Incontro Africa-Eritrea

Si parlerà dell’Africa attualmente sotto attacco di Africom, il comando Usa per l’Africa, della Legione francese, delle multinazionali predatrici di terre e risorse minerarie, dei conflitti accesi dal nuovo colonialismo nel Corno d’Africa, della resistenza di un paese che non accetta condizionamenti imperiali.
Fulvio
Indipendenza eritrea

Le ferrovie sono di destra. Ma in Italia è vietato dirlo

http://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/le-ferrovie-sono-di-destra-ma-in-italia-e-vietato-dirlo/

Il libro dell’economista Marco Ponti racconta una sconfitta: i politici si rifiutano di calcolare costi e benefici prima di spendere miliardi

Le ferrovie sono di destra. Ma in Italia è vietato dirlo

A prima vista ha tutti i caratteri di un implacabile j’accuse, lontano dalla finezza e dalla sottigliezza accademica. Ma è anche la storia di una cocente sconfitta.

Parliamo di Sola andata, pamphlet di Marco Ponti (amico – e cattivo? – maestro di chi scrive), edito per i tipi di Egea, la casa editrice dell’Università Bocconi. Traspare tra le righe la delusione e forse l’amarezza per un impegno più che trentennale volto a mutare la politica dei trasporti italiana e costellato da una serie di insuccessi.

Modi e contenuti del volume evocano gli scritti di un altro grande perdente della storia italiana, quelli del fondatore del partito popolare, Luigi Sturzo che, tornato in Italia dopo un esilio di 22 anni negli Stati Uniti e a Londra, spese le sue ultime energie nel denunciare i tre mali della democrazia: “Lo statalismo, la partitocrazia e l’abuso del denaro pubblico”. Sturzo nel suo Manuale del buon politico afferma che “il denaro pubblico deve essere considerato sacro” e che “è più facile dal no arrivare al sì che dal sì retrocedere al no. Spesso il no è più utile del sì”.

Nella sua esperienza di accademico e di consulente, Ponti sembra essere stato guidato da questi precetti. Numeri alla mano, ha provato a modificare decisioni che li contraddicevano platealmente: un cattivo utilizzo del denaro pubblico lontano dalla prospettiva di massimizzare i risultati conseguibili, ma guidato dalla volontà di massimizzare la spesa. Basti pensare ai toni entusiastici con i quali vengono presentati nuovi investimenti – l’ultimo, il piano da decine di miliardi delle Ferrovie dello Stato – o gli aumenti di spesa corrente nel settore dei trasporti (ma gli altri ambiti non sono diversi). Non importa che poi, spesso, quegli investimenti non soddisfino un’adeguata domanda di trasporto. Il metro del successo per il decisore politico è rappresentato dal taglio del nastro, dall’inaugurazione, magari ripetuta, di una nuova opera (meglio se “grande”).

È come se il successo di un imprenditore fosse rappresentato dalla realizzazione di un sito produttivo. Ma se l’impianto è stato realizzato a costi eccessivamente elevati oppure se le previsioni di domanda si rivelano errate, l’incauto investitore ne subirà le conseguenze. Nulla di simile accade per gli investimenti pubblici: nessuno promotore di “elefanti bianchi” subirà conseguenze negative delle sue scelte. L’assenza nel caso di scelte pubbliche di un meccanismo automatico di premio o sanzione come quello che opera attraverso profitti e perdite in un mercato concorrenziale determina la necessità di uno strumento succedaneo che consenta di addivenire alla migliore allocazione delle limitate risorse pubbliche.

Tale strumento, l’analisi costi-benefici, è disponibile da più di un secolo ma, come Ponti non si stanca di ricordare, è inviso ai decisori politici i cui obiettivi sono lontani dalla massimizzazione dei benefici per la collettività. L’ex premier Silvio Berlusconi, non sapeva che farsene: per decidere bastava qualche tratto di pennarello su una lavagna in un salotto tv. L’attuale ministro Graziano Delrio ha detto invece di ritenerlo indispensabile per individuare le opere “utili” ma sostenendo allo stesso tempo, a monte di qualsiasi valutazione, la necessità di una “cura del ferro”.

Delrio ha espresso il proprio convinto supporto alla realizzazione di linee che, se passate al vaglio dell’analisi costi-benefici, risulterebbero, come documenta il volume di Ponti, non fattibili. Terapia peraltro inefficace a perseguire la finalità indicata, ossia la sostenibilità ambientale per l’assoluta esiguità del numero di spostamenti su gomma che possono avvenire sui binari pur in presenza di ingenti investimenti. Ed è anche inefficiente e iniqua come rivelerebbe, se la si lasciasse parlare, l’analisi costi-benefici: lo spostamento modale non conviene alla collettività quando i costi esterni sono, come in Italia e in Europa per quelli ambientali, interamente internalizzati dal prelievo fiscale.

Quello della sostenibilità non è l’unico mito sul quale si fa leva per giustificare l’ingente spesa per i binari a carico dei contribuenti. Non manca mai un riferimento alla socialità. Ma, di nuovo, in assenza di dati quantitativi. Degli investimenti per la rete ad alta velocità beneficiano per la stragrande maggioranza utenti che sarebbe difficile classificare come poveri. Ma gli stessi pendolari che utilizzano il treno (solo il 6% del totale) non sono accomunati dal basso livello di reddito ma dal fatto di effettuare spostamenti verso le aree centrali delle maggiori aree urbane, l’unico segmento della mobilità che vede la ferrovia competere con il mezzo individuale. Nessuna attenzione pare essere riservata a tutti coloro che, vivendo e lavorando in periferia o in aree poco densamente popolate, non hanno alternativa all’auto: per costoro, ricchi e poveri, nessun sussidio ma un elevato carico fiscale.

Guardiamo agli spostamenti di lunga percorrenza: negli ultimi due decenni a soddisfare le esigenze delle persone a minor reddito è stato il mercato, non certo lo Stato. Prima le low cost aeree e più di recente i servizi su gomma.

