La guerra di propaganda contro la Russia utilizzata per ricattare Trump

A pochi giorni dalla nomina ufficiale del presidente eletto Donald Trump e a due mesi di distanza dalla clamorosa sconfitta della candidata democratica Hillary Clinton, quella che era sostenuta da tutto l’Establishment USA (Wall Street-Rothshild-Soros-Looked-Boeing, ecc. ), la campagna mediatica scatenata dal fronte globalista/democratico si basa sul principale argomento già utilizzato nella fase pre elettorale che è sempre quello di “dare la colpa alla Russia” per l’ascesa di Trump e per la sconfitta della loro candidata.
In pratica i democratici USA stanno seguendo la stessa strategia che avevano perseguito nel corso della campagna presidenziale: screditare l’avversario, il candidato alternativo, e collegare questo ad una presunta interferenza (mai dimostrata) della Russia nelle elezioni.
Gli esponenti democratici del fronte globalista, a cui si assommano i clan familistici e di potere, Clinton/Bush, sembrano molto più interessati a sostenere questa campagna mediatica piuttosto che fare una seria analisi dei motivi per cui una gran parte dell’America profonda dei lavoratori della classe media (e residenti negli Stati danneggiati dalla crisi industriale) hanno voltato le spalle alla candidata dell’establishment democratico e globalista.
Gli oligarchi democratici statunitensi, legati a doppio filo agli interessi delle lobby di nato_polandriferimento, preferiscono utilizzare Vladimir Putin come capro espiatorio piuttosto che analizzare le cause dell’allontanamento delle classi lavoratrici dai loro totem propagandistici della globalizzazione = progresso.  Nel frattempo, mentre l’apparato dei media alimenta una crescente “russofobia”, l’Amministrazione Obama gestisce le sue ultime provocazioni spostando un imponente apparato militare USA di mezzi corazzati, missili ed artiglierie, direttamente ai confini della Russia.
Una situazione che rischia di diventar estremamente pericolosa e che potrebbe portare ad incidenti dalle conseguenze imprevedibili e potenzialmente nefaste.
 
La stessa portavoce russa  ha scritto sulla sua pagina FB che c’è da domandarsi se, le ultime azioni dell’Amministrazione di Barack Obama, tra le nuove sanzioni, la decisione di fornire altre armi letali ai ribelli siriani e la concentrazione di truppe NATO ai confini, rappresentino la volontà di Obama di distruggere il mondo negli ultimi 9 giorni che mancano alla sua presidenza.  (“Dio creò il mondo i 7 giorni. L’Amministrazione Obama dispone di 2 giorni in più per distruggerlo“).
Nei giorni scorsi, in una udienza presso il Comitato del Senato di Washington che si occupa delle US Forces, Jack Reed, un congressista democratico eletto nello Stato di Rhode Island, ha denunciato  quello che secondo lui è “il rifiuto della Russia dell’ordine internazionale della post-Guerra Fredda e le azioni aggressive contro i suoi vicini”, ed ha inoltre espresso una condanna contro “un regime (quello della Russia) i cui valori ed interessi sono incompatibili con i nostri”.
Superfluo rilevare che questo tipo di discorsi retorici rivelano il clima di nuovo maccartismo che risulta diffuso negli USA tanto da determinare una vera “caccia alle streghe” delle presunte quinte colonne della Russia che operano all’interno del paese. Il paradosso è che sono proprio gli USA il paese che più di ogni altro ha violato il diritto internazionale, ha operato ingerenza indebita, sobillazione e rovesciamento di governi legittimi con tutti i mezzi negli altri paesi di qualsiasi parte del mondo, quello che oggi punta il dito contro le presunte azioni di ingerenza della Russia al loro interno.
 
Gli esponenti democratici come Reed e quelli repubblicani come John McCain sono i primi della classe nel voler condurre gli USA verso una nuova Guerra Fredda mentre non risparmiano le loro accuse di guerra di hackeraggio fatta dai russi che, secondo loro, avrebbero sottratto informazioni dal Comitato Democratico e dallo staff della Clinton per rendere pubbliche le mail compromettenti di questa  signora e per diffondere notizie false e cospirazioni attraverrso i social media. Il governo russo, secondo la loro interpretazione, avrebbe hackerado il DNC ( Democratic National Committee)  e le caselle di posta e le avrebbe trasmesse a WikiLeaks (che ha smentito nettamente). Queste le loro supposizioni che non sono suffragate da prove, come hanno commentato alcuni analisti indipendenti.
 
