LA EU PRENDE DI MIRA I RUOLI TRADIZIONALI DI MADRI E PADRI

 

Portrayals of 'traditional' families contribute to gender stereotyping 

 

“I libri che ritraggono  immagini “tradizionali” di madri che si prendono cura dei loro figli  o padre che vanno al lavoro, potrebbero venire vietate se il Parlamento Europeo implementerà un verbale sulla uguaglianza del genere (gender), poiché tale verbale afferma che “gli stereotipi del genere (gender)” a scuola influenzano la percezione di come ragazzi e ragazze dovrebbero comportarsi  e questo danneggia poi le opportunità di carriera delle future donne. (Lo ha detto il Daily Mail:http://www.dailymail.co.uk/news/article-2229022/Now-Brussels-takes-aim-Famous-Five-Books-portraying-traditional-families-barred.html ndt )

Un Parlamentare EU ha mandato a quel paese questo verbale e lo ha definito “fesseria politicamente corretta”, mentre altri ugualmente critici  hanno affermato che le proposte del verbale per modificare i materiali di studio, perchè donne e uomini  non siano piu’ descritti  nei loro ruoli tradizionali, potrebbero significare anche che si debbano togliere dalla circolazione certi classici per l’infanzia, come Peter Pan, per esempio.

Dal verbale: 
‘I bambini si trovano davanti a stereotipi di genere  ad una età molto precoce e questo attraverso i serial televisivi, le pubblicità tv, i materiali di studio ed i programmi educativi che influenzano la loro percezione su come le caratteristiche maschili e femminili dovrebbero essere”.

Quindi si dovrebbero introdurre programmi educativi speciali e materiali per lo studio, in cui uomini e donne non sono piu’ usati con esempi nei loro “ruoli tradizionali”, con il maschio che porta a casa il pane e la donna che si cura dei figli.’ 

‘In riferimento ai media e alla pubblicità, bisogna notare che è in aumento il fatto di vedere la tv senza avere alcuna supervisione  [di adulti] sia tra i bambini che i ragazzi”. 
‘Stereotipi negativi di genere, percio’ possono  avere una significativa influenza sulla autostima e sicurezza delle giovani donne, particolarmente sui teenagers e cio’ potrebbe portare ad una restrizione delle loro aspirazioni, scelte e possibilità di future carriere”.


La parlamentare EU, conservatrice, Marina Yannakoudakis, che è portavoce al Parlamento Europeo per i Diritti delle Donne, ha detto: “Ancora una volta, il comitato dei diritti delle donne sta  sprecando il tempo del Parlamento e il denaro dei contribuenti, con fesserie “politically correct della sinistra”  
Sono per avere tutte le donne al lavoro ma credo che le donne abbiamo una scelta da fare se andare a lavoro  o stare a casa ed occuparsi della famiglia” ha detto. 

Anche June O’Sullivan, amministratore delegato della London Early Years Foundation (Fondazione Londinese per i Primi Anni di Vita) ha criticato la bozza proposta. ‘Non dobbiamo confondere istanze politiche con il modo in cui presentiamo il mondo ai bambini. Il fatto è che la piu’ parte delle donne si fa carico di ruoli di cura e assistenza e la piu’ parte degli uomini vuole andare “fuori” al lavoro’ ha detto.

FONTE: http://www.ionainstitute.ie/index.php?id=2541
Traduzione 
Cristina Bassi

Allarme Bce: la disoccupazione salirà

 

Btp a ruba, tassi ai minimi da due anni
Spread in altalena, Borse incerte
Allarme Bce: la disoccupazione salirà

Il Tesoro vende tutti i 3,5 miliardi di euro del nuovo Btp a 3 anni. La Banca centrale taglia le stime di crescita dell’area euro

ROMA – Le condizioni del mercato del lavoro nell’Eurozona «sono ulteriormente peggiorate negli ultimi trimestri» e le previsioni «suggeriscono nel breve termine un ulteriore incremento della disoccupazione»: lo scrive la Bce nel bollettino mensile. La disoccupazione dell’area euro ha toccato l’11,7% a ottobre. 

Bce conferma taglio delle stime sulla crescita. Gli economisti della Banca centrale europea hanno abbassato le loro stime sulla crescita dell’area euro per il 2012 (fra -0,6% e -0,4%) e 2013 (fra -0,9% e +0,3%), formulando una previsione di crescita fra 0,2 e 2,2% per l’anno successivo: è una conferma di quanto annunciato la scorsa settimana. Le stime di tre mesi fa indicavano un Pil fra -0,6% e -0,2% per il 2012 e fra -0,4% e 1,4% per il 2013. Più moderate anche le previsioni d’inflazione, ora attesa al 2,5% medio per il 2012, fra l’1,1% e il 2,1% per il 2013 e fra lo 0,6% e il 2,2% l’anno successivo. 

Btp a ruba, tassi ai minimi dal 2010. Il Tesoro ha venduto tutti i 3,5 miliardi di euro del nuovo Btp a 3 anni con tassi ai minimi da ottobre 2010. Il rendimento medio è sceso al 2,50% dal 2,64% dell’asta del 14 novembre. Il rapporto tra domanda e offerta è stato di 1,36 contro 1,50 del collocamento di novembre. Il Tesoro ha anche assegnato 729 milioni di euro – contro un target massimo di 750 milioni – del Btp 2026 (dodicesima tranche) con un rendimento medio del 4,75% e un rapporto di copertura di 1,98. 
Borse incerte, sale Piazza Affari. Spread in calo. Partenza debole delle Borse europee, con l’eccezione di Piazza Affari che mette a segno una partenza decisamente in rialzo. In calo sotto i 330 punti base il differenziale tra Btp e Bund tedeschi.

Borse incerte, spread in altalena. Mattinata incerta per le principali Borse europee, con Piazza Affari che, dopo un avvio in rialzo, ha limato i guadagni galleggiando poco al di sopra della parità. Oscila intorno ai 330 punti base il differenziale tra Btp e Bund tedeschi, che in avvio era calato verso quota 320.

Giovedì 13 Dicembre 2012 – 11:59    Ultimo aggiornamento: 12:03

 

Crisi: in Francia apre la prima ‘panetteria discount’

Solo pane, dolci e pizza del giorno prima a meta’ prezzo

11 dicembre, 16:50PARIGI – A Nimes, nel sud della Francia, dove il tasso di disoccupazione è più alto della media nazionale, è nata la prima “panetteria discount”: vi si vendono solo pane, dolci, pizza e focacce del giorno prima, tutto a metà prezzo. Il forno, dal nome che non inganna “Au pain de la veille” (al pane della vigilia), ha aperto appena una quindicina di giorni fa, sul boulevard Gambetta di Nimes, in un quartiere popolare. 


I suoi clienti sono studenti, pensionati, disoccupati, e tanti altri, tutte persone intenzionate a fare qualche risparmio. La baguette “anticrisi” qui costa 40 centesimi e non 80 o anche 90 centesimi come nelle panetterie ordinarie. Ci si può concedere anche un fagottino al cioccolato, un croissant o una brioche a meno di un euro, quando invece i prodotti di giornata costano molto di più. I pareri raccolti sul posto presso la clientela sono per il momento solo positivi. 

