Il governo dei Bilderberg – L’europa è ormai tutta felicemente conquistata

Il programma messo a punto dalla società segreta Bilderberg nella riunione del maggio 2009 è stato quasi del tutto realizzato. Diciamo meglio: dato che la parte più difficile e tuttavia indispensabile era quella riguardante la liquidazione delle nazioni d’Europa, essere riusciti a impadronirsene è il segnale che ormai l’opera è al sicuro, nulla potrà più ostacolarne il completamento. Le bandierine del Bilderberg sventolano allegramente sui colli e le torri europee più importanti. La Banca centrale europea ne è per certi aspetti il capolavoro. Attraverso la Bce il Bilderberg ha in mano la vita di quasi tutti gli Stati che, con una decisione illegittima e assurda dei loro governanti, hanno rinunciato a battere moneta e si sono consegnati alla volontà di coloro che ne sono i padroni (partecipanti al patrimonio): Beatrice d’Olanda, il principe Constantjin, Sofia di Spagna, Philippe del Belgio, David Rockfeller, Filippo di Edimburgo, Mario Draghi (in quanto partecipante della Banca d’Italia), tutti membri del Bilderberg e presenti alla riunione del 2009. Le partecipazioni degli Stati sono in percentuali minime e forse servono, oltre che a salvare le apparenze, anche a ricompensare i politici per la loro rinuncia alla creazione e alla gestione della moneta.
COSA AVEVANO DECISO I MEMBRI DEL BILDERBERG NELLA RIUNIONE DEL 2009?

Volendo raggiungere come meta finale la realizzazione di un’unica civiltà planetaria, ne erano state predisposte le tappe (ormai per quanto riguarda l’Occidente quasi raggiunte): la distruzione delle identità nazionali, da perseguire attraverso la sovversione dei valori che vi si fondano e l’eliminazione dei singoli Stati; il controllo centralizzato di tutti i sistemi educativi di cui l’avvio è stato dato in Europa con il Trattato di Maastricht e la cosiddetta “armonizzazione” dei programmi scolastici; il ripudio delle discipline storiche e del loro insegnamento in quanto possibile ostacolo nei giovani all’accettazione del Nuovo Ordine Mondiale e al superamento psicoaffettivo del valore della patria, della tradizione, dei costumi in tutti i campi; il controllo delle politiche interne ed estere, come già avviene in Europa attraverso l’esame preventivo delle finanziarie e i vari trattati sui confini, sull’immigrazione, sull’uguaglianza dei diritti; una lingua unica, che è quella già in uso e che a poco a poco tutti sono obbligati ad adoperare: l’inglese. Il perno sul quale i bilderberghiani si fondano in tutti i loro progetti è però sempre quello finanziario visto che, tramite le banche e le speculazioni di Borsa, riescono a guidare concretamente ogni tipo di politica riducendo a propri esecutori gli uomini di governo dei singoli Stati. L’instaurazione di un mercato unico e di una moneta unica è quindi la meta più importante; ma essere riusciti, con la creazione dell’euro, a eliminare quasi tutte le monete europee rappresenta la loro vittoria più significativa in quanto segnala che il progetto finale è sulla via del traguardo. Di fatto tutta l’operazione “Unione europea” è stata pensata come una specie di esperimento la cui riuscita avrebbe confortato i progettisti nel proseguire sulla stessa strada. Nessuno creda che le crisi finanziarie, l’impoverimento dei popoli, l’eccesso di tassazione, siano per il Bilderberg segnali negativi, tutt’altro: era programmato che sarebbero stati questi gli strumenti con i quali giungere alla meta. Come abbiamo potuto vedere attraverso quello che è successo in Italia, il colpo di forza con il quale un banchiere è diventato capo del governo ha avuto come “giustificazione” il crescere del debito, il differenziale sempre più alto con i titoli tedeschi; ma per chi è padrone del gioco di Borsa provocare tali squilibri è facilissimo, tanto più quando i manovratori sono d’accordo sul da farsi essendo tutti membri del Bilderberg o dei suoi rami più importanti, quali la Trilateral Commission e l’Aspen Institut: Mario Monti, Mario Draghi, Giorgio Napolitano, Carlo Azeglio Ciampi, Romano Prodi, José Barroso, Giuliano Amato, Vincenzo Visco, Enrico Letta… Tutti nomi citati più volte e da diversi autori, oltre me, negli anni scorsi, quali per esempio Daniel Estulin con il suo “Il Club Bilderberg” pubblicato nel 2005, Marco della Luna con “Euro schiavi” anch’esso del 2005, Elio Lannutti con “La repubblica delle banche” pubblicato nel 2008, senza che nessuno li abbia mai smentiti.
DUNQUE POSSIAMO CONSTATARE CHE TUTTE LE PREVISIONI SI SONO AVVERATE

Gli Stati d’Europa hanno perso la sovranità, l’identità, le loro ricchezze e quelli più difficili da domare a causa della loro creatività, del loro attaccamento alla propria storia, alla propria indipendenza, quali la Grecia, l’Irlanda, la Spagna, l’Italia, sono stati ridotti, tramite la pressione sui titoli sovrani, a dipendere dalla “generosità” dei banchieri con una nuova, orribile immagine di sé, quella di “mendicanti”, di possibili ladri cui è pericoloso prestare soldi se non danno se stessi e i propri figli in garanzia. I banchieri hanno adesso finalmente raggiunto il loro ultimo scopo: darsi la mano diventando interscambiabili con i politici e proclamando così apertamente che è iniziata una nuova era: il Regno dei Banchieri. Avevo scritto due anni fa, nella Dittatura europea, che avrei creduto a questa ricostruzione, che pure ero stata io stessa a fare con puntigliosa, scrupolosissima ricerca, il giorno in cui avessi visto i banchieri mettersi al posto dei politici. E’ proprio quello che è avvenuto. Ed è avvenuto – cosa incredibile – con l’aiuto, la complicità dei politici. Ho tante volte interrogato negli anni scorsi i maggiori leader del mondo politico, religioso, industriale, giornalistico sul perché avessero accettato in silenzio di uccidere se stessi, insieme all’ Italia, senza riuscire ad avere una risposta. Oggi però non possono continuare a tacere e consegnarsi alla storia come dei vigliacchi traditori della propria nazione e del proprio popolo. E’ indispensabile che si scuotano dalla passività nella quale sono sprofondati e si convincano che la desertificazione attuale dei partiti, l’assenteismo e il ripudio degli elettori, perfino la corruzione che ha invaso tutte le istituzioni, sono la conseguenza di questo tradimento perché nessuno ha più davanti a sé una patria da difendere, un valore collettivo in cui credere, un futuro in cui sperare e da costruire per i suoi figli.
di – Ida Magli
tratto da: www.italianiliberi.it

Redatto da Pjmanc: http://ilfattaccio.org

Nuovi attentati contro i serbi del Kosovo settentrionale

Una bomba è esplosa domenica, mentre sabato in un agguato è stato ferito un ex capo della polizia del villaggio di Istok

