Droni Usa nei cieli iraniani

I Pasdaran annunciano la cattura di un velivolo che aveva sconfinato. Washington smentisce, ma ci sono dei precedenti 

Ferdinando Calda

Le forze armate dell’Iran hanno catturato un drone statunitense che volava sulle acque territoriali iraniane del Golfo Persico. Lo hanno annunciato ieri i Guardiani della Rivoluzione in un comunicato. Poco dopo la televisione iraniana Al Alam ha diffuso le immagini di quello che sembra uno ScanEagle (piccolo drone statunitense) intatto in un hangar.
Da Washington hanno smentito di aver perso alcun velivolo, tenendo a sottolineare che le operazioni statunitensi nell’area “sono limitate nello spazio aereo e sulle acque riconosciute come internazionali” e non violano lo spazio aereo iraniano. Tuttavia proprio il giorno prima la stampa Usa aveva riferito dell’aumento delle operazioni di spionaggio sopra alla centrale nucleare di Bushehr, città nel sud-ovest dell’Iran sulle sponde del Golfo Persico. Inoltre già in precedenza gli iraniani hanno denunciato violazioni del loro spazio aereo da parte di droni statunitensi. E non sarebbe neanche la prima volta che gli Usa compiono “incursioni” in territorio iraniano per spiare le attività di Teheran o per testarne le reazioni.
“Il velivolo senza pilota statunitense che pattugliava le acque del Golfo Persico, in missione di ricognizione e raccolta di materiale di intelligence, è stato catturato e posto sotto il controllo delle unità di difesa aerea (iraniane) dopo che aveva violato lo spazio aereo del Paese”, ha dichiarato il comandante della Marina dei Pasdaran, il contrammiraglio Ali Fadavi. Nel comunicato non viene specificato come sia stato catturato il velivolo, ma si precisa che si tratta di uno ScanEagle. Questo è un piccolo drone della Boeing, di solito imbarcato a bordo di navi della marina statunitense, delle dimensioni di un grosso modellino e senza un particolare valore economico o strategico. Una preda certo meno prestigiosa del sofisticatissimo RQ-170 Sentinel, soprannominato “la Bestia di Kandahar”, finito nelle mani iraniane esattamente un anno fa.
Tuttavia la notizia della sua cattura, insieme alle immagini che la confermerebbero, rappresenta un nuovo potenziale motivo di imbarazzo per gli Stati Uniti. Sia perché dimostrerebbe un nuovo fallimento del Pentagono, che avrebbe così perso (o si sarebbe addirittura fatto dirottare) un altro drone. Ma anche perché sarebbe la prova delle violazioni territoriali statunitensi in Iran. Proprio lunedì scorso il Wall Street Journal ha scritto che negli ultimi due mesi gli Stati Uniti hanno rafforzato le loro operazioni di intelligence sulla centrale nucleare iraniana di Bushehr, lanciando diversi droni per registrare immagini e comunicazioni audio provenienti dal sito.
Il 19 novembre l’Iran ha inviato al segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, una protesta formale per le ripetute violazioni statunitensi dello spazio aereo iraniano. Un paio di settimane prima un drone Predator statunitense in volo sul Golfo Persico era stato intercettato e bersagliato dai caccia iraniani, senza però riportare danni. Secondo Washington, che per primo ha denunciato l’accaduto, il velivolo si trovava in acque internazionali, ma Teheran sostiene che fosse penetrato in territorio iraniano. “I voli di ricognizione sulle acque internazionali del Golfo continueranno”, chiarì in quell’occasione il Pentagono, avvertendo Teheran dell’esistenza di “una vasta gamma di opzioni, dalla diplomazia all’azione militare, per proteggere navi e aerei statunitensi nella zona”.
 
Le provocazioni Usa e gli esempi del passato
 
Le manovre delle forze armate statunitensi nel Golfo Persico hanno il duplice scopo di mantenere costante la pressione e la sorveglianza sulla Repubblica Islamica, e allo stesso tempo di provocare una reazione iraniana per testare la prontezza e la capacità delle forze armate di Teheran. Uno schema già sperimentato durante la guerra Iraq-Iran – con Usa e alleati schierati al fianco dell’Iraq di Saddam Hussein – e che venne alla luce quando, nel luglio del 1988, l’incrociatore statunitense Vincennes abbatté per errore l’aereo civile della Iran Air (volo IR655) sullo stretto di Hormuz. Le inchieste successive, soprattutto le testimonianze del capitano della nave, evidenziarono che la presenza stessa della Uss Vincennes in acque iraniane faceva parte di una deliberata manovra provocatoria per testare le capacità di reazione della difesa di Teheran. Nel contesto attuale, simili provocazioni potrebbero essere utilizzate da Washington anche per trovare un casus belli che giustifichi un’eventuale rappresaglia militare (senza necessariamente scatenare una guerra), come durante l’operazione Mantide Religiosa. Pochi mesi prima dell’incidente del volo IR655, l’incrociatore statunitense Samuel B. Roberts si scontrò con una mina iraniana nel Golfo Persico, riportando danni significativi ma riparabili. Gli Usa risposero con una violenta rappresaglia che prese di mira tra l’altro un paio di piattaforme petrolifere iraniane, e che venne considerata sproporzionata e “ingiustificata” anche da una sentenza della Corte Internazionale di Giustizia.


05 Dicembre 2012 12:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=18193

Droni Usa nei cieli iranianiultima modifica: 2012-12-06T21:00:00+01:00da davi-luciano
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