN DAVASI La Cause des Peuples – The Peoples’ Cause – PCN-NCP https://www.facebook.com/groups/LCDP.TPC.PCN.NCP/

THE INTERNAL CONTRADICTIONS OF THE SHANGHAI COOPERATION ORGANISATION AND THE BRICS: THE MALDIVES, STAKE BETWEEN INDIA AND CHINA

 

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Luc MICHEL pour EODE/

Quotidien géopolitique – Geopolitical Daily/

2018 02 15/

LM.GEOPOL - Maldives (2018 02 15) ENGL 2

“With a political crisis unfolding in Maldives, the scenic archipelago in the Indian Ocean has emerged as a fresh geopolitical battleground for arch rivals India and China. The two Asian giants have faced each other off across the region in recent months, with the most recent confrontation in Bhutan a few months ago when the two accused each other of border violations in a road construction project.  Apart from growing blue-water navies on both sides, China has been making significant investments in all countries surrounding India – not only Maldives but Pakistan and Sri Lanka, and has extended its influence in Nepal”

– Asia Sentinel (February 9, 2018).

LM.GEOPOL - Maldives (2018 02 15) ENGL 3

“India must stop intervening in Male.”Political struggles are supposed to be internal affairs, and New Delhi has no justification to intervene in Male’s affairs. The Maldives must be under huge pressure from India”

– The Global Times (Chinese government mouthpiece, February 5).

# CHINA AND INDIA RIVALRY IN THE MALDIVES AND INDIAN OCEAN

We are going today far from the battlefields of the “new Cold War 2.0”, to the unrecognized theater of an Asian confrontation, that of Beijing and New Delhi for the control of the Maldive Islands. We are at the heart of one of the deepest internal contradictions of both the Shanghai Cooperation Organization (the Eurasian geopolitical bloc around Moscow and Beijing, which defies the US superpower) and the BRICS.

India is the weak link in these two sets (1). At the same time opposed to Beijing for old feuds of borders on the Himalayas, but also competing regional ambitions (Indian Ocean, Nepal, Sri Lanka, Bhutan), and in Pakistan (which moves away from Washington and approaches the

OCS) (2) (for others (Kashmir issue and strategic parity with Islamabad). Washington and his Israeli pilot fish in India (3) obviously use these geopolitical gaps.

The Think-Tank US Stratfor has just dedicated an interesting analysis on one of the unknown points of the Sino-Indian rivalry: the Maldive Islands, in the strategic position in the Indian Ocean …

What does Stratfor say:

« While India wants to see a sympathetic politician, such as Nasheed, in power who can advance its interests, it reportedly has rebuffed his request for military intervention or even a special envoy for Male.

This refusal is to be expected. Sending troops to the Maldives would undoubtedly reinforce New Delhi’s image as a domineering hegemon unafraid to use force against its smaller neighbors. Such a reaction could tilt the regional political scales in China’s favor, which already has benefited from anti-Indian sentiment at play during December elections in Nepal, where the pro-Chinese Left Alliance, led by former Prime Minister Khadga Prasad Oli, swept to power (…) In turn, New Delhi wants a sympathetic government in Male to re-evaluate a raft of ongoing Chinese infrastructure projects that India fears may presage Beijing’s eventual military presence in the Maldives. New Delhi is already alarmed by China’s possible use of Pakistan’s Gwadar port as a naval base, in addition to its newly launched base in Djibouti on the other side of the Indian Ocean. It is also keeping an eye on Sri Lanka’s Chinese-funded Hambantota port (Sri Lanka). India wants to avoid the same elsewhere along its periphery.

Underpinning Chinese and Indian interest in the Maldives is its strategically significant location astride key shipping and energy routes, including those crossing from the Gulf of Aden to the Strait of Malacca. From Beijing’s point of view, the Maldives could offer a critical naval port and air base to help safeguard these important sea lines of communication. India, which seeks to remain the dominant naval power in the Indian Ocean, wants to avoid any Chinese naval presence in the region — thus its interest in supporting a pro-Indian politician like Nasheed.”

