LA NUOVA LINEA FERROVIARIA TORINO-LIONE: RIAPRIRE IL CONFRONTO

Il 23 Febbraio 2018 è stato reso pubblico un appello rivolto al governo e alle forze politiche per un ripensamento sostanziale sul progetto TAV Torino-Lione.
L’appello è sottoscritto da: 
Sandra Bonsanti, Massimo Bray, Francesca Chiavacci, Stefano Ciafani, don Luigi Ciotti, Vittorio Cogliati Dezza, Paolo Cognetti, Gastone Cottino, Vezio De Lucia, Giuseppe De Marzo, Vittorio Emiliani, Carlo Freccero, Mauro Furlani, Nadia Fusini, Elio Germano, Paul Ginsborg, Valter Giuliano, Franco Marcoaldi, Valerio Mastandrea, Luca Mercalli, Tomaso Montanari, Giorgio Nebbia, Moni Ovadia, Giovanni Palombarini, Livio Pepino, Riccardo Petrella, Christian Raimo, Marco Revelli, Paolo Rumiz, Salvatore Settis, Gino Strada, Gianni Tognoni, Sergio Ulgiati, Edoardo Zanchini.

LA NUOVA LINEA FERROVIARIA TORINO-LIONE: RIAPRIRE IL CONFRONTO

Dopo trent’anni di proclami e di progetti il TAV Torino-Lione è ancora ai blocchi di partenza, essendo state realizzate solo alcune opere preparatorie, anche se «l’avvio dei lavori definitivi della sezione transfrontaliera» è stato autorizzato dal Parlamento che ha ratificato precedenti accordi tra Italia e Francia.

Nel frattempo molte cose sono cambiate. La linea originariamente programmata è diventata un semplice “asse ferroviario” in cui si alternano nuove tratte progettate per sostenere l’alta velocità e tratte della preesistente linea storica (così facendo venir meno anche la coerenza interna del progetto). La Francia, pur senza mettere in discussione il tunnel di base di 57 km nella zona di confine, ha rinviato di decenni la scelta riguardante le rimanenti tratte comprese nel suo territorio. L’Italia ha ribadito l’intenzione di realizzare il tunnel (assumendosi, in maniera del tutto irrazionale, l’onere del 58 per cento delle relative spese benché esso insista sul territorio italiano solo per il 21 per cento) ma ha allo stesso tempo seguito nei fatti l’esempio francese per gran parte delle tratte site nel proprio territorio, salvo mascherare il rinvio con motivazioni meno trasparenti.

In questo quadro è stato pubblicato nei giorni scorsi un documento dell’Osservatorio per la Torino-Lione istituito presso la Presidenza del Consiglio in cui si riconosce che «molte previsioni fatte 10 anni fa, anche appoggiandosi a previsioni ufficiali dell’Unione Europea, sono state smentite dai fatti», salvo poi giustificare comunque la realizzazione del tunnel di base e di altri interventi non meno devastanti in territorio italiano adducendo nuove opinabili ragioni concernenti l’asserita necessità di ammodernare un’infrastruttura obsoleta e non integrata.

Siamo, dunque, di fronte a un’opera progettata e studiata per far fronte a un aumento a suo tempo definito insostenibile dei traffici che viene infine deliberata dandosi atto del conclamato venir meno di tale presupposto. Si tratta di un’evidente anomalia tanto più grave se si considera che le “nuove ragioni” non sono sorrette da alcuna analisi indipendente dei costi-benefici e del ciclo di vita dell’opera e sono contestate da autorevoli tecnici di diversa estrazione, con riferimento sia agli studi previsionali sia ai modelli analitici utilizzati (la cui scarsa attendibilità ha determinato, alcuni mesi fa, la presentazione alla Procura della Repubblica di Roma, da parte di diversi soggetti tra cui alcuni sindaci della Valle, di un esposto tuttora – a quanto consta – in fase di indagini preliminari).

In tale contesto elementari ragioni di trasparenza e di prudenza impongono un supplemento di riflessione e la riapertura da parte del Governo di un confronto con la popolazione locale, le istituzioni interessate, i tecnici da queste nominati e, più in generale, il mondo degli studiosi e dell’economia.

Per questo rivolgiamo alla politica e alle autorità di governo un appello pressante. La decisione di costruire la linea ferroviaria è stata presa quasi trent’anni fa. Oggi tutto è cambiato (sul piano delle conoscenze dei danni ambientali, nella situazione economica, nelle politiche dei trasporti, nelle prospettive dello sviluppo) e i lavori per il tunnel di base non sono ancora iniziati. Aprire un tavolo di confronto reale su opportunità, praticabilità e costi dell’opera e sulle eventuali alternative non provocherebbe, dunque, né battute d’arresto né ritardi. Sarebbe, al contrario, un atto di responsabilità e di intelligenza politica. Un tavolo di confronto pubblico e trasparente, con la partecipazione di esperti nazionali e internazionali, da convocare a breve, è nell’interesse di tutti. Perché c’è bisogno di capire per decidere di conseguenza, confermando o modificando la scelta effettuata in condizioni del tutto diverse da quelle attuali.

Chiediamo dunque alle forze politiche e alle autorità di governo di aprire una nuova fase, di ascoltare i tecnici che da tempo studiano il problema, di non deludere tanta parte del Paese, di dimostrare con i fatti che si vuole davvero perseguire l’interesse pubblico. Lo chiediamo con forza e con urgenza, consapevoli che ad essere in gioco è anche la credibilità delle istituzioni, sempre più delegittimate dal perdurante rifiuto di prendere in considerazione le istanze e le aspettative dei cittadini.

23 febbraio 2018

Sandra Bonsanti (giornalista e scrittrice)
Massimo Bray (già ministro dei Beni e delle attività culturali e del turismo)
Francesca Chiavacci (presidente nazionale Arci)
Stefano Ciafani (direttore generale Legambiente)
don Luigi Ciotti (presidente Libera e Gruppo Abele)
Vittorio Cogliati Dezza (ambientalista)
Paolo Cognetti (scrittore)
Gastone Cottino (già preside della Facoltà di giurisprudenza di Torino)
Vezio De Lucia (urbanista)
Giuseppe De Marzo (economista, coordinatore della Rete dei Numeri Pari)
Vittorio Emiliani (giornalista e scrittore)
Carlo Freccero (autore televisivo e scrittore, componente Consiglio di amministrazione Rai)
Mauro Furlani (presidente Federazione nazionale Pro Natura)
Nadia Fusini (scrittrice e critica letteraria)
Elio Germano (attore)
Paul Ginsborg (storico)
Valter Giuliano (giornalista e ambientalista)
Franco Marcoaldi (poeta)
Valerio Mastandrea (attore)
Luca Mercalli (metereologo e climatologo)
Tomaso Montanari (storico dell’arte, presidente Libertà e Giustizia)
Giorgio Nebbia (ambientalista)
Moni Ovadia (attore e drammaturgo)
Giovanni Palombarini (magistrato)
Livio Pepino (magistrato)
Riccardo Petrella (economista)
Christian Raimo (scrittore)
Marco Revelli (storico e politologo)
Paolo Rumiz (giornalista e scrittore)
Salvatore Settis (archeologo e storico dell’arte)
Gino Strada (medico, fondatore di Emergency)
Gianni Tognoni (medico, segretario Tribunale permanente dei popoli)
Sergio Ulgiati (professore di Analisi del ciclo di vita e Certificazione ambientale)
Edoardo Zanchini (vicepresidente nazionale Legambiente)

Scibona: non siamo più ai tempi del Fascimo (nota al Prefetto)

https://www.tgvallesusa.it/2018/02/scibona-non-piu-ai-tempi-del-fascimo-nota-al-prefetto/

TG Valle Susa - Informazione indipendente

 

COMUNICATO

TAV/ORDINANZE PREFETTO –  (): “Non siamo più al tempo del !”

