Roma, rapina choc a Villa Ada: due rom picchiano una donna

donna anzianaavevano sbagliato strada anche loro, direbbe il magistrato di Torino. Solidarietà per la donna? Stop violenze sulle donne? Indignazione? Al massimo, solidarietà per i ragazzini rom.

 
Rapina choc in un palazzo a due passi da Villa Ada. Due nomadi di 14 anni hanno scalato uno stabile di via di Tor Fiorenza fino al quinto piano per introdursi in un appartamento picchiando la proprietaria, una donna sui sessant’anni. Il colpo si è verificato verso le 18.30. Nessuno si è accorto di nulla: nè i tanti passanti nè i residenti. I nomadi minorenni si sono trasformati in acrobati e si sono arrampicati sulle impalcature che avvolgono lo stabile in via di ristrutturazione. In questo modo hanno percorso in verticale una trentina di metri.
”Ero sola in casa – ha raccontato la proprietaria alle forze dell’ordine – quando ho sentito un rumore provenire dalla finestra del salotto. Ho tirato su la saracinesca: ho creduto di morire. Due giovani mi hanno aggredito. Mi hanno picchiata e scaraventata sul divano. Ero convinta che stando al quinto piano ero meno a rischio furti invece si sono arrampicati fino a casa mia”.
I rapinatori hanno minacciato di morte l’ostaggio e hanno messo a soqquadro la casa. Sono fuggiti con denaro in contante e gioielli di varia fattura. L’ostaggio ha chiamato i soccorsi ma quando è arrivata la polizia i minorenni erano già fuggiti molto probabilmente usando sempre le impalcature. E’ arrivato il personale di un’ambulanza che ha soccorso sul posto la signora apparsa affaticata e molto impaurita.
di Marco De Risi
 
Mercoledì 7 Febbraio 2018 – Ultimo aggiornamento: 08-02-2018 00:56

Paura nel bar della Stazione: agente della polizia penitenziaria salva 50enne da un tentato omicidio

bravi ragazzifiguriamoci, la vittima è un uomo, non conta per i politically correct dell’eguaglianza più eguale degli altri…Gentiloni non ce l’ha fatta a passare a trovarlo? Il bravo ragazzo è un irregolare sul territorio nazionale.

5 feb 2018 E’ accaduto questa mattina alle prime luci dell’alba. Un 19enne ha preso un uomo a sgabellate in testa, decisivo l’intervento dell’assistente capo della polizia penitenziaria.
 
Attimi di paura alle prime luci dell’alba all’interno del bar della Stazione di Foggia, quando un 19enne della Guinea ha aggredito con una inaudita violenza un cinquantenne foggiano, ricoverato in prognosi riservata nel reparto di Neurochirurgia per le molteplici fratture al cranio e lungo il corpo, con una prognosi ancora da definire. Il ragazzo è stato bloccato da un assistente capo dalle polizia penitenziaria e, con l’ausilio della Polfer, arrestato con l’accusa di tentato omicidio.
 
La violenta aggressione
E’ successo tutto in pochissimi minuti: l’agente della polizia penitenziaria libero dal servizio, ha udito le urla e le richieste d soccorso provenienti dal bar e per questo vi si è immediatamente precipitato nel tentativo di fermare l’aggressore, che nel frattempo, con uno sgabello, stava infierendo sul corpo del malcapitato, colpendolo più volta alla testa.  A quel punto N.C., assistente capo di polizia penitenziaria in servizio presso la casa circondariale del capoluoto dauno, ha contenuto la violenza del diciannovenne e lo ha immobilizzato. Per ultimare le fasi dell’arresto, insieme alla Polfer, è intervenuta l’ispettrice di polizia penitenziaria R.S. La lite tra i due senza fissa dimora era scoppiata per futili motivi e senza alcuna altra motivazione nell’atrio della stazione ferroviaria. La vittima a quel punto ha provato e rifugiarsi nel bar ma è stato inseguito e colpito alla testa dal giovane guineano.
 
L’arresto di Mamadou Salian Barry
In un secondo momento è arrivato il personale della Polizia di Stato della Sezione Polizia Ferroviaria di Foggia, così il giovane è stato bloccato e identificato per Mamadou Salian Barry, 19enne senza fissa dimora e irregolare sul territorio nazionale. Al momento della lite appariva in stato di agitazione e, come rilevato da documentazione in suo possesso, nella mattinata di ieri era stato visitato al Pronto Soccorso ove gli era stato somministrato un farmaco per analogo motivo. Il guineano è stato tratto in arresto per lesioni personali aggravate e resistenza a pubblico ufficiale e ristretto in via delle Casermette a disposizione della Procura della Repubblica di Foggia.
 
Il commento di Daniele Capone
Questo il commento del vicesegretario generale di polizia penitenziaria S.PP. Daniele Capone: “Ancora una volta la nostra professionalità si proietta anche al di fuori delle mura del penitenziario, come in questa circostanza, utile per salvare una vita umana. La professionalità del poliziotto penitenziario si acquisisce giorno dopo giorno, con l’agire quotidiano all’interno dei reparti detentivi. La calma e il sangue freddo nell’affrontare anche le situazioni di grande violenza, fa parte del nostro bagaglio lavorativo, e non smetterò mai di sottolineare, che la nostra professionalità, il nostro impegno quotidiano, il nostro operato, non è ancora ben conosciuto dalle istituzioni territoriali”

Droga nel centro profughi, era la base dello spaccio

NIGERIANO spaccia minorennema sarà un caso e sicuramente è stata la polizia, anzi, Salvini a metterci la droga per incolpare questi poveretti

I bravi ragazzi che spacciano solo perché non trovano altro (il 40% dei giovani italiani disoccupati non ci si dedica, sarà che son fanulloni) e pensare che ci raccontano che se sappiamo che forma e sapore hanno i pomodori lo dobbiamo alle risorse.

VIOLENTA AGGRESSIONE AGLI INVIATI DI STRISCIA LA NOTIZIA, video

Aggressioni ai giornalisti nelle zone dello spaccio sono all’ordine del giorno, ma nessuno si indigna e nessun indagato come per la capocciata di Roberto Spada. Il Ministro Minniti non si è espresso in “No zone franche” come per Ostia, questa stramba “eguaglianza”

Minaccia i poliziotti e tenta di picchiarli: «Ammazzo anche la vostra generazione»Il 23enne ha minacciato i poliziotti delle volanti mimando il gesto del taglio della gola, poi ha tentato di colpirli con calci e pugni e ha sfogato la sua rabbia anche sull’auto di servizio – 3 febbraio

Catania, rissa tra lavavetri al semaforo
Durante un controllo un agente di polizia aggredito con un pugno al viso
di Fabio Giuffrida  VIDEO 8 febbraio

I migranti di Macerata: “Per vivere siamo costretti a spacciare”

fortuna che non hanno da procurarsi i soldi per vitto, alloggio, bollette, biglietti di treno ed autobus, miliardi di altre tasse come tocca agli italiani, ANCHE SE DISOCCUPATI.

Droga nel centro profughi, era la base dello spaccio

febbraio 5, 2018

“Con la perquisizione da parte della Polizia di Imperia, che non finiremo mai di ringraziare per l’utile e prezioso lavoro a difesa della nostra Comunità, sarebbe emerso, per l’ennesima volta, che un centro di accoglienza gestito da una coop veniva sostanzialmente usato da alcuni migranti anche come base per lo spaccio di droga”. Lo ha dichiarato il capogruppo regionale ligure della Lega, Alessandro Piana, in merito al blitz della polizia di venerdì scorso.
 
“Una beffa non solo per noi italiani – ha aggiunto Piana – ma anche per gli immigrati regolari che si sono integrati e hanno accettato di vivere seguendo le nostre regole, leggi e tradizioni. Secondo l’indagine, tutto avveniva praticamente alla luce del sole e a pochi metri dal palazzo del Comune”.
“Si tratta, infatti, della struttura imposta solo poco più di un anno fa ai residenti della zona, del tutto contrari al nuovo insediamento, che avevamo cercato invano di non far aprire ricevendo porte in faccia da Governo e varie Istituzioni”.
 
“Ora è venuto fuori quello che ormai temevano tutti. E’ paradossale che lo Stato paghi e tuteli il business immigrati, con 35 euro a richiedente asilo, fornendo loro vitto, alloggio, wi-fi, istruzione, formazione e decine di altri privilegi, quando poi lo stesso Stato sa benissimo come in realtà vadano le cose a causa del buonismo dilagante e dell’immigrazione senza regole”.
 
“Da domenica 5 marzo si comincerà a cambiare davvero. Perché i delinquenti e quelli che vendono morte ai nostri figli per strada sono tutti uguali. Basta business e buonismo della sinistra. Avanti tolleranza zero, certezza della pena, rimpatri a tutta forza senza indugiare oltre”.

Omicidio di Pamela, il Tempo svela l’orrendo macello

Macerata profughi affariPamela ha fatto tutto da sola. NON SI PUO’ CONTESTARE O FERMARE I MILIONI PER MAFIA CAPITALE. PAMELA E’ UN “EFFETTO COLLATERALE”.


LE CARTE SEGRETE DEI PM SU INNOCENT

Omicidio di Pamela, il Tempo svela l’orrendo macello
I due nigeriani hanno mutilato la 18enne in più punti, l’hanno dissanguata e hanno lavato i vari pezzi con una sostanza a base di cloro. Quindi li hanno infilati nelle valigie

6 Febbraio 2018 alle 20:41

Per i fatti di Macerata la Ue ci accusa di razzismo. Da che pulpito, da quell’Unione che si cala le braghe davanti al dittatore Erdogan che perseguita i curdi e gli oppositori politici, incarcera blogger e giornalisti, gonfia di botte politici e militari che non marciano al passo dell’oca. L’Ue guarda e tace ed anzi preme per avere Ankara fra i suoi, con evidente spregio della geografia, oltreché della democrazia, solo perché la Turchia è un mercato che fa gola a molti.

Ma su questo l’omertà è completa, nei palazzi di marmo della Ue. Ed ecco allora spuntare bel bello, come una nota stonata, il vicepresidente della Commissione Ue, Frans Tillermans, che per il gesto di un malato di mente insulta 60 milioni di italiani, tacciandoci di “xenofobia” e inventandosi un “tentativo di distruggere il tessuto che ci lega come europei”. Ma a Bruxelles spostati e criminali non ce ne è? E soprattutto, a Bruxelles i cazzi loro non se li fanno mai?

E nel frattempo dell’orribile omicidio di Pamela Mastropietro Il Tempo di Roma rivela tutti i retroscena. Innocent Oseghale ha deturpato “completamente” il corpo della giovane smembrandolo “in vari pezzi con grossi strumenti da taglio”. “Non lo ha fatto da solo. Con lui c’era un altro nigeriano. Insieme hanno mutilato la 18enne in più punti, l’hanno dissanguata e hanno lavato i vari pezzi con una sostanza a base di cloro. Quindi li hanno infilati nelle valigie”, spiega il quotidiano.

Che fornisce anche la stomachevole sequenza dei fatti. “Prima le hanno tagliato la testa. Poi si sono accaniti sul torace: le hanno asportato le mammelle, il bacino e il monte di Venere.Quindi, le hanno tagliato le mani e diviso in due parti le braccia e le gambe. Alcuni pezzi, come il collo e una parte dell’organo sessuale, non si trovano nemmeno più. Tutto questo orrore è ora racchiuso nella carte degli inquirenti”. Carte che Il Tempo ha pubblicato in esclusiva e che ci permettono di ricostruire la mattanza di Macerata.

Poco importa che secondo il medico legale Antonio Tombolini, la 18enne romana potrebbe essere morta in seguito a una “intossicazione acuta da xenobiotici per via endovenosa probabilmente indotta” (un’overdose, quindi) oppure perché “ferita da punta e taglio alla parte bassa della porzione postero-laterale destra del torace”. Per la Procura il nigeriano avrebbe ammazzato Pamela a colpi di mannaia, ma per il gip “non ci sono gravi indizi di colpevolezza” sul reato di omicidio. Vuoi vedere che la farà franca?

http://www.ilpopulista.it/news/6-Febbraio-2018/23135/omicidio-di-pamela-il-tempo-svela-l-orrendo-macello.html

 

 

Innocent nega e resta in carcere. Ma accenna alla presenza di un secondo uomo, il pusher. Ed emergono contraddizioni nel racconto…

repubblica niente provetranquilli, adesso è colpa del camionista bianco (la precisa il fattoquotidiano la razza, quella che non si deve nominare). Femminicidio qui è abolito come termine. Stasi è stato condannato a 16 anni per ASSENZA di prove.


Pamela smembrata e gli organi rubati. E la stampa buonista difende il nigeriano

Innocent nega e resta in carcere. Ma accenna alla presenza di un secondo uomo, il pusher. Ed emergono contraddizioni nel racconto…

6 Febbraio 2018 alle 12:01

Sarebbero due le persone coinvolte nell’omicidio della giovane Pamela Mastropietro. Per la Procura di Macerata c’è un altro nigeriano che potrebbe avere avuto un ruolo nell’atroce delitto tribale. È stato lo stesso ventinovenne già in carcere a tirare in ballo un complice, durante il suo primo interrogatorio dopo il fermo di mercoledì, quando ha riferito ai carabinieri che la mattina precedente, martedì 30 gennaio, la diciottenne romana lo aveva avvicinato chiedendogli se conoscesse qualcuno che aveva eroina.

Innocent Oseghale racconta di aver chiamato col proprio cellulare un connazionale con il quale la ragazza si sarebbe poi incontrata allo stadio dei Pini per ricevere una dose. Sempre secondo la versione del nigeriano arrestato si sarebbero avviati tutti e tre verso la sua abitazione e durante il tragitto la ragazza avrebbe acquistato una siringa. Da qui in poi i conti non tornano.

