E PENSARE CHE UNA VOLTA CREDEVO CHE LA SINISTRA ESISTESSE DAVVERO.

– Stefano Davidson –

IO PROPONGO UNA BELLA STANDING OVATION A QUEL 60% DI VOTANTI AL BALLOTTAGGIO AL PD (a occhio e croce più di due milioni di italiani) che oltre ad aver pagato per poter “democraticamente” esprimere la propria preferenza (i soldi il Partito non li aveva per pagarsi le spese della cialtronata delle primarie, figuriamoci se era avanzato qualcosa della mazzett… del finanziamento da 98.000.000 di Eur… o provenienti da Riva dell’Ilva) hanno votato, dimostrando doppiamente il loro Q.I., per quel Pierluigi Bersani che, a braccetto con l’odiato Berlusconi e il viscido Casini, ha appoggiato sin dal primo minuto il Governo Monti firmando in silenzio qualunque cosa questi gli proponesse, M.E.S., Fiscal Compact e I.M.U. (soprattutto sulla prima casa) compresi e infilando il Paese in quel vortice di debiti insanabili nei confronti del Sistema Bancario Intenazionale da cui probabilmente mai più potrà uscire.
Non che se avessero votato Renzi sarebbe stato diverso in temini di utilità di queste primarie farlocche, ma almeno non avrebbero pagato chi glielo aveva messo in culo fino a cinque minuti prima. E dire che poi magari questi stessi criticavano Marrazzo per i suoi gusti “trasversali”! BRAVI!!!

PER QUELLI CHE HANNO VOTATO ALLE “PRIMARIE” DEL PD DOPO AVER FATTO FORSE PER SBAGLIO UN RESET DELLA MEMORIA RICORDO:

19 Luglio 2012 (dopo la ratifica in segreto, visto che il Pierluigi e il suo partito si son ben guardati di farci sapere cosa si andava a ratificare)
BERSANI: “OK FISCAL COMPACT E M.E.S.”

Roma, 9 ago 2012 – Il segretario Pd, Pier Luigi Bersani è stato a pranzo dal premier Monti a Palazzo Chigi, fermandosi dalle 13.30 fin verso le 16.

MONTI-BIS – “Monti a cominciare dalle dichiarazioni a New York non è estraneo alla prospettiva che l’Italia deve diventare un paese normale, non figlio di un Dio minore ma della democrazia europea”, ha riferito Bersani rispondendo a un domanda sull’ipotesi di secondo mandato a Palazzo Chigi per il professore.

“Monti sa che per rassicurare il mondo -aggiunge Bersani- l’Italia deve mettersi nel solco di una normale democrazia. E chiaramente Monti puo’ dare una mano in questa direzione”.

LEALTA’ DEL PD – “HO RIBADITO ANCORA UNA VOLTA LA LEALTÀ NOSTRA VERSO MONTI E VERSO IL GOVERNO, CON LE NOSTRE IDEE”, ha riferito Pier Luigi Bersani al termine del suo incontro a Palazzo Chigi con il presidente del Consiglio. Durante l’incontro “cordialissimo” si è parlato dei principali temi di attualità. “Quando si incontra Monti si parla di Italia e di Europa – ha sottolineato – abbiamo dato uno sguardo sull’esperienza che abbiamo davanti”.

3 Ottobre 2012: Palazzo Chigi rende noto che il Presidente del Consiglio Mario Monti ha avuto oggi un colloquio telefonico con l’on. Pierluigi Bersani, segretario del PD. Si è trattato di un ampio scambio di vedute sulle prospettive dell’attività di governo fra ora e la fine della legislatura, con particolare riguardo alla politica economica e sociale, intesa a rafforzare la messa in sicurezza del nostro paese rispetto alla crisi dell’eurozona e ad intensificare le politiche per la crescita.
Su richiesta del Segretario Bersani il Presidente del Consiglio si è anche soffermato sull’attivo ruolo dell’Italia nel promuovere a livello europeo le politiche per la crescita, la stabilizzazione finanziaria e la fiducia nell’euro.

A QUESTO PROPOSITO TUTTI NOI CITTADINI E POPOLO SOVRANO ABBIAMO VISTO E TOCCATO CON MANO SOPRATTUTTO “LO SVILUPPO DELLE POLITICHE PER LA CRESCITA”. POI:

22 Novenbre 2012: BERSANI: ’’IO DICO SEMPRE LA STESSA COSA, MONTI E’ PREZIOSISSIMO NEL NOSTRO PAESE, non trovo utile che si metta nella mischia. E’ stato nominato Senatore a vita dal Presidente Napolitano, proprio per sottrarlo alla mischia, poi ognuno fa le proprie scelte, se vuole candidarsi o meno. “PENSO PERO’ CHE PRESERVARE QUESTO GENERE DI FIGURA SIA UTILE AL PAESE’’.

26 Novembre 2012
  Elezioni Politiche 2013: BERSANI, LEALI A MONTI FINO ALL’ULTIMO!

ETC…ETC…ETC…

PER CUI, TUTTI IN PIEDI E UN BELL’APPLAUSO A QUESTI IRRIDUCIBILI CHE HANNO CAPITO TUTTO DELLA POLITICA DEL GOVERNO, DI CHI L’APPOGGIA E DI CHI LO MANOVRA. CONTINUATE COSI’ L’ITALIA HA BISOGNO DI ESEMPI COME IL VOSTRO DA “NON” SEGUIRE ASSOLUTAMENTE. SE MAGARI VI CHIEDESTE PERCHE’ QUEI SOLDI RACCOLTI DALLE VOSTRE TASCHE NON VANNO MAGARI AI TERREMOTATI O AGLI ALLUVIONATI SAREBBE MEGLIO. SE POI CHIEDESTE AL VOSTRO PIRLUigi QUANTI SOLDI (RICEVUTI ANCHE DAL FINANZIAMENTO PUBBLICO, CIOE’ DAI SOLDI DI TUTTI NOI CITTADINI. NOTA BENE: DAL 2008 AD OGGI IL PD HA “BRUCIATO” 243 MILIONI DI EURO DI FINANZIAMENTI PUBBLICI!) “IL PARTITO” HA VERSATO IN AIUTO APPUNTO A TERREMOTATI E ALLUVIONATI MAGARI VI FATE UN’IDEA DELLA PERSONA A CUI AVETE REGALATO ALTRI 2 EURO A TESTA (minimo).
GRAZIE.

Cinismo commerciale

Catherine
Udite udite..
(dal Belgio)

Acquistando una certa marca di caffè, siete in grado di offrire, e cito: “molto di più di una tazza di caffè ai poveri: date loro calore umano!”
Praticamente, ogni volta che voi comprate un pacchetto, regalate ben due tazze di caffè.
E per ogni 10 “mi piace” o “condividi” cliccati sul sito, una altra tazza ancora sarà offerta ai poveri, grazie a voi!

Se acquistate una certa marca di pannolini, permettete a l’UNICEF di regalare un vaccino contro il tetano. E non finisce qui: per ogni bacio inviato al sito, un altro vaccino verrà offerto!
Grazie a voi …

Se questo non è cinismo deliberato..
Queste marche, tra le più costosi sul mercato, stanno semplicemente usando i più poveri per i loro slogan pubblicitari.
Persone che non potranno mai permettersi di comprarli si ritrovano, senza volerlo (quanto guadagna un attore per una pubblicità?), ad essere i promotori di prodotti che non avrebbero certo bisogno di incrementi di vendita per decidere di regalare caffè o vaccini ai più poveri!