Il Numero 37 è un numero primo ed in Piemonte è il numero del primato dell’attività legislativa arrogatasi dalla Prefettura di Torino, infatti 37 sono le ordinanze contrarie alla Costituzione che continuano a vietare la circolazione stradale in Valle di Susa.

Pensate che l’attività legislativa (decreto legge) riservata al Governo dalla Costituzione non può avere efficacia per più di 60 giorni se non interviene il Parlamento. Eppure, da noi, in Valle di Susa, i divieti della Prefettura di Torino, riservati dalla Costituzione al Parlamento, hanno durata ultraquinquennale.

La misura è colma, l’articolo 16 della Costituzione contiene una riserva di legge in tema di circolazione e la Prefettura di Torino la infrange da troppo tempo attraverso un potere di origine fascista ridimensionato dalla Corte Costituzionale. Non siamo più al tempo del fascismo! Oppure qualcuno ha piegato lo curvatura spazio temporale per ritornare al tempo di Mussolini?

Ed è inutile sottolineare come queste ordinanze siano contingibili ed urgenti, è palese a tutti che 37 ordinanze ripetute in oltre 5 anni siano emanate per contenere un problema prevedibile ed ordinario. A tal proposito ho presentato, oltre un anno fa, ricorso al Presidente della Repubblica avverso tali ordinanze, ricorso rimasto inceppato in questa burocrazia amministrativa esasperante.

Marco Scibona, Senatore M5S

Tav tunnel sotto il Frejus un deposito nucleare francese?

https://www.tgvallesusa.it/2018/02/tav-tunnel-frejus-un-deposito-nucleare-francese/

 TG Valle Susa - Informazione indipendente

Il FQ fa emergere lo scandalo della TAV sotto il Frejus, inutile. Davvero? Non per la Francia, che vuole costruire nella galleria un laboratorio nucleare. A spese Italiane.

 
Era chiaro dall’inizio che c’era qualcosa che non ci avevano detto, ossia spingere per il  della  sotto il  era totalmente inutile, almeno a livello economico.

Sappiamo però che la  aveva bisogno di ampliare il suo laboratorio di Modane per le ricerche nucleari, piazzandone uno al confine con l’Italia, proprio sotto il Frejus. Per questo lo scavo sarebbe dovuto partire nel 2013, ecco l’articolo:

E’ davvero successo? Ossia i francesi vogliono utilizzare la galleria TAV per ampliare/costruire  il loro laboratorio nucleare? Mettendo, nel caso, a rischio la salute degli italiani vicinali al tunnel? I politici dovrebbero dare una risposta a questa domanda, lecita.

O magari era tutta una bufala la volontà di ampliare il laboratorio francese di Modane, tutti gli articoli in rete sono una bufala… Chissà! E magari anche i residui che si tirano fuori dallo scavo TAV, dicevano fossero anche radioattivi, inyteressante!

Mi sa che non ci è stata detta tutta la verità sui reali fini della TAV. Fini che NON POSSONO ESSERE ECONOMICI; come ben indicato dal Fatto Quotidiano oggi. Strano, la sinistra è al potere da anni ma il problema dell’inutilità della TAV sorge solo oggi, appena prima di una sconfitta epocale del PD.

Lasciare il cadavere all’avversario eh? A pensar male….

http://physicsatmwatt.web.cern.ch/physicsatmwatt/Presentations/MW-Mosca.pdf

Non è forse il caso di indagare?

Fosse per me sigillerei la TAV domattina, lato italiano, ampliando invece il valico. Se i francesi vogliono fare i loro laboratorio nucleare (militare) nascondendolo sotto il Frejus –  e facendolo pagare anche agli Italiani – beh, possono fare da soli. Anche perchè, è vero, il traforo TAV è perfettamente inutile a livello economico. Ma magari non per fini militari (…).

Riassunto: per l’Italia, oltre al danno (dell’austerità EU) anche la beffa (di dover pagare per i laboratori nucleari francesi)?

Ai posteri.

Votate bene italiani, questa sarà l’elezione italiana più importante dal dopoguerra, ne va della vostra sopravvivenza come persone libere e relativamente benestanti.

di Fantomas per Scenaerieconomic.it

AFRICOM ET RECOLONISATION US DE L’AFRIQUE (VIII): LE PIVOT GEOPOLITIQUE DU NIGER (1)

 

* PANAFRICOM TV/

AFRICOM ET RECOLONISATION US DE L’AFRIQUE (VIII):

LE PIVOT GEOPOLITIQUE DU NIGER (1)

(AVEC LE ‘ZOOM AFRIQUE’ DE PRESSTV – IRAN)

sur https://vimeo.com/257369799

Vignette PANAF-TV africom 8

* Sujet de cette PARTIE VIII :

Que cherchent les USA au Niger ?

Le secrétaire américain à la Défense, James Mattis a déclaré, vendredi 20 octobre, devant des législateurs du Congrès que l’armée US entendait modifier sa stratégie antiterroriste en Afrique et qu’elle allait étendre ses opérations militaires sur le continent. Mattis a confié, à deux hauts responsables du Comité des forces armées du Sénat des États-Unis, que le Pentagone allait recourir à la force meurtrière contre des terroristes présumés en Afrique et qu’il allait placer l’autorité décisionnelle entre les mains des commandants américains sur place. Le géopoliticien Luc Michel explique comment le NIGER est devenu le pivot géopolitique de l’intervention militaire US en Afrique ?

* Nous reprenons dans cette série, sur la Recolonisation de l’Afrique par les USA et la mainmise militaire de l’AFRICOM et de l’US Army sur le Continent noir, une sélection de « Flash info » de la Télévision francophone d’Etat iranienne PRESS TV, diffusés dans la quotidienne « Zoom Afrique ».

PRESS TV s’inspire directement des analyses du géopoliticien Luc MICHEL (patron des Réseaux panafricains PANAFRICOM) sur cette Recolonisation de l’Afrique par les USA, sous prétexte du soi-disant « Printemps africain », qui est la menace principale en Afrique aujourd’hui. Paris et la Françafrique étant devenu les auxilliaires militaires de l’AFRICOM (la nouvelle « infanterie sénégalaise du Pentagone » dit Luc MICHEL), « le nouveau sherif de l’Afrique » comme l’a dit le Général US Mattis, chef du Pentagone sous Trump, en avril

2017 sur la base française de Djibouti …

# COMPRENDRE L’ARRIERE-PLAN GEOPOLITIQUE DU DOSSIER :

QUELLE EST LA THESE DE LUC MICHEL ?

LE PANAFRICANISME DOIT REGARDER VERS L’AVENIR. LA GEOPOLITIQUE AFRICAINE DE 2016 N’EST PLUS CELLE DES ANNEES 1960-2007 …

Il y a un arrière-plan géopolitique au soi-disant « printemps africain » de 2014-2018.

La thèse de Luc MICHEL, c’est que cet arrière-plan a changé depuis 2007-2008, que 2007 et 2008 ont été des tournants géopolitiques en Afrique … « Beaucoup de panafricanistes ont une vision du passé, un logiciel bloqué il y a 10, 20 ou 50 ans, nous dit-il. La haine justifiée de la Françafrique leur occulte la réalité de LA RECOLONISATION DE L’AFRIQUE PAR LES USA. Le retour de la France dans l’OTAN organisé par Sarkozy en 2007, la création de l’AFRICOM, le commandement unifié de l’US Army pour l’Afrique, par Bush II et Obama en 2007-2008, sont les marques de naissance d’une nouvelle donne géopolitique en Afrique.