Difficile continuare a sostenere, come fanno in molti, che la ferrovia è “di sinistra” (e l’auto, vero servizio universale, “di destra”). O che il cambio modale sia socialmente auspicabile: per essere attuato necessita di risorse pubbliche inevitabilmente sottratte ad altri scopi e riduce il flusso di entrate che l’uso dell’auto garantisce all’erario.

Difficile stupirsi se il sincero democratico Ponti – ci dicono testimoni che negli anni 70 passeggiava portando sottobraccio l’Unità – guardando alla realtà e non all’ideologia, non cessi di pensare “in direzione ostinata e contraria”.

di Francesco Ramella | 18 ottobre 2017

DI OBSOLETO C’E’ SOLO IL PROGETTO-TAV

http://www.notavtorino.org/documenti-14/oltre-propaganda-15-10-17.html

OLTRE LA PROPAGANDA.
Risposta all’intervista al Commissario di Governo su “La Voce e il Tempo”:

da La Voce e il Tempo15/10/2017 –  Lettere, pag. 31

Egregio Direttore,

vediamo su La Voce e il Tempo datato 8 ottobre una intervista sulla nuova linea ferroviaria Torino-Lione rilasciata dal commissario governativo arch. Paolo Foietta. In questa vicenda è raro che si tenga conto della realtà e si procede fin dall’inizio per annunci e senza verifiche.
Entrando nel merito le segnaliamo che il commissario riferisce che nel 2016 attraverso  i valichi italo-francesi sono passati complessivamente 42,5 milioni di tonnellate di merci. Quello che il commissario non dice è che  nel 2001 i milioni di tonnellate erano 50,8 e che da allora l’andamento è stato decrescente. Il traffico ferroviario poi è in calo drastico fin dal 1997. Nello stesso periodo il traffico ferroviario attraverso la Svizzera è  stato in continua crescita.
Il commissario dice ancora che la linea ferroviaria esistente attraverso il tunnel del Fréjus è obsoleta e questo è il motivo del suo scarso utilizzo. Quello che il commissario non riferisce è che negli stessi anni del calo in valle di Susa, il traffico ferroviario in Svizzera cresceva nonostante venisse convogliato al tunnel del Lötschberg, perfettamente analogo al Fréjus: lunghezza del Fréjus 13,6 km e altezza massima sul livello del mare 1335 m; lunghezza del Lötschberg 14,6 km e quota 1340 m. Le pendenze al Lötschberg sono anche maggiori di quelle al Fréjus (che si riscontrano in Francia), con salita al valico per tornanti ferroviari, necessità di tripla trazione e così via. Il nuovo tunnel di base del Lötschberg è entrato in funzione nella seconda metà del 2007, mentre il flusso ferroviario stava già aumentando da almeno  15 anni, e senza produrre drastiche impennate o cambiamenti. In effetti la nuova infrastruttura non ha svuotato la vecchia in quanto molti trasportatori trovano più conveniente (costi più bassi) salire al  vecchio  valico  anziché  usare  il nuovo  tunnel (tariffe alte).
Il forte trasferimento dalla strada alla rotaia conseguito in Svizzera ben prima di qualsiasi nuova infrastruttura è dovuto alla scelta di quel paese di tassare le merci in attraversamento su strada rendendo così più conveniente la ferrovia. Nulla di simile hanno finora fatto Francia e Italia, per quanto da tempo se ne parli. Macron ha ripreso l’idea di una tassazione dei transiti stradali al Monte Bianco e al Fréjus in forma di Eurovignette; nulla di concreto è stato però deciso, anche perché precedenti tentativi in altre  zone della Francia hanno prodotto sollevazioni degli autotrasportatori difficili da gestire. In Italia il trasporto stradale, lungi  dall’essere penalizzato, è in realtà sovvenzionato attraverso varie forme di agevolazione.

La Francia ha formalmente deciso che riguardo alla parte della linea sul suo territorio deciderà cosa fare dopo il 2035 (non “inizierà i lavori” ma “deciderà cosa fare”). Dal lato italiano il completamento della linea è stato accantonato fino a data da destinarsi. Se il tunnel di base procedesse ci si ritroverebbe con una infrastruttura in grado di portare da  sola  più  di  40  milioni  di  tonnellate l’anno su di una linea che, a detta delle ferrovie italiane, ne può portare al più 20: il flusso sarebbe quindi non in grado di recuperare né l’investimento né il costo di funzionamento.
Lo stesso progetto del Tunnel di Base pare essere sostanzialmente “in panne”, i lavori di realizzazione sono ancora “in fase di preparazione”. Le dichiarazioni ufficiali del presidente francese sono eloquenti: la Francia non deciderà cosa effettivamente fare riguardo alla tratta internazionale fino al marzo 2018.
Le attività attualmente finanziate dall’Europa vanno a rilento. Un esempio  fra tutti: secondo il cronoprogramma europeo, a inizio ottobre doveva partire la costruzione dello svincolo autostradale di Chiomonte, senza il quale è impossibile avviare lo scavo del tunnel di base. Ad oggi non è stata nemmeno pubblicata la gara di affidamento. Considerata l’attesa contrazione dei bilanci comunitari, è utopico pensare che dai contributi europei possano arrivare flussi finanziari sufficienti a realizzare l’opera nei tempi ottimisticamente annunciati dal Commissario di Governo. Finora, dopo trent’anni di parole, l’unica realtà è che l’Unione Europea non ha ancora mai formalizzato, nero su bianco, l’erogazione del 40% di contributo alla realizzazione della Torino Lione.

Ci rendiamo conto di non poter fare discorsi troppo articolati e completi nello spazio di una lettera al direttore, ma tanto le volevamo trasmettere per sottolineare che la realtà è molto più articolata di quanto la propaganda abbia fin qui cercato di mostrare.

Cordiali saluti

Prof. Angelo Tartaglia – Ing. Alberto Poggio

Anche a nome della commissione tecnica incaricata di seguire le vicende della Nuova Linea Torino-Lione, per conto dell’Unione Montana Valle Susa e dei comuni di Torino e Venaria.

