SALVINI PER SEMPRE?

Ricevo e diffondo un articolo lungo ma che merita ampiamente di essere letto dal maggior numero di persone.
L’autore è Cesare Allara e del pezzo posso solo dire che chiunque lo legga gli dispiacerà di non averlo scritto lui. E’ un quadro esaustivo, lucido, spietato, drammatico, della situazione politica in cui ci hanno immerso.
Cesare è un mio amico e compagno di lunga data. Insieme abbiamo percorso l’Iraq alla vigilia della guerra che ha distrutto questo magnifico, libero e orgoglioso paese, culla di tanta civiltà. Ci eravamo fatti scudi umani e documentatori contro i carnefici.
Vorremmo continuare a esserlo contro chi distrugge il nostro paese
.

Nuova immagine

SALVINI PER SEMPRE?

                A meno di eventi eccezionali al momento del tutto imprevedibili, Matteo Salvini diventerà prima o poi presidente del Consiglio con una maggioranza di destra, Lega, Fratelli d’Italia e frattaglie di Forza Italia. Non essendoci in campo, né all’orizzonte, neppure l’ombra di un’attendibile opzione alternativa, Salvini può aumentare i suoi consensi pescando in tutti i bacini elettorali: a destra come a sinistra, fra i pro-euro e gli anti-euro, fra la tradizionale Lega secessionista del Lombardo-Veneto che vuole più “autonomia” cioè danè, schei, e la nuova Lega clientelare sudista, fra coloro che desiderano tanti immigrati per abbassare sempre più il costo del lavoro e quelli che vorrebbero invece fermare l’invasione …

                Insomma, Salvini è in una botte di ferro, magistratura consentendo e nonostante le contraddizioni del composito blocco sociale che lo sostiene.  E questo accade perché può godere di un vitalizio politico infinito, frutto della coglionaggine dei suoi “avversari”, la cosiddetta “opposizione” che è diuturnamente impegnata a fornirgli incredibili assist.  I più indefessi attivisti leghisti stanno proprio a “sinistra”, e infatti educatamente, con un sorriso, Salvini sovente li ringrazia mandando “bacioni” a chi lo insulta o lo contesta dandogli del “fascista, nazista, razzista, populista, xenofobo …”. Afferma Marco Travaglio: “Ogni volta che si accosta Salvini a Mussolini gli si fa un favore perché l’unico che avrebbe piacere a essere scambiato per Mussolini è Salvini(Tagadà, 13 giugno). E, come hanno sommessamente notato anche il sociologo Domenico De Masi e l’ex direttore del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli, ogni ONG che forza il blocco e sbarca immigrati in Italia nel tripudio della “sinistra” regala un punto percentuale in più nei sondaggi alla Lega. Per fermare almeno temporaneamente l’avanzata di Salvini  non resta ormai che seguire le previsioni meteo e sperare che il maltempo freni le partenze dalle coste africane.

                Qualche esempio fra i tanti. Nel maggio scorso, Konrad Krajewski, cardinale polacco elemosiniere di Sua Santità Francesco riattiva la corrente elettrica in un palazzo di Roma occupato abusivamente, moroso per 300.000 euro, a cui l’azienda elettrica aveva staccato i fili. Come Zorro, vicino ai contatori manomessi il cardinale lascia anche il suo biglietto da visita. Una smargiassata che suscita l’entusiasmo della curva della “sinistra” papista arcobalenga, ma che si rivela un clamoroso autogol. Per Salvini è come calciare un rigore a porta vuota: “Ci sono tanti italiani che aspettano una casa popolare e non la occupano; ci sono tanti italiani e migranti regolari che anche in difficoltà le bollette le pagano. Se poi qualcuno in Vaticano vuole pagare le bollette degli italiani in difficoltà ci diano un conto corrente che lo diffonderò a tutti i sindaci perché da Nord a Sud ci sono tanti italiani che fanno fatica a pagare le bollette della luce”.  Pochi giorni dopo il cardinale Zorro ha estinto personalmete il debito del condominio.