“Alle 14 l’ho chiamato ma aveva il cellulare spento”, racconta una prima volta Innocent a proposito del suo complice di “dosi”. “Ho aspettato in giardino fino a quando si è fatto buio. Quando mi ha risposto al telefono mi ha detto che aveva lasciato le chiavi nella cassetta della posta. Ma io sono rimasto in giro fino all’indomani mattina senza rientrare a casa”. Una versione cambiata nel corso degli interrogatori, visto che al secondo confronto col magistrato l’imputato ha invece raccontato di essere salito anche lui a casa insieme al connazionale e a Pamela e di aver visto quest’ultima iniettarsi la droga, sentirsi male, tremare e cadere a terra.

“A quel punto mi sono spaventato e sono fuggito di casa”, ha aggiunto, negando di averla fatta a pezzi e gettato il cadavere. Da quel momento s’è chiuso nel più assoluto silenzio. Ed intanto emergono particolari scioccanti su questo efferato delitto. Gli inquirenti sottolineano che il corpo di Pamela è stato “deturpato completamente, smembrato in vari pezzi con grossi strumenti da taglio, mutilato in più punti: testa, torace, mammelle, bacino, monte di venere, mani, riducendo in due parti braccia e gambe”. Le varie parti del corpo, “dopo essere state completamente dissanguate e lavate con sostanza a base di cloro”, sono state infilate in due valige.

Un’operazione da chirurgo dell’orrore che si è spinta fino al punto di asportare organi e porzioni di tessuti, e che lascia ancora aperti tanti interrogativi. Il collo della vittima non è stato infatti ritrovato nei due trolley, così come pare manchino all’appello anche parte degli organi genitali e gli organi interni. In ciò che sembra connotarsi sempre più come un rito sacrificale pagano.

Ed intanto i buonisti salgono sulle barricate. “Non ci sono prove che abbia ucciso Pamela. Escluso l’omicidio nell’arresto di Oseghale”, scrive Repubblica. “Il gip ha convalidato il fermo del pusher solo per occultamento e vilipendio di cadavere. Non ha ritenuto non ci fossero elementi per l’accusa di omicidio (per cui Oseghale resta indagato). Il nigeriano avrebbe detto ai magistrati: Lei ha avuto una crisi da overdose e io sono scappato”. Per la stampa dem, garantista solo quando fa comodo, tanto basta.

http://www.ilpopulista.it/news/6-Febbraio-2018/23122/pamela-smembrata-e-gli-organi-rubati-e-la-stampa-buonista-difende-il-nigeriano.html

 

LES AMIS DE LA TERRE, VIVRE ET AGIR EN MAURIENNE E PRIVATI CITTADINI OPPOSITORI DEPOSITANO UN RICORSO AL GOVERNO FRANCESE CONTRO IL PROGETTO DEL TUNNEL LIONE-TORINO

 http://www.amisdelaterre.org/Les-Amis-de-la-Terre-deposent-un-recours-contre-le-projet-de-tunnel-Lyon-Turin.html

Dieci anni dopo la Dichiarazione di Utilità Pubblica (DUP) del tunnel franco-italiano, e mentre il progetto è ancora al punto morto, il governo ha appena firmato un decreto di proroga della DUP. Il ricorso presentato il 7 febbraio 2018 dagli Amici della Terra denuncia tuttavia gravi carenze rendendo precarie le giustificazioni di questo progetto.

Da un lato, il costo di questo progetto è in costante aumento: per la sola fase di studio e geognosi, è passato da € 371 milioni a € 1,5 miliardi, per un costo totale annunciato di 26 miliardi di euro. euro. D’altra parte, le previsioni di traffico che giustificano il progetto sono errate: non solo le infrastrutture esistenti non sono saturate, ma in aggiunta le ferrovie esistenti permetteranno di soddisfare le esigenze di trasferimento modale della strada alla ferrovia.

Questa decisione rivela le contraddizioni del governo. Così, per più di vent’anni, il progetto è stato oggetto di schiaccianti rapporti da parte delle Alte Amministrazioni dello Stato: il Consiglio generale dei Ponti e delle Strade, l’Ispettorato generale delle finanze o la Corte dei conti.


Tra Francia e Italia, un tunnel di aberrazioni economiche

7 febbraio 2018 di Jade Lindgaard
www.Mediapart.fr

https://www.mediapart.fr/journal/france/070218/lyon-turin-un-tunnel-d-aberrations-economiques?onglet=full

Tre ricorsi sono stati depositati dalle Associazioni “Les Amis de la Terre”, “Vivre et Agir en Maurienne” e da privati cittadini contro il progetto di Tunnel ferroviario Lione-Torino nei quali sono dimostrati gli elementi devastanti di questo cantiere da 26 miliardi di euro.

Il silenzio del Primo Ministro a volte parla più di un lungo discorso. Durante la sua visita in Savoia, a gennaio 2018, Édouard Philippe non ha detto una parola in pubblico sul progetto della galleria ferroviaria Lione-Torino.

L’ingombrante dossier da € 26 miliardi relativo alla costruzione di un tunnel ferroviario per il trasporto di merci e persone sotto le Alpi tra la Francia e l’Italia, è stato tenuto sotto traccia da Matignon. Lo ha confermato Emmanuel Macron durante il summit franco-italiano di Lione a settembre 2017, senza che nuove gare d’appalto siano state lanciate.

L’utilità pubblica di questo progetto faraonico, basato su un trattato internazionale firmato nel 2001 da Parigi e Roma, non è mai stata messa in discussione. In un recente rapporto, la Commissione per l’Orientamento delle Infrastrutture ha proposto di rinviare la realizzazione delle linee francesi di accesso al tunnel: “Non è stata dimostrata l’urgenza di intraprendere questi lavori le cui caratteristiche socioeconomiche appaiono in questa fase chiaramente sfavorevoli”. Nel luglio2017, la ministra dei trasporti Élisabeth Borne aveva annunciato la pausa della Lyon-Turin.

Mercoledì 7 febbraio, tre ricorsi sono stati presentati contro la proroga della dichiarazione di pubblica utilità risalente al 2007 e prorogata di cinque anni nel dicembre 2017. Dei residenti e varie associazioni si sono rivolte al Consiglio di Stato e al Governo: “Vivere e agire in Maurienne”, gli “Amici della Terra” e semplici cittadini oppositori della Lione-Torino. Questa non è la prima volta che il progetto franco-italiano è sotto attacco. Ma queste nuove procedure rivelano elementi devastanti per la cronaca: inesplicabili stime dei costi, errori abissali sui dati di traffico, provata mancanza dei finanziamenti.

Dove sono i finanziamenti Lione-Torino?

Il finanziamento per la Lione-Torino è diviso tra Francia (25%), Italia (35%) e Unione europea (40%). Per la Francia, la somma ammonterebbe a circa € 2,2 miliardi di euro per l’unica galleria franco-italiana, alla quale andrebbero aggiunti € 2,57 miliardi per tenere conto dei lavori supplementari decisi nel 2012.

A luglio 2016, inaugurando il cantiere in Francia, Manuel Valls ha annunciato che la Francia pagherà € 2,2 miliardi in dieci anni. Ma questo denaro non è stato ancora messo a disposizione dallo Stato. Il Ministero dei Trasporti lo riconosce in una risposta alla Commissione per l’Accesso ai Documenti Amministrativi (CADA), della quale è entrato in possesso a settembre 2017 Daniel Ibanez, oppositore della Lione-Torino, e da Raymond Avrillier, ex eletto ecologista del Comune di Grenoble.

Elisabeth Borne ha informato la commissione che “fino ad oggi non sono stati avviati i lavori definitivi della sezione transfrontaliera” e che “lo Stato non aveva ancora impegnato le somme corrispondenti per questo lavoro “. Interrogato a dicembre da Mediapart, il ministero non ha risposto alle nostre domande. Eppure dei lavori sono davvero iniziati (leggi il nostro articolo).  Lavori di scavo sono in corso per la galleria di riconoscimento di Saint-Martin-la-Porte, “nell’asse e nel diametro del tunnel di base”, afferma Telt (Euralpin Tunnel Lyon-Turin), il promotore, una società pubblica franco-italiana. Tre discenderie – tunnel che danno accesso al tunnel principale – sono già stati completati.

Su quali fondi sono stati finanziati? Un indizio appare nel diritto di risposta di un eletto locale, Michel Bouvard, ex senatore e vicepresidente del Consiglio dipartimentale di Savoia. Al quotidiano La Maurienne, egli spiega che gli attuali scavi sono “lavori definitivi”, “trasformati” in opere di riconoscimento “per consentirne l’esecuzione più rapida possibile così da beneficiare del finanziamento al 50% da parte dell’Unione Europea”. Definitivi o provvisori? La lite sullo status del lavoro non è altro che una traduzione di acrobazie di bilancio. Da parte sua, l’Unione europea ha erogato € 813 milioni in sovvenzioni per la Lione-Torino per l’esercizio finanziario 2016-2019. Ma questo denaro può essere devoluto solo in aggiunta ai fondi pubblici nazionali. L’Europa ha accettato di pagare solo il 40% dei lavori. Sembra che oggi questa sia l’unica fonte finanziaria. E in più, se l’intera somma stanziata non è stata spesa in tempo, il contributo non viene prorogato secondo il principio “usalo o perdilo”. Tanto che la Francia ha chiesto un’estensione del sussidio fino al 2023.

Questo maneggio dei bilanci nasconde una situazione finanziaria e giuridica pericolosa per il progetto del tunnel. Perché il Trattato franco-italiano del 2012 – articolo 16 – richiede la disponibilità di fondi prima dell’inizio dei lavori definitivi. Il Consiglio di Stato prende molto sul serio questo problema. Nel 2016, ha annullato la Dichiarazione di Utilità Pubblica (DUP) della Linea ad Alta velocità Limoges-Poitiers perché non conteneva “alcuna informazione precisa” sul metodo di finanziamento, compromettendo in questo modo la valutazione economica del progetto e, in fine, dannosa alle informazioni della popolazione.

Interrogato da Mediapart circa l’origine del suo finanziamento, Telt ci ha spiegato che le gare d’appalto sono in corso per la prima opera definitiva (trincea coperta di Saint-Julien-Mont Denis e pozzo di Avrieux). I contratti per gli appalti principali sono stati assegnati a 13 società di consulenza, per un valore stimato di 90 milioni di euro, come ha spiegato da Le Moniteur.

Per Gwénola Brand, avvocata di uno o degli oppositori alla proroga della DUP: “Esiste il  diritto di estendere una DUP se le condizioni non sono state modificate, come è avvenuto. Il progetto non è più lo stesso: il tunnel è diverso, i costi sono più alti. La Corte dei conti ha messo in guardia nel 2012 e nel 2016 sulla catastrofica e preoccupante esplosione dei costi di questo progetto.”

Costi impossibili da determinare

La indeterminatezza della fonte di finanziamento è tanto più incomprensibile dal momento che le somme in questione sono colossali. I debiti minacciano l’equilibrio della Agenzia Francese del Finanziamento delle Infrastrutture (AFITF), ha dichiarato la Corte dei conti in una relazione  dell’agosto 2016.

 Estratto della relazione del Consiglio Generlae dei Ponti e delle Strade del 2003 sulle infrastrutture di trasporto e sulla Lione-Torino

In questo grafico, risalente ad un rapporto del 2003 del Consiglio Generale dei Ponti e delle Strade del 2003, ripreso in esame nel 2009 dalla Corte dei conti, si nota chiaramente la “gobba” delle spese della Lione-Torino. In palese contraddizione con il discorso dell’esecutivo sulla priorità agli investimenti per il trasporto dei pendolari.

Ma da un documento all’altro, i costi della Lione-Torino variano. Nel 2006, l’inchiesta pubblica stimava che il progetto sarebbe costato €16,9 miliardi. Ma la tavola degli investimenti presentata nel sondaggio pubblico sulle linee di accesso francese al tunnel nel 2012, mostra un totale di € 24 miliardi (a valori 2009). Nel 2002, Telt stimò il costo del progetto in € 12 miliardi. Ma nel 2012 il Dipartimento del Tesoro lo ha rivalutato a € 26,1 miliardi. Per Daniel Ibanez, uno dei presentatori del ricorso contro la proroga della DUP, questo costo aggiuntivo “deve essere considerato come un cambiamento sostanziale nella redditività interna che vieta qualsiasi estensione dell’utilità pubblica”. E cita l’esempio dei lavori di studio e geognostici, previsti in € 371 milioni nel 2002, ma contabilizzati in 986 milioni di euro nel bilancio della società nel 2016. Tre volte di più.

D’altra parte, Telt nega il minimo cambiamento: “I fatti sono i seguenti: in euro costanti, la stima dei costi della sezione sotto la gestione del progetto Telt (tunnel di base e connessione alle linee storiche) non è più cambiata da più di 10 anni”.

Un’altra aberrazione: il progetto cambia forma con gli anni e i documenti. Nel 2006, l’inchiesta pubblica si è concentrata sulla costruzione di un tunnel mentre, nel 2012, la Francia si è impegnata per 33 km di tunnel a doppio tubo, denominati Belledonne e Glandon. Nel 2006, l’inchiesta pubblica presenta un tunnel di 53,1 km mentre nel 2012 Telt annuncia 57,5 km. Inizialmente, la sezione comune inizia dalla città di Saint-Jean-de-Maurienne, in seguito inizia nel solco alpino. Non solo il progetto è incomprensibile, ma i cambiamenti permanenti minano l’analisi della redditività socio-economica del progetto, che non è più calcolato sul corretto ambito di investimento, analizza Daniel Ibanez.

Gwénola Marca ritiene che “abbiamo trovato in questo dossier elementi piuttosto insoliti. A partire dalla natura estremamente vaga dei costi del progetto, che variano nel tempo. Se consultate oggi l’inchiesta pubblica, non sarete in grado di dire quanto costerà la Lione-Torino. Inoltre, non potrete sapere quanto tempo farà risparmiare il tunnel nel trasporto di persone e merci. Ci sono anche elementi molto sorprendenti. Ad esempio, il tempo di viaggio della linea prevista viene indicato senza tenere conto dei tempi delle fermate nelle stazioni ed è confrontato con il tempo di viaggio corrente che tiene conto delle fermate nelle stazioni. Raramente ho visto un caso così importante di dossier orientato nell’interesse del progetto. È paradossale date le dimensioni di questo progetto e il suo costo. Siamo di fronte a una decisione politica.”