Comme dans l’OTAN, la collaboration militaire et politique franco-américaine se double d’une « CONTRADICTION INTERNE » (caractéristique du Bloc américano-occidental) : l’allié militaire français est aussi le concurrent économique des USA, qu’il faut évincer des marchés africains (Alliés politico-militaires dans l’OTAN, les pays de l’UE sont opposés aux USA depuis les Années ’80 par la guerre économique USA vs UE et la guerre financière Dollar vs Euro).

Autrement dit Paris tire les marrons du feu pour Washington en Afrique !

Lors du « sommet USA-African Leaders » de Washington début août 2014, Obama a annoncé une vague de changements de régime sur le continent, par les méthodes habituelles des USA (révolution de couleur ou soi-disant « printemps arabe » -sic-, cloné en « printemps africain » -resic-). De nombreux pays ont ensuite été secoués par les vents mauvais de ce « printemps arabe » venu de Washington. De 15 à 20 pays sont concernés. Notamment Le Brurundi, où la révolution de couleur a échoué et a fait place au terrorisme. La RDC qui est la cible principale (le « pivot géopolitique » de l’Afrique) et le Cameroun (qui est le pivot du Golfe de Guinée), où des scénarios de révolution de couleur sont en cours d’implantation. La Guinée-Equatoriale et le Tchad, où le dialogue national a asséché le terrain pour une révolution de couleur …

_______________

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AFRICOM ET RECOLONISATION US DE L’AFRIQUE (VII): L’ARMEE FRANCAISE ‘INFANTERIE COLONIALE’ DU PENTAGONE EN AFRIQUE

 

* PANAFRICOM TV/

AFRICOM ET RECOLONISATION US DE L’AFRIQUE (VII):

L’ARMEE FRANCAISE ‘INFANTERIE COLONIALE’ DU PENTAGONE EN AFRIQUE (AVEC LE ‘ZOOM AFRIQUE’ DE PRESSTV – IRAN)

sur https://vimeo.com/257369758

Vignette PANAF-TV africom 7

* Sujet de cette PARTIE VII :

Comment l’Armée française est devenue, ironie de l’Histoire, « l’infanterie sénégalaise » du Pentagone en Afrique …

* Nous reprenons dans cette série, sur la Recolonisation de l’Afrique par les USA et la mainmise militaire de l’AFRICOM et de l’US Army sur le Continent noir, une sélection de « Flash info » de la Télévision francophone d’Etat iranienne PRESS TV, diffusés dans la quotidienne « Zoom Afrique ».

PRESS TV s’inspire directement des analyses du géopoliticien Luc MICHEL (patron des Réseaux panafricains PANAFRICOM) sur cette Recolonisation de l’Afrique par les USA, sous prétexte du soi-disant « Printemps africain », qui est la menace principale en Afrique aujourd’hui. Paris et la Françafrique étant devenu les auxilliaires militaires de l’AFRICOM (la nouvelle « infanterie sénégalaise du Pentagone » dit Luc MICHEL), « le nouveau sherif de l’Afrique » comme l’a dit le Général US Mattis, chef du Pentagone sous Trump, en avril

2017 sur la base française de Djibouti …

# COMPRENDRE L’ARRIERE-PLAN GEOPOLITIQUE DU DOSSIER :

QUELLE EST LA THESE DE LUC MICHEL ?

LE PANAFRICANISME DOIT REGARDER VERS L’AVENIR. LA GEOPOLITIQUE AFRICAINE DE 2016 N’EST PLUS CELLE DES ANNEES 1960-2007 …

Il y a un arrière-plan géopolitique au soi-disant « printemps africain » de 2014-2018.

La thèse de Luc MICHEL, c’est que cet arrière-plan a changé depuis 2007-2008, que 2007 et 2008 ont été des tournants géopolitiques en Afrique … « Beaucoup de panafricanistes ont une vision du passé, un logiciel bloqué il y a 10, 20 ou 50 ans, nous dit-il. La haine justifiée de la Françafrique leur occulte la réalité de LA RECOLONISATION DE L’AFRIQUE PAR LES USA. Le retour de la France dans l’OTAN organisé par Sarkozy en 2007, la création de l’AFRICOM, le commandement unifié de l’US Army pour l’Afrique, par Bush II et Obama en 2007-2008, sont les marques de naissance d’une nouvelle donne géopolitique en Afrique.

Comme dans l’OTAN, la collaboration militaire et politique franco-américaine se double d’une « CONTRADICTION INTERNE » (caractéristique du Bloc américano-occidental) : l’allié militaire français est aussi le concurrent économique des USA, qu’il faut évincer des marchés africains (Alliés politico-militaires dans l’OTAN, les pays de l’UE sont opposés aux USA depuis les Années ’80 par la guerre économique USA vs UE et la guerre financière Dollar vs Euro).

Autrement dit Paris tire les marrons du feu pour Washington en Afrique !

Lors du « sommet USA-African Leaders » de Washington début août 2014, Obama a annoncé une vague de changements de régime sur le continent, par les méthodes habituelles des USA (révolution de couleur ou soi-disant « printemps arabe » -sic-, cloné en « printemps africain » -resic-). De nombreux pays ont ensuite été secoués par les vents mauvais de ce « printemps arabe » venu de Washington. De 15 à 20 pays sont concernés. Notamment Le Brurundi, où la révolution de couleur a échoué et a fait place au terrorisme. La RDC qui est la cible principale (le « pivot géopolitique » de l’Afrique) et le Cameroun (qui est le pivot du Golfe de Guinée), où des scénarios de révolution de couleur sont en cours d’implantation. La Guinée-Equatoriale et le Tchad, où le dialogue national a asséché le terrain pour une révolution de couleur …

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SYRIE : LA GHOUTA ORIENTALE ET LA CONFRONTATION DAMAS-WASHINGTON

 

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Luc MICHEL pour EODE/

Quotidien géopolitique – Geopolitical Daily/

2018 02 26/

ghouta5 (1)

« En Syrie, la situation s’embrase dans la Ghouta orientale où les groupes terroristes takfiristes, soutenus par les États-Unis et leurs alliés occidentaux et régionaux, ne cessent de lancer des attaques au mortier et à la roquette contre cette zone située dans la banlieue de Damas et abritant près de 400 000 personnes »

– Tawfiq Choumane, analyste libanais.

La Ghouta orientale est le « dernier fief des takfiristes », comme l’Axe de la Résistance dénomme ceux que nous appelons « djihadistes » en Europe !

La Ghouta orientale est dotée d’une importance stratégique de premier plan parce qu’elle constitue le dernier bastion des djihadistes en Syrie, surtout dans sa capitale. Ce sont ces mêmes djihadistes qui sont armés et financés par certains pays arabes et occidentaux.

L’autre facteur qui donne une importance encore plus stratégique à la Ghouta orientale est son emplacement près de la capitale syrienne.

D’où les attaques d’envergure des terroristes, soi-disant « rebelles », contre cette région hautement névralgique. Et la reprise de la propagande hystérique anti-Assad (et anti-russe) américano-occidentale …

I/ LA GHOUTA ORIENTALE, THEATRE D’UNE CONFRONTATION DAMAS-WASHINGTON

Tawfiq Choumane, analyste libanais des questions stratégiques, dont je partage ici l’analyse, avance l’idée d’une « confrontation entre Damas et Washington » dans la zone en crise de la Ghouta orientale : « En Syrie, la situation s’embrase dans la Ghouta orientale où les groupes terroristes takfiristes, soutenus par les États-Unis et leurs alliés occidentaux et régionaux, ne cessent de lancer des attaques au mortier et à la roquette contre cette zone située dans la banlieue de Damas et abritant près de 400 000 personnes ».