                Questa “sinistra” papista, arcobalenga, poltronista, sinistrata, fuksia (PAPSF), pur ciarlando solo più di immigrazione e fascismo, non ha mai espresso, sottolineo mai, analisi credibili sul fenomeno dell’immigrazione, e men che meno su altri argomenti. Quando Salvini “blocca” i porti alle ONG, gli intellettuali più educati, sempre i soliti nomi, sanno solo parlare di “cattiveria”, di “disumanità” del ministro dell’Interno. Ci si deve accontentare così dell’analisi degli ultras. Eccone un esempio significativo che girava in rete in occasione dello “scontro” Salvini-Rackete: “Senti, brutto stronzo. Ti piace insultare una giovane donna in gamba a nome del governo italiano, eh? Maramaldo. A nome degli italiani, 60 milioni? Pallone gonfiato, ceffo vigliacco. Ti sei rotto le palle, eh? Coglione. Te li sudi tu i tuoi selfie, eh?, disgustoso gradasso. Non è granché, ammetto. Sento che si può fare di meglio, cioè di peggio. Tu sì, mezza calzetta, tu puoi, fatti un altro selfie, completa tu a piacere. Controfirmo tutto”.  Roberto Saviano è entusiasta di questo breve scritto di Adriano Sofri apparso sul quotidiano clandestino Il Foglio: Condivido con voi l’analisi politica più lucida degli ultimi mesi. Grazie Adriano”. Salvini gentilissimo ringrazia: “Essere insultato dal pregevole duo Sofri-Saviano mi rende ancora più orgoglioso del mio lavoro in difesa del Popolo Italiano. Bacioni e querele”. Quando si dice “lavorare per il re di Prussia” …                

                L’immigrazione non è “un’arma di distrazione di massa”, come si  sostiene ancora oggi a “sinistra”, di cui si serve Salvini per nascondere la corruzione nel suo partito, per distogliere l’attenzione dai temi economici e dalle inchieste della magistratura sui finanziamenti alla Lega. Non c’è più bisogno di sotterfugi. Ormai il popolo italiano si è assuefatto all’illegalità, anzi ognuno nel suo piccolo ci sguazza, ha imparato a convivere con la corruzione, con le varie mafie, o con quelle che pudicamente vengono declassate a lobby; non gli importa nulla se i partiti si finanziano con rubli o dollari.  Con la fame di lavoro e di salario che c’è, il popolo italiano non sta neppure a sottilizzare se il lavoro creato con fondi pubblici è utile al Paese o no. L’illegalità, la corruzione e le mafie sono il principale motore di sviluppo del Paese. L’avventura di Virginia Raggi a Roma dimostra che inimicandosi le mafie la macchina municipale stenta a funzionare, s’inceppa, fra boicottaggi, piccole e grandi truffe ai danni dell’amministrazione, bandi che vanno deserti , l’esercito che presidia qualche sito della monnezza e la stampa tutta di proprietà delle lobby che spinge per far tornare in Comune i cari vecchi partiti da sempre loro complici. Gli scandali che colpiscono la Lega, dove le varie lobby hanno già spostato i loro uomini, non scalfiscono minimamente la sua lenta, ma inesorabile avanzata nei sondaggi.   

                L’immigrazione, assieme al lavoro e al welfare, è da tempo, volenti o nolenti, il tema dei temi, non solo in Italia. Le tre materie sono fra loro strettamente collegate. Non sono venute per caso le vittorie del repubblicano Trump negli USA o di Farage (Brexit Party) in Gran Bretagna che, al contrario della “sinistra” che a ogni latitudine vuole accogliere tutti i migranti, promettevano di proteggere la manodopera autoctona. Interessante il caso della Danimarca dove il 5 giugno scorso si è votato per il rinnovo del Parlamento. Un risultato sorprendente, in controtendenza: i cosiddetti “populisti” (Partito del Popolo Danese) perdono la metà dei voti. Vincono i socialdemocratici che in campagna elettorale promettono però “una linea meno permissiva sui migranti”. La vincitrice Mette Frederiksen dichiara: “Al primo posto rimetteremo il welfare, il clima, l’educazione, i bambini, il futuro”; in netto contrasto con le ragioni fondative dell’Europa di Maastricht nata invece per adeguare il capitalismo europeo a quello USA, innanzitutto con il ridimensionamento o l’abolizione del welfare. 