Basterebbe consumare in modo più intelligente ed economico, risparmiare, e in un batter d’occhio ci sarebbe abbastanza denaro da spartire per regalare un sacco di cose (sicuramente più utili) a chi più ne ha bisogno.
Ma no, siamo invitati invece a consumare ciò che è più costoso, e persino a cliccare sui siti corrispondenti che in futuro si ricorderanno certamente di noi per i loro fini commerciali ..

E sappiamo bene (e lo sanno anche i promotori di tali campagne pubblicitarie) che coloro che sono immersi quotidianamente nella miseria del mondo tentano spesso di renderla più sopportabile a chi la subisce, e che non possono rifiutare tali offerte…

In parte perché è più facile per i consumatori acquistare il caffè e lasciare che sia una gruppo, una marca, a incaricarsi della “beneficenza”, invece di doverla fare da sé.
Ma anche perché persino chi è senza soldi farà lo sforzo di acquistare una marca costosa … se è per una buona azione.

Certamente per alcuni l’intenzione apparirà probabilmente lodevole e sarà ritenuta valida perché parte da un buon sentimento. E sicuramente sarà così per tutti i consumatori che stanno al gioco …

Questa non sarebbe che l’ennesima strategia commerciale se per attuarla non fossero messe in mezzo persone ridotte alla miseria.
E’ è questo soprattutto che, fondamentalmente, mi disturba …

annelowenthal.wordpress.com

https://www.facebook.com/M.Mondialisation 

L’ABBUFFATA/ Gara da 950 milioni per sfamare i dipendenti pubblici. Contro ogni la spending review

L’ABBUFFATA/ Gara da 950 milioni per sfamare i dipendenti pubblici. Contro ogni la spending review

 

 

 

Scritto da Carmine Gazzanni

Venerdì 30 Novembre 2012

Il bando indetto dal Consip, la partecipata al cento per cento dal ministero dell’Economia, parla chiaro: sette lotti – di cui uno “accessorio” da 88 milioni non si sa bene per chi e per cosa – per un totale di 950 milioni di euro. Oggetto del bando è “la fornitura del servizio sostitutivo di mensa mediante buoni pasto cartacei di qualsiasi valore nominale e dei servizi connessi in favore delle Amministrazioni Pubbliche”. In altre parole, quasi un miliardo di euro per sfamare tutti i dipendenti pubblici del Paese. Peccato, però, che con laspending review si fosse messo un freno proprio alla spesa dei buoni pasto. Un freno, nei fatti, disatteso. Alla faccia dell’austerity.

 di Carmine Gazzanni

sprechi_amministrazione_pubblica_abbuffataCosa mai si mangeranno i dipendenti pubblici per riuscire a bruciare quasi un miliardo di euro di buoni pasto in un solo anno? Domanda amletica a cui è molto difficile dare  una risposta. A meno che non si è il Consip, la partecipata il cui unico azionista è il ministero dell’Economia, che si occupa della spesa delle pubbliche amministrazioni per beni e servizi. È stato infatti proprio questo ente a indire un bando pubblico lo scorso nove novembre: “fornitura del servizio sostitutivo di mensa mediante buoni pasto cartacei di qualsiasi valore nominale e dei servizi connessi in favore delle Amministrazioni Pubbliche”. In  altre parole, fornitura dei buoni pasto per sfamare i dipendenti pubblici: non potrebbe essere altrimenti se si considera che, per le società aggiudicatrici (l’esito si conoscerà il prossimo 20 dicembre), ci sono in palio ben 950 milioni di euro, Iva esclusa. Un bel po’ di quattrini, dunque. Soprattutto se si considera il periodo di austerity a cui ormai ci ha abituato il governo Monti.

Non solo. Bisogna entrare nel dettaglio per capire che più di qualcosa non quadra. Torniamo indietro nel tempo e, più specificatamente, al 15 agosto scorso, giorno dell’entrata in vigore della spending review. All’articolo 5 – “Riduzione di spese delle pubbliche amministrazioni” – comma 7 si parla proprio dei buoni pasto. “A decorrere dal 1° ottobre 2012 – si legge – il valore dei buoni pasto attribuiti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione […] non può superare il valore nominale di 7,00 euro”. Cosa vuol dire questo? Che in pratica i buoni pasto per ogni singolo dipendente non possono superare, appunto, i sette euro. Un tetto – legittimo – per evitare che si sprechino troppi soldi per il servizio mensa (come spesso è capitato).

Bene. Leggendo il bando indetto dal Consip pare proprio che tale disposizione non sia stata affatto tenuta in conto. Come già detto, nell’oggetto dell’appalto si parla specificatamente di “fornitura del servizio sostitutivo di mensa mediante buoni pasto di qualsiasi valore nominale “. Esatto: di qualsiasi valore nominale. In pratica, il perfetto contrario di quanto stabilito dalla spending review.

Non solo. C’è dell’altro. Come detto, infatti, i 950 milioni sono divisi in ben sette lotti. Di questi, sei sono determinati su base geografica (il primo raccoglie le regioni del Nord Ovest; il secondo quelle del Nord Est più Toscana ed Emilia; il terzo il solo Lazio; il quartoUmbria, Marche, Molise, Abruzzo e Puglia; il quinto la Campania; il sesto Basilicata, Calabria e le isole). Il settimo invece è “accessorio”. Cosa vuol dire? Valido per tutti, nel caso i primi sei lotti non dovessero bastare. Ma allora la domanda: a quanto ammonta questo settimo lotto “accessorio”? Ben 88 milioni. In pratica, 88 milioni di soldi pubblici spesi perché “non si sa mai”.

Una grande abbuffata, insomma. Aveva visto lungo Totò quando, tra il serio e lo scherzoso, diceva: “A proposito di politica, quand’è che si mangia?”. In tutti i sensi. Appunto.

MONTI TI SMONTA! – DOPO UN ANNO DI GOVERNO DEI TECNICI, 8,5 MILIONI DI PERSONE IN DIFFICOLTA

e per  suicidati per crisi economica, quelli che il regime degli usurai censura la magistratura non apre alcun fascicolo per istigazione al suicidio

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MONTI TI SMONTA! – DOPO UN ANNO DI GOVERNO DEI TECNICI, 8,5 MILIONI DI PERSONE IN DIFFICOLTA’ – OLTRE AI QUASI 3 MILIONI DI SENZA LAVORO, BISOGNA CONSIDERARE I CONTRATTI A TEMPO DETERMINATO E TUTTI GLI IMPIEGHI PART TIME: UN ESERCITO DI 5,6 MILIONI DI CITTADINI – GENTE SENZA QUATTRINI CHE NON COMPRA PIU’ E AFFOSSA I CONSUMI – COSI’ I NEGOZI NON VENDONO E LE IMPRESE NON PRODUCONO…

(ANSA) – Sfiorano gli 8 milioni e mezzo le persone in difficoltà in Italia secondo Unimpresa. Ai «semplici» disoccupati vanno aggiunte infatti, secondo l’associazione, «ampie fasce di lavoratori, ma con condizioni precarie o economicamente deboli che estendono la platea degli italiani in crisi».

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Si tratta insomma di un’enorme «area di disagio» viene sottolineato: ai 2,87 milioni di persone disoccupate, bisogna sommare anzitutto i contratti di lavoro a tempo determinato, sia quelli part time (687mila persone) sia quelli a orario pieno (1,76 milioni); vanno poi considerati i lavoratori autonomi part time (766mila) e i contratti a tempo indeterminato part time (2,39 milioni).

