Consulta e Quirinale: due facce della stessa medaglia. Di piombo.

– di Lorenzo Baldo –

 L’esito scontato della Consulta che ha bocciato il ricorso della Procura di Palermo seguendo le indicazioni legate all’art. 271 del codice di procedura penale sulle intercettazioni vietate dà lo spunto per un’ampia riflessione. Con un colpo di spugna è stata respinta la tesi dall’avvocato Alessandro Pace che ha tentato invano di dimostrare come il ricorso del Quirinale potesse avere effetti assurdi.

 Prima di tutto, ha sottolineato Pace, “un fatto fortuito“, come incappare nel presidente della Repubblica intercettando una terza persona, “non può essere oggetto di divieto. E’ mai possibile vietare di scivolare accidentalmente su una strada ghiacciata?”. Nella parte conclusiva del suo intervento Pace si è domandato che cosa dovrebbero fare i magistrati se intercettassero una conversazione del presidente della Repubblica che complotta per un golpe. Eliminare i files? Quindi se questo “surplus di garanzie” dovesse valere anche per ministri e premier, i pm non potrebbero più intercettare nessun sospettato che avesse contatti con loro? Secondo il legale della procura palermitana un iter “lineare” sarebbe stato, se mai, quello di inoltrare “la richiesta dell’apposizione del segreto di stato da parte del Presidente della Repubblica al Presidente del Consiglio” sul contenuto delle telefonate intercettate. Ma in questo caso sarebbe stato come ammettere la gravità del contenuto di quelle scomode conversazioni tra Giorgio Napolitano e Nicola Mancino. E di fatto il Quirinale si è ben guardato dal farlo. All’indomani della decisione della Consulta, puntuali come sempre, si sono materializzati i commenti dei tanti “difensori di ufficio” del Presidente della Repubblica. A partire dal fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, secondo il quale la critica nei confronti di Napolitano da parte di una certa stampa e di una certa fazione politica sarebbe a tutti gli effetti “una consapevole quanto irresponsabile posizione faziosa ed eversiva che mira a disgregare lo Stato e le sue istituzioni”, una sorta di “fascismo di sinistra”. Sulla stessa onda l’ex magistrato Luciano Violante per il quale in tutta questa vicenda viene fuori “un eccesso di personalizzazione delle indagini” da parte di quei magistrati che evidentemente hanno perso “lucidità” e non hanno visto “i limiti costituzionali nell’azione della pubblica accusa”. A stretto giro di posta l’Anm si è affrettata a dichiarare quanto sia “del tutto fuori luogo” e financo “impossibile” attribuire alla decisione della Consulta un significato politico. Dello stesso avviso il Csm che ha difeso a spada tratta la Corte Costituzionale invocando il “regolamento dei confini tra poteri dello Stato”. In mezzo a questo delirio di comunicati stampa si sta tentando di nascondere la causa scatenante di questa ingerenza del Quirinale nei confronti della Procura di Palermo. Il bieco obiettivo resta quello di far dimenticare che in alcune telefonate il privato cittadino Nicola Mancino – ex ministro ed ex vice presidente del Csm – chiedeva aiuto al Colle per evitare il confronto con Claudio Martelli in merito alle indagini sulla trattativa Stato-mafia, fino a tentare di far togliere la suddetta inchiesta alla Procura di Palermo. Una questione gravissima e soprattutto di rilevanza politico-istituzionale. Che in un altro Paese avrebbe imposto al presidente della Repubblica l’obbligo di trasmettere ai cittadini il contenuto delle sue conversazioni con il signor Mancino. Lo scorso 17 agosto il noto giurista, Gustavo Zagrebelsky, ex giudice della Corte Costituzionale, aveva predetto immancabilmente la sentenza della Consulta basandosi su dati oggettivi. “Qui, si tratta della posizione nel sistema costituzionale del Presidente – scriveva Zagrebelsky su Repubblica – , in una controversia che lo coinvolge tanto come istituzione, quanto come persona”. Per l’ex membro della Consulta si trattava di “un giudizio nel quale una parte getta tutto il suo peso, istituzionale e personale, che è tanto, sull’altra, l’autorità giudiziaria, il cui peso, al confronto, è poco”. Secondo il giurista al di là degli argomenti giuridici l’esito era “scontato” in quanto “nel momento stesso in cui il ricorso è stato proposto, è stato anche già vinto”. “Una sola norma – spiegava Zagrebelsky – tratta espressamente delle conversazioni telefoniche del presidente della Repubblica e della loro intercettazione, con riguardo al Presidente sospeso dalla carica dopo essere stato posto sotto accusa per attentato alla Costituzione o alto tradimento. ‘In ogni caso’, dice la norma, l’intercettazione deve essere disposta da un tale ‘Comitato parlamentare’ che interviene nel procedimento d’accusa con poteri simili a quelli d’un giudice istruttore. Nient’altro. Niente sulle intercettazioni fuori del procedimento d’accusa; niente sulle intercettazioni indirette o casuali (quelle riguardanti chi, non intercettato, è sorpreso a parlare con chi lo è); niente sull’utilizzabilità, sull’inutilizzabilità nei processi; niente sulla conservazione o sulla distruzione dei documenti che ne riportano i contenuti. Niente di niente”. Ed è proprio attorno a quel “niente” che paradossalmente oggi assume i contorni di un perno giuridico di acciaio che tanti pavidi, collusi e quaquaraquà si allineano per sferrare un nuovo attacco nei confronti di un pugno di magistrati ostinati a scandagliare il fondo putrido di questa Repubblica. Siamo di fronte alla dimostrazione plastica di una “ragione politica” che prevale su quella giuridica e che impone di dare ragione al presidente della Repubblica. La sentenza della Consulta rappresenta a tutti gli effetti una sconfitta del diritto e della Costituzione. L’obiettivo di fermare il pool di magistrati che investiga sulla trattativa Stato-mafia passa prepotentemente anche attraverso questa vergognosa sentenza sulla quale la società civile ha l’obbligo morale di tenere alta la guardia.