Numeri di frequentazione gravemente errati

Un’altra faglia del dossier: le previsioni errate del traffico merci stradale e ferroviario. Nel 2006 l’indagine pubblica ha previsto 2,8 milioni di camion nel 2017 nel traffico delle gallerie del Fréjus e del Monte Bianco. Ma nel 2017, sono passati solo 1,4 milioni di camion, un po’ meno della metà. Per il trasporto ferroviario, nel 2006, il committente ha previsto 16 milioni di tonnellate di merci nel 2017 sull’attuale linea di Modane. Ma il massimo registrato è stato di 3,5 milioni, constata Daniel Ibanez. In totale, il tonnellaggio delle merci che circolavano su strada e ferrovia era di circa 25 milioni di tonnellate nel 2017, contro il 61,1 annunciato dal committente.

Differenze molto significative tra le stime prospettiche e la realtà osservata che distorcono valutazione socio-economica del progetto, dichiarato di pubblica utilità. Daniel Ibanez: “C’è un arbitrato da fare tra la situazione reale e le previsioni dell’uso ferroviario e stradale del committente. Si sono sostanzialmente sbagliati, sono iper esagerati. Risultato: tenendo conto delle cifre effettive di frequentazione, il progetto non soddisfa più i criteri di utilità socio-economica.”

Gli effetti di questo tipo di errore sono molto concreti. Nel 2015, la Linea ad Alta Velocità Perpignan-Figueras è stata posta in liquidazione a causa delle perdite finanziarie. Il trasporto merci ha raggiunto solo l’8% delle previsioni e quello delle persone il 15%, secondo il rapporto finanziario di SNCF Rete di giugno 2016. L’esempio colpisce ancor più dato che questa sezione si trova sullo stesso corridoio europeo della Lione-Torino, mentre il bacino della popolazione è due volte più piccolo. Il costo per chilometro della linea era di € 24,8 milioni. Sulla base di un costo prevedibile di € 10,4 miliardi di euro per la galleria di base Lione-Torino (57 km), il costo per chilometro raggiungerebbe € 174 milioni

Alternative che non vengono prese sul serio dai decisori

Mentre le valutazioni dell’alta amministrazione hanno insistito fin dall’inizio, nel 1998, sulla mancanza di saturazione della linea e sulla possibilità di rafforzare i flussi sulle linee esistenti, i governi l’hanno sempre ignorata. Nel 2003, il Consiglio generale dei Ponti e delle Strade e l’Ispettorato generale delle finanze stimano che “è improbabile che l’infrastruttura esistente sia saturata nel 2015″. Allo stesso tempo Rete ferroviaria Francese (RFF) difende la modernizzazione delle linee esistenti al fine di migliorare la capacità di transito.

“Contrariamente a quanto accaduto per Notre-Dame-des-Landes, dove fino a alla fine il DGAC ha rifiutato di accettare lo sviluppo dell’attuale aeroporto, per la Lione-Torino, e dal primo giorno, l’alta amministrazione ha affermato che le linee attuali non erano saturate e soddisfacevano i bisogni “, riassume Daniel Ibanez.

Diciassette anni dopo la firma a Torino del suo trattato fondatore, questo dossier di pianificazione è diventato mostruoso per dimensioni e tecnicità. Ma le domande che pone sono molto semplici: Chi definisce l’interesse generale e secondo quali criteri? Perché un progetto può essere modificato dopo essere stato dichiarato di pubblica utilità? Perché le allerte dell’alta amministrazione non sono state ascoltate? Come possiamo spiegare che i governi che si sono succeduti hanno in programma di spendere così tanto denaro pubblico in un tunnel, mentre le vie di trasporto circostanti non sono saturate? Tutte le carenze di democrazia evidenziate dai mediatori per l’aeroporto di Notre-Dame-des-Landes (scarsa informazione pubblica, mancanza di studi seri sulle alternative, visione parziale dell’interesse generale) si ritrovano nel dossier della Lyon-Torino.

URL: https://www.mediapart.fr/journal/france/070218/france-france-et-li-italie-un-tunnel-d-aberrations-economiques


Les Amis de la Terre déposent un recours contre le projet de tunnel Lyon-Turin

http://www.amisdelaterre.org/Les-Amis-de-la-Terre-deposent-un-recours-contre-le-projet-de-tunnel-Lyon-Turin.html

Montreuil, le 7 février 2018 – Les Amis de la Terre déposent aujourd’hui un recours gracieux contre la prolongation de la déclaration d’utilité publique du tunnel du projet Lyon-Turin. Ils dénoncent l’inutilité de ce projet coûteux et appellent, alors que les Assises de la mobilité viennent de s’achever, à repenser des formes de mobilité socialement plus justes et environnementalement plus pérennes.
Dix ans après la Déclaration d’utilité publique (DUP) du tunnel franco-italien, et alors que le projet est toujours au point mort, le gouvernement vient de signer les prolongations en publiant un décret de prorogation. Le recours déposé aujourd’hui par les Amis de la Terre dénonce pourtant des insuffisances majeures rendant caduques les justifications de ce projet.

D’une part, le coût de ce projet est en constante augmentation : pour la seule phase d’étude et de reconnaissance, il est passé de 371 millions à 1,5 milliard d’euros, pour un coût global annoncé de 26 milliards d’euros. D’autre part, les prévisions de trafic justifiant le projet sont erronées : non seulement les infrastructures existantes ne sont pas saturées, mais de plus les voies ferrées existantes permettront de répondre aux besoins de report de la route vers le rail.

Cette décision révèle les contradictions du gouvernement. Ainsi, depuis plus de vingt ans, le projet a fait l’objet de rapports accablants de la part des hautes administrations de l’Etat : le Conseil Général des Ponts et Chaussées, l’Inspection Générale des Finances ou encore la Cour des Comptes.

Le 1er février, le Conseil d’Orientation des Infrastructures a quant à lui déclaré que le projet Lyon-Turin dans ses accès français présente des “caractéristiques socio-économiques [qui] apparaissent à ce stade clairement défavorables”.

Pour Louis Cofflard, des Amis de la Terre : “ En prenant la décision de prolonger la Déclaration d’utilité publique du tunnel Lyon-Turin, le gouvernement ne fait que maintenir sous perfusion un projet contesté depuis près de 30 ans pour son inutilité et ses conséquences environnementales et sociales. Cette décision est incohérente avec les déclarations de la Ministre des Transports Elisabeth Borne qui, lors des Assises de la mobilité, prétendait donner la priorité aux transports du quotidien, à la sécurisation, la maintenance et l’amélioration des réseaux existants.

La prolongation de la DUP fait l’objet de plusieurs contestations simultanées, dont un autre recours gracieux déposé par huit organisations locales, parmi lesquelles les Amis de la Terre Savoie, Haute-Savoie et Isère.

Alors que le secteur du transport est le premier contributeur d’émissions de gaz à effet de serre en France, les Amis de la Terre rappellent la nécessité de repenser les formes de mobilité et appellent à l’abandon du projet Lyon-Turin.


Entre la France et l’Italie, un tunnel d’aberrations économiques

7 févr. 2018 Par Jade Lindgaard – www.Mediapart.fr

https://www.mediapart.fr/journal/france/070218/entre-la-france-et-l-italie-un-tunnel-d-aberrations-economiques

Sur le chantier du Lyon-Turin en 2014 (DR)

Trois recours déposés mercredi 7 février contre le projet de tunnel ferroviaire Lyon-Turin font apparaître des éléments dévastateurs pour ce chantier à 26 milliards d’euros.

Un silence de premier ministre en dit parfois plus qu’un long discours. Lors de sa visite en Savoie en janvier, Édouard Philippe n’a pas prononcé un mot en public sur le projet de tunnel ferroviaire Lyon-Turin. L’encombrant dossier à 26 milliards d’euros, concernant la construction d’un tunnel ferroviaire pour transporter du fret et des personnes sous les Alpes entre la France et l’Italie, a été tenu à distance par Matignon. Il avait pourtant été confirmé par Emmanuel Macron lors d’un sommet franco-italien à Lyon en septembre, sans que de nouveaux appels d’offres ne soient lancés.

L’utilité publique de ce projet pharaonique, fondé par un traité international signé en 2001 par Paris et Rome, n’a jamais autant été remise en cause. Dans un récent rapport, la Commission d’orientation des infrastructures suggère de reporter la réalisation des accès français au tunnel : « La démonstration n’a pas été faite de l’urgence d’engager ces aménagements, dont les caractéristiques socio-économiques apparaissent à ce stade clairement défavorables. » En juillet, la ministre des transports Élisabeth Borne avait annoncé mettre le Lyon-Turin en pause.

Mercredi 7 février, trois recours doivent être déposés contre la prorogation de la déclaration d’utilité publique, datant de 2007 et rallongée de cinq ans en décembre 2017. Des riverains et plusieurs associations saisissent le Conseil d’État et le gouvernement : Vivre et agir en Maurienne, les Amis de la Terre et des particuliers opposants au Lyon-Turin. Ce n’est pas la première fois que le projet franco-italien est attaqué. Mais ces nouvelles procédures font apparaître des éléments dévastateurs pour le dossier : insondable flou des estimations de coût, erreurs abyssales sur les chiffres de fréquentation, absence de financement avéré.

  • Où sont les financements du Lyon-Turin ?

Les financements du Lyon-Turin se répartissent entre la France (25 %), l’Italie (35 %) et l’Union européenne (40 %). Pour la France, la somme s’élèverait à environ 2,2 milliards d’euros pour le seul tunnel franco-italien, auxquels il faudrait ajouter 2,57 milliards pour tenir compte de travaux supplémentaires décidés en 2012.

En juillet 2016, inaugurant le chantier, Manuel Valls a annoncé que la France paierait 2,2 milliards d’euros sur dix ans. Mais cet argent n’a pour l’instant pas été engagé par l’État. C’est le ministère des transports qui le reconnaît dans une réponse à la Commission d’accès aux documents administratifs (CADA), saisie en septembre par Daniel Ibanez, opposant au Lyon-Turin, et Raymond Avrillier, ancien élu écologiste de la mairie de Grenoble.

Élisabeth Borne a informé la commission « qu’à ce jour les travaux définitifs de la section transfrontalière n’avaient pas été lancés » et que « les engagements financiers de l’État correspondant à ces travaux n’avaient donc pas encore été engagés ». Sollicité à ce sujet en décembre par Mediapart, le ministère n’avait pas répondu à nos questions. Pourtant, des travaux ont bel et bien commencé (lire notre article). La galerie de reconnaissance de Saint-Martin-la-Porte est en cours de creusement, « dans l’axe et au diamètre du tunnel de base » précise Telt (Tunnel euralpin Lyon-Turin), le maître d’ouvrage, une société publique franco-italienne. Trois descenderies – puits donnant accès au tunnel – ont déjà été réalisées.

Sur quels fonds sont-ils financés ? Un indice apparaît dans le droit de réponse d’un élu local, Michel Bouvard, ancien sénateur et vice-président du conseil départemental de Savoie. Dans le journal La Maurienne, il explique que les travaux actuels sont définitifs et qu’ils ont été « basculés » en travaux de reconnaissance « pour en permettre l’exécution dans les meilleurs délais et bénéficier du financement de 50 % de ces travaux par l’Union européenne ». Définitifs ou provisoires ? La querelle du statut des travaux n’est que la traduction d’une acrobatie budgétaire. Car de son côté, l’Union européenne a accordé 813 millions d’euros de subvention au Lyon-Turin sur l’exercice 2016-2019. Mais cet argent ne peut venir qu’en complément des fonds publics nationaux. L’Europe n’a accepté de payer que 40 % des travaux. Il semble qu’aujourd’hui, elle en soit la seule source financière. Surtout, si toute la somme allouée n’a pas été dépensée à temps, elle n’est pas reportée. C’est le principe « Use it or lose it ». Si bien que la France a déposé une demande de prorogation de la subvention jusqu’en 2023.

Ce bricolage budgétaire cache mal une situation financière et juridique périlleuse pour le projet de tunnel. Car le traité franco-italien de 2012 – article 16 – exige la disponibilité des fonds en préalable au lancement des travaux définitifs. Le Conseil d’État prend très au sérieux cette question. En 2016, il a annulé la déclaration d’utilité publique (DUP) de la LGV Limoges-Poitiers car elle ne contenait « aucune information précise » sur son mode de financement, entachant ainsi l’évaluation économique du projet et, in fine, nuisant à l’information de la population.

Interrogée par Mediapart sur l’origine de son financement, Telt nous répond à côté, expliquant que des appels d’offres sont en cours pour les premiers travaux définitifs (tranchée couverte de Saint-Julien-Mont-Denis et puits d’Avrieux). Les contrats de maîtrise d’œuvre du tunnel de base viennent en effet d’être attribués à 13 bureaux d’études, pour une valeur prévisionnelle de 90 millions d’euros, comme l’a expliqué Le Moniteur.

Pour Gwénola Brand, avocate de l’un des recours formés par des opposants à la prorogation de la DUP : « Vous avez le droit de proroger une DUP si les conditions n’ont pas été modifiées. Or elles l’ont été. Le projet n’est plus le même : le tunnel est différent, les coûts sont plus élevés. La Cour des comptes alerte en 2012 et 2016 sur l’explosion catastrophique et inquiétante des coûts de ce projet. »

  • Coûts impossibles à déterminer

Ce flou sur la source des financements est d’autant plus incompréhensible que les sommes en jeu sont colossales. Les sommes à payer menacent l’équilibre de l’Agence de financement des infrastructures de France (Afitf), a alerté la Cour des comptes dans un référé en août 2016.

Extrait du rapport des Ponts et chaussées de 2003 sur les infrastructures de transport et le Lyon-Turin

Sur ce graphique, datant d’un rapport de 2003 des Ponts et chaussées et repris en 2009 par la Cour des comptes, on voit nettement « la bosse » de dépenses du Lyon-Turin. En contradiction flagrante avec le discours de l’exécutif sur la priorité aux investissements pour les transports du quotidien.