Alcune persone hanno anche fatto la scelta di abbandonare il loro panettiere di fiducia per uno scontrino più leggero. Al forno di Nimes, insieme alla baguette del giorno prima si rimedia anche qualche consiglio: per un pane più croccante, basta umidificare leggermente la baguette e metterla in forno un paio di minuti. Si ritrova così il gusto del pane fresco: “Non sentirete la differenza con una baguette uscita dal forno in mattinata”, assicurano alla panetteria discount.

http://www.ansa.it/terraegusto/notizie/rubriche/inbreve/2012/12/11/Crisi-Francia-apre-prima-panetteria-discount-_7936853.html

L’unica politica che ci interessa

L’unica politica che ci interessa

Posted on 13/12/2012 by Miguel Martinez

Qui guardiamo con una certa diffidenza i testi che girano in rete, ma questa volta si tratta di qualcosa di assolutamente autentico: il discorso tenuto – in una riunione di capi di stato latinoamericani – dall’attuale presidente dell’Uruguay, José Mujica, un ex-fioraio che si è decurtato lo stipendio da 9000 a 800 euro al mese.

Leggetelo attentamente … fatto?

Qui siamo tra europei cinici e sofisticati, e quindi è probabilmente possibile fare le pulci a diversi dettagli del discorso.

Ma la cosa notevole è che si tratta di un discorso che va all’essenziale. E’ un programma di fondo, espresso senza il minimo fronzolo ideologico o identitario:

“Queste cose che dico sono molto elementari: lo sviluppo non può essere contrario alla felicità. Deve essere a favore della felicità umana; dell’amore sulla Terra, delle relazioni umane, dell’attenzione ai figli, dell’avere amici, dell’avere il giusto, l’elementare.”

Guardate che non è retorica. Con un programma del genere, poi fai le tue scelte concrete.

Prendiamo la prossima gara elettorale, che si svolgerà a quanto pare tra il banchiereMario Monti e Silvio Berlusconi, quest’ultimo un imprenditore che fino all’altro ieri teneva in piedi il governo dello stesso Monti.

Lo so, il primo è un tetro burocrate, il secondo un gioviale simpaticone; oppure il primo è un serio funzionario, il secondo un donnaiolo demente.

Dei tratti caratteriali dei due, me ne importa esattamente zero.

Una sola cosa mi interessa: chi dei due ha dimostrato nei fatti di essere più vicinoalla visione di Mujica?

Se nessuno dei due lo ha dimostrato, perché mi deve interessare la  loro contesa?

“Veniamo alla luce per essere felici. Perché la vita è corta e se ne va via rapidamente. E nessun bene vale come la vita, questo è elementare. Ma se la vita mi scappa via, lavorando e lavorando per consumare un plus e la società di consumo è il motore, perché, in definitiva, se si paralizza il consumo, si ferma l’economia, e se si ferma l’economia, appare il fantasma del ristagno per ognuno di noi. Ma questo iper consumo è lo stesso che sta aggredendo il pianeta.”

In questi giorni, vedo che c’è una campagna all’insegna di “Io non lo voto, dove il “lo” si riferisce a Silvio Berlusconi. Per certa gente, nel bene o nel male, esiste solo Lui.

Basta cambiare una vocale, e aderisco anch’io: “Io non li voto”.

http://kelebeklerblog.com/2012/12/13/lunica-politica-che-ci-interessa/

Gli USA riconoscono i terroristi quali rappresentanti dei “siriani”

di Landdestroyer – 12/12/2012

Fonte: aurorasito 

267239L’esercito siriano combatte al-Qaida
Come previsto, dopo una lunga pausa di finta “riflessione”, gli Stati Uniti hanno riconosciuto i militanti che armano, finanziano, aiutano logisticamente e sostengono diplomaticamente poiché, come già nel 2007, sarebbero i “rappresentanti legittimi del popolo siriano” con l’aggiunta dell’avvertenza “in opposizione al regime di Assad.” Il Wall Street Journal avrebbe riferito che nell’annuncio del presidente degli Stati Uniti Barack Obama, effettivamente si legge: “La Coalizione nazionale delle forze rivoluzionarie e di opposizione siriane, che riflette e rappresenta sufficientemente la popolazione siriana, la riteniamo il legittimo rappresentante del popolo siriano in opposizione al regime di Assad.” La bizzarra e incerta formulazione invia un messaggio sia di incertezza che di illegittimità clamorosa, indicando che gli stessi Stati Uniti riconoscono la vera natura della cosiddetta opposizione “siriana”, che appare evidente a un numero crescente di persone, sia pubblici ufficiali che dell’opinione pubblica, e che un certo grado di distanza retorica deve essere mantenuto.
La manifesta natura estremista dei militanti che operano in Siria, è diventata una carta sempre più difficile per l’occidente. Torrenti di video e report confermano e documentano le atrocità dei militanti, tra cui il mitragliamento di prigionieri legati, e un video particolarmente raccapricciante di un bambino armato di una spada dai militanti per decapitare uomini che indossano abiti civili, in ciò confermando i peggiori timori espressi dagli analisti geopolitici e dai governi di tutto il mondo, secondo cui l’opposizione siriana è di fatto al-Qaida. Quindi, si tratta della prova schiacciante che il presidente Obama è stato costretto a riconoscere, infine, affermando: “C’è una piccola parte di coloro che si oppongono al regime di Assad affiliata ad al-Qaida in Iraq… e ci accingiamo a distinguere questi elementi dall’opposizione.
Il Wall Street Journal, nel suo articolo, “Gli USA riconoscono il principale gruppo ribelle della Siria“, segnala anche: “L’amministrazione Obama, martedì ha pubblicato per la prima volta l’intelligence che collega direttamente un potente gruppo ribelle siriano ai comandanti di al-Qaida in Iraq. Funzionari degli Stati Uniti hanno formalmente sancito la milizia, chiamata Jabhat al-Nusra, congelando qualsiasi attività che negli Stati Uniti e nel blocco filo-statunitense possa avere a che fare con essa, a causa dei timori diffusi che possa ottenere un potere sproporzionato sui gruppi ribelli che cercano di rovesciare Assad”. Nonostante ciò, tali sanzioni restano simboliche e applicate selettivamente. Come nel caso delMujahedeen-e-Khalq (MEK) e del Gruppo combattente islamico libico (LIFG), che ufficialmente si è fuso con al-Qaida nel 2007, secondo una relazione del Centro per la lotta al terrorismo (CTC) dell’esercito degli Stati Uniti di West Point, “I combattenti stranieri di al-Qaida in Iraq.” Eppure, nel 2011, la NATO aveva armato, finanziato e fornito supporto aereo al LIFG durante il rovesciamento premeditato del governo libico.