« L’armée syrienne essaie de resserrer l’étau autour des terroristes du Front al-Nosra, qui se sentent déjà sous une pression accrue dans la province d’Idlib. À présent, l’armée syrienne compte isoler davantage les terroristes du Front al-Nosra en les mettant sous pression à Damas pour que les takfiristes ne puissent pas ouvrir de nouveaux fronts dans la banlieue de Damas.

La Ghouta orientale est le « théâtre d’une confrontation entre Damas et Washington » : « Les évolutions qui sont en cours dans la Ghouta orientale s’inscrivent dans la droite ligne des conflits opposant Damas et ses alliés d’une part, à Washington et ses alliés de l’autre, sur les plans militaire, politique et médiatique. Pendant les derniers mois, les relations entre les États-Unis et leurs alliés et la Syrie et ses alliés ont été marquées de plusieurs points de friction. Les drones des takfiristes, soutenus par les États-Unis, ont frappé les bases militaires russes de Hmeimim et de Tartous en Syrie, d’autant plus qu’un Soukhoï russe a été abattu début 2018 en Syrie. D’autre part, l’armée syrienne a abattu un F-16 israélien en plein vol dans le ciel de la Syrie. En effet, les mesures provocatrices des Américains, qui se sont intensifiées surtout depuis le début de 2018, ont abouti à cette escalade de la tension dans la Ghouta orientale ».

L’Arabie saoudite est le « principal sponsor des takfiristes ». « Outre le Front al-Nosra, un autre groupe terroriste appelé Jaych al-Islam est également très actif dans la Ghouta orientale. Jaych al-Islam est largement financé par les pétrodollars saoudiens. D’une manière générale, c’est l’Arabie saoudite qui finance les groupes takfiristes en Syrie, mais ceux-ci sont en même temps alimentés en armes et munitions par les Etats-Unis ».

LES ACCUSATIONS AMERICAINES CONTRE DAMAS  SONT DE NATURE POLITIQUE

La Maison-Blanche accuse « le gouvernement syrien d’avoir utilisé des armes chimiques contre les civils dans la Ghouta orientale, sans pourtant fournir aucun document ni preuve valable et authentique. En effet, ces accusations s’inscrivent dans la lignée d’un projet US visant à lancer une campagne d’intoxication contre Damas ».

Le but de Washington est le « maintien des forces militaires américaines en Syrie » : « Le secrétaire d’État américain Rex Tillerson a fait part, le 17 janvier 2018, de l’implantation de nouvelles bases militaires américaines en Syrie, notamment dans les régions à peuplement kurde. Il a souligné que les forces américaines ne quitteraient pas le territoire syrien avant l’émergence d’une solution politique à la crise en Syrie, une solution qui se résume, aux yeux des Américains, dans le retrait de Bachar al-Assad. »

COMMENT L’ARABIE SAOUDITE PERD SA DERNIERE POSITION EN SYRIE

L’Arabie saoudite, allié privilégié des USA, alliance renforcée par Trump, perd sa dernière position en Syrie. « Les groupes terroristes soutenus par l’Arabie saoudite sont à l’origine de l’escalade des tensions dans la Ghouta orientale », indiquait précédemment ‘Euronews’.

‘Euronews’ a publié un article sur les récentes évolutions dans la Ghouta orientale, en Syrie, disant que « les groupes terroristes soutenus par l’Arabie saoudite étaient à l’origine de l’escalade des tensions dans la Ghouta orientale » :

« L’un des facteurs qui mettent de l’huile sur le feu des conflits dans la Ghouta orientale est la présence du groupe terroriste Jaych al-Islam, qui n’a jusqu’ici pas reçu l’aval de son maître saoudien pour se retirer de cette région en crise. Le gouvernement syrien a encerclé la Ghouta orientale en 2013 où il a réussi à bloquer les percées des “opposants” dans plusieurs régions de Syrie. Pendant les trois dernières années, l’armée syrienne et ses alliés sont arrivés à faire céder les “opposants” et à les transférer à Idlib, en les soumettant à une pression accrue. Mais la Ghouta orientale y fait exception : ni les “opposants” ne cèdent, ni l’armée ne cesse de les attaquer. Les forces alliées de Bachar al-Assad, bien qu’elles aient enregistré des victoires remarquables à Palmyre, à Homs, à Deir ez-Zor et à Alep, n’ont pas encore réussi à reprendre le contrôle de cette enclave. La Ghouta orientale fait partie des zones de désescalade agrées par l’Iran, la Russie et la Turquie au cours des pourparlers d’Astana. Cependant, les tensions ont connu une hausse sans précédent dans cette banlieue de Damas, après une accalmie relative en 2017. Le gouvernement syrien n’a pas encore réussi à faire céder les rebelles dans la Ghouta orientale. Les “opposants” armés, pour leur part, n’acceptent pas de cesser leurs attaques au mortier contre l’est de Damas. Reste à savoir pourquoi aucune de ces parties ne veut reculer d’un iota de ses positions ».

Les guerres par procuration que déclenche l’Arabie saoudite, dans une région ou une autre, sont depuis des années un facteur influençant les équations de la région. Plus l’armée syrienne enregistre de victoires sur les champs de bataille, plus l’Arabie saoudite y perd son influence. La Ghouta orientale serait donc la dernière position de l’Arabie saoudite en Syrie. Jaych al-Islam n’a apparemment reçu aucune directive de la part des Saoudiens pour un retrait de la Ghouta orientale. Les rebelles de ce groupe sont la menace la plus proche, géographiquement parlant, pour le gouvernement syrien.

II/ LA BATAILLE DE DAMAS ET L’ENCERCLEMENT DE LA GHOUTA

La Bataille de la Ghouta (1) est essentielle à la fois pour Damas et ses alliés, mais aussi pour les djihadistes et leurs parrains américains et saoudiens.

La Ghouta est encerclée depuis 2013 par l’armée syrienne et ses alliés. Un an après le début de la Bataille de Damas et l’explosion du bâtiment de la sécurité nationale de la Syrie, où se trouvaient au moment de l’explosion plusieurs hauts responsables militaires et sécuritaires syriens, les forces de l’armée syrienne sont arrivées à déloger les “opposants” de la capitale et à les faire reculer vers cette banlieue de Damas. C’est le moment où l’enclave syrienne de la Ghouta a fait l’objet d’un blocus. À cette époque-là, les rebelles syriens ont été reconnus par les agences de presse internationales comme « des éléments de l’Armée syrienne libre » (ASL).

QUI SONT EN REALITE LES SOI-DISANT “REBELLES” OPERANT DANS LA GHOUTA ?

Voici la réalité de ces groupes dits « rebelles » :

Jaych al-Islam : Il s’agit d’un groupe terroriste très organisé, équipé et puissant et d’un acteur de premier plan dans les évolutions de la Ghouta orientale. Jaych al-Islam ne dément pas les fonds qu’il reçoit de la part de l’Arabie saoudite et Riyad ne dément pas non plus son soutien appuyé à ces rebelles. Zahran Allouche, fondateur de cette organisation militaro-politique wahhabite, a été abattu en décembre

2015 lors d’un raid aérien de l’aviation syrienne sur la banlieue de Damas. Son frère, Mohammed Allouche, a pris officieusement la direction de Jaych al-Islam et il représente le groupe dans les négociations pour la paix à Astana ! Zahran et Mohammed ont été tous les deux diplômés des écoles religieuses d’Arabie saoudite. Jaych al-Islam est composé de plus de 10.000 combattants aguerris.