Alessia Lai

I serbi del Kosovo sono accerchiati, quotidianamente nel mirino dei criminali albanesi che oramai da tempo commettono omicidi e attentati mirati. Lo scopo è far sparire ogni traccia della comunità serba dal Kosovo, regalato dalla cosiddetta “comunità internazionale” ai miliziani dell’Uck, divenuti oggi i governanti di questo staterello senza legge, regno del crimine organizzato e nuovo campo di addestramento per le milizie salafite che stanno destabilizzando il Vicino Oriente.
Nella notte tra domenica e lunedì degli “sconosciuti” hanno fatto esplodere una granata nella parte nord di Kosovska Mitrovica, città del Kosovo settentrionale divisa in due dal fiume Ibar, con la parte nord abitata da serbi e quella sud da kosovari albanesi.
La bomba è stata lanciata contro un edificio abitato da alcune decine di serbi del Kosovo. Fortunatamente, nonostante i danni materiali, nessuno è rimasto ferito. È andata peggio, sabato scorso, a due uomini serbi, attaccati a sud dell’Ibar mentre stavano guidando la loro auto nei pressi del comune di Istok.
L’emittente radiotelevisiva serba B92, ha riportato che uno dei due uomini, Momir Pantic, è rimasto ferito a un braccio da un colpo d’arma da fuoco. Pantic è un ex capo della polizia di Istok. Il sindaco di Mitrovica, Krstimir Pantic, ha visitato l’uomo in ospedale e ha definito l’incidente “un classico agguato”, la prova che i serbi non sono sicuri in Kosovo. Quelle che raccontano “di una società multietnica e democratica in Kosovo” sono tutte storie, ha affermato il sindaco, perché “gli albanesi stanno facendo tutto il possibile perché tutti i serbi che vivono nella provincia se ne vadano, così come (fanno di tutto per evitare, ndr) il ritorno di quelli che vogliono farlo”. Il sindaco di Mitrovica ha anche puntato il dito contro le truppe della missione Nato, la Kfor, per essersi rifiutate portare il ferito in ospedale.
Non è certo la prima volta che i soldati Nato agiscono in questa maniera nei con fronti dei serbi, voltando lo sguardo di fronte alle aggressioni da parte degli albanesi. Appena venerdì, il giorno prima dell’agguato a Pantic, il sindaco di Mitrovica aveva riportato l’attenzione sul fatto gli assassini di Sava Mojsic – un serbo ucciso nel novembre del 2011 durante una sparatoria avvenuta a Brdjani – non siano ancora stati trovati e puniti. “Mojsic è stato assassinato semplicemente perché era un serbo”, aveva affermato Pantic secondo quanto riporta il sito internet dell’agenzia di stampa Beta. “Sebbene i suoi assassini siano noti alla comunità internazionale e alla polizia kosovara, non sono stati arrestati”, ha detto Pantic sottolineando che “È un messaggio del fatto che (i serbi, ndr) devono accettare ci che viene imposto loro da Pristina e che questa è una società albanese con istituzioni albanesi”. La pace che la comunità internazionale dice di perseguire in Kosovo, insomma, non è altro che la cancellazione di ogni traccia serba dal Kosovo.
Ma Belgrado non ci sta, venerdì il direttore dell’ufficio serbo per il Kosovo, Aleksandar Vulin, ha affermato che la Serbia continuerà a finanziare le sue istituzioni nell’enclave, nonostante Pristina insista nel pretendere che qualunque struttura serba scompaia anche dal nord kosovaro. Secondo il quotidiano serbo Vecernje Novosti, Vulin ha anche duramente criticato il settore della sicurezza del Kosovo, che non è in grado di fermare il fenomeno della criminalità. Vulin ha parlato dell’accordo sulla gestione integrata delle frontiere con il Kosovo: “I rappresentanti delle istituzioni provvisorie di Pristina saranno presenti al valico, ma il ruolo esecutivo lo manterrà l’Eulex”, ha spiegato Vulin, che ha precisato che se così non fosse stato Belgrado non avrebbe mai accettato l’accordo. Accettare la gestione integrata dei confini, ha infatti spiegato Vulin, non significa aver riconosciuto indirettamente l’indipendenza del Kosovo, perché così come stanno le cose l’Eulex mantiene il compito della gestione amministrativa.
Da Pristina, invece, insistono nel pretendere che i serbi e le loro istituzioni spariscano anche dal nord del Kosovo. Ieri, il vicepremier kosovaro-albanese Hajredin Kuci, ha affermato che non ci sarà dialogo finché non verranno rimosse le strutture parallele serbe a nord del fiume Ibar. Dopotutto il premier del quale è vice, Hashim Thaci (foto), ha agito direttamente per eliminare qualunque traccia serba dal Kosovo. Di recente è stato accusato di traffico illegale di organi umani dall’ex magistrato e politico svizzero Dick Marty, relatore per i diritti umani presso il Consiglio d’Europa, che ha pubblicato un rapporto che collega gli ex combattenti dell’Uck, tra cui lo stesso Thaci, al crimine organizzato.

13 Novembre 2012  http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=17745

Nessun virus nel messaggio.
Controllato da AVG – www.avg.com
Versione: 2013.0.2793 / Database dei virus: 2629/5901 – Data di rilascio: 17/11/2012

Hollande continua l’austerità

La crisi economica francese è davvero grave

Hollande avverte che ci sarà bisogno di altre riforme. Nuovi sacrifici in vista per il popolo transalpino

Andrea Perrone

Una grave crisi mette a rischio il futuro della Francia. È quanto dichiarato ieri nel tardo pomeriggio dal capo dell’Eliseo, il socialista François Hollande (nella foto), alla sua prima apparizione davanti ai giornalisti e sugli schermi televisivi, nel corso di una maxi-conferenza stampa convocata a sei mesi dalla sua elezione all’Eliseo. Era decenni che non veniva fatto un annuncio del genere.
Il presidente francese ha comunque denunciato la complessa situazione che attraversa il Paese e i passi per affrontare le difficoltà che mettono a dura prova anche il popolo francese – per volere dell’usura internazionale e dei governi loro vassalli – come sta avvenendo anche per altri popoli europei. Testuali le parole del capo di Stato che ha sottolineato come la situazione economica della Francia “è seria e non sto esagerando. La mia missione è semplice: recuperare la crescita e ridurre la disoccupazione” nel Paese, ha chiosato Hollande, nel suo discorso.
A suo dire la situazione è comunque sotto controllo grazie alle misure decise nei mesi scorsi e alle nuove che presto verranno annunciate e varate. Ma i pericoli economico-finanziari incombono lo stesso. D’altronde la crisi è palpabile anche nella seconda economia dell’Unione europea, con il rischio recessione dietro l’angolo e la disoccupazione in aumento. “La Francia – ha tuonato – sarà in grado di rispondere alle sfide”. “La rotta è fissata”, ha dichiarato sicuro di sé Hollande, nel corso della sua conferenza stampa. Per Hollande, la Francia sarà in grado di rispondere “con successo” alle minacce che la attendono, come il rilancio della competitività e il risanamento dei conti pubblici. Da settimane, il capo dell’Eliseo è tuttavia al centro delle critiche per non avere ancora dato una direzione chiara al Paese. “Ci sono riforme da fare, le faremo”, ha assicurato il presidente nel tentativo di rispondere a chi lo accusa di inanità.
È comunque d’obbligo ricordare che nonostante gli annunci elettorali dell’attuale presidente francese per favorire la crescita economica e impedire la recessione evitando nuovi tagli e altrettante nuove tasse, Hollande ha dovuto applicare molte delle ricette in vigore negli altri Paesi dell’Eurozona: tagli ai salari e alle pensioni, all’occupazione, alla Sanità e all’istruzione. Riducendo la Francia alla stregua di altri Stati della zona euro, vittima della speculazione e dell’usura internazionale, obbligata a varare riforme antipopolari per far pagare gli errori di politici corrotti, tecnocrati e banchieri ai ceti popolari meno abbienti, in barba alla sua militanza socialista.