Gli USA supportano consapevolmente al-Qaida da anni
Elementi del LIFG sono dietro l’attacco al consolato statunitense di Bengasi e alla morte dell’ambasciatore Christopher J. Stevens. Sono inoltre confermati l’invio di combattenti e armi attraverso la Turchia, membro della NATO, dove si addestrano prima di impegnarsi nelle operazioni di combattimento in Siria. Nel novembre 2011, il Telegraph, nel suo articolo, “il leader libico islamico ha incontrato il gruppo dell’opposizione armata libera siriana“, citava proprio il LIFG quando segnalava: “Abdulhakim Belhadj, capo del Consiglio militare di Tripoli ed ex-leader del gruppo combattente islamico libico, ‘ha incontrato il leader dell’esercito libero siriano a Istanbul e al confine con la Turchia’, ha detto un ufficiale che coopera con Belhadj. ‘Mustafa Abdul Jalil (il presidente ad interim libico) l’aveva inviato lì.” Un altro articolo del Telegraph, “I nuovi governanti della Libia offrono armi ai ribelli siriani”, ammette: “I ribelli siriani hanno avuto colloqui segreti con le nuove autorità della Libia, volti a garantirsi armi e denaro per la loro rivolta contro il regime del presidente Bashar al-Assad, ha appreso il Daily Telegraph. ‘Nel corso della riunione, che si era tenuta a Istanbul tra funzionari turchi e i siriani, è stato chiesto ‘aiuto’ ai rappresentanti libici che hanno offerto armi e possibilmente volontari. C’è qualcosa in programma per l’invio di armi e anche di combattenti libici in Siria’, ha detto una fonte libica, parlando in condizione di anonimato. ‘C’è un intervento militare in rotta. Nel giro di poche settimane si vedrà.’ Più tardi, quel mese, circa 600 terroristi libici sarebbero entrati in Siria per iniziare le operazioni di combattimento, invadendo il paese da quel momento.”
Chiaramente non si organizzano “segretamente” centinaia di combattenti sotto il naso del consolato statunitense a Bengasi, in Libia, e di “nascosto” vengono inviati in uno stato membro della NATO per recarsi in Siria. Lo fanno con il supporto della NATO, con la NATO che certamente fornisce sostegno ai militanti lungo il confine della Turchia con la Siria, utilizzando le stesse reti regionali di al-Qaida identificate dai militari statunitensi durante l’occupazione dell’Iraq, spiegando così anche da dove Jabhat al-Nusra proviene. Ulteriori affermazioni sostengono che gli Stati Uniti hanno identificato e tentano di separare dall’”opposizione” gli estremisti settari, con l’ammissione, già fatta nel 2007, che la politica estera degli Stati Uniti cercò esplicitamente di utilizzare ampiamente questi estremisti settari per rovesciare con la violenza il governo siriano.
In effetti, nel 2007, il giornalista vincitore del Premio Pulitzer Seymour Hersh, pubblicò un articolo intitolato “The Redirection“, per il New Yorker, in cui funzionari di Stati Uniti, Arabia Saudita e Libano descrivevano il loro complotto. Nella relazione viene specificato: “Per indebolire l’Iran, che è prevalentemente sciita, l’amministrazione Bush ha deciso, in effetti, di riconfigurare le sue priorità in Medio Oriente. In Libano, l’amministrazione ha collaborato con il governo dell’Arabia Saudita, che è sunnita, nelle operazioni clandestine destinate  ad indebolire Hezbollah, l’organizzazione sciita sostenuta dall’Iran. Gli Stati Uniti hanno inoltre preso parte ad operazioni segrete contro Iran e Siria, sua alleata. Una conseguenza di queste attività è stato il rafforzamento dei gruppi estremisti sunniti che sposano una visione militante dell’Islam, e che sono ostili agli USA e vicini ad al-Qaida“. “The Redirection“, Seymour Hersh (2007) L’articolo di Hersh continua affermando: “Il governo saudita, con l’approvazione di Washington, avrebbe fornito fondi e aiuti logistici per indebolire il governo del presidente Bashir Assad, in Siria. Gli israeliani credono che mettendo sotto tale pressione il governo di Assad, lo renderebbe più conciliante e aperto ai negoziati.” ”The Redirection“, Seymour Hersh (2007)
Il legame tra gruppi estremisti e finanziamento saudita viene anche menzionato nell’articolo, e riflette le prove presentate dal CTC di West Point che indicano che la maggior parte dei combattenti e dei finanziamenti dietro la violenza settaria in Iraq, proviene dall’Arabia Saudita. L’articolo di Hersh afferma esplicitamente: “…[Il saudita] Bandar e altri sauditi hanno assicurato la Casa Bianca che ‘non mancheranno di tenere sott’occhio i fondamentalisti religiosi’. Il loro messaggio per noi era ‘Abbiamo creato questo movimento, e siamo in grado di controllarlo. ‘ Non è che non vogliamo che i salafiti lancino bombe, ma che non li passino a Hezbollah, Moqtada al-Sadr, all’Iran e ai siriani,  continuando a collaborare con Hezbollah e l’Iran“. ”The Redirection“, Seymour Hersh (2007) L’articolo sembra una profezia, testualmente avveratasi negli ultimi 2 anni.
Il Wall Street Journal segnala apertamente che il conflitto siriano si sta trasformando in una guerra per procura contro l’Iran, così come è stato previsto nel 2007. L’ignoranza simulata, la sorpresa e l’impegno per ridurre i gruppi terroristici degli Stati Uniti sono finzioni, create di proposito soprattutto per l’opinione pubblica. Bande di estremisti settari che distruggono la Siria è un piano stabilito da anni, un piano ormai prossimo all’attuazione.

Il Wall Street Journal ammette che in Siria le minoranze lottano per la vita, il leader del CNS ammette di voler creare uno “Stato islamico”
E anche se il presidente americano Obama tenta di assicurare il pubblico e la comunità internazionale affermando che l’occidente espelle gli estremisti, il Wall Street Journal ammette che si stanno formando milizie in tutta la Siria, assemblate dalle minoranze della Siria per proteggersi da quello che è chiaramente un assalto settario, e non un movimento pro-democrazia. Nel descrivere le milizie, il Wall Street Journal riporta: “Molti provengono dalle minoranze religiose della Siria, per lo più dalla setta sciita alawita a cui appartiene la famiglia del presidente, ma anche cristiani e drusi, che sempre più spesso si confrontano in una battaglia contro una rivolta principalmente sunnita.” Naturalmente, il Wall Street Journal tenta di ritrarre le milizie come mercenari al servizio del presidente siriano Bashar al-Assad, pur ammettendo la natura settaria dell’opposizione e ammettendo che è confermato che al-Qaida opera in Siria.
La natura settaria del bagno di sangue era stata già programmata negli Stati Uniti, nel 2007 venne menzionata anche da Seymour Hersh su “The Redirection“. Una previsione venne fornita da un ex ufficiale della CIA in Libano, che aveva dichiarato: “Robert Baer, un ex veterano della CIA in Libano, è un critico severo di Hezbollah e ha messo in guardia dai suoi legami con il terrorismo  sponsorizzato dall’Iran. Ma ora mi ha detto, ‘ci sono gli arabi sunniti che si preparano a un conflitto catastrofico, e avremo bisogno di qualcuno per proteggere i cristiani in Libano. L’avevano fatto i francesi e gli statunitensi, e lo faranno Nasrallah e gli sciiti.’” ”The Redirection”, Seymour Hersh (2007).
Chiaramente, i cristiani in Siria avrebbero bisogno di protezione. E mentre gli Stati Uniti tentano di rassicurare il mondo che la nidiata di terroristi che hanno allevato e ora ufficialmente riconosciuto come “rappresentanti del popolo siriano”, sia “pro-democrazia” in sé, il recentissimo leader creato dagli Stati Uniti a Doha, in Qatar, per guidare la nuova coalizione dell’opposizione, Moaz al-Khatib, ha ammesso in un’intervista ad al-Jazeera che vuole stabilire uno “stato islamico” in tutta la Siria, oggi secolare. Modellato sul regime sempre più dispotico dei Fratelli musulmani guidati da Mohammed Morsi, che attualmente invia bande di stupratori per disperdere i manifestanti che si oppongono alla sua dittatura in ascesa, la visione di al-Khatib del futuro della Siria sarà rifiutata anche da molti sunniti siriani.
Dichiarare questa minoranza violenta, potenziata dai terroristi stranieri volti ad avviare la creazione di una brutale teocrazia, sotto la falsa cartina patinata della “democrazia”, quali “rappresentanti del popolo siriano”, non è un “un grande passo”, come ha dichiarato il presidente Obama. Al contrario, si tratta di un passo tanto illegittimo e immorale quanto disperato. Si tratta di un ulteriore passo falso, e che rischia di far inciampare gli USA su coloro che hanno armato e sostenuto.

fonte: Landdestroyer

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

 

 

Siria: il retroscena parigino del conclave di Doha!

di Nasser Sharara – 11/12/2012

La Conferenza di Doha sulla Siria, nel novembre 2012, includeva un aspetto oscuro che consisteva nel tracciare un piano per cambiare la realtà politica e militare sul terreno, spingendo Parigi ad accelerare e istigare a “bruciare le tappe.” Ne è venuto fuori un “memorandum confidenziale” che definisce la funzione operativa della nuova “coalizione dell’opposizione siriana”, una volta che i ribelli riorganizzati e concentrati su cinque fronti assalteranno le principali città siriane.