Mais d’un document à l’autre, les coûts du Lyon-Turin varient. En 2006, l’enquête publique estime que le projet coûtera en tout 16,9 milliards d’euros. Mais le tableau d’investissement présenté dans l’enquête publique sur les accès français au tunnel, en 2012, chiffre le total à 24 milliards (en valeurs 2009). En 2002, Telt estimait le coût du projet à 12 milliards d’euros. Mais en 2012, la direction du Trésor l’a réévalué à 26,1 milliard d’euros. Pour Daniel Ibanez, un des requérants contre la prorogation de la DUP, ce surcoût « doit être regardé comme une modification substantielle de la rentabilité interne interdisant toute prorogation de l’utilité publique ». Il cite l’exemple des travaux d’études et de reconnaissances, chiffrés à 371 millions d’euros en 2002, mais comptabilisés à hauteur de 986 millions d’euros dans le bilan comptable de la société en 2016. Soit trois fois plus.

De son côté, Telt dément le moindre changement : « Les faits sont les suivants : en euros constants, l’estimation du coût de la section sous maîtrise d’ouvrage Telt (tunnel de base et raccordement aux lignes historiques) n’a pas évolué depuis plus de 10 ans. »

Autre aberration : le projet change de forme avec les années et les documents. En 2006, l’enquête publique porte sur la construction d’un  tunnel alors qu’en 2012, la France s’engage pour 33 km de tunnels double tube en plus, appelés Belledonne et Glandon. En 2006, l’enquête publique présente un tunnel de 53,1 km alors qu’en 2012, Telt annonce 57,5 km. Au départ, la section commune part de la ville de Saint-Jean-de-Maurienne, pour ensuite démarrer dans le sillon alpin. Non seulement le projet est incompréhensible, mais ces modifications permanentes sapent l’analyse de la rentabilité socio-économique du projet, qui n’est plus calculée sur le bon périmètre d’investissement, analyse Daniel Ibanez.

Gwénola Brand estime que l’« on trouve dans ce dossier des éléments assez inhabituels. À commencer par le caractère extrêmement vague des coûts du projet, qui varient dans le temps. Si vous lisez aujourd’hui l’enquête publique, vous êtes dans l’incapacité de dire combien va coûter le Lyon-Turin. Vous ne pouvez pas non plus savoir combien de temps le tunnel fera gagner au transport de personnes et de marchandises. On y trouve aussi des éléments très surprenants. Par exemple, le temps de trajet de la ligne en prévision est indiqué sans prise en compte des temps d’arrêt en gare et est comparé avec le temps de trajet actuel avec la prise en compte des arrêts en gare. J’ai rarement vu un dossier aussi orienté dans la présentation de l’intérêt du projet. C’est paradoxal compte tenu de l’ampleur de ce projet et de son coût. On est face à une décision politique ».

  • Chiffres de fréquentation gravement erronés

Autre faille béante du dossier : les prévisions erronées de circulations routières et ferroviaires de marchandises. En 2006, l’enquête publique s’attend à 2,8 millions de poids lourds en 2017 dans le trafic des tunnels de Fréjus et du Mont-Blanc. Mais en 2017, n’y passèrent qu’1,4 million de camions, un peu moins de la moitié. Pour le ferroviaire, en 2006, le maître d’ouvrage s’attend à 16 millions de tonnes de fret en 2017 sur l’actuelle ligne de Modane. Mais le maximum constaté a été de 3,5 millions, décrit Daniel Ibanez. Au total, le tonnage de marchandises ayant circulé aux passages routiers et ferroviaires a été d’environ 25 millions de tonnes en 2017, contre 61,1 annoncés par le maître d’ouvrage.

Ces écarts très significatifs entre estimations prospectives et réalité observée faussent le bilan socio-économique du projet, déclaré d’utilité publique. Daniel Ibanez : « Il y a un arbitrage à faire entre la situation réelle et les prévisions de fréquentation ferroviaire et routière du maître d’ouvrage. Elles se sont substantiellement trompées, elles sont hyper exagérées. Résultat : en tenant compte des chiffres réels de fréquentation, le projet ne répond plus aux critères d’utilité socio-économique. »

Les effets de ce type d’erreurs sont très concrets. En 2015, la LGV Perpignan-Figueras a été placée en liquidation judiciaire à cause de ses pertes financières. Le transport de fret n’a atteint que 8 % des prévisions et celui des personnes 15 %, selon le rapport financier SNCF Réseau de juin 2016. L’exemple frappe d’autant plus l’esprit que ce tronçon figure dans le même corridor européen que le Lyon-Turin, dont le bassin de population est deux fois moindre. Le prix du kilomètre de ligne était de 24,8 millions d’euros. Si l’on se fonde sur une somme de 10,4 milliards d’euros pour le tunnel de base du Lyon-Turin (57 km), le coût du kilomètre atteindrait 174 millions d’euros.

  • Des alternatives qui ne sont pas prises au sérieux par les décideurs

Alors que l’expertise de la haute administration insiste depuis le départ, en 1998, sur l’absence de saturation et la possibilité de renforcer les flux sur les rails existants, les gouvernements l’ont toujours ignoré. En 2003, le Conseil général des ponts et chaussées et l’Inspection générale des finances estiment qu’« il est improbable que les infrastructures existantes soient saturées en 2015 ». Au même moment, Réseau ferré de France (RFF) défend la modernisation des lignes existantes, afin d’améliorer les capacités de transit.

« Contrairement à ce qu’il s’est passé pour Notre-Dame-des-Landes, où jusqu’au bout la DGAC a refusé d’accepter le développement de l’actuel aéroport, pour le Lyon-Turin, depuis le premier jour la haute administration a dit que les lignes actuelles n’étaient pas saturées et répondaient aux besoins », résume Daniel Ibanez.

Dix-sept ans après la signature de son traité fondateur, ce dossier d’aménagement est devenu monstrueux par sa taille et sa technicité. Mais les questions qu’il soulève sont très simples : Qui définit l’intérêt général en fonction de quels critères ? Pourquoi un projet peut-il être modifié après avoir été déclaré d’utilité publique ? Pourquoi les alertes de l’administration n’ont-elles pas été entendues ? Comment expliquer que les gouvernements successifs envisagent de dépenser autant d’argent public pour un tunnel, alors que les voies de transport environnantes ne sont pas saturées ? Toutes les failles démocratiques mises en exergue par les médiateurs au sujet de l’aéroport de Notre-Dame-des-landes (mauvaise information du public, absence d’étude sérieuse d’alternatives, vision biaisée de l’intérêt général) se retrouvent dans le dossier du Lyon-Turin.

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En Maurienne, le village qui dit non

7 févr. 2018 Par Eliane Patriarca (Mediacites)

www. Mediapart.fr

Privée de ses sources d’eau, menacée par des mètres cubes de remblais : en Maurienne, la commune de Villarodin-Bourget, 520 habitants, paie un lourd tribut à la construction de la ligne ferroviaire. L’opposition au Lyon-Turin s’y organise.

Villarodin-Bourget (Savoie), envoyée spéciale. – L’abandon du projet d’aéroport à Notre-Dame-des-Landes (NDDL) les fait rêver. À quelques kilomètres en amont de Modane, à l’entrée de la Haute-Maurienne, les habitants de Villarodin-Bourget combattent eux aussi un de ces grands projets qu’ils étiquettent « inutiles et imposés » : le Lyon-Turin ferroviaire. « NDDL, c’est un peu une jurisprudence. Peut-être va-t-on arrêter de décider à notre place et enfin s’interroger sur le bien-fondé d’un projet décidé en 1991 sur la base de prévisions de trafics surestimées ? », espère le maire adjoint Philippe Delhomme. Le parallèle avec l’aéroport avorté du Grand Ouest s’arrête toutefois là. Dans les montagnes savoyardes, nulle ZAD pour incarner l’opposition et attirer l’attention des autorités publiques et des médias. Nul signe extérieur d’insurrection. Juste une commune pacifiquement rebelle, la seule de la vallée de la Maurienne à oser s’opposer à ce projet d’une ligne à grande vitesse dont 80 % de l’activité serait consacrée au fret, et qui nécessite le percement d’un tunnel de 57 kilomètres sous les Alpes.

Et pourtant… Les autorités surveillent avec attention Villarodin-Bourget, actuellement recouverte par la neige, tombée en abondance depuis décembre. Fin janvier, Philippe Delhomme a reçu dans son chalet la visite surprise des gendarmes. « Ils avaient appris que j’avais lancé une invitation pour une conférence aux élus italiens NO TAV du val de Suse, raconte celui qui est aussi professeur d’histoire-géographie à Modane. Ils voulaient savoir ce qui se tramait. Ils redoutent qu’une ZAD s’installe ici. »

Le conflit de « la descenderie »

Car Villarodin-Bourget, qui compte 520 habitants (près de 6 000 l’hiver), présente les caractéristiques d’un foyer de contestation potentiel. « Commune support d’ouvrage » pour le chantier du Lyon-Turin ferroviaire, elle est celle qui a le plus souffert des travaux préparatoires, et qui sera, côté français, la plus affectée par le chantier. À l’été 2016, la caravane cycliste contre les « Grands Projets inutiles », partie du val de Suse, y avait d’ailleurs fait étape.

Étendue sur deux versants, la commune est située dans le parc national de la Vanoise. Côté ubac, le village de Villarodin et la station de ski de La Norma ; côté adret, Le Bourget. Et au milieu coule une rivière, l’Arc. Sous la neige, on aperçoit vaguement un terre-plein bétonné, en contrebas du Bourget. C’est l’entrée de la « descenderie », l’objet du premier conflit. Cette galerie, réalisée entre 2003 et 2007 par la société Tunnel euralpin Lyon-Turin (Telt), le promoteur chargé de la réalisation de la section transfrontalière, s’enfonce sous la montagne pour rejoindre le tracé du futur tunnel. En phase de construction, la descenderie sera utilisée pour excaver le tunnel de base et remonter les déblais. Une fois l’ouvrage en fonction, elle servira à la ventilation et à l’accès des équipes de maintenance et de secours.

Les quatre années de chantier de la descenderie restent un cauchemar pour les habitants : ballet incessant de camions, de jour comme de nuit, tirs de mines, flots de poussière lâchés par l’unité de concassage… « Ils [les promoteurs du Lyon-Turin] avaient dit que les déblais seraient évacués par bande transporteuse, rappelle le maire, Gilles Margueron, mais elle n’a fonctionné que trois mois, ils ont tout transporté en camions. » « Ils avaient promis de ne pas faire de tirs d’explosifs la nuit, mais on était sans arrêt réveillés », ajoute Philippe Delhomme.

Un beau matin, Villarodin-Bourget s’est aussi retrouvée « à sec », les fontaines taries, tout comme une partie du réseau communal d’eau potable. « En creusant, ils avaient capté les sources qui alimentaient le village », explique le maire adjoint. Telt reconnaît la responsabilité du chantier dans l’assèchement de la commune et, en compensation, construit un aqueduc de cinq kilomètres pour acheminer l’eau d’une source d’altitude, sous le col de la Masse. Mais trop peu minéralisée, celle-ci doit être mélangée à de l’eau venue de La Norma pour être potable.

Pas de quoi rassurer les élus locaux. « La source du col de la Masse n’est pas pérenne car elle provient de névés. Or ici, nous sommes dans le pôle de sècheresse de la Savoie, avec un déficit pluviométrique marqué. S’ils ont préféré financer une nouvelle canalisation plutôt que de nous rendre les sources, avance Philippe Delhomme, c’est qu’ils vont avoir besoin d’eau en quantité phénoménale pour le forage du tunnel et l’avancée du tunnelier. »Une interprétation que Telt rejette vigoureusement. « L’eau ne disparaît pas, rétorque Éric Vaillaut, responsable de la concertation avec les collectivités locales. Elle reste dans le massif. Elle est pompée en permanence dans la descenderie, puis rejoint des bassins de décantation, avant d’être rejetée dans l’Arc. » « D’ailleurs, l’association de pêche de Villarodin utilise les bassins pour élever des truites », souligne-t-il.

Après les poissons, les moutons

Au bord de la rivière, justement, se dresse une drôle de colline aux contours bien réguliers sous la neige : c’est là que Telt a entassé 500 000 mètres cubes de déblais. « Ils avaient promis qu’ils seraient stockés provisoirement puis enterrés ou valorisés pour les voies ferrées », affirme le maire. Malgré l’opposition vigoureuse des habitants et de la direction du parc de la Vanoise, le dépôt est resté « dans une zone à fort risque d’inondation »« On ne peut plus s’en débarrasser car la butte a été terrassée, végétalisée », soupire l’élu. Là encore, Telt se défend en jouant la carte écolo. Après les poissons, les moutons : « Aujourd’hui, grâce au succès de la revégétalisation du site, des agriculteurs y font paître leurs troupeaux », vante Éric Vaillaut.

La commune n’en a pas fini avec les avanies : Telt va implanter la zone de chantier du tunnel de base dans le secteur des Moulins, un terrain composé de dizaines de parcelles de jardins en cours d’expropriation. « On aura une carrière à ciel ouvert au cœur des trois villages et cela durant dix à quinze ans, sans parler du défilé des camions, déplore Gilles Margueron. Pour nous qui vivons essentiellement du tourisme, c’est un coup dur. » Les élus s’opposent aussi à l’ensevelissement de la commune sous le monceau de déblais que Telt leur réserve : 3 à 4 millions de mètres cubes devraient être entreposés sur une zone aujourd’hui recouverte de pins sylvestres. « Telt va revaloriser un maximum de déblais, sous forme de granulats pour le béton ou les chaussées, minimise Éric Vaillaut. Notre objectif n’est pas de les mettre en tas. »

Les élus de Villarodin ont beau se battre pied à pied contre le projet, ils enchaînent les défaites : malgré une majorité de voix contre, qui se sont exprimées durant l’enquête publique en 2010, et la preuve apportée que les enquêtes d’impact environnemental avaient été bâclées, le préfet délivre la déclaration d’utilité publique. La commune écope des déblais honnis. « On a été obligé par l’État d’inscrire dans notre plan local d’urbanisme une zone réservée Lyon-Turin », se résigne le maire. Conséquence, Telt peut racheter les terrains expropriés pour une bouchée de pain : « De 50 centimes d’euro le mètre carré pour la bonne terre des jardins de la zone des Moulins, on a seulement obtenu de monter à 2 euros », ajoute Gilles Margueron, amer.