14 Novembre 2012 12:00:00 – Rinascita

Aspettando Godot

Sabato 1 dicembre ore 21.

tutti a Bussoleno al Don Bunino per applaudire GLI INTEREZZA.

Ingresso gratuito; all’uscita RACCOLTA FONDI PER LE SPESE PROCESSUALI.

 

L’interezza non è il mio forte presenta

Aspettando Godot

 

sabato 1 dicembre
ore 21
Teatro Don Bunino
Piazza Cavou r
Bussoleno (TO)
Ingresso gratuito

L’interezza non è il mio forte è nuovamente ospite della valle ribelle con lo spettacolo “Aspettando Godot”, attualizzazione civile del testo di Beckett. Per riflettere di stati d’animo collettivi, di immobili attese, di tentativi di fuga da una crisi economica ed esistenziale sempre più profonda, di paura del cambiamento e del futuro. Un “Aspettando Godot” non rifatto, ma odierno. Non stravolto, ma dritto addosso. Per ridare vita, calore ed energia ai contenuti del testo, paradigmatici ed al tempo stesso sorprendentemente vicini.

foto1
foto2

Tutto scorre, eppure tutto sembra immobile. Il mondo intorno gira talmente veloce che la sensazione è che tutto sia fisso.
Immodificabile. Predestinato.
Come immaginare di riuscire ad intervenire per cambiare qualcosa?

Non c’è niente da fare. Aspettiamo.

La locomotiva corre talmente veloce che non la si può fermare. Corre verso il baratro e nessuno la sta frenando.
La politica sprofonda. L’economia crolla. La mia vita è piena di crepe.
E se i Maya avessero ragione? Se tutto finisse a dicembre 2012?

Aspettiamo. Vedremo che succede.

Potremmo precipitarci nella cabina di guida, tirare il freno. Potremmo togliere le chiavi di mano a chi ci controlla.
Agire per migliorare la situazione.
Smettere i tranquillanti che addormentano questa sensazione di vuoto.
Dentro. Intorno.

Non possiamo.
Perchè?
Dobbiamo aspettare.
Ah già.

Vladimiro ed Estragone sono personaggi emblematici di una crisi che sembra non avere sbocchi. Che cosa aspettino, di preciso, non è dato saperlo: il vero protagonista, Godot, non appare mai. Viene solo evocato, come un qualcosa o qualcuno che, quando arriverà, potrà finalmente determinare una svolta.
Ma Godot non si può manifestare sulla scena come nella vita non può esistere un cambiamento senza consapevolezza, senza scelta, senza azione. Diceva Beckett “se avessi saputo chi è Godot lo avrei scritto nel copione”. La forza e l’attualità dell’opera, forse, stanno proprio in questo.

Dal 2003 ad oggi, L’interezza non è il mio forte (http://www.interezza.it) ha messo in scena circa 40 titoli, raggruppati in progetti spettacolo diversi per tipologia e contenuto, dal femminile politico e sociale alle storia dei NoTav, dallo sguardo tagliente di Gaber a quello poetico irriverente di De Andrè, dai racconti della Diaz al G8 di Genova alle guasconerie cialtrone dei saltimbanchi che parlano di globalizzazione. Il teatro è arte sociale, civile, quella forma d’arte che si occupa e si preoccupa delle questioni degli uomini, portando sul palcoscenico frammenti di storia collettiva così come interrogativi attuali e quotidiani, non solo per raccontare fatti, ma per far riflettere nella direzione dell’impegno civile. Il teatro è per Interezza teatro civile.

Cresce il sostegno europeo ai ribelli siriani

Anche l’Italia riconosce la nuova Coalizione delle opposizioni. Dubbi da Londra, pronta però a inviare armi alle milizie golpiste

Matteo Bernabei

“Vorremmo trovarci nella posizione di poter riconoscere la Coalizione come unico rappresentante legittimo del popolo della Siria ma intendo sentire di più sui suoi piani”. Con queste parole il ministro degli Esteri britannico, William Hague (foto con Muaz al Khatib), ha espresso ieri le titubanze del governo londinese riguardo la nuova formazione unitaria delle opposizioni siriane, nata a Doha nei giorni scorsi sotto l’egida del Qatar e le pressioni degli Stati Uniti.
Titubanze che lasciano tuttavia interdetti se si considera che lo stesso primo ministro, David Cameron, appena due giorni fa, non solo ha dato la propria approvazione all’iniziativa francese volta a far rimuovere all’Unione europea l’embargo per la fornitura di armi ai ribelli, ma ha anche ipotizzato la creazione di una no-fly zone su alcune aree del Paese arabo al fine di favorire l’azione delle milizie armate. A quanto pare dunque per Usa e alleati la priorità in Siria non è la tutela del popolo, che potrebbe in futuro essere governato da persone delle quali evidentemente non conoscono ancora le capacità e un eventuale programma politico, ma la rimozione del presidente Bashar al Assad e del suo esecutivo, al fine di sostituirlo con qualcuno di più accondiscendente.
Londra, Washington e il resto del fronte interventista occidentale, sembrano quindi intenzionati a replicare l’errore commesso negli scorsi anni sia in Iraq sia in Afghanistan, due Paesi dove la democrazia non è mai arrivata, la corruzione è più dilagante che mai, le violenze settarie sono all’ordine del giorno e non è in alcun modo possibile garantire la sicurezza dei cittadini.
Uno scenario che non sembra preoccupare neppure l’Italia, che ieri per bocca dell’inviato del ministro degli esteri Giulio Terzi per il Vicino Oriente, Maurizio Massari, ha ribadito “il suo pieno sostegno” alla coalizione delle opposizioni riconoscendola “come legittimo interlocutore del popolo siriano”. Una presa di posizione che arriva a margine dell’incontro dei leader dissidenti che si è svolto ieri a Londra alla presenza di diversi rappresentanti della comunità internazionale, fra i quali l’inviato della Farnesina e il ministro britannico Hague.
Determinati a sostenere l’azione armata dei ribelli anche i liberaldemocratici al Parlamento europeo, guidati dall’ex premier belga, Guy Verhofstadt.
“Il riconoscimento del Consiglio nazionale siriano è il minimo sforzo che l’Ue possa fare”, ha affermato l’eurodeputato, facendo però riferimento al solo Cns e non alla nuova coalizione, e chiedendo inoltre di sostenere l’idea “d’introdurre una no-fly zone nel nord della Siria”. Secondo Verhofstadt, tra le altre cose candidato a sostituire Barroso alla presidenza della Commissione europea, la comunità internazionale “si sta rendendo colpevole” per il suo immobilismo ed “è tempo che l’Unione europea si assuma le proprie responsabilità”.
Il Vecchio Continente appare quindi determinato a fornire sostegno militare ai ribelli, aggirando così lo stallo interno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ed evitando l’ennesimo intervento diretto della Nato nel Vicino Oriente. Dopo le missioni di pace, sono le guerre per corrispondenza il nuovo fenomeno colonialista del terzo millennio.