Foietta Accordo Tav blindato, primi treni nel 2029 Intervista a Paolo Foietta, commissario straordinario per la Tav

http://www.lavocedeltempo.it/Territorio/Accordo-Tav-blindato-primi-treni-nel-2029/(language)/ita-IT%20

Intervista a Paolo Foietta, commissario straordinario per la Tav

Accordo Tav blindato, primi treni nel 2029

Paolo Foietta è il commissario straordinario del governo per la linea Torino Lione. Gli abbiamo chiesto cosa ha convinto la Francia a dare nuovo impulso alla realizzazione del tunnel di base fra Susa e Saint Jean de Maurienne.

«I dati sui transiti transfrontalieri di merci hanno fatto molta presa sul governo Francese» spiega il commissario «Le ultime cifre (2016) sul trasporto fra l’Italia e gli stati continentali sono impressionanti: attraverso i valichi con la Francia passano ogni anno 42,5 milioni di tonnellate di merci, il 93% viaggia su Tir, solo il 7% via treno. Verso l’Austria, con i lavori di modernizzazione del Brennero ancora non conclusi, i trasporti ferroviari sono il 29% del totale, verso la Svizzera, dove sono partiti prima con l’adattamento delle ferrovie e i tunnel, il rapporto è inverso: 71% su rotaia».

Quali sono i motivi di questa grande differenza?

La linea che passa per il Frejus ha pendenze che consentono di avere, a parità di locomotiva, meno della metà del carico. E il tracciato non consente di formare treni più lunghi di 500 metri, quando oggi, se la linea lo consente, i convogli possono raggiungere i 750. In sostanza, l’attuale linea Torino Lione è un’opera fuori mercato; quando entrerà in funzione quella nuova avrà un gap da recuperare rispetto agli altri tracciati.

Ecco, appunto, i tempi. Qual è oggi la tabella di marcia?

Gli appalti principali del tunnel transfrontaliero di 57,5 km – per i lavori veri e propri, scavi compresi – saranno aggiudicati da Telt (società costituita da Ferrovie dello Stato e Ministero delle Finanze francese, soci al 50%) entro il 2019. L’entrata in esercizio è prevista per il 2029.

L’Europa sostiene con convinzione la futura linea Torino-Lione?

Sì, a fine opera avrà sostenuto il 40% dei costi del tunnel di base. L’ha confermato al recente vertice Italia-Francia e sta onorando l’impegno in questo esercizio finanziario che si chiude nel 2020. Sulle risorse del prossimo mandato, dal 2021, non c’è ragione di credere che l’impegno europeo diminuirà.

GEOPOLITIQUE AFRICAINE : LE KIVU EPICENTRE DE LA DESTABILISATION MILITAIRE DU CONGO (KINSHASA)

 

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Luc MICHEL pour EODE/

Flash géopolitique – Geopolitical Daily/

2017 10 18/

LM.GEOPOL - Rdc congo kivu (2017 10 18) FR (3)

« La déstabilisation de la RDC vise tout d’abord à s’emparer des richesses du pays, ce « scandale géologique ». Mais ce n’est pas tout. Le but premier, le but essentiel, est la prise de contrôle géopolitique du Congo, le pivot géopolitique de l’Afrique » (dixit Luc MICHEL) …

1- ACTUALITE DE LA DESTABILISATION MILITAIRE DU CONGO : LES COMBATS AU KIVU CONTINUENT

L’actualité nous rappelle que la déstabilisation militaire de la RDC, avec son épicentre au Kivu, continue son action de sape contre Kinshasa : « seize miliciens tués dans des combats “intenses” avec l’armée », titrait Belga ce 2 octobre 2017.

Seize miliciens ont été tués dans d’intenses combats qui opposent l’armée congolaise à des milices dans une localité du Nord-Kivu, dans l’est de la République démocratique du Congo, avait-on appris lundi de source militaire. “Les combats se sont intensifiés depuis vendredi avec des attaques des rebelles au cours desquelles quatre ont été tués. Hier (dimanche), les FARDC (Forces armées de la RDC) en ont tué sept autres et aujourd’hui (lundi), nous avons récupéré déjà cinq corps de Maï-Maï”, a déclaré à l’AFP le lieutenant Jules Tshikudi, l’un des porte-parole de l’armée dans la région.

Les combats se déroulent dans la localité de Kipese, dans le territoire de Lubero. “En ce moment la situation est sous contrôle”, a indiqué l’officier. Le territoire de Lubero est situé à 300 km au nord de Goma (capitale du Nord-Kivu), dans une zone où se trouvent plusieurs groupes armés congolais et étrangers qui s’y affrontent depuis plus de vingt ans.

Les Maï-Maï sont des groupes “d’autodéfense” constitués sur une base essentiellement ethnique. Pendant la deuxième guerre du Congo (1998-2003), nombre de ces groupes ont été armés par le pouvoir pour lutter contre des combattants ougandais et rwandais. Certains n’ont jamais désarmé. Depuis le début de l’année, ces miliciens attaquent régulièrement les positions de l’armée congolaise dans le Nord-Kivu et dans la province voisine du Sud-Kivu.

Autre exemple : « Ce 15 octobre, l’armée découvre 26 corps, victimes des rebelles ougandais, au Kivu », dit l’AFP … Les autorités congolaises ont découvert dimanche 26 corps de personnes tuées, selon l’armée congolaise, le 7 octobre dans l’est de la République démocratique du Congo dans une attaque attribuée aux rebelles musulmans ougandais des Forces démocratiques alliées (ADF). “Nous sommes arrivés au PK40 ce dimanche où nous avons trouvé 26 corps en état de décomposition dont une femme et un militaire congolais et 21 motos brûlées. Nous sommes arrivés avec l’équipe de la protection civile qui a procédé à l’inhumation de ces corps”, a déclaré l’officier Mak Hazukai, porte-parole de l’armée dans le territoire de Beni, l’une des divisions de la province du Nord-Kivu.