Longtemps, la majorité des habitants et des élus ont été favorables au Lyon-Turin, se souvient l’élu, qui dirige l’école de ski de La Norma. « On pensait que c’était la bonne solution pour délester l’autoroute des camions. À vrai dire, on ne savait pas grand-chose du projet », reconnaît-il. En Maurienne, les habitants sont plutôt taiseux sur le sujet. « Ils ne bougent pas tant qu’ils n’ont pas un caillou dans leur jardin, regrette le maire. Alors que le projet concerne toute la région, les Alpes ! »

Le fatalisme résigné d’une vallée habituée aux grands chantiers imposés par l’État – des barrages hydroélectriques à la construction du tunnel du Fréjus, puis l’autoroute de Maurienne – le dispute à l’espoir d’une manne économique. Telt fait miroiter la création de 6 000 à 10 000 emplois directs et indirects sur les dix ans que durera le chantier de construction du tunnel, dont une majorité sera réservée aux Mauriennais. « Mais quid des emplois qui seront supprimés ? » interroge Philippe Delhomme, qui évoque, à titre d’exemple, la fermeture annoncée des gares de Modane et de Saint-Michel-de-Maurienne.

Pour garder sa liberté d’expression et de contestation, le conseil municipal a décidé de bloquer l’argent issu de la vente de terrains communaux expropriés sur un compte à la Caisse des dépôts. « On n’y touchera pas, assure le maire. On ne veut pas collaborer au chantier. » Dans cette même logique, les élus ont aussi voté le refus des aides et compensations financières que Telt distribue aux communes de Maurienne. Un fonds d’accompagnement et de soutien territorial (Fast) de 32 millions d’euros, mis en place par l’État en 2015, est géré par Telt pour les mesures compensatoires et l’aide au développement territorial. Quant au « contrat de territoire » Grand Chantier signé en 2016 par l’État, la Région, le département de la Savoie et le syndicat du pays de Maurienne, il alloue, d’ici à 2020, 40,7 millions d’euros à l’accompagnement du chantier et du territoire.

« Comment voulez-vous que les communes osent s’opposer ensuite ? » interroge Philippe Delhomme. Même Villarodin-Bourget a cédé une fois au rouleau compresseur de la tentation, confesse Gilles Margueron : « On a accepté de l’aide pour la construction de la maison d’assistance maternelle. » Une petite brèche qu’Éric Vaillaut ne manque pas de souligner : « Villarodin-Bourget a profité du Fast pour ce projet. On sait que le maire ne nous aidera pas, précise-t-il. Mais on continue de discuter avec lui. »

À Villarodin-Bourget, l’opposition s’est initialement cristallisée autour des nuisances, « sur la seule défense de notre territoire », reconnaît Gilles Margueron. Lorsqu’il est élu, en 2008, avec une équipe municipale opposée au Lyon-Turin, mais isolée dans la vallée, il cherche du soutien auprès des NO TAV du val de Suse, qui connaissent le projet sur le bout des doigts. Les élus rencontrent aussi la figure de la coordination française contre le Lyon-Turin, Daniel Ibanez. « Là, on a compris qu’on nous avait menti : le trafic des camions dans la vallée n’a pas été multiplié par cinq, comme on nous l’annonçait dans les années 1990, et il y a bien une solution alternative avec la ligne ferroviaire existante », résume Philippe Delhomme.

« Les élus de Villarodin-Bourget ont constaté que claquer 26 milliards pour ce projet, c’est irresponsable, confirme Daniel Ibanez. Les prévisions des promoteurs du Lyon-Turin tablaient sur un trafic de 2,7 millions de poids lourds par an entre la France et l’Italie. Aujourd’hui, en cumulé aux tunnels du Mont-Blanc et du Fréjus, il n’en passe que 1,36 million. Depuis vingt ans, tous les services de l’État – du Conseil général des ponts et chaussées à l’Inspection générale des finances – dénoncent ces hypothèses de trafic surestimées et rappellent que la ligne ferroviaire existante sous le tunnel du Fréjus n’est ni saturée ni obsolète. »

À Villarodin-Bourget, la contestation a mûri au fil des années, passant du « nymbisme » à l’opposition franche et globale. La commune remet aujourd’hui en cause l’utilité publique même d’un projet pharaonique et irréversible, une fois le tunnel sous les Alpes creusé. Les préconisations du rapport Duron, remis au gouvernement jeudi 1erfévrier, ont de quoi les réjouir. Si la ligne ferroviaire en elle-même – projet hautement politique et diplomatique puisque relevant des relations entre la France et l’Italie – n’est pas remise en cause, le rapport Duron égratigne sa justification, à savoir les prévisions d’augmentation du trafic de fret entre les deux pays. « Les caractéristiques socio-économiques apparaissent à ce stade clairement défavorables », écrit le COI. Il en conclut que les travaux d’accès au tunnel transfrontalier seront au mieux « à engager après 2038 ».

Boite Noire

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Côté italien, le débat s’est émoussé

7 févr. 2018 Par BENIAMINO MORANTE

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Plutôt absente de la campagne électorale, la question de la ligne Lyon-Turin pourrait resurgir de plus belle après le vote du 4 mars. Surtout en cas de victoire du Mouvement 5 étoiles, dont le chef de file a dit vouloir bloquer le projet.

C’est un peu Notre-Dame-des-Landes en version transalpine. Le chantier le plus controversé du pays. En Italie, la question de la construction de la ligne ferroviaire à grande vitesse Lyon-Turin (appelée TAV, Treno Alta Velocita) a longtemps été au centre des débats. Voilà une vingtaine d’années que les habitants du val de Suse protestent contre ce projet et, depuis cette région du Piémont, le conflit s’est déplacé vers les hautes sphères de la politique, où les positions divergent.

Historiquement, les partis de droite et le Parti démocrate (PD) sont favorables à la TAV, alors que la gauche plus critique y est opposée. Mais l’opposition à la construction de la ligne Lyon-Turin a surtout été un cheval de bataille du Mouvement 5 étoiles. Depuis toujours opposé au projet, le M5S voit dans la TAV le symbole même de ces « grands travaux inutiles » qui coûtent cher et n’apportent rien au pays. Beppe Grillo lui-même s’est rendu plusieurs fois dans le val de Suse d’où, en 2011, il avait harangué les manifestants NO TAV avec des déclarations au vitriol : « Ici, l’État est en train de tester la dictature… ce que nous sommes en train de faire, c’est une guerre civile. »

Depuis les élections législatives de 2013, l’attention médiatique autour de la construction de la ligne Lyon-Turin est progressivement retombée. La question est absente de la campagne électorale. Mais tel un vieux serpent de mer, elle devrait bientôt resurgir. Si la coalition de droite (formée par Forza Italia, la Ligue du Nord et Fratelli d’Italia) remportait le scrutin du 4 mars, nul doute que le projet continuerait. Durant ses deux mandats de président du Conseil (de 2001 à 2006 et de 2008 à 2011), Silvio Berlusconi a poursuivi le projet de la TAV.

Pour ce faire, il a toujours été appuyé par ses alliés de la Ligue du Nord et ce, même si des politiques du parti fédéraliste ont parfois émis des réserves sur la TAV. C’est le cas de l’actuel leader de la Ligue du Nord, Matteo Salvini lui-même, qui déclarait en 2015 que, s’il était au gouvernement, « il y aurait un référendum car il revient toujours aux citoyens de décider ». Une affirmation qu’il faut remettre dans son contexte, puisque Salvini avait fait ces déclarations alors qu’il se trouvait au Piémont, à une époque où l’alliance avec Berlusconi n’était pas encore scellée.

Dans l’éventualité d’un gouvernement mené par le Parti démocrate, là aussi, le projet de la TAV devrait se poursuivre. En 2013, Matteo Renzi écrivait dans son livre Oltre la rottamazione (Au-delà du renouvellement) que « la TAV risqu[ait] d’être un investissement hors d’échelle et hors du temps » et parlait « d’ouvrage inutile ». Mais depuis, de l’eau a coulé sous les ponts puisque sous son mandat, le projet a bel et bien continué. Le programme du PD pour ces élections ne cite pas directement ce dossier mais, en l’état actuel des choses, rien n’indique que les démocrates pourraient changer d’opinion sur la question.

Pour les opposants au projet, l’espoir réside donc surtout dans un éventuel exécutif 5 étoiles ; afin de balayer tous les doutes, le 10 septembre dernier, Luigi Di Maio, chef de file du Mouvement, déclarait que « si nous gouvernons, nous bloquerons la TAV ». Mais si à première vue la ligne du M5S semble claire, force est de constater que le programme du Mouvement version 2018 ne mentionne pas l’arrêt de la TAV. On y parle « de mettre un terme à la période des grands travaux inutiles », mais sans citer explicitement la ligne Lyon-Turin. Un détail peut-être, mais le programme du 5 étoiles en 2013 stipulait lui, noir sur blanc, la volonté d’« arrêter immédiatement la TAV dans le val de Suse ».

Malgré cet “oubli”, difficile de croire que le Mouvement 5 étoiles n’arrêterait pas la construction de la ligne Lyon-Turin en cas de victoire aux élections. En ce sens, la nouvelle candidature au siège de sénateur, dans les listes du M5S piémontais, du militant NO TAV Marco Scibona représente un message clair. En réalité, le vrai problème pour Di Maio consistera à trouver une majorité parlementaire pour arrêter le projet. Les voix du M5S ne suffiront sûrement pas ; mais alors, vers qui se tourner ?

Il faudra nécessairement regarder à gauche du PD, mais la liste Libres et égaux ne semble pas faire de l’arrêt de la TAV une priorité, puisque celle-ci n’est jamais citée directement dans son programme, même si l’on y déclare que les investissements publics doivent être « diamétralement opposés à la logique des grands travaux ».

Finalement, le seul mouvement qui se présente aux élections en citant explicitement la ligne Lyon-Turin dans son programme est Potere al Popolo (« le pouvoir au peuple »). Ici, il est écrit noir sur blanc qu’il faut aller vers « un arrêt des grands travaux, en commençant par la TAV en val de Suse ». Par ailleurs, le mouvement présente, dans la circonscription du Piémont, la candidate Nicoletta Dosio, une militante NO TAV de longue date. Néanmoins, si l’on se fie aux sondages, Potere al Popolo a peu de chances de faire élire des représentants au Parlement lors des prochaines élections. Après le 4 mars, le Mouvement 5 étoiles risque donc de se retrouver sans alliés dans sa bataille contre la ligne Lyon-Turin. Une situation qui ne fera pas peur au Mouvement, lequel a jusqu’ici construit son succès grâce à ses batailles menées en solitaire.

URL source: https://www.mediapart.fr/journal/international/070218/cote-italien-le-debat-s-est-emousse

SYRIE. LA BATAILLE POUR AFRIN (II) : LA FIN DES EQUIVOQUES EN SYRIE

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Luc MICHEL pour EODE/

Quotidien géopolitique – Geopolitical Daily/

2018 02 07/

LM.GEOPOL - Ankara à afrin II (2018 02 07) FR 2

Le « Grand jeu syrien » bat son plein. Avec des partenaires multiples aux agendas et aux ambitions incompatibles. La bataille d’Ifrin est bien la première bataille de la nouvelle guerre de Syrie. Elle voit la fin des équivoques autour de la Turquie et de ses coups de poker opportunistes. Que reste-t-il des illusions de la Conférence de Sotchi, avec la confrontation turco-syrienne, les doutes motivés de Moscou et la colère de Téhéran (où le discours anti-Erdogan domine) ?

C’est la fin des équivoques en Syrie et un nouveau bouleversement des lignes géopolitiques …

* Lire aussi sur LUC MICHEL’S GEOPOLITICAL DAILY/ SYRIE : LA BATAILLE POUR AFRIN.

LE BASCULEMENT DE LA TURQUIE CONTRE DAMAS ET FACE A LA RUSSIE

sur http://www.lucmichel.net/2018/01/22/luc-michels-geopolitical-daily-syrie-la-bataille-pour-afrin-le-basculement-de-la-turquie-contre-damas-et-face-a-la-russie/

LM.GEOPOL - Ankara à afrin II (2018 02 07) FR 3

– I/ LES REALITES DU FRONT : LA TURQUIE S’ENLISE A AFRIN

Le samedi 20 janvier, l’armée turque a lancé une offensive d’envergure, dite opération « Rameau d’olivier », afin de faire reculer les Unités de protection du peuple (YPG) de la ville syrienne d’Afrin. Plus de 6 000 soldats sont engagés dans cette opération.

Selon l’agence de presse turque Anadolu, l’armée de la Turquie a récemment intensifié ses attaques et réussi à s’emparer de régions stratégiques comme le mont de Barsaya, en banlieue d’Afrin, et le village d’Umar Ushaghi. Sur le terrain, l’Armée turque s’enlise, loin d’une « guerre éclair » …

Le journal ‘Asharq al-Awsat’, cite l’un des commandants des YPG, Siban Hamou, qui confirme l’information selon laquelle Damas « enverrait vivres et médicaments » aux forces kurdes. « La Turquie a lancé son offensive “Rameau d’olivier”, croyant pouvoir l’emporter en l’espace de quelques jours. Or, 17 jours plus tard, l’armée turque en est toujours au point de départ. Elle voulait prendre le contrôle d’Afrin avant de s’emparer des banlieues est et ouest d’Alep puis de mettre le grappin sur Alep elle-même », car Erdogan « croit que cette ville appartient à la Turquie » …

VERS UNE GUERRE D’USURE ?