In effetti si è avuta  la testimonianza di Robert Parry, un qualificato analista della Associated Press e di Newsweek, il quale ha condotto una approfondita analisi del materiale pubblicato dagli uffici di James Clapper, il direttore dell’Intelligence USA, ed ha argomentato che il rapporto di 25 pagine pubblicato dall’intelligence non presenta alcuna prova concreta ma si basa soltanto su illazioni e supposizioni che si sia verificata quella trasmissione di dati da parte della Russia a terzi per squalificare la campagna della signora Hillary, beniamina dell’establishment globalista. Vedi: US Report Still Lacks Proof on Russia ‘Hack’
Nonostante tutto, l’assenza di prove certe su queste mirabolanti accuse ha costretto alcuni media dell’establishment, fra cui il New York Times, ad ammettere che la campagna si basa esclusivamente su alcune supposizioni e lo staff dei democratici non è stato in grado di produrre le prove certe che parte dell’opinione pubblica si aspettava di avere a suffragio delle accuse.
 
In realtà gli esponenti democratici non si aspettano di trovare la “pistola fumante ” per inchiodare il Cremlino a quello che McCain ha definito un “atto di guerra” contro gli USA, ma piuttosto utilizzano la presunta azione di hackeraggio russa come una arma politica che permette loro di spostare l’attenzione dal loro fallimento e dalla perdita di crediblità del Partito Democratico, quello che  si è perso per strada il consenso di buona parte del suo elettorato, oltre a voler dirottare l’attenzione verso la “minaccia russa”. La minaccia russa viene utilizzata come una clava per squalificare Trump, il nuovo presidente eletto che rischia di mettere in questione molti dei provvedimenti presi dall’Amministrazione Obama ove sono in gioco enormi interessi dell’apparato lobbistico industriale, militare e finaziario che erano ben rappresentati  dalla Hillary.
La novità è rappresentata dal fatto, mai successo prima, che contro Trump si è mobilitato tutto l’apparato delle vari agenzie di Intelligence, rappresentato non sono soltanto dalla CIA ma che include altre circa 17 altre agenzie, fra organismi militari e civili. Probabile che sia in corso una lotta senza quartiere fra questi organismi, divenuti estremamente possenti, al centro di tutte le trame condotte dagli USA all’estero ed all’interno, tanto che osano sfidare apertamente Trump, prima ancora che entri in carica, di sicuro per intimorirlo, condizionarlo o ricattarlo.
Sarà Michel Flynn, ex direttore della DIA, il nuovo consigliere per la sicurezza nazionale, prescelto da Trump, rivale di Clapper (fatto dimissionare da questi) colui che avrà l’incarico di ridimensionare e ristrutturare i servizi di intelligence che sono divenuti troppo politicizzati e troppo influenti, come aveva detto lo stesso Trump. Questo spiega il nervosismo e la lotta di potere che si è scatenata a Washington.
Il vero problema è rappresentato dal fatto che tanto i congressisti democratici come l’apparato dell’intelligence di Washington stanno utilizzando l’ostilità e le accuse pretestuose contro la Russia per i loro fini interni senza curarsi dei rischi che questo gioco comporta per la sicurezza mondiale.
 
Ancora peggio se si considera che a questo gioco interno della superpotenza USA, si prestano i vassalli europei, con la Germania in testa, nell’assecondare le politiche belliciste e le provocazioni del Dipartimento di Stato USA contro gli interessi alla stabilità e la pace in Europa.
 
Sembra che la cancelliera Angela Merkel non abbia nessuna remora nel ripercorrere la strada già seguita dal suo predecessore Hadolf Hitler nello schierare le sue divisioni corazzate sul bordo dei confini russi, questa volta al fianco delle armate USA che, al momento giusto, se il conflitto dovesse scoppiare in Europa, manderanno avanti i soldati tedeschi e polacchi a fare da carne da cannone da sacrificare sull’altare degli interessi imperiali di Washington.
Fra gli altri ci saranno anche alcune centinaia di militari e di mezzi italiani, nell’ambito NATO, a fare da bersaglio ai missili e cannoni dell’armata russa, schierata a difesa dei confini russi e decisa a non far violare il loro territorio dalle armate della NATO.
La Storia, maestra di vita, ai fantocci del potere imperiale USA, accecati dal loro servilismo, non ha insegnato nulla.
di Luciano Lago – 11/01/2017
 
Fonte: controinformazione

Il Presidente egiziano Al Sisi denuncia i patrocinatori del terrorismo ed i loro piani contro l’Egitto

quando in Egitto furono “installati” i Fratelli Musulmani al potere tanto cari all’amministrazione Killlary Obama l’Egitto era un paradiso secondo i media occidentali nonostante i massacri di cristiani e musulmani moderati. Ora che c’è Al Sisi molto vicino alla Russia ovviamente l’Egitto è una dittatura che ovviamente gli Usa sono chiamati a rimuovere. Almeno questo l’intento del Premio Nobel per la pace che ha sganciato più di 26.000 bombe in 7 nazioni. E si fa puzza per Regeni, strano eh?