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Tratto da: Consulta e Quirinale: due facce della stessa medaglia. Di piombo. | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2012/12/06/consulta-e-quirinale-due-facce-della-stessa-medaglia-di-piombo/#ixzz2EISY1xAD 

– Nel tempo dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario! 

 TRATTATIVA STATO MAFIA/ Il Giornale vuole isolare Ingroia. Di Pietro il solo a difenderlo

        

Scritto da Viviana Pizzi

Giovedì 06 Dicembre 2012

Dopo la decisione della Consulta di dichiarare illegittime le intercettazioni avvenute a carico del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nell’affaire trattativa Stato Mafia– ne deduciamo quindi che in Italia qualcuno è più uguale degli altri – l’ex pm di Palermo, oggi in Guatemala Ingroia, ha parlato di sentenza già scritta e difeso il suo lavoro. Ma gli sciacalli de Il Giornale hanno colto la palla al balzo per isolare il magistrato e scatenare una campagna mediatica contro di lui. Risultato: Ingroia è isolato e a difenderlo resta, come al solito verrebbe da dire, Antonio Di Pietro.

 di Viviana Pizzi

 Contro di lui, oltre ai due principali partiti politici, anche il Csm e l’Anm.

 La prima ad esprimersi è stata però il ministro dell’interno Anna Maria Cancellieri sottolineando come la sentenza fosse  “una cosa molto bella ed attesa”. Cassa di risonanza a queste dichiarazioni è arrivata da quelle del presidente del Csm Michele Vietti secondo il quale “la Corte Costituzionale è una della massime istituzioni della Repubblica, la sua autonomia e indipendenza non possono essere messe in discussione da nessuno, in particolare da chi ricopre incarichi pubblici”.