* Résumé français :

Les contradictions internes de l’OCS et des Brics: Les Maldives, enjeu entre l’Inde et la Chine … Nous allons ce jour loin des champs de bataille de la « nouvelle Guerre froide 2.0 », vers le théâtre méconnu d’une confrontation asiatique, celle de Pékin et de New Dehli pour le contrôle des Iles Maldives. Nous sommes là au cœur d’une des plus profonde contradictions internes à la fois de l’Organisation de Coopération de Shanghai (ce Bloc géopolitique eurasiatique, autour de Moscou et de Pékin, qui défie la superpuissance américaine) et des BRICS.

L’Inde est le maillon faible de ces deux ensembles (1). A la fois opposé à Pékin pour de vieilles querelles de frontières sur l’Himalaya, mais aussi des ambitions régionales concurrentes (Océan indien, Népal, Sri Lanka, Bhutan), et au Pakistan (qui s’éloigne de Washington et se rapproche de l’OCS) (2) pour d’autres (question du Cachemire et parité stratégique avec Islamabad). Washington et son poisson-pilote israélien en Inde (3) utilisent évidemment ces brèches géopolitiques.

Le Think-Tank US Stratfor vient de consacrer une intéressante analyse sur un des points méconnus de la rivalité sino-indienne : les Iles Maldives, à la position stratégique dans l’Océan indien … Que dit Stratfor :

«Alors que l’Inde veut voir un politicien maldive sympathisant, tel que Nasheed, au pouvoir, qui peut faire avancer ses intérêts, il aurait rejeté sa demande d’intervention militaire ou même d’un envoyé spécial pour Malé. Ce refus est à prévoir. Envoyer des troupes aux Maldives renforcerait sans aucun doute l’image de New Delhi en tant qu’hégémoniste dominateur qui ne craint pas d’utiliser la force contre ses plus petits voisins. Une telle réaction pourrait faire pencher la balance politique régionale en faveur de la Chine, qui a déjà bénéficié du sentiment anti-indien lors des élections de décembre au Népal, où l’Alliance gauchiste pro-chinoise, dirigée par l’ancien Premier ministre Khadga Prasad Oli, a pris le pouvoir (…) À son tour, New Delhi veut qu’un gouvernement sympathisant à Malé réévalue une série de projets d’infrastructure chinois en cours qui, selon l’Inde, pourraient présager la présence militaire éventuelle de Pékin aux Maldives. New Delhi s’inquiète déjà de l’utilisation possible par la Chine du port de Gwadar au Pakistan comme base navale, en plus de sa base nouvellement lancée à Djibouti de l’autre côté de l’océan Indien. Il surveille également le port de Hambantota (Sri Lanka), financé par la Chine. L’Inde veut éviter la même chose ailleurs le long de sa périphérie. L’intérêt des Chinois et des Indiens pour les Maldives réside dans leur emplacement stratégiquement important à cheval sur les principales routes maritimes et énergétiques, y compris celles qui traversent le golfe d’Aden et le détroit de Malacca. Du point de vue de Pékin, les Maldives pourraient offrir un port naval stratégique et une base aérienne pour aider à sauvegarder ces importantes lignes maritimes de communication. L’Inde, qui cherche à rester la puissance navale dominante dans l’océan Indien, veut éviter toute présence navale chinoise dans la région – et donc son intérêt à soutenir un politicien pro-indien comme Nasheed. »

# DOCUMENT:

“INDIA LOOKS AT THE MALDIVES AND SEES CHINA”

(STRATFOR, FEBRUARY 8, 2018)

The Maldives is an Indian Ocean archipelago with a population of about 400,000.

Out of Maldives’ population of 400,000, more than 22,000 are Indians.

* Excerpt 1/ Presidential election with geopolitical interest in the Maldives:

“India wants to see a sympathetic politician in power in the Maldives who can advance its interests, someone like exiled former President Mohamed Nasheed.

India’s goal in the Maldives is to pressure President Yameen Abdul Gayoom to uphold a Supreme Court ruling that would enable Nasheed to return to the capital and potentially run again for president. In turn, New Delhi wants a sympathetic government in the Maldives to re-evaluate ongoing Chinese infrastructure projects that India fears may presage Beijing’s eventual military presence in the island nation.

A rapidly unfolding political crisis in the Maldives has created challenges and opportunities for India as the world’s largest democracy seeks to limit Chinese influence in the tiny island nation of 400,000 people. On Feb. 5, Maldivian President Yameen Abdul Gayoom imposed a 15-day state of emergency. He ordered the arrests of two Supreme Court judges — including the chief justice — as well as Maumoon Abdul Gayoom, an opposition leader and former president who ruled the Maldives for 30 years with India’s backing. Yameen’s sweeping directive, which he says was aimed at thwarting a judicial coup, followed a Feb. 1 high court ruling that called on Yameen to reinstate 12 members of parliament and that overturned charges against nine jailed opposition figures.