Chi ha interesse a destabilizzare l’Egitto?
Forse l’opinione pubblica europea potrebbe pensare che quanto avviene in paesi al sisi russiacome l’Egitto non ci riguardi, che sia un paese lontano e molto distante dall’ambiente e dalle questioni dell’Europa. In realtà l’Egitto, il più popoloso paese arabo, si trova nel Mediterraneo proprio di fronte alle coste del sud Europa ed in circa 3 ore di aereo è facilmente raggiungibile da qualsiasi capitale europea.
Risulta che l’attuale presidente egiziano, Abdel Fatah al Sisi, proprio oggi ha denunciato i piani contro il suo paese orditi e finanziati da certi paesi e dai loro servizi di intelligence, quelli che il mandatario egiziano ha chiamato come “discepoli del male”.
In dichiarazioni rilasciate alla BBC, Al Sisi ha detto che l’Egitto si trova in guerra contro il terrorismo e che questo viene finanziato con immenso denaro da alcuni paesi.
Il presidente non ha fatto nomi in concreto ma, secondo alcuni esperti, le sue dichiarazioni fanno riferimento agli stessi stati che hanno finanziato il terrorismo in Siria, in Iraq ed in altri paesi. Uno di questi, secondo i media egiziani è il Qatar.
L’Egitto ed il Qatar mantengono relazioni molto tese per causa dell’ampio appoggio fornito da Doha ai F.lli Mussulmani e per la partecipazione di questi ultimi agli attacchi terroristici contro la sicurezza che hanno afflitto l’Egitto dopo l’arrivo al potere dell’ex generale Al Sisi nel 2013.
Molti di questi attacchi contro la polizia e le forze di sicurezza, così come per quelli avvenuti contro i luoghi di culto cristiani in Egitto (dei cristiani copti) vengono attribuiti dal governo alla setta dei F.lli Mussulmani, dei quali alcuni rami si sono fortemente radicalizzati ed hanno promesso lealtà al Daesh (ISIS) ed a altri gruppi estremisti.
Da rilevare che tutti questi attentati si sono intensificati da quando il Cairo è entrato in guerra contro il terrorismo islamista ed ha partecipato, inviando un suo contingente, al conflitto in Siria sostenendo il Governo di Damasco assieme all’Iran ed alla Russia. Da quel momento si sono deteriorate le relazioni dell’Egitto con l’Arabia Saudita e con il Qatar, guarda caso i paesi, alleati dell’Occidente, che sono considerati patrocinatori ed ispiratori del terrorismo di marca salafita.
Al Sisi, in una recente intervista televisiva, si è riferito alla feroce lotta che i soldati egiziani sostengono nel Sinai contro i terroristi ed ha segnalato che i militari egiziani hanno ritrovato negli ultimi tre mesi una tonnellata di esplosivi e milioni di lire egiziane e dollari nordamericani in nascondigli che appartenevano ai terroristi, i quali, con tutta evidenza, godono di finanziamenti esterni.
Il governo egiziano di Al Sisi ha mostrato una mano dura nei confronti del movimento dei F.lli Mussulmani, in particolare con la repressione e la condanna a morte, fatto senza precedenti, di oltre 500 membri dei fratelli musulmani, in Egitto, per il loro ruolo avuto nell’attacco, tortura e omicidio di un poliziotto egiziano, e questo era avvenuto al culmine di un’illuminante e onnicomprensivo giro di vite della sicurezza nella centrale nazione araba del Nord Africa. Questa mossa ha creato un effetto raggelante che ha ammutolito le masse altrimenti violente dei fratelli musulmani e portato a mettere ordine nelle strade, con il prevenire sommosse e disordini promossi da questa setta.
La mossa dei giudici egiziani aveva attirato la condanna prevedibile del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, oltre all’ostilità manifesta di tutti i principali media occidentali che rimproverano ad Al Sisi il suo pugno di ferro contro l’opposizione radicale islamista nel paese.
Gli ambienti della sinistra europea accusano Al Sisi di violare i diritti umani e reprimere l’opposizione ma si tratta degli stessi ambienti e degli stessi media che non levano una parola nei confronti dei Governi di Arabia Saudita, Qatar e delle altre Monarchie petrolifere che reprimono ferocemente il dissenso ed applicano le pene capitali (con taglio della testa) contro i dissidenti e le persone accusate di reati quali l’apostasia e “crimini” di natura sessuale. Un evidente doppio standard quando si tratta di regimi favorevoli agli interessi occidentali.
Gli Stati Uniti appoggiavano in Egitto il precedente Governo di Mohamed Morsi , ispirato dai F.lli Mussulmani e risulta che il Dipartimento di Stato ha finanziato per anni la setta dei F.lli Mussulmani nell’evidente tentativo di spaccare il mondo islamico esacerbando la rivalità tra le masse sunnite in funzione anti iraniana e favorendo l’influenza dei loro stretti alleati, Arabia Saudita e Qatar, che cercano di prendere la guida dei paesi sunniti contrastando la crescente influenza iraniana e sciita nella regione. Vedi: Egypt, the Muslim Brotherhood and America’s War on Syria
Questo spiega il perchè gli Stati Uniti, attraverso le varie ONG, avevano finanziato le “primavere arabe” che si volevano far passare per un processo spontaneo, quando in realtà erano sobillate da agitatori esterni, dietro il pretesto dei “diritti umani ” e della “democrazia”, in funzione di un cambio di regime che gli USA hanno mirato a realizzare sia in Egitto che in Libia, in Siria ed altrove.
In Libia questo cambio di regime si è verificato grazie all’intervento della NATO, in Siria il cambio di regime, che ha dato luogo ad un sanguinoso conflitto, è fallito grazie alla resistenza di Bashar al-Assad, del popolo e dell’Esercito siriano (con l’aiuto dei russi), in Egitto il tentativo è fallito grazie al colpo di Stato militare del generale Al Sisi.
 