Secondo una fonte molto in alto nelle gerarchie delle autorità siriane, molti dettagli dei piani segreti architettati al margine di Doha, avrebbero preso la via di Damasco, rivelando che l’obiettivo del congresso non era soltanto trovare una soluzione alla crisi manifesta della frammentata opposizione fondamentalista islamica, ma anche e soprattutto sviluppare un piano che potrebbe cambiare la realtà politica e militare siriana; la recente “Battaglia di Damasco” rientra nelle decisioni segrete prese nella stessa conferenza. In particolare, la Francia ha cercato di manovrare dietro le quinte per diversi motivi. Tra questi, i massimo dei suoi sforzi per convincere l’UE a revocare il divieto di fornire armi all’opposizione siriana che, secondo Parigi, è pronta a ottenere una vittoria decisiva.
Pertanto, la comunità internazionale avrebbe dovuto seguire il suo esempio attraverso il riconoscimento della coalizione [1] come unico rappresentante del popolo siriano e come unico punto di contatto di tutte le opposizioni. Così, i dibattiti riportati da alcuni partecipanti a questa famosa conferenza, dimostrerebbero l’insistenza della Francia nel rovesciare il governo siriano al più presto possibile, incoraggiando “a bruciare le tappe” nel promuovere l’escalation politico-militare e risolvere il problema della paura generata, in occidente, dall’opposizione armata, chiaramente dominata dalle cellule di al-Qaida e dagli elementi soggetti ai programmi degli estremisti salafiti.

Il piano dei cinque fronti 
Sulla base di quanto filtrato dalla conferenza di Doha, del suo rapporto con la situazione generale militare in Siria, delle organizzazioni della cosiddetta opposizione siriana infine fusesi, della battaglia di Damasco che ne è seguita, secondo le fonti informate che hanno parlato con al-Akhbar, le posizioni dei cosiddetti “amici del popolo siriano” non sono immerse nell’armonia totale. Mentre Parigi si distingue per il suo desiderio di aggredire e la sua insistenza a bruciare le fasi del confronto con le autorità siriane, Washington e in misura minore Londra, ritengono che in questa fase sarebbe meglio applicare semplicemente sanzioni economiche più severe e spingere l’opposizione a riorganizzarsi sotto l’egida della nuova coalizione, per liberarsi “parzialmente” dei propri estremisti; solo in parte perché potrebbero “ancora essere utili” per indebolire lo stato siriano! Di conseguenza, un documento con il timbro del segreto, sarebbe circolato dietro le quinte, per preparare le discussioni sulla necessità della cautela nell’armamento dell’opposizione.
I punti chiave di questo documento riservato si concentrano su due assi principali, l’operatività e i doveri della Coalizione Nazionale che “dovrebbe dimostrarsi capace di superare diverse sfide“, tra cui:
1. Unificare l’assistenza umanitaria agli sfollati dentro e fuori i confini siriani, in modo che possa raggiungere tutti i siriani attraverso “il canale esclusivo dei Fratelli musulmani.”
2. Rivedere l’organizzazione dei ribelli armati asserviti alla coalizione degli oppositori, di cui ne costituiscono i due terzi secondo i dati dei servizi segreti stranieri, secondo un piano che unirebbe cinque fronti preparati contro le principali città siriane. Questo, al fine di eliminare l’ultimo terzo costituito dai salafiti, che sarebbero fedeli solo a se stessi.
Una terza area di discussione sarebbe focalizzata sull’armamento della coalizione dell’opposizione siriana. I membri di spicco della coalizione hanno presentato la brillante idea di abolire il divieto e la codificazione delle armi destinate ai cosiddetti ribelli, mentre i funzionari governativi francesi hanno indicato che, nel caso in questione, qualsiasi coinvolgimento in questa direzione dovrebbe passare attraverso una decisione dell’Unione europea, richiedendo il consenso dei 27 paesi partner con i quali si è in corso di negoziazione. Hanno detto che il problema per il governo francese è inestricabilmente legato a “scongiurare il pericolo degli infiltrati jihadisti nell’opposizione siriana“, l’occidente è anche, e per la maggior parte, disposto ad armare l’opposizione così riorganizzata.
Ciò che questi eminenti oppositori hanno replicato è che proprio questa astensione occidentale ha portato le forze salafite ad essere più pesantemente armate, avendo la possibilità di dipendere solo dalle reti del finanziamento privato, anche se sponsorizzate dai paesi del Golfo. Parigi avrebbe promesso di discuterne durante le deliberazioni del Consiglio europeo per gli affari esteri, che ha avuto luogo nella seconda metà del mese scorso. Ma le risposte all’ultima domanda sono rimaste segrete!
In ogni caso, gli osservatori della conferenza di Doha hanno visto che Parigi, superando la cautela dagli Stati Uniti, sembrava molto ansiosa di mobilitarsi a favore della decisione di armare coloro che essa chiama “opposizione democratica siriana”, se non altro per il suo impegno nel cercare l’approvazione dei suoi partner dell’Unione europea. Tuttavia, come il corso degli eventi ha dimostrato, Parigi ha fallito nel suo tentativo di porsi a leader della “comunità internazionale” nella crisi siriana, e dovrà porsi nel campo guidato da Washington. Ma nel frattempo, gli eventi di Gaza hanno monopolizzato gli sforzi diplomatici internazionali dedicati alla situazione siriana…