17 Novembre 2012 12:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=17841

Election day. Ultime ore di vita del governo lacrime e sangue?

Bersani e Alfano si dividono sull’accorpamento del voto ma si uniscono nel no ad un Monti bis

michele mendolicchio

Forse potrebbero essere le ultime ore di vita del governo Monti. Tutto è legato al Cdm previsto per la giornata odierna dove si dovrebbe dire una parola definitiva sull’election day. Accorpare o no il voto delle regionali e delle politiche? L’ultimatum del Pdl è chiaro: o si anticipano le elezioni politiche per svolgerle assieme al voto del Lazio, della Lombardia e del Molise oppure si spostano queste ultime in coincidenza del voto di aprile. In caso di un no secco dei tecnici, il Pdl potrebbe staccare la spina. Ci crediamo poco che si possa arrivare a tanto coraggio, anche perché di ultimatum ne abbiamo visti fin troppi. E tutti svaniti nel nulla. Che sia una cosa giusta staccare la spina a questo governo di presunti taumaturghi dell’economia e della rinascita del Paese l’andiamo sostenendo da tempo, purtroppo finora non è accaduto. Se per competenze e capacità intendiamo le misure che hanno attuato in questo primo anno di vita del governo dei professori, beh allora non resta che rispedirli alle loro precedenti attività. Il fallimento accomuna l’uno e l’altro schieramento. Non è che dando la colpa di tutto a Berlusconi ci si possa poi sentire delle verginelle. Ha fallito Berlusconi ma ha fallito anche Prodi, D’Alema e le rispettive coalizioni di centrodestra e centrosinistra. A quanto pare molti hanno ancora le idee poco chiare. Come si può votare il Pd?
Ha le stesse identiche responsabilità del Pdl. Se si toglie la fiducia al partito del Cavaliere la si deve togliere anche al partito di Bersani. Non c’è alcuna ricetta diversa rispetto a quella del centrodestra, se non nelle sfumature. Lo sanno anche i sassi che le decisioni vengono prese altrove, quindi è incomprensibile questo fervore verso le primarie e verso la coppia Bersani-Vendola. Non decidono un bel niente, né nel sociale né sul lavoro né sulle misure economiche. Tutti, da Berlusconi a Bersani e Vendola debbono seguire l’agenda Ue e della Bce. E’ pura ipocrisia dire: andremo oltre l’agenda Monti. Non ci saranno affatto misure per i disoccupati, per rendere più congrui i salari o per dare più sostanza alle pensioni minime e più soldi alla ricerca e all’istruzione. Ci sarà solo una maggiore spalmazione della povertà. E’ inutile che Fassina, Vendola e altri prendano le distanze dall’agenda Monti perché da quel solco imposto non se ne esce. Solo con scelte forti, come l’uscita dall’euro, si potrà davvero voltare pagina. E se questa dovesse essere una delle priorità del M5S non potremmo che appoggiarla. Comunque sia meglio sostenere un movimento che si ripropone di togliere di mezzo questi due contenitori-camerieri centrosinistri e centrodestri piuttosto che assistere ai soliti banchetti e alle solite portate.  
Ma torniamo alla questione dell’election day. Se su questo fronte i due segretari del Pdl e del Pd si dividono nettamente, sul fronte del no al Monti bis sono uniti. “Non scommetterei nemmeno un centesimo -chiosa Alfano- Le nostre posizioni sono estremamente differenti e credo che entrambi siamo contenti delle nostre diversità perché costituiscono le basi per i nostri ideali e il nostro programma. L’esperienza Monti ha il carattere dell’eccezionalità”. E lo stesso pensiero viene espresso dal segretario del Pd. Anzi per ribadire la propria netta contrarietà ad una permanenza di Monti a Palazzo Chigi ci mette il carico da 90 ovvero non scommetterebbe neanche il centesimo ventilato da Alfano.
Queste cose le hanno espresse dinanzi all’assemblea della Cna che si è tenuta all’Auditorium di Roma. Francamente non ci punteremmo nemmeno quel centesimo, in quanto siamo convinti che sia proprio il contrario di quanto sostengono i due mistificatori della realtà.  
Figurarsi se saprebbero dire di no alla Bce, a Bruxelles e all’amministrazione americana.
A Bersani comunque interessa di più il filone del no al voto anticipato. “Mi misurano il tasso di montismo tutte le mattine, ma io sono sempre lo stesso, quello che ha sempre detto arriviamo fino in fondo senza scherzi e arriviamo fino in fondo con lealtà”. Ah è vero c’è un altro giuramento più importante: quello nelle mani di Napolitano. E così per non essere sgridato dal nonno il nipotino fa il compitino fino in fondo. Il terzo incomodo Casini o meglio quello che resta al centro del fiume senza bagnarsi, stranamente si dice favorevole al voto anticipato. Mentre sul Monti bis dice di affidarsi alla provvidenza ma nello stesso tempo liquida la soluzione del bipolarismo, sostenendo “che si trattava di grandi armate per vincere le elezioni che poi non riuscivano a governare”. Il fatto è che nemmeno tutti assieme appassionatamente al servizio di Monti si riesce a governare. Non per niente finora dai tecnici sono venute solo riforme e misure totalmente sballate e non certo al servizio dei cittadini. Nemmeno il governo Berlusconi è stato capace di tanto. E li chiamano pure professori…
 


16 Novembre 2012 12:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=17811

 

 

Crisi, la rabbia degli italiani è tenuta ancora a freno

Per Confcommercio e Censis il 40% delle famiglie ha tagliato i consumi. Politici sotto accusa: ladri, incapaci e mediocri