Faylaq al-Rahman : Il s’agit d’un groupe fondamentaliste, formé en 2013, et il est composé d’environ 9.000 éléments. On ne sait pas beaucoup de choses sur les relations extérieures de ce groupe. En juillet 2017, lorsque Jaych al-Islam et la Russie sont tombés d’accord sur la création d’une zone de désescalade dans la Ghouta, Faylaq al-Rahman a déclaré « ne pas être au courant ».

Hayat Tahrir al-Cham : Les éléments de ce groupe sont majoritairement les anciens combattants du Front al-Nosra (branche d’al-Qaïda en Syrie). Bien qu’ils ne soient pas aussi nombreux dans la Ghouta qu’à Idlib, leurs compétences dans des techniques de combat telles que le forage de tunnels tous-terrains font des forces de Hayat Tahrir al-Cham les principaux acteurs des évolutions de la Ghouta orientale.

Ahrar al-Cham : Cette organisation terroriste est active plutôt dans le district de Harasta, dans l’ouest de la Ghouta. Ahrar al-Cham est à l’origine de plusieurs attaques au mortier contre Damas.

L’HISTOIRE D’ALEP SE REPETE-T-ELLE DANS LA GHOUTA ?

Alep, la plus grande ville de la Syrie, a été libérée en décembre 2016 par l’armée syrienne, à l’issue de quatre années de conflit. La partie orientale de cette ville était pratiquement sous l’emprise des groupes armés. Nombreux furent les experts politiques qui disaient que « la libération d’Alep mettrait fin à la guerre en Syrie ». Aujourd’hui, plus d’un an après la libération d’Alep, il paraît que « la fin des conflits dans la Ghouta orientale pourrait mettre un terme à la crise en Syrie. »

IL FAUT SAUVER LE SOLDAT AL-NOSRA

Macron et Merkel ont contacté Poutine pour obtenir une trêve en Syrie.

Le président russe, Vladimir Poutine, a déclaré à son homologue français, Emmanuel Macron, et à la chancelière allemande, Angela Merkel, que « la trêve en Syrie ne concernerait pas les groupes terroristes ». Le président russe s’est entretenu avec les dirigeants français et allemand sur le cessez-le-feu de 30 jours adopté par le Conseil de sécurité, a rapporté Fars News.

Le Conseil de sécurité de l’ONU a adopté samedi à l’unanimité une résolution réclamant « sans délai » un cessez-le-feu humanitaire d’un mois en Syrie. Ce 24 février, dans la soirée, le Conseil de sécurité des Nations unies a adopté une résolution ordonnant une trêve de 30 jours en Syrie en vue de « donner l’accès aux aides humanitaires dans les zones encerclées ». Et grâce à la pression exercée par la Russie, les groupes terroristes ont été exclus de cette trêve.

Cette résolution exclut formellement les groupes terroristes liés au Front al-Nosra (branche syrienne d’al-Qaïda) et Daech.

Cette adoption a eu lieu après les récentes campagnes d’intoxications des médias, ainsi que des autorités occidentales et arabes opposées au gouvernement syrien, sur la situation dans la Ghouta orientale.

Le Kremlin a également annoncé que « Poutine avait mis au courant Macron et Merkel des mesures prises par la Russie pour permettre aux civils sinistrés de sortir des zones en guerre et de recevoir des soins médicaux et des aides humanitaires ». « Les dirigeants allemand et français ont demandé au président russe d’exercer une forte pression sur le gouvernement syrien pour qu’il cesse la guerre », a annoncé le porte-parole du gouvernement allemand, selon Reuters.

Macron et Merkel ont précisé que « le cessez-le-feu, aboutissement de la supervision de la situation par les Nations unies, permettrait de se rapprocher d’une solution politique à la crise syrienne » (sic).

LES DETAILS DE L’ECHEC DU PLAN DU TANDEM ISRAËL-USA A DAMAS

Une source syrienne a annoncé que « Damas avait déjoué un plan américano-israélien qui aurait dû être appliqué dans la Ghouta orientale ». Cette source, qui a requis l’anonymat, a ajouté qu’en vertu de ce plan, « les chasseurs israéliens auraient dû bombarder des cibles de l’armée syrienne dans la banlieue de Damas afin de faciliter l’avancée des terroristes de Jaysh al-Islam depuis leurs positions dans la Ghouta orientale vers le Qalamoun oriental. De même, quelque 5 000 terroristes armés déployés dans la région d’al-Tanf à la frontière irako-syrienne, qui abrite une base américaine, auraient dû se diriger vers la banlieue de Damas pour arriver à la Ghouta orientale grâce à une couverture aérienne de l’aviation américaine, afin d’y établir une base américaine pour menacer la sécurité de Damas ».

À en croire cette source militaire, « l’armée syrienne a pu repousser l’avancée des groupes terroristes vers le Qalamoun oriental » : « Ce complot des ennemis a accéléré l’envoi de forces spéciales (commandos) ainsi que de divers bataillons de l’armée syrienne vers tous les axes menant à la Ghouta orientale pour lancer une grande et vase opération militaire destinée à libérer la Ghouta orientale dans sa totalité. Les États-Unis et Israël n’auraient jamais pensé à cela ; maintenant, ils se sont rendu compte que leur projet consistant à faire entrer les terroristes dans la capitale Damas est tombé à l’eau ».

« L’armée syrienne est résolue à éliminer tous les terroristes présents dans la Ghouta orientale et elle ne suspendra pas son opération jusqu’à la libération totale de cette région de la présence de tous les groupes terroristes, qui ne cessent de viser quotidiennement la capitale et sa population par des dizaines de missiles et d’obus de mortier », a ajouté la même source.

De l’avis des experts, la bataille de la Ghouta orientale « va imposer de nouvelles équations dans la guerre en Syrie ». Le plan de l’ennemi a accéléré le déploiement des forces spéciales (commandos), des brigades de l’armée syrienne sur les axes de la Ghouta orientale. De là, « débuteront de vastes opérations militaires destinées à libérer la région ». La décision de l’armée syrienne est « d’en finir rapidement avec les poches de terroristes dans la Ghouta orientale de Damas » et les autorités militaires ont déclaré « qu’elles n’abandonneraient pas avant d’avoir libéré la région ».

III/ LA TREVE ET LA TURQUIE A AFRIN ?

Une trêve « pour au moins trente jours consécutifs en Syrie pour une pause humanitaire durable » a bien été adoptée à l’unanimité aux Nations unies (ONU), ce 24 février, au terme de trois jours de négociations acharnées. « Malgré la résolution votée samedi soir par l’ONU, l’armée turque et ses alliés ont réitéré leur offensive contre la ville d’Afrin, dans le rif septentrional d’Alep, terrorisant encore une fois la population syrienne », rapporte l’agence de presse SANA citant une source locale. « Les localités de Jandairis, Rajo et autres villages ont été pris pour cible par l’artillerie des forces turques.

Les habitations ont subi de sérieux dommages ».

Le porte-parole du gouvernement turc a prévenu que « la résolution votée par l’ONU n’aurait aucun effet sur l’opération militaire de l’armée turque dans le nord de la Syrie » ! Bekir Bozdag, vice-ministre turc de la Justice, a réagi ce dimanche à la résolution de l’ONU en disant « qu’elle n’affecterait en rien l’opération turque Rameau d’olivier », selon la chaîne turque TRT.