Le conflit d’Afrin risque de se transformer en une guerre d’usure qui va coûter cher à la Turquie …

Interviewé par l’agence de presse iranienne Mizan, Hassan Hani-Zadeh, expert iranien des questions du Moyen-Orient, a déclaré que la ville syrienne d’Afrin était occupée par l’armée turque. « La Turquie s’enlise dans un bourbier d’où le gouvernement d’Erdogan ne pourra pas sortir facilement, car les Kurdes syriens, grâce aux formations militaires qu’ils ont reçues, seront capables de s’engager dans une guerre d’usure contre l’armée turque. En plus, les Kurdes syriens sont sur la même longueur d’onde que les Kurdes turcs, et ce lien ethnique crée une sorte de convergence entre ces deux groupes et les rassemble dans le désir de porter atteinte à l’armée turque. En réalité, les États-Unis ont tendu un piège à la Turquie dont elle ne pourra pas sortir aisément. »

Hassan Hani-Zadeh a ajouté que la présence de l’armée turque en Syrie « lui coûterait cher, si elle ne se retire pas immédiatement du territoire syrien ». Il a aussi prévu « le déclenchement d’une guérilla opposant les Kurdes syriens à l’armée turque », ce qui ne serait nullement « dans l’intérêt de la Turquie à long terme ».

LES MASQUES TOMBENT :

LES DJIHADISTES D’AL-QAIDA AU SECOURS D’ANKARA

Un grand convoi militaire arrive en Turquie, « en transit », pour appuyer l’armée turque dans l’opération « Rameau d’olivier », en cours contre les unités kurdes du Nord syrien. Un grand convoi militaire, composé d’équipements et de forces, a été acheminé par les groupes terroristes ‘Faylaq al-Cham’ et ‘Nour al-Din al-Zenki’ (1) pour rejoindre l’armée turque, impliquée actuellement dans l’opération « Rameau d’olivier » visant les Kurdes syriens.

Les photos de ce convoi ont été rendues publiques le dimanche 4 février. Le convoi est arrivé sur le sol turc via la province d’Idlib et il va regagner la Syrie, via la province d’Alep. Les éléments terroristes qui accompagnent le convoi sont sous le commandement d’Abou Walid al-Homsi et aideront les militaires turcs à attaquer les régions à peuplement kurde, en Syrie.

Le groupe terroriste Front Fatah al-Cham (ex-Front al-Nosra) ainsi que certains médias de l’opposition syrienne ont critiqué les terroristes de Faylaq al-Cham et de Nour al-Din al-Zenki pour avoir décidé de rejoindre l’opération « Rameau d’olivier », « en échange d’une poignée de dollars », au lieu de poursuivre leur lutte contre le gouvernement syrien.

– II/ LES REACTIONS DE MOSCOU

Même si Moscou officiellement reste dans les illusions du processus de Sotchi concernant la Turquie, dans la réalité l’irritation de Moscou est visible envers Ankara.

QUAND MOSCOU APPELLE ANKARA A L’ORDRE

À en croire le journal ‘Al-Quds al-Arabi’, « la Russie aurait demandé à Ankara de cesser ses frappes aériennes sur Afrin ». Cité par le journal, ce sont les activistes kurdes dans le nord syrien qui annoncent cette information, bien qu’elle ne soit confirmée ni par les officiels russes ni par les autorités turques. Aucun raid aérien n’a été mené ces dernières 48 heures à Afrin où l’armée turque et ses mercenaires continuent toutefois à avancer et à multiplier le feu d’artillerie sur les positions des Kurdes des YPG.

Lundi, l’Iran de son côté a officiellement demandé à la Turquie de « cesser ses raids aériens contre Afrin » et de « respecter l’intégrité territoriale syrienne ».

L’INCIDENT GRAVE DE L’AVION RUSSE ABATTU :

QUELLE SERA LA REACTION DE POUTINE A LA MORT DU PILOTE RUSSE ?

Les autorités russes ont annoncé que « e pilote du Soukhoï S-25 avait été tué peu de temps après que l’avion eut été abattu ».

L’éditorialiste du journal ‘Rai al-Youm’, Abdel Bari Atwan, s’attarde sur les différents aspects de la destruction d’un Soukhoï russe S-25 par le Front al-Nosra dans la province d’Idlib en Syrie. Selon le journaliste arabe, « le communiqué émis par le commandant militaire de la coalition terroriste Hayat Tahrir al-Sham, Mahmoud al-Turkamani, sur l’écrasement de l’avion de chasse russe au-dessus de la ville de Saraqib dans la province d’Idlib, marque un tournant dans la guerre en Syrie. Une nouvelle phase se déclare désormais dans la crise syrienne, qui sera porteuse de graves conséquences politico-militaires, non sans détériorer les relations entre les deux puissances que sont les États-Unis et la Russie ».

« Les rapports préliminaires confirment que le Soukhoï russe a été abattu par un missile thermique tiré à épaule de type MANPADS, ce qui prouve qu’une partie a récemment fourni cette arme au Front al-Nosra [rebaptisé Front Fatah al-Cham].

Mais quelle partie ? Deux hypothèses sont envisageables :

– « Les États-Unis auraient fourni directement ce type de missile au Front al-Nosra de Mohammed al-Jolani, le plus important groupe terroriste de la coalition ‘Hayat Tahrir al-Cham’, et ce, dans le cadre du nouveau plan américain d’étendre la guerre en Syrie et d’intensifier les pressions sur la Russie et ses alliés » (2). Mais quelques heures après que les opposants armés ont abattu un avion russe Su-25 au cours d’un vol au-dessus de la zone de désescalade d’Idlib, un porte-parole du Pentagone, Eric Pahon a souligné que son pays « n’avait mis aucun missile sol-air à la disposition des alliés kurdes des Etats-Unis ». « Les États-Unis se concentrent encore sur la bataille contre Daech. Ils n’ont fourni d’armes sol-air à aucun de leurs alliés en Syrie et ils n’ont pas l’intention de le faire », a-t-il indiqué.

– Reste la seconde hypothèse, où Ankara apparaît comme lapiste la plus évidente. Ce serait « une partie régionale qui aurait fourni cette arme aux terroristes. Et les noms de quatre pays viennent respectivement à l’esprit : la Turquie, le Qatar, la Jordanie et l’Arabie saoudite ».

« Si nous croyons le démenti américain, cela veut dire qu’“un pays” a décidé de fournir ces missiles à ce groupe terroriste, afin de changer le rapport de forces à Idlib en faveur des Nosratistes et ce, en vue de stopper l’avancée de l’armée syrienne qui, avec l’appui de l’aviation russe, a réussi à libérer des centaines de villages mais aussi et surtout l’aéroport militaire Abu al-Dohur », dit encore ‘Rai al-Youm’.

L’OMBRE DE L’AFGHANISTAN DES ANNEES ’80 :

SUKHOÏ-25, POURQUOI LE DEMENTI AMERICAIN ?

‘Rai al-Youm’ ajoute que « L’envoi par les Américains d’une grande quantité de missiles tirés à l’épaule Stinger aux moudjahidine afghans afin qu’ils mènent la guerre à son terme a abouti à la chute de l’ex-Union soviétique, qui a fini par retirer toutes ses forces de la région. Ce ne serait pas une exagération si l’on disait que ces missiles avaient marqué le début de la fin de l’ordre communiste. Une question s’impose : est-ce que les Américains souhaitent répéter la même expérience en Syrie, en utilisant les missiles PADMANS pour vaincre la Fédération de Russie en Syrie, et ainsi mettre fin à la présence militaire des Russes et de leurs alliés dans le ciel syrien ?

Pour l’instant, la colère de Moscou s’esprime sur le terrain : « Il n’est donc pas exclu que la première conséquence de la destruction du Soukhoï russe et de la mort dans des conditions tragiques de son pilote consiste à accélérer les efforts dans le sens d’une reprise complète d’Idlib et d’une destruction totale du Front al-Nosra et d’autres groupes que Moscou a mis sur sa liste de groupes terroristes ».

L’ENQUETE RUSSE

La Russie compte récupérer la carcasse de son Su-25 abattu par les terroristes à Idlib, afin d’identifier le constructeur du missile qui a détruit l’avion de chasse russe.  Le ministère russe de la Défense a demandé, ce mardi 6 février, à la Turquie de l’aider à récupérer la carcasse de son avion de chasse Su-25, abattu le samedi 3 février par les terroristes opérant dans la province d’Idlib. Le ministère russe de la Défense a annoncé sa décision d’identifier le constructeur du missile tiré sur le Su-25, et en conséquence la partie ayant fourni le missile aux terroristes du Front Fatah al-Cham (ex-Front al-Nosra), en examinant les pièces détachées de la carcasse de l’avion russe.

C’est la première mesure adoptée par la Russie pour identifier les parties qui étaient à l’origine de la destruction de ce Su-25 en plein vol au-dessus de la Syrie. Par ailleurs, le corps du pilote russe Roman Filippov, qui s’est fait exploser après la destruction de son avion par les terroristes, a été transféré dans une base aérienne, près de Moscou. Les funérailles du pilote russe auront lieu le 8 février.

 « LES TERRORISTES D’AL-NOSRA SONT SOUTENUS PAR LES PAYS QUI N’AIMENT PAS LA PRESENCE RUSSE EN SYRIE » (MAE RUSSE)

Le ministère russe de la Défense a annoncé que les terroristes du Front Fatah al-Cham (ex-Front al-Nosra) étaient instrumentalisés par un ou plusieurs pays. Dans un communiqué publié ce mercredi 7 février, le Ministère russe de la Défense a annoncé que les terroristes du Front Fatah al-Cham étaient instrumentalisés par un ou plusieurs pays qui n’appréciaient pas l’implication de la Russie dans la lutte antiterroriste en Syrie.

« Les éléments du Front Fatah al-Cham, affiliés à al-Qaïda (voir Note 1), sont la principale source d’instabilité en Syrie. Les terroristes de ce groupe, qui bénéficient d’un large soutien financier et militaire, cherchent à perturber le processus de paix en cours dans les zones de désescalade en Syrie, ce qui constitue une importante source de préoccupation pour Moscou », indique le texte. Le souci c’est que les « nosristes » sont liés à Ankara. Ces terroristes du Front Fatah al-Cham ont abattu, le 3 février 2018, par un missile, un

Su-25 russe, aux alentours d’Idlib.

L’OBJECTIF IMMEDIAT DE POUTINE EN SYRIE : LA FIN D’AL-NOSRA

Dans son dernier éditorial du journal ‘Rai Al-Youm’, le célèbre analyste arabe Abdel Bari Atwan a examiné les dernières évolutions dans le Nord syrien. « La dépouille du pilote du Su-25 russe qui a été abattu par un lance-missile sol-air portable appartenant aux éléments du groupe terroriste Front al-Nosra (rebaptisé “Hayat Tahrir al-Cham”) dans la province syrienne d’Idlib, a été rapatrié. »

Abdel Bari Atwan a rappelé que le président russe, Vladimir Poutine, a qualifié ce jeune pilote de 33 ans, Roman Fillipov, de « héros » et lui remis la plus haute distinction du pays à titre posthume pour son acte héroïque de « ne pas se livrer à l’ennemi et se faire sauter par une bombe lorsqu’il s’est vu encerclé par les terroristes » d’al-Nosra après s’être éjecté de son avion. « Pourtant, le président Vladimir Poutine a préféré garder le silence et attendre le résultat des enquêtes que mène actuellement l’armée russe pour savoir si le Su-25 a été abattu par un missile Stinger de fabrication américaine ou un missile surface-air du type SAM de fabrication russe ».

Abdel Bari Atwan souligne dans son article « qu’il est plus probable que le Su-25 russe a été abattu par un missile sol-air portable fabriqué aux États-Unis puis tombé dans les mains des terroristes d’al-Nosra par l’intermédiaire d’une tierce partie. Pourtant, il ne faut pas exclure l’éventualité que le missile ait été un ancien missile surface-air de fabrication soviétique sorti des dépôts d’armes et de munitions de l’armée gouvernementale syrienne ou venue récemment d’un pays comme l’Ukraine ».

Reuters rapporte, citant un haut commandant des forces militaires russes, « que l’armée syrienne a installé de nouveaux systèmes de défense antiaérienne et des missiles sol-air dans plusieurs points des provinces d’Idlib et d’Alep, ce qui permettra à l’armée syrienne de couvrir une grande partie du ciel du Nord syrien ». D’après Abdel Bari Atwan, « cela nous laisse deviner que la Russie et son allié syrien prépareraient la vengeance du crash du Su-25 russe et de la mort de son pilote, en détruisant les lieux de rassemblement des éléments du groupe terroriste al-Nosra ».

« Néanmoins, la question se pose de savoir pourquoi l’armée syrienne y déploie ses systèmes antiaériens, tandis que le Front al-Nosra ne dispose d’aucune force aérienne », a écrit avec pertinence l’éditorialiste du journal Rai al-Youm. D’après Abdel Bari Atwan, « un élément de réponse peut être trouvé dans les déclarations récentes du vice-Premier ministre syrien, Fayçal Meqdad, qui, avant même que la Turquie n’entame son opération militaire à Afrin, avait annoncé que l’armée syrienne abattrait tout avion militaire étranger qui violerait l’espace aérien du pays ».

Awan a ajouté : « En effet, les seuls avions militaires qui survolent actuellement la région d’Afrin sont les avions de combat turcs qui bombardent les positions des forces kurdes des Unités de protection du peuple (YPG). Après le déclenchement de l’opération turque à Afrin, les autorités de la région autonome d’Afrin ont appelé l’armée nationale syrienne à défendre la ville face aux attaques des militaires turcs. » L’éditorialiste de Rai al-Youm estime que l’installation de ces systèmes antiaériens syriens serait un message commun de Damas et de Moscou à l’adresse du gouvernement du président turc, Recep Tayyip Erdogan, pour faire comprendre à Ankara qu’ils sont mécontents de la poursuite de l’opération militaire turque dans les régions du nord de la Syrie.

« Cela n’est sans doute qu’une spéculation. Mais une chose est certaine : Vladimir Poutine est prêt à se venger des terroristes du Front al-Nosra, et il préfère que ce soit la Turquie du président Erdogan qui lui offre la tête d’al-Nosra sur un plateau », a écrit Abdel Bari Atwan.