                Questo rovesciamento della rappresentanza dei ceti sociali – la destra che difende gli interessi dei lavoratori autoctoni (ad esempio Marine Le Pen in Francia), mentre tutta la sinistra (partiti, centri sociali e troika sindacale) è allineata sulle posizioni di mafie e lobby, ne sposa le esigenze di manodopera schiavile a basso costo partecipando attivamente in vario modo alla deportazione dall’Africa – non è una novità delle ultime tornate elettorali. Ero ormai in uscita dal PRC, ed ecco cosa scrivevo  il 14 marzo 2006  nel “Diario elettorale” (13 puntate) circa l’inizio della campagna elettorale di Bertinotti a Torino e Bussoleno per le Politiche del 9/10 aprile di quell’anno. Ad eccezione del riferimento al congresso di Rimini della CGIL dell’1/4 marzo, questo stralcio del report sembra scritto oggi: “(…) Dopo la tregua (o resa?) preventiva regalata dalla CGIL nel recente congresso di Rimini al prossimo governo, il PRC, che Bertinotti ha definito il più fedele alleato di Prodi, è più che mai ostaggio della riedizione della famigerata politica di concertazione e di pace sociale, con tanti saluti ai movimenti rivendicativi e al ruolo di portavoce delle lotte. Sull’immigrazione, Bertinotti ha in particolare posto l’accento sulla vitale necessità che ha il nostro Paese di mano d’opera straniera, pena il blocco delle attività produttive. Curiosamente, ma non troppo, questa tesi della sinistra alternativa coincide con quella di Confindustria, e ciò deve far riflettere. I padroni, che per uscire dalle ricorrenti ‘crisi’ conoscono solo la strada della riduzione del costo del lavoro e di un maggior sfruttamento della mano d’opera, desiderano avere sempre a disposizione quello che, se ricordo bene, un tale aveva definito esercito industriale di riserva. Ho scoperto che oggi questa esuberanza di disponibilità di mano d’opera di cui i padroni hanno bisogno è chiamata ventre molle. Questo ventre molle, che continua ad ingrossarsi per effetto degli incessanti flussi immigratori, è indispensabile ai padroni per alimentare il lavoro nero, per mettere in concorrenza la mano d’opera locale con quella extracomunitaria e così perseguire l’obiettivo di un costo del lavoro sempre più basso. Un corollario di questa tesi afferma che gli stranieri non rubano il lavoro agli italiani perchè sono impiegati in lavori che gli italiani, ormai imborghesiti, non vogliono più fare e da qui nasce la necessità della presenza del lavoratore immigrato. In realtà gli italiani hanno fatto per secoli i lavori più umili, e ancora li farebbero se fossero retribuiti adeguatamente e non con salari africani o asiatici. Questa sottovalutazione, questa superficialità nel maneggiare il problema dell’immigrazione che come si è visto gratifica i padroni e i padroncini, ma acuisce i disagi delle classi meno abbienti italiane, regala al razzismo della Lega Nord il cuore ed il voto di larghi strati popolari (…)”. I fatti hanno poi dimostrato che la scelta della “sinistra” di dividere i lavoratori, occupandosi eslusivamente degli immigrati e lasciando i lavoratori italiani, i ceti popolari nelle grinfie della troika sindacale e dell’“orrendo serpentone metamorfico PCI-PDS-DS-PD”, è stata catastrofica.

                La prima domanda da porsi per iniziare un’analisi del fenomeno è la seguente: le migrazioni sono un fenomeno complessivamente positivo o negativo? La seconda domanda è: cui prodest?, a chi giova? Chi ci guadagna, chi ci perde? Chi sostiene la positività afferma che il fenomeno è inarrestabile, e quindi non si può far altro che gestire l’accoglienza. Anche perché, dato il crollo demografico recentemente ribadito dall’ISTAT (notoriamente gli italiani oltre che choosy, schizzinosi sul lavoro, hanno perso anche la voglia di trombare e figliare), l’immigrato è conveniente; i vantaggi che ne derivano sono indistintamente utili a tutta la collettività. Vantaggi già in parte accennati più sopra dall’on. Bertinotti all’unisono con Confindustria, a cui si può aggiungere quell’altra colossale minchiata divulgata per decenni dalla “sinistra” sempre nel coro con Confindustria, quella delle pensioni degli italiani pagate solo grazie ai contributi degli immigrati.

                La propaganda sugli immigrati come risorsa universale è martellante, fan della globalizzazione capitalista in prima fila. “Le migrazioni sono una ricchezza, ma vanno sapute gestire” dice ad esempio il regista Oliver Stone sul Fatto Quotidiano del 2 luglio scorso, ma non precisa per chi sono una ricchezza, una risorsa. Ma fra le innumerevoli dichiarazioni di fede nella globalizzazione e nelle migrazioni vale la pena ricordare, per chi se la fosse dimenticata, quella ormai leggendaria dell’on. Laura Boldrini, all’epoca presidente della Camera, alla presentazione del Rapporto 2014 di Italiadecide che delineò anche il futuro che ci aspetta: “Dobbiamo dare l’esempio concreto di un cultura dell’accoglienza, che sia integrale, l’accoglienza come un nostro valore a 360 gradi e che sappia misurarsi con la sfida della globalizzazione. Quella sfida che porta con sé, com’è ovvio, anche maggiori opportunità di circolazione delle persone, perché nell’era globale tutto si muove. Si muovono i capitali, si muovono le merci, si muovono le notizie, si muovono gli esseri umani e non solo per turismo. I migranti oggi sono l’elemento umano, l’avanguardia di questa globalizzazione e ci offrono uno stile di vita che presto sarà uno stile di vita molto diffuso per tutti noi, loro sono l’avanguardia dello stile di vita che presto sarà uno stile di vita per moltissimi di noi”.