DisoccupatiDISOCCUPATI

Questo gruppo di persone occupate – ma con prospettive incerte circa la stabilità dell’impiego o con retribuzioni contenute – ammonta complessivamente a 5,6 milioni di unità. Il totale dell’area di disagio calcolata dal Centro studi Unimpresa sulla base di dati Istat comprende perciò 8,47 milioni di persone. «Il deterioramento del mercato del lavoro non ha come conseguenza la sola espulsione degli occupati – viene osservato – ma anche la mancata stabilizzazione dei lavoratori precari e il crescere dei contratti atipici».

DISOCCUPATIDISOCCUPATI

Di qui l’estendersi del bacino dei «deboli». «Sono questi i numeri e gli argomenti su cui ragionare per capire quanto sono profonde la crisi e la recessione nel nostro Paese» commenta il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi. «Può apparire anomalo – aggiunge Longobardi – che un’associazione di imprese analizzi il fenomeno dell’occupazione, quasi dal lato del lavoratore. Ma per noi la persona e la famiglia sono centrali da sempre, perché riteniamo che siano il cuore dell’impresa».

PROTESTE DEGLI STUDENTI A MILANO DA CORRIERE ITPROTESTE DEGLI STUDENTI A MILANO DA CORRIERE IT

“Tav pronta entro il 2029. Costerà 8,5 miliardi”: accordo Monti-Hollande

Da sinistra, il presidente francese, Francois Hollande, e il presidente del Consiglio italiano, Mario Monti (Foto Lapresse)

Da sinistra, il presidente francese, Francois Hollande, e il presidente del Consiglio italiano, Mario Monti (Foto Lapresse)

LIONE

LIONE – “La Tav Torino-Lione sarà finita entro il 2029″. E costerà 8,5 miliardi. Mario Monti e Francois Hollande, nel vertice di Lione, hanno confermato di voler andare avanti sulla linea ferroviaria ad alta velocità iniziata ormai nel lontano 2001 e ancora al centro di proteste e scontri, con lanci di lacrimogeni e cariche della polizia.

 

Monti e Hollande hanno dato il definitivo via libera al tunnel da 8,5 miliardi che passerà sotto le Alpi per 57 chilometri. I due hanno anche chiarito che le multe prese da una parte e dall’altra del confine verranno fatti pagare nei rispettivi Paesi.

Degli 8,5 miliardi, 2,9 saranno pagati dall’Italia, 2,2 dalla Francia e il resto dall‘Unione Europea. Il tunnel consentirà di dimezzare il tempo di percorrenza del tratto, da due ore e mezza a poco più di un’ora. Ma non sono solo 8,5 miliardi: il costo totale dell’ammodernamento della linea ferroviaria sarà di 25 miliardi di euro.

Per prendere tutti questi soldi, per di più in tempi di crisi, Monti e Hollande stanno trattando con l‘Ue per veder aumentare dal 30 al 40% la quota di finanziamento per l’opera. L’aumento del budget verrà discusso in sede di discussione del quadro finanziario europeo del periodo 2014-2020. Monti e Hollande sono fiduciosi. Lo sono anche per quanto riguarda la (necessaria) ratifica dell’accordo da parte dei rispettivi parlamenti nazionali.

Slitta, però, il momento di messa in servizio: non più 2025, ma 2029. Per l’Europa l’importante è che sia attiva nel 2030, non oltre.

Ma le proteste non si sono fermate neppure durante il vertice. A Lione ci sono state manifestazioni, con tanto di spray urticanti sparati sui manifestanti, nella piazza davanti alla vecchia stazione ferroviaria des Brotteaux. Gli attivisti no Tav sono arrivati con dodici pullman, di cui molti dalla Val di Susa. In tutto 600 italiani e 300 francesi circa.

I manifestanti italiani sono arrivati a Lione con ore di ritardo perché alla frontiera del Frejussono stati fermati per controlli, poi di nuovo perquisiti al casello autostradale di Saint-Quentin-Fallavier.

In serata alcuni pullman italiani sono stati bloccati nella piazza della manifestazione. Un manifestante ha riferito che è stato sparato un lacrimogeno in uno dei bus e che, costretti ad uscire, i manifestanti sono stati caricati dagli agenti.

http://www.blitzquotidiano.it/politica-europea/tav-pronta-entro-il-2029-costera-85-1413469/?utm_source=twitterfeed&utm_medium=twitte


La Nostra Cara Fornero

da La Privata Repubblica

 

 Eccoci, Professoressa Fornero. Ministro Fornero, a rapporto. Dott.ssa Fornero, iniziamo.

Le origini working class della ForneroFornero e l’aspra scalata sociale. Fornero e la scalata sociale ancora possibile, negli anni del miracolo. Fornero e quel lontanissimo 1965. Fornero, allieva di III B all’istituto tecnico Luigi Einaudi, su La StampaFornero, «studentessa brillante» ma «non sgobbona». Fornero, «la prima della classe» nonostante «si limiti a studiare tre ore al giorno e mai di sera». La 17enne Fornero, «costretta a coricarsi molto presto in vista di una sveglia che suona sempre all’alba». La Fornero che abitava a San Carlo Canavese, oltre Ciriè, e raggiungeva Torino col pullman che partiva alle ore 6,30. Il mazzo di fiori regalato dal prof. Allemanno alla Fornero. «Non credo di meritare tutte queste attenzioni», arrossì la Fornero. La Fornero, che magari sotto sotto apprezzava. Rivalsa sociale per Fornero.

Un Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali senza alcuna preparazione, dice il Ministro del Lavoro ForneroFornero: «Me lo ha chiesto Mario Monti». La Fornero e la stima imperitura per il Presidente del Consiglio. La Fornero che non può rifiutare – in un momento come questo, poi. La Fornero che obbedisce. Allez ForneroFornero e la macroeconomia.Fornero e l’economia del risparmio, della previdenza e dei fondi pensione. Fornero, una vita passata a studiare i «sistemi previdenziali, pubblici e privati, le riforme previdenziali, l’invecchiamento della popolazione, le scelte di pensionamento, il risparmio delle famiglie e le assicurazioni sulla vita». Fornero la «tecnica», già consigliere comunale a Torino dal 1993 al 1998, eletta con una lista a sostegno del sindaco di centrosinistra. Fornero e l’opportunità di applicare la sua scienza alla realtà – finalmenteFornero e i sacrifici. La Fornero che piange. Le lacrime della Fornero che precipitano dagli occhi incastonati nel reticolato di rughe. LaFornero in mondovisione. Fornero e il ritorno della Politica, quella vera, sentimentale, viscerale. La Fornero che, 46 anni dopo il mazzo  di fiori del prof. Allemanno, in fondo un po’ si è messa a cercarle, queste attenzioni. La Fornero che inizia a non disdegnarle, le attenzioni.

La Fornero nelle stanze del Potere. Primadonna Fornero. La diva Fornero. La Fornero che buca media, video e l’Internet. La Fornero che «si comporta come una star». L’enfant prodigeMichele Martone – ipotizzano spifferi maligni di Palazzo – mobbizzato dalla ForneroForneroe la battaglia delle pensioni. La Fornero e gli esodati: centomila, no, trecentomila, aspetta, forse si arriva al milione. Fermi tutti, dice Fornero. Professoressa Fornero, guardi che qui nessuno ci capisce più un cazzo. La Fornero allora si scusa, fa ammenda, tutto sommato ridimensiona: «sugli esodati abbiamo sbagliato». «Tutti sbagliamo», aggiunge la Fornero. La Fornero che poi spiega dettagliatamente: «L’errore è stato fatto perché abbiamo dovuto agire in frettain 20 giorni, visto che il Paese era sull’orlo di un baratro finanziario». Ma questo, si lamenta stizzita laFornero, «la gente l’ha già dimenticato». Già, la gente tende a perdere la memoria quando scorge davanti a sé l’orrore di un futuro decimato, Ministro Fornero. La vita è agra quaggiù,Fornero.