Significantly, one of the opposition politicians is former President Mohamed Nasheed. Forced to resign in February 2012, the exiled Nasheed has hounded the government from abroad for suppressing democratic norms and for increasing the country’s reliance on Chinese debt to dangerous levels. In response to Yameen’s state of emergency, Nasheed tweeted a request for India to send troops to the Maldives to restore political stability. (In 1988, India sent 1,600 troops to Male, the Maldivian capital, to undercut an attempted coup involving Tamil rebels from Sri Lanka.) (…) In any case, India’s goal in the Maldives will remain the same: to pressure Yameen to uphold the Supreme Court’s ruling, which would enable Nasheed to return to Male, face another trial and potentially run again for president. (To be sure, the court’s Feb. 6 reversal of its Feb. 1 decision to free the jailed opposition leaders complicates India’s aims.)”

* Excerpt 2/ Military option off the table but a mix of Indian diplomatic overtures and economic appeasements vs Chineese investments:

“With the military option off the table, India can resort to a mix of diplomatic overtures and economic appeasements to bend Maldivian politics in its favor. But fiscal constraints underscore the limits of India’s economic heft, while also highlighting its competing priorities as it seeks to stave off challenges to its traditional status as the dominant military and economic power in South Asia. The Maldives accounts for $19 million — or 2 percent — of India’s $865 million foreign aid allocation in 2018, according to the recently unveiled federal budget. This is the lowest amount India has set aside for any country in South Asia. Bhutan, by comparison, another tiny and sparsely populated country on India’s periphery — and another site of Sino-Indian competition — was allocated 48 percent.

This is problematic because money is what the Maldives needs to invest in infrastructure as it diversifies its $3.6 billion economy, promotes connectivity between its islands and broadens the tourism industry at the heart of its economic growth. Lacking adequate domestic funding, the Maldives is looking outward to make ends meet, and this brings in China. Chinese President Xi Jinping visited the Maldives in September 2014, leading to Yameen’s participation in China’s Maritime Silk Road, an extension of its vast Belt and Road Initiative. Ever since, China has increased its economic involvement in the Maldives, granting a

$373 million loan from its Exim Bank to upgrade the airport, constructing the China-Maldives Friendship Bridge and building a 7,000-home housing project.

Yameen signed a free trade agreement with China in December to grow the country’s fisheries exports, which will be destined for Asia’s largest economy. The agreement was steamrolled through the Maldivian parliament, inviting sharp criticism from members of the opposition.

Nasheed says the Maldives is falling into a Chinese debt trap that will threaten the country’s sovereignty — echoing similar complaints heard from the opposition in Sri Lanka, where the government awarded a 99-year lease to China on the Hambantota port.

The funding requirements of Maldivian infrastructure suggest the country will have a difficult time diversifying away from Chinese funds. More broadly, India’s fiscal constraints suggest New Delhi will continue to pursue a diplomatic pathway aimed at gathering international support to pressure Yameen’s government to uphold the Supreme Court’s ruling. But in the broader picture, India will keep running into the new reality that it is no longer the only dominant power active in South Asia.”

NOTES :

(1) See (in French) on LUC MICHEL’S GEOPOLITICAL DAILY/ L’INDE ENTRE GEOECONOMIE – L’INTEGRATION EURASIATIQUE ET LES ‘NOUVELLES ROUTES DE LA SOIE’ – ET VIEILLE GEOPOLITIQUE (CONTENTIEUX AVEC LA CHINE ET ALLIANCE AMERICAINE)

on http://www.lucmichel.net/2017/11/06/luc-michels-geopolitical-daily-linde-entre-geoeconomie-lintegration-eurasiatique-et-les-nouvelles-routes-de-la-soie-et-vieille-geopo/

(2) See (in French) on LUC MICHEL’S GEOPOLITICAL DAILY/ L’APPEL DE L’EURASIE EN MARCHE : L’ADMINISTRATION TRUMP EST-ELLE EN TRAIN DE PERDRE LE PAKISTAN AU PROFIT DE PEKIN (ET DE MOSCOU) ?