En effet, le texte adopté à l’unanimité par l’ONU dans la soirée du samedi 24 février, au terme de trois jours de négociations acharnées et après maints amendements, « réclame que toutes les parties cessent les hostilités sans délai pour au moins trente jours consécutifs en Syrie afin d’instaurer une pause humanitaire durable ». Une reformulation imposée par Moscou, sur un texte de la suède et du Koweit (porteurs de valise des USA), qui ne parlait au départ que de la Ghouta. L’accord finalisé par la Russie, de 30 jours, prévoit l’arrêt des conflits en Syrie et l’envoi de l’aide humanitaire dans les zones touchées. Et sans doute, c’est mon analyse, un piège tendu à Ankara par Moscou …

NOTES :

(1) La bataille de la Ghouta orientale est un des fronts de la guerre civile syrienne. Après l’échec de leur offensive lors de la bataille de Damas, au cours de l’été 2012, les rebelles se replient et poursuivent le combat dans des quartiers périphériques de Damas et des villes et des villages de la Ghouta, aux alentours de la capitale.

Progressivement les rebelles se retrouvent encerclés dans plusieurs poches : la principale se situant à l’est avec la ville de Douma et les quartiers de Qaboun, Barzeh et Jobar. Au sud, les insurgés résistent principalement dans les quartiers de Yarmouk, Qadam, Hajar al-Aswad, Beit Sahem et Yalda et dans les villes de Daraya et de Mouadamiyat al-Cham.

Plusieurs groupes rebelles participent aux combats : le plus puissant dans le gouvernorat de Rif Dimachq étant le mouvement salafiste Jaych al-Islam, dirigé par Zahran Allouche. Des groupes affiliés à l’Armée syrienne libre — comme Faylaq al-Rahmane, le Liwa Shuhada al-Islam et Faylaq al-Cham — sont également présents, ainsi que Ahrar al-Cham, l’Union islamique Ajnad al-Cham et le Front al-Nosra, qui se rebaptise Front Fatah al-Cham en 2016, puis se fond dans le Hayat Tahrir al-Cham à partir de 2017.

Le gouvernement syrien conserve quant à lui plusieurs de ses forces d’élite dans la capitale, avec notamment des éléments de la Garde républicaine, casernés au cœur de Damas, près du grand hôtel ‘Dama Rose’. Il est également renforcé, dés le début du conflit, par de nombreuses milices chiites liées aux iraniens et au Hezbollah libanais.

Pris en étau, les rebelles perdent progressivement du terrain. L’État islamique (Daech ou ISI) s’empare pourtant du quartier de Hajar al-Aswad en juillet 2014, puis du quartier de Yarmouk en avril 2015.

La ville de Daraya est reprise par Damas en août 2016, suivie par celle de Mouadamiyat al-Cham en octobre 2016. La Ghouta occidentale libérée, reste la bataille pour le nettoyage de la Ghouta orientale.

(Sources : Fars – Euronews – Reuters – SANA – AFP – EODE Think-Tank)

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE

* Avec le Géopoliticien de l’Axe Eurasie-Afrique :

Géopolitique – Géoéconomie – Géoidéologie – Néoeurasisme – Néopanafricanisme (Vu de Moscou et Malabo) :

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EODE-TV https://vimeo.com/eodetv

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LA QUESTION DE JERUSALEM ET L’AVENIR DE LA CAUSE PALESTINIENNE

* Voir sur PCN-TV/

PRESS TV (IRAN) DEBAT AVEC LUC MICHEL ET ROBERT BIBEAU (‘LES 7 DU QUEBEC’) :

LES PROVOCATIONS DE TRUMP SUR LA QUESTION DE JERUSALEM ET L’AVENIR DE LA CAUSE PALESTINIENNE

(25 FEVRIER 2018)

sur https://vimeo.com/257385282

LM.PRESS TV - DEBAT jerusalem palestine (2018 02 25)

* Le commentaire de PRESS TV :

Débat : « les USA allument la mèche à Qods »

« Un responsable de la Maison-Blanche a annoncé, le vendredi 23 février, que l’ambassade américaine déménagerait, le 14 mai prochain, de Tel-Aviv à Qods. Le 14 mai, coïncide exactement avec le 70e anniversaire de la création du régime israélien et le début de l’exode palestinien de 1948, ou Nakba.

Le porte-parole du mouvement Hamas, Abdellatif al-Qanoue, a affirmé que le transfert de l’ambassade américaine n’accorderait aucune légitimité au régime sioniste et ne changerait pas la vérité sur Qods.

Il a averti que le déplacement de l’ambassade était un « coup de foudre qui fera exploser la région. » Le 6 décembre 2017, le président américain, Donald Trump, a annoncé que Washington reconnaîtrait Qods comme la « capitale » d’Israël et déplacerait son ambassade de Tel-Aviv vers la ville sainte, revendiquée à juste titre par les Palestiniens comme leur capitale.

Cette annonce américaine a déclenché des manifestations dans les territoires palestiniens occupés, en Iran, en Turquie, en Égypte, en Jordanie, en Tunisie, en Algérie, en Irak, au Maroc et dans d’autres pays musulmans et non musulmans. Une vague d’indignation et de critique à travers le monde a contraint le gouvernement américain à reporter de plusieurs mois le déménagement de son ambassade.

Après cette annonce de Trump, l’Assemblée générale des Nations unies a voté massivement en faveur d’une résolution qui appelle les États-Unis à rétracter leur reconnaissance controversée de Qods comme « la capitale israélienne ».

Les dirigeants palestiniens ont averti que la relocalisation potentielle de l’ambassade américaine alimenterait une forte réaction dans la région et porterait un coup mortel à toute perspective de résolution du conflit israélo-palestinien. »

Luc Michel, géopoliticien, et Robert Bibeau, éditeur du Webmagazine ‘Les 7 du Québec’, s’expriment sur ce sujet …

# ALLER PLU LOIN :

LES PROVOCATIONS DE L’AXE TRUMP-LIKOUD …

« Netanyahu invitera Trump pour l’inauguration de l’ambassade américaine en mai » dit le ‘Times of Israel’ !

Le Premier ministre a remercié le président américain pour son leadership et sa “forte amitié” et lui demandera de venir en Israël pour la cérémonie d’inauguration de sa mission. Le Premier ministre Benjamin Netanyahu devrait inviter le président américain Donald Trump en Israël au mois de mai pour inaugurer l’ambassade américaine qui, selon Washington, sera « relocalisée à Jérusalem lors de la journée de l’Indépendance israélienne », a rapporté samedi la chaîne ‘Hadashot’.

Dans une déclaration filmée postée sur ses pages sur les réseaux sociaux dans la soirée de samedi, Netanyahu a expliqué que « l’annonce américaine de relocalisation de l’ambassade, qui suit la déclaration historique faite par Trump au mois de décembre de reconnaître Israël en tant que capitale américaine, marquait «un grand moment pour l’Etat d’Israël ». « La décision prise par le président Donald Trump de relocaliser l’ambassade à Jérusalem lors de la prochaine journée de l’Indépendance apportera une joie supplémentaire aux célébrations », a dit Netanyahu. « Merci, président Trump, merci pour votre leadership et votre forte amitié », ajoute Netanyahu dans la séquence.

Le département d’Etat américain a indiqué au Congrès vendredi que « l’ambassade de Jérusalem ouvrira ses portes au mois de mai pour coïncider avec le 70e anniversaire de la déclaration d’indépendance de Jérusalem ». Le département d’Etat a confirmé le calendrier choisi pour la réalisation de cette initiative, un responsable américain déclarant au ‘Times of Israel’ que « l’ambassade sera initialement située à Arnona [dans le sud de Jérusalem], dans un complexe qui accueille actuellement les opérations consulaires du Consulat général.