Selon le journaliste, il y a trois éléments qui pourraient rendre ce scénario plausible :

– « D’abord, l’armée turque et ses alliés n’ont pas obtenu de grands succès militaires sur le terrain.

– Ensuite, Washington a rejeté toutes les menaces d’Ankara concernant la poursuite des militaires américains à Manbij.

– Et enfin, il faut se rappeler qu’auparavant, la Turquie s’était abstenue d’intervenir à l’est d’Alep lorsque l’armée syrienne et ses alliés voulaient prendre en main le contrôle de toute la ville, de peur de ne pas mettre en colère les Russes. »

Abdel Bari Atwan écrit : « Poutine attend et fait preuve de retenue en attendant le résultat des enquêtes. Il ne veut pas agir hâtivement et cela veut dire que la riposte de Moscou à la mort de son pilote de guerre sera plus violente que l’on ne le croit. Que la guerre continue ou qu’elle cesse, Poutine semble vouloir réaliser deux buts pour le moment : la reprise d’Idlib et la fin du Front al-Nosra. »

– III/ SYRIE/AFRIN : L’IRAN APPELLE A L’ARRET DES AMBITIONS TURQUES

Dans une conférence de presse, ce lundi 5 février, le porte-parole de la diplomatie iranienne, Bahram Qassemi, souligne le rôle essentiel de l’Iran dans la région pour dire que Téhéran participera toujours activement dans les négociations d’Astana sur la Syrie. « Les trois pays, impliqués dans les négociations tripartites d’Astana pour la paix en Syrie poursuivent toujours aussi fermement leurs coopérations » a déclaré le diplomate avant d’exhorter Ankara « à cesser son action militaire dans la région syrienne d’Afrin et à respecter la souveraineté et l’intégrité territoriale de la Syrie ».

Bahram Qassemi a mis en garde les autorités turques contre leur opération à Afrin « qui pourrait favoriser un retour des terroristes en Syrie ». « Nous surveillons en permanence les évolutions dans la région et suivons tous les agissements des terroristes » a ajouté M.

Qassemi avant de demander à la Turquie « d’agir en conformité avec les accords d’Astana et d’être en harmonie avec Damas. »

Quant aux relations turco-syriennes, « l’Iran joue les médiateurs », a fait savoir Qassemi.

– IV/ DAMAS EN CONFRONTATION DIRECTE AVEC ANKARA

« Au moins deux soldats turcs ont été blessés suite à une attaque de l’artillerie syrienne » ce mardi 6 février contre un lieu de déploiement des militaires turcs au sud de la province d’Alep. Les deux soldats turcs ont été blessés dans région de Tal al-Eis, dans le sud de la province d’Alep, ont rapporté des sources syriennes citées par le quotidien égyptien Al-Youm al-Saba’a. Selon le rapport, les blessés ont été transférés vers un hôpital en Turquie. L’information sur les deux soldats turcs blessés intervient alors qu’Ankara annonce un mort et 5 blessés parmi ses soldats. L’armée turque a répondu à l’attaque des forces syriennes « par des tirs de roquette sur les régions d’al-Hadher et de Tell Aran dans le Nord syrien.

Plus tôt, « l’armée turque avait l’intention de se déployer dans la région, mais elle a été forcée à se retirer après l’intervention des forces syriennes », ajoute le rapport.

Toujours dans les évolutions syriennes, l’agence de presse Reuters citant un commandant de la coalition pro-Damas, a fait part du « déploiement de nouveaux systèmes de défense anti-aérienne en banlieue d’Alep et Idlib qui couvriront le nord de la Syrie ».

NOSTALGIES NEO-OTTOMANES :

LA TURQUIE A NOMME DES GOUVERNEURS POUR TROIS VILLES SYRIENNES !

Le ministre turc de l’Intérieur, Süleyman Soylu a déclaré lors d’une conférence du Parti de la justice et du développement à Denizli ce 29 janvier : « La Turquie a nommé des gouverneurs, des responsables de la sécurité et des gendarmes dans les villes d’Azaz, de Jarablus et de Mare, dans le nord de la Syrie. Nous espérons que les 3,5 millions de Syriens touchés par la guerre pourront bénéficier de la sécurité grâce à nos opérations actuelles dans ce pays ». Soylu a ajouté: « Nous ne lorgnons pas sur le territoire d’aucun pays. Nous garantissons le retour de 100 000 Syriens sur leurs terres. Nous sommes un grand peuple ! »

Tout ceci nous renvoie à l’ère de l’Empire ottoman en Syrie. La Syrie au cours de l’ère ottomane (1516 à 1920) incluait la Syrie, le Liban, la Palestine occupée (Israël), la Cisjordanie, la Bande de Gaza, la Jordanie et des parties de l’Irak et de la Turquie.

Le 24 août 2016, la Turquie avait lancé en coopération avec l’Armée syrienne libre (ASL),  l’opération “Bouclier de l’Euphrate” pour « dégager les frontières des deux pays de la présence de Daech »; opération qui s’est terminée avec le contrôle turc instauré sur les trois villes d’Azaz, de Jarablus et d’al-Bab. Enfin, il est utile de rappeler l’opération turque appelée “Rameau d’olivier” a été lancée il y a une dizaine de jours pour prendre cette fois-ci le contrôle de la ville syrienne d’Afrin.

NOSTALGIES NEO-OTTOMANES (II) :

IDLIB: ANKARA ENTEND CREER UNE BASE AERIENNE DANS L’AEROPORT DE TAFTANAZ

L’armée turque a décidé de créer huit bases militaires à Idlib !

Des sources d’information (crédibles), proches des opposants syriens, annoncent qu’une « délégation militaire turque en déplacement à Idlib, avait visité l’aéroport de Taftanaz ». Selon l’agence de presse iranienne ‘Fars’, une source sous le seau de l’anonymat, a fait part de la visite d’une délégation militaire liée à l’armée turque dans la province d’Idlib, occupée par les terroristes du Front al-Nosra. Cette source proche des opposants syriens a confié à l’agence de presse allemande DPA, que « la Turquie cherchait à créer une base aérienne dans l’aéroport de Taftanaz, à Idlib ».

Un convoi militaire turc de quatre véhicules est effectivement entré en Syrie dans la nuit de mardi à mercredi en direction de l’aéroport de Taftanaz, dans la province d’Idlib, dans le nord du pays. À leur arrivée, les forces turques sont restées sur le site pendant plusieurs heures avant de repartir pour la Turquie. Des sources de l’opposition signalent que la Turquie envisage de prendre le contrôle de l’aéroport de Taftanaz et de l’utiliser comme Centre d’opérations pour gérer tous les «points d’observation», récemment établis par ses forces dans le nord-ouest de la Syrie.

Cela intervient deux jours après que l’armée turque a déclaré avoir achevé la construction d’un quatrième point de contrôle dans la région d’al-Eis, dans le sud d’Alep face aux lignes de l’armée syrienne.

L’armée turque a établi, fin 2017, des points d’observation, dans les rifs d’Alep et Idlib. Dans ce droit fil, le site web ‘al-Madan’ lié à l’opposition syrienne a annoncé pour sa part que « des troupes turques s’installeraient dans les prochains jours dans l’aéroport de Taftanaz pour en faire leur propre base aérienne ».

Cette base militaire sera complétée par sept sites militaires turques qui seront situés près des lignes de contact à l’ouest du chemin de fer al-Hayaz dans les rifs de Hama et d’Idlib. Le village de Tell al-Sultan dans le gouvernorat d’Idlib est une autre région où les forces turques ont mené une opération de reconnaissance afin d’y créer un siège militaire.

Pour justifier ces mesures, la Turquie prétend « vouloir protéger le ciel d’Afrin » (sic) et « d’empêcher les Unités de protection du peuple (YPG) d’étendre leur influence en Syrie » (resic), d’autant plus que pour la Turquie, les forces des YPG constituent une branche du PKK, Parti des travailleurs du Kurdistan. Mais ceci n’est plus une guerre contre le PKK, c’est purement une invasion d’un pays souverain, la Syrie !

L’ARMEE SYRIENNE DEPLOIE DES SYSTEMES DE DEFENSE ANTI-MISSILE DANS LES BANLIEUES D’IDLIB ET D’ALEP

Damas déploie des systèmes anti-missiles sur les fronts de guerre contre les terroristes. Ce qui implique un accord russe. Un commandant de l’armée syrienne a annoncé le déploiement de systèmes de défense anti-missile dans les banlieues d’Idlib et d’Alep. Selon un rapport de l’agence ‘Fars news’, citant Reuters, un commandant des forces gouvernementales syriennes a annoncé « que l’armée syrienne avait envisagé de déployer de nouveaux systèmes de défense anti-aérienne qui couvrira le nord de la Syrie ».

De vastes territoires dans la province d’Idlib sont toujours contrôlés par des « groupes d’opposition » et le Front al-Nosra. Après avoir repris le contrôle d’Alep, il y a des mois, l’armée a lancé des opérations depuis l’ouest de cette ville et le nord de la ville de Hama vers les zones contrôlées par les terroristes.

– V / LA QUESTION CENTRALE POUR DAMAS CE NE SONT PAS LES KURDES MAIS COMMENT METTRE DEHORS LES AMERICAINS ET LES TURCS ?

Près de deux semaines après avoir lancé une offensive contre le canton d’Afrin, force est de constater que les choses ne vont pas dans le sens souhaité par Ankara. Dimanche, un char de l’armée turque, avec à son bord cinq militaires, a été détruit par un missile antichar que les Kurdes avait reçu des Américains. Mais il y a plus. L’État syrien semble contribuer de façon indirecte à la guerre, apportant son appui aux Kurdes.

POUR DAMAS, LA PRESENCE MILITAIRE TURQUE EN SYRIE RELEVE DE L’OCCUPATION MILITAIRE

Pour la Syrie, la présence militaire turque en Syrie relève en effet de l’occupation militaire. Heureusement pour les Kurdes, car Damas est plutôt satisfaitE de voir les Kurdes des YPG traverser son territoire pour renforcer les défenses d’Afrin et faire grimper le coût de l’invasion pour la Turquie et les terroristes de l’ASL qui se battent sous sa bannière.

Existe-t-il une certaine complicité entre Damas et les YPG ?

« Nous savons que les FDS (Forces démocratiques syriennes, NDLR) ont repositionné certaines forces en réponse à des tensions récentes, mais ce n’était pas sous la direction de la coalition américaine », a déclaré le commandant Adrian Rankine Galloway, porte-parole du ministère russe de la Défense.

Il semblerait que les deux camps aient décidé de s’accorder mutuellement un passage limité : les Kurdes permettent à l’armée syrienne d’avoir un accès limité à ses positions à Qamishli et Hassaka et en retour, le quartier d’Alep Sheikh Maqsood, contrôlé par des Kurdes, jouit de droits similaires. L’ironie est que dans leur lutte contre la Turquie, les Kurdes syriens reçoivent plus d’aide du gouvernement syrien contre lequel ils se rebellent que des États-Unis qui sont censés les soutenir !!!

De son côté, Damas se sert de combattants entraînés et équipés par les États-Unis contre la Turquie, tous deux membres de l’OTAN, tous deux des puissances qui cherchaient auparavant la chute de l’État syrien.

Mais Damas vise encore plus loin. À l’heure où le bilan des pertes s’alourdit dans le camp turc, les troupes syriennes poursuivent leur poussée vers le nord à un rythme jamais vu dans l’histoire de la Syrie. Leur mission ? Récupérer Idlib, ville limitrophe de la Turquie dans le Nord-Ouest, et consolider les postes d’observation le long de l’Euphrate dans le Nord-Est.

Les forces de la défense populaire ont déjà devancé l’armée régulière, notamment à Idlib, où de très violents combats les opposent à al-Nosra et à l’ASL. Le 10 décembre 2017, l’armée syrienne a repris l’aérodrome stratégique d’Abou al-Duhur et depuis lors, des MiG-21, MiG-23 et des Albatros L39 sans maintenance ont repris leurs raids contre les positions des terroristes et assurent des missions limitées de bombardement tactique en soutien à la progression des troupes au sol.

LA BATAILLE STATEGIQUE DE SARAQIB

L’objectif immédiat des forces syriennes semble être la localité très stratégique de Saraqib, une ville occupée par une coalition de terroristes, qui est située près de la frontière turque et relie les limites septentrionales des provinces d’Alep et d’Idlib. La ville revêt une importance vitale pour les terroristes qui ont commencé à creuser des tranchées en espérant retarder au maximum les forces syriennes dans une guerre statique en attendant des renforts et une progression des forces soutenues par la Turquie ou les États-Unis.

La chute de ce verrou stratégique mettra en contact direct les armées syrienne et turque dont les unités se retrouveront face à face pour la première fois depuis le début du conflit syrien, entamé le 15 mars 2011. « C’est dans ce contexte que la Turquie et les États-Unis ont décidé d’un commun accord d’abattre un Su-25 russe », dit une source syrienne, dans l’espoir de pouvoir dissuader la Russie de poursuivre ses frappes en soutien aux forces « alliées ». La violence avec laquelle le pilote russe a été lynché par les terroristes « nosristes » (alliés d’Ankara) « semble faire écho à la colère et à la panique qui règnent dans le camp des ennemis de la Syrie ». « La bataille de Saraqib a le mérite de mettre les points sur les i : la guerre par procuration risque à tout moment de se transformer en une confrontation directe ».

« AFRIN: ERDOGAN PIEGE PAR ASSAD ?! » (PRESSE IRANIENNE) …

La bataille d’Afrin a connu un nouveau tournant, mardi 6 février, quand des centaines de miliciens kurdes ont pénétré la ville à la faveur du soutien de l’État syrien qui a laissé le convoi traverser les zones sous contrôle de l’armée syrienne.