on http://www.lucmichel.net/2018/01/08/luc-michels-geopolitical-daily-lappel-de-leurasie-en-marche-ladministration-trump-est-elle-en-train-de-perdre-le-pakistan-au-profit-de-pekin-et-de-moscou/

And :

See (in French) on LUC MICHEL’S GEOPOLITICAL DAILY/ GEOECONOMIE & EURASIE : LE CORRIDOR NORD-SUD BOULEVERSE LES ALLIANCES GEOPOLITIQUES ET LE ‘GRAND JEU’ DU PROCHE-ORIENT …

on http://www.lucmichel.net/2017/09/08/luc-michels-geopolitical-daily-geoeconomie-eurasie-le-corridor-nord-sud-bouleverse-les-alliances-geopolitiques-et-le-grand-jeu-du-proche-orient/

(3) See (in French) on EODE. ORG/ GEOPOLITIQUE/ UNE REALITE MECONNUE : L’AXE STRATEGIQUE ET MILITAIRE INDE-ISRAEL

on http://www.eode.org/eode-geopolitique-une-realite-meconnue-laxe-strategique-et-militaire-inde-israel/

(Sources: Starfor – Asia Sentinel – EODE Think-Tank)

Photo:

President Abdulla Yameen of Maldives and Xi Jingping.

Xi Jingping and Indian president Modi.

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE

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SYRIE. LES MASQUES TOMBENT (III): QUAND PARIS SOUTIENT LA SOI-DISANT ONG ‘LES CASQUES BLANCS’ DIRECTEMENT LIÉE AUX DJIHADISTES D’AL-NOSRA

 

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

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2018 01 14/

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La France a toujours eu une position hostile à Damas. Allant jusqu’à tenter d’organiser des frappes directes contre la Syrie, ce que même les américains ne suivront pas (1). Macron, « partisan résolu du Bloc occidental » (voir son interview d’avril 2016 à la Revue anglo-saxonne

‘Monocle’) et allié militaire de Trump, ne fait que suivre ses prédécesseurs Sarkozy et Hollande …

Dernier acte, voici l’Ong ‘Les Casques blancs’ (aussi connue sous le nom de « Défense civile syrienne ») invités à l’Assemblée nationale française ! … Malgré d’innombrables preuves (vidéos et photos) provenant de la Syrie sur le soutien des Casques blancs aux groupes terroristes, dont le Jabbat al-Nosra, « la France continue à les soutenir et en accueille même les membres à bras ouverts », estime Vanessa Beeley, chercheuse et journaliste indépendante.

La journaliste s’est encore étonnée que l’organisation soit « implantée exclusivement dans des zones syriennes occupées par des organisations terroristes reconnues comme telles, dont Al-Nosra [aujourd’hui devenu Fatah al-Cham] ou Daesh ». En octobre 2016, Vanessa Beeley soulignait déjà que l’ONG « était liée financièrement à Londres et à Washington (entre autres), principaux belligérants occidentaux sans mandat en Syrie ». Elle ajoutait que des « membres des Casques blancs entretenaient des liens avec des groupes djihadistes rebelles, tels que Fatah Al-Cham, résultat de la fusion d’Al-Nosra et de Arhar Al-Cham ».

Au même moment, pourtant, les Casques blancs étaient pressentis pour un prix Nobel de la paix, étaient reçus à l’Elysée par Hollande et ‘Netflix’ leur consacrait un documentaire hagiographique, tandis que la machine médiatique pilonnait l’opinion publique occidentale avec force reportages, dépeignant les Casques blancs comme « des héros hollywoodiens ». L’an dernier, le documentaire de Netflix avait obtenu un Oscar. Un second film intitulé “Les derniers hommes d’Alep” est également en course pour un Oscar cette année. Vous avez dit « fake news » et médiamensonges ?

LES COMPLICES ASSOCIES DU JABBAT AL-NOSRA RECUS A L’ASSEMBLEE NATIONALE FRANCAISE

L’Assemblée nationale française est allée trop loin en invitant en ce début 2018 au Palais Bourbon, des ‘Casques blancs’. En visite à Paris, le porte-parole des Casques blancs syriens, Abdulrahman Almawwas a rencontré, mardi 13 février, un conseiller spécial d’Emmanuel Macron, ainsi que des députés français.