Nessuna variabile umana nelle previsioni della Fornero. La Fornero e l’incomprensione. LaFornero che cerca di addentrarsi nel campo minato della comunicazione. Il rapporto complicato tra Fornero e parole. Il tempo delle cattedre è finito, Professoressa Fornero. Il «totem» dell’articolo 18 picconato dalla ForneroFornero e il licenziamento per motivi economici.Fornero e l’esenzione per i ticket sanitari ai disoccupati. Un insignificante «refuso», s’affretta aprecisare la Fornero. La Fornero e l’articolo 4 della Costituzione della Repubblica italiana. «Il lavoro non è un diritto, deve essere guadagnato, anche attraverso il sacrificio», rivela laFornero al Wall Street JournalFornero e le polemiche. Fornero e l’atteggiamento delle persone che «deve cambiare». Fornero e la rivoluzione culturale. Fornero e la macellazione sociale.

La Fornero e le porte del suo Ministero, «sempre aperte, anche per quelli che protestano».Fornero e il desiderio di essere invitata in piazza. L’implicita provocazione della Fornero. L’invito mai pervenuto alla Fornero. Niente bagno di folla per Fornero. La Fornero che si avvicina alle finestre dell’ufficio, scosta le tende e osserva. I 2 milioni e 870mila disoccupati per strada guardano in alto e cercano di incrociare lo sguardo della Fornero. La Fornero che serra le tende. La Fornero che torna a sedersi dietro la scrivania. Un plico per Fornero: «Disoccupazione giovanile». Il groppo nella gola della Fornero.

La Generazione Perduta™ e la ForneroFornero, fine analista: «Giovani e donne sono i più penalizzati perché la via italiana alla flessibilità ha riguardato solo loro, risparmiando i lavoratori più anziani e garantiti». La doppia faccia della Fornero: «Siamo il paese dei “bamboccioni”», diamine; e sarebbe anche ora «di far crescere i nostri ragazzi». I ragazzi son già cresciuti, Ministro Fornero, i ragazzi son diventati grandi: il 36,5% è senza lavoro e 2 milioni 447 mila sono precari. I ragazzi ci sono sfuggiti di mano, Professoressa Fornero. I «nostri» ragazzi, bollati come troppi «choosy» dalla Fornero. «Meglio prendere la prima offerta e poi vedere da dentro e non aspettare il posto ideale», esorta Fornero. Piccolo problema, Ministro Fornero: «dentro» non si riesce più ad entrare. Nuova ondata di polemiche sulla Fornero. La Forneroaddirittura querelata. Esplosione di rabbia nei confronti della Fornero. La Fornero e la rivolta dei «choosy». I «choosy» odiano: la Fornero non può riformare.

La Fornero fraintesa. La Fornero contraddetta. La Fornero colpita dal fuoco incrociato della protesta e dagli sberleffi degli opinionisti. Fornero, la donna politica più perseguitata d’Italia. La difesa d’ufficio del Ministro della Salute, Renato Balduzzi: «Fornero ha tutta la mia solidarietà in quanto è oggetto di persecuzione». La Fornero che «affama la gente», secondo un ferroviere fiorentino. Il ferroviere che per protesta decide di saltare il pranzo (una peperonata) e lo regala al Ministro Fornero: «Chissà se si ricorda gli antichi sapori». Le papille gustative dellaFornero. Accanimento giornalistico contro la Fornero. «Parlerò molto lentamente perché ogni parola dovrò pensarla, naturalmente farò degli errori, e saranno gli errori a fare i titoli», deplora Fornero in conferenza stampa. Le fughe della Fornero dalle conferenze stampa. LaFornero sommersa dalle malignità. La dignità della Fornero: «Mi dicono maestrina, o anche professorina, sono professore all’Università di Torino». Vendetta sociale per Fornero.

Scorrete lacrime, disse la ForneroNiente fondi per i malati di Sla, e Fornero che piange ancora, questa volta dentro le mura di Palazzo Chigi. La Fornero e il lutto privato. La Forneroe la disperazione pubblica. I coccodrilli che sguazzano placidi nelle pozzanghere prodotte dellaFornero. I dolori della Fornero. «Deve capire com’è difficile la vita di un ministro», svela laFornero a Salvatore Usala. Salvatore Usala che scruta la Fornero dalla sua carrozzina tecnologica da malato di Sla. L’empatia di Salvatore Usala indirizzata alla Fornero: «Io la capisco». La frase della Fornero e le insinuazioni velenose della stampa. Nessuna smentita da parte del Ministro Fornero. La Fornero e l’esistenza travagliata della Tecnocrazia.

I dogmi della Fornero. La Fornero e la meritocrazia über alles. L’ideologia della Fornero. L’ingegneria dell’austerità e la ForneroFornero e il welfare, le fabbriche dismesse, i capannoni in fiamme, le proteste sui tetti, gli operai abbarbicati sulle gru, i passamontagna del Sulcis, gli elicotteri dei ministri, i celerini che caricano selvaggiamente i disoccupati/cassintegrati/licenziati, i posti di lavoro evaporati, la crescita zero, la ripresa, il tunnel, le immolazioni, l’Italia che si uccide, la morte lasciva, l’universo in fibrillazione, l’entropia e tutto il resto. Fornero e l’incertezza del diritto. Fornero e il ribaltamento delle regole. La dott.ssa Fornero che affonda il bisturi nel corpo maciullato dello Statuto dei Lavoratori. La sofferenza della Fornero. Che compito ingrato, Ministro Fornero.

La Fornero & i colleghi tecnici che hanno salvato il Paese – affossandolo. La Fornero che dice aLa Stampa: «ora tocca alle imprese». Le imprese allo stremo, le imprese che resistono, le imprese strangolate dal fisco, le imprese che sopravvivono, le imprese che soccombono, le imprese che rispondono alla Fornero: «Noi, più di così, non sappiamo davvero cosa fare». Gli occhi lucidi della Fornero. L’orgoglio latente della Fornero. La Fornero e l’incrollabile convinzione: «Il ministro passa, ma la riforma resterà per un po’». E allora avanti, forza, andiamo a ritagliarci questo posto nella Storia, Ministro Fornero. Anzi, già che ci siamo: proviamo a scriverla insieme questa storia, Professorezza Fornero.

La Fornero e l’implosione dei partiti. La Fornero e l’anno in cui l’Italia tornò a essere credibile. La Fornero e i costi umani della credibilità. Lo spread e la Fornero. La Fornero e l’orlo del burrone. La Fornero e l’autunno caldo. La Fornero e il lungo inverno europeo. Il gorgo della recessione e lo spurgo della Fornero. La Fornero e il prestigio comunitario. La Fornero e la burocrazia bruxelloise. La Fornero e i regolamenti, le direttive, i fondi strutturali, il debito pubblico, i tagli lineari. La Fornero che passerà. I contorni sfumati della Fornero. Il tono compassato della Fornero. La Fornero e il timbro ieratico. I gesti della Fornero. I dolori dellaFornero. La Fornero e lo slittamento inesorabile nel ripostiglio della memoria. La Forneroche verrà dimenticata. Paura dell’oblio per Fornero. La Fornero che spera di non essere dimenticata. Non lo sarà, Ministro Fornero – non così facilmente.

Ce lo ricorderemo bene, quest’anno passato con la Fornero. Ce lo ricorderemo a lungo, perché ci è stato scavato sulla pelle. Ce lo ricorderemo, e proveremo a raccontarlo.