Au moins pour commencer, elle consistera en l’ambassadeur et en une petite équipe ».

Une cérémonie d’inauguration est programmée pour la mi-mai. Israël a proclamé son indépendance le 14 mai 1948. Selon la Dixième chaîne et la chaîne ‘Hadashot’, la cérémonie se tiendra le 14 mai pour honorer cette date.

L’Autorité palestinienne a répondu avec colère à cette décision et a ajouté que les initiatives « unilatérales » ne contribueront pas à réaliser la paix entre les Palestiniens et Israël. Le Hamas a pour sa part averti que cette décision pourrait mener à une « explosion » dans la région.

La déclaration faite au mois de décembre par le président Trump de la reconnaissance de Jérusalem en tant que capitale d’Israël et l’annonce du plan de la relocalisation de l’ambassade des Etats-Unis dans la ville avait été condamnée dans le monde entier. Le même mois, l’Assemblée générale des Nations unies avait adopté une résolution condamnant cette initiative et avait appelé les autres pays à ne pas transférer leurs missions à Jérusalem. Les relations entre l’administration américaine et l’AP sont dans l’impasse depuis cette déclaration du président américain, faite le 6 décembre. Le président de l’AP Mahoumd Abbas et de hauts-responsables ont depuis répété que les Etats-Unis ne pouvaient plus assumer un rôle dans le processus de paix au Moyen-Orient en raison de leur « partialité » en faveur d’Israël. L’Autorité palestinienne a refusé tout contact substantiel depuis avec l’administration Trump.

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Tunnel TAV: perchè dobbiamo pagarlo noi!!

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Per adesso quindi i tecnici della Comissione TAV hanno avuto ragione sulle previsioni di trasporto merci, a quando la ripartizione dei costi al 50%? e a quando il rispetto del vincolo “a saturazione della linea esistente”?

 di Valsusa Report

Il “perchè dobbiamo pagarlo noi!!” dice la gente in valsusa, quel fiero popolo che ha da poco incassato il riconoscimento più ambito, “avevano ragione loro” si sente nei bar. Si proprio quella base del dissenso che ha sempre accompagnato e si è sempre appoggiata sui dati tecnici.

“avevano ragione loro” si sente nei bar

Già dal 1990 quando si trovano i primi oppositori “ignoranti montagnini” di allora, i dati merci della previsione trasportistica propositiva erano abnormi, stirati, imprecisi e campati in aria per giustificare la spesa pubblica di migliaia di miliardi di lire, di allora e di adesso, nel terzo millennio, di miliardi di euro.

Perchè deve pagare l’Italia un tunnel francese?

Ma adesso che hanno lowcostizzato la proposta TAV in Valsusa! Perchè deve pagare l’Italia un tunnel francese? Ed è qui, che non ci sono ancora risposte governative, il Presidio Europa ci sta provando da un po almeno da tre anni, da quando con il Contro Vertice di Villar Focchiardo del 2016, si gettarono le basi dei calcoli economici.

Costi enormi non giustificabili

Fu riproposto nell’Alter Vertice di Venaus del 2017. Questa disparità segnala che non lo vuole l’Europa!, che non lo vogliono i francesi! Ma senza ombra di dubbio lo vogliono i governanti italiani che finanziano il tunnel per la maggior parte con soldi pubblici, soldi sottratti e distratti come viene detto nelle stesure economiche dei ministeri trasporti ed economia addirittura dai fondi per il terremoto centro italia.

In Italia la costruzione del tunnel costa 5 volte la francia

Lo spiegano bene i tecnici e il Presidio Europa in un lungo comunicato anche pubblicato da noi, “occorre ricordare anche che il Tunnel della Torino-Lione di 57 km è Italiano per il 21% e Francese per il 79% (12 km in Italia e 45 in Francia)”. In Italia la costruzione del tunnel costa 5 volte la francia e noi italiani ne costruiremo, in termini di costi,  il 58%.

da Presidio Europa:

Il costo di questo tunnel di 57,2 km, accettato dal Ministero delle Infrastrutture italiano e riportato a pagina 9 della Delibera CIPE n. 67/2017, è di € 9,6 miliardi, mentre i due soci, al netto del dono dell’Unione Europea di € 3,4 miliardi, devono così contribuire:

– Italia    € 3,6 Mld. ossia € 293,5 milioni al km,

– Francia € 2,6 Mld. ossia € 57,9 milioni al km (costo al km inferiore di 5 volte).

Un’assurda asimmetria

Rimediare a questa “assurda asimmetria” sarebbe facile: Italia e Francia sottoscrivono un altro Accordo per la Torino-Lione per stabilire la nuova ripartizione dell’investimento in base ai km. di proprietà.

La Francia dovrebbe aumentare la sua quota di €2,3 Mld., quasi raddoppiando il suo contributo da € 2,6 Mld. a € 4,9 Mld., l’Italia ridurrebbe la sua quota dello stesso importo.

Questo risultato creerebbe una situazione talmente insostenibile per le casse della Francia, da farle abbandonare il progetto, come auspicato da tutte le persone di buon senso in Italia e in Francia.

Mancano le risposte, e manca la risposta anche ad un vincolo riportato su tutti gli accordi italo-francesi “a saturazione della linea esistente”. Un vincolo egreggiamente non considerato mai in nessuna intervista o dedita ammissione.

“A saturazione della linea esistente”

Recentemente anche la ministra dei trasporti europei  ha spinto sulla costruzione del corridoio europeo di enorme importanza, “la Torino-Lione è il tipico progetto che sarebbe difficile da realizzare senza l’Ue. Non è solo un progetto transfrontaliero tra Francia e Ue, ma ha un’importanza decisiva per l’intero mercato unico europeo perché è parte del corridoio Mediterraneo, uno dei nove corridoi che connettono i Paesi Ue” (da la stampa del 19/02/2018)

Ad oggi l’opera non è partita.

Non considerando la definizione di nuova linea alta velocità a saturazione della linea esistente, diventa partita l’opera. I fondi stanziati UE sono per tunnel geognostici a salvaguardia della valutazione costruttiva e previsione economica, ad oggi l’opera non è partita.

Chiomonte un tunnel senza la restituzione dei terreni espropriati.

Per adesso quindi i tecnici della Comissione TAV hanno avuto ragione sulle previsioni di trasporto merci, a quando la ripartizione dei costi al 50%? e a quando il rispetto del vincolo “a saturazione della linea esistente”? e a quando il riconoscimento che, (come dicevano i No Tav), il Tunnel Geognostico della Maddalena è di fatto un tunnel di servizio senza la restituzione dei terreni espropriati?

V.R. 21.2.18

Gentiloni il serio tutela in Val di Susa gli affari del Tav

https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/gentiloni-il-serio-tutela-in-val-di-susa-gli-affari-del-tav/

di  | 25 febbraio 2018

In questa campagna elettorale c’è un’impostura. Si descrive, anche molto autorevolmente, il candidato eterno premier Paolo Gentiloni come profeta del governo serio e responsabile. Sarà lui a preservare la stabilità del Paese dalle insidiose promesse “spendi e spandi” dei candidati? Bisogna essere un po’ storditi per credere che l’erede e continuatore di una storia che l’erede e continuatore di una storia che ha i suoi pilastri in Berlusconi a Renzi ci tutelerà dalle promesse irresponsabili di Renzi e Berlusconi.

Per non mettersi a ridere e capire la serietà del problema basta andare sul sito del governo a leggersi un recente documento sul Tav Torino-Lione.