“Ce sont les corps des personnes qui sont tombées dans l’embuscade des ADF la semaine dernière”, a-t-il ajouté. Les ADF sont accusés d’avoir attaqué le 7 octobre des taxis-motos sur la route entre Kamango et Mbau. Deux jours plus tard, deux Casques bleus de la Mission des Nations unies (Monusco) ont été tués dans la même région dans une attaque attribuée aux mêmes ADF.

2- UN BREF RAPPEL :

GEOPOLITIQUE DU CONGO. LE PIVOT DE L’AFRIQUE

Etat-continent au cœur de l’Afrique, des rives de l’Atlantique aux Grands-Lacs, l’ex Congo belge est dès 1960 « le point de fixation de la Guerre froide ». « L’ancienne colonie belge, prise dans la spirale de la guerre civile entre 1960 et 1965, a été en réalité le premier théâtre africain de la Guerre froide ».

Le Congo ne cessera depuis d’être un enjeu majeur pour les puissances occidentales, l’impérialisme américain (qui imposera son agent Mobutu au pouvoir pour une longue dictature) et la Françafrique de de Gaulle et Focart.

La géopolitique de Focart, deus ex machina de la France en Afrique (avec ses réseaux et ses « barbouzes », marque encore aujourd’hui la Géopolitique des stratèges américains, qui rêvent depuis le « Sommet USA-African Leaders » d’Août 2014 à Washington de conquérir la RDC et d’y imposer un régime fantoche compradore.

Foccart fixe au « Congo-Kinshasa occupe une place centrale, une place d’équilibre géopolitique, en Afrique francophone ». La Géopolitique définit aussi le Congo comme « le pivot de l’Afrique centrale et australe ». Qui déstabilise le Congo déstabilise toute l’Afrique. Qui contrôle le Congo domine le continent …

* Voir sur EODE-TV/

LUC MICHEL: GEOPOLITIQUE DU CONGO.

LE PIVOT DE L’AFRIQUE

sur https://vimeo.com/195241814

 

3-

LE ROLE DES REBELLIONS ARMEES DANS LA DESTABILISATION DE LA RDC

 

Dans une série d’analyses sur la destabilisation de la RDC, diffusée dans la matinale « Ligne Rouge », j’ouvre notamment le Dossier des rébellions armées en RD Congo (1994-2017) et le rôle de la Monusco …

 

J’ y répond aux questions essentielles :

* Sur les casques bleus en RDC et les rébellions armées au Congo.

* Sur la soi-disant Communauté internationale face à ses responsabilités.

* Sur le dossier de la rébellion armée du FDPR.

* Avec une analyse de fond des rébellions armées. Il n’y a pas que le FDPR ? La guerre civile du Sud-Soudan a aussi des séquelles en RDC ?

* Avec une analyse globale du dossier : Peut-on établir les responsabilités dans ces deux décennies d’instabilité congolaise ? Vous partagez, semble-t-il, l’analyse de l’ambassadeur de RDC à l’ONU quant à la responsabilité globale de forces extérieures au Congo ?

* Combien de rebellions armées ensanglantent-elles la RDC ?

 

J’y accuse au fond les appétits de déstabilisation de la RDC des puissances occidentales, USA en tête. Qu’est ce qui explique un demi-siècle de déstabilisation du Congo, de l’indépendance avec Lumumba en 1960 à la présidence de Joseph Kabila ? La géopolitique, la richesse du sous-sol !

 

4 –

GEOPOLITIQUE DE LA DESTABILISATON DU CONGO RDC

 

* Voir sur PANAFRICOM-TV/

GEOPOLITIQUE RDC I.

LUC MICHEL ANALYSE LA RUPTURE DU SECOND DIALOGUE NATIONAL DES EVEQUES EN RD CONGO … sur https://vimeo.com/211201035

 

* Voir sur PANAFRICOM-TV/

GEOPOLITIQUE RDC II.

LUC MICHEL ANALYSE LE DOSSIER DES REBELLIONS ARMEES ET DE LA MONUSCO EN RDC sur https://vimeo.com/211377733

 

* Voir sur PANAFRICOM-TV/

GEOPOLITIQUE RDC III.

LUC MICHEL ANALYSE LE ROLE DE LA MINUSCO ET DE L’ONU EN RD CONGO sur https://vimeo.com/213437618

 

* Voir sur PANAFRICOM-TV/

GEOPOLITIQUE RDC IV.

LUC MICHEL ANALYSE LA SITUATION EN RDC APRES LA NOMINATION DU NOUVEAU 1er MINISTRE TSHIBALA sur https://vimeo.com/213440664

 

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE

 

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ERIC ZEMMOUR : ‘LA BELGIQUE EST UNE CRÉATION ARTIFICIELLE QUI VA FINIR PAR SE SÉPARER’

 

LA REPUBLIQUE D’EUROPE/ 2017 10 17/

« la Belgique, qui est une création complètement artificielle, qui va finir par se séparer, entre Flamands et Wallons; l’Italie du nord qui n’en peut plus de traîner l’Italie du sud comme un boulet, la Catalogne aujourd’hui, et cetera »

– Eric Zemmour (journaliste du « déclin français »).

REP - Zemmour anti belgique (2017 10 17) FR

Mercredi dernier, sur PARIS PREMIÈRE, chaîne privée payante du groupe M6, l’émission Zemmour et Naulleau (Z&N pour les intimes) faisait sa rentrée, pour une septième année consécutive. L’émission qui “donne du temps au débat” accueille toujours les deux Z’Eric, médiatiquement nés chez Ruquier dans On n’est pas couché, pour décortiquer l’actualité politique internationale et hexagonale (…) les deux polémistes étaient invités à commenter l’actualité catalane et, au sens plus large, “les fractures européennes”, comme le dira Eric Zemmour, éternel constatateur du grand déclin français, nostalgique du XVIIe, de l’État-nation fort et eurosceptique affirmé.