Selon les sources d’information, des centaines de renforts kurdes ont pénétré, mercredi 7 février, la ville syrienne d’Afrin pour venir en aide aux forces sur place et affronter l’armée turque. L’agence de presse turque Anadolu a rapporté que des centaines de “miliciens kurdes multinationaux séparatistes” étaient entrés à Afrin depuis le nord-ouest de la province d’Alep contrôlée par l’armée syrienne et ses alliés.

Après avoir quitté la ville de Manbij dans le nord-est d’Alep au moins 500 nouveaux renforts kurdes ont pénétré les régions étant sous le contrôle du gouvernement de Damas depuis où ils se sont dirigés vers Afrin. Les combattants kurdes ont dû passer par les villes d’al-Darbasiyah, Qamichli, Hassaké, Kobané, Nubl et al-Zahra pour atteindre Afrin.

« Un retour des Kurdes dans le giron de l’État ? »

Selon l’analyste Ghassan Kadi, « l’Amérique cherchait depuis très longtemps la moitié d’une excuse pour envahir la Syrie, et sachant qu’elle n’était pas en mesure d’avoir une présence totale qui lui permettrait de bombarder tout le pays, elle a utilisé l’excuse kurde et le faux prétexte de créer une « zone de sécurité » pour justifier sa présence sur le sol syrien et ce, contre la volonté de la Syrie (…) Pour ce faire, l’Amérique avait besoin d’alliés sur le terrain, et au lieu de travailler avec son partenaire naturel et membre de l’OTAN, la Turquie, elle a repoussé celle-ci, quitte à s’allier aux Kurdes. Cette alliance a été qualifiée par Damas de trahison, ce qui n’empêche pas l’armée syrienne de venir en aide aux Kurdes ».

… OU PAR LES AMERICAINS ?

À quoi joue Damas?

« À l’heure où les États-Unis cherchent à s’implanter définitivement en Syrie, le fait de mettre face à face la Turquie et les États-Unis semble la meilleure option au gouvernement syrien dont l’armée devrait éviter une confrontation directe avec les USA pour enlever à ces derniers tout prétexte à justifier leur présence prolongée », conclut Ghassan Kadi. « Car, seules les troupes turques peuvent faire le travail sans causer de graves ravages à l’échelle internationale », estime l’expert qui « écarte d’emblée toute approbation tacite de la part du gouvernement syrien pour l’opération dite « rameau d’olivier » et croit au contraire d’Erdogan s’est laissé piéger par son rival américain » ….

NOTES :

(1) Voir (en anglais) sur LUC MICHEL’S GEOPOLITICAL DAILY/ SIRYA WAR: ‘TURKEY ALIGNED WITH AL-QAEDA AFFILIATE IN IDLIB’

sur http://www.lucmichel.net/2018/01/18/luc-michels-geopolitical-daily-sirya-war-turkey-aligned-with-al-qaeda-affiliate-in-idlib/

(2) Peu après la revendication par le groupe terroriste Front al-Nosra (rebaptisé Front Fatah al-Cham) de l’attaque contre un Sukhoï-25 dans la province syrienne d’Idlib, le Pentagone a annoncé « n’avoir jamais fourni d’armes à épaule aux groupes terroristes opérant en Syrie ».

Dans une note, le journal libanais al-Binaa s’attarde dans sa plus récente édition sur les raisons de ce comportement.

« Premièrement, les États-Unis craignent que la Russie ne les représente comme étant responsables de l’écrasement de son avion

Sukhoï-25 ; beaucoup de preuves viennent d’ailleurs corroborer cette hypothèse. Et une fois confirmée une telle accusation, la complicité entre les États-Unis et les groupes terroristes sera révélée au grand jour et cela pourrait nuire à l’image des États-Unis dans le monde.

Deuxièmement, les États-Unis craignent que les Russes montrent une réaction en dehors des ententes jusqu’ici obtenues sur la crise syrienne, une réaction qui exige de Washington qu’il augmente son intervention militaire en Syrie. Or, l’opinion publique américaine rejette fermement une présence militaire renforcée en Syrie et s’inquiète du fait que les États-Unis s’embourbent dans un nouvel imbroglio, après la guerre en Irak et Afghanistan ».

C’est pourquoi, selon le journal libanais al-Binaa, « les Américains se sont précipités pour démentir la fourniture de missiles à épaule aux terroristes ayant abattu l’avion russe ».

(Sources : Fars – Anadolu – al-Madan – SANA – MAE russe – DPA – Rai al-Youm – Al-Quds al-Arabi –EODE Think-Tank)

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FACE AUX USA ET À LA NOUVELLE DOCTRINE NUCLEAIREDE TRUMP, L’AXE MOSCOU – PÉKIN – TÉHÉRAN SE RENFORCE

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2018 02 06/

Les ambitions nucléaires, exposées dans la « Nouvelle doctrine nucléaire de Trump » (1) (improprement traduite en français par « posture ») des États-Unis font que la Russie, la Chine et l’Iran se rapprochent de plus en plus.

LM.GEOPOL - Axe moscou pékin téhéran (2018 02 07) FR (2)

De nombreux pays ont fermement critiqué la nouvelle « doctrine nucléaire» du Pentagone qui expose les ambitions nucléaires sous la présidence Trump et détaille ce qu’il perçoit comme les menaces nucléaires dans les décennies à venir (2). Bien qu’il se focalise essentiellement sur la Russie, le rapport évoque aussi un manque de transparence dans l’arsenal nucléaire chinois. Parmi les autres menaces potentielles, sont également cités la Corée du Nord et l’Iran.

DES PROJETS AMERICAINS QUI N’ONT FAIT QUE SE RAPPROCHER L’IRAN, LA RUSSIE ET LA CHINE

Un projet qui n’a fait que se rapprocher l’Iran, la Russie et la Chine, qui ont toujours été des partenaires anciens et importants sur la scène internationale pour défendre des intérêts communs (3). Ces pays se sont fermement opposés au rapport du Pentagone, d’autant plus que son objectif va à l’encontre du Traité sur la non-prolifération des armes nucléaires. Si les États-Unis, la première et la plus grande économie du monde, se retirent du Traité, le terrain sera propice au retrait d’autres pays.

Le journal anglais ‘The Observer’’ a rapporté dans une récente édition que « les États-Unis étaient en passe de bouleverser la structure du droit international, laissant libre cours aux velléités de n’importe quel pays voulant développer son arsenal nucléaire pour diverses raisons ». De fait, « l’administration Trump ne se conforme à aucun cadre international : les traités internationaux, et les enjeux environnementaux et sécuritaires du monde la laissent de marbre ».

D’autre part, le site Russia Today a rapporté que « Moscou répondrait à l’hostilité des États-Unis et ferait tout pour préserver sa sécurité ». Évoquant la campagne anti-russe, il précise : « Trump a déclenché une guerre psychologique contre la Russie dont les conséquences se retourneront contre lui. »

L’union de l’axe Russie-Iran-Chine va inciter davantage de pays occidentaux à s’opposer au piétinement de l’accord sur le nucléaire iranien par les États-Unis.

LA GUERRE COMMERCIALE DE TRUMP CONTRE PEKIN

Outre l’accord sur le nucléaire iranien, la Russie et la Chine sont déjà dans le collimateur américain. Dès le début de l’année 2017, Trump a entamé une « guerre commerciale » avec la Chine et foulé au pied un grand nombre des accords internationaux.

En substituant le dollar américain dans leurs échanges commerciaux, Russie, Chine et Iran mettraient la pression sur l’économie des États-Unis. Cette initiative ferait chuter la valeur du dollar sur le marché mondial et engendrerait de nombreuses crises financières.

La Chine est devenue la deuxième puissance militaire mondiale et s’active à combler le fossé qui la sépare encore des États-Unis.

Parallèlement à son essor économique, la Chine a développé une armée moderne qui pourrait devenir la première force mondiale à l’horizon 2050. Mais le développement des armes nucléaires ne figure pas dans ce plan. L’Iran a également parlé à plusieurs reprises du renforcement de sa puissance de défense.

Attendons donc de voir quelle sera la réponse de la Russie de Vladimir Poutine à la menace nucléaire des États-Unis.

LA COOPERATION RUSSIE-IRAN IMPASSIBLE AUX SANCTIONS AMERICAINES

Dans une interview avec l’agence de presse russe ‘Interfax’, Levan Dzhagaryan, l’ambassadeur russe à Téhéran a déclaré « que les nouvelles sanctions américaines n’affecteront en rien la coopération irano-russe dans le domaine militaire ». « Moscou veut développer sa coopération avec Téhéran dans la lutte contre le terrorisme. L’Iran est notre partenaire stratégique », a affirmé Levan Dzhagaryan (4).

TEHERAN ET MOSCOU, UNE POLITIQUE REGIONALE CONVERGENTE

Les présidents iranien et russe ont souligné que « seul le peuple syrien avait le droit de décider de son avenir ».

Lors d’un entretien téléphonique, ce mardi 6 février, le président de la République islamique d’Iran, Hassan Rohani, a déclaré que « Téhéran s’opposait à la présence de forces étrangères sur le territoire syrien sans autorisation du gouvernement et du peuple syriens ». « L’escalade de tensions dans le nord de la Syrie ne va dans l’intérêt de personne.

Nous espérons que tous les pays respecteront l’intégrité territoriale et la souveraineté de la Syrie », a-t-il ajouté.

  1. Rohani a salué l’organisation d’une réunion entre les présidents iranien, russe et turc dans le cadre d’une coopération étroite destinée à restaurer la paix et la stabilité et à combattre le terrorisme dans la région. « Les relations entre Téhéran et Moscou sont en pleine croissance. Nous espérons que les accords bilatéraux seront mis en application dans les plus brefs délais. L’application la plus rapide des accords que nous avons signés et l’essor des coopérations interbancaires entre Téhéran et Moscou donneront un coup de pouce à leurs relations bilatérales. »

De son côté, le président russe Vladimir Poutine a souligné que « Moscou était résolu à approfondir ses relations avec Téhéran sur tous les plans ». « Les grandes compagnies russes essaient de concrétiser les accords signés jusqu’ici entre l’Iran et la Russie. Le processus de concrétisation des accords suit un rythme accéléré et cette coopération bilatérale sera certainement renforcée par la future réunion de la commission économique mixte », a déclaré Vladimir Poutine.

Le président russe a ensuite qualifié de « très important » l’accord nucléaire conclu en juillet 2015 entre l’Iran et les 5+1. « La Russie croit que toute tentative d’affaiblir l’accord nucléaire met en danger la stabilité de la région. Nous avons fait part de notre position à nos alliés. » Le 12 janvier, le président américain Donald Trump a prolongé, sous conditions, la suspension des sanctions anti-iraniennes décidée suite à la signature de l’accord nucléaire avec l’Iran, en juillet 2015. D’ici la prochaine échéance de suspension des sanctions, dans 95 jours pour les principales d’entre elles, « Trump entend travailler avec les partenaires européens sur un accord de suivi » visant à durcir les conditions du texte de 2015.

Le président russe a, de même, annoncé la finalisation des négociations portant sur la signature d’un accord temporaire permettant la création d’une zone de libre-échange entre l’Iran et l’Union économique de l’Eurasie. « Dès que cet accord sera conclu entre l’Iran et l’Eurasie, leur coopération économique entrera dans une nouvelle phase », a-t-il indiqué.

Vladimir Poutine a estimé que le succès de la réunion de Sotchi était dû aux efforts de l’Iran, de la Russie et de la Turquie. « Les tentatives de certains pays extra-régionaux, qui cherchent à armer les terroristes et à démembrer la Syrie, nous préoccupent vivement. Nous sommes d’avis que le déploiement de tout contingent militaire sur le territoire d’un pays devrait être autorisé par le gouvernement du pays ou le Conseil de sécurité des Nations unies, sinon cela constitue une ingérence flagrante dans les affaires d’un pays indépendant ».

Concernant la situation au Yémen, M. Poutine l’a jugée « tragique » et « préoccupante », appelant « tous les pays à donner un coup de pouce au processus de règlement pacifique de la crise au Yémen ».

NOTES :

(1) Cfr. sur LUC MICHEL’S GEOPOLITICAL DAILY/ LA NOUVELLE DOCTRINE NUCLEAIRE DES USA QUI CIBLE DIRECTEMENT MOSCOU ET PEKIN

sur http://www.lucmichel.net/2018/02/03/luc-michels-geopolitical-daily-la-nouvelle-doctrine-nucleaire-des-usa-qui-cible-directement-moscou-et-pekin/

(2) Cfr. en anglais sur LUC MICHEL’S GEOPOLITICAL DAILY/ THE NEW NUCLEAR DOCTRINE OF THE USA (II):

WHAT DOES THE ‘US NUCLEAR POSTURE REVIEW’ REALLY SAY?

sur http://www.lucmichel.net/2018/02/05/luc-michels-geopolitical-daily-the-new-nuclear-doctrine-of-the-usa-ii-what-does-the-us-nuclear-posture-review-really-say/

(3) Voir PCN-TV YouTube :

LUC MICHEL/ L’AXE MOSCOU-PÉKIN-TÉHÉRAN SE RENFORCE

sur https://www.youtube.com/watch?v=-atVO-L1CXE

Et :

Sur LUC MICHEL’S GEOPOLITICAL DAILY/

DE L’AXE MOSCOU-TEHERAN A UN AXE EURASIATIQUE MOSCOU-PEKIN-TEHERAN :

COMMENT LA CHINE S’EST AUSSI RAPPROCHEE DE L’IRAN

sur http://www.lucmichel.net/2017/11/04/luc-michels-geopolitical-daily-de-laxe-moscou-teheran-a-un-axe-eurasiatique-moscou-pekin-teheran-comment-la-chine-sest-aussi-rapprochee-de-liran/

(4) L’AXE MOSCOU-TEHERAN : UNE REALITE PUISSANTE A LA FOIS POUR L’EURASIE ET LE PROCHE-ORIENT

sur http://www.lucmichel.net/2017/11/02/luc-michels-geopolitical-daily-laxe-moscou-teheran-une-realite-puissante-a-la-fois-pour-leurasie-et-le-proche-orient/

(Sources : Russia Today – Fars – Interfax – The Observer – PCN-TV – EODE Think-Tank)

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