Lì si capisce quale tradizione di buongoverno Gentiloni incarni. È quella secondo cui dare il reddito di cittadinanza, abolire il canone Rai o dimezzare le tasse sono chiacchiere irrealizzabili ma imperdonabili per i mitici mercati; mentre continuare a buttare miliardi su un’opera inutile come la Torino-Lione è molto saggio e indice di grande senso di responsabilità.

La Tav in Val di Susa anticipa e rappresenta le larghe intese nell’accezione più scandalosa.

Al nuovo tunnel sotto le Alpi hanno consacrato riti propiziatori tutti i governi e ministri degli ultimi quindici anni, dallo scavatore di gallerie berlusconiano Pietro Lunardi all’Antonio Di Pietro in versione prodiana che disattivava la modalità “angelo vendicatore” e si inginocchiava ad autostrade o ferrovie.

Per anni ogni esperto con un po’ di sale in zucca (non solo l’opposizione locale) ha spiegato che non serviva una ferrovia nuova per un traffico merci che poteva essere tranquillamente smaltito dalla vecchia.

Ma il succulento affare è stato difeso trasformando la discussione in un tema di ordine pubblico e addirittura di dignità dello Stato.

Ed ecco che l’Osservatorio per l’asse ferroviario Torino-Lione, cioè il governo, ammette che, per poter aprire i cantieri, hanno spacciato per anni cifre sballate.

Per i più giovani e gli smemorati: dieci anni fa raccontavano che in pochi anni il traffico merci sulla ferrovia Torino-Lione sarebbe cresciuto dell’80 per cento e nel 2015 la linea si sarebbe saturata.

Peccato che nel frattempo il traffico merci su rotaia si sia dimezzato sia in Italia che in Val di Susa. Le Fs dichiarano di aver trasportato nel 2016 40 milioni di tonnellate, contro le 87 del 2000.

Nel 2004 nel vecchio traforo ferroviario sono passate merci per 7 milioni di tonnellate, l’anno scorso ce ne sono passate meno di 4 quando la capacità è di almeno 15 milioni.

Nel frattempo il fassiniano (sic) capo dell’Osservatorio Mario Virano è stato promosso alla società costruttrice del Tav, dopo aver fatto l’osservatore neutrale con tale dedizione da finire a processo per omissione di atti di ufficio – riferisce l’agenzia Ansa – per non aver consegnato per anni certi documenti su questioni ambientali a un sindaco della valle che li chiedeva.

Il successore di Virano, Paolo Foietta, scrive oggi a nome del governo italiano: “Non c’è dubbio che molte previsioni fatte quasi 10 anni fa, in assoluta buona fede, anche appoggiandosi a previsioni ufficiali dell’Unione Europea, siano state smentite dai fatti”.

Ma bravi, e complimenti per la buona fede.

Però grazie a Dio abbiamo al governo il saggio Gentiloni e il tunnel si fa lo stesso, in nome del più cristallino metodo Sticazzi. E i contribuenti? Si fottano: “Occorre lasciare agli studiosi di storia economica la valutazione se le decisioni a suo tempo assunte potevano essere diverse”.

Ma bravi. E perché non far giudicare agli elettori? Niente da fare, quando scende in campo il partito del cemento a lorsignori piace l’occultismo.

Il popolo discuta se mantenere la Rai con il canone o con le tasse, ma lasci trafficare il saggio Gentiloni.

AFRICOM ET RECOLONISATION US DE L’AFRIQUE (VI): FRANCE-ALLEMAGNE-ITALIE. LES SUPPLETIFS DE L’US ARMY EN AFRIQUE

PANAFRICOM TV/

AFRICOM ET RECOLONISATION US DE L’AFRIQUE (VI):

FRANCE-ALLEMAGNE-ITALIE. LES SUPPLETIFS DE L’US ARMY EN AFRIQUE (AVEC LE ‘ZOOM AFRIQUE’ DE PRESSTV – IRAN)

sur https://vimeo.com/257109157

Vignette PANAF-TV africom 6

* Sujet de cette PARTIE VI :

La DIVISION DU TRAVAIL des supplétifs européens (OTAN) des USA :

France, Allemagne et maintenant Italie.

Comment l’Italie est devenue le nouveau bras exécutant des USA en Afrique …

* Nous reprenons dans cette série, sur la Recolonisation de l’Afrique par les USA et la mainmise militaire de l’AFRICOM et de l’US Army sur le Continent noir, une sélection de « Flash info » de la Télévision francophone d’Etat iranienne PRESS TV, diffusés dans la quotidienne « Zoom Afrique ».

PRESS TV s’inspire directement des analyses du géopoliticien Luc MICHEL (patron des Réseaux panafricains PANAFRICOM) sur cette Recolonisation de l’Afrique par les USA, sous prétexte du soi-disant « Printemps africain », qui est la menace principale en Afrique aujourd’hui. Paris et la Françafrique étant devenu les auxilliaires militaires de l’AFRICOM (la nouvelle « infanterie sénégalaise du Pentagone » dit Luc MICHEL), « le nouveau sherif de l’Afrique » comme l’a dit le Général US Mattis, chef du Pentagone sous Trump, en avril

2017 sur la base française de Djibouti …

# COMPRENDRE L’ARRIERE-PLAN GEOPOLITIQUE DU DOSSIER :

QUELLE EST LA THESE DE LUC MICHEL ?

LE PANAFRICANISME DOIT REGARDER VERS L’AVENIR. LA GEOPOLITIQUE AFRICAINE DE 2016 N’EST PLUS CELLE DES ANNEES 1960-2007

Il y a un arrière-plan géopolitique au soi-disant « printemps africain » de 2014-2018.

La thèse de Luc MICHEL, c’est que cet arrière-plan a changé depuis 2007-2008, que 2007 et 2008 ont été des tournants géopolitiques en Afrique … « Beaucoup de panafricanistes ont une vision du passé, un logiciel bloqué il y a 10, 20 ou 50 ans, nous dit-il. La haine justifiée de la Françafrique leur occulte la réalité de LA RECOLONISATION DE L’AFRIQUE PAR LES USA. Le retour de la France dans l’OTAN organisé par Sarkozy en 2007, la création de l’AFRICOM, le commandement unifié de l’US Army pour l’Afrique, par Bush II et Obama en 2007-2008, sont les marques de naissance d’une nouvelle donne géopolitique en Afrique.

Comme dans l’OTAN, la collaboration militaire et politique franco-américaine se double d’une « CONTRADICTION INTERNE » (caractéristique du Bloc américano-occidental) : l’allié militaire français est aussi le concurrent économique des USA, qu’il faut évincer des marchés africains (Alliés politico-militaires dans l’OTAN, les pays de l’UE sont opposés aux USA depuis les Années ’80 par la guerre économique USA vs UE et la guerre financière Dollar vs Euro).

Autrement dit Paris tire les marrons du feu pour Washington en Afrique !

Lors du « sommet USA-African Leaders » de Washington début août 2014, Obama a annoncé une vague de changements de régime sur le continent, par les méthodes habituelles des USA (révolution de couleur ou soi-disant « printemps arabe » -sic-, cloné en « printemps africain » -resic-). De nombreux pays ont ensuite été secoués par les vents mauvais de ce « printemps arabe » venu de Washington. De 15 à 20 pays sont concernés. Notamment Le Brurundi, où la révolution de couleur a échoué et a fait place au terrorisme. La RDC qui est la cible principale (le « pivot géopolitique » de l’Afrique) et le Cameroun (qui est le pivot du Golfe de Guinée), où des scénarios de révolution de couleur sont en cours d’implantation. La Guinée-Equatoriale et le Tchad, où le dialogue national a asséché le terrain pour une révolution de couleur …

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