Monti o non Monti, lo spread scende a 292 punti

Il debito è salito di 6 punti sul Pil rispetto al 2011, il governo si dimetterà ma mercati e speculatori stanno fermi 

Filippo Ghira

Lo spread tra i Btp e i Bund tedeschi è sceso di nuovo sotto quota 300, a 292 punti.

A dimostrazione che si tratta di un indicatore che lascia il tempo che trova e che risente di dinamiche per le quali lo stato della finanza pubblica di uno Stato conta relativamente. Era stato il direttore generale della Banca d’Italia a sostenere che tenendo conto dei fondamentali dell’economia italiana, come la ricchezza delle famiglie e la filiera delle imprese, lo spread dovrebbe essere stabile a circa 200 punti. Ieri ha chiuso a 295.
Silvio Berlusconi, che sull’onda di uno spread a 570 nel novembre 2011 era stato obbligato a dimettersi e a lasciare il posto di capo del governo ad un uomo dell’Alta Finanza come Mario Monti, è tornato giorni fa sulla questione definendo lo spread “un imbroglio politico-mediatico” e parlando testualmente di “una congiura politico-finanziaria ancora da chiarire”. La quale, e qui sta il passo interessante, “deriva tutta dalla vendita dei titoli di Stato italiani iniziata dalla finanza tedesca e proseguita da quella statunitense”. Insomma, siamo stati commissariati dai tedeschi che volevano rimetterci in riga sulla spesa pubblica e dagli americani che volevano risistemare i rapporti di forza nel Mediterraneo ributtando fuori i russi dalla Libia e spazzando via i residui regimi arabi “laici”.
La Germania, ha replicato il ministro degli Esteri tedesco, Guido Westerwelle, non è responsabile dei problemi dell’Italia e del suo elevato debito pubblico In altre parole, non è vero che l banche tedesche abbiano venduto a man bassa i Btp che avevano in portafoglio per spingerne giù il valore di mercato e portare alle stelle il differenziale di rendimento con i Bund. Proprio la situazione che ha portato alla caduta del Cavaliere. La Germania non vuole essere additata come il mastino della stabilità in Europa e non vuole che la politica del rigore dei conti pubblici, che nell’attuale situazione risulta sempre e comunque recessiva, inneschi delle derive populiste nei cittadini che finiranno per accentuare la rabbia verso l’Unione europea e incrinare i legami tra i Paesi membri. E non solo nei Paesi come l’Italia che stanno risentendo più della crisi. Resta in ogni caso inquietante il comportamento dello spread perché 12 mesi fa il debito pubblico era al 120,1% del Prodotto interno lordo ed ora con Monti ha superato il 126%. Eppure il suo livello continua a premiare un premier che è riuscito soltanto a portare il disavanzo poco sopra il livello del 3%, in attesa di arrivare al pareggio di bilancio con qualche altra manovra alla lacrime e sangue.

E nemmeno l’annunciata crisi di governo che porterà alle elezioni anticipate entro marzo ha provocato conseguenze sul livello dello spread. Ed è un fatto curioso perché negli anni scorsi bastava il più piccolo sommovimento politico per innescare un immediato rialzo. Monti come garante dello smantellamento dello Stato sociale e come demiurgo delle future privatizzazioni di Eni, Enel e Finmeccanica, rappresenta l’uomo giusto al posto giusto nella fase giusta. Si vede che il suo ruolo avrà altre occasioni per essere utilizzato nel completare il lavoro iniziato. Un lavoro che, seppure per motivazioni diverse, piace sia a Berlino che a Washington e Londra. Un ruolo chedovrebbe vedere l’ex consulente di Goldman Sachs e di Moody’s nelle vesti di super ministro dell’Economia in un esecutivo che assicuri di realizzare compiutamente gli impegni presi.
Peraltro, se Roma (Atene) piange Sparta (Berlino) non ride. Il livello della spesa pubblica tedesca e il relativo debito pubblico cominciano a preoccupare la tecnocrazia europea. Una situazione che era rimasta quasi nascosta per tutto il 2011 considerato che l’economia tedesca cresceva ad un tasso del 3%. Ma ora che il tasso di crescita tocca appena l’1% annuo, anche su Berlino incominciano a cadere i primi strali. E molti si domandano: lo spread più basso è merito dell’Italia o è demerito della Germania?
La Commissione europea ha chiesto al governo di Angela Merkel di ridurre entro il 2030 il debito pubblico dall’attuale 80,5% sul Pil al 60% previsto dal Patto europeo di bilancio. Pure i tedeschi dovranno varare misure di austerità sulle quali ovviamente la signora Merkel nicchia
perché l’anno prossimo in Germania si vota e gli elettori potrebbero punirla più di quanto abbiano già fatto alle elezioni per il rinnovo dei Laender. In realtà la Germania non se la passa poi così male considerato che resta pur sempre il primo contribuente di risorse per il funzionamento dell’Unione e che per il 2014 è stato previsto un avanzo di bilancio del 2,5% contro l’1,8% dell’anno scorso. Ma la Commissione europea punta il dito sui problemi che una popolazione sempre più vecchia creerà in futuro per il sistema pensionistico e per quello sanitario. Il sistema sarà sostenibile? Questa è la domanda che si fanno i tecnocrati di Bruxelles, facendo il verso alla Merkel che giorni fa aveva sollevato proprio il problema di un aumento dei costi fissi del settore pubblico di fronte a minori entrate fiscali e contributive.

Stesse preoccupazioni la Commissione le ha manifestate per la Finlandia il cui debito pubblico l’anno prossimo arriverà al 55% e nel 2018 “rischia” (sic) di arrivare al 60% Anche in questo caso il suggerimento è di tagliare la spesa pubblica, smantellare lo Stato sociale. Per la cronaca, i titoli pubblici di Germania e Finlandia, per quel che conta, sono gratificati della tripla A da parte delle agenzie di rating, il massimo voto sulla loro affidabilità e solvibilità futura. Ma alla tecnocrazia nemmeno questo sembra bastare.
 
 20 Dicembre 2012 12:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=18498

 

Monti o non Monti, lo spread scende a 292 puntiultima modifica: 2012-12-20T23:04:00+01:00da davi-luciano
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