Tout cela dans la ligne de l’action du gouvernement français depuis plusieurs années. «J’ai rencontré les Casques blancs syriens pour faire un point sur l’évolution de la situation en Syrie depuis notre dernière rencontre.» Tel était le tweet de François Hollande, posté le

7 novembre dernier sur le célèbre réseau social.

Alors que, selon le ‘Centre russe pour la réconciliation des parties en conflit en Syrie’, en première ligne dans la pacification de la Syrie, cité par ‘Al-Manar’, « les terroristes du Front al-Nosra et les Casques blancs s’occupent de préparer une provocation dans la province d’Idlib pour accuser ensuite le gouvernement syrien de recours à l’arme chimique » (2).

A noter que Le Département d’État américain a reconnu pour la première fois en octobre 2017 que les terroristes de ‘Hayat Tahrir al-Cham’

(coalition de groupes terroristes dont fait partie le Front al-Nosra) utilisaient des armes chimiques en Syrie.

LA VISITE DES ‘CASQUES BLANCS’ EN FRANCE ET LA « LIGNE ROUGE » D’EMMANUEL MACRON SUR LES ARMES CHIMIQUES EN SYRIE

La visite des ‘casques blancs’ en France survient au moment précisément où Macron entend trouver un prétexte pour frapper Damas, dans un mouvement désespéré pour em^pêcher la défaite totale des groupes terroristes en Syrie.

Entre « indications possibles » (sic) et preuves irréfutables qui n’existent pas à ce jour, l’exécutif français « tente de définir une position lisible quant aux accusations d’emploi d’armes chimiques en Syrie ».

Sur la question des accusations d’utilisation d’armes chimiques en Syrie, le gouvernement français s’en tient à la « ligne rouge » tracée par le candidat Emmanuel Macron, rappelée par le président de la République à Versailles en mai 2017 et martelée encore ce 13 février.

« Si [la France] a des preuves avérées que des armes chimiques proscrites sont utilisées contre les civils [en Syrie par le gouvernement], nous frapperons », a-t-il réaffirmé.

Pour autant, les allégations occidentales s’appuient précisément  … sur les déclarations des Casques blancs, ONG controversée, et encore de « l’Observatoire syrien des droits de l’homme » (OSDH), fausse Ong et officine des services secrets britanniques, tout est aussi controversé.

Mais l’OSDH, la source principale des médias de l’OTAN, mais aussi des analystes de la CIA et du Pentagone, c’est quoi ? « L’OSDH est un instrument de propagande favorable aux Frères musulmans  », affirme au journal La Croix l’expert Fabrice Balanche, spécialiste incontesté de la Syrie, où il a vécu dix ans, et qui est aujourd’hui directeur du Groupe de recherches et d’études sur la Méditerranée et le Moyen-Orient (Gremmo). L’expert du CNRS ajoute que « l’OSDH est sous perfusion financière des médias panarabes comme Al-Arabiya et Al-Jazira » (3) …

UNE PSEUDO ONG LIEE AUX GOUVERNEMENTS ANGLO-SAXONS

Les ‘Casques blancs’, groupe formé il y a cinq ans, se disent être « une ONG impartiale » (sic) active en Syrie « uniquement pour porter secours aux victimes de la guerre ». Or, à plusieurs reprises, cette ONG a menti et ses mensonges ont été souvent mis en lumière. Leur discours mensonger et propagandiste est destiné à justifier une action militaire contre le gouvernement syrien et à porter des accusations contre ses alliés.

Pour rappel, les ‘Casques blancs’ sont très officiellement soutenus par l’Agence des États-Unis pour le développement international (USAID, l’une des fameuses « vitrines légales de la CIA »), les Réseaux Sorös et le Foreign Office britannique. En témoigne également une vidéo twitée, en septembre 2016, où le ministre britannique des Affaires étrangères Boris Johnson évoquait sa « fierté » de leur prodiguer un soutien de 32 millions de Livres, soit la moitié de l’aide qu’ils reçoivent.

Explication : L’organisation a été créée en 2013 par James le Mesurier, un ancien officier britannique reconvertit dans le mercenariat, dont la société est basée à Dubaï.

Selon les médias russes, « ils n’ont cessé de réclamer l’établissement d’une zone d’exclusion aérienne au profit des forces antigouvernementales ». Ils sont également soupçonnés « d’avoir pris part au blocus de l’eau de Damas en janvier 2017 », un acte qualifié de «crime de guerre» par l’ONU.

