L’Apollo: emozione e tristezza.

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L’Apollo: emozione e tristezza.
 
  • Recentemente, trovandomi a Los Angeles, sono andato al California Science Center, per vedere i resti di quelli che furono i grandi sogni dell’esplorazione spaziale americana degli anni 60.

    Adesso, al Science Center, qui a Los Angeles, è stato appena traslato uno degli Shuttle, l’Endeavour, dopo che lo Space Shuttle, sistema in serivzio addirittura dall’inizio degli anni 80,  è stato messo definitivamente in pensione  il 21 luglio 2011 con l’ultimo volo  del vettore Atlantis. Per le  esplorazioni spaziali future, la NASA  dice che userà un nuovo razzo che verrà chiamato SLS (Space Launch System). Primo volo umano previsto: addirittura nel 2022. Quando l’ho sentito, ho pensato: sarò quasi un vecchio!

    La capsula spaziale Apollo

    La capsula spaziale Apollo

    Io sono nato nel 1961 e sono cresciuto – da bambino – con il grande mito delle esplorazioni spaziali. Il 12 aprile 1961 il sovietico Yuri Gagarin con la navicella Vostok 1 fu il primo uomo nello spazio. Da parte americana – ed iniziò una grande competizione fra le due potenze – seguirono Alan Shepard sempre nel 1961 e John Glenn nel febbraio dell’anno seguente, con le capsule “Mercury”. Seguirono poi, rapidissimamente, e con grande abbondanza di fondi a disposizione della NASA, i progetti Gemini e Apollo, con moltissime missioni, sempre seguite dalla stampa e dalla televisione, mentre i sovietici cercavano di “competere”, ma con molte meno risorse a disposizione.

    Io ero davanti alla televisione, bimbo di otto anni, eccezionalmente nonostante l’ora, quando il 20 luglio 1969 Neil Armstrong ed Edwin “Buzz” Aldrin, con il LEM dell’Apollo 11, sbarcarono sulla Luna. Come tutto il mondo, credo.

    Poche missioni Apollo seguirono, fra cui la famigerata e famosa Apollo 13, che per poco non uccise i tre astronauti, e pian piano il silenzio calò su quelle imprese e l’interesse venne meno. I costi erano enormi, e non si trovavano motivazioni adeguate per continuare ad andare nello spazio in quel modo.

    Vi furono i “laboratori spaziali” Salyut sovietico e Skylab statunitense, ma poi ci si rese conto che sia per il costo elevato, sia per la tecnologia disponibile, era molto più conveniente usare sonde automatiche. Le sonde Pioneer aprirono la strada verso lo spazio profondo, seguite dai Voyager ed altri. Nel 1976, la sonda automatica Viking sbarco su Marte, quello stesso pianeta dove, verso la fine degli anni 60, la NASA sosteneva di poter sbarcare con esseri umani “entro il 1980″.

    La capsula spaziale Gemini

    La capsula spaziale Gemini

    Poi vi furono gli Shuttle, in servizio per addirittura un trentennio, con un paio di missioni funestate da incidenti che uccisero gli equipaggi.

    Vi è poi una storia più recente, ma sicuramente priva dell’emozione e del significato di allora, almeno per me.

    Al Science Center, oggi, ho visto una capsula Mercury del 1961, una Gemini del 1965 e – grande emozione – una navicella Apollo della fine degli anni 60.

    Vedere la tecnologia che era allora l’avanguardia mi ha fatto una grande impressione: una grande emozione perché mi sono risentito bambino, e mi parevano rieccheggiare le voci lontane, incomprensibili e laconiche degli astronauti di allora, ogni frase intervallata da un “bip!”, e le trasmissioni televisive in bianco e nero, i giornali, la sensazione, per un bambino, che il futuro sarebbe stato una crescita continua verso un inarrestabile e vertiginoso “progresso”.

    Non è stato così. L’Apollo è un vecchio pezzo da museo, e anche lo Shuttle lo è diventato. Il Concorde non vola più. Abbiamo scoperto tristemente, ma forse anche saggiamente, quanto dicevano proprio in quegli anni di grande entusiasmo il nostro Aurelio Peccei, o il grande Barry Commoner e molti altri: i limiti dello sviluppo.

    La capsula spaziale Mercury, del 1961

    La capsula spaziale Mercury, del 1961

    La Terra, quella in cui viviamo in tanti miliardi, ha risorse limitate. Non possiamo permetterci grandi fughe nello spazio, o grandi e veloci fughe di ogni tipo. Abbiamo molti problemi da risolvere qui: fame, ingiustizia, povertà, esaurimento delle risorse, solo per citare qualche parola. La grande velocità, i grandi consumi di risorse e di energie non fanno per noi. Non tutti se ne sono ancora resi conto, temo, nel cosiddetto “primo mondo”: ma una visita a quello che fu il sogno spaziale americano può essere, da questo punto di vista, molto istruttiva.

    Ho salutato la cara vecchia capsula spaziale Apollo dei miei sogni di bambino, pensando: il futuro che ci avevano raccontato non si è avverato quasi per nulla. E forse questo è proprio l’insegnamento principale che la mia generazione, insieme a quelle successive, può trarre da quelle avventure: dobbiamo trovare un altro modo per volare, per andar lontano, per progredire:  ma non alla maniera di quegli astronauti.

L’Apollo: emozione e tristezza.ultima modifica: 2012-12-10T07:55:00+01:00da davi-luciano
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