Filippo Ghira

Gli italiani hanno sempre meno soldi da spendere.
Tra stipendi e pensioni da fame la priorità viene attribuite alle spese per la pura sopravvivenza. Per mangiare e per pagare le bollette della luce, del gas e del telefono. Per i consumi extra, che poi non corrispondono a spese lussuose, rimane ben poco e in molti casi niente.
Secondo i dati di una ricerca svolta dal Censis e dalla Confcommercio, sulle aspettative e sul clima di fiducia delle famiglie, la gravità della crisi sta costringendo moltissime famiglie a rivedere totalmente i propri programmi di spesa. Di fronte ad una fase così negativa, le famiglie non protestano apertamente, forse non ne hanno nemmeno la forza, ma adattano i propri stili di vita, un altro termine da anni divenuto molto di moda, alla congiuntura di crisi, tagliano le spese perché coscienti di essersi immessi in un tunnel la cui uscita sembra ancora lontana.
Se un 10% si dice confuso per una crisi che sembra non avere fine e non ha ancora deciso cosa fare, un 40,8% dichiara che taglierà comunque i consumi perché i soldi non ci sono più. Al contrario un 29%, vuoi perché la crisi non li tocca, vuoi perché hanno un bel po’ di soldi da parte, non intendono rinunciare a nulla e manterranno le priorità di spesa.
Il dato interessante di questa difficoltà a tirare avanti e che appare evidente a qualunque attento osservatore, è questo inespresso sentimento di rabbia e di sfiducia che resta compresso e non viene espresso apertamente. E’ una rabbia che si alimenta della vita frustrante che si è costretti a vivere e che cresce man mano che emergono i privilegi dei quali gode una classe politica i cui costi e i cui sprechi vengono giudicati intollerabili. Specie quando questa realtà si mischia a legami con la criminalità organizzata e mafiosa che interessa ormai le Regioni di tutta Italia. Ma come, pensano i cittadini, noi tiriamo la cinghia e questi non solo rubano e scialacquano soldi pubblici ma se la fanno pure con Mafia, Ndrangheta e Camorra? E’ il 69% degli italiani a pensarla così e questo spiega i favori elettorali di cui gode un movimento politico nuovo come il 5 Stelle di Beppe Grillo. A questi si aggiunge un 48% di chi considera inaccettabile il livello raggiunto in termini di malaffare nella gestione dei beni pubblici. Vi è poi un 22% che mette sotto accusa l’eccessivo livello raggiunto dalla pressione fiscale.
I politici non sono giudicati soltanto ladri ma soprattutto mediocri e questo, in un momento di crisi come l’attuale, può aprire la strada a qualsiasi soluzione sia essa tecnocratico autoritaria (come con Monti) o populista (tipo Grillo). Avere difficoltà economiche, dover ridurre i consumi per stipendi e pensioni ormai insufficienti, vedere erodere i propri risparmi non poter pagare le rate del mutuo della casa, tutto questo costituisce davvero una miscela esplosiva che può detonare in presenza di una classe politica ignorante e incapace che percependo il terremoto economico ed elettorale in arrivo, cerca soltanto di ramazzare ancora altri soldi prima di essere definitivamente spazzata via.
Sotto accusa non ci sono ovviamente soltanto i partiti ma anche e soprattutto l’attuale esecutivo tecnocratico bancario che anzi viene percepito come in effetti è, come quello che ha aumentato le tasse e ha rispolverato la tassa sulla prima casa (l’Ici) che era stata cancellata da Berlusconi e che per farne una cosa diversa la ha ribattezzata Imu. Sono servite quindi a poco anzi a niente tutte le marchette mediatiche vendute a piene mani dalle gazzette del sistema o del Salotto buono per imporre il leit motiv: “Vedi Monti quanto è bello”. Quanto è bravo, sobrio e via slinguazzando. Anzi, l’effetto è stato diametralmente opposto.
La crisi non è stata sentita soltanto dai molto ricchi che non possono che aver provato soddisfazione che la crisi in corso e che le tasse di Monti abbiano penalizzato in particolare il ceto medio, i pensionati e i lavoratori dipendenti. Sono state poche quindi le famiglie che sono riuscite a cogliere qualche segnale positivo nelle misure di politica economica messe in atto nell’ultimo anno dall’ex consulente di Goldman Sachs. Nell’immaginario collettivo, da un lato vegeta una classe politica ladra e incapace, dall’altro incombe un governo che sa soltanto ricorrere alle tasse e derubare così i cittadini. A dare alimento a questo sentimento di insofferenza è poi il dover prendere atto che nel nostro Paese ci sono ancora troppe differenze sociali e che in questo ultimo anno, con Monti a guidare il gioco, tali disparità si sono accentuate. C’è stato infatti un eclatante trasferimento di ricchezza dal lavoro dipendente verso gli ambienti della finanza e delle banche che vi hanno lucrato sopra guadagni per decine di miliardi di euro.
 
 
 