Dans son commentaire, il y est allé d’une énième déclaration choc, à l’égard de la Belgique, qu’il insère dans son diagnostic du mal européen, malade de la mondialisation, dont les velléités indépendantistes de certaines régions sont les conséquences :

“Historiquement, nous passons notre temps depuis 20 ans à détruire les constitutions européennes précédentes. Je vais très vite : en 1989, le mur de Berlin s’effondre, les deux Europe se réconcilient, on a cassé l’Europe de 1945. À partir des années 1990, la Yougoslavie se fracture, la Tchécoslovaquie se sépare, on a cassé l’Europe mise en place en 1918. Aujourd’hui, nous sommes depuis la fin du siècle précédent en train de détruire l’Europe des États Nations, celle des XVIIe, XVIIIe et XIXe siècle”. Puis le polémiste de poursuivre son argumentaire, qui le conduit dans notre Royaume. “… C’est-à-dire la Belgique, qui est une création complètement artificielle, qui va finir par se séparer, entre Flamands et Wallons; l’Italie du nord qui n’en peut plus de traîner l’Italie du sud comme un boulet, la Catalogne aujourd’hui, et cetera. Il faut bien comprendre que c’est lié à la mondialisation : avant, les régions acceptaient une certaine solidarité, puisqu’il y avait un marché national qui leur permettait d’écouler leurs produits. Mais à partir du moment où l’on a un marché européen, voire mondial, on n’a plus besoin de traîner les ploucs, cela dit entre guillemets, derrière soi.”

* Lire sur :

http://www.lalibre.be/light/buzz-tele/eric-zemmour-la-belgique-est-une-creation-artificielle-qui-va-finir-par-se-separer-59e0475ecd70be70bcf5b5e0

(attention Média de l’OTAN ! Lire avec esprit critique …)

LA REPUBLIQUE D’EUROPE/

PCN Wallonie-Bruxelles

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DUPLICITE TURQUE EN SYRIE (II) : LA PRESSE D’ETAT IRANIENNE S’INTERROGE SUR LE ‘GRAND JEU SYRIEN’ D’ERDOGAN

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Luc MICHEL pour EODE/

Flash géopolitique – Geopolitical Daily/

2017 10 17/

LM.GEOPOL - Erdogan à idlib duplicité (2017 10 17) FR 3

De plus en plus de questions sont posées sur le « Grand jeu syrien » d’Erdogan, le « nouveau sultan néo-ottoman » (un pur opportunisme tactique selon moi) …

« Russie/Iran contournés par Erdogan ? » s’interroge PARS TODAY, l’Agence de presse francophone d’Etat iranienne (donnant la parole à des experts syriens) ? Ankara « ne chercherait à Idlib qu’à restructurer al-Nosra » …

Que dit PARS TODAY :

« La Turquie n’est pas sincère quand elle dit vouloir participer à la mise en place d’une zone de désescalade à Idlib. Selon l’expert syrien Heytham Hassoun, Ankara veut obliger le Front al-Nosra à rallier les groupes soutenus par la Turquie. Tout ce qu’elle cherche, c’est d’intervenir militairement à Idlib, à en occuper davantage de localités, estime le stratégiste syrien, Heytham Hassoun, interviewé par l’agence de presse Tasnim.

Mais va-t-elle réussir ?

Selon l’expert, il est quasiment impossible de pouvoir faire confiance à Ankara qui « ne cherche à Idlib qu’à restructurer al-Nosra et à lui enlever en apparence son caractère terroriste ». L’expert syrien relève qu’Idlib « est occupé par les terroristes liés à Ankara » et que « ce dernier n’a pour seul souci que de pousser les cadres d’al-Nosra à rallier les groupes terroristes qui se revendiquent d’Ankara ».

Mais quelles sont les chances de cette nouvelle tentative turque ?

Selon l’expert, « cette tentative d’Ankara est condamnée d’avance puisque la coalition Iran-Russie-Irak est bien déterminée à contrer toute démarche expansionniste de la Turquie dans le Nord syrien ». Hassoun a évoqué aussi l’attitude de la Turquie au Kurdistan d’Irak, attitude qui est loin d’être « transparente » : « La Turquie surfe sur la vague qu’ont créée les tensions entre Erbil et Bagdad. Il va sans dire qu’Erdogan a reçu des garanties de la part de son partenaire et allié Barzani, car la Turquie a tout intérêt à ce que l’épine kurde reste dans le pied de ses voisins irakien, iranien et syrien. » Pour le stratège syrien, la Turquie et l’Arabie saoudite se sont rendues à l’évidence : « La partie est perdue en Syrie et il faut tenter de limiter la casse ».

* Lire la PARTIE I sur

LUC MICHEL’S GEOPOLITICAL DAILY/

DUPLICITE TURQUE EN SYRIE : DAMAS DEMANDE LE RETRAIT IMMEDIAT DES TROUPES TURQUES DE LA VILLE D’IDLIB sur http://www.lucmichel.net/2017/10/15/luc-michels-geopolitical-daily-duplicite-turque-en-syrie-damas-demande-le-retrait-immediat-des-troupes-turques-de-la-ville-didlib/

* Lire sur SYRIA COMMITTEES les enjeux de l’intervention turque à Idlib :

LES QUESTIONS QUE POSE LA TELEVISION FRANCOPHONE IRANIENNE ‘PRESS TV’ : IDLIB, PEUT-ON FAIRE CONFIANCE A ERDOGAN ? ET VA-T-IL TRAHIR POUTINE ?

sur http://www.syria-committees.org/syria-committees-les-questions-que-pose-la-television-francophone-iranienne-press-tv-idlib-peut-on-faire-confiance-a-erdogan-et-va-t-il-trahir-poutine/

* Sur l’ opportunisme tactique d’Erdogan, lire :

Luc MICHEL pour EODE THINK TANK/

QUEL SOI-DISANT ‘RAPPROCHEMENT TURCO-RUSSE’ ?

ERDOGAN REUSSIT SON COUP DE POKER OPPORTUNISTE !

sur http://www.lucmichel.net/2016/08/24/eode-think-tank-geopolitique-quel-soi-disant-rapprochement-turco-russe-erdogan-reussit-son-coup-de-poker-opportuniste/

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE

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* Luc MICHEL (Люк МИШЕЛЬ) :

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* EODE :

EODE-TV https://vimeo.com/eodetv

WEBSITE http://www.eode.org/

XIXe CONGRES DU PARTI COMMUNISTE CHINOIS (I) : CONSECRATION DE LA LIGNE DE XI JINPING L’EMPEREUR ROUGE

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Luc MICHEL pour EODE/

Flash géopolitique – Geopolitical Daily/

2017 10 16/

aa

“Il croit que le Parti est la force qui peut vraiment transformer la Chine”

– François Bougon (“Dans la tête de Xi Jinping”).