Fallimento dell’opzione francese 
Dopo la conferenza di Doha, vi sono state aspre critiche, anche all’Eliseo, sull’opportunità dell’iniziativa prematura del presidente francese François Hollande, che ha dichiarato di riconoscere la coalizione “come l’unico rappresentante del popolo siriano, e quindi come governo provvisorio della futura Siria democratica, permettendo di farla finita col regime di Bashar al-Assad!” [2]. Secondo fonti diplomatiche, Hollande avrebbe indicato i tre motivi che l’hanno portato a distinguersi, mentre Londra e Washington si erano astenute dal riconoscere la coalizione in questi termini.
Il primo motivo è dovuto al suo impegno personale, che si era ripromesso di rispettare, facendo al più presto l’annuncio. Il secondo era la sua convinzione personale della necessità di accelerare le mosse militari e diplomatiche per non smorzare la spinta dell’accordo di unificazione, ottenuto a Doha a prezzo di molte difficoltà. Il terzo era relativo al suo desiderio di vedere Parigi in prima linea, sulla scena internazionale, ripetendo in Siria il proprio ruolo in Libia.
Come Sarkozy aveva ufficialmente ricevuto l’illustre Consiglio nazionale di transizione [CNT] accelerando l’intervento occidentale in Libia, facendo pendere la bilancia a favore dei ribelli, Hollande ha pensato bene di correre a nominare l’ambasciatore a Parigi della Coalizione nella persona del dissidente siriano, in esilio da anni, Makhous Mounzer, poco dopo aver ricevuto Ahmad Moaz al-Khatib, nominato presidente della coalizione da poco unificata. Ma Parigi non è stata molto contenta di vedere che il suo approccio non ha alterato le riserve di Londra e Washington, che praticamente non hanno cambiato la loro posizione internazionale sulla questione siriana, come era avvenuto in Libia.
Anche la Lega araba, su cui Parigi puntava molto facendo leva sull’opposizione siriana, non si è espressa così chiaramente come previsto, in quanto ha riconosciuto la coalizione come osservatore e non come unico rappresentante del popolo siriano. Parigi non si è resa conto che la sua fretta di rovesciare il governo siriano, imitando il caso libico, era problematica, soprattutto quando ha autorizzato a nominare un ambasciatore della coalizione degli oppositori, sollevando questioni giuridiche, dato che alcun governo di opposizione è stato fondato in Siria o all’estero!
Parigi, infatti, è andata avanti mentre la Gran Bretagna e gli Stati Uniti dichiaravano di avere ancora da discutere sui termini di questo riconoscimento… [3]. Così, Parigi ha cercato di diffondere i suoi argomenti per convincere i suoi partner, in particolare Washington, sui meriti della sua politica. Sempre da fonti diplomatiche, l’argomento forte in questo caso si riduceva nel dire che Parigi avrebbe riconosciuto la coalizione “perché avrebbe cercato di far pendere la bilancia a favore dei musulmani moderati, a scapito degli infiltrati salafiti tra i combattenti armati e i diversi gruppi politici!”. Ma sembra che Londra e Washington siano rimaste sulle loro posizioni: aiuti umanitari e unificazione nei cinque fronti dei combattenti, che verrebbero staccati e non asserviti ai gruppi estremisti [4].
Coloro che hanno seguito queste discussioni a Doha, prevedono che s’innescherà una guerra tra salafiti e cosiddetti musulmani moderati. In altre parole, si aspettano una seconda guerra civile dentro quella attuale, che avrebbe luogo sempre sul suolo siriano!

Fallimento dello scenario adottato per assassinare al-Assad
Sempre sull’obiettivo di “bruciare le tappe” perseguito da Parigi, con la simpatia “condizionata” della Gran Bretagna, sono emersi informazioni che rimangono da dimostrare. Si concentrano sul fatto che la “battaglia di Damasco” avrebbe coperto un fallito tentativo di assassinare il Presidente della Siria ad opera di un presunto squadrone giordano, incaricato di penetrare nell’aeroporto internazionale di Damasco, prima di continuare il suo raid contro una località ritenuta essere luogo di residenza del Presidente. Tutto questo per far credere che l’attentato sarebbe stato commesso dagli avversari interni ed evitare il coinvolgimento degli Stati Uniti verso la Russia. A questo proposito, vale la pena ricordare l’apertura di un ufficio dei servizi segreti britannici nella capitale giordana, incaricato dell’esecuzione della logistica diretta al territorio siriano.

Nasser Sharara 07/12/2012 al-Akhbar [Libano]
Articolo tradotto dall’arabo da Mouna Alno-Nakhal per Mondialisation.ca

Valutazioni:
[1] “Protocollo di Doha” dell’opposizione siriana 
Una “opposizione” eterogenea, divisa, senza programma e senza prospettiva creata dal Qatar e doppiata da François Hollande!
[2] François Hollande riconosce la coalizione nazionale siriana 
[3] Il diritto internazionale permette di sostenere apertamente l’opposizione armata in Siria? 
[4] Gli Stati Uniti finalmente ammettono l’invio di armi pesanti dalla Libia ai ribelli siriani. “Entrambe queste disposizioni, il riconoscimento dell’opposizione unificata e l’istituzione a distanza di gruppi estremisti, sono necessari per l’amministrazione Obama per riconoscere apertamente di sostenere i ribelli siriani con armi e rifornimenti.”

Nasser Sharara è un giornalista libanese
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Il protezionismo e i suoi nemici

di J. Sapir* – 12/12/2012

Fonte: Appello al Popolo 


L’ampiezza e la profondità della crisi hanno rilanciato il dibattito sul protezionismo. Dibattito sensibile, a giudicare dalla virulenza dei difensori del libero scambio trasformato in feticcio. Con una presentazione dei fatti che camuffa la verità per ignoranza o disegno, il protezionismo viene presentato come un vero tabù. Il rifiuto di riconoscere il libero scambio come causa dell’attuale tormenta dimostra che i suoi sostenitori hanno abbandonato l’universo della riflessione per entrare in quello del pensiero magico. Il libero scambio induce un doppio effetto depressivo, diretto sui salari e indiretto in quanto rende possibile la concorrenza fiscale.

Infatti, per difendere i posti di lavoro, i governi dei paesi le cui imprese sono sottoposte direttamente alla concorrenza di produzioni a basso costo e debole protezione sociale tentano di tutelare il livello dei profitti sul proprio territorio (condizione necessaria per evitare le delocalizzazioni) trasferendo i contributi sociali delle imprese sui salariati. Alla pressione sui salari viene dunque ad aggiungersi una fiscalità più ingiusta e una riduzione delle prestazioni sociali (il salario indiretto). Tutto questo pesa sul reddito della maggior parte delle famiglie, che non possono mantenere il livello dei consumi se non con un crescente ricorso all’indebitamento, proprio nel momento in cui le loro risorse finanziarie si riducono. Al centro della crisi non ci sono dunque le banche, le cui difficoltà in questo caso non sono che un sintomo, ma piuttosto il libero scambio, i cui effetti si sono combinati con quelli della finanza liberalizzata.

Negli Stati uniti, la parte della remunerazione del lavoro nel reddito nazionale è crollata al 51,6% nel 2006 – il punto storico più basso dal 1929 – contro il 54,9% nel 2000 (1). Per il periodo 2000-2007, la crescita del salario reale mediano (2)è stata solo dello 0,1%, mentre il reddito mediano della famiglia diminuiva dello 0,3% all’anno in termini reali. La riduzione è stata più forte per le famiglie più povere. Nello stesso periodo, il primo quintile ha visto il proprio reddito diminuire dello 0,7% ogni anno (3). Dal 2000, la crescita del salario orario non corrisponde più a quella degli aumenti di produttività.

Il libero scambio spinge così i governi a trasferire il finanziamento delle prestazioni sociali dalle imprese ai salariati. Dal 2000 al 2007, il costo delle assicurazioni sanitarie negli Stati uniti (+ 68%), così come quello delle spese per l’istruzione (+ 46%) (4), è fortemente aumentato, mentre la percentuale dei cittadini senza copertura sociale è passata dal 13,9% al 15,6% (5) . Anche l’americano Paul Krugman, che a lungo aveva sostenuto che «la globalizzazione non è colpevole», ha dovuto riconoscere che la deflazione salariale importata tramite il libero scambio ha avuto un ruolo importante nel processo (6). Non stupisce dunque che, in simili condizioni, l’indebitamento delle famiglie americane sia esploso. Era pari al 63% del prodotto interno (Pil) degli Stati uniti nel 1998, e al 100% nel 2007.