17 Novembre 2012 12:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=17840

Debito pubblico italiano al massimo storico

Ormai a 2.000 miliardi di euro. Ma, nei media di regime, è silenzio assoluto

Attilio Folliero

Nel più assoluto silenzio generale dei media ufficiali, il debito pubblico italiano, alla fine di settembre ha fatto registrare il massimo storico: 1.995,14 miliardi di euro! E’ quanto emerge dall’analisi dei dati pubblicati dalla Banca d’Italia nell’ultimo Bollettino mensile “Finanza pubblica, fabbisogno e debito”, n. 61 del 13/11/2012, che riporta i dati al 30/09/2012. Nell’ultimo mese il debito è cresciuto di ben 19,51 miliardi. Per avere una idea dell’ammontare di questa cifra basta considerare che è superiore all’intero monto pagato dagli italiani per l’IMU/ICI.
Dicevamo, nel più assoluto silenzio dei media ufficiali e di regime perché nessuno riporta la notizia ed è ovvio: sono tutti impegnati ad elogiare il Monti e quindi si astengono dal diffondere le cifre reali. Monti è in carica dal 16 novembre del 2011 e nei 320 giorni di governo (al 30/09/2012), il debito pubblico italiano è aumentato complessivamente di 80,75 miliardi, al ritmo di 252,34 milioni di euro al giorno. Nell’anno anteriore al governo di Monti (31/10/2010-31/10/2011) il debito era cresciuto di 44,52 miliardi, al ritmo di 121,97 milioni al giorno (Vedasi di seguito la tabella del debito pubblico italiano, aggiornata mensilmente, degli ultimi due anni). In termini percentuali, al 30/09/2012, il debito rappresenta il 126,26% del PIL del 2011; sappiamo, però che il PIL italiano alla fine dell’anno in corso subirà una contrazione superiore al 2% e pertanto tale dato è destinato a crescere e potrebbe arrivare al 130%; ciò significa che in un solo anno il debito in relazione al PIL potrebbe aumentare del 10%; addirittura potremmo aversi l’aumento annuale più alto registrato dal 1970 in poi. Solo negli anni 2009 (+10.33%) e 1993 (+10,17%) l’aumento del debito annuale in relazione al PIL è stato superiore al 10%.
Nell’era Monti, oltre al valore assoluto e percentuale del debito, aumenta anche il debito a breve, quello in scadenza fino ad un anno. Infatti, nei 320 giorni di Monti, il debito con scadenza inferiore ad un anno è passato dai 494,63 miliardi del 15/11/2011 (nostra stima per interpolazione fra i 497,55 miliardi al 31/10/2011 ed i 491,71 miliardi del 30/11/2011. Ricordiamo che i dati del debito sono pubblicati mensilmente) ai 536,84 miliardi del 30/09/2012, con un aumento di 42,21 miliardi; mentre il debito con scadenza superiore ad un anno aumenta nello stesso periodo di 38,54 miliardi. Infine, come ulteriore dimostrazione del disastroso governo Monti, aggiungiamo che complessivamente la vita media residua del debito italiano pubblico è passata da 7,6 anni a 7,2.
Con il governo Monti continua inesorabilmente il peggioramento della qualità di vita degli italiani ed ovviamente aumentano ed aumenteranno sempre di più i conflitti sociali, destinati ad essere repressi con sempre maggior violenza dall’apparato repressivo dello stato (forze dell’ordine e militari).
In prospettiva intravediamo la possibilità di un ricorso al prestito del FMI e quando ciò avverrà, le pesanti ricette che questo istituto impone in cambio della concessione dei prestiti, obbligherà il governo di turno a misure che difficilmente potranno essere adottate in democrazia. Solo un regime forte può imporre ai popoli misure drastiche di vera e propria rapina dei patrimoni nazionali e personali e la sostanziale riduzione dei diritti civili e politici. Al momento in cui scriviamo, in molti paesi d’Europa sono in corso uno sciopero generale e manifestazioni di protesta un po’ ovunque; arrivano notizie di scontri, di forti repressioni da parte delle forze dell’ordine e di arresti.
Ovviamente le forze dell’ordine sono state formate per reprimere ed ai difensori dei diritti umani non importa se sempre più spesso si lasciano andare ad atti di violenza gratuita (come quelli che propone la Repubblica), che rimangono impuni perché anche la giustizia è al servizio unicamente dei poteri forti. Per esempio, l’agente che appare nel video di cui sopra andrebbe identificato, espulso dal corpo di polizia, privato del lauto stipendio, multato e giudicato da un tribunale penale. Le forze dell’ordine, le forze dell’apparato repressivo di uno stato sono costituite da esseri praticamente insensibili, incentivati con bonifici salariali e fra le poche categorie che non subiscono pesanti tagli. Loro non hanno il problema di perdere il posto di lavoro; non hanno il problema di non pagare una rata del mutuo e ritrovarsi a vivere in mezzo alla strada; a loro non importa se i governi chiudono le università pubbliche o aumentano le tasse da pagare, perché i loro figli hanno sempre la possibilità di educarsi in costose università private e comunque hanno garantito per il futuro quanto meno un lavoro, dato che generalmente subentrano ai padri (sarebbe interessante analizzare quanti sono in Italia i poliziotti i cui padri o familiari più prossimi facevano i poliziotti); a loro non importa se chiudono gli ospedali pubblici, perché in caso di malattia a loro ed ai loro familiari, con i lauti stipendi dello stato, è garantita la cura nelle più costose cliniche private; se tagliano le pensioni e la gente protesta, a loro non interessa perché la loro pensione è sempre garantita. Che riflettano gli agenti di polizia e le forze dell’ordine! Che riflettano! Perché il loro futuro sarà sempre più macchiato da atti di violenza. E’ questo che vogliono per il loro domani?
Siamo solo agli inizi. L’Italia, assieme gli altri paesi europei, diventerà sempre più povera e scivolerà verso un regime forte. Purtroppo la maggioranza non ha chiaro cosa gli riserva il futuro, credono ciecamente in uno stato che paternalisticamente li protegge e li proteggerà sempre e terminano confidando nelle proposte di partiti e movimenti elettoralistici.
 
fonte: blog del prof. Attilio Folliero

17 Novembre 2012 12:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=17849

La Albright: “Fuori, ripugnanti Serbi!”

La macellaia del Kosovo e della Serbia denunciata a Praga per odio razziale

Dragan Mraovic (Belgrado)