                Nei secoli XVI e XVII, nel grande centro minerario di Potosì in Bolivia, dove si estraeva gran parte dell’argento spagnolo, gli indigeni americani schiavizzati morivano come mosche per le condizioni di estremo sfruttamento, per le nuove malattie importate dagli spagnoli a cui i fisici dei nativi del Sudamerica non erano abituati e per “l’uso del mercurio per l’estrazione dell’argento con il metodo dell’amalgama che avvelenava quanto, o più dei gas tossici nelle viscere della terra. Faceva cadere capelli e denti e provocava tremiti incontrollabili. Gli ‘intossicati da mercurio’ si trascinavano per le strade chiedendo l’elemosina. 6.500 falò ardevano nella notte sulle pendici del cerro rico, e in essi si lavorava l’argento con l’aiuto del vento che il ‘glorioso Sant’Agostino’ inviava dal cielo. A causa del fumo, in un raggio di sei leghe, nei dintorni di Potosì, non c’erano pascoli né seminagioni e le esalazioni erano altrettanto implacabili con i corpi degli uomini” (Eduardo Galeano, Le vene aperte dell’America    Latina, 1997, Sperling & Kupfer). Non si conoscono i numeri esatti, ma si parla di milioni di persone, anche perché non c’era solo Potosì. Di certo fu un vero e proprio genocidio. Quando nelle miniere la manodopera comincia a scarseggiare si ricorre all’importazione dei negri africani, ritenuti anche fisicamente più adatti al lavoro schiavile in condizioni di estremo sfruttamento. Non si può non notare come gli attuali dirittumanoidi, le ONG che si prestano a gestire l’ultima tratta della deportazione in Italia della manovalanza prelevata in acque africane, somigliano tantissimo a quelle navi negriere che dall’Africa portavano una manodopera più robusta nei possedimenti spagnoli in Sudamerica per sostituire gli indios ormai in estinzione.    

                La “sinistra” PAPSF, che mette la sua bandierina su questa sostituzione della manodopera italiana con quella assai più a buon mercato proveniente dall’Africa, scambia un’operazione coloniale per solidarietà internazionalista. Le ONG marinare colluse col traffico di esseri umani come le brigate internazionali che combatterono a fianco dei republicanos nella guerra di Spagna (1936-1939)? O come Ilio Barontini, Domenico Rolla, Anton Uckmar che andarono in Etiopia (1935-1936) per organizzare la resistenza armata contro l’occupazione fascista? O come Gino Doné, partigiano e combattente internazionalista, unico italiano a partecipare alla rivoluzione cubana negli anni 50? Carola Rackete come Ernesto Guevara? Certo il Che fallì nei tentativi di accendere il “foco guerrillero”, di innescare rivoluzioni in Congo nel 1965 e in Bolivia nel 1967. Pagò personalmente a caro prezzo i suoi fallimenti. Ancora oggi però si pone in Africa il tema della rivoluzione, della liberazione di quel continente dal giogo colonialista, imperialista, soprattutto francese. Una sinistra degna di questo nome di questo dovrebbe occuparsi. Perciò, come si dice a Torino, per favore, non confondiamo la cacca col risotto. 