 Non è da meno Rodolfo Sabelli presidente dell’Anm che afferma: “La Corte per indipendenza e autorevolezza dà ogni garanzia non si può parlare di decisione politica, né intendere il conflitto in termini di contrapposizione tra poteri dello Stato”.

 IL DISPOSITIVO DELLA SENTENZA  E LE INDAGINI SULLA TRATTATIVA

 antonio_ingroia_isolatoCosa recita il dispositivo della Corte Costituzionale? L’organo giudiziario non ha fatto altro che accogliere il ricorso del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sul conflitto di attribuzione con la Procura di Palermo in merito alle intercettazioni telefoniche a carico del senatore Nicola Mancino. Che per ben quattro volte è stato ascoltato parlare con il Capo del Quirinale. L’ex senatore, che figura tra i dodici indagati, si era rivolto al Colle per discutere sull’inchiesta sulla trattativa Stato Mafia che sarebbe avvenuta all’indomani delle stragi del 1992- 1993.

 Lo Stato e la Mafia, secondo le indagini della procura siciliana, sarebbero giunti ad un accordo che avrebbe previsto la fine della stagione stragista in cambio di un’attenuazione delle misure detentive previste dall’articolo 41 bis.

 Dopo anni di indagini iniziate all’inizio del nuovo millennio il 24 luglio il sostituto procuratore di Palermio Antonio Ingroia, ha chiesto il rinvio a giudizio per 12 indagati con l’accusa di “concorso esterno in associazione mafiosa” e”violenza o minaccia a corpo politico dello Stato”.

 Questi i nomi degli indagati: l’ex ministro DC Calogero Mannino, il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri; gli ex ufficiali del Ros Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno; i boss Giovanni Brusca, Totò Riina, Leoluca Bagarella, Antonino Cinà, Bernardo Provenzano.

 Massimo Ciancimino, oltre che di “concorso in associazione mafiosa”, è accusato anche di “calunnia” nei confronti dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro mentre l’ex ministro Nicola Mancino è accusato di “falsa testimonianza”.

 LA FIGURA DI NAPOLITANO

 La Corte ha accolto il principio dell’inviolabilità della riservatezza del Capo dello Stato anche nel caso in cui le intercettazioni riguardino l’interlocutore ( in questo caso Mancino) che si era messo in contatto col Quirinale.

 E’emerso quindi una verità inconfutabile: la  Corte Costituzionale ha sancito che la sua figura è intoccabile e che non sarà mai possibile sapere, tramite le inchieste delle procure ordinarie, quali sono i contenuti delle sue telefonate. Nemmeno se queste dovessero presentare profili di illecito.

 Quelle tra lui e Mancino ora saranno distrutte e dichiarate inutilizzabili ma da questo emerge una verità dura ma costituzionalmente accettabile: “Napolitano (come i Presidenti della Repubblica che lo avvicenderanno negli anni) è inintercettabile e quindi più uguale degli altri”.

 Vale quindi il principio che se un Capo dello Stato possa commettere reati sarà quasi impossibile saperlo.

 LA REAZIONE DI INGROIA: “SENTENZA POLITICA”

 Non è stata delle più felici la reazione del pm di Palermo che ha portato avanti la maxinchiesta con dodici indagati.

 Ora che non è più coinvolto nell’inchiesta come magistrato riferendosi alla pronuncia della Corte Costituzionale non ha usato mezzi termini per definirla “sentenza politica”.

 “Bisognerà attendere di leggere le motivazioni –  ha sottolineato-  che saranno depositate a gennaio. Ma è molto probabile che la pronuncia abbia seguito anche un filo per così dire “formale” e che uno dei pilastri della decisione sia proprio l’impossibilità per la Corte costituzionale di contrapporsi al capo dello Stato, pena un “crollo” dell’impianto istituzionale. “Sottigliezze” giuridiche che probabilmente “il popolo” faticherà a comprendere.Che d’altronde fossero questi i termini della questione era abbastanza chiaro sin dall’inizio, come era evidente che la procura di Palermo volesse anche scandagliare questi “abissi”, considerando che da quello che si sa le intercettazioni tra Mancino e Napolitano non avrebbero rilevanza ai fini processuali”.