Attivisti cechi dell’associazione “Amici dei serbi del Kosovo” hanno presentato accuse penali contro l’ex capo del Dipartimento di Stato USA Madeleine Albright per incitamento all’odio etnico. Alle origini della denuncia quanto avvenuto a Praga l’ottobre scorso in occasione della presentazione del suo libro “L’inverno di Praga” in libreria Neoluxor Palace quando l’alta rappresentante della “democrazia” americana ha gridato contro gli attivisti cechi: “Fuori, ripugnanti serbi!”
Invece di chiedere un autografo sul suo libro, gli attivisti cechi le hanno chiesto di firmare i manifesti che accusavano gli Usa, la Nato e l’Albright stessa dei crimini contro i serbi della Croazia, della Bosnia ed Erzegovina e del Kosovo e Metohija nel 1999. In particolare le hanno chiesto l’autografo da apporre su un manifesto che rappresentava i suoi affari proficui nella provincia serba occupata del Kosovo e Metohija (vuole comprare – contro le leggi sulla proprietà e a costi stracciati – la Telecom serba che non appartiene agli albanesi ma all’investitore serbo). E’ questo il prezzo dell’uccisione di 2.500 civili serbi, del ferimento circa 10.000 altri serbi, dell’esodo di 250 mila ex abitanti della provincia e dei danni materiali di oltre cento miliardi di dollari commessi, a colpi di bombardamenti, contro l’intera Serbia.
La simpatica e birichina Madeleine è andata su tutte le furie gridando: “Get out, disgusting Serbs!” (“Fuori, ripugnanti serbi!”). I manifestanti le hanno gridato da parte loro: “vecchia sanguinaria” e “macellaia dei Balcani” e l’hanno accusata dei crimini di guerra.
La polizia ceca è intervenuta e ha constatato che “non c’era alcun incidente o alcuna infrazione che ptessero richiedere indagini”, ma Vaclav Dvorzak, il regista del film “Kosovo rapito” ha presentato una denuncia contro Albright per l’offesa ad un popolo, ad una razza, ad un’etnia o ad altri gruppi di persone. Dvorzak ha spiegato ai giornalisti che Madeleine Albright è stata il simbolo della propaganda antiserba soprattutto durante la guerra del Kosovo: “Qualsiasi odio etnico espresso da parte di un funzionario di altissimo livello nell’aggressione della NATO ai Balcani è da intendersi come cinismo e la mancanza di rispetto delle vittime civili”. Albright dal suo canto si è lamentata di non avere più quella protezione dei servizi di sicurezza che possedeva quando “aveva la funzione del segretario di stato degli USA”. Ha anche negato le accuse.
La sua risposta si capisce meglio se si ricorda che lei disse in TV che le sanzioni americane contro l’Iraq non hanno fatto morire un milione di bambini iracheni come insinuava la giornalista “ma solo 500.000, però è servito all’obiettivo”. (per chi non crede, vedere su youtube.com/watch?v =W0aT4oRdHs0).
Ma l’ironia vuole che Madeleine e la sua famiglia debbano molto ai serbi. Lei nacque come Marie Jana Korbelová nel 1937 a Praga. Suo padre Jozef fu l’addetto stampa presso l’ambasciata della Cecoslovacchia nel Regno di Jugoslavia nel 1937/38 e fu grande amico di Pavle Jankovic giornalista di Belgrado e corrispondente di “Le Monde francese”.
Alla vigilia dell’occupazione tedesca della Cecoslovacchia (l’annessione dei Sudeti) la famiglia Korbel corse dei rischi di espulsione perché etnicamente ebrea e chiese all’amico Jankovic un sostegno. Aiutata da Jankovic e dai suoi amici, la famiglia Korbel passò in sicurezza alcuni anni nella casa di famiglia Popcic e Madlenka (il nomignolo ceco della Madeleine) di 3-4 anni giocava con Ljubodrag Popcic di 4-5 anni in Serbia a Vrnjacka Banja prima di fuggire in Inghilterra. Nel 1945 Jozef Korbel tornò a Belgrado come ambasciatore fino all’11 novembre 1948 quando Madlenka sbarcò insieme ai suoi genitori nel porto di New York ottenendo l’asilo politico. Ma nel frattempo la giovanissima Madlenka si era innamorata di un serbo che aveva dieci anni più di lei.
Il padre di Madlenka non era contento dell’idea pazza delle scelte non razzialmente corrette della sua giovane figlia. E Madlenka stessa non avrebbe poi mai perdonato ai serbi il suo amore perduto e, di fatto, non partecipato da un serbo.
Ljubodrag Popcic dirà, dopo i bombardamenti della Serbia del 1999: “Potrebbe darsi ch’io sia stato il primo e l’ultimo serbo che lei avesse mai abbracciato di tutto il cuore… Suo padre fu il primo a scrivere un libro su Tito intitolato ‘Il re rosso’. Dopo la II guerra mondiale Koca Popovic (storico funzionario della Jugoslavia di Tito, un comandante partigiano leggendario) disse all’ambasciatore Korbel che la cosa migliore sarebbe stata che lui con famiglia abbandonasse la Jugoslavia se non voleva sparire nel buio. Non so se Madeleine ora odia i serbi a causa di quel buio”.
È vero che Josip Broz Tito fu croato e non serbo (la storia però si ripete anche perché a Srebrenica il croato Drazen Erdemovic fucilava i civili musulmani mentre di quei fatti dalla Madeleine e dalla sua amministrazione “democratica” sono stati accusati i serbi), ma è vero che non cambia neppure il carattere cattivo di questa simpatica e birichina protagonista del male. Per lei i colpevoli sono sempre i serbi.
Ora ne capiamo anche il motivo. Ecco perché la nazione serba è per lei così ripugnante.
Del suo carattere forse dice qualche cosa questo episodio che riguarda anche l’Italia (nel senso positivo, in un certo senso). Madeleine Albright racconta per “Huffington post”: “Durante la guerra del Kosovo io facevo conferenze via telefono con i ministri degli esteri dei paesi della NATO. C’erano un britannico, un francese, un italiano, un tedesco ed io. ’Perchè non facciamo una pausa nei bombardamenti durante le festività della Pasqua?’, aveva chiesto il ministro degli esteri italiano e quello tedesco aveva risposto: Perchè dovremmo fare una pausa in onore di una religione mentre stiamo uccidendo la gente di un’altra religione? Penso che sia stata una delle dichiarazioni più importanti per quanto riguarda l’identità comune e l’importanza di fare decisioni giuste sul piano morale’’.
Secondo la Albright l’identità comune e le decisioni giuste sul piano morale richiedono di bombardare contemporaneamente sia crisitani sia musulmani e non solo gli uni.
Dopo ragionamenti del genere il giornalismo deve cedere il passo alla psichiatria.

16 Novembre 2012 12:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=17820

Il premio di maggioranza contro lo sbarramento

Coalizioni e partiti cercano di “costruire a tavolino” la propria vittoria elettorale