« Xi Jinping, l’empereur rouge déterminé à sauver le communisme chinois », analyse l’AFP … Alors que s’annonce l’ouverture du XIXe Congrès du Parti communiste chinois, il est le plus puissant dirigeant chinois depuis un quart de siècle et s’apprête à recevoir un nouveau sacre. A la tête de la deuxième puissance mondiale, Xi Jinping est bien décidé à tout faire pour cimenter le pouvoir du Parti communiste, sans concessions à la société civile.

A LA TETE DE LA DEUXIEME PUISSANCE MONDIALE

Omniprésent dans les médias, au point d’être comparé au fondateur du régime Mao Tsé-toung, Xi Jinping, 64 ans, doit obtenir un nouveau mandat de cinq ans lors du congrès du Parti communiste chinois (PCC) qui s’ouvre mercredi à Pékin. Secrétaire général du PCC, président de la République populaire et de la commission militaire centrale, Xi Jinping, visage rond et silhouette massive, cumule les fonctions à la tête de la deuxième puissance mondiale. “Il représente ce que les Chinois veulent en termes de gouvernance: un pays bien tenu, une Chine forte et respectée”, observe le sinologue Jean-Pierre Cabestan, de l’Université baptiste de Hong Kong.

LE “REVE CHINOIS” D’UNE “GRANDE RENAISSANCE” DU PAYS AUTOUR DU RETOUR DE L’IDEOLOGIE

Le “rêve chinois” d’une “grande renaissance” du pays le plus peuplé du monde, après un siècle d’humiliation infligée par les Occidentaux, tient lieu de programme au président Xi, « qui occupe quasi-quotidiennement l’ouverture du grand journal télévisé du soir, recevant des dirigeants étrangers, discutant avec des citoyens ordinaires ou discourant devant des assemblées de cadres qui l’applaudissent frénétiquement ». Autant de mises en scènes dans le plus pur style soviétique, qui s’accompagnent d’un retour de l’idéologie, de la propagande et d’une répression tous azimuts contre les ferments potentiels de déstabilisation, à commencer par les réseaux sociaux, étroitement surveillés. On sait à Pékin que Washington rêve, avec des moyens financiers illimtés, d’étendre les troubles de Hong-Kong (pseudo « révolution des parapluie ») à la Chine continentale !

* Voir sur LUC MICHEL’S GEOPOLITICAL DAILY/ REVOLUTION DE COULEUR EN CHINE (I) : APRES LE TEST DE HONG-KONG, VERS UNE ‘REVOLUTION DE COULEUR’ EN CHINE CONTINENTALE ?

sur http://www.lucmichel.net/2017/10/01/luc-michels-geopolitical-daily-revolution-de-couleur-en-chine-i-apres-le-test-de-hong-kong-vers-une-revolution-de-couleur-en-chine-continentale/

L’ANTI-GORBATCHEV

QUI A ETE TRAUMATISE PAR LA CHUTE DE L’URSS

“Xi Jinping se présente comme l’anti-Gorbatchev. C’est quelqu’un qui a été traumatisé par la chute de l’URSS, ce qui explique la répression de la société civile et le retour de l’idéologie depuis son arrivée au pouvoir”, analyse le journaliste François Bougon, auteur d’un récent ouvrage intitulé “Dans la tête de Xi Jinping”. “Si nous dévions du marxisme ou l’abandonnons, notre parti perdra son âme et son cap”, avertissait encore Xi le mois dernier, comme si son parti n’avait pas fait un pas de géant vers l’économie de marché depuis la fin des années 1970.

Xi Jinping est né dans un milieu privilégié, le 15 juin 1953 à Pékin. Il est le fils de Xi Zhongxun, l’un des fondateurs de la guérilla communiste, et appartient à la caste toute puissante des “princes rouges”, descendants des révolutionnaires arrivés au pouvoir en 1949 avant d’être broyés par les purges de Mao Tsé-toung. “Son attachement au Parti est très fort du fait de son origine familiale. “Il croit que le Parti est la force qui peut vraiment transformer la Chine.”

Xi Jinping cherche à gommer ses origines et cultive une image de dirigeant proche du peuple. La presse officielle insiste sur sa vie à la campagne pendant la “Révolution culturelle” (1966-76), lorsqu’il habitait dans une grotte. Avec la fin des troubles de l’ère maoïste, Xi Jinping décroche un diplôme d’ingénieur chimiste de la prestigieuse université Tsinghua à Pékin mais fait carrière dans l’appareil du Parti, où il entre l’année de ses 21 ans. Gouverneur du Fujian en 2000, patron du Parti au Zhejiang en 2002, deux provinces côtières vitrines des réformes économiques, il est appelé par le président Hu Jintao pour faire le ménage en 2007 à Shanghai, où le chef du Parti a été emporté par un scandale de corruption. La même année, Xi Jinping entre au Comité permanent du Bureau politique, le cénacle dirigeant du PCC, dont il prendra les rênes en novembre 2012. Le président chinois connaît l’Occident: il a séjourné aux Etats-Unis, en 1985, pour étudier l’agriculture. Divorcé, il a épousé en secondes noces en 1987 la chanteuse Peng Liyuan, alors beaucoup plus célèbre que lui. Le couple a une fille, tenue à distance des médias.

* Sur le précédent XVIIIe Congrès du PCC :

Voir mon interview sur PCN-TV /

Luc MICHEL : GÉOPOLITIQUE.