Il fenomeno esiste anche in Europa dove si combina, nella zona euro, alla politica della Banca centrale europea (Bce) – la quale aggiunge il suo peso alle forze depressive importate. Alcuni paesi hanno seguito il modello americano, come ad esempio Spagna, Irlanda e Regno unito, e oggi assistono a un impoverimento relativo, e talvolta assoluto, della popolazione (7). La deflazione salariale importata ha prodotto in questi paesi un’esplosione dell’indebitamento delle famiglie che, superando nel 2007 il 100% del Pil, ha prodotto un fenomeno d’insolvibilità paragonabile a quello osservato negli Stati uniti. Anche in paesi relativamente lontani dal modello americano, la deflazione salariale è evidente. La Germania ha condotto una massiccia politica di delocalizzazione del subappalto. Si è così passati, grazie all’apertura dell’Unione europea ai paesi dell’Europa centrale e orientale, dalla logica del Made in Germany a quella del Made by Germany. Contemporaneamente, il governo tedesco ha trasferito sulle famiglie (tramite la tassa sul valore aggiunto, Iva) una parte dei contributi che pesavano sulle imprese. La strategia ha permesso un forte eccedente commerciale, a scapito dei partner della zona euro su cui la Germania riesporta deflazione salariale; ma al prezzo di una crescita debole, in quanto la domanda interna resta depressa malgrado una preoccupante crescita dell’indebitamento delle famiglie (68% del Pil). Quanto alla Francia, i governi di questi ultimi anni hanno tentato di reagire alla globalizzazione con politiche definite «di riforme strutturali». Le quali, allungando la durata globale del lavoro e mettendo in discussione le prestazioni sociali, non hanno fatto che confermare gli effetti della deflazione salariale importata. Come constata il Centro di ricerca per lo studio e l’osservazione delle condizioni di vita (Credoc): «la situazione delle “classi medie” somiglia più a quella dei bassi redditi che a quella degli alti redditi (8)».

La forma più vistosa di questa politica si ritrova nelle delocalizzazioni verso paesi a basso costo salariale e deboli regolamentazioni sociali o ecologiche. Ma l’aspetto più rilevante è costituito dal ricatto sull’occupazione, esercitato sui lavoratori e i loro sindacati affinché rinuncino a conquiste sociali e ad aumenti salariali.

Le direzioni aziendali utilizzano la minaccia della delocalizzazione per rimettere in discussione precedenti accordi e regolamentazioni sociali. Questa pressione ha pesanti conseguenze sulla situazione sanitaria dei lavoratori, come l’aumento delle patologie legate allo stress da lavoro (9). Se è vero, come dicono gli studi epidemiologici globali (10), che queste patologie hanno un costo sanitario pari al 3% del Pil, risulta evidente il legame tra le logiche della deflazione salariale e il deterioramento dei conti sociali in Francia e nei principali paesi europei. Ma la deriva (o quel che appare tale) dei conti sociali è servita da pretesto ai diversi governi, e per ultimo a quello di François Fillon, per rimettere in discussione un certo numero di diritti, trasferendo così i costi sui salariati. Le «riforme strutturali» contribuiscono dunque, direttamente e indirettamente, a creare condizioni di insolvibilità per la grande maggioranza delle famiglie. Esse sono al centro della crisi di indebitamento ipotecario che si è prodotta negli Stati uniti, nel Regno unito e in Spagna. In altri paesi, si traduce in una crescente fragilità delle famiglie ed esaspera il problema del «potere d’acquisto». Anche in Francia, dove le banche sono state molto più prudenti, l’indebitamento delle famiglie, stabile fino al 2000, cresce poi bruscamente dal 34% del Pil al 47,6% nel 2007. L’emergere negli ultimi dieci anni, del fenomeno dei «lavoratori poveri» sulle due rive del Reno, è direttamente legato a queste politiche.

La Cina e i paesi limitrofi, responsabili della deflazione salariale La deflazione salariale trae origine dalle avide politiche condotte, a livello di commercio internazionale, dai paesi dell’Estremo oriente dal 1998-2000, attraverso il libero scambio generalizzato voluto dall’Organizzazione mondiale del Commercio (Wto). Tuttavia, queste politiche nascono prima di tutto come reazione allo choc rappresentato dalla crisi finanziaria del 1997-1999. È il caso della Cina, che ha dovuto assorbire, a causa dell’incuria e dell’incompetenza del Fondo monetario internazionale (Fmi), una buona parte dello choc della crisi asiatica lasciando che i suoi vicini ricostituissero eccedenti commerciali e finanziari a suo danno. Di conseguenza, la Cina e i suoi vicini hanno ritenuto necessario, nell’eventualità che una tale crisi si ripresentasse, creare notevoli riserve di cambio. Sono stati spinti ad attuare, sul piano del commercio internazionale, scelte aggressive realizzate attraverso svalutazioni molto forti, politiche di deflazione competitiva e limitazioni nel consumo interno. Tali misure hanno spinto al ribasso i salari nei paesi sviluppati. Si sono anche rivelate di un’allarmante efficacia, se si considera l’enorme accumulo di riserve di cambio realizzato dai paesi emergenti dell’Estremo oriente (di cui 1.884 miliardi di dollari per la Cina [11]) . L’economia cinese persegue da trent’anni un rapido recupero tecnico.

Nello stesso tempo, il costo salariale, diretto e indiretto, non cresce. Il miglioramento della qualità delle sue esportazioni minaccia a termine la totalità dei posti di lavori nell’industria. L’indice di similitudine, che misura la similitudine delle esportazioni di un paese con quelle dei paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), aumenta costantemente per la Cina, ma anche per altri paesi emergenti (12). Crolla il mito di una specializzazione internazionale, per cui questi paesi si concentrerebbero su prodotti semplici, mentre i paesi sviluppati manterrebbero il controllo sui prodotti sofisticati. La deflazione salariale importata è arrivata nell’Unione europea anche attraverso l’allargamento, a causa delle strategie dei «nuovi arrivati». Paesi come la Repubblica ceca, la Slovacchia, la Romania, ma anche, seppure in misura minore, Ungheria e Polonia hanno deliberatamente giocato con il dumping fiscale, i tassi di cambio vantaggiosi, i ridotti oneri sociali e le deroghe nell’applicazione delle normative ecologiche, per attirare investimenti di delocalizzazione. Tenuto conto delle dimensioni di questi paesi, è evidente che gli investitori non ci vanno per il loro mercato interno, ma per utilizzarli come piattaforma di riesportazione verso i paesi del centro storico dell’Unione europea (13).

Quanto all’idea che la deflazione salariale sia il prezzo da pagare perché altri paesi si sviluppino… niente di più sbagliato. L’impatto del libero scambio, imposto dal Wto ai paesi più poveri, è stato decisamente negativo. Anche se i primi risultati, pubblicati nel 2003, vantavano guadagni dell’ordine di 800 miliardi di dollari, le successive revisioni hanno registrato il crollo di tali stime(14). Ma i modelli utilizzati sono in realtà concepiti, volontariamente o meno, per massimizzare gli effetti positivi della liberalizzazione degli scambi. Sono caratterizzati dal mancato calcolo delle perdite di reddito dovute alla scomparsa delle barriere tariffarie (15)– tutt’altro che trascurabili. Bisogna poi considerare che la Banca mondiale e il Wto classificano la Cina tra i cosiddetti paesi «poveri», il che è molto discutibile. Se la si toglie dal campione, il risultato è negativo, quale che sia la metodologia impiegata (16).