Marco Managò

Il disegno di legge n. 3557, del 2 novembre scorso, formulato dal senatore Malan (Pdl), della commissione affari costituzionali del Senato italiano, ha previsto un premio di maggioranza per il partito (o la coalizione) che raggiunga il 42,5% dei voti.
Nel dettaglio, il testo prevede ciò che segue “Quanto, infine, al premio di governabilità, la cui attribuzione e la cui entità sono pure oggetto di discussione fra le forze politiche, il presente testo prevede che sia costituito da 76 seggi alla Camera e 37 al Senato e vada attribuito al partito o alla coalizione vincente, purché abbia conseguito almeno il 42,5 per cento dei voli validi totali”.
In questa nuova e provvisoria versione, quindi, l’87.5% dei parlamentari è scelto per due terzi con il sistema delle preferenze, per un terzo con il sistema del listino bloccato. Il premio di maggioranza è ciò che resta: quel 12,5% pari a 76 seggi alla Camera e 37 al Senato. Il premio del 12,5% si sommerebbe al 42,5% sino ad arrivare al 55%.
La soglia fatidica ha ricevuto diversi commenti pesanti, tra cui quello di Grillo che ha definito l’idea come un “Colpo di Stato”, per metterlo il più possibile in condizioni di non governare e di non nuocere. Ipotesi esagerata? In effetti, il presidente del Senato, Schifani, non si è nascosto e non ha negato (da apprezzare per la schiettezza) l’impegno vigoroso per impedire a Grillo di arrivare all’80%.
Le reazioni sdegnate, soprattutto quella del convincente Bersani, hanno portato l’asticella a una quota di poco inferiore al 42,5%: con l’“emendamento Calderoli” del 13 novembre è al 40%. Il segretario del Pd ha utilizzato un termine un po’ inusuale, parlando di “premialità”, la declinazione dell’aggettivo “premiale”, per definire questa regalia che il partito o l’alleanza più amati dagli italiani dovrebbero ricevere.
La legge del più forte si concretizza in un “ritocco” del presunto premio che dovrebbe ricevere il primo partito (una percentuale di “ricompensa” attestata al 20%), in caso di non raggiungimento del 40%. I partiti sono discordi anche in questo: il Pd, nell’emendamento (o lodo) Calderoli, vuole il 30%, la Lega il 25% e il Pdl il 20%.
Povero Bersani: stretto fra primarie non agevoli, programmi da inventare, fine dell’antiberlusconismo e accerchiamento di tecnici e di Grillo, vede l’ennesimo ostacolo alla vittoria elettorale che ha in pugno. Un anno fa, quando gli spodestarono quell’avversario che mai avrebbe battuto alle urne, certo non immaginava che si frapponessero tutti questi intoppi per la strada.
I seggi ottenuti da Berlusconi all’inizio dell’attuale legislatura furono il 55%, con un premio alla Camera calcolabile intorno all’8,2% (i voti arrivarono al 46,8%); al Senato stessa percentuale di seggi e un premio di 7,7% (contro un 47,3% di voti). Con le elezioni del 2008 il centrodestra, quindi, ottenne 344 seggi alla Camera (contro i 247 del centrosinistra), al Senato ne ebbe 174 (contro 134).
“Governabilità” è la parola magica alla quale tutti aspirano e per la quale si snodano alleanze elettorali da calciomercato. I partiti tradizionali, “tirati per la giacca” dal governo tecnico e ai minimi consensi, cercano l’appiglio per garantirsi la maggioranza parlamentare. L’esecutivo tecnico, alle spalle del centrosinistra probabile vincitore delle politiche, sarà un “governo ombra” anomalo: non all’opposizione ma alla guida del Paese (pur non figurando e attraverso l’uso dei politici allineati e coperti).
Il premio, dunque, a fronte di un partito incapace di ottenere la maggioranza assoluta, deve compensare questo divario e andare a sostenere le alleanze (o i partiti) vincenti. Definire “premio” questa elemosina, è abbastanza singolare. A livello simbolico e onorifico, andrebbe riconosciuto al popolo astensionista.
La questione dei seggi in Parlamento e ciò che ne consegue a livello di deliberazioni e voti connessi, non è affare di poco conto. La maggioranza relativa è quella data dal maggior numero di voti ottenuti da un parlamentare o da una proposta rispetto alle altre; quella assoluta è ottenuta con il maggior numero di voti dei parlamentari presenti e votanti; quella qualificata richiede un tetto minimo specifico.
Tanta attenzione, dunque, per i numeri che devono “salvare” questa barca di candidati, i quali non godono di fiducia da parte del popolo, non sono in grado di formulare una legge elettorale decente e chiara né sono precisi nel definire le alleanze e i programmi. Del resto non si poteva attendere molto di meglio da strutture che non sono chiare nemmeno nel definire e organizzare le proprie primarie: una questione che ha rasentato il ridicolo pur di scopiazzare i cari amici statunitensi.
Lo svolgersi delle primarie era decantato come un atto di libertà, di scelta democratica della base che sceglie i propri candidati; le polemiche, i veleni, i tatticismi e le regole astruse che le hanno accompagnate, non depongono, ancora una volta, a favore dei partiti.
Ampia eco mediatica, quindi, alla questione del premio di governabilità, con appelli accorati di politici e di giornalisti al seguito, preoccupati di un esito potenzialmente indesiderato. La stessa “voce” e preoccupazione per il buon esito elettorale non si è palesata, invece, per quanto riguarda la “soglia di sbarramento”, ossia quel limite vigliacco che impedisce, alle formazioni “piccole” e meno pubblicizzate dai media, di emergere.
Tradotto in termini più chiari: l’impedimento ufficiale e matematico, il divieto di partecipare alla vita parlamentare del Paese per le formazioni minori, a favore solo dei grandi partiti. Nessuna voce turbata si è alzata a difesa di questo difetto della democrazia (il termine che tanto piace) e che andrebbe eliminato. Escludere a priori (in sostanza) una formazione politica è atto vile e sa tanto di terrore; è un attentato al vero voto di protesta. La legge elettorale attuale fissa la soglia in termini non bassi: alla Camera c’è il quorum del 10% alle coalizioni e del 4% per i singoli partiti, al Senato 20% e 8%.
Il fatto grave è che nessuno dei relatori abbia formulato un ripensamento e si sia redento, proponendo l’eliminazione dell’assurdo vincolo.
La bozza suddetta prevede, infatti, una contorta soglia di sbarramento. Testuale “Per quanto riguarda la soglia di sbarramento nazionale, sono individuate, sia alla Camera sia al Senato, le liste che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 5 per cento dei voti validi espressi, ovvero il 4 per cento se facenti parte di una coalizione, o che abbiano conseguito, in circoscrizioni comprendenti complessivamente un sesto della popolazione, almeno il 7 per cento dei voti validi espressi, ovvero le liste rappresentative di minoranze linguistiche riconosciute, presentate in regioni il cui statuto speciale prevede una particolare tutela di tali minoranze linguistiche, e che abbiano conseguito almeno il 15 per cento dei voti validi espressi nella circoscrizione; solo le suddette liste sono ammesse pertanto al riparto dei seggi effettuato in sede circoscrizionale”.
La legge elettorale ad personam, anzi “ad listam” è pronta, servita su un piatto d’argento per far sì che la vittoria a tavolino non corra alcun rischio. La governabilità ufficiale ed esteriore si sta costruendo con acrobatici artifizi matematici, mentre quella ufficiosa e “tecnica” è nell’ombra pronta a impartire ordini. Le opposizioni minori sono messe a tacere, escluse da ogni premio subiscono, come tremenda beffa, anche il paradossale castigo dell’esclusione.

16 Novembre 2012 12:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=17825

Assolti i generali croati del massacro antiserbo

Duri i commenti da parte di Belgrado che ha commentato come con l’assoluzione di Gotovina e Markac la Corte perde credibilità

Andrea Perrone

I serbi si rifiutano di accettare l’assurda sentenza di assoluzione in appello e in via definitiva da parte del tribunale de l’Aja dei generali croati coinvolti nell’Operazio0ne Tempesta ai danni dei serbi negli anni Novanta.
Il tribunale “ha perso ogni credibilità” dopo l’assoluzione degli ex generali croati Ante Gotovina (nella foto) e Mladen Markac. A tuonare contro la sentenza è stato il vice premier serbo, ministro del governo e ufficiale di collegamento tra Belgrado e il Tpi Rasim Ljajic. “Quello che è successo ieri – ha puntualizzato con durezza – è solo una prova di una giustizia selettiva che è peggio di qualsiasi ingiustizia”. Anche per il presidente serbo, il nazionalista Tomislav Nikolic si è trattato, di una “sentenza politica” e “scandalosa”. In passato Gotovina e Markac erano stati condannati in primo grado a 24 e 18 anni di carcere rispettivamente per crimini di guerra e contro l’umanità commessi alla guida dell’Operazione Tempesta, nel 1995, da parte dell’esercito croato. L’operazione militare, scattata il 4 agosto 1995, aveva come scopo quello di riportare sotto il controllo croato le zone abitate dai serbi, in Dalmazia e Slavonia (la cosiddetta Krajina serba), indipendenti dal 1991 e porre fine all’accerchiamento di Bihac, cittadina musulmana circondata dalle milizie dei Serbi di Bosnia e da alcuni ribelli musulmani alleati dei serbi. Più di 2.000 serbi (soldati e civili) furono uccisi o dispersi e più di 250mila lasciarono le loro proprietà in mano ai croati, che le occuparono e in parte le distrussero. Il Tpi per l’ex Jugoslavia ritenne responsabili di tali atrocità diversi comandanti militari croati, tra cui il generale Ante Gotovina, catturato dopo una lunga latitanza alle isole Canarie e consegnato al Tribunale de l’Aja il 7 dicembre 2005.
Dopo questa sentenza di assoluzione non è previsto un ulteriore grado di giudizio e i due hanno fatto rientro già ieri in Croazia da uomini liberi, a bordo di un aereo inviato a L’Aia dal loro governo. Come sempre due pesi e due misure: croati e albanesi quasi sempre assolti, mentre dure condanne vengono comminate ai danni dei serbi.

17 Novembre 2012 12:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=17834