QUEL AVENIR POUR LA CHINE AU XXIe SIÈCLE ?

sur https://vimeo.com/57313705

(Sources : Luc Michel – AFP – EODE Think Tank)

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“L’Europa a due velocità” passa per il sacco di Roma

http://federicodezzani.altervista.org/leuropa-a-due-velocita-passa-per-il-sacco-di-roma/

5 ottobre 2017

L’eurocrisi sta entrato nell’ultima fase e, guardando indietro, si può finalmente afferrare il grande disegno nel suo complesso: tutte le tappe salienti dell’Unione Europea, dal Trattato di Maastricht all’imposizione dell’austerità, passando per la demolizione della Prima Repubblica ed il sostegno alle forze secessionistiche, sono riconducibili ad un solo, coerente, obiettivo. La fondazione degli Stati Uniti d’Europa, allargati all’intero continente, è stata scartata da anni, sempre che sia stata mai presa seriamente in considerazione. Dal 2011 in avanti, si persegue la nascita di un nocciolo federale circoscritto a Germania, Francia e realtà minori. Il destino dell’Europa meridionale è il default e lo smembramento, così da annettere alcuni territori agli USE: l’uscita dall’Unione Europea è l’unica salvezza per Italia e Spagna.

Tutto è finalmente chiaro: Macron, Monti e Bossi giocano nella stessa squadra

Comprendere lo sviluppo dell’eurocrisi è come osservare la costruzione di un grattacielo di cui non si conosce il progetto: ogni volta si crede di aver afferrato il disegno nel suo insieme, per poi scoprire che c’è un altro piano, poi un altro ancora , ed un altro ancora. L’edificio continua a crescere e, solo quando la costruzione ha raggiunto l’altezza delle gru, si può finalmente esclamare: è chiaro! È finalmente chiaro ciò che gli architetti (ma meglio sarebbe dire “il Grande Architetto dell’Universo”) avevano in mente!

L’ottobre del 2017 corrisponde, per chi scrive, con questa presa di coscienza. Dopo anni di austerità che hanno esacerbato le tensioni nell’europeriferia e deteriorato le finanze pubbliche, dopo le palesi forzature per insediare l’ex- Rothschild Emmanuel Macron all’Eliseo, dopo i proclami per “un’Europa a due velocità”, dopo il palese sostegno di Bruxelles alle spinte secessionistiche in Spagna ed Italia, è finalmente tutto chiaro. Un disegno logico, pulito e coerente. E, bisogna aggiungere, diabolico, perché prevede l’annichilimento dei più deboli: i Paesi dell’Europa Meridionale.

Nei nostri articoli abbiamo sempre evidenziato come la crisi dell’euro fosse stata deliberatamente progettata dall’oligarchia di Bruxelles: calando un regime a cambi fissi su un’area monetaria non ottimale era solo questione di tempo prima che, al primo choc esterno (bancarotta di Lehman Brothers), si innescasse il ciclo di Frenkel. I capitali, confluiti dal centro verso la periferia, defluiscono improvvisamente verso il centro, facendo tremare i titoli di Stato dei Paesi più deboli. A questo punto i membri dell’unione monetaria hanno dinnanzi a sé due strade: la prima, procedere con l’istituzione di un Tesoro unico e la fondazione di un super-Stato, la seconda, procrastinare l’inevitabile fine del regime a cambi fissi, imponendo una massiccia e letale dose di austerità alla periferia, così da riequilibrare le bilance commerciali. Con la prima strada, sarebbero nati i massonici Stati Uniti d’Europaallargati all’intero continente, con la seconda, presto o tardi l’euro sarebbe imploso, a causa del continuo deteriorarsi delle finanze pubbliche in Italia, Spagna, Grecia, Portogallo, Francia, etc.

Non conoscendo il disegno nel suo complesso, ci dicevamo, fino a poco tempo fa, piuttosto ottimisti: la moneta unica sarebbe inevitabilmente collassata e le nazioni europee si sarebbero finalmente liberate dal giogo di Bruxelles.

Solo ora capiamo che l’eurocrisi si è finora sviluppata grossomodo secondo i piani dell’establishment liberal: gli Stati Uniti d’Europa, estesi all’intero continente, sono stati scartati da anni, sempre che qualcuno li abbia mai presi davvero in considerazione. Dal 2011 in avanti, dallo scoppio cioè dell’eurocrisi in tutta la sua virulenza, l’obiettivo segretamente perseguito non è stato il salvataggio dell’eurozona nel suo complesso e la nascita di uno Stato federale esteso dal Portogallo alla Finlandia, ma la fondazione di un’Europa federale ristretta al nocciolo franco-tedesco, allargato ad alcune realtà minori.

Le prime avvisaglie a proposito risalgono infatti al dicembre 2011: “Sarkozy and Merkel unveil two-speed EU plan to shore up euro”1 scriveva allora The Guardian. Oggi l’obiettivo diventa finalmente esplicito, con il rilancio da parte di Emmanuel Macron, rocambolescamente paracadutato dalla banca Rothschild all’Eliseo, di un’Europa a due velocità, alias “Europa à la carte”. Un nocciolo di Paesi (Francia, Germania, Belgio, Lussemburgo, Olanda, Austria, Slovenia, Finlandia) prosegue con la fondazione degli USE, mentre gli altri sono abbandonati ad un tristissimo destino. Non perché esclusi dal “club franco-tedesco”, ma perché spinti al default e cannibalizzati, a livello territoriale, dal blocco federale.

La nascita degli Stati Uniti d’Europa, circoscritti alla coppia Macron-Merkel, contempla il default di Italia e Spagna e la loro scomparsa come Stati nei termini sinora conosciuti: il loro fallimento servirà da innesco al processo federativo di Francia e Germania ed il loro smembramento territoriale alimenterà il nucleo federale con l’apporto di alcuni territori ritenuti “pregiati”: Catalogna, forse i Paesi Baschi, il Veneto, la Lombardia, in prospettiva il Piemonte. La fondazione degli USE è quindi un progetto altamente eversivo, che prevede il saccheggio e l’annichilimento dell’europeriferia, spinta alla bancarotta e fatta a brandelli. Né Spagna, né Italia, i due alleati naturali della Russia in Europa, dovrebbero sopravvivere alla riconfingurazione geopolitica del Vecchio Continente.