AUX COTES DES DJIHADISTES

« Les Casques blancs fournissent des soins médicaux aux terroristes, ils acheminent les équipements par la Turquie dans les régions terroristes », selon Vanessa Beeley. « Ils ont été filmés participant à l’exécution d’un civil à Alep. Ils diffusent des vidéos, sur leurs pages dans les réseaux sociaux, des exécutions de soldats et de civils arabes », a-t-elle précisé au journaliste de RT.

Sur Internet, des vidéos circulent, comme celle où l’on peut voir l’exécution par des terroristes d’un civil à Hreitan, dans le nord d’Alep. Aussitôt après, des ‘Casques blancs’ viennent ramasser la dépouille du supplicié, comme s’ils attendaient hors champ de pouvoir passer à l’action. « Il y a des dizaines de vidéos où on voit, empilés à l’arrière d’un camion, des corps de soldats de l’armée syrienne, avec des Casques blancs se tenant tout autour, les appelant par toute sorte de titres injurieux et faisant le signe de la victoire alors qu’ils démarrent », témoigne Vanessa Beeley.

Un terroriste nommé Walid Hendi a avoué, en mai dernier, avoir participé à la création de toutes pièces de vidéos par une chaîne de télévision turque avec les ‘Casques blancs’, sur des attaques chimiques à Alep dans le but de mettre en cause l’armée syrienne. Le terroriste a avoué les faits en ces termes : « Ils nous ont donné des vêtements et dit que nous serions visés par des produits chimiques. En fait, on a joué une pièce de théâtre filmée par une chaîne turque, sur une présumée attaque chimique qui mettrait en cause l’armée syrienne.

Il a souligné que deux personnes nommées Ibrahim al-Hadj et Mohammad al-Seyyed étaient chargées de filmer les scènes. « Ils déclenchaient les sirènes et préparaient les civières pour transférer les blessés.

Ensuite, ils diffusaient les vidéos sur Internet dans le but d’incriminer l’armée syrienne », a-t-il ajouté, précisant qu’il avait lui-même participé à plusieurs tournages de ce genre.

NOTES :

(1) Cfr. Luc MICHEL, FOCUS / L’OPINION EUROPEENNE BASCULE CONTRE LA SALE GUERRE DE L’OTAN CONTRE LA SYRIE

sur http://www.lucmichel.net/2013/08/30/luc-michel-focus-lopinion-europeenne-bascule-contre-la-sale-guerre-de-lotan-contre-la-syrie/

(2) Une nouvelle provocation à l’arme chimique est en préparation à Idlib, avertit Moscou !

Le Département d’État américain a reconnu pour la première fois en octobre 2017 que les terroristes de ‘Hayat Tahrir al-Cham’ (coalition de groupes terroristes dont fait partie le Front al-Nosra) utilisaient des armes chimiques en Syrie. La Russie a averti que le Front al-Nosra préparait une provocation à l’arme chimique à Idlib en Syrie. Les terroristes du Front al-Nosra et les ‘Casques blancs’ s’occupent de préparer une provocation dans la province d’Idlib pour accuser ensuite le gouvernement syrien de recours à l’arme chimique, a annoncé le ‘Centre russe pour la réconciliation des parties en conflit en Syrie’.

Un habitant de la province syrienne d’Idlib a fait savoir que les terroristes du Front al-Nosra (rebaptisé Front Fatah al-Cham) avaient acheminé une vingtaine de bidons contenant du chlore dans un village de la région, a indiqué le centre russe dans un communiqué diffusé mardi. Le Conseil de sécurité des Nations unies s’est réuni ce lundi pour discuter du prétendu « usage d’armes chimiques par Damas ». Selon ce document, les terroristes préparent une provocation qui pourrait impliquer des membres de l’organisation ‘Casques blancs’ ainsi que des journalistes d’une chaîne de télévision étrangère (sans doute française).

« Les informations fournies par cet habitant de la province d’Idlib suscitent la profonde préoccupation du centre […]. Tout porte à croire que les terroristes du Front al-Nosra, de concert avec les Casques blancs, préparent une énième provocation dans la province d’Idlib », indique encore le Centre russe.