                Se, invece, si pensa che il fenomeno migrazioni merita complessivamente un giudizio negativo, se si ritiene che la globalizzazione capitalista non è irreversibile, che le migrazioni non sono inarrestabili, che da questi fenomeni c’è chi ci guadagna, ma la stragrande maggioranza delle popolazioni ne esce sconfitta, più povera, allora si aprono praterie politiche sconfinate, territori inesplorati soprattutto per una sinistra che volesse collocarsi a sinistra. Si prenda ad esempio il Mezzogiorno d’Italia, da sempre terra di emigranti, dove oggi si assiste a una fuga di massa soprattutto dei suoi giovani: “Così radicale, estesa, imponente la fuga da poter essere considerata la terza ondata migratoria dopo quella dei primi del 900 verso le Americhe, del secondo dopoguerra verso la Germania e Milano del miracolo economico o Torino di mamma FIAT (…) Non più solo cervelli in fuga, la cui formazione è comunque costata 30 miliardi di euro alle casse pubbliche, ma anche camerieri in fuga, dentisti in fuga, tubisti, saldatori, operai generici, infermieri, insegnanti delle elementari, autisti, baristi, pizzaioli. Un intero popolo scomparso così folto che gli arrivi degli immigrati, o di coloro che ritornano a casa, non riescono a compensare. Il saldo demografico è paurosamente negativo. 783.511 italiani (che sono parte di quei quasi due milioni di migranti) che hanno avviato le pratiche per i cambi di residenza o nuovi passaporti, di cui 218.771 in possesso della laurea. Dal Sud è fuggita, persa ai radar, la meglio gioventù: mezzo milione di giovani (564.796 per la precisione) di cui 163.645 laureati. (Antonello Caporale, Quasi due milioni via dal Meridione, e mezza Italia sta diventando un deserto, Millennium, novembre 2018). Un Paese che costringe i suoi giovani più preparati a fuggire all’estero per trovare un lavoro e uno stipensio che consenta di vivere, ma che ha bisogno di importare raccoglitori di pomodori a due euro l’ora, è una colonia, un Paese fallito.

                Prosegue Caporale, che si basa sul rapporto SviMez dell’agosto 2018: “Oltre il Garigliano i paesi cadono come foglie in autunno. Scompaiono silenziosamente e nell’indifferenza, il conto lo tiene l’ISTAT che stila periodicamente la lista dei morituri: a oggi sono più di 1.650 i Comuni colpiti da un abbandono che s’annuncia definitivo, una morte triste e non più lenta che nei prossimi anni si gonfierà di altre vittime e presto certificheremo la desertificazione. (…) Un quinto dei Comuni italiani è infatti in cammino verso il nulla, un sesto della superficie nazionale resterà disabitata. Mura cadenti, pietre rotolate giù e rovi, solo rovi. Sarà il cimitero la nuova dimensione di questo svuotamento che infragilisce fino a consumarla tutta la colonna vertebrale del Paese, la linea montuosa centrale costellata fino a due decenni fa di villaggi, di comunità, insomma di vita, che invece cederà alla morte per via della fame che l’attanaglia. (…) Né capannoni né vacche, né sviluppo industriale né agricoltura sostenibile. Né strade, né treni. Tolti, tagliati, inutilizzati più di 6.000 km di ferrovia, il treno, da vettore economico e popolare, si è via via trasformato nel costoso ed efficiente connettore dell’Italia ricca, nella direttrice verticale tra le grandi città. Il Frecciarossa è il simbolo di un’Italia che ha scelto non due, ma una sola velocità. Biglietti alti, ma puntualità quasi sempre garantita per quelli che ce la fanno. Poi la seconda classe nel resto del Paese, specialmente al Nord, un reticolo di tratte per i pendolari mal tenute e mal gestite, mentre al Sud – terza classe – semplicemente il nulla”.

                Come facilmente si intuisce, le migrazioni sono un furto. Perpetrato da tutti i Nord del mondo ai danni dei Paesi eternamente in via di sviluppo che permarranno sempre tali se rapinati continuamente delle loro risorse naturali, se privati soprattutto delle migliori risorse umane di cui dispongono. Da decenni l’Africa produce i migliori atleti, i migliori calciatori del mondo di statura fisica e tecnica eccezionale, ai quali però lo Stato colonizzatore offre subito la naturalizzazione: la nazionale francese di calcio è diventata campione del mondo di calcio nel 2018 con più della metà dei titolari di origine africana naturalizzati o diventati francesi attraverso lo ius soli. E così nessun Paese africano, nonostante i suoi ottimi calciatori,  è mai riuscito a diventare campione del mondo. Non riesco ad immaginare che succederebbe in Africa se ciò accadesse.

                Negli anni 60 e 70 dello scorso secolo c’erano i cosiddetti “movimenti terzomondisti” che appoggiavano le lotte anticoloniali di liberazione nazionale dei popoli del cosiddetto “Terzo Mondo”. Erano l’anima della sinistra. Oggi invece nel pantheon della “sinistra” ci sono Carola e le ONG. Oltre che democristiani, ho la certezza che moriremo anche leghisti.  Buone vacanze a tutti.

Torino, 30 luglio 2019                                                                                                   Cesare Allara

SALVINI PER SEMPRE?ultima modifica: 2019-08-08T12:01:37+02:00da davi-luciano
Reposta per primo quest’articolo