Questa volta ricorderemo tutto, Professoressa Fornero.

+ + +

(Liberamente ispirato a “Il mio Beckett” di Liliane Giraudon, traduzione di Andrea Raos)

(Illustrazione: Pawel Kuczynski)

FonteLa Privata Repubblica http://www.laprivatarepubblica.com/la-nostra-cara-fornero/

Tratto da: La Nostra Cara Fornero | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2012/12/03/la-nostra-cara-fornero/#ixzz2E1Hn42VX 
– Nel tempo dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario! 

Tav Torino-Lione: aumentano le proteste e i costi, ma il vertice franco-italiano cerca di “salvare” il progetto

Da: Il Sole  24 Ore – di   03 dicembre 2012

Parigi e Roma “cercano di salvare” il treno ad alta velocità Torino-Lione, progetto “sempre più contestato” e “piatto forte” del vertice franco-italiano di oggi a Lione. Gli ecologisti che si oppongono alla costruzione di questa linea ferroviaria manifestano in una Lione blindata, ma “il principale freno al cantiere” rimane il suo costo, scrive Les Echos, anticipando che la dichiarazione finale del vertice tra François Hollande e Mario Monti dovrebbe menzionare una condizione: l’ottenimento di un finanziamento europeo del 40% per I lavori e del 50% per gli studi.

In discussione da vent’anni, la Tav Torino-Lione dovrebbe accorciare il tempo di percorrenza tra le due città da 3 ore e mezza a un’ora e mezza. Ma i costi lievitano: dai 12 miliardi di euro stimati nel 2002 si è passati ai 25 miliardi stimati attualmente. 
Ecco perché – spiega Les Echos – i fautori del progetto insistono per suddividere il progetto in fasi, dando la priorità alla realizzazione di un tunnel di base, lungo 57 chilometri a 500 metri d’altezza, invece dei 1.300 metri previsti dal progetto attuale. Il costo di questo progetto è valutato 8,5 miliardi di euro. Di questa somma, il 40% potrebbe essere a carico dell’Unione europea, il resto sarebbe a carico dell’Italia (2,9 miliardi) e della Francia (2,2 miliardi). L’ottenimento del finanziamento europeo, nonostante i vincoli di bilancio, dovrebbe rientrare “nel campo del possibile” – dicono i francesi – anche perché da tempo la Commissione europea considera questo progetto come strategico.

 
 

La stampa d’Oltralpe ha gli occhi puntati sulla Torino-Lione, “sempre più contestata”: in Francia aumentano i mugugni contro questo collegamento ferroviario e la contestazione – osserva Le Monde – apre un nuovo fronte tra gli ecologisti e il governo, dopo l’aeroporto di Notre-Dame-des Landes. 
I militanti italiani contrari alla costruzione della linea ad alta velocità – scrive ancora Le Monde – assistono “impotenti” allo scavo della prima galleria. “Troveranno dal lato francese il fiato per proseguire la loro battaglia?”
Mobilitati da vent’anni, continua il quotidiano, gli oppositori italiani “non sono riusciti a intaccare la volontà del potere pubblico di proseguire il progetto”. Se è stato rallentato, ciò è dovuto non solo alla loro azione ma anche alla “proverbiale lentezza dell’amministrazione italiana”.

La “guerra d’usura” sembra avere avvantaggiato i fautori del progetto, prosegue Le Monde, sottolineando che il movimento No Tav è passato sotto il controllo dell’ala più radicale e ha man mano perso appoggi presso le autorità locali. La giornata del 29 novembre – aggiunge – può essere considerata “il simbolo della loro battaglia lunga e infruttuosa”: quel giorno a Torino la polizia ha effettuato nove arresti negli ambienti anarchici e si è svolta la prima udienza del processo di una quarantina di militanti accusati di violenze contro le forze dell’ordine, mentre a Chiomonte è stato avviato lo scavo della prima galleria esplorativa.

Gli ecologisti si stanno dunque mobilitando anche in Francia. Europe Ecologie-Les Verts – informa il Nouvel Observateur – ha organizzato a Lione un “controvertice” e una controproposta. Il segretario nazionale Pascal Durand ha definito il progetto “l’illustrazione di una tecnocrazia che non è capace di rimettersi in causa”. I No Tav provenienti dai due lati della frontiera sfilano oggi pomeriggio a Lione, accolti da severe misure di sicurezza.

Il vertice franco-italiano punta a fare avanzare il progetto. Da parte francese – si legge in un lancio Afp sul Nouvel Obs – si riconosce che la questione del finanziamento “è complessa in un periodo di limitazioni di bilancio”, ma il progetto (la cui realizzazione è stata spostata dal 2025 al 2028-2029) non è “un elefante bianco”.
Libération sottolinea che gli “anti-Tgv” francesi tentano di strutturarsi e fa il punto sulla posta in gioco. “Il progetto si basa su un ipotetico sviluppo del trasporto merci. La costruzione di una linea ferroviaria ad alta velocità Lione-Torino, voluta dalla Francia e dall’Italia, è giustificata?”.

GAZA: Lettera di Noam Chomsky

Noam Chomsky: ha scritto, in inglese ovviamente, all’amico Boris la  lettera sotto riportata ed ha anche inviato un suo articolo-

“Once again, the people of Gaza are being subjected to a sharp escalation of the unremitting, relentless and cruel war waged against them by Israel along with its superpower participant, which provides the weapons, the economic, and the diplomatic support

and not least ideological support in helping shape the interpretation of US-Israeli crimes in much of the West. The current savagery of the attack can hardly be concealed. Popular opposition and protest within the US and its allies are increasing, and I hope will soon reach a point where policies will change and grant the tortured people of Palestine some hope for the decent existence they richly deserve. We must do whatever we can to contribute to this end.

inoltre mi ha scritto:

I am not sure what you saw in the press. I’ve made many statements about the current atrocities, and as perhaps you know, I was in Gaza just before they once again erupted.

I’ll attach an article about that visit. A few more words below.”

Noam

 

Traduzione per gli “sfigati” che non capiscono l’inglese:

Ancora una volta,  la popolazione di Gaza è sottoposta ad una aspra intensificazione di una persistente, incessante e crudele guerra intrapresa da Israele assieme alla partecipazione di una superpotenza che procura armi, supporto diplomatico e, non da ultimo, supporto ideologico per contribuire a influenzare nella maggior parte dell’Occidente l’interpretazione dei crimini commessi da Stati Uniti e Israele. L’attuale ferocia dell’attacco può difficilmente essere occultata. L’opposizione popolare e la protesta all’interno degli Stati Uniti d’America e dei suoi Stati alleati è in aumento ed io spero che presto raggiunga un livello tale per cui cambieranno le politiche e verrà concessa la speranza di un’esistenza decente ai Palestinesi torturati che da troppo tempo meritano. Dobbiamo fare qualunque cosa in nostro potere per contribuire a questo epilogo.

 Non sono sicuro di ciò che hai sentito dalla stampa. Ho effettuato numerosi rapporti sulle atrocità attualmente commesse e, come forse saprai, ero a Gaza poco prima che cominciassero.

Allego un articolo sulla mia visita. Poche ulteriori parole. (questo però non lo traduco perchè è troppo lungo)

Impressions of Gaza

  Even a single night in jail is enough to give a taste of what it means to be under the total control of some external force.  And it hardly takes more than a day in Gaza to begin to appreciate what it must be like to try to survive in the world’s largest open-air prison, where a million and a half people, in the most densely populated area of the world, are constantly subject to random and often savage terror and arbitrary punishment, with no purpose other than to humiliate and degrade, and with the further goal of ensuring that Palestinian hopes for a decent future will be crushed and that the overwhelming global support for a diplomatic settlement that will grant these rights will be nullified.