Questo spiega tutta la velenosa propaganda mediatica occidentale scatenatasi contro Assad, accusato di essere un “tiranno sanguinario”, per aver osato opporsi all’imperialismo anglo-USA-saudita.
 
Attualmente gli Stati Uniti continuano a fingere di sostenere il governo del Cairo, ma sono in realtà completamente dalla parte del regime della fratellanza musulmana, che era guidata di Muhammad Morsi, delle sue folle in piazza e delle numerose reti di ONG in Egitto che ne sostengono e difendono le loro attività.
L’ultima di tali ONG ad apparire era stata l’Iniziativa egiziana per i diritti personali (EIPR) che veniva citata anche dal del New York Times. L’EIPR è finanziata , tra gli altri, dall’ambasciata d’Australia a Cairo, e svolge lo stesso noto ruolo che altre ONG finanziate dagli occidentali hanno avuto durante la “primavera araba” del 2011, coprendo violenze e atrocità dell’opposizione e usando i “diritti umani” per condannare le repressioni della sicurezza effettuati in risposta dallo Stato.
Tanto più è divenuto pressante, per il Dipartimento di Stato USA, l’obiettivo di un “regime change” al Cairo, da quando l’Egitto si è riavvicinato alla Russia di Putin ed ha sottoscritto con questa importanti contratti di cooperazione nel campo civile e militare.
Non si può escludere che le centrali di potere di Washington mirino a destabilizzare l’Egitto, ripetendo lo stesso tentativo fallito in Siria, mediante l’appoggio alle sette più estremiste e la sobillazione di gruppi terroristi come il Daesh che, guarda caso, hanno iniziato ad attivarsi nel paese (in particolrae nel Sinai) da quando il Governo del Cairo ha cambiato la sua politica e la sua rete di alleanze, voltando le spalle all’Arabia Saudita ed al Qatar ed riavvicinandosi alla Siria ed alla Russia.
Le conseguenze di una eventuale destabilizzazione dell’Egitto sarebbero nefaste per tutta le regione ed in particolare per l’Europa che si troverebbe alle prese con un’altra situazione, tipo Libia, moltiplicata X 10, visto che si tratterebbe del più grande paese arabo con 82 milioni di abitanti. Le trame dei circoli di potere di Washington non si fermano davanti a nulla e contano, come sempre, sulla passiva e suicida collaborazione dei governi europei. di Luciano Lago
Gen 12, 2017  Fonti: Al Mayadeen