 Dichiarazioni alle quali si sono contrapposte quelle di Luciano Violante “secondo cui viene fuori un eccesso di personalizzazione delle indagini” e quelle del procuratore capo di Palermo Francesco Messineoche si discosta da Ingroia sostenendo che : ”Le opinioni del dottor Ingroia sono opinioni del dottor Ingroia, io non qualifico le sentenze”.

 LA CAMPAGNA CONTRO INGROIA  DE “IL GIORNALE”

 A gettare benzina sul fuoco e sostenere che Antonio Ingroia sia ormai “un partigiano”, avendo avviato una campagna diffamatoria e tesa a screditare il personaggio ci si mette ancora una volta la stampa. Questa volta a picchiare duro è proprio “Il Giornale” di Alessandro Sallusti noto a tutti per le sue personali controversie giudiziarie.

 I giornalisti di Berlusconi hanno sottolineato la partigianeria di Ingroia non dal punto di vista della Costituzione ma di quel potere politico che appoggia facendo comparsate nelle varie riunioni dei partiti “rossi”. Hanno avviato una raccolta di firme contro il pm della procura di Palermo e in particolare contro frasi che avrebbero accostato “Forza Italia alla mafia senza avere uno straccio di prova” per presentare una causa civile contro di lui.

 LA DIFESA DI ANTONIO DI PIETRO: CON INGROIA NON CONTRO NAPOLITANO

 In difesa di Antonio Ingroia è sceso ancora una volta l’ex pm di mani pulite Antonio Di Pietro. Il presidente dell’Italia dei Valori ha rivendicato con orgoglio la sua facoltà di difendere le posizioni del pm palermitano.

 “Noi siamo i partigiani della nuova resistenza e rivendichiamo, con orgoglio – ha sostenuto-  il diritto di sostenere, senza se e senza ma, Antonio Ingroia per quello che ha scritto, per quello che ha detto e per quello che ha fatto. Noi difendiamo il diritto di ogni cittadino ad esprimere le proprie opinioni anche se si chiama Ingroia ed è per questo che lanciamo la petizione: ‘Io sto con Ingroia’.”

 Per firmare l’appello basta inviare una mail a iostoconingroia@gmail.com

 Sulla sentenza della Corte Costituzionale è invece questa la posizione dell’Italia dei Valori esplicitata nelle scorse ore in una conferenza stampa del presidente Idv insieme al senatore Luigi Li Gotti.

 “Non saremo certo noi a mancare di rispetto a una sentenza, al Capo dello Stato o alla Corte costituzionale – hanno sostenuto- Rispettiamo le sentenze e rispettiamo le istituzioni. Con la massima pacatezza e con tutto il riguardo, però, non possiamo rinunciare a dire ciò che pensiamo e a esprimere le nostra perplessità. Prima di tutto, devo rimarcare che la Corte costituzionale è intervenuta in assenza di una legge tale da colmare un vuoto intepretativo che prosegue ormai da 15 anni. La verità è che oggi una legge che dica chiaramente cosa fare quando nel corso di una intercettazione legittima e autorizzata sulla linea di un privato cittadino viene intercettato anche chi, come il Presidente della Repubblica, non può essere soggetto a intercettazione, in Italia non c’è. Noi dell’Italia dei Valori ci impegniamo pertanto e presentare un progetto di legge, così che sarà il Parlamento sovrano a dissipare una ambiguità che dura da 15 anni. Se la politica lo avesse fatto prima, come era suo dovere, non si sarebbe prodotto questo incidente”.

Consulta e Quirinale: due facce della stessa medaglia. Di piombo.ultima modifica: 2012-12-06T21:00:00+01:00da davi-luciano
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