Una misura necessaria, ma non sufficiente. Il reddito perso dai lavoratori dei paesi sviluppati non va ai salariati dei paesi emergenti, ma serve ad arricchire sempre più una piccola élite, la cui ricchezza è letteralmente esplosa negli ultimi dieci anni. Negli Stati uniti, lo 0,1% più ricco accumulava il 7,5% del reddito nazionale nel 2005, contro il 5% nel 1995 e il 2,9% nel 1985.
Il livello del 2005 corrispondeva a quello del 1929 (7,6%). Le stesse cause producono gli stessi effetti. Se, in un primo momento, i paesi beneficiari degli investimenti di delocalizzazione vedono la loro crescita accelerare, in seguito, con l’aiuto delle grandi imprese europee e americane, segano il ramo sul quale sono seduti. Così, l’impoverimento relativo e anche assoluto dei lavoratori dei paesi sviluppati ha prodotto la crisi attuale, con una brutale contrazione dei consumi che penalizza i paesi esportatori. Nel gioco del libero scambio, delle delocalizzazioni e della deflazione salariale, nessuno è vincente, se non chi ha intascato i profitti e ha saputo piazzarli in luoghi protetti.

Esiste però un secondo mito, utilizzato per tentare di screditare il protezionismo: le misure prese dopo la crisi del 1929 l’avrebbero aggravata, provocando il crollo del commercio internazionale (17). Nei fatti, i fattori determinanti furono l’instabilità monetaria, l’aumento dei costi di trasporto e la contrazione della liquidità internazionale (vedere il riquadro). I sostenitori del libero scambio dimenticano sempre di ricordare la conversione di John Maynard Keynes, che fu un risoluto sostenitore del libero scambio all’inizio degli anni ’20, poi, a partire dal 1933, del protezionismo (18). Keynes non ha più cambiato posizione fino alla morte, avvenuta nel 1946, mentre i suoi progetti di riorganizzazione del sistema monetario e commerciale internazionale hanno dato ampio spazio al protezionismo, pur condannando l’autarchia. Misure protezionistiche, che permettano di modulare gli scambi con l’esterno, al contrario dell’autarchia che porta a ripiegarsi su se stessi, sono dunque necessarie. È addirittura la condizione sine qua non di qualsiasi politica di rivalorizzazione salariale, che renda solvibili le famiglie e permetta di aumentare la domanda. Aumentare i salari senza toccare il libero scambio è insieme ipocrita e sciocco. Peraltro, solo il protezionismo può fermare la spirale del minor offerente fiscale e del minor offerente sociale che si è instaurata oggi in Europa.

Si può certo obiettare che l’avvio del protezionismo non modificherà automaticamente il comportamento delle imprese. Il padronato, una volta meglio protetto dalla concorrenza esterna, può tentare di mantenere il vantaggio. Avrà però perso il suo principale pretesto. È un fatto che oggi in Francia, come nei principali paesi sviluppati, a causa della pressione delle produzioni a basso costo, l’unica alternativa è la deflazione salariale (diretta e indiretta, attraverso i trasferimenti di oneri sui salariati), o la delocalizzazione e la disoccupazione.Togliendo al padronato questo strumento, si restituisce ai salariati una possibilità di ottenere con le lotte una migliore redistribuzione della ricchezza prodotta. Il protezionismo non è una panacea – non ve ne sono in economia – , ma una condizione necessaria. Il suo scopo deve essere precisato con chiarezza. Non si tratta di aumentare ulteriormente i profitti, ma di preservare ed estendere le conquiste sociali ed ecologiche. Il problema, dunque, non è penalizzare tutti i paesi che praticano bassi salari, bensì quelli la cui produttività converge verso i nostri livelli, mentre non vengono avviate politiche sociali ed ecologiche altrettanto convergenti. In breve, si tratta di impedire che il commercio mondiale trascini tutti verso il basso.

La cornice dell’Unione europea non è certo perfetta da questo punto di vista. Mentre si impone il ristabilimento di una seria tariffa comunitaria, risulta evidente che l’attuale spazio economico europeo è talmente eterogeneo da permettere che prosperino politiche di dumping fiscale, sociale ed ecologico. Oltre alla tariffa comunitaria, è perciò opportuno ipotizzare un ritorno agli importi compensatori monetari (19), in vigore negli anni ’60. Tali tasse, provvisorie, avranno il compito di compensare i divari non solo dei tassi di cambio, ma anche di norme sociali ed ecologiche tra i paesi della zona euro e gli altri membri dell’Ue. Un tale cambiamento implica un conflitto all’interno dell’Unione. Se la realizzazione di misure coordinate è, a termine, la soluzione migliore, solo la minaccia di misure unilaterali da parte della Francia può imporre l’apertura di un dibattito – finalizzato alla creazione di cerchi concentrici che permettano, all’interno dell’Unione, di rispettare le differenze strutturali esistenti tra i paesi membri. Le somme ricavate dalla tariffa comunitaria dovrebbero essere suddivise tra un fondo sociale europeo e aiuti mirati a paesi esterni disposti a impegnarsi, nel quadro di accordi a medio termine, ad aumentare le protezioni sociali ed ecologiche. Il totale degli importi compensatori dovrebbe integrare un fondo di convergenza sociale ed ecologica(20) a vantaggio dei paesi dell’Ue, che verrebbero così spronati a realizzare progressivamente questa doppia convergenza. L’alternativa al protezionismo e agli importi compensatori è semplice: o accettare che altri ci impongano le loro scelte in campo sociale ed ecologico, o imporre le nostre. Il libero scambio segna perciò la fine della libertà di scelta per quanto riguarda i sistemi sociali ed economici. Ricostruire il mercato interno su basi stabili Lo dimostrano i reiterati fallimenti di qualsiasi tentativo di costruire un’«Europa sociale», grande illusione di socialisti ed ecologisti, o molto più semplicemente di arrivare a un’armonizzazione fiscale.

Senza misure in grado di penalizzare le strategie di dumping sociale, fiscale ed ecologico, si impone la legge del «minor offerente». La combinazione di libero scambio e di rigidità monetaria dell’euro rende necessaria, dal punto di vista degli imprenditori, l’immigrazione clandestina. Il clandestino non è coperto dal diritto sociale esistente.Quindi l’immigrazione diventa l’equivalente di una svalutazione di fatto e di uno smantellamento dei diritti sociali di fronte alla pressione della concorrenza importataAl di là di quel che dicono i governi, il ritorno al protezionismo diventa inevitabile (21). Lungi dall’essere un fattore negativo, potrebbe permettere una ricostruzione del mercato interno su basi stabili, con un notevole miglioramento della solvibilità sia da parte delle famiglie che delle imprese. In questo senso, sarà un elemento importante per una durevole uscita dall’attuale crisi e deve perciò diventare al più presto il punto centrale di un dibattito pubblico senza totem né tabù.

 http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=44720

vietato criticare i droni

di Michele Paris – 12/12/2012

Fonte: Altrenotizie [scheda fonte] 

Dopo settimane di accurate indagini e ricerche, il Dipartimento di Polizia della città di New York qualche giorno fa ha arrestato l’artista locale Essam Attia, al quale sono stati contestati ben 56 capi d’accusa. Lo sforzo messo in atto dalla polizia newyorchese sembrerebbe dover essere giustificato, ad esempio, dalle azioni di un pericoloso terrorista.

L’unico crimine compiuto dal 29enne originario del Maine è stato invece quello di avere affisso nelle strade della metropoli una serie di manifesti satirici che descrivono il possibile uso di droni da parte del Dipartimento di Polizia per monitorare il comportamento dei cittadini.