The intensity of this commitment on the part of the Israeli political leadership has been dramatically illustrated just in the past few days, as they warn that they will “go crazy” if Palestinian rights are given limited recognition at the UN.  That is not a new departure.  The threat to “go crazy” (“nishtagea”) is deeply rooted, back to the Labor governments of the 1950s, along with the related “Samson Complex”: we will bring down the Temple walls if crossed.  It was an idle threat then; not today.

The purposeful humiliation is also not new, though it constantly takes new forms.  Thirty years ago political leaders, including some of the most noted hawks, submitted to Prime Minister Begin a shocking and detailed account of how settlers regularly abuse Palestinians in the most depraved manner and with total impunity.  The prominent military-political analyst Yoram Peri wrote with disgust that the army’s task is not to defend the state, but “to demolish the rights of innocent people just because they are Araboushim (“niggers,” “kikes”) living in territories that God promised to us.”

 Gazans have been selected for particularly cruel punishment.  It is almost miraculous that people can sustain such an existence.  How they do so was described thirty years ago in an eloquent memoir by Raja Shehadeh (The Third Way), based on his work as a lawyer engaged in the hopeless task of trying to protect elementary rights within a legal system designed to ensure failure, and his personal experience as a Samid, “a steadfast one,” who watches his home turned into a prison by brutal occupiers and can do nothing but somehow “endure.”

 Since Shehadeh wrote, the situation has become much worse.  The Oslo agreements, celebrated with much pomp in 1993, determined that Gaza and the West Bank are a single territorial entity.  By then the US and Israel had already initiated their program of separating them fully from one another, so as to block a diplomatic settlement and punish the Araboushim in both territories.

 Punishment of Gazans became still more severe in January 2006, when they committed a major crime: they voted the “wrong way” in the first free election in the Arab world, electing Hamas.  Demonstrating their passionate “yearning for democracy,” the US and Israel, backed by the timid European Union, at once imposed a brutal siege, along with intensive military attacks.  The US also turned at once to standard operating procedure when some disobedient population elects the wrong government: prepare a military coup to restore order.

 Gazans committed a still greater crime a year later by blocking the coup attempt, leading to a sharp escalation of the siege and military attacks.  These culminated in winter 2008-9, with Operation Cast Lead, one of the most cowardly and vicious exercises of  military force in recent memory, as a defenseless civilian population, trapped with no way to escape, was subjected to relentless attack by one of the world’s most advanced military systems relying on US arms and protected by US diplomacy.  An unforgettable eyewitness account of the slaughter – “infanticide” in their words – is given by the two courageous Norwegian doctors who worked at Gaza’s main hospital during the merciless assault, Mads Gilbert and Erik Fosse, in their remarkable book Eyes in Gaza.

 President-elect Obama was unable to say a word, apart from reiterating his heartfelt sympathy for children under attack – in the Israeli town Sderot.  The carefully planned assault was brought to an end right before his inauguration, so that he could then say that now is the time to look forward, not backward, the standard refuge of criminals.

 Of course, there were pretexts – there always are.  The usual one, trotted out when needed, is “security”: in this case, home-made rockets from Gaza. As is commonly the case, the pretext lacked any credibility.  In 2008 a truce was established between Israel and Hamas.  The Israeli government formally recognizes that Hamas observed it fully.  Not a single Hamas rocket was fired until Israel broke the truce under cover of the US election on November 4 2008, invading Gaza on ludicrous grounds and killing half a dozen Hamas members.  The Israeli government was advised by its highest intelligence officials that the truce could be renewed by easing the criminal blockade and ending military attacks.  But the government of Ehud Olmert, reputedly a dove, chose to reject these options, preferring to resort to its huge comparative advantage in violence: Operation Cast Lead.  The basic facts are reviewed once again by foreign policy analyst Jerome Slater in the current issue of the Harvard-MIT journal International Security.

 The pattern of bombing under Cast Lead was carefully analyzed by the highly informed and internationally respected Gazan human rights advocate Raji Sourani.  He points out that the bombing was concentrated in the north, targeting defenseless civilians in the most densely populated areas, with no possible military pretext.  The goal, he suggests, may have been to drive the intimidated population to the south, near the Egyptian border.  But the Samidin stayed put, despite the avalanche of US-Israeli terror.

A further goal might have been to drive them beyond.  Back to the earliest days of the Zionist colonization it was argued across much of the spectrum that Arabs have no real reason to be in Palestine; they can be just as happy somewhere else, and should leave – politely “transferred,” the doves suggested.   This is surely no small concern in Egypt, and perhaps a reason why Egypt does not open the border freely to civilians or even to desperately needed materials

Sourani and other knowledgeable sources observe that the discipline of the Samidin conceals a powder keg, which might explode any time, unexpectedly, as the first Intifada did in Gaza in 1989 after years of miserable repression that elicited no notice or concern,

Merely to mention one of innumerable cases, shortly before the outbreak of the Intifada a Palestinian girl, Intissar al-Atar, was shot and killed in a schoolyard by a resident of a nearby Jewish settlement.  He was one of the several thousand Israelis settlers brought to Gaza in violation of international law and protected by a huge army presence, taking over much of the land and scarce water of the Strip and living “lavishly in twenty-two settlements in the midst of 1.4 million destitute Palestinians,” as the crime is described by Israeli scholar Avi Raz. The murderer of the schoolgirl, Shimon Yifrah, was arrested, but quickly released on bail when the Court determined that “the offense is not severe enough” to warrant detention.  The judge commented that Yifrah only intended to shock the girl by firing his gun at her in a schoolyard, not to kill her, so “this is not a case of a criminal person who has to be punished, deterred, and taught a lesson by imprisoning him.” Yifrah was given a 7-month suspended sentence, while settlers in the courtroom broke out in song and dance.  And the usual silence reigned.  After all, it is routine.

And so it is.  As Yifrah was freed, the Israeli press reported that an army patrol fired into the yard of a school for boys aged 6 to 12 in a West Bank refugee camp, wounding five children, allegedly intending only “to shock them.” There were no charges, and the event again attracted no attention. It was just another episode in the program of “illiteracy as punishment,” the Israeli press reported, including the closing of schools, use of gas bombs, beating of students with rifle butts, barring of medical aid for victims; and beyond the schools a reign of more severe brutality, becoming even more savage during the Intifada, under the orders of Defense Minister Yitzhak Rabin, another admired dove.

My initial impression, after a visit of several days, was amazement, not only at the ability to go on with life, but also at the vibrancy and vitality among young people, particularly at the university, where I spent much of my time at an international conference.  But there too one can detect signs that the pressure may become too hard to bear.  Reports indicate that among young men there is simmering frustration, recognition that under the US-Israeli occupation the future holds nothing for them.  There is only so much that caged animals can endure, and there may be an eruption, perhaps taking ugly forms — offering an opportunity for Israeli and western apologists to self-righteously condemn the people who are culturally backward, as Mitt Romney insightfully explained.

Gaza has the look of a typical third world society, with pockets of wealth surrounded by hideous poverty.  It is not, however, “undeveloped.” Rather it is “de-developed,” and very systematically so, to borrow the terms of Sara Roy, the leading academic specialist on Gaza.  The Gaza Strip could have become a prosperous Mediterranean region, with rich agriculture and a flourishing fishing industry, marvelous beaches and, as discovered a decade ago, good prospects for extensive natural gas supplies within its territorial waters.   