(3) Le pseudo « Observatoire syrien des droits de l’Homme » (OSDH), présenté suivant les cas comme une « ONG syrienne » (sic), suivant les autres « un large réseau de militants et de sources médicales et militaires à travers la Syrie » (resic), est en fait une officine barbouzarde, constitué autour du seul Rami Abdel Rahmane, « directeur de l’OSDH » et militant islamiste protégé par Londres.

En réalité, l’OSDH « a été exposé il y a longtemps comme étant une vitrine absurde de propagande gérée par Rami Abdul Rahman depuis sa maison semi-retirée en Angleterre », écrit Landestroyer. D’après un article de Reuters de Décembre 2011 intitulé « Coventry – an unlikely home to prominent Syria activist, » Abdul Rahman admet être un membre de la soi-disant “opposition syrienne” qui cherche à chasser le président syrien Bachar Al-Assad. « Après trois courts séjours dans les prisons syriennes pour activisme », Abdul Rahman arriva en Grande-Bretagne en 2000. Landestroyer écrit encore : « On ne peut pas trouver une source d’information plus douteuse, compromise, biaisée que lui et pourtant ces deux dernières années, son “observatoire” a servi de seule source d’information pour le torrent sans fin de propagande émanant des médias occidentaux (…) Et pourtant, malgré son rôle central dans cette guerre civile sauvage, le bien nommé OSDH est virtuellement un one-man-show. Son fondateur, Rami Adul Rahman, 42 ans, qui a fuit la Syrie il y a 13 ans, gère l’observatoire depuis une petite maison de briques semi-détachée d’une rue ordinnaire de la ville industrielle de Coventry en Angleterre ».

« Peut-être le pire de tout, est que l’ONU utilise cette source biaisée et compromise de propagande comme base de ses multiples rapports », du moins c’est ce que le New York Times affirme dans son article récent « A Very Busy Man Behind the Syrian Civil War’s Casualty Count ». L’article du NYT admet que « les analystes militaires de Washington ont suivi son décompte des corps de soldats syriens et de rebelles pour estimer la direction que prenait la guerre. L’ONU et les organisations pour les droits de l’Homme chérissent ses descriptions de meurtres de civils syriens pour les utiliser comme preuves dans de possibles procès pour crimes de guerre.

Les organisations de presse les plus importantes (…) citent ses chiffres de pertes humaines ». Le NYT « révèle également pour la première fois que l’opération d’Abdul Rahman est financée par l’Union Européenne et “un pays européen”, qu’il refuse d’identifier (…) Tandis qu’il refuse d’identifier ce pays, il s’agit sans aucun doute possible de la Grande-Bretagne elle-même, car Abdul Rahman a un accès direct au ministre des affaires étrangères britannique William Hague, qu’il a de manière documentée, rencontré en personne à de multiples reprises au bureau du Commonwealth de Londres ».

Ecoutons encore Tony Cartalucci sur Landestroyer : « Abdul Rahman n’est pas un “activiste des droits de l’Homme”. Il est un propagandiste payé pour ses activités. Il n’est pas différent de la clique de vils menteurs et de traîtres qui trouvèrent refuge à Londres et à Washington pendant la guerre d’Irak et de la plus récente débauche occidentale en Libye et ce pour le simple but de donner aux gouvernements occidentaux un flot constant de propagande et de renseignements intentionnellement falsifiés créés spécifiquement pour justifier l’action hégémonique de l’occident. Les contemporains d’Abdul Rahman incluent le notoire traître irakien Rafid al-Jalabi, nom de code “Curveball”, qui pavanne maintenant en disant qu’il a inventé les accusations sur les armes de destruction massive irakiennes, la casus belli occidental pour 10 ans de guerre qui a coûté plus d’un million de vies humaines, incluant des milliers de soldats occidentaux et qui a laissé l’Irak en ruines. Il y a aussi le moins connu Dr Sliman Bouchuiguir de Libye, qui forma la fondation, le racket des droits de l’Homme pro-occidental à Benghazi et qui proclame maintenant haut et fort que les histoires de Kadhafi massacrant son peuple étaient tout aussi inventées afin de donner à l’OTAN son prétexte d’intervention militaire ». What do you expect (comme dit la

pub) ?

(Sources : Presse iranienne – Pars – RT – EODE Think-Tank)

Photos :

« Volontaires » des ‘casques blancs’ et djihadistes d’al-Nosra : les docteurs Jekill et Mister Hyde de la propagande occidentale.

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE

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