Tra il 14 e il 16 settembre scorso, Essam Attia si è finto un dipendente del municipio di New York e ha sostituito decine di manifesti pubblicitari situati nelle apposite teche cittadine con altri di sua creazione che raffiguravano, tra l’altro, una famiglia in fuga presa di mira da un missile lanciato da un velivolo senza pilota con la dicitura “Droni del Dipartimento di Polizia di New York: protezione quando meno te lo aspetti”.

Le forze di polizia hanno alla fine fermato Attia, infliggendogli un’autentica lezione che ha tutte le caratteristiche di una vera e propria vendetta per avere mosso loro delle critiche in maniera così clamorosa. Tra le numerose accuse a suo carico ci sono quelle di furto e possesso di arma da fuoco dopo che al momento dell’arresto è stata rinvenuta nel suo appartamento di Manhattan una vecchia pistola calibro 22 scarica. Dopo il fermo, Attia ha potuto lasciare il carcere su cauzione.

Fotografo, artista di strada e, secondo quanto riportato dall’Huffington Post, “ex analista geo-spaziale” per l’esercito americano in Iraq, Essam Attia aveva spiegato le ragioni del suo gesto in una video-intervista al sito animalnewyork.com il 24 settembre scorso, mascherando il proprio aspetto e la propria voce per evitare di essere riconosciuto dalla polizia.

I manifesti esposti per le strade di New York, affermava Attia, sarebbero serviti per “stimolare un dibattito sull’uso dei droni nello spazio aereo americano”. A suo dire, “alcuni dipartimenti di polizia in Texas già ne hanno a disposizione ed è solo questione di tempo prima che arrivino anche a New York”. Attia ha poi ricordato che “in questo momento i droni vengono utilizzati per uccidere delle persone. Sono armati e lanciano missili. Stiamo combattendo una guerra illegale in Pakistan ma nessuno sembra volerne parlare”.

La provocazione di Essam Attia prefigura uno scenario che potrebbe diventare reale negli Stati Uniti in un futuro non molto lontano. Lo scorso mese di febbraio, infatti, il Congresso di Washington ha approvato una legge che dà il via libera all’impiego fino a 30 mila droni nello spazio aereo domestico entro il 2020, principalmente con funzioni di sorveglianza.

I velivoli che la CIA e i reparti speciali dell’esercito operano regolarmente in paesi come Pakistan, Yemen o Somalia, prendendo di mira presunti accusati di terrorismo, sono invece già in funzione da qualche tempo lungo il confine con il Messico per tenere sotto controllo l’immigrazione illegale. Autorità locali e federali hanno infine già in dotazione svariati droni, come ad esempio negli stati di California, North Dakota, Maryland, Florida e Nebraska.

Proprio a New York, poi, sono recentemente emerse le prove di discussioni tra il Dipartimento di Polizia e l’agenzia federale che sovrintende all’aviazione civile (FAA) nelle quali il primo ha affermato appunto di stare valutando il possibile uso di aerei senza pilota come strumenti di prevenzione del crimine.

La polizia dei New York ha peraltro già istituito un reparto speciale di intelligence al proprio interno dopo l’11 settembre 2001, deputato al monitoraggio e alla raccolta di informazioni su individui considerati potenziali minacce per la sicurezza nazionale, in particolare quelli di fede musulmana o appartenenti a gruppi di protesta come Occupy Wall Street.

La diffusione dei droni anche in territorio americano comporta inoltre la creazione di un mercato che può valere svariati miliardi di dollari e le aziende produttrici svolgono perciò da tempo un’intensa attività di lobby per ottenere nuove commesse da parte del governo federale e delle autorità statali e di polizia.

Alla Camera dei Rappresentanti è addirittura già stato creato un gruppo parlamentare (House Unmanned Systems Caucus) formato da una sessantina di deputati che si adoperano per la promozione dei droni sul suolo nazionale.

L’evoluzione dei droni e l’utilizzo capillare che ne verrà fatto anche internamente confermano dunque ancora una volta come le tecniche sviluppate per fronteggiare la cosiddetta guerra al terrore contro minacce esterne saranno sempre più utilizzate per controllare e reprimere il dissenso domestico negli Stati Uniti.

Un’arma quella dei droni che, assieme ad altre già consolidate, risulterà dunque fondamentale per la classe dirigente d’oltreoceano in un contesto storico caratterizzato dalla crisi strutturale del capitalismo e dall’aumento delle tensioni sociali in conseguenza delle politiche sempre più reazionarie messe in atto per salvare l’attuale sistema e i rapporti di classe esistenti.

Tratto da: USA: vietato criticare i droni | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2012/12/12/usa-vietato-criticare-i-droni/#ixzz2EqiVpw32 

Spiati sui mezzi pubblici

Posted by Cristian Vardaro on dic 12, 2012 

Negli Stati Uniti d’America sembra che la sicurezza venga prima di tutto.

Le fatidiche parole: “Qualunque cosa dirai potrà essere usata contro di te” sembrano essere le più adatte per descrivere la società  orwelliana che si è instaurata negli USA.

I funzionari del governo hanno deciso di cambiare i dispositivi di sorveglianza presenti sui mezzi del trasporto pubblico.

Nei mesi scorsi sono state installate su alcuni autobus delle telecamere con microfoni che possono registrare dati per circa 30 giorni consecutivi.
Gli autobus saranno dotati di un sistema di registrazione audio/video protetto da involucri e di un archivio digitale dei dati (data storage) al quale potranno accedere varie agenzie governative tramite la rete telematica.

Il portavoce dell’agenzia non ha voluto commentare la notizia, ma un comunicato ufficiale afferma:

“ L’obiettivo del progetto è rimpiazzare il sistema di sorveglianza video con una più avanzata e affidabile, tecnologia per aumentare la sicurezza dei passeggeri.”

Secondo alcuni funzionari tra cui il direttore esecutivo di Ozark Regional Transit in Arkansas,  Joel Gardner, questi sistemi forniscono solo un modo utile per tutelare e risolvere velocemente i reclami da parte dei passeggeri in transito.

Questo nuovo sistema è già attivo in diverse città tra cui: San Francisco in California, Eugene in Oregon, Traverse City in Michigan, Columbus in Ohio, Baltimora in Maryland, Hartford in Connecticut e Athens in Georgia.

Neil Richards, un professore della focoltà di legge alla Washington University School ha dichiarato:

“Una cosa è inviare dei poliziotti, un’altra è avere degli agenti di polizia in ogni sedile accanto a te, che ascoltano tutto ciò che dici. Con i microfoni sarebbe come avere un agente con una memoria fotografica, pronto a risputarti addosso tutto cio’ che e’ stato detto.”

Un esperto in privacy e sicurezza Ashkan Soltani ha dichiarato:

 ”Grazie alla risoluzione audio e video sarà fin troppo facile associare immagini e registrazioni a sistemi per il riconoscimento facciale o vocale che permettano l’identificazione dei passeggeri. Queste iniziative sono indicative di un trend di aumento della sorveglianza da parte di enti economici e legali, mascherato dietro una facciata di provvedimenti per la pubblica sicurezza”.

Nel 2014 ci sarà l’expo dell’American Public Transit Association, dove aziende di tutto il mondo offriranno varie soluzioni per ogni tipo di esigenza, tra le quali la sorveglianza audio-visiva.

Se si parla di denaro la privacy svanisce?

Fonte: Cribb10

via Lo Sai