By coincidence or not, that is when Israel intensified its naval blockade, driving fishing boats toward shore, by now to 3 miles or less.

The favorable prospects were aborted in 1948, when the Strip had to absorb a flood of Palestinian refugees who fled in terror or were forcefully expelled from what became Israel, in some cases expelled months after the formal cease-fire. 

In fact, they were being expelled even four years later, as reported in Ha’aretz (25.12.2008), in a thoughtful study by Beni Tziper on the history of Israeli Ashkelon back to the Canaanites.  In 1953, he reports, there was a “cool calculation that it was necessary to cleanse the region of Arabs.” The original name, Majdal, had already been “Judaized” to today’s Ashkelon, regular practice.

That was in 1953, when there was no hint of military necessity.  Tziper himself was born in 1953, and while walking in the remnants of the old Arab sector, he reflects that “it is really difficult for me, really difficult, to realize that while my parents were celebrating my birth, other people were being loaded on trucks and expelled from their homes.”

Israel’s 1967 conquests and their aftermath administered further blows.  Then came the terrible crimes already mentioned, continuing to the present day.

The signs are easy to see, even on a brief visit.  Sitting in a hotel near the shore, one can hear the machine gun fire of Israeli gunboats driving fishermen out of Gaza’s territorial waters and towards shore, so they are compelled to fish in waters that are heavily polluted because of US-Israeli refusal to allow reconstruction of the sewage and power systems that they destroyed.

The Oslo Accords laid plans for two desalination plants, a necessity in this arid region.  One, an advanced facility, was built: in Israel.  The second one is in Khan Yunis, in the south of Gaza.  The engineer in charge of trying to obtain potable water for the population explained that this plant was designed so that it cannot use sea water, but must rely on underground water, a cheaper process, which further degrades the meager aquifer, guaranteeing severe problems in the future.  Even with that, water is severely limited.  The United Nations Relief and Works Agency (UNRWA), which cares for refugees (but not other Gazans), recently released a report warning that damage to the aquifer may soon become “irreversible,” and that without remedial action quickly, by 2020 Gaza may not be a “liveable place.”

Israel permits concrete to enter for UNRWA projects, but not for Gazans engaged in the huge reconstruction needs. The limited heavy equipment mostly lies idle, since Israel does not permit materials for repair.  All of this is part of the general program described by Israeli official Dov Weisglass, an adviser to Prime Minister Ehud Olmert, after Palestinians failed to follow orders in the 2006 elections: “The idea,” he said, “is to put the Palestinians on a diet, but not to make them die of hunger.” That would not look good.

And the plan is being scrupulously followed.  Sara Roy has provided extensive evidence in her scholarly studies.  Recently, after several years of effort, the Israeli human rights organization Gisha succeeded to obtain a court order for the government to release its records detailing plans for the diet, and how they are executed.  Israel-based journalist Jonathan Cook summarizes them: “Health officials provided calculations of the minimum number of calories needed by Gaza’s 1.5 million inhabitants to avoid malnutrition. Those figures were then translated into truckloads of food Israel was supposed to allow in each day… an average of only 67 trucks – much less than half of the minimum requirement – entered Gaza daily. This compared to more than 400 trucks before the blockade began.” And even this estimate is overly generous, UN relief officials report.

The result of imposing the diet, Mideast scholar Juan Cole observes, is that “[a]bout ten percent of Palestinian children in Gaza under 5 have had their growth stunted by malnutrition….in addition, anemia is widespread, affecting over two-thirds of infants, 58.6 percent of schoolchildren, and over a third of pregnant mothers.” The US and Israel want to ensure that nothing more than bare survival is possible.

“What has to be kept in mind,” observes Raji Sourani, “is that the occupation and the absolute closure is an ongoing attack on the human dignity of the people in Gaza in particular and all Palestinians generally.  It is systematic degradation, humiliation, isolation and fragmentation of the Palestinian people.” The conclusion is confirmed by many other sources.  In one of the world’s leading medical journals, The Lancet, a visiting Stanford physician, appalled by what he witnessed, describes Gaza as “something of a laboratory for observing an absence of dignity,” a condition that has “devastating” effects on physical, mental, and social wellbeing. “The constant surveillance from the sky, collective punishment through blockade and isolation, the intrusion into homes and communications, and restrictions on those trying to travel, or marry, or work make it difficult to live a dignified life in Gaza.” The Araboushim must be taught not to raise their heads.

There were hopes that the new Morsi government in Egypt, less in thrall to Israel than the western-backed Mubarak dictatorship, might open the Rafah crossing, the sole access to the outside for trapped Gazans that is not subject to direct Israeli control.  There has been slight opening, but not much.  Journalist Laila el-Haddad writes that the re-opening under Morsi, “is simply a return to status quo of years past: only Palestinians carrying an Israeli-approved Gaza ID card can use Rafah Crossing,” excluding a great many Palestinians, including el-Haddad’s family, where only one spouse has a card.

Furthermore, she continues, “the crossing does not lead to the West Bank, nor does it allow for the passage of goods, which are restricted to the Israeli-controlled crossings and subject to prohibitions on construction materials and export.” The restricted Rafah crossing does not change the fact that “Gaza remains under tight maritime and aerial siege, and continues to be closed off to the Palestinians’ cultural, economic, and academic capitals in the rest of the [occupied territories], in violation of US-Israeli obligations under the Oslo Accords.”

The effects are painfully evident.  In the Khan Yunis hospital, the director, who is also chief of surgery, describes with anger and passion how even medicines are lacking for relief of suffering patients, as well as simple surgical equipment, leaving doctors helpless and patients in agony.  Personal stories add vivid texture to the general disgust one feels at the obscenity of the harsh occupation.  One example is the testimony of a young woman who despaired that her father, who would have been proud that she was the first woman in the refugee camp to gain an advanced degree, had “passed away after 6 months of fighting cancer aged 60 years. Israeli occupation denied him a permit to go to Israeli hospitals for treatment. I had to suspend my study, work and life and go to set next to his bed. We all sat including my brother the physician and my sister the pharmacist, all powerless and hopeless watching his suffering. He died during the inhumane blockade of Gaza in summer 2006 with very little access to health service. I think feeling powerless and hopeless is the most killing feeling that a human can ever have. It kills the spirit and breaks the heart. You can fight occupation but you cannot fight your feeling of being powerless. You can’t even dissolve that feeling.”

Disgust at the obscenity, compounded with guilt: it is within our power to bring the suffering to an end and allow the Samidin to enjoy the lives of peace and dignity that they deserve.

 Noam Chomsky visited the Gaza Strip on October 25-30, 2012

 

 

Perino: Torino-Lione intoccabile, è il bancomat dei partiti

http://www.libreidee.org/2012/12/perino-torino-lione-intoccabile-e-il-bancomat-dei-partiti/?utm_source=feedburner&utm_medium=twitter&utm_campaign=twitter+%28LIBRE+-+associazione+di+idee%29

 

E’ l’ennesima “piccola storia ignobile”, si lamenta Giunti: l’incontro universitario, promosso dagli studenti di Milano per il 12 dicembre insieme Alberto Perinoal più noto trasportista italiano, il professor Marco Ponti – un tecnico che, conti alla mano, “demolisce” le presunte ragioni della ferrovia più faraonica d’Italia – è stato rinviato in data da destinarsi perché i ragazzi dell’ateneo milanese «non riescono a trovare nessuno che parli in difesa della Torino-Lione». Paura di confrontarsi coi No-Tav? E dire che il Politecnico di Milano è «quanto di più scientifico, obiettivo e garantista si possa avere: un tempio del raziocinio e della ragione». Ci sarebbe da ridere, aggiunge Luca Giunti, se non ci fossero in ballo 26 miliardi di euro, tutto debito pubblico che la Corte dei Conti francese reputa una spesa folle e non giustificabile, dato il crollo storico del traffico merci attraverso le Alpi occidentali. «Se fossimo appena normali, neanche seri, un’opera che costa così tanto e non riesce ad essere giustificata in nessun confronto pubblico dovrebbe essere semplicemente abbandonata e i proponenti derisi per l’eternità», conclude Giunti, registrando anche l’imbarazzo degli (incolpevoli) studenti milanesi.