In quest’ottica, come detto, tutto diventa chiaro, coerente, lineare. Nel biennio 1992-1993 si gettano le basi del processo: Tangentopoli, eliminazione degli storici partiti garanti dell’interesse nazionale, inoculazione delle prime forze secessionistiche. Nel 2001 si procede con la destrutturazione dello Stato con la riforma del Titolo V della Costituzione, che rafforza le regioni a discapito del governo centrale. Nel 2002 è introdotta la moneta unicache, come una talpa, inizia a scavare sotto le fondamenta economiche dell’Europa Meridionale. Nel 2011 è scatenata la crisi dell’euro, cui segue l’imposizione della letale austerità: con la scusa di “risanare i conti”, si procede in realtà con l’ulteriore indebolimento degli Stati periferici.

Merkel e Catalogna, Monti e Padania, apparentemente agli antipodi, sono in realtà alleati: entrambi lavorano per lo smembramento di Spagna ed Italia. Chi espone chiaramente il concetto è il Senatur Umberto Bossi, personaggio colorito e buffonesco, dalla cui bocca, proprio a causa della bassa autorevolezza, esce spesso la verità. Nell’articolo de La Stampa, “Bossi scommette sul default dell’Italia”2, scritto quando il governo tecnico di Mario Monti si è appena insediato, si può leggere:

Ovviamente ciascuno è autorizzato a pensare che ci sia della follia, in questa logica: ma di certo Bossi mostra un disegno preciso: «Miglio aveva capito che sarebbe stata l’Europa a fare la Padania. In Europa c’è stata una guerra, una guerra economica. Adesso è finita e l’Italia ha perso. Alla fine di ogni guerra si riscrivono i trattati e si ridisegnano i confini». E i nuovi confini sono appunto quelli della cartina colorata dal Trota: un nuovo Stato che annette la Padania al Nord e abbandona l’Italia centro-meridionale a un destino nordafricano. «Al tavolo della pace», spiega, «noi padani ci presenteremo come popolo vincitore perché queste cose le diciamo da anni, lo sapevamo che l’Europa che stavano costruendo sarebbe fallita. L’Italia invece sarà lì come popolo sconfitto».”

Il governo Monti assesta deliberatamente un primo, durissimo, colpo alle finanze pubblica: grazie all’austerità, il debito pubblico cresce a ritmi mai sperimentati prima e inanella sempre nuovi record3. Dopo la parentesi di Enrico Letta, è la volta di Matteo Renzi, definito nel 2015 dal Financial Times the last hope for the Italian elite”4dopo l’esperienza dell’ex-sindaco di Firenze, installato a Palazzo Chigi per fallire, la dissoluzione dell’Italia subirà infatti un’accelerazione. Renzi è spinto all’inutile referendum costituzionale da quegli stessi poteri che poi consiglieranno di votare “no” (si ricordi la presa di posizione de The Economist): la prevedibile bocciatura della riforma aumenta ulteriormente la disgregazione politica del Paese. I partiti si sfaldano, la barca Italia è alla deriva, si fatica persino a scrivere una legge elettorale, l’anti-politica raggiunge nuove vette.

Mentre la decomposizione della politica, avviata nel 1992-1993, raggiunge l’acme, in parallelo si riaccendo le spinte secessionistiche in seno all’europeriferia: il referendum per l’indipendenza della Catalogna e quelli per l’autonomia di Veneto e Lombardia procedono di pari passo. Tutte e tre le consultazioni sono concepite nel 2014, tutte e tre colpiscono all’unisono nell’ottobre del 2017, tutte e tre sono appoggiate dagli stessi poteri: Bruxelles, l’alta finanza à la Soros, l’oligarchia che progetta la fondazione dell’Europa a due velocità attorno al nucleo franco-tedesco. I secessionisti catalani e, in un futuro prossimo, quelli lombardo-veneti, lavorano di comune accordo con Parigi e Berlino per smembrare gli Stati periferici affinché gli Stati Uniti d’Europa possano inghiottirne alcune parti. Il milieu di George Soros e di Carlo De Benedetti sostiene apertamente i secessionisti catalani, come esistono testimonianze che Berlino li finanzi5 (non era un fervente filo-tedesco anche Gianfranco Miglio e non vuole, Luca Zaia, che il suo referendum sia “una riposta” al plebiscito del 18666, che staccò il Veneto dall’orbita germanica?).

Oggi, Spagna ed Italia sono due Paesi fragilissimi, sebbene Madrid sia leggermente più avanti nel processo involutivo: debito pubblico record, milioni di disoccupati, uno schieramento politico in frantumi, spinte centrifughe in aumento. Per l’Italia del 2018 si prospetta uno scenario identico a quello attuale spagnolo: un effimero governo di minoranza, costretto ad affrontare sfide sempre più drammatiche. Basta un niente perché la situazione precipiti: una crisi di governo, uno choc finanziario, l’avvitamento della situazione interna. Il default di Spagna ed Italia innescherà la nascita dell’Europa federale franco-tedesca e, al contempo, sancirà la fine della loro integrità territoriale.

Che fare? Come evitare che “le menti raffinatissime” di cui parlava Giovanni Falcone vincano la partita iniziata proprio nel 1992?

L’uscita dall’Unione Europea è ormai una necessità non più procrastinabile.

La Russia di Vladimir Putin, che tutto avrebbe da perdere dalla scomparsa di Italia e Spagna e dalla nascita di un blocco atlantico monolitico in Europa, la Cina, interessata ad avvalersi dell’Italia come testa di ponte in Europa, e Donald Trump, nemico dichiarato di George Soros e dell’establishment liberal, sono i nostri unici amici. Qualcuno salga su un aereo e stipuli subito alleanze, prima che i lanzichenecchi stranieri (Macron, Merkel, Soros) e quelli indigeni(Prodi, Monti, Draghi, Maroni e Zaia) mettano l’Italia al sacco e la facciano a pezzi.

Non ci serve un Alberto da Giussano, ma un Giovanni delle Bande Nere. E se Bergoglio non è con l’Italia, bé, può sempre trasferirsi ad Avignone.