Invece: alla vigilia della mobilitazione internazionale No-Tav di Lione, con la storica adesione dei francesi – ambientalisti e amministratori locali – ecco che il movimento valsusino finisce ancora una volta tra le pagine della cronaca giudiziaria: sono 19 i militanti denunciati, e qualcuno costretto ai domiciliari, per reati contestati durante le proteste del febbraio scorso, all’epoca dell’occupazione dell’autostrada del Fréjus. «E’ un’inchiesta ad orologeria», insiste Lele Rizzo: «Si tenta sempre di indebolire il movimento proprio mentre fa delle proposte effettive di mobilitazione, ottenendo peraltro un consenso che continua a crescere: non solo in valle di Susa, ma in tutta Italia, anche se si vorrebbe dimostrare il contrario». Aggiunge Davide Bono, capogruppo dei “grillini” alla Regione Piemonte: «In questo paese, le uniche costruzioni abusive che vengono sequestrate e abbattute nel giro di 24 ore sono quelle messe in piedi dal movimento No-Tav». L’allusione è ai sigilli subito apposti al nuovo “presidio” di Chiomonte, allestito al posto della “baita” della Maddalena, simbolo dell’opposizione al cantiere del super-treno. Secondo Bono, «i soliti blitz condotti di notte o all’alba» coinvolgono «persone che neanche hanno partecipato ai fatti contestati», in questo caso presunte Davide Bonointimidazioni nei confronti di una troupe video del “Corriere della Sera” e l’irruzione dimostrativa in un ufficio torinese di progettazione cantieristica.

«Speriamo che, da domani, la giustizia possa essere uguale per tutti», aggiunge Bono, secondo cui c’è evidentemente «una regia più alta» dietro a quella che i No-Tav definiscono una vera e propria “persecuzione”. Magari, sostiene il consigliere regionale del “Movimento 5 Stelle”, è una “regia” che «viene direttamente da Roma» – leggasi: governo tecnico. «Mi sbaglierò», ripete Alberto Perino, ma «c’è la sensazione che la magistratura di Torino sia al servizio dei poteri forti», quelli che vogliono la Torino-Lione ad ogni costo, senza mai riuscire a dimostrarne l’utilità. Magistratura «al servizio» di Ltf, la società Lyon-Turin Ferroviaire, e addirittura «del Pd»? «Queste grandi opere – sottolinea Perino – sono il bancomat dei partiti, così come hanno dimostrato tutte le inchieste giudiziarie che si stanno svolgendo in tutta Italia, meno che a Torino». Solo una settimana prima, nell’ambito di un forum pubblico promosso dalla Cna torinese sul tema della penetrazione della mafia al nord, il procuratore aggiunto Alberto Perduca – coordinatore della clamorosa inchiesta “Minotauro” che ha svelato intrecci pericolosi fra imprese, politica e ‘ndrangheta in terra piemontese – ha dedicato alla valle di Susa solo un veloce passaggio, citando il caso del Consiglio comunale di Bardonecchia, il primo – a nord del Po – ad essere disciolto (già negli anni ’90) per infiltrazioni mafiose.

Se i No-Tav si sentono “criminalizzati” da una magistratura che reputano “distratta”, a causa di “indagini a senso unico”, uno scrittore come Massimo Carlotto avverte: «Le grandi opere come la Torino-Lione sono un’occasione d’oro per riciclare denaro sporco senza il minimo rischio d’impresa». Ma attenzione: «La mafia non potrebbe riuscirci, senza gli appoggi di cui gode in importanti settori della politica, dell’industria e della finanza». Il sociologo Marco Revelli, presente come osservatore il 26 giugno 2011 allo sgombero del sito della Maddalena di Chiomonte, ha ripetuto le sue sensazioni di quel giorno nello studio de “L’Infedele”, la trasmissione condotta su La7 da Gad Lerner: «E’ stato sconcertante – ha detto Revelli – ascoltare cori come “Via la mafia dalla val Susa”, esplosi spontaneamente non appena i militanti hanno creduto di riconoscere le aziende proprietarie delle ruspe salite fin lassù ad effettuare lo sgombero, sotto la protezione di duemila agenti antisommossa, cioè dello Stato». Una settimana dopo, su quelle stesse montagne ci furono i drammatici scontri del 3 luglio, con centinaia di feriti. Sette mesi dopo, la prima raffica di arresti: che Livio Pepino, alto magistrato Livio Pepinotorinese ora a riposo, ha definito una misura sostanzialmente discrezionale e quindi non inevitabile, dando fiato alle polemiche contro il palazzo di giustizia di Torino.

Sullo sfondo, purtroppo, resta completamente irrisolto il nodo della Torino-Lione: spiegazioni chiare sulla presunta utilità dell’opera avrebbero risparmiato anni di proteste e di tensioni. Il premier Mario Monti e il presidente Napolitano hanno evitato di dare risposte esaurienti all’appello di 360 tecnici e docenti dell’università italiana: il progetto della linea Tav transalpina, nato all’inizio degli anni ’90 sulla base di previsioni di traffico già allora “gonfiate”, risulta oggi un’assurdità totale, che ha il sapore della beffa data la catastrofe quotidiana dell’eurocrisi. «Se qualcuno mi parla ancora di Tav – scrisse Giorgio Bocca nel 2005, quando la popolazione della valle di Susa si sollevò contro la repressione paralizzando i lavori – tiro fuori il mio vecchio Thompson dal pozzo in cui l’avevo infilato il 25 aprile del ‘45». Giorgio Bocca se n’è andato, ma lo spettro della Torino-Lione è ancora lì a sfidare il Giorgio Boccabuon senso: vent’anni di cantieri devastanti, col rischio di ridurre a un deserto un’area in cui vivono centomila italiani.

«In base alla legge – ricorda Marina Clerico, docente del Politecnico di Torino e assessore della Comunità Montana valsusina – nessun amministratore pubblico potrebbe mai autorizzare un maxi-cantiere come quello del Tav: anche solo per il rumore, le polveri e i disagi nelle comunicazioni, a due passi dai centri abitati, sarebbe come insediare una gigantesca industria dall’impatto devastante, e senza ancora parlare del rischio rappresentato dalla presenza nel sottosuolo di minerali come l’amianto e l’uranio, per non citare l’interrogativo dell’acqua: la stessa Ltf garantisce solo che gli operai lavorerebbero all’asciutto, ma ammette di non poter affatto assicurare che non verrebbero minacciate le riserve idriche della valle». Peggio ancora: secondo Luca Rastello, di “Repubblica”, l’opera sarebbe davvero realizzabile «solo in caso di golpe», dal momento che finirebbe per «tagliare la falda idropotabile che, a valle, alimenta la città di Torino». Se il bilancio finanziario sarebbe sanguinoso, si pretende di far avanzare i cantieri nel silenzio totale della politica e senza mai uno straccio di spiegazione, mentre la rotta Italia-Francia è ormai totalmente disertata dalle merci. Così, la lobby-Tav è sempre più a corto di argomenti, dalla valle di Susa fino al Politecnico di Milano.